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vertebrale è minore dell’1% e l’errore di accuratezza è circa del 2-4 %. La DXA<br />

permette una risoluzione dell’immagine fino a 0,76 mm x 1 mm, il che consente di<br />

ottenere immagini più dettagliate e di qualità simile a quella prodotta da apparecchi<br />

radiografici e soprattutto una maggiore affidabilità rispetto alle tecniche precedenti.<br />

La DXA, nonostante i suoi grandi vantaggi, richiede una procedura altamente<br />

standardizzata; è importante che il soggetto o la struttura ossea da analizzare sia<br />

sempre ben centrato e nella stessa posizione, e che la macchina venga periodicamente<br />

tarata utilizzando il fantoccio di calibrazione.<br />

La tecnologia DXA è diventata una procedura standard per una valutazione non<br />

invasiva del contenuto minerale osseo (BMC) e della densità minerale ossea (BMD)<br />

nella ricerca e nella clinica medica umana (Ortolani, 1990; De Aloysio et al., 1994),<br />

anche se i dati relativi ai piccoli animali sono ancora pochi (Lauten et al., 2000).<br />

Essendo uno strumento molto sensibile, consente di svolgere misurazioni di tipo<br />

seriale negli stessi soggetti evidenziando cambiamenti relativamente piccoli nella<br />

massa ossea in una serie di misurazioni nel tempo; permette perciò di eseguire studi di<br />

lunga durata sulle condizioni metaboliche associate alla rarefazione dell’osso e sugli<br />

effetti sperimentali dei farmaci sul metabolismo di quest’ultimo, nonché sulla<br />

nutrizione, sulla crescita e sullo sviluppo scheletrico (Grier et al., 1996; Guglielmini et<br />

al., 2002; Zotti et al., 2003, 2004). La DXA può essere inoltre utilizzata per misurare<br />

la risposta dell’osso alle fratture, misurando le BMD del sito di frattura e dell’osso<br />

distalmente al sito di frattura (Janes et al., 1993; Eyres e Kanis, 1995).<br />

La dose radioattiva che riceve l’operatore eseguendo l’indagine DXA non viene<br />

considerata rischiosa, non è necessario interporre schermi antiradiazioni tra il paziente<br />

e il radiologo, anche se quest’ultimo si trova a meno di un metro di distanza dal tavolo<br />

dove viene eseguita la scansione. Con le nuove generazioni di densitometri la dose a<br />

cui vengono esposti sia il paziente che l’operatore aumentano in modo significativo.<br />

Patel et al.(1996) hanno visto che, utilizzando la macchina QDR 4500, il radiologo è<br />

esposto ad una dose di 2,4 µSv all’ora contro i 0,12 µSv/h del QDR 1000. Per ovviare<br />

a questo inconveniente, l’operatore dovrebbe rimanere ad almeno 2 metri di distanza<br />

dal paziente nel corso della scansione. Per quanto riguarda il paziente, la dose<br />

radioattiva a cui viene esposta la regione interessata dall’analisi è di circa 5 µSv, una<br />

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