1.La prima spedizione di Vasco da Gama in India. - pagina

Il testo che segue è la traduzione di un diario di bordo della prima
spedizione portoghese riuscita verso l'India, che ebbe al comando Vasco da
Gama. Il manoscritto originale è naturalmente scritto in portoghese, è
anche anonimo. Gli studiosi hanno formulato l'ipotesi che fosse un certo
Alvaro Velho a scrivere il giornale. In effetti, Velho partecipò alla
spedizione ma finora non abbiamo nessuna certezza che l'autore fosse
realmente lui.
Una traduzione in italiano fu pubblicata nel 1987 sotto il titolo:
"Il Roteiro di Vasco da Gama: diario di bordo del primo viaggio alle Indie
1497-1499 di Alvaro Velho", Verona, Cassa di Risparmio di Verona,
Vicenza e Belluno, 1987, 233 pp.
Di seguito si danno poche pagine corrispondenti al primo contatto con la
città di Calicut. Nelle parentesi quadre e in corsivo ho scritto il riassunto di
righe omesse o la grafia moderna di una parola.
Questa città di Melinde [Malindi nel Kenia] è situata in una baia e sorge
lungo la spiaggia; somiglia a Alcouchete [città del Portogallo]; le case sono
alte e molto bene intonacate e con molte finestre. Dietro di essa, verso
l'interno, c'è molto vicino alle case un grande palmeto, e tutta la terra
intorno è di piantagioni di miglio e di altri legumi.
Davanti a questa città rimanemmo nove giorni. E durante questi nove giorni,
si facevano sempre a terra feste e molti tornei a piedi e si suonavano molti
strumenti.
Il martedì, giorno 24 del detto mese [di aprile], partimmo di qui con il pilota
che ci aveva dato il Re, diretti a una città che si chiama Calicut, della quale
città il Re aveva notizia, e salpammo verso Levante alla sua ricerca.

[è omessa la descrizione della navigazione]
E un venerdì, che fu il giorno 18 maggio, avvistammo una terra alta, dopo
ventitré giorni che non vedevamo terra, avendo navigato tutti questi giorni
con vento in poppa, per cui il meno che potemmo percorrere in questa
traversata furono 600 leghe.
[si omettono altri particolari relativi alla navigazione per avvicinarsi alla
costa fino a gettare l'ancora]
E dopo che ci fummo così ancorati, vennero da terra fino a noi quattro
imbarcazioni, le quali venivano per sapere che gente fossimo, e ci dissero e
c'indicarono Calicut.
E il giorno appresso vennero ancora queste barche alle nostre navi, e il
capitano maggiore mandò uno dei deportati a Calicut; e quelli con cui
andava lo portarono dove stavano due mori di Tunisi, che sapevano parlare
castigliano e genovese, i quali lo salutarono subito con le parole "Ma che
Diavolo! Chi ti ha portato fin qui?" - Gli chiesero cos'eravamo venuti a
cercare in luoghi così lontani, ed egli rispose: "Cerchiamo cristiani e spezie"
- "E perché, dissero, il Re di Castiglia, il Re di Francia e la Signoria di
Venezia non inviano nessuno?" - Egli rispose che il Re di Portogallo non
permetteva loro di farlo; essi replicarono che aveva ben ragione. Poi gli
offrirono per ospitalità pane di grano e miele; quando ebbe finito di
mangiare tornò alle navi. Uno dei Mori l'accompagnò e salito a bordo
iniziò a dire "Che fortuna, che fortuna! qui ci sono tanti rubini e smeraldi;
dovete rendere molte Grazie al Vostro Dio che vi ha condotto in un paese
con tante ricchezze!". Ciò era per noi motivo di tanta meraviglia che lo
udivamo parlare e non credevamo che esistesse uomo, così lontano dal
Portogallo, che ci potesse intendere nel nostro parlare.
Questa città di Calicut è di cristiani, i quali sono uomini scuri di pelle. E
alcuni di essi vanno con barbe grandi e i capelli della testa lunghi, e altri
portano le teste calve e rase; e portano sul cranio dei ciuffi, per indicare che
sono cristiani, e peli sul mento. E portano le orecchie forate, e nei buchi di
esse molto oro. E vanno nudi dalla cintola in su, e in basso portano dei
panni di cotone molti sottili; e quelli che vanno così vestiti sono i più
ragguardevoli, giacché gli altri si vestono come possono.

Le donne di questa terra, in genere, sono brutte e piccoline. E portano al
collo molti gioielli d'oro, e sulle braccia molti braccialetti, e sulle dita dei
piedi portano anelli con pietre preziose.
Tutta questa gente è di buon carattere, e sono cordiali, a quanto sembra; e
sono uomini che, almeno a prima vista, sanno poco e sono molto cupidi.
Nel momento in cui noi arrivammo a questa città di Calicut, il suo Re si
trovava a 15 leghe di lì. E il capitano maggiore gli mandò due uomini, per
mezzo dei quali gli fece sapere che un ambasciatore del Re di Portogallo era
arrivato colà e portava lettere di lui, e che se egli desiderava gliele avrebbe
portate dove si trovava. Il quale Re, giuntagli detta ambasciata del capitano,
regalò delle stoffe molto belle ai due uomini che glie l'avevano recata. E gli
mandò a dire che fosse il benvenuto; e che egli sarebbe tornato subito a
Calicut, come di fatto partì immediatamente con molta gente a seguito.
[il Re indica un porto migliore per ancorare le navi di Vasco da Gama,
infine manda una scorta armata per accompagnare il capitano fino alla
residenza reale]
L'indomani mattina che era di lunedì 28 maggio, egli [Vasco da Gama]
s'incamminò per andare dal Re e portò con sé 13 uomini del suo equipaggio
e io ero del numero. Eravamo tutti vestiti a festa, con artiglieria sulle barche,
trombe e molte bandiere.
[si omettono alcune circostanze del cammino per terra fino a Calicut città]
Il capitano maggiore salì di nuovo in portantina e durante il nostro cammino
la folla di gente che accorreva per vederci era innumerevole; le donne stesse
uscivano dalle case con i bambini in braccio e ci seguivano. Giunti a Calicut,
essi ci condussero in una grande chiesa, dove si notava quanto segue.
Primo, l'edificio della chiesa è grande quanto un monastero. La chiesa è
interamente costruita di pietra e sul tetto è ricoperta di tegole; alla porta
principale c'è una colonna di bronzo alta quanto un albero di nave e in cima
si trova un uccello che sembra un gallo; c'è poi un'altra colonna alta quanto
un uomo e molto grossa.
Nel mezzo della navata della chiesa si vedeva un duomo tutto di pietra con
una porta per il passaggio di un uomo, e i gradini che salivano alla porta
erano di bronzo; nell'interno c'era una piccola immagine che dissero essere
della Vergine Maria. Di fronte alla porta principale, lungo il muro, erano

sospese sette piccole campane. Qui il capitano maggiore si mise a pregare
come anche noi; non entrammo punto nella cappella perché hanno per
regola che nessuno vi entra tranne alcune persone al servizio della chiesa
che chiamano "quafees". Questi "quafees" portano una specie di cordicella
gettata in spalla che passano sotto al braccio destro come i diaconi portano
la stola. Ci aspersero d'acqua santa e ci diedero una polvere bianca che i
cristiani di questo paese sogliono mettersi in testa, sul petto, dietro il collo e
sulle braccia. Queste cerimonie essi fecero al capitano maggiore e gli
offrirono la polvere perché se ne servisse. Egli la prese e la conservò
facendo capire che l'avrebbe usata più tardi. Sui muri della chiesa si
vedevano molte altre pitture rappresentando dei santi con diademi e queste
immagini erano diverse, alcune avevano dei denti così grossi che uscivano
un palmo dalla bocca, e ciascun santo aveva 4 o 5 braccia.