Cecco d'Ascoli, L'Acerba, Invettiva contro Dante - Aula Digitale
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1<br />
La vita oscura<br />
e poco<br />
conosciuta<br />
L’AcerbA<br />
Le tematiche<br />
Le origini e il Duecento <strong>Cecco</strong> d’Ascoli<br />
<strong>Cecco</strong> d’Ascoli<br />
Poche e a volte incerte sono le notizie sulla vita di Francesco Stabili, noto come <strong>Cecco</strong><br />
d’Ascoli, insegnante di astrologia nella Facoltà delle Arti di Bologna, poi condannato<br />
per eresia e sospeso dall’insegnamento, quindi di nuovo processato, per ragioni non<br />
chiare, condannato al rogo e arso nel 1327.<br />
Oltre a opere latine di carattere scientifico, scrive anche un famoso commento ai trattati<br />
astronomici di Alcabizio e di Sacrobosco (il monaco inglese John Holiwood). Il titolo<br />
del suo poema volgare, L’Acerba, allude all’acerbità della giovinezza, da educare secondo<br />
la scienza e la filosofia naturale. Altri, tra cui i futuristi fiorentini, che ai primi del Novecento<br />
intitolarono la loro rivista Lacerba (secondo la grafia medievale), vi hanno invece<br />
visto un riferimento all’asprezza della materia e un possibile precedente per il loro anticonformismo.<br />
L’Acerba è un poema in 5 libri, per complessivi 4867 versi (dell’ultimo libro<br />
rimangono poco più di cento versi, a causa della morte improvvisa dell’autore) che<br />
tratta di astronomia e cosmologia, morale, alchimia e altre scienze.<br />
Il poema L’Acerba è dichiaratamente concepito <strong>contro</strong> la Commedia dantesca, con la<br />
quale polemizza in più occasioni (confermandone così l’immediato successo), con argomenti<br />
tipici della scienza dell’epoca, volendo mettere<br />
in evidenza soprattutto la necessità di separare teologia<br />
e scienze della natura. Della Commedia utilizza parzialmente<br />
il metro, rivelando le sue intenzioni polemiche<br />
ma, al tempo stesso, subendone il fascino.<br />
Molto interessante dal punto di vista<br />
LA VITA E LE OPERE<br />
1269 ca.
2<br />
Le origini e il Duecento <strong>Cecco</strong> d’Ascoli<br />
culturale, l’opera è a tratti poeticamente riuscita. Generalmente, però, appare compressa<br />
dagli intenti didascalici perseguiti dall’autore, con punte di vera e propria oscurità.<br />
L’Acerba<br />
<strong>Invettiva</strong> <strong>contro</strong> <strong>Dante</strong><br />
L’Acerba ■ IV, XII, vv. 4674-4694<br />
L’attacco<br />
antidantesco<br />
<strong>Cecco</strong> d’Ascoli, L’Acerba<br />
[Acerba etas],<br />
a cura di M. Albertazzi,<br />
La Finestra editrice,<br />
Trento 2002, con modifiche.<br />
È uno dei più noti passi dell’Acerba, dove la polemica antidantesca si manifesta nel modo più<br />
esplicito: l’astio verso Alighieri raggiunge, nell’occasione, soluzioni verbali di positivo e inconsueto<br />
effetto.<br />
Qui non se canta al modo de le rane 1 ,<br />
qui non se canta al modo del poeta 2<br />
che finge imaginando cose vane 3 :<br />
ma qui resplende e luce 4 onne natura 5<br />
5 che a chi intende 6 fa la mente lieta;<br />
qui non se sogna per la selva obscura 7 .<br />
Qui non veggo Paulo né Francesca 8 ,<br />
de li Manfredi non veggo Alberigo,<br />
e de li amari frutti la dolce esca 9 ;<br />
10 del mastin vecchio e novo da Verucchio,<br />
che fece de Montagna qui non dico 10 ,<br />
né di Franceschi lo sanguigno mucchio 11 .<br />
Non veggio el Conte che per ira e asto<br />
tèn forte l’arcivescovo Ruggero,<br />
15 prendendo del so ceffo fiero pasto 12 ;<br />
1. al modo delle rane: ‘in modo sgraziato<br />
e inutile’.<br />
2. poeta: <strong>Dante</strong>.<br />
3. che ... vane: ‘che con la sua immaginazione<br />
inventa e narra cose false’.<br />
4. resplende e luce: dittologia sinonimica.<br />
5. onne natura: ‘ogni verità naturale’.<br />
6. a chi intende: ‘a chi la comprende’.<br />
7. qui ... obscura: citazione di If. I, 2.<br />
8. Qui ... Francesca: allusione all’episodio<br />
di Paolo e Francesca in If. V. Inizia<br />
una lunga serie di citazioni (vv. 7-16)<br />
da celebri episodi della Commedia, tutti<br />
dell’Inferno.<br />
9. de li ... esca: ‘(qui) non vedo Alberigo<br />
dei Manfredi e la dolce trappola degli<br />
amari frutti’, con allusione a If. XX-<br />
XIII, 118-120 e all’assassinio da parte<br />
di Alberigo dei propri parenti, ordinata<br />
per il momento in cui fosse stata portata<br />
in tavola la frutta.<br />
10. del mastin ... dico: ‘non dico che<br />
fecero di Montagna i Malatesta, padre<br />
(il «vecchio») e figlio (il «novo»)’. I Malatesta,<br />
che fecero morire crudelmente il<br />
capo ghibellino Montagna dei Parcita-<br />
METRO<br />
Metro: strofe («mosse» secondo<br />
l’autore) di sei endecasillabi rimati<br />
ABA, CBC, formate dunque da due<br />
terzine ma rimate a due a due.<br />
ti, sono chiamati «mastini» per sottolineare<br />
la loro crudeltà. Allude a If. XXVII,<br />
46-48.<br />
11. né ... mucchio: ‘né il mucchio insanguinato<br />
dei Francesi’. Allude di nuovo<br />
a If. XXVII, 43-45 e alla strage di cavalieri<br />
francesi compiuta da Federico da<br />
Montefeltro durante l’assedio di Forlì<br />
(1281-1283).<br />
12. Non veggio ... pasto: ‘non vedo il<br />
conte che per ira e astio tiene forte (con<br />
i denti) l’arcivescovo Ruggieri, facendo<br />
orrido pasto della sua testa («ceffo», da<br />
chef, per francesismo)’: il conte Ugolino<br />
che in If. XXXIII, 1 e sgg. addenta la<br />
testa del traditore e persecutore Ruggieri.<br />
© 2011 RCS Libri S.p.A./La Nuova Italia – R. Antonelli, M.S. Sapegno, Il senso e le forme
3<br />
Le origini e il Duecento <strong>Cecco</strong> d’Ascoli<br />
non veggio qui squadrare a Dio le fiche 13 .<br />
Lasso le ciance e torno su nel vero:<br />
le fabule me fur sempre inimiche 14 .<br />
El nostro fine è de veder Osanna 15 :<br />
20 per nostra santa fede a Lui se sale<br />
e senza fede l’opera se danna 16 .<br />
Al santo regno de l’eterna pace<br />
convence de salir per le tre scale 17 ,<br />
ove l’umana salute non tace 18 :<br />
25 a ciò ch’eo vegga con l’alme 19 divine<br />
el sommo bene de l’eterno fine 20 .<br />
13. non veggio ... fiche: ‘non vedo qui<br />
fare le fiche a Dio, stringendo la mano’<br />
e cioè con pollice posto fra l’indice e<br />
il medio ripiegati. Allude a If. XXV, 1-3<br />
e al gesto di sfida <strong>contro</strong> Dio del ladro<br />
Vanni Fucci.<br />
14. Lasso ... inimiche: ‘tralascio le<br />
chiacchiere e torno a parlare delle cose<br />
ANALISI DEL TESTO<br />
L’attacco antidantesco<br />
L’attacco <strong>contro</strong> <strong>Dante</strong> (citato o evocato anche in<br />
altri luoghi del poema) è esplicito e violento, sottolineato<br />
dall’uso dell’anafora («qui», vv. 1-2, ma<br />
ancora al v. 6 e, sottolineando la funzione avversativa,<br />
al v. 4 e poi al v. 16; «veggo», v. 7 e v. 16,<br />
poi ripreso contrastivamente, all’infinito, al v. 19,<br />
e infine, «vegga», al v. 25): la poesia di <strong>Dante</strong> è<br />
paragonata al gracchiare delle rane in quanto futile<br />
e inutile (vv. 1-3); di <strong>contro</strong>, L’Acerba è il poema<br />
che ricerca la verità naturale, in contrasto con le<br />
fantasie dantesche. L’avverbio «non», ripetuto ai<br />
vv. 1, 2, 6, 7, 8, 11, 13, 16, 24, esprime con forza<br />
ossessiva lo scopo centrale di queste strofe: opporsi<br />
a <strong>Dante</strong> e al suo poema, contrapponendo<br />
alla verità della “finzione” (fictio) la verità della<br />
scienza (vv. 4-6).<br />
vere: non ho mai amato le favole’.<br />
15. Osanna: la gloria celeste (ma in<br />
ebraico significava ‘salve’).<br />
16. per nostra ... danna: accusa <strong>Dante</strong><br />
di essere senza fede e rovescia<br />
un famoso passo della lettera di san<br />
Giacomo:«la fede senza opere è morta»<br />
(II, 17).<br />
17. per le tre scale: fede, speranza e<br />
carità, le tre virtù teologali. Non bisogna<br />
cioè confondere ragione e fede.<br />
18. ove ... tace: ‘dove la salvezza umana<br />
è destinata a durare’.<br />
19. alme: ‘anime’, i beati.<br />
20. el sommo ... fine: Dio.<br />
Contro le finzioni poetiche<br />
Il poeta si perde dunque a raccontare di amanti<br />
lussuriosi o di assassini, stragi e fatti orrendi (vv.<br />
7-16): tutte chiacchiere. <strong>Cecco</strong> non ama le favolette<br />
ma la verità (vv. 17-18).<br />
Fede e opere, fede e ragione<br />
Non esplicitamente, ma senza possibilità di equivoco<br />
(vv. 19-24), <strong>Cecco</strong> conclude contestando<br />
<strong>Dante</strong> e la Commedia anche dal punto di vista<br />
ideologico e religioso: non si può mescolare verità<br />
naturale e teologia, ragione e fede. Senza<br />
fede le opere portano alla dannazione: per salire<br />
fino a Dio (e alla sua vista, come <strong>Dante</strong> nell’ultimo<br />
canto del Paradiso) bisogna praticare le tre virtù<br />
teologali (fede, speranza e carità), non altro (vv.<br />
22-26).<br />
© 2011 RCS Libri S.p.A./La Nuova Italia – R. Antonelli, M.S. Sapegno, Il senso e le forme