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1 - Renzo Zagnoni VICENDE STORICHE DEL SANTUARIO DELLA ...

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e di liturgia presso un parente parroco in Garfagnana, risulta non aderente alla sua biografia, poiché<br />

egli sicuramente imparò più che qualche frase latina e ne sapeva sicuramente di liturgia, a causa<br />

della sua prolungata permanenza giovanile presso i Servi di Maria.<br />

Pietro Laffi fu sicuramente un tipo stravagante ed il suo allontanamento dal Faggio, nel 1934, non<br />

fu indolore essendo egli stato accusato di molte mancanze, prima fra tutte di aver indossato abusivamente<br />

l’abito ecclesiastico e di esercitare una specie di ministero sacro da cui riceve il necessario alla<br />

vita 85 . Morì povero e abbandonato all’ospedale di Porretta, dopo aver vissuto per un po’ di tempo in<br />

un casone sotto alla Pennola 86 .<br />

A Pietro Laffi, nella carica di romitto, successe Gino Ronchi, che per anni era stato il suo servo. Era<br />

nato il 26 aprile 1891 a Iola, nel Modenese, da Amadio e da Marilde Passini, ed assunse ufficialmente<br />

la carica nel 1935. Di tutt’altra pasta rispetto al Laffi, visse in grande umiltà e povertà. Così, nel<br />

1961, lo ricorda don Oliviero Giovannini che era succeduto nel 1934 a don Righetti nella cura del<br />

Castelluccio: La Madonna Santissima benedica copiosamente anche l’umile suo servo vigilante custode del<br />

Suo Santuario, Gino Ronchi che è entrato nel 71° anno di età, dopo averne trascorsi ben 37 nell’amorevole, disinteressata<br />

e faticosa mansione di custode fra l’apprezzamento del Parroco, dei Parrocchiani e dei pellegrini .<br />

Anche di quest’ultimo romitto, che moltissimi ancora ricordano, ha parlato nel 1977, Giorgio Filippi.<br />

Si tratta di uno scritto in cui traspare una grandissima sensibilità e che ritrae in modo magistrale il<br />

personaggio ed il suo attaccamento al santuario; per questo lo trascrivo in modo pressoché intergale:<br />

Quando don Laffi fu allontanato dal Santuario, Gino da “servo” fu promosso Romitto. E fu eremita di sconcertante<br />

semplicità e di mitezza straordinaria. Non voleva girare per la questua. Non chiedeva niente a nessuno.<br />

Campava con quanto gli veniva dato. E se non gli veniva dato niente, campava con niente. Però nei dintorni,<br />

alla Squaja, a Monte Acuto, a Tresana e viandare, tutti lo ospitavano con premura invitandolo a cena. E lui accettava<br />

con semplicità. Accettava anche compensi quando andava nelle feste a fare allegria con il suo organino.<br />

Gino non aveva atteggiamenti da prete, o da Rettore. Era soltanto il custode dell’eremo. Ma più che custode<br />

si sentiva custodito; da quella Madonna della quale era devotissimo. E fu così detto da tutti “Gino della Madonnina”.<br />

Gino della Madonnina era arrivato al Faggio giovane e al Faggio diventò vecchio. Tanto vecchio che, dopo<br />

quaranta anni, le condizioni di salute rendevano difficile il suo servizio alla Madonna. E dovette andarsene<br />

per ubbidienza al parroco. Rimase però nelle vicinanze e, quando, l’anno dopo, per l’Ascensione ci fu la solita<br />

processione per riportare la Madonna al Faggio, si mise anche lui in fila coi devoti e trovò la forza di fare tutta<br />

la camminata. La gente notò che aveva due pagnotte sotto il braccio: troppe per il mangiare di quel giorno.<br />

Era chiaro che Gino della Madonnina covava una speranza. Infatti, finite tutte le funzioni e chiusa la chiesa,<br />

quando il parroco prese in mano le chiavi del “suo” romitorio, davanti a quella porta aperta Gino della Madonnina<br />

stava fermo, trepidante, senza nulla chiedere, con le sue pagnotte sotto il braccio. Chi può dimenticare lo<br />

sgomento del suo volto, quando fu chiaro che il signor arciprete stava chiudendo la porta e che anche lui, Gino,<br />

sarebbe rimasto fuori come gli altri? Tutti sapevano che Gino della Madonnina desiderava finire i suoi giorni<br />

al Faggio.<br />

Fu ricoverato all’ospedale. Poi ospitato in una casa di riposo. Poi in un’altra. Era malato, ma il male che lo<br />

faceva soffrire di più era la nostalgia.<br />

Una notte, ai margini di una strada presso S. Giovanni in Persiceto, i carabinieri soccorsero un povero vecchio<br />

disorientato, senza documenti e con la testa in confusione. Sussurrava solo un paio di parole: “faggio...<br />

Madonnina; Madonnina... faggio”. Per fortuna un carabiniere, che era stato dalle nostre parti, ebbe una associazione<br />

di idee e telefonò a Castelluccio. Si seppe così che quel povero vecchio era Gino, che si era allontanato<br />

dalla casa di riposo e per tre giorni e tre notti, senza mangiare, era andato in cerca della sua Madonnina.<br />

La sua ultima stazione fu un luogo dal nome significativo: “Villa Romita”. Un giorno ricevette una visita. Era<br />

in letto malato, ma riconobbe il suo parroco, quello di Castelluccio. Trovò la forza di dirgli: “Quando guarisco<br />

posso tornare al Faggio? Perchè io non ho fatto niente di male. Signor arciprete, credete che potrò rivedere la<br />

Madonnina?”. Il parroco gli impartì la benedizione e per quietarlo gli disse di aver fiducia, che avrebbe rivisto<br />

presto la sua Madonnina. Infatti il giorno dopo Gino chiuse per sempre gli occhi. È bello, per chi ha fede, poter<br />

85 Vari documenti su questo argomento sono in APC, cart. 1, fasc. 6.<br />

86 Cfr. la testimonianza di Luigi Palmieri nella seconda parte di questo volume.<br />

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