Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia

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21.06.2013 Views

deve formularsi indirizza le indagini verso gruppi anarcoidi”. In poche ore sono arrestati una decina di anarchici ma si perquisisce anche l’abitazione di Giovanni Ventura, editore di destra padovano, legato a Franco Freda, oggi ritenuti tra i responsabili della strage ma non più imputabili perché assolti in passato per lo stesso reato e quindi non più processabili. Tra il gruppetto degli anarchici arrestati c’è Pietro Valpreda, 37 anni, ballerino disoccupato. Valpreda, milanese, è appena arrivato da Roma, ed è legato al circolo del ‘Ponte della Ghisolfa’. A Roma ha fondato il circolo “22 marzo’’, largamente infiltrato dai fascisti e da informatori della questura. E’ identificato da un testimone, Cornelio Rolandi, come l’uomo della “borsa nera’’ che sarebbe salito sul suo taxi per andare intorno alle 16 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Da lì comincia il suo calvario giudiziario: per anni sarà ‘il Mostro’ della banca. Alla fine sarà assolto per insufficienza di prove. A Milano tra gli anarchici c’è Giuseppe Pinelli, il ferroviere che, arrestato dopo la strage, cade da una finestra della Questura il 15 dicembre, senza un grido. I sospetti per quello che è subito bollato come un omicidio cadono sul commissario Luigi Calabresi. Il perché di quella morte cela, probabilmente, il mistero di Piazza Fontana. Cioè le modalità degli ultimi 100 metri della ‘operazione’ e l’identità di chi collocò la bomba che uccise. Nel 1975 il procedimento per la morte di Pinelli si chiude con l’esclusione dell’omicidio e, per spiegare l’accaduto, si ricorre ad una categoria unica nella storia della medicina legale: quella del ‘malore attivo’ che avrebbe spinto Pinelli a roteare sulla balaustra e lasciarsi cadere nel vuoto senza quei movimenti istintivi propri anche di un suicida. Nel 1972 Calabresi, dopo accuse feroci e inutili processi, è ucciso sotto casa mentre sta andando in Questura. Condannati per quell’omicidio sono stati Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani , Ovidio Bompressi e Leonardo Marino. Una storia che prosegue ancora oggi e che nasce la sera del 12 dicembre 1969 quando il ministro dell’Interno dell’epoca, Franco Restivo, di fatto impone al capo della Polizia, Angelo Vicari, di seguire a tutti i costi la pista dell’estrema sinistra. Fu quindi il potere politico – diviso sul da farsi – a tirare la vicenda da una parte e dall’altra perché dopo la strage era prevista un’escalation di ulteriori attentati e prese di posizione da parte di politici e militari. Nel disorientamento di quelle ore ad imporsi è la linea che punta dritto sugli anarchici, l’anello più debole della nascente sinistra estraparlamentare. Quello che colpisce è il significato che, a tanti anni di distanza, attribuiscono alla strage i tanti che vissero quelle convulse ore con l’immediata coscienza che qualcosa d’irreparabile fosse accaduto; che si fosse rotto un tacito patto che avevano sottoscritto tutti i contendenti della durissima stagione politica della “guerra fredda’’. “Nel Collettivo, con sede in un vecchio teatro in disuso in via Curtatone, si cantava, si faceva teatro, si tenevano mostre di grafica. Era una continua esplosione di giocosità e invenzione. Con la strage il clima improvvisamente cambiò” 5 , racconta Renato Curcio nelle sue memorie ricordando il clima nel Collettivo politico metropolitano, la struttura politica che precede il passaggio alle Brigate Rosse di cui è stato tra i fondatori. Curcio il giorno della strage fu arrestato: gli puntarono un mitra addosso. Rilasciato durante la serata, si cominciò subito a valutare, nel Collettivo, la strada da imboccare. Alla fine del mese c’è il convegno di Chiavari dove compare, per la prima volta, l’ipotesi della lotta armata in un documento teorico. Le Br compiranno la loro prima “azione esemplare” incendiando l’auto di un capo reparto nel settembre 1970. Ancora prima, in gennaio Potere Operaio, nato nel novembre precedente, aveva, nel corso del primo convegno nazionale del movimento teorizzato la “distruzione violenta della macchina dello Stato” gettando le basi del “partito della violenza”. Nel luglio 1969, un mese importante come vedremo, Giangiacomo Feltrinelli aveva pubblicato l’opuscolo “Estate 1969 - La minaccia incombente di una svolta radicale e autoritaria a destra, di un colpo di Stato all’Italiana”, in cui si sanciva il “definitivo tramonto non solo del revisionismo, ma anche dell’ipotesi che si possa compiere una rivoluzione socialista senza la critica delle armi”. 5 Renato Curcio, A viso aperto, intervista di Mario Scialoia, Mondadori, Milano, 1993, p.49 6 6

Dopo la strage, l’editore, principale obiettivo operativo della ‘operazione’ militar-politica, si difende con lettere ai giornali e dichiarazioni dalle critiche che in tanti gli rivolgono, anche da sinistra, per essersi sottratto al confronto con polizia e magistratura, affermando che Piazza Fontana “segna la fine delle illusioni e delle speranze che vanno sotto il nome di via italiana al socialismo”. Anche per lui la scelta è netta; irrevocabile. Feltrinelli assume l’identità d’Osvaldo Ivaldi, lo stesso nome di copertura utilizzato da Osvaldo Pesce, il capo dei Gap resistenziali. I Gap dell’editore però non attaccano formazioni tedesche o fasciste ma incendiano a Genova una sede dello Psu, il partito del Capo dello Stato, Giuseppe Saragat e la sede del consolato Usa. Sono le due prime azioni della “nuova resistenza”. Naturalmente la scelta degli obiettivi non è casuale ma indica i due pilastri di quel ‘partito trasversale’, nazionale ed internazionale, che aveva ipotizzato per l’Italia una soluzione politica istituzionale che l’allineasse al Portogallo, alla Spagna, alla Grecia in una sorta di “arco mediterraneo delle dittature”. Tutti regimi fascisti o militari. L’unica eccezione, in quest’arco mediterraneo era la Francia ma De Gaulle stava già pagando il conto della sua indipendenza con gli attentati dell’Oas e le infiltrazioni nel maggio francese. L’Italia era ritenuta in bilico: terra di frontiera. Fondamentale, come racconta l’ex capo della Cia William Colby. 6 E’ molto difficile rendere comprensibile oggi, cercare di spiegare, quanto quell’evento, i morti, e quello che ne conseguì per molti anni, abbiano inciso sulla storia del nostro Paese. Senza quella strage, probabilmente, la storia dell’ultimo trentennio del secolo passato sarebbe stata molto diversa. Non ci sarebbe stata una “scelta delle armi” così ampia da parte di tanti giovani in tempi così rapidi; non la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, che tanto influenzò tale scelta; non l’uccisione del commissario Luigi Calabresi indicato come il responsabile principale della morte dell'anarchico avvenuta alla Questura di Milano; non la clandestinità preventiva – fuggì pochi giorni prima della strage dopo aver denunciato i rischi di un colpo di Stato già dal 1968 - dell’editore “rosso” Giangiacomo Feltrinelli che cercò subito di coagulare la reazione politica alla strage indicata ben presto come “di Stato”, diventando in poco tempo punto di riferimento obbligato della galassia d’uomini e sigle che in pochi anni costituirà il “partito armato”; non le stesse Br che nascono anche sull’onda di quello che la strage significò per tanti giovani che oggi hanno i capelli bianchi. Una catena che nasce però proprio quel pomeriggio del 12 dicembre, inevitabilmente. “Con altri, segnatamente dopo le bombe di Piazza Fontana, ritenni che la prospettiva di uno scontro frontale con il sistema politico parlamentare e con le istituzioni statali, fosse ormai inevitabile’’, ha ricordato ancora Renato Curcio. Ciò perché, come sintetizzò con efficacia il sociologo Luigi Manconi in occasione del ventennale della strage, “col dicembre del 1969 cambia tutto. La strage di Piazza Fontana introduce nel conflitto in corso un’arma spaventosa e non prevista: non contemplata, si potrebbe dire, dagli accordi taciti, dai ‘protocolli bellici’, tra i due avversari (il movimento studentesco e operaio, da una parte, e gli apparati dello Stato, dall’altra)’’. Si passa dagli attentati ai simboli dello Stato (Tribunali, Senato, Banche, Fiere, Università, ecc.) alle persone, anzi alla folla, indistinta, indifferenziata. E’ la “guerra tra la folla’’ teorizzata e applicata dall’Oas in Francia durante la lunga crisi algerina e poi fatta propria e sviluppata da quella sorta di “scuola madre” del nuovo terrorismo di destra rappresentata dall’Aginter Press, che offre “moduli operativi” (l’infiltrazione a sinistra, la manipolazione, l’intossicazione, i depistaggi) alla svolta terroristica di destra impegnata nella battaglia contro il comunismo senza più frontiere o limiti. Buona parte di quanto è accaduto nella storia italiana da allora è stato, in qualche modo, plasmato, indotto, contaminato, deviato da quel 12 dicembre 1969. Quel giorno rappresenta uno “spartiacque” reale, concreto; un punto da cui partire per capire. Se ci volge indietro quello è un muro nell’orizzonte politico e culturale in questo Paese; ancora oggi. 6 “L’Italia è stato il più grande laboratorio di manipolazione politica clandestina. Molte operazioni organizzate dalla Cia si sono ispirate all’esperienza accumulata nel vostro Paese, e sono state utilizzate anche per l’intervento in Cile”, citato in Paolo Cucchiarelli- Aldo Giannuli, Lo Stato Parallelo, Roma , Gamberetti, 1997, p.348 dalla 7 7

Dopo la strage, l’editore, principale obiettivo operativo della ‘operazione’ militar-politica, si<br />

difende con lettere ai giornali e dichiarazioni dalle critiche che in tanti gli rivolgono, anche da<br />

sinistra, per essersi sottratto al confronto con polizia e magistratura, affermando che Piazza Fontana<br />

“segna la fine delle illusioni e delle speranze che vanno sotto il nome di via italiana al socialismo”.<br />

Anche per lui la scelta è netta; irrevocabile.<br />

Feltrinelli assume l’identità d’Osvaldo Ivaldi, lo stesso nome di copertura utilizzato da Osvaldo<br />

Pesce, il capo dei Gap resistenziali. I Gap dell’editore però non attaccano formazioni tedesche o<br />

fasciste ma incendiano a Genova una sede dello Psu, il partito del Capo dello Stato, Giuseppe<br />

Saragat e la sede del consolato Usa. Sono le due prime azioni della “nuova resistenza”.<br />

Naturalmente la scelta degli obiettivi non è casuale ma indica i due pilastri di quel ‘partito<br />

trasversale’, nazionale ed internazionale, che aveva ipotizzato per l’Italia una soluzione politica<br />

istituzionale che l’allineasse al Portogallo, alla Spagna, alla Grecia in una sorta di “arco<br />

mediterraneo delle dittature”. Tutti regimi fascisti o militari. L’unica eccezione, in quest’arco<br />

mediterraneo era la Francia ma De Gaulle stava già pagando il conto della sua indipendenza con gli<br />

attentati dell’Oas e le infiltrazioni nel maggio francese. L’Italia era ritenuta in bilico: terra di<br />

frontiera. Fondamentale, come racconta l’ex capo della Cia William Colby. 6<br />

E’ molto difficile rendere comprensibile oggi, cercare di spiegare, quanto quell’evento, i morti, e<br />

quello che ne conseguì per molti anni, abbiano inciso sulla storia del nostro Paese. Senza quella<br />

strage, probabilmente, la storia dell’ultimo trentennio del secolo passato sarebbe stata molto<br />

diversa. Non ci sarebbe stata una “scelta delle armi” così ampia da parte di tanti giovani in tempi<br />

così rapidi; non la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, che tanto influenzò tale scelta; non<br />

l’uccisione del commissario Luigi Calabresi indicato come il responsabile principale della morte<br />

dell'anarchico avvenuta alla Questura di Milano; non la clandestinità preventiva – fuggì pochi giorni<br />

prima della strage dopo aver denunciato i rischi di un colpo di Stato già dal 1968 - dell’editore<br />

“rosso” Giangiacomo Feltrinelli che cercò subito di coagulare la reazione politica alla strage<br />

indicata ben presto come “di Stato”, diventando in poco tempo punto di riferimento obbligato della<br />

galassia d’uomini e sigle che in pochi anni costituirà il “partito armato”; non le stesse Br che<br />

nascono anche sull’onda di quello che la strage significò per tanti giovani che oggi hanno i capelli<br />

bianchi. Una catena che nasce però proprio quel pomeriggio del 12 dicembre, inevitabilmente.<br />

“Con altri, segnatamente dopo le bombe di Piazza Fontana, ritenni che la prospettiva di uno scontro<br />

frontale con il sistema politico parlamentare e con le istituzioni statali, fosse ormai inevitabile’’, ha<br />

ricordato ancora Renato Curcio.<br />

Ciò perché, come sintetizzò con efficacia il sociologo Luigi Manconi in occasione del ventennale<br />

della strage, “col dicembre del 1969 cambia tutto. La strage di Piazza Fontana introduce nel<br />

conflitto in corso un’arma spaventosa e non prevista: non contemplata, si potrebbe dire, dagli<br />

accordi taciti, dai ‘protocolli bellici’, tra i due avversari (il movimento studentesco e operaio, da<br />

una parte, e gli apparati dello Stato, dall’altra)’’. Si passa dagli attentati ai simboli dello Stato<br />

(Tribunali, Senato, Banche, Fiere, Università, ecc.) alle persone, anzi alla folla, indistinta,<br />

indifferenziata. E’ la “guerra tra la folla’’ teorizzata e applicata dall’Oas in Francia durante la lunga<br />

crisi algerina e poi fatta propria e sviluppata da quella sorta di “scuola madre” del nuovo terrorismo<br />

di destra rappresentata dall’Aginter Press, che offre “moduli operativi” (l’infiltrazione a sinistra, la<br />

manipolazione, l’intossicazione, i depistaggi) alla svolta terroristica di destra impegnata nella<br />

battaglia contro il comunismo senza più frontiere o limiti.<br />

Buona parte di quanto è accaduto nella storia italiana da allora è stato, in qualche modo, plasmato,<br />

indotto, contaminato, deviato da quel 12 dicembre 1969. Quel giorno rappresenta uno “spartiacque”<br />

reale, concreto; un punto da cui partire per capire. Se ci volge indietro quello è un muro<br />

nell’orizzonte politico e culturale in questo Paese; ancora oggi.<br />

6 “L’Italia è stato il più grande laboratorio di manipolazione politica clandestina. Molte operazioni<br />

organizzate dalla Cia si sono ispirate all’esperienza accumulata nel vostro Paese, e sono state utilizzate<br />

anche per l’intervento in Cile”, citato in <strong>Paolo</strong> <strong>Cucchiarelli</strong>- Aldo Giannuli, Lo Stato Parallelo, Roma ,<br />

Gamberetti, 1997, p.348<br />

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