Il palazzo è un simbolo - Liceo Scientifico Antonelli
Il palazzo è un simbolo - Liceo Scientifico Antonelli
Il palazzo è un simbolo - Liceo Scientifico Antonelli
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
<strong>Il</strong> <strong>palazzo</strong> <strong>è</strong> <strong>un</strong> <strong>simbolo</strong><br />
Airoldi Alberto<br />
Classe 5E<br />
<strong>Il</strong> <strong>palazzo</strong> <strong>è</strong> <strong>un</strong> <strong>simbolo</strong>, come lo <strong>è</strong> l'atto di distruggerlo. Sono gli uomini che<br />
conferiscono potere ai simboli. Da solo <strong>un</strong> <strong>simbolo</strong> <strong>è</strong> privo di significato, ma con <strong>un</strong> bel<br />
numero di persone alle spalle fare saltare <strong>un</strong> <strong>palazzo</strong> può cambiare il mondo.<br />
V per Vendetta
PREMESSA<br />
In questa tesina ho deciso di affrontare <strong>un</strong> argomento che mi ha da sempre<br />
appassionato: il simbolismo. In particolare mi occuperò dell’analisi filosofica di<br />
simboli e segni, di quale messaggio alc<strong>un</strong>i di essi com<strong>un</strong>ichino, di come lo facciano<br />
e soprattutto analizzerò la f<strong>un</strong>zione nella storia, nell’arte e nella filosofia di alc<strong>un</strong>i<br />
fra i simboli più celebri e conosciuti. In particolare tratterò di Agostino da Ippona,<br />
primo filosofo ad aver dato <strong>un</strong>’interpretazione simbolica della Bibbia, del linguaggio<br />
simbolico più oscuro della filosofia, quello di Friedrich Nietzsche e ancora dell’uso<br />
del <strong>simbolo</strong> sfruttato dal regime fascista e nazista nelle parate militari, nelle<br />
ad<strong>un</strong>ate di massa e al fine della creazione del consenso.<br />
INDICE<br />
• Breve introduzione alla semiotica<br />
• <strong>Il</strong> segno e il <strong>simbolo</strong><br />
• L’<strong>un</strong>icorno,l’ornitorinco e l’Arcangelo Gabriele<br />
• <strong>Il</strong> gro<strong>un</strong>d di Pierce e il Re Leone<br />
• Agostino e l’interpretazione simbolica della Bibbia<br />
• <strong>Il</strong> simbolismo in pittura<br />
• Cosi parlò Zarathustra: il linguaggio simbolico di<br />
Frederich Nietzsche<br />
• Fascismo e Nazismo: creazione del consenso attraverso<br />
il <strong>simbolo</strong>
UNA BREVE INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA<br />
La semiotica o semiologia (dal termine greco σηµεῖον semeion, che significa<br />
"segno") <strong>è</strong> la disciplina che studia i segni. Considerato che il segno <strong>è</strong> in generale<br />
"qualcosa che rinvia a qualcos'altro" (per i filosofi medievali "aliquid stat pro<br />
aliquo") possiamo dire che la semiotica <strong>è</strong> la disciplina che studia i fenomeni di<br />
significazione e di com<strong>un</strong>icazione. Per significazione infatti si intende ogni<br />
relazione che lega qualcosa di materialmente presente a qualcos'altro di assente,<br />
per esempio la luce rossa del semaforo sta per “stop”. Ogni volta che si mette in<br />
pratica o si usa <strong>un</strong>a relazione di significazione si attiva <strong>un</strong> processo di<br />
com<strong>un</strong>icazione . Le relazioni di significazione definiscono il sistema che viene ad<br />
essere presupposto dai concreti processi di com<strong>un</strong>icazione.<br />
IL SEGNO<br />
Nella nozione di segno rientrano tutti i nessi che si possono stabilire tra <strong>un</strong><br />
oggetto-evento e <strong>un</strong> altro oggetto-evento. In altri termini <strong>è</strong> <strong>un</strong> segno ogni cosa che<br />
rimandi o indichi o faccia riferimento a qualcos’altro.<br />
È attraverso i segni che si realizza la com<strong>un</strong>icazione; l’atto com<strong>un</strong>icativo infatti<br />
consiste nella capacità di associare singoli elementi concettuali (significato) a<br />
singoli elementi materiali (significante), quindi consiste nella produzione e<br />
nell’uso dei segni, e nel loro significante di simboli.<br />
Secondo Pierce il segno, definito ancora in modo tradizionale come qualcosa che<br />
rimanda a qualcos’altro , da vita, tuttavia non solo alla relazione tra significante e<br />
significato ma alla relazione triadica che implica anche il ruolo del soggetto<br />
conoscente. In tal modo Pierce introduce nell’ambito della semiotica la<br />
dimensione pratica, in quanto con il concetto di interpretante il riferimento<br />
all’azione interpretativa di altri soggetti diventa <strong>un</strong>a componente essenziale della<br />
definizione di <strong>un</strong> segno.
IL SIMBOLO<br />
La parola "<strong>simbolo</strong>" deriva dal latino symbolum ed a sua volta dal greco σύµβολον<br />
súmbolon dalle radici σύµ- (sym-, "insieme") e βολή (bolḗ, "<strong>un</strong> lancio"), avente il<br />
significato approssimativo di "mettere insieme" due parti distinte.<br />
In greco antico, il termine <strong>simbolo</strong> (Σύµβολον) aveva il significato di "tessera di<br />
riconoscimento" o "tessera ospitale", secondo l'usanza per cui due individui, due<br />
famiglie o anche due città, spezzavano <strong>un</strong>a tessera, di solito di terracotta, e ne<br />
conservavano ogn<strong>un</strong>o <strong>un</strong>a delle due parti a conclusione di <strong>un</strong> accordo o di<br />
<strong>un</strong>'alleanza, da cui anche il significato di "patto" o di "accordo" che il termine<br />
greco assume per traslato. <strong>Il</strong> perfetto combaciare delle due parti della tessera<br />
provava l'esistenza dell'accordo.<br />
Sostengono autori, come Hobbes e altri nel seguito della filosofia inglese come<br />
Peirce, e i positivisti e neopositivisti della "logica simbolica", che il <strong>simbolo</strong>, nella<br />
sua f<strong>un</strong>zione di "stare al posto di" possa scambiarsi con il segno.<br />
Charles W. Morris per esempio, afferma che il <strong>simbolo</strong> <strong>è</strong> <strong>un</strong> segno che ha <strong>un</strong><br />
aspetto di convenzionalità maggiore rispetto ai segnali poiché chi esprime il<br />
<strong>simbolo</strong> lo usa come alternativa al segno con cui s'identifica. I simboli sono<br />
inoltre differenti dai segnali, poiché questi ultimi<br />
hanno <strong>un</strong> puro valore informativo e non evocativo. I<br />
simboli si differenziano anche dai marchi, che<br />
hanno <strong>un</strong> valore solamente soggettivo e che<br />
vengono usati per indicare <strong>un</strong>'origine fattuale.<br />
Hegel distingue il <strong>simbolo</strong> dal segno che<br />
«rappresenta <strong>un</strong> contenuto del tutto diverso da<br />
quello che ha per s<strong>è</strong>.» Mentre cio<strong>è</strong> nel segno il<br />
contenuto <strong>è</strong> del tutto diverso dalla sua<br />
rappresentazione, nel <strong>simbolo</strong> l'oggetto simbolizzato<br />
<strong>è</strong> simile alla sua espressione simbolica così come<br />
accade allo stesso modo con l'analogia.<br />
<strong>Il</strong> <strong>simbolo</strong> può essere di due tipi:<br />
• Convenzionale: in virtù di <strong>un</strong>a convenzione<br />
sociale;<br />
• Analogico: capace di evocare <strong>un</strong>a relazione tra <strong>un</strong> oggetto concreto e<br />
<strong>un</strong>'immagine mentale.<br />
Ad esempio, il linguaggio parlato consiste di distinti elementi uditivi adoperati per<br />
rappresentare concetti simbolici (parole) e disposti in <strong>un</strong> ordine che precisa<br />
ulteriormente il loro significato. I simboli possiedono <strong>un</strong> forte carattere<br />
intersoggettivo, in quanto sono condivisi da <strong>un</strong> gruppo sociale o da <strong>un</strong>a com<strong>un</strong>ità<br />
culturale, politica, religiosa.<br />
Una società senza simboli non può evitare di cadere al livello delle società<br />
infraumane, poiché la f<strong>un</strong>zione simbolica <strong>è</strong> <strong>un</strong> modo di stabilire <strong>un</strong>a relazione tra<br />
il sensibile e il sovrasensibile. Sulla interpretazione dei simboli e sul loro impiego
da sempre gli uomini sono divisi. Tale atteggiamento <strong>è</strong> spesso dovuto al fatto che<br />
spesso l'uomo tenta di trovare <strong>un</strong> significato ad <strong>un</strong> <strong>simbolo</strong> anche se questo non<br />
ne ha; può evocare e focalizzare, ri<strong>un</strong>ire e concentrare <strong>un</strong>a molteplicità di sensi<br />
che non si riducono a <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico significato. All'interno del medesimo <strong>simbolo</strong> vi<br />
sono evocazioni simboliche molteplici e gerarchicamente sovrapposte che non si<br />
escludono reciprocamente, ma sono anzi concordanti tra loro, si completano e si<br />
corroborano, integrandosi nell'armonia della sintesi totale. Questo che rende il<br />
simbolismo <strong>un</strong> linguaggio meno limitato del linguaggio com<strong>un</strong>e ed adatto per<br />
l'espressione e la com<strong>un</strong>icazione di certe verità, facendone il linguaggio iniziatico<br />
per eccellenza ed il veicolo indispensabile di ogni insegnamento tradizionale.<br />
L’UNICORNO,L’ORNITORINCO E L’ARCANGELO GABRIELE<br />
Fino ad ora ho parlato del segno, o meglio del <strong>simbolo</strong>, nel caso di significati e<br />
rimandi conosciuti.<br />
Ma cosa accade quando il soggetto si trova davanti ad eventi sconosciuti?<br />
Spesso di fronte a <strong>un</strong> fenomeno sconosciuto si<br />
reagisce per approssimazione: si cerca cio<strong>è</strong> quel<br />
contenuto, già presente nel nostro bagaglio<br />
culturale, che sembra trovare <strong>un</strong>a spiegazione del<br />
fatto nuovo. Un esempio di questo procedimento lo<br />
troviamo in Marco Polo, che a Giava vede dei<br />
rinoceronti. Si tratta però di animali che lui non ha<br />
mai visto ma ne distingue, per analogia con altri<br />
animali, il corpo , le quattro zampe e il corno.<br />
Siccome la sua cultura gli metteva a disposizione la nozione di <strong>un</strong>icorno, come<br />
app<strong>un</strong>to <strong>un</strong> quadrupede con <strong>un</strong> corno sul muso, egli identifica quegli animali<br />
come <strong>un</strong>icorni. Poi, data la sua onestà nel riportare ciò che vede, si affretta a dire<br />
che questi <strong>un</strong>icorni sono abbastanza strani, poco specifici , dato che non sono<br />
bianchi e slanciati ma hanno “ pelo di bufali e piedi come leofanti”, il corno <strong>è</strong> nero<br />
e sgraziato, la lingua ruvida , la testa simile a<br />
quella di <strong>un</strong> grosso cinghiale. Marco Polo a<br />
questo p<strong>un</strong>to sembra prendere <strong>un</strong>a decisione.<br />
Anziché ridefinire il proprio contenuto<br />
aggi<strong>un</strong>gendo <strong>un</strong> nuovo animale agli insiemi<br />
degli esseri viventi, corregge la descrizione<br />
vigente degli <strong>un</strong>icorni che quindi, se esistono,<br />
sono com’egli ha visto, e non come narra la<br />
leggenda. Modifica quindi l’intensione<br />
lasciando l’estensione invariata.
Ma che cosa sarebbe successo se Polo, anziché in Cina, fosse andato in Australia<br />
e avesse incontrato vicino alla riva di <strong>un</strong> fiume <strong>un</strong> ornitorinco? Quest’ultimo <strong>è</strong><br />
<strong>un</strong>o animale particolarissimo, che pare concepito per sfidare ogni classificazione,<br />
sia scientifica che popolare. L<strong>un</strong>go in media <strong>un</strong>a cinquantina di centimetri , due<br />
chili circa, ha il corpo piatto coperto di pelame marrone scuro, non ha collo e ha<br />
<strong>un</strong>a coda da castoro; ha becco d’anatra, di<br />
colore bluastro di sopra e rosa di sotto, non ha<br />
padiglioni auricolari, le quattro zampe<br />
terminano con cinque dita palmate, ma con<br />
artigli; sta sott’acqua abbastanza per<br />
considerarlo pesce o anfibio , la femmina<br />
depone uova ma allatta i propri piccoli, anche<br />
se non si vede alc<strong>un</strong> capezzolo. Non sto<br />
chiedendo se Marco Polo avrebbe riconosciuto<br />
l’animale come <strong>un</strong> mammifero o <strong>un</strong> anfibio, ma<br />
avrebbe dovuto certamente chiedersi se quello<br />
che vedeva, se fosse <strong>un</strong> animale, e non<br />
<strong>un</strong>’illusione, fosse <strong>un</strong> castoro, <strong>un</strong>’anatra, <strong>un</strong><br />
pesce, e in ogni caso se fosse <strong>un</strong> uccello, <strong>un</strong><br />
animale marino o terrestre. Un bel caos da cui avrebbe potuto trarlo d’impaccio<br />
solo la nozione di chimera. Nello stesso impiccio si sono trovati i primi coloni<br />
australiani che hanno visto <strong>un</strong> ornitorinco : essi l’avevano identificato come <strong>un</strong>a<br />
talpa, e infatti l’avevano chiamato water mole, talpa d’acqua. Quella talpa però<br />
aveva <strong>un</strong> becco e d<strong>un</strong>que non era <strong>un</strong>a talpa. Qualcosa di percepibile al di fuori<br />
dello stampo fornito dall’idea di talpa non si adeguava allo stampo, anche se per<br />
riconoscere il becco devo presumere che i coloni avessero <strong>un</strong>o stampo per il<br />
becco.<br />
Con l’ornitorinco avrebbe avuto problemi anche il semiologo Pierce. Se si può<br />
sostenere che nel riconoscimento del noto<br />
intervengono processi semiosici, perché si tratta<br />
app<strong>un</strong>to di riportare dei dati sensibili a <strong>un</strong> modello, il<br />
problema <strong>è</strong> quanto <strong>un</strong> processo semiosico intervenga<br />
nella comprensione di <strong>un</strong> fenomeno che risulta ignoto<br />
al soggetto conoscente. Per Pierce quindi non abbiamo<br />
alc<strong>un</strong> potere di introspezione né d’intuizione, ma ogni<br />
conoscenza deriva per ragionamento ipotetico dalla<br />
conoscenza di fatti esterni e da conoscenze precedenti.<br />
La conoscenza di fatti esterni o fatti precedenti <strong>è</strong><br />
individuata da Pierce in quello che definisce “Gro<strong>un</strong>d”<br />
e che risulta diventare <strong>un</strong>o schema conoscitivo che il<br />
soggetto applica al fenomeno a cui si trova di fronte<br />
ma anche <strong>un</strong>a serie di qualità interne dell’oggetto. <strong>Il</strong><br />
riferimento al Gro<strong>un</strong>d <strong>è</strong> quindi dell’ordine della connotazione e della<br />
comprensione. Esso risulta essere quindi <strong>un</strong>o schema soggettivo applicabile alla<br />
realtà ma con elementi oggettivi contenuti nelle qualità interne dell’oggetto<br />
conosciuto.
La domanda quindi sorge spontanea. Come si può definire <strong>un</strong> oggetto o ancora<br />
riconoscere <strong>un</strong>a persona in modo <strong>un</strong>iversale se gran parte del Gro<strong>un</strong>d <strong>è</strong><br />
soggettivo?<br />
La storia che segue <strong>è</strong> ispirata ai Vangeli canonici, ma se ne discosta in alc<strong>un</strong>e<br />
parti. Si potrebbe quindi dire che <strong>è</strong> ispirata a Vangeli apocrifi che, in quanto tali<br />
potrei aver scritto anche io stesso. <strong>Il</strong> Signore decide di dare il via all’Incarnazione.<br />
Ha già predisposto Maria sin dalla sua nascita, a causa dell’immacolata<br />
concezione a essere l’<strong>un</strong>ica creatura umana adatta per questo scopo e si suppone<br />
che abbia già provveduto al miracolo del concepimento virginale. Dio deve però<br />
informare Maria dell’evento e rendere partecipe Giuseppe, informandolo del<br />
compito che lo attende. Chiama d<strong>un</strong>que l’arcangelo Gabriele e gli impartisce<br />
alc<strong>un</strong>e disposizioni che si potrebbero riassumere come: “scendi in terra, a<br />
Nazareth, trova <strong>un</strong>a fanciulla chiamata Maria, figlia di Anna e Gioacchino e<br />
spiegale la situazione. Poi trova <strong>un</strong> uomo<br />
casto e virtuoso, chiamato Giuseppe, della<br />
stirpe di David, e digli quello che deve fare”.<br />
Fino a qui sembra tutto abbastanza<br />
semplice. Se <strong>un</strong> angelo fosse <strong>un</strong> uomo. Ma<br />
gli angeli non parlano, perché si<br />
comprendono tra loro in modo ineffabile e<br />
tutto quello che sanno lo conoscono<br />
guardando Dio. D’altra parte in quella<br />
visione non apprendono tutto quello che Dio<br />
sa, altrimenti sarebbero Dio, ma solo quello<br />
che Lui concede loro di conoscere, a seconda<br />
del rango delle coorti angeliche. Pertanto Dio<br />
deve rendere Gabriele in grado di compiere la<br />
sua missione, trasmettendogli alc<strong>un</strong>e<br />
capacità : innanzitutto percepire e<br />
riconoscere oggetti, qualità tipicamente<br />
umana, poi la conoscenza dell’aramaico,<br />
nonché altre nozioni culturali senza le quali<br />
la missione non potrebbe andare a buon fine.<br />
Gabriele scende quindi a Nazareth. Identificare Maria non <strong>è</strong> difficile, chiede in<br />
giro dove sia la casa di Gioacchino, entra in <strong>un</strong> piccolo colonnato, vede quella che<br />
senza dubbio <strong>è</strong> <strong>un</strong>a giovane donna, la chiama per nome per assicurarsi di non<br />
essersi sbagliato e per quanto riguarda l’ann<strong>un</strong>ciazione la cosa <strong>è</strong> fatta. I problemi<br />
seri cominciano ora. Come fare a identificare Giuseppe?<br />
Si tratta di <strong>un</strong> essere di sesso maschile e Gabriele <strong>è</strong> perfettamente in grado di<br />
distinguere, dagli abiti e dai tratti somatici <strong>un</strong> maschio da <strong>un</strong>a femmina. Dopo<br />
essere riuscito a trovare Maria si mette a chiamare Giuseppe per tutto il villaggio<br />
ma molti accorrono al suo appello, ed egli si rende conto che i nomi saranno forse<br />
i designatori rigidi in certe circostanze, ma lo sono pochissimo nella vita sociale,<br />
dove i Giuseppe sono più del necessario. Naturalmente Gabriele sa che Giuseppe<br />
deve essere <strong>un</strong> uomo virtuoso, ed <strong>è</strong> possibile che abbia ricevuto alc<strong>un</strong>e istruzioni<br />
su come si riconosce <strong>un</strong> virtuoso dal volto pacato, sereno, dal comportamento<br />
generoso verso poveri, i meno fort<strong>un</strong>ati e gli infermi, dai gesti di pietà che compie<br />
nel Tempio. Ma di maschi con queste caratteristiche a Nazareth ce n’<strong>è</strong> più di <strong>un</strong>o.
Tra tutti i virtuosi egli deve scegliere <strong>un</strong>o scapolo e avendo ricevuto istruzioni a<br />
proposito della lingua e della società ebraica dell’epoca sa che il suo prescelto<br />
deve essere <strong>un</strong> maschio adulto non sposato sebbene ne avesse possibilità. Quindi<br />
a Gabriele non viene in mente che andare a cercare <strong>un</strong> omosessuale, o <strong>un</strong> e<strong>un</strong>uco<br />
o il sacerdote di qualche religione che pretende il celibato ecclesiastico.<br />
Basterebbe <strong>un</strong>a visita all’anagrafe di Nazareth.<br />
Ma Cesare Augusto bandirà il celeberrimo<br />
censimento solo nove mesi più tardi e<br />
all’epoca i registri pubblici non esistono, o<br />
sono in <strong>un</strong> disordine indescrivibile. Per<br />
stabilire se i vari Giuseppe che ha individuato<br />
sono scapoli, non può far altro che inferire la<br />
condizione da alc<strong>un</strong>i comportamenti.<br />
Potrebbe essere scapolo per esempio quel<br />
Giuseppe che vive solo nel retro del suo<br />
laboratorio di falegnameria, ma potrebbe<br />
anche essere vedovo. Alla fine Gabriele si<br />
ricorda che Giuseppe deve essere della stirpe<br />
di David e grazie ad alc<strong>un</strong>e testimonianze<br />
orali riesce ad identificare il Giuseppe che<br />
cerca. Questa <strong>è</strong> la fine della commissione<br />
dell’arcangelo che risale al cielo per ricevere<br />
le giuste congratulazioni dei fratelli per il suo<br />
successo. Con essi Gabriele sarebbe riuscito a<br />
identificare passo per passo i processi che ha<br />
seguito per appurare che Giuseppe era scapolo; quindi fornirebbe <strong>un</strong> contenuto<br />
nucleare dell’espressione scapolo, che comprende sia la definizione dell’epoca di<br />
scapolo, ma anche quel misto di immagini che riguardano comportamenti tipici e<br />
procedure per la raccolta di dati. Ora però complico <strong>un</strong> po’ la faccenda. Lucifero,<br />
per natura ribelle ai decreti divini, vuole cercare ovviamente di impedire<br />
l’Incarnazione. Non può opporsi al miracolo del<br />
concepimento virginale ma può agire sugli eventi,<br />
come peraltro farà dopo istigando Erode alla strage<br />
degli innocenti. Egli tenta quindi di far fallire<br />
l’incontro tra Giuseppe e Maria in modo che, se<br />
occorrerà la nascita, essa appaia illegittima agli occhi<br />
della Palestina. Incarica quindi Belfagor di precedere<br />
Gabriele a Nazareth ed eliminare con <strong>un</strong> colpo di<br />
pugnale Giuseppe. Per fort<strong>un</strong>a il signore delle mosche<br />
dimentica <strong>un</strong> dettaglio. Belfagor, che da millenni era<br />
in missione presso delle popolazioni selvagge, si era<br />
abituato ai costumi di quella gente, presso la quale la<br />
virtù si esprimeva attraverso atti di ferocia guerriera,<br />
e veniva ostentata attraverso tatuaggi e cicatrici che<br />
rendevano <strong>un</strong> volto ripugnante: cosi il diavolo cerca di individuare Giuseppe e<br />
pone l’occhio, per errore comprensibile, sul padre di quello che sarà Barabba. Egli<br />
poi non sa cosa sia <strong>un</strong>o scapolo, perché nella tribù non esiste il matrimonio o<br />
meglio esiste la poligamia dopo sfrenati atti sessuali giovanili. Egli ignora anche<br />
cosa voglia dire per <strong>un</strong>a fanciulla essere pura e casta,perché dal luogo da cui<br />
proviene le bambine vengono vendute ancora giovani agli uomini di altri clan.
Non sa nemmeno cosa voglia dire per <strong>un</strong>o scapolo o per <strong>un</strong>a nubile vivere da soli<br />
o con i genitori, dato che dalle sue parti tutti abitavano in ampie capanne che<br />
ospitavano intere famiglie. L’arcidiavolo poi non sa nemmeno cosa significhi<br />
essere della stirpe di David. Per questo Belfagor non riesce a individuare<br />
Giuseppe e Maria, e la sua missione fallisce. Fallisce perché Belfagor ignorava<br />
alc<strong>un</strong>e cose che invece Gabriele sapeva , ma non ignorava tutto. Come l’angelo, il<br />
diavolo sapeva distinguere maschio da femmina, la notte dal giorno, Nazareth da<br />
Gerusalemme. Se sarà passato davanti al<br />
laboratorio dove Giuseppe lavorava, avrà<br />
visto che piallava il legno anziché mettere le<br />
olive nel frantoio, se avrà incrociato Maria si<br />
sarà pur detto che si trattava di <strong>un</strong>a giovane<br />
e bella donna. Insomma Belfagor e Gabriele<br />
avrebbero avuto in com<strong>un</strong>e tipi cognitivi<br />
riferiti a casi empirici ma non casi empirici<br />
riferiti al sistema culturale palestinese del I<br />
secolo a.C.<br />
Alla luce di questa storia sarebbe facile<br />
arrivare alla conclusione che esistono casi<br />
empirici che conosciamo e riconosciamo<br />
attraverso esperienza percettiva; può<br />
accadere che, per oggetti di cui non si ha mai avuto esperienza diretta si riceva<br />
prima per interpretazione <strong>un</strong> contenuto nucleare e solo in base a esso ci si<br />
costruisce <strong>un</strong> tipo cognitivo; pertanto per casi empirici si va dal tipo cognitivo al<br />
contenuto nucleare, mentre per i casi culturali avviene l’inverso. Quindi<br />
concludendo sia per i casi culturali che per i casi empirici, essendo contenuto<br />
nucleare e tipo cognitivo strettamente legati, tutto dipende dal contesto e dal<br />
gro<strong>un</strong>d dell’individuo che costituisce <strong>un</strong>a componente fondamentale nella<br />
conoscenza e nell’identificazione di oggetti e fenomeni.
IL GROUND E IL RE LEONE<br />
Questa scena <strong>è</strong> tratta dal famosissimo l<strong>un</strong>gometraggio della Walt Disney Pictures<br />
“ The Lion King”, il re leone.<br />
Ora, questa <strong>è</strong> <strong>un</strong>a<br />
sequenza in cui il<br />
malvagio di turno, Scar, il<br />
fratello del re, trama<br />
l’uccisione di Mufasa, il<br />
sovrano, facendo proclami<br />
altisonanti al suo esercito<br />
di iene, che improvvisa<br />
<strong>un</strong>a parata. Bene, la<br />
reazione che il soggetto ha<br />
guardando questa<br />
immagine o meglio tutta la<br />
sequenza filmata <strong>è</strong> <strong>un</strong><br />
esempio di come agisce il<br />
Gro<strong>un</strong>d di Pierce. Ho messo questa parte volontariamente prima della trattazione<br />
della parate militari fasciste e naziste. Queste ultime infatti compongono la parte<br />
soggettiva del gro<strong>un</strong>d che portano coloro che guardano questa immagine, a causa<br />
del proprio bagaglio culturale, ad identificare la parata delle iene come militare. <strong>Il</strong><br />
soggetto infatti avrà riconosciuto la marcia, la divisione in reparti e ancora la<br />
sincronia dei soldati-iene, la testa rivolta verso il capo carismatico che <strong>è</strong> posto in<br />
<strong>un</strong>a posizione sopraelevata e<br />
nella registrazione anche i<br />
cori ritmici delle iene. Ora la<br />
suggestione che il soggetto<br />
prova <strong>è</strong> dovuta sicuramente<br />
al fatto che esso conosce per<br />
via diretta o traversa le<br />
caratteristiche delle<br />
processioni dei regimi. Le<br />
componenti oggettive del<br />
Gro<strong>un</strong>d però hanno <strong>un</strong> ruolo<br />
altrettanto fondamentale.<br />
I toni scuri dell’immagine, il<br />
ghigno malvagio di Scar, il<br />
giallo-zolfo e il fumo che<br />
portano in <strong>un</strong> clima quasi<br />
infernale, o i quadrati in cui<br />
<strong>è</strong> diviso il terreno che urtano lo sguardo con gli spigoli vivi, l’enorme quantità<br />
delle iene, lo sfondo nero, il forte verticalismo delle linee, sono qualità oggettive<br />
intrinseche all’oggetto che porteranno qualsiasi soggetto conoscente ma esterno<br />
alla situazione ad identificare questa come la rappresentazione di <strong>un</strong>’occasione<br />
negativa. È emblematico tutto ciò per capire effettivamente il concetto di gro<strong>un</strong>d
perché si mostra come il bagaglio culurale, la formazione di <strong>un</strong>a persona a scuola<br />
e nella società insieme alle qualità oggettive di ciò che <strong>è</strong> conosciuto possano<br />
portare a identificare <strong>un</strong>a scena appartenente a <strong>un</strong> film per bambini, quindi<br />
apparentemente senza alc<strong>un</strong> contenuto marziale, con addirittura <strong>un</strong>a<br />
rappresentazione allegorica di <strong>un</strong>a parata militare nazista.<br />
SIMBOLISMO IN PITTURA<br />
Un aspetto fondamentale per l’analisi dei simboli <strong>è</strong> il simbolismo pittorico.<br />
La massima espressività del Simbolismo si raggi<strong>un</strong>ge con le opere di Gauguin.<br />
Simbolisti si possono definire anche il gruppo dei Nabis ed il gruppo dei<br />
Preraffaelliti. Simbolisti con <strong>un</strong> linguaggio espressivo <strong>un</strong> po’ più intenso possono<br />
essere considerati anche M<strong>un</strong>ch e Van Gogh. Questo movimento interpreta il<br />
mondo naturale come <strong>un</strong> complesso di simboli appartenenti ad <strong>un</strong>a realtà<br />
completamente diversa da quella in cui viviamo quotidianamente, mentre<br />
l’<strong>un</strong>iverso <strong>è</strong> concepito come <strong>un</strong>a struttura in cui tutti i componenti hanno <strong>un</strong>a<br />
corrispondenza reciproca. <strong>Il</strong> poeta e l’artista hanno il compito di intuirne le<br />
relazioni e scoprire i simboli, raffigurandoli nelle proprie opere.<br />
<strong>Il</strong> termine “Simbolismo” stabilisce <strong>un</strong> preciso indirizzo artistico degli ultimi due<br />
decenni dell’Ottocento, nel quale si sostiene <strong>un</strong>a visione della natura volta a<br />
cogliere la realtà interiore come qualcosa di profondo e suggestivo, tanto da dover<br />
essere evocata, più che descritta. Evocazione ed assenza descrittiva sono le due<br />
caratteristiche principali di questo linguaggio espressivo, tali da mettere in<br />
allarme i realisti che considerano senza significato le opere partorite dal<br />
Simbolismo: vedono annientata l’idea della ricerca e del progresso e,<br />
compromesso l’integrale cambiamento dei procedimenti dell’arte. Altri canoni che<br />
caratterizzano il Simbolismo sono: la sintesi, l’idealismo, l’emotività, il<br />
soggettivismo ed il decorativismo.<br />
<strong>Il</strong> Simbolismo ha nelle sue fondamenta le tendenze dell’arte romantica dei primi<br />
decenni dell’Ottocento e trova delle salde relazioni con identici indirizzi della
letteratura, della poesia, della musica e della filosofia contemporanee,<br />
proponendosi in fattori di sintesi e di<br />
<strong>un</strong>ione delle arti. Benché il suo avvento<br />
ufficiale abbia <strong>un</strong>a data ben precisa,<br />
1886, anno nel quale Jean Moréas lancia<br />
in <strong>un</strong>a pagina di “Le Figaro” il manifesto<br />
della poesia simbolista (ma indirizzato<br />
anche alla pittura), già molto tempo<br />
prima, diversi pittori ostentavano il<br />
bisogno di esprimere il mondo reale con<br />
<strong>un</strong> linguaggio che andava oltre la<br />
percezione visiva, concentrandosi<br />
soprattutto sulla spiritualità del<br />
contenuto, sulle analogie e<br />
sull’enigmaticità in esso presente.<br />
“L’idealismo platonico” presuppone che la realtà sia formata dalla pura idea, e<br />
questo comporta che il pittore, in qualità di veggente, traduca i significati<br />
profondi e li riporti sulla tela in forme sensibili e comprensibili da tutti: l’artista<br />
d<strong>un</strong>que, deve riuscire ad esprimersi oggettivando il soggettivo, andando cio<strong>è</strong> in<br />
netta controtendenza alla tradizione sin qui seguita, cio<strong>è</strong> quella di rendere<br />
soggettivo l’oggetto, come sostiene Gustave Kahn.<br />
I primi a percepire corrispondenze tra colori, profumi e suoni sono i poeti e, nelle<br />
loro poesie alludono alle indecifrabili affinità fra la visione reale e l’invisibile. Ben<br />
presto verranno affiancati anche dagli scienziati,<br />
tra i quali Jean Martin Charcot e Eduard von<br />
Hartmann, che incominceranno ad interessarsi<br />
all’immaginario, studiando il sogno e<br />
riconoscendolo come mezzo di espressione, e<br />
soprattutto, come corrispondenza figurativa di<br />
quel fantasma poetico che si trova nel profondo<br />
dell’animo<br />
umano.<br />
La diffusione<br />
del Simbolismo<br />
ha <strong>un</strong>a portata<br />
enorme che<br />
invade, in<br />
breve tempo<br />
l’intera<br />
Europa, anche<br />
se con<br />
configurazioni tra loro ben differenziate. Gli<br />
elementi com<strong>un</strong>i che caratterizzano questo<br />
movimento sono la reazione al realismo, con il<br />
rifiuto più o meno completo della figurazione<br />
oggettiva (sentito in maniera diversa in alc<strong>un</strong>i Paesi) e la rin<strong>un</strong>cia alla<br />
rappresentazione di temi legati al mondo attuale ed alla contingenza, con il fermo
intento di dare<br />
sostanza al<br />
contenuto, riferendosi<br />
alla cultura poetica,<br />
al mito ed all’indagine<br />
dell’anima.<br />
Un'anticipazione delle<br />
tematiche simboliste,<br />
come già detto sopra,<br />
si può rintracciare<br />
nell’avventura,<br />
durante gli anni<br />
settanta, dei<br />
preraffaelliti ri<strong>un</strong>iti<br />
intorno a Dante Gabriele Rossetti, ma <strong>è</strong> da attribuire soprattutto agli artisti<br />
francesi il ruolo predominante nel dibattito estetico, che si sviluppa intensamente<br />
attraverso le più importanti riviste e negli scritti di filosofi e letterati.
COSì PARLò ZARATHUSTRA: IL LINGUAGGIO SIMBOLICO<br />
DI FRIEDRICH NIETZSCHE<br />
<strong>Il</strong> tedesco Friedrich Nietzsche <strong>è</strong> probabilmente <strong>un</strong>o dei più grandi filosofi del XX<br />
secolo. La sua spinta innovativa sia nei temi sia nel metodo espositivo sono<br />
eccezionali e a dir poco<br />
affascinanti.<br />
Uno dei tratti tipici degli scritti di<br />
questo straordinario pensatore,<br />
come “Così parlò Zarathustra” e la<br />
“Gaia Scienza”, <strong>è</strong> il forte<br />
allegorismo <strong>un</strong>ito al linguaggio<br />
simbolico. Nella maggioranza delle<br />
pagine di questi testi filosofici, si<br />
legge di monti, eremiti,<br />
draghi,leoni, cammelli, serpenti,<br />
fanciulli, circonfusi di luce,<br />
contadini e addirittura demonitalpa.<br />
In particolare ho deciso di trattare<br />
due passi di Nietzsche: <strong>un</strong> passo<br />
tratto dallo “Zarathustra” a<br />
proposito dell’ ubermensch,<br />
l’oltreuomo, e l’aforisma 341 de “La<br />
Gaia Scienza”, che tratta di quello<br />
che lo stesso filosofo definisce <strong>un</strong>o<br />
dei p<strong>un</strong>ti più oscuri della sua<br />
dissertazione: l’eterno ritorno dell’uguale.<br />
Scelta antologica<br />
Per le due analisi che seguiranno ho deciso di riportare prima in versione<br />
integrale il passaggio scelto e successivamente di analizzarlo.<br />
COSì PARLò ZARATHUSTRA: LE TRE METAMORFOSI<br />
“Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il<br />
cammello leone, e infine il leone fanciullo.<br />
Molte cose pesanti vi sono per lo spirito, lo spirito forte e paziente nel quale abita<br />
la venerazione: la sua forza anela verso le cose pesanti, piú difficili a portare.<br />
Che cosa <strong>è</strong> gravoso? domanda lo spirito paziente e piega le ginocchia, come il<br />
cammello, e vuol essere ben caricato.<br />
Qual <strong>è</strong> la cosa piú gravosa da portare, eroi? cosí chiede lo spirito paziente,<br />
affinché io la prenda su di me e possa rallegrarmi della mia robustezza.<br />
Non <strong>è</strong> forse questo: umiliarsi per far male alla propria alterigia? Far rilucere la
propria follia per deridere la propria saggezza?<br />
Oppure <strong>è</strong>: separarsi dalla propria causa quando essa celebra la sua vittoria?<br />
Salire sulle cime dei monti per tentare il tentatore?<br />
Oppure <strong>è</strong>: nutrirsi delle ghiande e dell’erba della conoscenza e a causa della verità<br />
soffrire la fame dell’anima?<br />
Oppure <strong>è</strong>: essere ammalato e mandare a casa coloro che vogliono consolarti, e<br />
invece fare amicizia coi sordi, che mai odono ciò che tu vuoi?<br />
Oppure <strong>è</strong>: scendere nell’acqua sporca, purché sia l’acqua della verità, senza<br />
respingere rane fredde o caldi rospi?<br />
Oppure <strong>è</strong>: amare quelli che ci disprezzano e porgere la mano allo spettro quando<br />
ci vuol fare paura?<br />
Tutte queste cose, le piú gravose da portare, lo spirito paziente prende su di sé:<br />
come il cammello che corre in fretta nel deserto sotto il suo carico, cosí corre<br />
anche lui nel suo deserto.<br />
Ma là dove il deserto <strong>è</strong> piú solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito<br />
diventa leone, egli vuol come preda la sua libertà ed essere signore nel proprio<br />
deserto.<br />
Qui cerca il suo ultimo signore: il nemico di lui e del suo ultimo dio vuol egli<br />
diventare, con il grande drago vuol egli combattere per la vittoria.<br />
Chi <strong>è</strong> il grande drago, che lo spirito non vuol piú chiamare signore e dio? “Tu<br />
devi” si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice “io voglio”.<br />
“Tu devi” gli sbarra il cammino, <strong>un</strong> rettile dalle squame scintillanti come l’oro, e<br />
su ogni squama splende a lettere d’oro “tu devi!”.<br />
Valori millenari rilucono su queste squame e cosí parla il piú possente dei draghi:<br />
“tutti i valori delle cose – risplendono su di me”.<br />
“Tutti i valori sono già stati creati, e io sono – ogni valore creato. In verità non ha<br />
da essere piú alc<strong>un</strong> “io voglio!””. Cosí parla il drago.<br />
Fratelli, perché il leone <strong>è</strong> necessario allo spirito? Perché non basta la bestia da<br />
soma, che a tutto rin<strong>un</strong>cia ed <strong>è</strong> piena di venerazione?<br />
Creare valori nuovi – di ciò il leone non <strong>è</strong> ancora capace: ma crearsi la libertà per<br />
<strong>un</strong>a nuova creazione – di questo <strong>è</strong> capace la potenza del leone.<br />
Crearsi la libertà e <strong>un</strong> no sacro anche verso il dovere: per questo, fratelli, <strong>è</strong><br />
necessario il leone.<br />
Prendersi il diritto per valori nuovi – questo <strong>è</strong> il piú terribile atto di prendere, per<br />
<strong>un</strong>o spirito paziente e venerante. In verità <strong>è</strong> <strong>un</strong> depredare per lui e il compito di<br />
<strong>un</strong>a bestia da preda.<br />
Un tempo egli amava come la cosa piú sacra il “tu devi”: ora <strong>è</strong> costretto a trovare<br />
illusione e arbitrio anche nelle cose piú sacre, per predar via libertà dal suo<br />
amore: per questa rapina occorre il leone.<br />
Ma ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado<br />
di fare? Perché il leone rapace deve anche diventare <strong>un</strong> fanciullo?<br />
Innocenza <strong>è</strong> il fanciullo e oblio, <strong>un</strong> nuovo inizio, <strong>un</strong> giuoco, <strong>un</strong>a ruota ruotante da<br />
sola, <strong>un</strong> primo moto, <strong>un</strong> sacro dire di sí.<br />
Sí, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre <strong>un</strong> sacro dire di sí: ora lo spirito<br />
vuole la sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo.<br />
Tre metamorfosi vi ho nominato dello spirito: come lo spirito divenne cammello,<br />
leone il cammello, e infine il leone fanciullo. –<br />
Cosí parlò Zarathustra. Allora egli soggiornava nella città che <strong>è</strong> chiamata: “Vacca<br />
pezzata”.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1976, vol. XXV, pagg. 234-235<br />
<strong>Il</strong> discorso di Zarathustra sulle tre metamorfosi ha come motivo fondamentale il<br />
passaggio dell’uomo dalla sua condizione alienata fino alla coscienza di sé.<br />
Le tre figure del cammello, del leone e del fanciullo sono simboli del procedere<br />
umano verso la propria liberazione dagli idoli della superstizione, la religione, e<br />
della colpa, la morale, verso l’innocenza dionisiaca del superuomo.<br />
In particolare e in breve il cammello rappresenta l’uomo che teme e serve, che si<br />
piega davanti alla grandezza di Dio e delle leggi morali. Egli volontariamente<br />
assume su di sé i grandi tormenti e i grandi compiti del mondo. L’uomo-cammello<br />
rappresenta il “tu devi”.<br />
La seconda metamorfosi, quella del leone rappresenta l’uomo che si <strong>è</strong> liberato dai<br />
pesi che lo opprimevano, che combatte contro la morale che gli <strong>è</strong> stata imposta e<br />
riconosce il suo stato di alienazione precedente. Nella lotta contro il grande drago<br />
che rappresenta il sistema di valori e delle idee dominanti, egli risveglia la propria<br />
libertà e supera la fase della servitù nei confronti della morale e della religione.<br />
L’uomo leone rappresenta l’ “ io voglio”.<br />
La terza e ultima metamorfosi il fanciullo, rappresenta la pars costruens della<br />
filosofia nietzscheana.<br />
<strong>Il</strong> fanciullo <strong>è</strong> innocente, sa spontaneamente “dire di si” alla vita, che intende come<br />
libero gioco creativo: egli inventa e impone nuovi valori. La metafora del gioco <strong>è</strong><br />
decisiva, in quanto rappresenta il dionisiaco, e il fanciullo, l’ “io sono, <strong>è</strong> figura<br />
della nuova umanità successiva alla morte di Dio.<br />
Se questo però <strong>è</strong> il significato intrinseco in questo passo, Friedrich Nietzsche da<br />
dove ha ripreso i simboli che ha utilizzato?<br />
Se il fanciullo non ha <strong>un</strong>a tradizione storico- simbolica se non come <strong>simbolo</strong> di<br />
purezza e novità, leone,drago e cammello hanno <strong>un</strong>a l<strong>un</strong>ga tradizione per quanto<br />
riguarda il loro utilizzo simbolico.<br />
IL CAMMELLO<br />
<strong>Il</strong> cammello <strong>è</strong> com<strong>un</strong>emente considerato <strong>un</strong> <strong>simbolo</strong> di sobrietà. L’Asia <strong>è</strong> stata<br />
spesso raffigurata da <strong>un</strong> cammello a causa delle l<strong>un</strong>ghe carovane che<br />
l’attraversavano.<br />
<strong>Il</strong> Levitico considerava il cammello <strong>un</strong> animale<br />
impuro. Erano considerati impuri tutti gli<br />
animali che i pagani consacravano ai loro falsi<br />
dei o quegli animali, che essendo ripugnanti per<br />
gli uomini, venivano giudicati sgradevoli anche<br />
per Dio.<br />
<strong>Il</strong> cammello <strong>è</strong> presente, anche se<br />
eccezionalmente, nell’iconografia indù come<br />
l’emblema di sinistre yogini, in rapporto con la<br />
morte. <strong>Il</strong> cammello <strong>è</strong> tuttavia, in primo luogo la<br />
cavalcatura che aiuta ad attraversare il deserto,<br />
grazie alla quale si può raggi<strong>un</strong>gere il centro<br />
nascosto, l’essenza divina. <strong>Il</strong> compagno del deserto, <strong>è</strong> il veicolo che porta da oasi a<br />
oasi; i Re Magi sono raffigurati a cavallo di cammelli e per questo numerosi testi<br />
antichi confondono per <strong>un</strong> equivoco fonetico i cammelli con i camilli, che sono i<br />
servitori del re, o gli altari, o anche i propagatori della filosofia ermetica.
Lo Zohar parla di cammelli volanti simili a draghi e ai serpenti alati che sarebbero<br />
stati guardiani del Paradiso terrestre e di cui si parlerebbe nell’Anvesta, il libro<br />
sacro dell’antica Persia. In Asia centrale il cammello non <strong>è</strong> tanto <strong>simbolo</strong> di<br />
cattivo carattere quanto di pres<strong>un</strong>zione: “ il cammello che si credeva grande,<br />
perse l’anno” (proverbio buriato in HARA).<br />
IL LEONE<br />
<strong>Il</strong> leone <strong>è</strong> <strong>simbolo</strong> di potenza, di sovranità, ma<br />
anche del Sole, dell’oro, della forza della luce e del<br />
verbo. <strong>Il</strong> leone rappresenta anche la giustizia: da<br />
cui i leoni del trono di Salomone, del trono dei re di<br />
Francia, di quello dei vescovi medioevali. È anche il<br />
<strong>simbolo</strong> del Cristo Giudice come del Cristo Dottore,<br />
quando porta il libro o il rotolo. Si sa che esso <strong>è</strong><br />
nella stessa accezione <strong>simbolo</strong> dell’evangelista<br />
Marco. Nell’iconografia medievale la testa e la parte<br />
anteriore corrispondono alla natura divina del<br />
Cristo, la parte posteriore che contrasta per la sua<br />
relativa debolezza, con la natura umana.<br />
Occorre tuttavia aggi<strong>un</strong>gere che la potenza del leone comporta anche <strong>un</strong>a<br />
componente negativa. Infatti essa rappresenta anche la forza istintiva<br />
incontrollabile. <strong>Il</strong> leone panciuto su cui Shiva poggia il piede rappresenta poi<br />
l’avidità. <strong>Il</strong> doppio aspetto, luminoso e oscuro dei simboli, fa si che il leone sia allo<br />
stesso tempo <strong>simbolo</strong> del Cristo e dell’Anticristo. L’analisi de farà talvolta <strong>simbolo</strong><br />
di <strong>un</strong> orientamento sociale malvagio: la tendenza a dominare dispoticamente , a<br />
imporre brutalmente la propria forza o la propria autorità.<br />
In Egitto i leoni, animali solari, erano spesso rappresentati a coppie, schiena<br />
contro schiena, ciasc<strong>un</strong>o guardando l’orizzonte opposto, l’<strong>un</strong>o a est l’altro a<br />
ovest. Rappresentavano i due orizzonti e il corso del sole da <strong>un</strong>’estremità ,<br />
sorvegliano così il trascorrere del giorno,<br />
del tempo e rappresentando l’oggi e il<br />
domani. <strong>Il</strong> motivo del leone si trova anche<br />
su tombe cristiane, essendo <strong>simbolo</strong> di<br />
resurrezione. Nei racconti popolari<br />
bretoni il leone ricorre spesso come<br />
guardiano di <strong>un</strong> castello misterioso o di<br />
<strong>un</strong>a soglia di difficile accesso. <strong>Il</strong> Cavaliere<br />
del Leon, nel ciclo di leggende di Artù, <strong>è</strong><br />
forse la sola testimonianza che si abbia<br />
del leone nel repertorio simbolico celtico.<br />
L’animale <strong>è</strong> infatti estraneo a questo<br />
mondo dove il suo posto <strong>è</strong> occupato nella<br />
tradizione primitiva dell’orso.<br />
<strong>Il</strong> leone <strong>è</strong> <strong>un</strong>a delle figure allegoriche più impiegate anche nella tradizione<br />
islamica, <strong>simbolo</strong> dello sforzo indomabile per imitare la maestà divina.
IL DRAGO<br />
<strong>Il</strong> drago appare fondamentalmente come <strong>un</strong> guardiano severo o <strong>un</strong> <strong>simbolo</strong> del<br />
male e delle tendenze demoniache. È infatti il guardiano dei tesori nascosti e<br />
come tale nemico da sconfiggere per prenderne possesso. In occidente per<br />
esempio <strong>è</strong> guardiano del vello d’oro e del Giardino delle Esperidi e<br />
dell’immortalità.<br />
<strong>Il</strong> drago in quanto <strong>simbolo</strong> demoniaco si identifica in realtà con il serpente. Le<br />
teste di serpente e di drago abbattute indicano spesso la vittoria di Cristo sul<br />
male. Oltre all’immagine ben nota di san<br />
Michele o san Giorgio, il Cristo stesso <strong>è</strong><br />
talvolta rappresentato nell’atto di<br />
schiacciare i draghi. <strong>Il</strong> patriarca Hui-neng<br />
afferma che i draghi e i serpenti sono<br />
anche simboli di odio e di male. <strong>Il</strong> terribile<br />
Fudo giapponese che domina il drago vince<br />
nello stesso tempo ignoranza e oscurità.<br />
Gli aspetti negativi non sono certo i soli,<br />
ma quelli più importanti. <strong>Il</strong> simbolismo del<br />
drago <strong>è</strong> ambivalente , come risulta<br />
dall’immagine dell’estremo oriente dei due<br />
draghi affrontati , che si ritrova nell’arte<br />
medievale e, in particolare nell’ermetismo<br />
europeo e musulmano, dove la posizione frontale dei draghi assume <strong>un</strong>a forma<br />
analoga a quella del caduceo.<br />
<strong>Il</strong> drago <strong>è</strong> forse il <strong>simbolo</strong> più multietnico, presente nella cultura europea, cinese<br />
e ancora in quella indù giapponese e addirittura anglosassone, ricordo che il<br />
drago rosso <strong>è</strong> il <strong>simbolo</strong> del Galles. Questo<br />
animale mitologico <strong>è</strong> anche <strong>simbolo</strong> della<br />
potenza divina e della sintesi degli opposti.<br />
<strong>Il</strong> drago che ingurgita e vomita la sua preda<br />
trasfigurata <strong>è</strong> anche <strong>simbolo</strong> di profondo<br />
cambiamento. Questa immagine di origine<br />
mitica solare rappresenta l’eroe inghiottito<br />
dal drago. Vinto il mostro, l’eroe conquista<br />
l’eterna giovinezza. Compiuto il viaggio agli<br />
inferi egli risale dal paese dei morti e dalla<br />
prigione notturna del male( DAVS, 225)<br />
“ Tutti i draghi della nostra vita sono forse delle principesse che aspettano di<br />
vederci belli e coraggiosi. Tutte le cose terrificanti sono forse prive di soccorso in<br />
attesa del nostro aiuto”. <strong>Il</strong> drago <strong>è</strong> innanzitutto in noi stessi.
COSì PARLò ZARATHUSTRA: L’ETERNO RITORNO DELL’UGUALE<br />
LA VISIONE E L'ENIGMA<br />
I. Quando tra i marinai si diffuse la voce che Zarathustra era sulla nave - con lui<br />
infatti era salito a bordo <strong>un</strong> uomo che veniva dalle isole Beate - nacque grande<br />
curiosità e attesa. Ma Zarathustra tacque per due giorni, freddo e sordo di<br />
melanconia, sì da non rispondere né agli sguardi né alle domande. Alla sera del<br />
secondo giorno, però, egli riaprì le sue orecchie, sebbene tacesse ancora: si<br />
potevano infatti udire molte cose insolite e pericolose su questa nave, che veniva<br />
da lontano e andava ancor più lontano. Zarathustra, a sua volta, era <strong>un</strong> amico di<br />
tutti quelli che fanno l<strong>un</strong>ghi viaggi e a cui non piace vivere senza pericolo. Ed<br />
ecco che, a forza di ascoltare, gli si sciolse la lingua e si ruppe il ghiaccio intorno<br />
al suo cuore - allora cominciò a parlare così:<br />
A voi, temerari della ricerca e del tentativo, e a chi<strong>un</strong>que si sia mai imbarcato con<br />
ingegnose vele su mari terribili, -<br />
a voi, ebbri di enigmi e lieti alla luce del crepuscolo, a voi, le cui anime suoni di<br />
flauto inducono a perdersi in baratri labirintici:<br />
- giacché voi non volete con mano codarda seguir tentoni <strong>un</strong> filo; e dove siete.in<br />
grado di indovinare vi <strong>è</strong> in odio il dedurre -<br />
a voi soli racconterò l'enigmá che io vidi, - la visione del più solitario tra gli<br />
uomini.<br />
Cupamente andavo, or non <strong>è</strong> molto, nel crepuscolo livido di morte, - cupo, duro,<br />
le labbra serrate. Non soltanto <strong>un</strong> sole mi era tramontato.<br />
Un sentiero, in salita dispettosa tra sfasciume di pietre, maligno, solitario,<br />
cui,non si addicevano più né erbe né cespugli: <strong>un</strong> sentiero di montagna<br />
digrignava sotto il dispetto del mio piede.<br />
Muto, incedendo sul ghignante crepitio della ghiaia, calpestando il pietrisco, che<br />
lo faceva sdrucciolare: così il mio piede si faceva strada verso l'alto.<br />
Verso l'alto: - a dispetto dello spirito che lo traeva in basso, in basso verso abissi,<br />
lo spirito di gravità, il mio demonio e nemico capitale.<br />
Verso l'alto: - sebbene fosse seduto su di me, metà nano; metà talpa; storpio;<br />
storpiante; gocciante piombo nel cavo del mio orecchio, pensieri-gocce-di-piombo<br />
nel mio cervello.<br />
"O Zarathustra, sussurrava beffardamente sillabando le parole, tu, pietra<br />
filosofale! Hai scagliato te stesso in alto, ma qualsiasi pietra scagliata deve -<br />
cadere!<br />
O Zarathustra, pietra filosofale, pietra lanciata da fionda, tu che frantumi le<br />
stelle! Hai scagliato te stesso così in alto, - ma ogni pietra scagliata deve cadere!<br />
Condannato a te stesso, alla lapidazione di te stesso: o Zarathustra, <strong>è</strong> vero: tu<br />
scagliasti la pietra lontano, - ma essa ricadrà su di te!".<br />
Qui il nano tacque; e ciò durò a l<strong>un</strong>go. <strong>Il</strong> suo tacere però mi opprimeva; e l'essere<br />
in due in questo modo <strong>è</strong> in verità, più solitudine che l'essere solo!<br />
Salivo, - salivo, - sognavo, - pensavo: ma tutto mi opprimeva. Ero come <strong>un</strong><br />
malato: stremato dal suo tormento atroce, sta per dormire, ma <strong>un</strong> sogno, più<br />
atroce ancora, lo ridesta. -<br />
Ma c'<strong>è</strong> qualcosa che io chiamo coraggio: questo finora ha sempre ammazzato per<br />
me ogni scoramento. Questo coraggio mi impose alfine di fermarmi e dire: "Nano!
O tu! O io!". -<br />
Coraggio <strong>è</strong> infatti la mazza più micidiale, - coraggio che assalti: in<br />
ogni assalto infatti <strong>è</strong> squilla di fanfare.<br />
Ma l'uomo <strong>è</strong> l'animale più coraggioso: perciò egli ha superato tutti gli altri<br />
animali. Allo squillar di fanfare egli ha superato anche tutte le sofferenze; la<br />
sofferenza dell'uomo <strong>è</strong> però, la più profonda di tutte le sofferenze.<br />
<strong>Il</strong> coraggio ammazza anche la vertigine in prossimità degli abissi: e dove mai<br />
l'uomo non si trova vicino ad abissi! Non <strong>è</strong> la vista già di per sé <strong>un</strong> - vedere<br />
abissi?<br />
Coraggio <strong>è</strong> la mazza più micidiale: il coraggio ammazza anche la compassione. Ma<br />
la compassione <strong>è</strong> l'abisso più fondo: quanto l'uomo affonda la sua vista nella vita,<br />
altrettanto l'affonda nel dolore.<br />
Coraggio <strong>è</strong> però la mazza più micidiale, coraggio che assalti - esso ammazza<br />
anche la morte, perché dice: "Questo fu la vita? Orsù! Da capo!"<br />
Ma in queste parole sono molte squillanti fanfare. Chi ha orecchi, intenda.<br />
2. "Alt, nano! dissi. O io! O tu! Ma di noi due il più forte sono io -: tu non conosci<br />
il mio pensiero abissale!<br />
Questo - tu non potresti sopportarlo!". -<br />
Qui avvenne qualcosa che mi rese più leggero: il nano infatti mi saltò giù dalle<br />
spalle, incuriosito! Si accoccolò davanti a me, su di <strong>un</strong> sasso. Ma, proprio dove ci<br />
eravamo fermati, era <strong>un</strong>a porta carraia.<br />
"Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri<br />
convengono qui: ness<strong>un</strong>o li ha mai percorsi fino alla fine.<br />
Questa l<strong>un</strong>ga via fino alla porta e all'indietro: dura <strong>un</strong>'eternità. E quella l<strong>un</strong>ga via<br />
fuori della porta e avanti - <strong>è</strong> <strong>un</strong>'altra eternità.<br />
Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'<strong>un</strong> contro l'altro: e<br />
qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della<br />
porta: "attimo".<br />
Ma, chi ne percorresse <strong>un</strong>o dei due - sempre più avanti e sempre più lontano:<br />
credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?". -<br />
"Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità <strong>è</strong> ricurva,<br />
il tempo stesso <strong>è</strong> <strong>un</strong> circolo".<br />
"Tu, spirito di gravità! dissi lo incollerito non prendere la cosa troppo alla leggera!<br />
O ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato - e sono io che ti ho portato in alto!<br />
Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo,<br />
comincia all'indietro <strong>un</strong>a via l<strong>un</strong>ga, eterna: dietro di noi <strong>è</strong> <strong>un</strong>'eternità.<br />
Ogn<strong>un</strong>a delle cose che possono camminare, non dovrà forse avere già percorso<br />
<strong>un</strong>a volta questa via? Non dovrà ogn<strong>un</strong>a delle cose che possono accadere, già<br />
essere accaduta, fatta, trascorsa <strong>un</strong>a volta?<br />
E se tutto <strong>è</strong> già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche<br />
questa porta carraia - esserci già stata?<br />
E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l'<strong>un</strong>a all'altra, in modo tale<br />
che questo attìmo trae dietiro di sé tutte le cose avvenire? D<strong>un</strong>que - anche se<br />
stesso?<br />
Infatti, ogn<strong>un</strong>a delle cose che possono camminare: anche in questa l<strong>un</strong>ga via al di<br />
fuori - deve camminare ancora <strong>un</strong>a volta!<br />
E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di l<strong>un</strong>a, e persino questo chiaro<br />
di l<strong>un</strong>a e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti - non<br />
dobbiamo tutti esserci stati <strong>un</strong>'altra volta? - e ritornare a camminare in quell'altra
via al di fuori, davanti a noi, in questa l<strong>un</strong>ga orrida via - non dobbiamo ritornare<br />
in eterno?".-<br />
Così parlavo, sempre più flebile: perché avevo paura dei miei stessi pensieri e dei<br />
miei pensieri reconditi. E improvvisamente, ecco, udii <strong>un</strong> cane ululare.<br />
Non avevo già udito <strong>un</strong>a volta <strong>un</strong> cane ululare così? <strong>Il</strong> mio pensiero corse<br />
all'indietro. Sì! Quand'ero bambino, in infanzia remota: - allora udii <strong>un</strong> cane<br />
ululare così. E lo vidi anche, il pelo irto, la testa all'insù, tremebondo, nel più<br />
fondo silenzio di mezzanotte, quando anche i cani credono agli spettri:<br />
- tanto che ne ebbi pietà. Proprio allora la l<strong>un</strong>a piena, in <strong>un</strong> silenzio di morte,<br />
saliva sulla casa, proprio allora si era fermata, <strong>un</strong>a sfera incandescente, - tacita,<br />
sul tetto piatto, come su roba altrui:-<br />
ciò aveva inorridito il cane: perché i cani credono ai ladri e agli spettri. E ora,<br />
sentendo di nuovo ululare a quel modo, fui ancora <strong>un</strong>a volta preso da pietà.<br />
Ma dov'era il nano? E la porta? E il ragno? E tutto quel bisbigliare? Stavo<br />
sognando? Mi ero svegliato? D'<strong>un</strong> tratto mi trovai in mezzo a orridi macigni, solo,<br />
desolato, al più desolato dei chiari di l<strong>un</strong>a.<br />
Ma qui giaceva <strong>un</strong> uomo! E - proprio qui! - il cane, che saltava, col pelo irto,<br />
guaiolante, - adesso mi vide accorrere - e allora ululò di nuovo, urlò: - avevo mai<br />
sentito prima <strong>un</strong> cane urlare aiuto a quel modo?<br />
E, davvero, ciò che vidi, non l'avevo mai visto. Vidi <strong>un</strong> giovane pastore rotolarsi,<br />
soffocato, convulso, stravolto in viso, cui <strong>un</strong> greve serpente nero penzolava dalla<br />
bocca.<br />
Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di <strong>un</strong> volto? Forse,<br />
mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e - lì si era<br />
abbarbicato mordendo.<br />
La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava - invano! non riusciva a<br />
strappare il serpente dalle fauci. Allora <strong>un</strong> grido mi sfuggì dalla bocca: "Mordi!<br />
Mordi! Staccagli il capo! Mordi!", così gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio<br />
odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me - buono o cattivo - gridava da<br />
dentro di me, fuso in <strong>un</strong> sol grido.-<br />
Voi, uomini arditi che mi circondate! Voi, dediti alla ricerca e al tentativo, e<br />
chi<strong>un</strong>que tra di voi si sia mai imbarcato con vele ingegnose per mari inesplorati!<br />
Voi che amate gli enigmi!<br />
Sciogliete d<strong>un</strong>que l'enigma che io allora contemplai, interpretatemi la visione del<br />
più solitario tra gli uomini!<br />
Giacché era <strong>un</strong>a visione e <strong>un</strong>a previsione: - che cosa vidi allora per similitudine?<br />
E chi <strong>è</strong> colui che <strong>un</strong> giorno non potrà non venire?<br />
Chi <strong>è</strong> il pastore, cui il serprente strisciò in tal modo entro le fauci? Chi <strong>è</strong> l'uomo,<br />
cui le più grevi e le più nere fra le cose strisceranno nelle fauci?<br />
- <strong>Il</strong> pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido: e morse bene!<br />
Lontano da sé sputò la testa del serpente -; e balzò in piedi.-<br />
Non più pastore, non più uomo, - <strong>un</strong> trasformato, <strong>un</strong> circonfuso di luce, che<br />
rideva! Mai prima al mondo aveva riso <strong>un</strong> uomo, come lui rise!<br />
Oh, fratelli, udii <strong>un</strong> riso che non era di uomo, - e ora mi consuma <strong>un</strong>a sete, <strong>un</strong><br />
desiderio nostalgico, che mai si placa.<br />
La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere ancora! Come<br />
sopporterei di morire ora! -<br />
Così parlò Zarathustra.
Questo testo parla dell’”eterno ritorno dell’uguale”, che si fonda sull’eternità del<br />
corso del tempo in contrapposizione alla concezione lineare del tempo cristiano e<br />
idealista. La parte simbolicamente più interessante del brano, oltre a quello del<br />
demone talpa, <strong>è</strong> quella in cui il contadino morde il serpente. C’<strong>è</strong> da fare <strong>un</strong>a<br />
dovuta precisazione. In questo testo Nietzsche parla di serpente ma <strong>è</strong> in realtà da<br />
intendere come il mitico <strong>simbolo</strong> dell’uroboro o uroboros, il serpente che si morde<br />
la coda, <strong>simbolo</strong> di sintesi, ritorno e ciclicità. <strong>Il</strong> contadino affronta quindi l’ultima<br />
metamorfosi, diventa “io sono”, <strong>un</strong> circonfuso di luce, il super uomo, non<br />
accettando passivamente il ritorno del tempo, ma vivendo di <strong>un</strong> nichilismo attivo<br />
che si esplica in <strong>un</strong>a trasvalutazione dei valori che porta a volere il ritorno.<br />
IL SERPENTE-UROBOROS<br />
<strong>Il</strong> <strong>simbolo</strong> storicamente più rilevante che si incontra nel testo <strong>è</strong> l’uroboro, la cui<br />
testa <strong>è</strong> morsa dal contadino.<br />
<strong>Il</strong> serpente che si morde la coda rappresenta ,<br />
rappresenta <strong>un</strong> ciclo di evoluzione chiuso su se<br />
stesso. Questo <strong>simbolo</strong> racchiude nello stesso tempo<br />
le idee di movimento, di continuità, di<br />
autofecondazione e di eterno ritorno. La forma<br />
circolare dell’immagine ha dato luogo a <strong>un</strong>’altra<br />
interpretazione. L’<strong>un</strong>ione del mondo terrestre<br />
rappresentato dal serpente e del mondo celeste<br />
raffigurato dal cerchio. Questa interpretazione<br />
sarebbe confermata dal fatto che l’uroboros, in<br />
alc<strong>un</strong>e rappresentazioni <strong>è</strong> raffigurato metà nero e<br />
metà bianco. Significherebbe così che l’<strong>un</strong>ione di due<br />
principi opposti, il cielo e la terra, il bene e il male, il<br />
giorno e la notte, lo yin e lo yang cinesi, il loto nero e il loto<br />
bianco giapponesi, e tutti i valori di cui questi opposti sono i<br />
portatori.<br />
Generalizzando il serpente si distingue da tutte le specie<br />
animali, come l’uomo, ma nel senso contrario. Se l’uomo <strong>è</strong> il<br />
risultato di <strong>un</strong> l<strong>un</strong>go sforzo genetico, bisogna necessariamente<br />
porre questa creatura fredda, senza zampe, né peli, né piume,<br />
all’ inizio dello stesso sforzo. In questo senso l’Uomo e il<br />
Serpente sono gli opposti, i<br />
complementari, i rivali. In questo<br />
senso, vi <strong>è</strong> anche qualcosa del<br />
serpente nell’uomo, e particolarmente in colui che<br />
controlla meno il suo intelletto. Uno psicanalista (<br />
JUNH, 237) dice che il serpente <strong>è</strong> <strong>un</strong> “vertebrato che<br />
incarna la psiche inferiore, lo psichismo oscuro, ciò<br />
che <strong>è</strong> raro, incomprensibile, misterioso”. Non c’<strong>è</strong><br />
niente di più com<strong>un</strong>e di <strong>un</strong> serpente. Ma non c’<strong>è</strong><br />
senza dubbio niente di più scandaloso per lo spirito,<br />
in virtù proprio di questa semplicità.
<strong>Il</strong> serpente <strong>è</strong> presente in molte culture diverse sia per luogo sia per epoca. Se per i<br />
maya rappresentava il dio supremo, quetzalcoatl, il serpente piumato, dall’inizio<br />
dei tempi per la società e la cultura orientale e occidentale ha molto spesso avuto<br />
il ruolo di tentatore, com<strong>un</strong>que sempre in accezione negativa a parte per quanto<br />
riguarda il serpente-curatore, <strong>simbolo</strong> ancora dell’ordine dei medici e dei<br />
farmacisti.<br />
FASCISMO E NAZISMO, LA PROPAGANDA DEL SIMBOLO<br />
<strong>Il</strong> <strong>simbolo</strong> ha anche avuto <strong>un</strong> ruolo fondamentale per quanto riguarda la<br />
creazione del consenso ai regimi fascista e nazista.<br />
Entrambi i regimi predicavano ed esaltavano <strong>un</strong><br />
ritorno al passato trionfale della nazione, storico per<br />
quanto riguarda l’Italia, e mitologico per quanto<br />
riguarda la Germania. Se Benito Mussolini poteva<br />
infatti guardare con favore e ammirazione all’antico<br />
e splendente Impero Romano, Adolf Hitler non ebbe<br />
lo stesso appoggio, e fondò la propria propaganda<br />
sul passato mitico costruito ad hoc dalla grandiosa<br />
e trionfale opera Wagneriana. È significativo per<br />
comprendere quanto fosse fondamentale la<br />
creazione del<br />
consenso per i<br />
due regimi<br />
pensare che<br />
vennero istituiti<br />
addirittura due<br />
ministeri con<br />
l’<strong>un</strong>ico incarico di<br />
perfezionare la propaganda a favore del regime<br />
, il “minculpop” (ministero cultura popolare)<br />
italiano, e il ministero per la propaganda con a<br />
capo il celeberrimo Goebbels per quanto<br />
riguarda il terzo Reich. Negli anni dei regimi<br />
non c’era nulla di non controllato dai ministeri.<br />
La propaganda era inserita nelle pubblicità;<br />
appariva sui muri, nelle piazze, alla radio; i<br />
simboli nazifascisti apparivano al cinema,<br />
durante le parate, sui monumenti e sulle<br />
divise. Un vero e proprio controllo delle menti<br />
delle masse.<br />
Negli anni seguenti alla Grande Guerra si era affermata definitivamente quella<br />
che molti storici hanno chiamato “società di massa” e si affermarono a livello<br />
politico quei partiti che riuscirono a far leva su questa cosiddetta massa.<br />
Attraverso diversi metodi l’uomo com<strong>un</strong>e doveva sentirsi partecipe della politica e<br />
della vita dello stato, delle grandi vittorie e godere del prestigio internazionale<br />
della propria grande nazione. E a questo servirono le dimostrazioni pubbliche, le<br />
parate militari, la militarizzazione della struttura scolastica. L’individuo non era
più solo. Egli sottostava <strong>un</strong> capo, a degli ordini ed era parte integrante di <strong>un</strong><br />
gruppo che sosteneva la nazione, la propria nazione. L’uomo com<strong>un</strong>e era<br />
diventato <strong>un</strong> uomo-nazione, potente. Egli si identificava nei simboli di quel regime<br />
che gli aveva donato<br />
finalmente<br />
<strong>un</strong>’identità sociopolitica,<br />
e<br />
combatteva per essi,<br />
e moriva per essi. Si<br />
identificava nel<br />
monumento<br />
nazionale, nelle<br />
piazze intitolate al<br />
Fuhrer che sentiva<br />
anche <strong>un</strong> po’ proprie<br />
e ancora nella<br />
bandiera che<br />
sventolava con la<br />
svastica, l’aquila o il<br />
fascio littorio.<br />
Ovviamente i simboli<br />
furono scelti con minuziosa attenzione da parte dei regimi. Tutti infatti<br />
riconducono a maestosità, a potenza e addirittura, paradossalmente, a libertà.<br />
Analizzerò ora alc<strong>un</strong>i simboli utilizzati dai regimi, in particolare quello nazista.<br />
LA SVASTICA<br />
La svastica <strong>è</strong> <strong>un</strong>o dei simboli più diffusi e più antichi. La si trova infatti<br />
dall’estremo dell’ Asia all’ America centrale, passando per la Mongolia, l’India e l’<br />
Europa del Nord. Fu nota ai Celti, agli Etruschi,<br />
agli antichi Greci da cui deriva il segno<br />
ornamentale chiamato greca. Alc<strong>un</strong>i studiosi la<br />
fanno risalire agli Atlanti, per indicarne la remota<br />
antichità rispetto, forse, ai significati tradizionali<br />
primordiali. “Simbolo fra i più ricchi che<br />
innumerevoli civiltà hanno adottato come<br />
emblema principale. La svastica rappresenta<br />
l’asse verticale di <strong>un</strong>a giostra a quattro bracci, il<br />
cui movimento di rotazione <strong>è</strong> espresso dal giro di<br />
ciasc<strong>un</strong> braccio come altrettanti nastri<br />
ondeggianti al vento o piedi che imprimono<br />
impulso al motore… i Cristi dell’iconografia<br />
romana sono spesso raffigurati attorno a <strong>un</strong>a<br />
spirale o a <strong>un</strong>a svastica: queste figure ritmano l’atteggiamento, organizzano i<br />
gesti, le pieghe dell’abito. Si trova così reintrodotto il vecchio <strong>simbolo</strong> del turbine
della creazione attorno al quale si dispongono a piani le gerarchie create che ne<br />
emanano”. (CHAS,25).<br />
Quale ne sia il significato, la svastica indica chiaramente <strong>un</strong> movimento di<br />
rotazione intorno al centro, attorno al mozzo immobile della ruota, che <strong>è</strong> il polo<br />
del mondo manifestato. È il <strong>simbolo</strong> della generazione di cicli <strong>un</strong>iversali, delle<br />
correnti di energia: non del mondo, ma dell’azione<br />
del Principio nei confronti della manifestazione. In<br />
questo senso ha potuto essere a l<strong>un</strong>go considerata<br />
<strong>un</strong> emblema del Cristo, dalle catacombe<br />
dell’occidente medievale al nestorianesimo delle<br />
steppe asiatiche ; <strong>è</strong> anche <strong>un</strong> emblema del<br />
Buddha, in quanto raffigura la ruota della Legge<br />
che gira attorno al centro immobile. Agni, il<br />
Fuoco, compare talvolta nel suo centro. Nel<br />
simbolismo massonico, il centro della svastica<br />
raffigura la stella polare e i quattro gamma, che la<br />
costituiscono, le quattro posizioni cardinali<br />
dell’Orsa Maggiore attorno a essa.<br />
I due sensi di rotazione della svastica sembrano non avere l’importanza che si <strong>è</strong><br />
spesso cercato di attribuire loro. Ma essi richiamano i due avvolgimenti della<br />
spirale doppia, la corrente doppia yin e yang dell’energia cosmica, la rotazione del<br />
mondo vista rispettivamente dall’<strong>un</strong>o e dall’altro dei due poli. Nell’iconografia<br />
Indù talvolta la svastica sostituisce puramente e semplicemente la ruota, ad<br />
esempio come emblema del naga. È anche l’emblema di Ganesha, divinità della<br />
conoscenza, e talvolta manifestazione del Principio supremo. I bracci della croce<br />
della svastica corrispondono al simbolismo generale<br />
che ho esposto sopra, ma i bracci torti<br />
indicherebbero che le forme esterne del mondo non<br />
conducono direttamente al mozzo, ma la via <strong>è</strong><br />
contorta.<br />
In Cina la svastica <strong>è</strong> il segno del numero diecimila,<br />
che <strong>è</strong> la totalità degli esseri nella manifestazione. È<br />
anche la forma primitiva del carattere fang: indica in<br />
questo caso le quattro direzioni dello spazio<br />
quadrato, della terra, l’espansione orizzontale a<br />
partire dal centro. Potrebbe essere anche in relazione<br />
alla disposizione dei numeri del Loshou, che<br />
richiama in ogni caso il movimento di rotazione<br />
ciclico. Esistono anche forme secondarie della svastica, come quella a bracci<br />
incurvati, usata nei Paesi Baschi, che ricorda con particolare chiarezza la spirale<br />
doppia. Tale <strong>è</strong> anche quella della svastica clavigera, di cui ciasc<strong>un</strong> braccio <strong>è</strong><br />
costituito da <strong>un</strong>a chiave : <strong>è</strong> <strong>un</strong> espressione del tutto completa del simbolismo<br />
delle chiavi, in quanto l’asse verticale corrisponde alla f<strong>un</strong>zione sacerdotale e ai<br />
solstizi, l’asse orizzontale alla f<strong>un</strong>zione regale e agli equinozi.
L’AQUILA<br />
L’aquila capace di innalzarsi al di sopra delle nuvole e di fissare il sole, <strong>è</strong><br />
<strong>un</strong>iversalmente considerata come <strong>un</strong> <strong>simbolo</strong> insieme celeste e solare e i due<br />
aspetti talvolta possono confondere. Regina degli uccelli ne completa il<br />
simbolismo generale, che <strong>è</strong> lo stesso degli<br />
angeli, degli stati spirituali superiori.<br />
Nell’antichità classica <strong>è</strong> l’uccello di Zeus con il<br />
quale talvolta si identifica: il suo ruolo di<br />
regina del cielo <strong>è</strong> esplicito anche per gli<br />
sciamani siberiani. La sua identificazione con<br />
il sole, fonte della luce, <strong>è</strong> essenziale per gli<br />
indiani d’America den nord che, portando in testa piume d’aquila, si identificano<br />
con questo irraggiamento spirituale quanto fisico. Le piume d’aquila e il fischietto<br />
d’osso d’aquila sono utilizzati nella “Danza del Sole”.<br />
La stessa identificazione si verificava preso gli Aztechi e anche in Giappone: il<br />
Kami il cui messaggero o supporto <strong>è</strong> <strong>un</strong> aquila <strong>è</strong> chiamato aquila del sole celeste.<br />
In Grecia si dice che le aquile, partite dall’estremità del mondo, si fermarono sulla<br />
verticale dell’ Omphalos di Delfi: seguono quindi la traiettoria del sole, dal suo<br />
sorgere allo zenit che coincide con l’asse del<br />
mondo. L’aquila che fissa il sole <strong>è</strong> anche il<br />
<strong>simbolo</strong> della percezione diretta della luce<br />
dell’intelletto. “ l’aquila guarda senza timore<br />
il sole ben in faccia”, scrive Angelus<br />
Silesius, “ e tu puoi guardare la luce eterna<br />
se il tuo cuore <strong>è</strong> puro”. Simbolo della<br />
contemplazione, che spiega con<br />
l’attribuzione dell’aquila a san Giovanni e al<br />
suo Vangelo. Alc<strong>un</strong>e opere d’arte del<br />
medioevo la identificano con lo stesso<br />
Cristo, di cui rappresenta l’ascensione e<br />
quindi la regalità.<br />
Secondo questa interpretazione l’aquila sarebbe <strong>un</strong>a trasposizione del <strong>simbolo</strong><br />
romano dell’impero, <strong>simbolo</strong> che sarà anche quello del Sacro Romano Impero<br />
medievale. I Salmi, infine, ne fanno <strong>un</strong> <strong>simbolo</strong> di rigenerazione spirituale, come<br />
la fenice.<br />
<strong>Il</strong> simbolismo dell’aquila comporta anche <strong>un</strong> aspetto malefico. Spesso il<br />
rovesciamento del <strong>simbolo</strong> del Cristo ne fa <strong>un</strong>’immagine dell’Anticristo: l’aquila <strong>è</strong><br />
il rapace crudele, il rapitore. Talvolta <strong>è</strong> anche, in<br />
quanto associato ai vari aspetti del potere imperiale<br />
<strong>simbolo</strong> d’orgoglio e oppressione. È la perversione del<br />
suo potere.<br />
Atro aspetto solare <strong>è</strong> quello dell’uccello mitico Garuda,<br />
che in origine era <strong>un</strong>’aquila. Uccello solare, “brillante<br />
come il fuoco”, cavalcatura di Vishnu, a sua volta<br />
divinità di natura solare, Garuda <strong>è</strong> nemico del<br />
serpente. La dualità di aquila e serpente significa,<br />
<strong>un</strong>iversalmente, contrapposizione di cielo e terra, evoca<br />
la lotta dell’angelo contro il demone. In Cambogia,<br />
Garuda <strong>è</strong> l’emblema dei sovrani di stirpe solare, il Naga
quello dei sovrani di razza l<strong>un</strong>are. Garuda <strong>è</strong> anche <strong>simbolo</strong> della parola alata, il<br />
triplice Veda, <strong>un</strong> <strong>simbolo</strong> del verbo, caratteristiche tutte com<strong>un</strong>i anche all’aquila<br />
nell’iconografia cristiana. Garuda <strong>è</strong> anche <strong>simbolo</strong> di forza, di coraggio, di<br />
penetrazione; caratteristiche com<strong>un</strong>i all’aquila, grazie all’acutezza della sua vista.<br />
CONCLUSIONI<br />
Come detto nell’introduzione, il mondo dei simboli mi ha da sempre affascinato, e<br />
attraverso l’approfondimento dovuto a questo lavoro, mi sono interessato sempre di<br />
più a questo ambito della filosofia, come della storia e dell’arte, e continuerò a<br />
documentarmi e a informarmi. <strong>Il</strong> mondo dei simboli <strong>è</strong> fatto di culture, di prospettive<br />
differenti, di popoli e tradizioni. Se io dicessi che in Europa intera si <strong>è</strong> diffusa da<br />
millenni <strong>un</strong>a setta che adora <strong>un</strong> uomo appeso a <strong>un</strong>o strumento di tortura, e i cui<br />
adepti bevono sangue e mangiano carne, sarebbe <strong>un</strong>o scandalo. Ma <strong>è</strong> solo<br />
questione ancora <strong>un</strong>a volta di prospettive. Questa setta non <strong>è</strong> altro che <strong>un</strong>a delle<br />
due religioni più diffuse al mondo, il Cristianesimo, e nelle mie affermazioni non<br />
c’era ness<strong>un</strong> intento dispregiativo o ironico, ma solo la volontà di dimostrare come<br />
cambiando il p<strong>un</strong>to di vista, <strong>un</strong>a cosa possa apparire completamente diversa,<br />
oscena, macabra. <strong>Il</strong> <strong>simbolo</strong> <strong>è</strong> costituito dagli uomini che lo guardano e lo<br />
interpretano, il <strong>simbolo</strong> <strong>è</strong> tradizione ma mi ripeto il <strong>simbolo</strong> <strong>è</strong> <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di vista, di<br />
cui ce ne sono differenti in ogni angolo del mondo e che andrebbero capiti, e magari<br />
compresi, prima che attaccati.<br />
Alberto Airoldi