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Dinamiche insediative nel territorio dei Colli Euganei dal Paleolitico ...

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<strong>Dinamiche</strong> <strong>insediative</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>dei</strong> <strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong> <strong>dal</strong> <strong>Paleolitico</strong> al Medioevo<br />

Este - Monselice, 27 - 28 novembre 2009<br />

L’ABITATO PROTOSTORICO DI MONTE ORBIESO (VALSANZIBIO)<br />

Luca Sciola - Corso di Laurea Magistrale in Scienze Archeologiche (Università degli Studi di Padova)<br />

Monte Orbieso (330 m s.l.m.) si eleva <strong>nel</strong> settore sud-orientale del complesso<br />

collinare e ricade amministrativamente <strong>nel</strong> comune di Galzignano Terme.<br />

Nel corso di alcuni sopralluoghi compiuti <strong>nel</strong>l’ultimo decennio nei pressi della<br />

sommità del colle, veniva recuperata una discreta quantità di materiale archeologico<br />

caratterizzato da una buona tipicità, che ne ha consentito una precisa scansione<br />

in fasi.<br />

Il presente contributo propone l’inquadramento generale del sito attraverso lo<br />

studio tipocronologico della produzione ceramica.<br />

In assenza di dati stratigrafici si è tentata un’analisi volta all’aggancio <strong>dei</strong> tipi<br />

documentati alle coeve serie stratigrafiche dell’Italia settentrionale; in particolare<br />

essenziali sono stati i confronti con le sequenze <strong>dei</strong> siti di Montebello Vicentino,<br />

Frattesina, Mariconda e Ca’ de’ Cessi.<br />

L’analisi preliminare della produzione ceramica - tuttora in corso di studio - ha<br />

quindi permesso l’individuazione di almeno tre fasi cronologiche di sviluppo<br />

dell’abitato <strong>nel</strong> corso del Bronzo recente e finale, soprattutto attraverso<br />

l’evoluzione delle forme vascolari con orlo a tesa. È stato quindi possibile delineare<br />

delle associazioni tipocronologiche particolareggiate (Fig. 1), secondo uno<br />

schema già sviluppato da M. Bagolan e G. Leonardi attraverso il caso di studio di<br />

Montebello Vicentino (BAGOLAN, LEONARDI 2000, p. 17):<br />

• Bronzo recente evoluto (XIII - prima metà XII sec. a.C.) con persistenza di<br />

elementi di tradizione terramaricola, associati a forme desinenti con “orli a tesa<br />

ispessiti in corrispondenza dello spigolo interno” (Fig. 1, 1-9);<br />

• Bronzo finale 1 (seconda metà XII sec. a.C.) comparsa di elementi del c.d.<br />

Protovillanoviano padono-orientale ed evoluzione della produzione vascolare con<br />

orlo a tesa che tende a perdere l’ispessimento dello spigolo interno (Fig. 1, 10-11);<br />

• Bronzo finale 2 e 3 (XI - X sec. a.C.) con presenza di elementi protovillanoviani<br />

propri: compaiono vasi biconici di dimensioni diverse, associati alle persistenti<br />

forme a tesa, con tese non ispessite e a profilo arcuato o con orli esoversi (Fig. 1,<br />

12-15).<br />

È stato inoltre possibile isolare un frammento di olla (Fig. 1, 8), decorato da una<br />

sequenza di bozze e cordoncini verticali, che trova riscontri per il Bronzo recente<br />

nei contesti occidentali della cultura di Canegrate.<br />

Fig. 2 e 3. Panoramica della sommità del colle (a sinistra) e mulattiera boschiva che da Valsanzibio<br />

sale su Monte Orbieso (a destra)<br />

Fig. 4 e 5. Carte distributive <strong>dei</strong> siti euganei attivi <strong>nel</strong> Bronzo recente evoluto (a sinistra) e <strong>nel</strong> Bronzo finale<br />

iniziale (a destra)<br />

Fig. 1. Monte Orbieso: selezione di materiali (1:3 gr. nat.; disegni L. Sciola, lucidi S. Tinazzo)<br />

L’aspetto più interessante per l’areale euganeo è certamente la continuità di<br />

frequentazione dell’insediamento <strong>nel</strong>la fase di passaggio tra Bronzo recente<br />

evoluto e Bronzo finale iniziale, altrove documentata sui <strong>Colli</strong> - in base ai dati<br />

ricavati attraverso analisi seriate <strong>dei</strong> materiali - nei due siti d’altura di Monte<br />

Lozzo e Monte Rovalora (LEONARDI 1979).<br />

Nel quadro generale di un drastico riassetto territoriale <strong>nel</strong>le fasi iniziali del<br />

Bronzo finale, l’areale euganeo - in modo non dissimile dagli altri comparti collinari<br />

veneti - continua a manifestare una certa tenuta. Il parziale continuum insediativo<br />

è spiegabile con la possibilità di attuare un’economia integrata, che compendi<br />

lo sfruttamento agricolo delle pianure circostanti con la destinazione pastorale del<br />

settore interno, nonché con le potenzialità di incastellamento offerte dai rilievi. In<br />

questo contesto l’abitato di Monte Orbieso sorgeva probabilmente a diretto<br />

controllo del vasto pianoro calcareo compreso tra Arquà e Valle S. Giorgio, sfruttato<br />

per pratiche pastorali ed armentizie fino ad età contemporanea, in un punto<br />

strategico <strong>nel</strong> comparto collinare centro-meridionale.<br />

L’analisi tipocronologica <strong>dei</strong> materiali da Monte Orbieso ha inoltre attestato una<br />

riattivazione del sito durante l’età del ferro. Purtroppo, l’esiguità <strong>dei</strong> dati (Fig. 1,<br />

16-17) - per lo più frammenti di pareti non diagnostici - non permette a tutt’oggi di<br />

verificare il reale spessore cronologico della frequentazione, accertata per la sola<br />

piena età del ferro (VI-V sec. a.C.). Riprendendo BOARO 2001, i siti attivi in area<br />

euganea a partire <strong>dal</strong> VII sec. a.C. sarebbero la risultanza del “processo esplosivo di<br />

riappropriazione del <strong>territorio</strong>” attraverso la deduzione e non più la sola frequentazione<br />

sporadica, di piccoli nuclei insediativi a finalità produttiva, secondo il modello<br />

dell’impianto di siti-cerniera <strong>nel</strong>l’agro controllato <strong>dal</strong>le città (LEONARDI<br />

1992). Inoltre, il relativo isolamento, la discreta distanza <strong>dal</strong> centro urbano di riferimento<br />

(Este) e la prossimità del confine amministrativo fra Este e Padova, invitano<br />

ad interpretare il sito di Monte Orbieso come comunità di frontiera dedita al controllo<br />

dell’area confinaria <strong>nel</strong> settore S-E <strong>dei</strong> colli, in modo speculare, tra l’altro, al<br />

ruolo ricoperto <strong>nel</strong> comparto N-W da Monte Rovalora, posto lungo il percorso transcollinare<br />

che collegava le due città venetiche.<br />

Bibliografia<br />

1<br />

5<br />

3<br />

7<br />

15<br />

BAGOLAN M., LEONARDI G. 2000, Il Bronzo Finale <strong>nel</strong> Veneto, in HARARI M., PEARCE M. (a cura di), Il Protovillanoviano al di là<br />

e al qua dell’Appennino. Atti della giornata di studio. Como, pp. 13-44<br />

BOARO S. 2001, <strong>Dinamiche</strong> <strong>insediative</strong> e confini <strong>nel</strong> Veneto dell’età del ferro: Este, Padova e Vicenza, in Padusa, XXXVII, pp. 153-199<br />

LEONARDI G. 1979, Il Bronzo finale <strong>nel</strong>l’Italia nord orientale. Proposta per una suddivisione in fasi, in Atti XXI IIPP, 1977, Firenze<br />

LEONARDI G. 1992, Conclusioni, in LEONARDI G., ZAGHETTO L. (a cura di), Padova Nord-Ovest. Archeologia e <strong>territorio</strong>, Padova,<br />

pp. 182-196<br />

6<br />

8 9<br />

10<br />

11 12<br />

13 14<br />

0 3<br />

4<br />

16 17<br />

2


<strong>Dinamiche</strong> <strong>insediative</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>dei</strong> <strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong> <strong>dal</strong> <strong>Paleolitico</strong> al Medioevo<br />

Este - Monselice, 27 - 28 novembre 2009<br />

NUOVA “PINTADERA” NEOLITICA DA CASTELNUOVO DI TEOLO<br />

Luca Sciola - Corso di Laurea Magistrale in Scienze Archeologiche (Università degli Studi di Padova)<br />

0 1<br />

Fig. 1. Pintadera conica da Castelnuovo di Teolo (1:1 gr. nat.; dis. S. Tinazzo)<br />

Il reperto oggetto della presente nota (Fig. 1) venne recuperato <strong>dal</strong>lo scrivente<br />

<strong>nel</strong>l’area archeologica di Castelnuovo di Teolo, già sede dello scavo Rittatore, a<br />

seguito di uno scasso consistente di una canaletta di scolo scavata lungo il sentiero<br />

che taglia il versante collinare. Il deposito, in sospetta giacitura secondaria, è ubicato<br />

alle falde delle propagini sud-orientali della dorsale rocciosa di Rocca Pendice<br />

presso la strada provinciale che collega il centro di Teolo con il monte Venda e la<br />

zona termale (RITTATORE VONWILLER et ALII 1964).<br />

I criteri descrittivi e di rappresentazione grafica qui adottati per il nostro manufatto<br />

seguono le linee guida tracciate da T. Dzhanfezova <strong>nel</strong> suo contributo critico sulla<br />

problematica generale delle pintaderas (DZHANFEZOVA 2003):<br />

• morfologia e decorazione: il manufatto, frammentario, è costituito da un elemento<br />

da presa con profilo conico, interrotto da una distinzione irregolare in corrispondenza<br />

del punto di massima espansione, e da una base di forma circolare ornata da<br />

un motivo a cerchi concentrici decorati all’interno <strong>dei</strong> solchi da punti impressi a<br />

sezione circolare (c.d. tecnica a Furchenstich)<br />

• dati metrici: altezza cm 3,6; diametro della base max. cm 5 - min. cm 4,8<br />

• dati tecnologici: il corpo ceramico è composto da un impasto di colore grigio<br />

scuro, cotto in ambiente riducente, ricco di piccoli inclusi trachitici e micacei; la<br />

superficie del corpo, lisciata e lucidata, è di colore bruno chiaro con presenza di<br />

pochi inclusi micacei; le superfici dello stampo, invece, sono ruvide e caratterizzate<br />

da una maggiore emergenza di inclusi.<br />

Quella delle pintaderas risulta una classe di materiali <strong>dal</strong>le problematiche di<br />

difficile risoluzione: <strong>dal</strong> possibile ruolo di vettori di informazioni legate all’ambito<br />

ideologico-religioso alla funzione puramente decorativa, manca a tutt’oggi<br />

un’interpretazione condivisa sul loro plausibile uso. Un approccio concreto verso<br />

l’individuazione di criteri materiali per una loro corretta distinzione viene suggerito<br />

da O. Cornaggia Castiglioni e G. Calegari <strong>nel</strong> loro corpus tematico sulle pintaderas<br />

(CORNAGGIA CASTIGLIONI, CALEGARI 1978). Gli Autori infatti<br />

suggeriscono come requisiti stilistici e funzionali di questi oggetti la presenza di<br />

“solchi relativamente larghi e profondi” e il ragionevole “impiego di una sostanza<br />

grassa (in veste di adesivo) e di un colorante”. L’elemento che caratterizza il<br />

nostro manufatto sul piano stilistico è certamente la tecnica a Furchenstich (o<br />

Stichband), termine che indica “un tipo di decorazione” - d’influenza nor<strong>dal</strong>pina -<br />

“ottenuta incidendo e successivamente imprimendo la superficie con uno strumento<br />

appuntito (Furchenstich sottile) o piatto (Furchenstich largo)”. Come <strong>nel</strong> nostro<br />

caso, essa “permette di creare all’interno del solco una serie regolare di piccole<br />

tacche che dovrebbero consentire una maggiore adesione della pasta bianca alla<br />

superficie” (PEDROTTI 2001). Già attestata in altri contesti del Neolitico recente<br />

e tardo dell’Italia nord-orientale, questo ritrovamento documenta per la prima<br />

volta l’adozione della tecnica a Furchenstich <strong>nel</strong>l’areale euganeo. Infatti, appare di<br />

dubbia pertinenza un frammento di parete a decorazione orizzontale coprente,<br />

recuperato ne Le Basse di Valcalaona (PELLEGATTI, VISENTINI 1996), più<br />

probabilmente interpretabile come un frammento di ceramica “cordata” databile<br />

alla prima fase del Campaniforme (BOARO 1998/99).<br />

Gli apporti <strong>dal</strong>le sfere culturali transalpine <strong>nel</strong> locale tardo Neolitico hanno<br />

influenzato la genesi dell’ultimo momento dell’aspetto Vasi a Bocca Quadrata<br />

(VBQ III - “stile ad incisioni ed impressioni”), definito da B. Bagolini “una fase<br />

tardiva a carattere marcatamente provinciale della cultura” (BAGOLINI 1980).<br />

In questo momento la Cultura VBQ si contraddistingue per la forte contrazione<br />

del suo areale geografico, <strong>nel</strong>la sostanza compreso tra la Lombardia orientale e il<br />

Friuli occidentale, per l’interazione con l’aspetto occidentale Chassey-Lagozza e<br />

per l’intensificazione <strong>dei</strong> rapporti con le coeve facies nor<strong>dal</strong>pine (Fig. 2). Nello<br />

specifico, la penetrazione di tradizioni stilistiche dell’ultimo Neolitico d’oltralpe ha<br />

pesantemente permeato, assieme agli elementi lagozziani, gli aspetti tardi della<br />

Cultura VBQ, con il conseguente impoverimento del bagaglio decorativo che aveva<br />

caratterizzato i precedenti stili “meandro-spiralico” e “berico-euganeo”. Parimenti,<br />

in ambito transalpino alcuni siti attestano la presenza di elementi di importazione<br />

meridionale. In particolare, il complesso di Kanzianiberg (Carinzia) documenta<br />

“una componente culturale di matrice italica” (PEDROTTI 1990) che associa a tipologie<br />

locali elementi caratteristici <strong>dei</strong> coevi siti veneti, come Cornuda, Rivoli -<br />

Rocca e, appunto, Castelnuovo di Teolo. Inoltre, proprio <strong>dal</strong> sito carinziano provengono<br />

le uniche pintaderas - attestate in area alpina - decorate con l’uso della tecnica<br />

a Furchenstich. Per lo più di forma ellittica, le pintaderas di Kanzianiberg sono<br />

ornate sulla faccia operante da un motivo “a spina di pesce”, elemento caratteristico<br />

degli stilemi VBQ (BAGOLINI et ALII 1979); i solchi così ottenuti vengono a loro<br />

volta decorati da punti impressi a sezione circolare. Oltre ai consueti confronti con<br />

l’ambito balcanico, queste sintassi trovano riscontri soprattutto in Italia settentrionale<br />

nei coevi contesti della Cultura VBQ; per di più, <strong>nel</strong>le fasi recenziori del Neolitico<br />

su<strong>dal</strong>pino le pintaderas persistono esclusivamente - con qualche significativa<br />

eccezione - negli ambiti residuali di questa facies. A tal proposito, il confronto più<br />

stringente per la pintadera di Castelnuovo, rinvenuto “in un livello di occupazione<br />

da attribuire alla Cultura di Lagozza” (BARFIELD et ALII 2002), proviene <strong>dal</strong><br />

contesto tardoneolitico di Rocca di Manerba, dove la componente lagozziana è<br />

generalmente preponderante a discapito degli elementi di tradizione VBQ. A questa<br />

osservazione si possono inoltre aggiungere le annotazioni sopraccennate circa gli<br />

aspetti tecnologici: “i vasi lagozziani” - infatti - “sono fabbricati con un’argilla<br />

abbastanza depurata, sono ben cotti, spesso in atmosfera riducente e sono spesso<br />

lucidati” (CREPALDI 2002), tutti procedimenti di foggiatura che, in base<br />

all’osservazione macroscopica, risultano plausibili anche per il nostro manufatto.<br />

Comunque va da sé che, in assenza del contesto stratigrafico e/o di fase, ogni riflessione<br />

circa una più puntuale attribuzione all’una o all’altra facies tardoneolitica<br />

risulta problematica. Altri esemplari confrontabili provengono da Fimon - loc. Val<br />

de Marca, da Passo del Piccon <strong>nel</strong> Veronese, <strong>dal</strong> Pescale e, in Italia centrale, <strong>dal</strong> sito<br />

tardo VBQ di Neto - via Verga presso Sesto Fiorentino.<br />

Fig. 2. Schema cronologico delle Cultura <strong>dei</strong> Vasi a Bocca Quadrata e della Lagozza <strong>nel</strong> contesto<br />

delle culture europee (modificato da BAGOLINI et ALII 1979)<br />

Bibliografia<br />

BAGOLINI B. et ALII 1979, Le Basse di Valcalaona (<strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong>), Monografie di Natura Bresciana, n. 3<br />

BAGOLINI B. 1980, Introduzione al Neolitico dell’Italia Settentrionale, Pordenone<br />

BARFIELD et ALII 2002, Scavi preistorici sulla Rocca di Manerba, Brescia, in FERRARI, VISENTINI 2002, pp. 291-309<br />

BOARO S. 1998/99, Preistoria e protostoria <strong>dei</strong> <strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong>, Tesi di laurea inedita, Università di Padova<br />

CORNAGGIA CASTIGLIONI O., CALEGARI G. 1978, Corpus delle pintaderas preistoriche italiane. Problematiche,<br />

schede, iconografia. Mem. Soc. It. Sc. Nat. e Museo Civ. St. Nat. Milano, Vol. XXII, Fasc. 1<br />

CREPALDI F. 2002, Tecnologia e tipologia degli aspetti di tradizione chasseana in Italia setten-trionale,<br />

in FERRARI, VISENTINI 2002, pp. 157-166<br />

DZHANFEZOVA T. 2003, Pintadere: caratteristiche, problemi, modi di trattamento informatizzato delle informazioni.Proposta<br />

di un database, in Aquileia Nostra, LXXIV, pp. 14-31<br />

FERRARI A., VISENTINI P. 2002 (a cura di), Il declino del mondo neolitico. Ricerche in Italia centro-settentrionale fra<br />

aspetti peninsulari, occidentali e nord-alpini, Atti del Convegno, Pordenone, 5-7 aprile 2001, Pordenone<br />

PEDROTTI A. 1990, L’insediamento di Kanzianiberg: rapporti culturali fra Carinzia ed Italia settentrionale durante il Neolitico,<br />

in BIAGI P. 1990 (a cura di), The Neolitihisation of the Alpin Region, Monografie di Natura Bresciana, n. 13<br />

PEDROTTI A. 2001, Il Neolitico, in LANZINGER M., MARZATICO F., PEDROTTI A. (a cura di), Storia del Trentino.<br />

La preistoria e la storia, Vol. 1, pp. 119-181<br />

PELLEGATTI P., VISENTINI P. 1996, Recenti rinvenimenti preistorici <strong>nel</strong>l’area occidentale <strong>dei</strong> <strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong> (Padova), in Atti<br />

Soc. Preist. Protost. Friuli V. G., X, pp. 197-211<br />

RITTATORE WONVILLER F. et ALII 1964, Abitato con vasi a bocca quadrilobata a Castelnuovo di Teolo (<strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong>).<br />

in Atti VIII-IX IIPP, 1963-64, Firenze, pp. 165-185


IL SITO DELL’ULTIMO NEOLITICO DI MONSELICE VIA VALLI<br />

Fig.1: Distribuzione <strong>dei</strong> siti riferiti al Neolitico recente, in rosso i siti<br />

contemporanei a Monselice via Valli. 1. Johanneskofel (BZ), 2. Villandro/Plunacker<br />

(BZ), 3. Isera La Torretta e “Ai Corsi” (TN), 4. Bernardine di Coriano (VR), 5. Pila Culà di<br />

Isola della Scala (VR), 6. Gazzo Veronese-Scolo Gelmina e Ponte Nuovo (VR), 7. Brendola-<br />

Soastene (VI), 8. Fimon (VI), 9. Sovizzo (VI), 10. Villa del Ferro (VI), 11. Motton di<br />

Asigliano, Le Basse di Valcalaona e Castelnuovo di Teolo (PD), 12. Belforte di Gazzuolo<br />

(MN), 13. Casotte di Ostiano (CR), 14. Bannia-Palazzine di Sopra (PN), 15. Bondeno (FE),<br />

16. Vhò-Campo Donegallo (CR), 17. Rivarolo Mantovano (MN), 18. Parè, Ferrera (TV), 19.<br />

Meolo, Fossa Vecchia (VE), 20. Maserà (PD), 21. Grotta delle Mura e Bocca Lorenza (VI),<br />

22. Grotta della Lora (VI), 23. Poiana Maggiore, Ca’ Bissara (VI), 24. Quinzano Veronese e<br />

Ponte Crencano (VR), 25. Rocca di Rivoli (VR), 26. Colombare di Negrar (VR), 27.<br />

Domegliara, Fondo Del Ben (VR), 28. Casatico di Marcaria (MN), 29. Curtatone Montanara<br />

(MN), 30. Casalromano (MN), 31. Ca’ <strong>dei</strong> Grii (BS). Da Visentini 2006.<br />

Fig. 3: pianta delle USS -168, 180, 165 a-b<br />

Elodia Bianchin Citton*, Silvia Ferrari**<br />

Fig.2: Localizzazione del sito neolitico<br />

in Via Valli<br />

Fig. 4: sezione delle USS -168, 180, 165 a-b<br />

Fig.5: industria litica Fig.7: struttura dell’industria litica<br />

Fig.8: industria ceramica Fig.10: industria ceramica<br />

Fig.6: nucleo poligonale e nucleo a pochi stacchi<br />

Fig.11: frammento di vaso a bocca quadrata con decorazione meandro<br />

spiralica<br />

Fig.12: tabella con esito della misura radiometrica effettutata sul campione di carbone <strong>dal</strong> sito di<br />

Maserà<br />

*Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto<br />

**via F.Petrarca, 7 35042 Este PD<br />

Lavori di adeguamento della Strada Provinciale Baone-Monselice (Fig.2)<br />

portarono alla fine del 2005 all’individuazione di un sito ubicato ai piedi<br />

del versante meridionale del Monte Castello (<strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong>). Le indagini<br />

archeologiche documentarono che l’insediamento neolitico di via Valli si<br />

estendeva sulle contigue bassure formate dagli apporti sedimentari di<br />

origine alluvionale di un paleoalveo che in età olocenica scorreva a sud<br />

rispetto all’attuale canale scolmatore.<br />

Tra le evidenze del Neolitico recente si presentano i materiali ceramici e<br />

litici provenienti da una struttura a fossa (ES168) di m 3 di larghezza e<br />

profondità residua di circa 30 cm, orientata N/S, in quanto ritenuti i più<br />

significativi. La quantità, la natura e la disposizione <strong>dei</strong> reperti<br />

bioarcheologici rinvenuti all’interno <strong>dei</strong> depositi di riempimento (US 180,<br />

USS 165 a-b) consentono di propendere per una struttura ormai<br />

defunzionalizzata, assai prossima a una zona abitativa e per questo motivo<br />

progressivamente colmata da rifiuti domestici.<br />

L’industria litica (Figg.5-7)<br />

L’industria litica è costituita di 326 manufatti distinti in 44 nuclei, 47<br />

ritoccati e i rimanenti 235 tra schegge di messa in forma, gestione e<br />

produzione. La materia prima utilizzata è la selce locale (principalmente<br />

Scaglia Rossa) la cui provenienza è identificabile <strong>nel</strong>le vicinanze del sito, da<br />

affioramenti sulle pendici e sui pianori <strong>dei</strong> <strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong>. La selce doveva<br />

essere raccolta principalmente in placchette e in misura minore in liste e<br />

noduli; essa è tutta a tessitura fine ma caratterizzata da frequentissime<br />

fatturazioni interne. I nuclei, 44 esemplari, sono mediamente piccoli e<br />

molto piccoli sfruttati <strong>nel</strong>la produzione di schegge a partire da un piano di<br />

percussione mediante la mo<strong>dal</strong>ità unidirezionale oppure a partire da più<br />

piani di percussione alternati a formare nuclei poliedrici (Figg.7,8).<br />

L’estrazione di supporti laminari è testimoniato da un solo nucleo che<br />

presenta infine una riduzione a schegge.<br />

La struttura essenziale dell’insieme (Fig.7) mostra come il Substrato è la<br />

Famiglia che prevale, seguito <strong>dal</strong>la componente degli Erti Differenziati. A<br />

livello elementare il Substrato è costituito prevalentemente da raschiatoi<br />

corti e da denticolati e in misura minore da raschiatoi lunghi. Questo dato<br />

conferma che gli strumenti sono sostanzialmente su scheggia. L’unico<br />

esemplare a ritocco foliato è molto frammentario e sembra appartenere al<br />

gruppo <strong>dei</strong> raschiatoi (Fig.5).<br />

La produzione ceramica (Figg. 8,11)<br />

I materiali ceramici sono alquanto frammentari, ma presentano fratture<br />

scarsamente usurate.<br />

Tipi ceramici d’impasto semifine sono: vasi a bocca quadrata e beccucci<br />

con decorazione a zig-zag disposta in fasce orizzontali sotto l’orlo e talvolta<br />

anche sulla parte superiore dell’ansa; di particolare interesse è un<br />

frammento decorato da un motivo a spirale delimitato da un doppio ordine<br />

di piccole tacche triangolari.<br />

In ceramica fine sono i vari frammenti riferibili a vasi a fiasco con<br />

decorazione a punti o piccole tacche, nonché a sottili linee incise disposte<br />

in orizzontale oppure a formare <strong>dei</strong> triangoli.<br />

La ceramica d’impasto grossolano è rappresentata da una scodella<br />

troncoconica, da grandi vasi a profilo ovoide o troncoconico con<br />

decorazione a tacche sull’orlo e motivi plastici sul corpo.<br />

Aspetti cronologici e culturali (Fig.1)<br />

Il complesso litico e ceramico di Monselice-via Valli è riferibile a una fase<br />

iniziale dello “stile a incisioni e impressioni” della Cultura VBQ. L’elevato<br />

grado di affinità tipologica con i complessi ceramici e litici dell’area bericoeuganea<br />

(Le Basse di Valcalaona, Motton di Asigliano, Monselice-via Valli;<br />

Maserà-via Bolzani) e di quelli della stessa facies della pianura veronese<br />

(Gazzo Veronese-scolo Gelmina e Ponte Nuovo; Bernardine di Coriano)<br />

consentirebbe di ritenere trattarsi di siti della medesima facies culturale, in<br />

gran parte tra loro coevi.<br />

Le datazioni al 14 C disponibili da tempo per i siti de la Vela di Trento, della<br />

fase I di Isera-La Torretta, di Bannia-Palazzine di Sopra e di Maserà- via<br />

Bolzani hanno consentito di porre le prime manifestazioni di III stile VBQ<br />

in un arco cronologico compreso tra 4500 e 4300 cal. B.C. (Fig.12).<br />

Il frammento di vaso vbq con il motivo della spirale da Monselice-via Valli<br />

risulterebbe da un esame autoptico di fattura locale (Fig.11). Il motivo<br />

decorativo trova riscontro con le spirali a più avvolgimenti presenti su un<br />

frammento di vaso da Rivoli Rocca, su un bicchiere a bocca quadrata e<br />

beccucci da Fimon-Molino Casarotto e sulla faccia operativa di una<br />

pintadera con una generica provenienza <strong>dal</strong>le Valli di Fimon.<br />

Resta pertanto aperta la problematica relativa ai rapporti che intercorsero<br />

tra i gruppi umani dell’areale berico-euganeo portatori <strong>dei</strong> primi aspetti<br />

dello stile ad incisioni e impressioni della Cultura vbq con i coevi gruppi<br />

umani di stile meandro-spiralico del Veronese.<br />

Elodia Bianchin Citton ha curato lo studio del materiale ceramico, Silvia<br />

Ferrari quello dell’ industria litica; le osservazioni conclusive sono comuni<br />

alle due autrici.


Si presentano in questo contributo i risultati delle analisi condotte su due lotti faunistici recentemente raccolti <strong>nel</strong>l'ambito di stratificazioni del Neolitico recente III fase della cultura <strong>dei</strong> Vasi a Bocca Quadrata, a<br />

Monselice Via Valli e Maserà Via Bolzani (PD).<br />

I siti si trovano a sud di Padova, in un caso direttamente a ridosso <strong>dei</strong> <strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong> (Monselice) e in un caso in piena pianura, poco a oriente <strong>dei</strong> medesimi (Maserà).<br />

Tabella 1: Composizione della Fauna per NR (=Numero <strong>dei</strong> Resti), G (= peso) e NMI (= Numero Minimo di Individui)<br />

Umberto Tecchiati*<br />

I resti faunistici del Neolitico recente (III fase VBQ)<br />

di Maserà e Monselice (Padova).<br />

*Ufficio Beni archeologici Soprintendenza Provinciale ai Beni Culturali di Bolzano Alto Adige, Via A. Diaz, 8, 39100 BOLZANO<br />

e-mail: umberto.tecchiati@provincia.bz.it<br />

MaserààMonselice NR G NMI NR G NMI<br />

Bue 180 (44,2%) 2610,46 (77,8%) 3 (30%) 133 (57,6%) 3003,23 (84,5%) 4 (44%)<br />

Capra e pecora 103 (25,3%) 226,53 (6,8%) 4 (40%) 49 (21,2%) 152,7 (4,3%) 2 (22,2%)<br />

Capra 1 (0,2%) 2,03 (0,06%) - - - -<br />

Pecora 13 (3,2%) 280,76 (8,4%) - 2 (0,9%) 45,76 (1,3%) -<br />

Maiale 85 (20,9%) 348,09 (10,4%) 3 (30%) 44 (19,0%) 330,51 (9,3%) 3 (33%)<br />

Cervo* 8 (1,1%) 67,11 (2,0%) 1 2 (0.9%) 5,21 (0,1%) 1<br />

Cinghiale - - - 1 (0,4%) 16,73 (0,5%) 1<br />

Capriolo 7 (1,7%) 27,79 (0,8%) 2 - - -<br />

Castoro 1 (0,2%) 1,63 (0,05%) 1 - - -<br />

Lepre 1 (0,2%) 0,77 (0,02%) 1 - - -<br />

Uccelli 4 (0,1%) 1,64 (0,05%) 1 - - -<br />

Tartaruga 3 (0,7%) 6,82 (0,82%) 1 - - -<br />

Totale determinati 407 3347,93 17 231 3554,14 11<br />

ND 1347 (76,8%) 1477,26 (30,6%) - 230 496,27 -<br />

Totale generale 1754 4825,19 17 461 4050,41 11<br />

* comprensivo <strong>dei</strong> palchi, che sono 6 a Maserà e 1 Monselice.<br />

I reperti oggetto di questo contributo provengono, <strong>nel</strong> caso di Monselice, <strong>dal</strong> riempimento (US 180, US 165a, 165b) di una fossa di m 3 di larghezza e profondità residua di cm 30, ricca di resti<br />

ceramici e selci disposti di piatto. Nel caso di Maserà, invece, i resti faunistici erano contenuti nei riempimenti (US 111, 117, 119, 121, 123) di varie fosse di forma e dimensioni diverse, interpretate<br />

generalmente come strutture di scarico. Solo poco meno del 10% <strong>dei</strong> resti di Maserà proviene da uno strato antropico contenente carboni, ceramica, selce etc. (US 103).<br />

I resti faunistici si presentano mediamente molto frammentari (peso medio a Maserà: 2,7g; Monselice 8,8 g) e sono quindi per lo più non determinabili (ND di Maserà: 76,8%; Monselice 49,9%, ciò<br />

che prova anche l'accuratezza della raccolta).<br />

In entrambi i siti i reperti, che si presentano di colore bruno chiaro-giallastro, sono alquanto fragili e mostrano superfici polverulente, ma comunque in discreto stato di conservazione.<br />

Modificazioni da weathering non sono state osservate. Poco più dell'1% <strong>dei</strong> reperti di Maserà, e il 3,4% di quelli di Monselice, è combusto o calcinato. Tagli lasciati da strumenti per le operazioni di<br />

trattamento delle carcasse (macellazione, spellatura, disarticolazione etc.) sono raramente osservabili, ma comunque presenti.<br />

Un punteruolo tratto da una scheggia di palco di cervo da Monselice, e inoltre una massiccia punta su diafisi di ulna di bue (Fig. 2) e un punteruolo tratto da scheggia diafisaria non determinabile da<br />

Maserà<br />

compongono il quadro dell'industria su materia dura animale reperita durante lo studio in laboratorio <strong>dei</strong> resti faunistici.<br />

Merita osservare che i lotti faunistici analizzati sono, per quantità di resti determinati e per conservazione complessiva, ben lungi <strong>dal</strong> rispondere agli standards qualitativi richiesti alle faune<br />

archeologiche per osservazioni di dettaglio. Si può generalmente assumere che quantità di determinati inferiori alle mille unità siano insufficienti <strong>dal</strong> punto di vista statistico e che i dati ricavabili<br />

siano esposti al rischio della casualità e della aleatorietà. In particolare il conteggio del Numero Minimo di Individui (NMI) ha dovuto basarsi esclusivamente sul calcolo delle coppie di parti<br />

anatomiche omogenee, <strong>dal</strong> momento che in entrambi i siti denti sciolti e mandibole sono complessivamente poco rappresentati o inutilizzabili (es. i premolari negli erbivori) e sono pertanto<br />

inadeguati alla bisogna. Stesso discorso per la determinazione della c.d. age e sex ratio, condotta essenzialmente sui coxali e sui metapodi <strong>nel</strong> caso del bue, sui coxali <strong>nel</strong> caso <strong>dei</strong> caprini, e sui canini <strong>nel</strong><br />

caso del maiale.<br />

Come si evince <strong>dal</strong>la tabella 1, che riassume i dati sulla composizione <strong>dei</strong> due lotti faunistici, la struttura complessiva delle faune e quindi delle relative economie può dirsi sostanzialmente analoga.<br />

In entrambi i siti il bue è l'animale maggiormente documentato, con percentuali che oscillano tra il 44,2% (47,1% se calcolato sui soli animali domestici) e il 57,6%. A Monselice è possibile che<br />

l'esiguo numero di reperti determinati (231, solo la metà del campione totale), possa avere portato a una sovrarappresentazione casuale del bue; tuttavia è da notare che molte schegge di diafisi non<br />

determinate potrebbero indicativamente riferirsi appunto al bue, sicché la schiacciante prevalenza di questo animale deve probabilmente considerarsi, almeno a livello statistico, e con riferimento a<br />

un lotto estremamente esiguo, realistica. Si tratta di percentuali importanti, che possono riferirsi a comunità pienamente agricole e stanziali, almeno in senso relativo. A una presenza così massiccia<br />

del bue deve avere corrisposto così un paesaggio agrario ampiamente caratterizzato da campi coltivati e pascoli.<br />

Nel NMI il bue è proporzionalmente più importante a Monselice (44% <strong>dei</strong> domestici) che a Maserà (30%), mentre il peso rende ragione dell'importanza di questo ruminante sia a Monselice<br />

(84,05%) che a Maserà (77,8%). Ciò ne fa il più importante fornitore di carne e di forza lavoro <strong>dei</strong> siti studiati. Da tutti i punti di vista, quindi, le nostre faune sono ampiamente dominate <strong>dal</strong> bue.<br />

Per quanto riguarda il rapporto tra giovani e adulti a Monselice sembrano prevalenti gli adulti, mentre a Maserà la determinazione della age ratio, impossibile a partire dai denti, mostra, alla luce dello<br />

studio della fusione delle articolazioni, un tendenziale equilibrio tra animali adulti e animali giovani, con forse una quota leggermente maggiore di questi ultimi. Quanto alla sex ratio sono stati<br />

documentati due individui maschili e due femmine a Monselice, e due femmine a Maserà.<br />

La capra e la pecora sono presenti nei due siti con percentuali <strong>nel</strong> NR che oscillano tra 22 e 25%. La capra è presente con certezza solo a Maserà, ma non vi è motivo per non supporla presente<br />

anche a Monselice, benché non documentata tra i reperti adatti a una distinzione tra i generi Capra e Ovis.<br />

Nel NMI i caprini sembrano prevalere sul bue solo a Maserà (40%): a Monselice il rapporto tra bue e caprini è pari a 4:2. Ciò potrebbe presentare un certo interesse, perché il contesto ambientale<br />

sembrerebbe meglio adatto ai caprini a Monselice che non a Maserà, ma giova rammentare che disponiamo di quantità di reperti relativamente esigue, e pertanto esposte a distorsioni statistiche di<br />

un certo rilievo. Se disponessimo tuttavia di maggiori quantità di reperti, e il dato si confermasse, bisognerebbe pensare che alla base di composizioni come quella di Monselice stiano scelte di tipo<br />

culturale ovvero, più probabilmente, dettate <strong>dal</strong>la necessità di aprire nuovi spazi all'agricoltura. Un'agricoltura pioniera abbisogna in generale di un maggiore apporto di forza lavoro <strong>nel</strong><br />

dissodamento e quindi di animali da coinvolgere in ciò. Tra i caprini sembrano documentati a Monselice solo animali adulti, mentre a Maserà sono al contrario documentati prevalentemente animali<br />

giovani o addirittura perinatali: 4 calcanei su 6 sono molto giovani (almeno 2 perinatali); di tre coxali due hanno aspetto da giovane a molto giovane; su 7 femori, tre sono giovani (1 perinatale, una<br />

distale aperta, una prossimale aperta); 1 metacarpo distale non saldato, 1 metacarpo adulto (misurato); 1 radio molto giovane; 1 scapola giovane. Sulla sex ratio non è stato possibile raccogliere alcun<br />

dato.<br />

Non molto inferiore a quella <strong>dei</strong> caprini è infine la percentuale del maiale, che <strong>nel</strong> NR si attesta intorno al 20%. Nel NMI esso raggiunge il 30% sia a Monselice che a Maserà; stesso equilibrio<br />

intorno al 10% in entrambi i siti per quanto riguarda il peso. L'allevamento del maiale, e il posto che gli spetta in rapporto agli altri animali, sembra quindi abbastanza codificato a livello culturale,<br />

almeno in quest'area e in questo momento storico. La notevole presenza di questo animale, utile soltanto da morto, si spiega tra l'altro con ampie possibilità di pascolamento semibrado in un<br />

contesto ambientale in cui il bosco ceduo (querceto, faggeta) doveva rivestire un'importanza non secondaria. Tale mo<strong>dal</strong>ità di allevamento sarebbe forse indirettamente suggerita anche <strong>dal</strong>le<br />

notevoli dimensioni (v. infra) riscontrate in entrambi i siti, che lascerebbero a loro volta aperta l'eventualità di incroci non pianificati (?) con cinghiali della stessa area. La sex ratio mostra a Monselice<br />

due (forse 3) femmine e un maschio, a Maserà una femmina. Come è lecito attendersi quasi in ogni epoca e in ogni cultura, il maiale è rappresentato prevalentemente da animali giovani o subadulti.<br />

Così a Monselice disponiamo di 7 reperti riferibili a individui giovani, e 3 (4) ad adulti, mentre a Maserà <strong>dei</strong> 16 reperti che si prestavano a valutazioni sull'età, 12 erano da molto giovani a giovani.<br />

Il maggior numero di determinabili riscontrato a Maserà, rispetto a Monselice, ha consentito di documentare numerose altre specie che, se del tutto insignificanti sotto il profilo economico, si<br />

prestano tuttavia ad interessanti osservazioni di tipo ambientale. Il cervo è presente in entrambi i siti, e così probabilmente il cinghiale, anche se esso è relativamente più sicuro a Monselice. Presenti<br />

solo a Maserà sono il capriolo, il castoro, la lepre e almeno un anseriforme (cfr. Aythya sp., probabilmente la moretta aeurasiatica). Pochi frammenti di carapace attestano la presenza di Emys<br />

orbicularis, la tartaruga d'acqua dolce.<br />

A giudicare <strong>dal</strong>la varietà di specie di Maserà si deve supporre che i dintorni del sito fossero caratterizzati da habitat adatti alle specie che prediligono le coperture forestali anche cedue (cervo,<br />

capriolo, cinghiale, e certo anche il maiale). La presenza di ambienti umidi quali corsi d'acqua a bassa energia o stagni sembra indiziata da specie tipiche di questi ambienti come il castoro, la tartaruga<br />

d'acqua dolce e il citato anseriforme.<br />

Le misure, per qauanto non molto numerose consentono un primo apprezzamento delle dimensioni degli animali.<br />

Il bue di Monselice presenta astragali la cui lunghezza laterale (GLl) media (su 4 esemplari) di mm 67,5. È tuttavia da osservare che potevano esservi individui anche significativamente più grandi<br />

(mm. 71,7). La media di 67,5 corrisponde abbastanza bene alla media di Colombare di Negrar (VR) descritta da Riedel 1986, pari a 67,2. Medie più alte si avranno solo in età romana, ad Altino, con<br />

astragali che presentano lunghezze laterali pari a 71,5. A Colombare l'altezza al garrese <strong>dei</strong> buoi è stimata intorno a cm. 116. Si tratta quindi di buoi di dimensioni medio-grandi, che localmente non<br />

avranno alcun seguito <strong>nel</strong>le epoche successive e saranno sostituite da forme nettamente e progressivamente più piccole. A Maserà la larghezza di una tibia distale (Bd) misura 64,0, dove la media di<br />

Colombare è pari a 60,6. Si tratterebbe quindi di buoi potenzialmente simili o forse solo un po' più grandi di quelli di Colombare che rappresentano, allo stato attuale, i buoi più grandi <strong>nel</strong>la preistoria<br />

dell'Italia settentrionale.<br />

La lunghezza periferica della prima falange (GLpe) fornisce informazioni leggermente diverse: a Maserà la misura di due prime falangi anteriori è pari a 58,2 e rispettivamente 56,8: a Colombare la<br />

media è di 59,9. Due prime falangi posteriori di Monselice misurano invece 60,3 e 63,8: se si considera che le falangi posteriori sono in genere meno schiacciate e proprorzionalmente più lunghe<br />

delle anteriori, ne consegue una sostanziale identità di misure con quelle di Maserà.<br />

Per quanto riguarda la pecora, due astragali di Maserà permettono di calcolare l'altezza al garrese media che è pari a 613,5 (coefficiente di Teichert 1975). La pecora sarebbe quindi solo leggermente<br />

più grande, ma non in modo significativo, rispetto, ad es., alle pecore dell'età del Bronzo dell'area benacense (Barche di Solferino 587,2; Ledro 595,9, Isolone 570,4). Valori nettamente superiori ai 60<br />

cm si hanno solo <strong>nel</strong>l'età del Bronzo dell'Alto Adige (Sonnenburg 636,9; Appiano 654,4) e poi <strong>nel</strong>l'età del Ferro (Pozzuolo del Friuli: 676,9, Colognola 626,5; Spina 633,1).<br />

A Monselice il maiale era alto al garrese 850,2 (misura tratta da un astragalo, coefficiente di Teichert, 1969). A Maserà invece 814,4 (media tratta <strong>dal</strong>la GLl di due reperti). Si tratterebbe in tal caso di<br />

suini decisamente grandi, che si situano dimensionalmente alquanto a ridosso <strong>dei</strong> valori noti per il cinghiale <strong>nel</strong>l'età del Bronzo e del Ferro (Barche 928,1; Ledro 869,9; Spina 945,4). Le medie <strong>dei</strong><br />

suini domestici si situano infatti bene al di sotto nei medesimi siti (Barche 729,8; Ledro 691,5; Isolone 698,1; Pozzuolo 703,5; Colognola 701,2; Spina 690,7). Va detto che l'astragalo fornisce in<br />

genere altezze al garrese superiori rispetto ad altre parti anatomiche, e quindi in definitiva questi maiali/cinghiali potrebbero misurare meno di 80 cm al garrese. Bisogna ammettere comunque che,<br />

anche in questo caso, e in assenza di una colletta numerosa di reperti misurabili, il problema della distinzione tra (grandi) maiali e cinghiali (eventualmente abbastanza piccoli o medi) deve restare<br />

aperto.<br />

Fig 2. Fig 3. Fig 4.<br />

Maserà ,Via Bolzani<br />

MISURE<br />

BUE<br />

N.Inv. U. S. osso Misure<br />

421 123 M3sup giovane e non uscito L35,6;B20,2<br />

176 117 M3dx inf appena uscito (+) L40,3;B14,0<br />

474 111 Omero dx Bd80,0;BT73,4<br />

141 117 Radio dx prox. Bp84,5;BFp76,3;Tp36,6<br />

239 119 Tibia dx dist. Bd64,0;Td46,5<br />

192 117 Centroquartale sx GB49,5<br />

193 117 Metacarpo dist. Bd62,8<br />

182 117 Phal.1 ant. Glpe58,2;Bp27,5;Kd22,6;Bd25<br />

459 123 Phal.1 ant. Glpe56,8; Bp-;KD25,4;Bd27,5<br />

164 117 Phal.3 DLS60,8; Ld52,7<br />

CAPRA O PECORA<br />

N.Inv. U. S. osso Misure<br />

152 117 Metatarso sx Bp18,2<br />

453 123 Metacarpo Bd23,2*<br />

773 103 Centroquartale dx GB 20,8<br />

787 103 Phal.2 Bd 9,0<br />

PECORA<br />

N.Inv. U. S. osso Misure<br />

415 123 Astragalo dx GLl26,4;Tl14,7;GLm24,7;Tm14,2;Bd16,1<br />

495 111 Astragalo GLL27,7;GLM24,5;Bd17,6<br />

169 117 Metacarpo dx Bp19,2<br />

598 121 Metacarpo Bd22,5<br />

326 123 Phal.1 GLpe31,4;Bp10,3;KD8,6;Bd9,5<br />

523 121 Phal.1 GLpe35,1;Bp10,6;KD7,8;Bd8,9<br />

MAIALE/CINGHIALE<br />

N.Inv. U. S. osso Misure<br />

201 17+119 Scapola dx GLP40,1;BG25,1<br />

325 123 Astragalo dx GLl46,6;GLm42,6<br />

524 121 Astragalo sx GLl44,4;GLm41,4<br />

331 123 Metacarpo IV sx Bp18,3<br />

171 117 Metatarso sx Bd9,5<br />

594 121 Phal.1 GL38,3;Bp17,2;KD13,3;Bd15,3<br />

728 103 Phal.1 GL39,1; KD15,1; Bp17,8;Bd15,8<br />

LEPRE<br />

N.Inv. U. S. osso Misure<br />

669 121 Tibia sx calcinata Bd12,5<br />

CERVO<br />

N.Inv. U. S. osso Misure<br />

580 121 Astragalo dx GLl57,6;Tl31,8;GLm53,6;Tm29,4;Bd36,3<br />

CAPRIOLO<br />

N.Inv. U. S. osso Misure<br />

582 121 Metacarpo sx Bp21,0<br />

588 121 Metacarpo sx Bp20,6<br />

Monselice, Via Valli<br />

Fig 1.<br />

BUE<br />

N.Inv. U.S. osso Misure<br />

140 165B M3 sup. sx L30,1;B23,2<br />

19 165B Scapola dx LG60*;BG50*(semibruciata)<br />

169 180 Astragalo sx GLl71,7;Tl41,2;GLm65,8;Tm35,9;Bd45,8<br />

170 180 Astragalo sx GLl63,7;Tl36,2;GLm59,3;Tm32,7;Bd40,2<br />

171 180 Astragalo dx GLl66,3;Tl37,2;GLm61,3;Tm34,1;Bd42,1<br />

173 180 Astragalo sx GLl68,5;Tl39,2;GLm61,8;Tm35,4;Bd44,5<br />

182 180 Calcaneo sx GL128,4;GB45,0*<br />

235 180 Metacarpo dist. Bd48,5<br />

172 180 Metacarpo sx ? Bp59,2<br />

180 180 Phal.1 post. GLpe60,3;Bp29,6;KD26,2;Bd30,1<br />

154 180 Phal.1 post. GLpe63,8;Bp30,3;KD24,3;Bd27,0<br />

25 165B Phal.2 post. GL42,2;Bp29,9;KD24,9;Bd25,9<br />

177 180 Phal.2 post. GL43,4;Bp29,7;KD23,2;Bd25,6<br />

CAPRA O PECORA<br />

N.Inv. U.S. Settore osso Misure<br />

239 180 zona D Mandibola sx L M1-M3:47,6;L M3:<br />

382 165A zona D Phal. 2 Bp11,4<br />

PECORA<br />

N.Inv. U.S. Settore osso Misure<br />

234 180 zona D Metacarpo dx Bp 21,9<br />

MAIALE/CINGHIALE<br />

N.Inv. U.S. Settore osso Misure<br />

247 180 zona D M1-M3* sup. L M3: 36,9; B20,0<br />

432 165A zona D M3+(+) sup. sx L31,4;B18,2<br />

158 180 zona D Tibia dx Bd31,8;KD21,7<br />

323 165A zona D Astragalo dx GLl47,5<br />

130 165B zona D Metapodio Bd17,7<br />

276 165A zona D Phal.2 GL28,9;Bp11,5;KD8,5;Bd13,0<br />

41 165B zona D Phal.2 GL22,0;Bp16,8;KD11,7;Bd13,7<br />

42 165B zona D Phal.2 GL25,5;Bp15,9;KD14,1;Bd13,4<br />

* non ancora completamente erotto<br />

Didascalia alle foto :<br />

Fig. 1 : Maserà. Frammenti di carapace di tartaruga d’acqua dolce.<br />

Fig. 2 : Maserà. Punteruolo su diafisi di ulna di bue.<br />

Fig. 3 : Maserà. Astragali di bue.<br />

Fig. 4 : Maserà. Scapola di castoro.<br />

Foto : Gianni Santuari, Laboratorio di restauro dell’Uff. Beni archeologici di Bolzano - Grafica : Marco Zorzi, Società Ricerche Archeologiche di RIZZI G. & Co snc Bressanone


<strong>Dinamiche</strong> <strong>insediative</strong> <strong>nel</strong> <strong>territorio</strong> <strong>dei</strong> <strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong> <strong>dal</strong> <strong>Paleolitico</strong> al Medioevo<br />

Este-Monselice, 27-28 novembre 2009<br />

TRACCE DI FREQUENTAZIONE PROTOSTORICA A MONTEGROTTO - TERME NERONIANE<br />

Alessandro Facchin - Scuola di Dottorato in Studio e Conservazione <strong>dei</strong> Beni archeologici ed architettonici - Università degli Studi di Padova<br />

Fig. 1. Pianta generale dello scavo con l’indicazione <strong>dei</strong> due saggi indagati.<br />

Lo scavo delle evidenze protostoriche <strong>nel</strong> sito di Montegrotto Terme, presso<br />

l’Hotel Terme Neroniane, si è svolto <strong>nel</strong>la primavera del 2007, durante la settima<br />

campagna della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università di<br />

Padova. L’intervento è stato motivato <strong>dal</strong> rinvenimento di alcuni reperti fittili, ascrivibili<br />

al Bronzo medio-recente, avvenuto durante il periodo conclusivo della campagna<br />

di scavo 2006, <strong>nel</strong> settore G-H del saggio M. Inoltre, a seguito della pulitura<br />

dell'interfaccia tra uno strato di epoca romana e lo sterile erano state individuate nei<br />

settori F-G e G-H due buche contenenti blocchi di selce rossa e frammenti ceramici.<br />

La scoperta di evidenze simili, durante il proseguimento <strong>dei</strong> lavori <strong>nel</strong> saggio<br />

laterale W, all'inizio del 2007, ha portato ad uno sviluppo dell’indagine archeologica<br />

parallelamente in entrambe le aree (fig. 1), allo scopo di verificare l’entità<br />

nonché l’estensione del deposito protostorico.<br />

Lo scavo condotto <strong>nel</strong> saggio laterale W ha permesso l'individuazione di parte di<br />

una canaletta di epoca romana, il cui riempimento ha restituito anche un buon campione<br />

di ceramica vascolare (fig. 2), inquadrabile cronologicamente tra il Bronzo<br />

medio 3 (ca. metà del XV/seconda metà del XIV secolo a.C.) e il Bronzo recente<br />

(fine XIV- prima metà XII secolo a.C.), con un’attestazione preponderante ascrivibile<br />

all'età del Bronzo recente 1, ma con elementi sicuramente attribuibili anche al<br />

Bronzo recente 2. Il dato attesterebbe una frequentazione pre-romana dell'area piuttosto<br />

consistente, quasi sicuramente stanziale come sembra indicare la varietà tipologica<br />

della ceramica vascolare rinvenuta. Inoltre, un elemento di falcetto proveniente<br />

da questo settore, potrebbe suggerire uno sfruttamento agricolo dell’area già<br />

a partire <strong>dal</strong>la fine dell’età del Rame. E' verosimile che al Bronzo recente risalga<br />

l'ultima frequentazione pre-romana dell'area in quanto, allo stato attuale delle conoscenze,<br />

non sono noti frammenti ceramici dichiaratamente ascrivibili al Bronzo<br />

finale o all'età del Ferro. In epoca romana, l'area venne disboscata e questa zona<br />

sud-occidentale è stata messa a coltura, mentre più a nord si cominciava a costruire<br />

il primo impianto della villa. Accettando questo modello, si può interpretare la canaletta<br />

rinvenuta <strong>nel</strong> saggio laterale W come di tipo agrario, colmata con materiali del<br />

Bronzo recente. Successivamente, forse per esigenze dovute all'ampliamento del<br />

corpo della villa verso sud, venne praticata una troncatura areale, a cui è seguita la<br />

messa in piano di uno strato di riporto. Il taglio areale è inclinato in direzione nordsud;<br />

per questo motivo, quando intercetta la canaletta, ne asporta quasi totalmente la<br />

parte più meridionale visibile solo in traccia, conservando un deposito di potenza<br />

maggiore man mano che si procede verso nord.<br />

A differenza del saggio laterale W, l'indagine effettuata <strong>nel</strong> saggio M, organizzato<br />

nei settori F-G e G-H, ha mostrato una minore conservazione del deposito archeologico,<br />

forse a seguito di una troncatura areale operata anche in quest’area. Lo scavo<br />

ha riguardato le due buche già individuate <strong>nel</strong> 2006, tagliate <strong>nel</strong> piano individuato<br />

<strong>dal</strong>l'US 7002. La prima buca è situata <strong>nel</strong>la parte meridionale del settore F-G, in<br />

prossimità di una struttura di trachiti ed è caratterizzata da una “zeppatura” di tre<br />

blocchi di selce rossa, di forma trapezoi<strong>dal</strong>e, con evidenti tracce di cortice. La<br />

seconda buca, invece, è situata <strong>nel</strong> settore G-H, a sud-est della struttura di trachiti, a<br />

ridosso del limite est del saggio M. Per questo motivo è stato possibile scavarne<br />

soltanto la metà occidentale.<br />

Il riempimento di entrambe le strutture è composto unicamente da frammenti di<br />

ceramica vascolare ascrivibili al Bronzo recente. Da un punto di vista generale, alla<br />

luce <strong>dei</strong> dati ricavati <strong>dal</strong>l'indagine archeologica in piano e in sezione, si è concluso<br />

che l'US 7002 può essere interpretata come la parte residuale del piano di calpestio<br />

dell'età del Bronzo. In base a questo modello, i manufatti ceramici qui rinvenuti,<br />

costituirebbero le uniche evidenze del Bronzo recente in posto in tutta l'area.<br />

Per quanto riguarda <strong>nel</strong>lo specifico i manufatti ceramici di questo saggio, meritano<br />

particolare attenzione due apofisi di ansa, provenienti <strong>dal</strong>l’US 7002. Si tratta di<br />

materiali a livello tipologico pertinenti alla facies locale berico-euganea (cfr. ad<br />

esempio Marendole), che non trovano confronti con il coevo ambito terramaricolo.<br />

Pur essendo possibile un confronto a livello generale con le anse rostrate, categoria<br />

quest’ultima cronologicamente inquadrabile <strong>nel</strong> Bronzo recente, i due manufatti<br />

mostrano delle caratteristiche morfologiche peculiari, che permettono allo stato<br />

attuale delle ricerche di considerarli degli unica. La prima ansa (fig. 3A), infatti, a<br />

differenza <strong>dei</strong> tipi noti in letteratura, ha il profilo del rostro che tende a rastremarsi<br />

in sezione culminando con un accenno di terminazione che si espande a flabello. Per<br />

quanto riguarda invece il secondo pezzo (fig. 3B), non è possibile formulare<br />

un’ipotesi univoca circa lo sviluppo superiore del rostro, <strong>dal</strong> momento che questa<br />

parte non si è conservata, anche se in base alla visione frontale sembra verosimile<br />

che l’apofisi tendesse ad allargarsi leggermente. Del tutto peculiare risulta la morfologia<br />

della base del rostro, che in sezione appare di forma squadrata.<br />

Bibliografia essenziale:<br />

FACCHIN A. 2008, Ritrovamenti dell’età del Bronzo, in ZANOVELLO P., BASSO P. (a cura di)<br />

“Montegrotto Terme - via Neroniana. Indagine archeologica 2007”, Quaderni di Archeologia del<br />

Veneto, XXIV, p. 20.<br />

7<br />

Fig. 2. Saggio laterale W: selezione di materiali ceramici e litici (Disegno: S. Tinazzo e M.A. Beck De Lotto).<br />

A<br />

3<br />

5<br />

1<br />

0 2<br />

8<br />

Fig. 3. Saggio M: A e B (US 7002). (Disegno: G. Pe<strong>nel</strong>lo e G. Tasca. Gr. nat.).<br />

B<br />

4<br />

0 1<br />

6<br />

2<br />

9<br />

0 3


Maserà (Pd), via Bolzani<br />

1. Monselice-via Valli<br />

2. Maserà-via Bolzani<br />

3. Este-loc. Meggiaro<br />

pruno vite<br />

nocciolo<br />

acero<br />

pomoidea<br />

Ricerche archeobotaniche <strong>nel</strong>l’area <strong>dei</strong> <strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong><br />

L’abitato di Maserà-via Bolzani è stato individuato <strong>nel</strong> 1997 in prossimità del limite meridionale<br />

dell’alta Pianura padovana, durante gli scavi per la messa in opera di un metanodotto SNAM<br />

(scavi SAP, responsabile Dr.ssa Elodia Bianchin Citton). Il sito, coperto da sabbie alluvionali del<br />

fiume Bacchiglione, è ascrivibile ad un aspetto arcaico dello stile a “incisioni e impressioni di tipo<br />

berico-euganeo” (VBQ III) ed è stato datato all’intervallo 4500-4370 a.C. cal 1 σ. I materiali per<br />

le analisi archeobotaniche derivano dai riempimenti di alcune strutture negative (pozzetti,<br />

avvallamenti e buche di palo).<br />

Sono stati trattati oltre 25 kg di sedimenti costituenti il riempimento <strong>dei</strong> pozzetti 112, 122 e 124<br />

(rispettivamente US 117, US 121 e US 123). La vagliatura ha portato al recupero di un discreto<br />

numero di carboni di legna e di resti carpologici combusti.<br />

Il dato antracologico (96 carboni determinati) ha rilevato la presenza, attorno all’insediamento, di<br />

una foresta - un tempo molto diffusa sui suoli alluvionali di tutta la Pianura Padana e delle vallate<br />

alpine - composta prevalentemente da frassini (Fraxinus cfr. excelsior, 59%), querce<br />

caducifoglie (Quercus sezione ROBUR, 20%) e aceri (Acer sp., 3%); boschi di questo tipo<br />

consentivano anche un’ampia diffusione di piante lianose, come la vite selvatica (Vitis vinifera<br />

subsp. sylvestris, 1%).<br />

L’elevata percentuale di piante tipiche <strong>dei</strong> margini boschivi e delle radure (Pomoideae, 14%;<br />

noccioli, Corylus avellana, 2%; pruni, Prunus sp., 1%) è espressione di una frantumazione delle<br />

compagini forestali e fa ipotizzare l’esistenza di siepi vive intorno ai campi per evitare l’ingresso<br />

degli animali. Si tratta di specie che forniscono anche altri prodotti: frutti eduli e legna per diversi<br />

usi (fabbricazione di oggetti, lavori d’intreccio e combustibile di ottima qualità).<br />

Este (Pd), località Meggiaro<br />

quercia<br />

caducifoglie<br />

frassino<br />

Saggi di scavo condotti <strong>nel</strong> 1999 in località Meggiaro a Este, alla periferia nordorientale<br />

dell’attuale centro abitato, hanno portato alla luce, sotto strati dell’età<br />

del Ferro e di epoca romana, 4 strutture a pozzetto riferibili all’età del Rame.<br />

Le analisi archeobotaniche sono state effettuate sui sedimenti prelevati da un<br />

“pozzetto a fossa” (struttura 3) di dimensioni considerevoli e da un “pozzettosilos”<br />

(struttura 4) di dimensioni più ridotte.<br />

Il campione <strong>dal</strong>la struttura 3 (g 250) ha restituito solo due resti carpologici non<br />

determinabili e alcuni carboni molto piccoli. Altrettanto povero è il campione<br />

della struttura 4 (g 2500), dove sono presenti pochi carboni e pochi resti<br />

carpologici.<br />

L’analisi di 25 carboni, gli unici determinabili per dimensioni e conservazione,<br />

ha permesso di riconoscere tre taxa: la quercia caducifoglie (Quercus sezione<br />

ROBUR, 22 frammenti <strong>dei</strong> quali 4 incerti), piante appartenenti al gruppo delle<br />

Pomoideae (2 frammenti) e il frassino (Fraxinus cfr. excelsior, 1 frammento).<br />

Tenendo conto della limitatezza del dato, la composizione della foresta non<br />

sembra essersi modificata rispetto al Neolitico.<br />

alberi di biancospino<br />

in fiore in una radura<br />

2<br />

<strong>Dinamiche</strong> <strong>insediative</strong> <strong>nel</strong><br />

<strong>territorio</strong> <strong>dei</strong> <strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong><br />

<strong>dal</strong> <strong>Paleolitico</strong> al Medioevo<br />

27-28 novembre 2009<br />

1<br />

3<br />

Maserà<br />

Querce e frassini caratterizzano il<br />

querceto misto planiziale, <strong>nel</strong>la fase<br />

che precede lo sviluppo, favorito<br />

<strong>dal</strong>l’attività dell’uomo, del Querco-<br />

Carpineto, mentre le Pomoidee<br />

indicano la frantumazione della<br />

foresta, con l’apertura, al loro interno,<br />

di spazi aperti destinati alle coltivazioni<br />

e agli insediamenti.<br />

La struttura 4 ha restituito una<br />

cariosside molto frammentaria d’orzo<br />

(Hordeum sp.) e tre frammenti di<br />

cariossidi di un frumento non meglio<br />

determinabile (Triticum sp.). Altri<br />

frammenti <strong>dal</strong>la stessa struttura e i<br />

pochi resti carpologici <strong>dal</strong>la struttura 3<br />

sono ascrivibili a cariossidi di cereali<br />

(Cerealia), particolarmente deformate<br />

<strong>dal</strong>la combustione.<br />

Monselice (Pd), via Valli<br />

Dal sito di Monselice -via Valli, della terza fase VBQ, sono stati prelevati circa 5 Kg di terreno da 3 unità<br />

stratigrafiche (US 324, US 325 e US 326). Solo le unità 325 e 326 contengono una concentrazione elevata<br />

di carboni di legna e semi. Oltre ai resti botanici si è osservata nei campioni la presenza di scaglie di<br />

pesce.<br />

Le analisi preliminari sui resti carpologici hanno consentito di appurare la presenza di alcune specie<br />

coltivate e spontanee. Tra i cereali sono documentati l’orzo (Hordeum vulgare/distichum), il farro (Triticum<br />

dicoccum) e lo spelta (Triticum spelta), mentre dubbia è la presenza del farricello (cfr. Triticum<br />

monococcum) e del cosiddetto “nuovo frumento vestito”. Quest’ultimo è un cereale, simile al farro, oggi<br />

coltivato solo in Georgia (Triticum cfr. timopheevi), un tempo più diffuso in Europa.<br />

a) base di spighetta di farricello (Triticum monococcum); b) cariosside di<br />

frumento volgare/duro (Triticum aestivum/durum) in visione dorsale, ventrale<br />

e laterale; c) seme di lenticchia (Lens culinaris); d) seme di lino coltivato<br />

(Linum usitatissimum); e) vinacciolo (Vitis vinifera).<br />

frumento nd<br />

frumento nudo<br />

farricello/farro<br />

farro?<br />

cereale<br />

CARIOSSIDI<br />

farricello<br />

Elisabetta Castiglioni : castiglioni.eli@alice.it - Mauro Rottoli : archeobotanica@alice.it<br />

Laboratorio di Archeobiologia <strong>dei</strong> Musei Civici di Como<br />

a<br />

1 mm<br />

c d e<br />

b<br />

1 mm<br />

1 mm<br />

cereale/poacea<br />

La documentazione carpologica, per il Neolitico medio e recente dell’Italia settentrionale, è<br />

costituita prevalentemente dai cereali.<br />

L’orzo è in genere scarsamente documentato, probabilmente per problemi di conservazione<br />

che favoriscono invece i frumenti.<br />

I frumenti vestiti (farro e farricello) sono predominanti sui frumenti nudi (grano tenero e<br />

grano duro). In qualche sito compare il cosiddetto “nuovo frumento vestito”; la sua<br />

coltivazione, già documentata in area friulana <strong>nel</strong> Neolitico antico, sembra poi estendersi in<br />

Lombardia, Trentino ed Emilia. Rimane per il momento incerta la sua presenza a Monselice.<br />

Particolarmente importante è la documentazione dello spelta a Monselice, effettuata su<br />

alcune basi delle glume, i soli elementi che consentono una diagnosi sicura della specie. Si<br />

tratta di uno <strong>dei</strong> più antichi ritrovamenti di questa specie la cui origine non è chiarita:<br />

trattandosi del prodotto di un incrocio tra cereali già coltivati potrebbe essere comparso più<br />

volte, in tempi e luoghi diversi. Fino ad ora i ritrovamenti in Italia della stessa epoca erano<br />

incerti.<br />

basi di spighetta di “nuovo frumento vestiti”<br />

I resti carpologici di Maserà-via Bolzani, Monselice-via Valli e Este-Meggiaro<br />

<strong>nel</strong> quadro del Neolitico medio-recente e dell’Eneolitico in Italia settentrionale<br />

spighe di spelta<br />

orzo<br />

farro<br />

ELEMENTI SPIGHE<br />

farricello/farro<br />

farricello<br />

La documentazione relativa alle leguminose è decisamente incompleta, pur essendo indubbio un loro<br />

abbondante consumo; anche a Monselice e a Maserà compaiono pochi semi determinabili: la lenticchia e<br />

forse il pisello.<br />

Sono stati analizzati 890 resti carpologici combusti, di cui solo 441<br />

determinabili.<br />

I resti di cereali costituiscono il 72%; dominano nettamente i frumenti vestiti: il<br />

farricello (Triticum monococcum), prevalente, e il farro (Triticum dicoccum);<br />

attestati da poche cariossidi sono l’orzo (Hordeum vulgare) e i frumenti nudi<br />

(frumento tenero o duro, Triticum aestivum/durum).<br />

La documentazione delle leguminose (5%) si limita ad un seme di lenticchia<br />

(Lens culinaris) e ad alcuni semi di veccia o cicerchia (Vicia/Lathyrus),<br />

probabilmente provenienti da piante infestanti.<br />

Anche se limitato a pochi resti (1%), è importante il ritrovamento a Maserà di<br />

semi di lino coltivato (Linum usitatissimum), specie raramente documentata nei<br />

siti neolitici.<br />

I frutti (il 21% <strong>dei</strong> resti) sono rappresentati principalmente da gusci di nocciole<br />

(Corylus avellana), vinaccioli di vite selvatica (Vitis vinifera subsp. sylvestris) e<br />

resti di ghiande (Quercus sp.). Pochi i resti di pera o mela (Pyrus/Malus),<br />

bacche di biancospino (Crataegus oxyacantha) e di sangui<strong>nel</strong>lo (la<br />

determinazione è incerta, cfr. Cornus sanguinea). Si tratta di specie eduli,<br />

utilizzate per l’alimentazione di uomini ed animali, ad eccezione del<br />

sangui<strong>nel</strong>lo, impiegato come colorante o per l’estrazione di un olio<br />

combustibile.<br />

Eccezionale è la documentazione del lino a Maserà e Monselice, perché i semi sono conservati in<br />

pochissimi siti neolitici dell’Italia settentrionale. La scarna documentazione è limitata ai siti dell’Italia nord-<br />

orientale, ma non è per il momento possibile motivare questa localizzazione così circoscritta. La pianta in<br />

questo periodo è sicuramente coltivata per la produzione della fibra oltre che <strong>dei</strong> semi.<br />

La raccolta di frutti spontanei è variegata per tutto il Neolitico. Sono particolarmente abbondanti i resti di<br />

nocciole e uva selvatica; nei siti <strong>dei</strong> <strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong> compaiono anche corniole, ghiande, bacche di<br />

biancospino e di ebbio. L’uso di queste ultime due specie non è chiaro, più che per l’alimentazione è<br />

possibile che fossero impiegate per la tintura o per scopi medicinali.<br />

fiore di lino<br />

Incerta è l’identificazione delle leguminose, i pochi<br />

frammenti osservati sembrano ricondurre alla<br />

lenticchia e al pisello (cfr. Lens culinaris, cfr. Pisum<br />

sativum). E’ presente almeno un seme di lino<br />

(Linum usitatissimum). I frutti documentati sono<br />

nocciole (Corylus avellana), uva (Vitis vinifera) e<br />

ghiande (Quercus sp.). E’ infine presente qualche<br />

nocciolo di ebbio (Sambucus ebulus).<br />

fiore di lino<br />

Nell’Eneolitico prosegue la coltivazione degli stessi cereali e delle leguminose, a cui sembrano aggiungersi<br />

il miglio e panìco. La documentazione delle colture è però decisamente incompleta a Este-Meggiaro.<br />

Elodia Bianchin Citton : soprintendenza.pd@libero.it<br />

Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto


Fig. 1- Il <strong>territorio</strong> di Rovigo, con indicazione della località San Cassiano.<br />

Fig. 2 - Planimetria del sito di San Cassiano.<br />

Fig. 3 - Le fondazioni in trachite euganea dell’oikos rettangolare.<br />

La struttura è tipologicamente affine a un altare, ma in relazione a essa non<br />

sono state trovate tracce di azioni sacrificali; trova confronti in Etruria propria<br />

(ad esempio <strong>nel</strong> santuario di Pyrgi e alla Cannicella a Orvieto). Viene posata<br />

<strong>nel</strong>la prima fase di utilizzo dello spazio, viene riparata in seguito a un<br />

danneggiamento, <strong>nel</strong>l’ultima fase di vita del sito è ancora in vista e fa sistema<br />

con l’orientamento del poderoso muro del grande edificio con vestiboli.<br />

La nascita del nostro complesso edilizio è da porre in relazione ad Adria,<br />

strutturata come città, porto e chora: all’interno di quest’ultima inseriamo le<br />

strutture di San Cassiano di Crespino, che appaiono – pur <strong>nel</strong>la limitatezza<br />

dell’area indagata - caratterizzate da un certo grado di complessità tipologica e<br />

che sono da ricondurre a un’unità residenziale, di cui purtroppo sfugge la<br />

configurazione sul piano sociale e giuridico-istituzionale.<br />

L’etruscità del popolamento, a San Cassiano come del resto lungo la sponda<br />

destra del Po di Adria, è assicurata, oltre che <strong>dal</strong>la ceramica etrusco-padana, da<br />

qualche attestazione epigrafica, nonché <strong>dal</strong>la cospicua serie di bronzetti di stile<br />

tardoarcaico provenienti <strong>dal</strong> <strong>territorio</strong>. All’interno del sito si segnalano in<br />

particolare un’iscrizione frammentaria […]tara (con grafia settentrionale e<br />

riscontro <strong>nel</strong> gentilizio veiente Patara) e una cortina fittile di gronda (fig. 6)<br />

con confronti orvietani, che concorrono altresì a ipotizzare la provenienza <strong>dei</strong><br />

coloni <strong>dal</strong>l’Etruria meridionale interna.<br />

La prevalenza della componente etrusca, accertata <strong>nel</strong> V sec. a.C. ad Adria e<br />

<strong>nel</strong>la sua chora, non pregiudica relazioni col vicino ambito veneto, attraverso<br />

percorsi terrestri e fluviali (in primis la via dell’Adige). Nel sito di San<br />

Cassiano lo confermano i frammenti di dolio con cordonature e ingobbio<br />

rosso, d’ispirazione veneta (fig. 7), ma soprattutto l’impiego della trachite, la<br />

cui provenienza dai <strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong> (M. Cimisella e M. delle Valli) è stata<br />

accertata <strong>dal</strong>le analisi petrografiche del Dipartimento di Mineralogia e<br />

Petrografia dell’Università di Padova (fig. 8).<br />

Il sito etrusco-padano di San Cassiano (fig. 1), pertinente all’entroterra di Adria, è stato esplorato <strong>nel</strong> corso di<br />

dieci campagne di scavo (<strong>dal</strong>l’estate del 1994 a quella del 2004) <strong>dal</strong>l’Università di Pavia, in collaborazione con<br />

quella di Ferrara, con il Museo <strong>dei</strong> Grandi Fiumi di Rovigo e d’intesa con la Soprintendenza Archeologica del<br />

Veneto, sotto la direzione scientifica di Maurizio Harari.<br />

È localizzato lungo un paleoalveo riconosciuto quale affluente o ramo secondario del Tartaro (oggi canalizzato<br />

come Canalbianco), che in antico confluiva <strong>nel</strong> potamòs Adrias, il Po di Adria secondo le fonti letterarie.<br />

Questo paleoalveo, già attivo <strong>nel</strong>l’età del Bronzo, era ormai senescente <strong>nel</strong>l’età del Ferro, quando il dosso<br />

fluviale, emergente in un contesto di terre basse e facili all’impaludamento, doveva apparire adatto per un<br />

insediamento.<br />

L’insediamento rurale di San Cassiano è databile, sulla base della ceramica attica rinvenuta, fra la fine del VI e<br />

lo scorcio del IV sec. a.C. La planimetria del complesso è abbastanza articolata: sono presenti quattro distinti<br />

edifici, tre con zoccoli di fondazione in trachite (un oikos rettangolare - fig. 2, n. 1; fig. 3 -, un piccolo edificio<br />

a vano unico - fig. 2, n. 4 - e un edificio rettangolare più ampio - fig. 2, n. 5; fig. 4) e una capanna (fig. 2, n. 2),<br />

inseriti in uno spazio accuratamente pianificato e oggetto di un’azione di bonifica. A questi si aggiunge una<br />

costruzione cilindrica tipologicamente affine a un altare (fig. 2, n. 6; fig. 5). Le strutture erano separate fra loro<br />

da quattro canali di drenaggio paralleli ed orientati quasi perfettamente secondo i punti cardinali nord-sud,<br />

distanti fra loro ca. 10 metri. Dal punto di vista planimetrico, va sottolineato che l'orientamento astronomico<br />

del complesso (edifici e fossati) fa ipotizzare un progetto unitario; in quest’ottica di pianificazione va vista la<br />

ricorrenza di un modulo lineare intorno ai cinque metri, che presupporrebbe, come unità di misura, un cubito di<br />

circa cinquanta centimetri.<br />

Fig. 4 – Uno <strong>dei</strong> muri dell’edificio n. 5. Fig. 5 – La struttura cilindrica.<br />

L’oikos rettangolare (fig. 3) è lungo ca. 13 metri in direzione nord-sud e largo ca. 5 in direzione est-ovest, con<br />

le pareti costituite da un’armatura lignea rivestita d’argilla cruda poggiata su zoccoli in pietra (conci di<br />

trachite), e con una copertura laterizia di tegole quadrangolari. È una tecnica ben documentata <strong>nel</strong>l’Etruria<br />

propria, ma piuttosto rara <strong>nel</strong>la bassa pianura padana. L’edificio appariva danneggiato da un incendio e<br />

largamente spogliato già in antico per il recupero del materiale riutilizzabile (trachite e tegole).<br />

Poco a nord-est dell’oikos sono stati individuati resti delle fondazioni litiche del piccolo edificio a vano unico,<br />

quasi quadrato, con lato di circa 5 metri, perfettamente isoorientato rispetto all’oikos.<br />

A est del monovano è stato indagato il vasto edificio, con il tetto e i muri quasi del tutto spogliati, ad eccezione<br />

di alcuni monconi degli zoccoli di trachite (fig. 4) . Questi e i tagli di asportazione permettono di ricostruire un<br />

complesso esteso per una decina di metri in senso est-ovest e probabilmente una quindicina in senso nord-sud.<br />

La tecnica edilizia è la stessa dell’oikos. Il complesso era articolato in un vano unico rettangolare, che poteva<br />

misurare circa 8 metri per 5, probabilmente fiancheggiato da una corte quasi quadrata, estesa verso sud per altri<br />

7 metri circa; sul lato ovest, sia il vano sia la supposta corte erano introdotti da specie di vestiboli in antis; sul<br />

lato orientale non è più leggibile alcun resto di recinzione. La presenza <strong>dei</strong> due ‘vestiboli’ lungo la sponda di un<br />

fosso interrato trova confronto <strong>nel</strong>la planimetria delle case arcaiche del Forcello di Bagnolo San Vito.<br />

A ovest di tale complesso è stata individuata la struttura cilindrica (fig. 5), costituita da conci di trachite<br />

disposti in sette filari sovrapposti e tenuti insieme da legante; i conci hanno in genere forma quadrangolare o di<br />

parallelepipedo e dimensioni variabili tra i 15 e i 20 centimetri per lato; le dimensioni complessive della<br />

struttura sono ca. 1,30 metri di diametro per 54 centimetri di altezza.<br />

Fig. 8 – Settore nord-orientale <strong>dei</strong> <strong>Colli</strong> <strong>Euganei</strong>.<br />

Fig. 6 – La cortina di gronda con<br />

decorazione a semipalmette.<br />

Fig. 7 – Dolio cordonato con ingobbio rosso.<br />

Silvia Paltineri - Università di Padova - silvia.paltineri<br />

silvia. paltineri@yahoo yahoo.it it<br />

Mirella T.A. Robino - Università di Pavia - mirella.robino<br />

mirella robino@gmail gmail.com com

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