Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia

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21.06.2013 Views

inviato a Saragat un telegramma informandolo dell’iniziativa di ‘Italia Unita’ e sollecitando un’udienza”. 79 Quando nasce il Fronte nazionale di Valerio Borghese tra i tanti vi è anche Filippo De Jorio, ben introdotto negli ambienti reazionari Dc. L’avvocato è tra i più stretti consiglieri di Mariano Rumor. Ecco come rievocherà, con notazioni molto calzanti, quel periodo della sua vita quando frequentava Rumor: “A quel tempo ero deputato regionale per la Dc nel Lazio, ero consigliere politico dell’On. Rumor, allora presidente del Consiglio. Godevo della stima e della fiducia della classe dirigente del mio partito e partecipavo a riunioni del massimo livello. Possono attestarlo, fra i tanti, gli onorevoli Rumor, Piccoli e Giulio Orlando. A 37 anni, tanti ne avevo, ero in una posizione di rilevante prestigio, sia in ambienti governativi, sia nell’organizzazione del partito. Oggi si afferma che cospiravo e addirittura organizzavo un’insurrezione armata. Cospirazione e insurrezione contro chi? Contro il potere di cui facevo parte?” 80 Picella, abbiamo visto, era l’uomo a cui Moro si rivolge per avere lumi sulla strage quando si trova a Parigi. Ecco divenire parzialmente palesi le due linee di cui abbiamo più volte parlato in questa inchiesta. Due linee che puntavano l’una a dilazionare gli attentati con una logica più politica e l’altra a forzare la mano ai referenti politici con una ‘disobbedienza’ che imponesse quello di cui si parlava tanto senza però che l’azione eclatante venisse mai in effetti realizzata. Uno stop ad go che qualcuno alla fine interrompe forzando la mano con una sofisticata operazione che probabilmente ha spiazzato anche alcuni degli uomini della destra coinvolti. Ma chi è che ha ‘fregato’ la cordata avversaria: il Sid o gli Affari Riservati, la cordata filo-Usa o quella degli italiani? Sono cordate e logiche che si mischiano, raccordano, spesso si sommano, si compongono e scompongono seguendo vie spesso indecifrabili. Ma che qualcuno sia andato oltre o che si sia predisposta una trappola in cui sono caduti anche esponenti della destra, magari per avviare un “ripulisti” di tipo gollista senza remora alcuna né a destra, né a sinistra, il risultato è stato lo stesso. La strage arrivò, puntuale come un temporale di pomeriggio in montagna. Saragat disse di non aver mai saputo prima delle rivelazioni ufficiali dei preparativi del golpe Borghese. Disse questo difendendosi dalle accuse reiterate da Londra di un suo ‘patronage’ politico al ‘partito americano’ anche se, come abbiamo visto il Presidente della Repubblica pensava più a un modello gollista, caro anche a una larga fetta della Dc dell’epoca, a cominciare da Fanfani, che però alla vigilia della strage si sposta a sinistra, cercando una maggiore vicinanza con Moro, così come fece del dicembre del 1977 quando appoggiò l’apertura al Pci che Moro stava attuando tra mille resistenze interne ed internazionali. Saragat seppe molto prima che arrivasse il 7 dicembre quello che bolliva in pentola. Lo seppe anche Mario Tanassi che aveva preso la poltrona che era stata del moroteo Luigi Gui, alla Difesa, proprio grazia all’intesa Moro-Saragat.. Nel maggio del 1970, quando ormai la pista nera è delineata e soprattutto lo scontro politico sulla sua gestione è emerso, Franco Freda trasferirà il proprio domicilio a Regensburg, Kaiserwilhelmstrasse 69, presso Adolf von Thadden, che è il capo del neonazista Partito Nazionaldemocratico (Npd). La presenza di certi gruppi e referenti politici dietro i gruppi autonomisti che rivendicano l’indipendenza dell’Alto Adige – una delle prime ipotesi per la bomba del 12 dicembre – è grande. Sullo sfondo la figura di Franz Josef Strauss. Taviani diede ordine ad Angelo Vicari, ad esempio, di recarsi a Monaco di Baviera per proporre all’ex colonnello delle Ss Eugen Dollman di intervenire presso Strauss per arginare il clima “particolarmente aggressivo” che si era venuto a determinare in Alto Adige. In un congresso della Csu bavarese viene approvata una risoluzione che chiede l’autodeterminazione dell’Alto Adige e l’intervento “ per obblighi umani e germanici” del governo di Bonn presso quello di Roma. Nel ‘laboratorio’ dell’Alto Adige hanno fatto il loro esordio quasi tutti i protagonisti della nostra vicenda a cominciare da Franco Freda . 79 ibidem 80 Il Secolo d’Italia, 29 agosto 1975 60 60

Ancora Germania e Monaco, come dicono Maletti e Taviani. Questo è un capitolo tuttora inesplorato in rapporto a Piazza Fontana anche se i fili, come abbiamo visto, sono tanti. Tutti interessanti. Digilio tra i tanti elementi citati riporta un colloquio con uno dei tre ordinovisti scagionati da qualsiasi accusa per la strage: “Lui mi rispose che non dovevo fare critiche né morali né di tipo strategico in quanto i fatti del 12 dicembre erano la conclusione della nostra strategia e che c’era una mente organizzativa sopra la nostra che l’aveva voluta e diretta, anche da Roma”. Fin da subito dopo l’esplosione il generale Maletti sa “benissimo che la matrice era di destra”. “Chi ha portato avanti questo progetto che ha ucciso tanti italiani è italiano. E lo ha fatto, aderendo ad un progetto portato avanti da un servizio straniero per ottenere un proprio vantaggio. Di potere.”, dice “La vera responsabilità politica nella strategia della tensione è che nessuno ha mai preso delle decisioni, mai nessun uomo politico ha parlato e agito in termini politici”, accusa l’ex generale 81 . Maletti dimentica però di spiegare che una delle accuse nei suoi confronti nell’ultimo processo riguarda l’ipotesi che lui, unitamente ad alcuni ufficiali Usa, dovesse sequestrare il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Un fatto che potrebbe spiegare il colloquio con Cossutta al Quirinale, di cui abbiamo parlato, quando il Pci si offre di mettere in salvo il Presidente in caso di pericolo mentre si dispiegava la trama del ‘golpe Borghese’ che si concretizzerà nella notte della Madonna del dicembre 1970. Nel novembre del 1969, il 19, giorno della presunta sollevazione di cui parla Salcioli, viene lasciato fuggire a Milano il mafioso Luciano Liggio. Andrà a coordinare i ‘picciotti’ che saranno impiegati solo l’8 dicembre 1970. In aula nel 1986 dirà di voler parlare di “affari di Stato”. Nel 1970 – dice – i politici volevano portare il Paese sull’orlo dell’irreparabile. Avevano chiesto alla mafia uomini in armi e la garanzia che Liggio desse la sua approvazione. “Gli risposero che io ci stavo e mi promisero la libertà”. Sembra quasi che Liggio parli di quest’incontro avvenuto in condizioni di sua segregazione (“la libertà”) ma all’epoca il boss era già libero, latitante. Quindi quella libertà gli è stata promessa – e probabilmente data - prima di Piazza Fontana. Gli intrecci – anche in riferimento alle coperture politiche offerte o pesantemente ricercate – che si dipanano tra le due cordate sono fili ben lunghi nella nostra storia sulla strage. Anche l’affare delle tangenti Lookheed, concluso con la condanna di due‘referenti’ come Luigi Gui (Moro) e Mario Tanassi (Saragat) rientra probabilmente in questa sorte di duello, in questo caso finito alla pari. Quando il generale Miceli si troverà in difficoltà rievocherà i suoi iniziali rapporti con Saragat. “Dopo aver assunto il comando del Sid ebbi un primo colloquio col presidente, parlammo dei problemi della sicurezza dello Stato”. Saragat reagirà con la consueta smentita affermando – in maniera curiosamente paradossale – di non aver mai conosciuto il responsabile del Sid. Eppure nel luglio 1970 saranno proprio i socialdemocratici, con la collaborazione di Miceli, a bocciare la candidatura di Giulio Andreotti alla Presidenza del Consiglio, assegnata poi a Colombo. Per farlo utilizzeranno il mancato gradimento di Miceli che non diede il Nos, cioè le garanzie di segretezza e rispetto dei patti Nato che ogni governante occidentale doveva avere obbligatoriamente. Una vendetta per il ruolo svolto da Andreotti nell’immediato dopo-strage, quando fu determinante ad impedire la svolta autoritaria? Saragat darà indiretta conferma a questa ipotesi nel 1975 in una intervista al settimanale Tempo. “Per silurare Andreotti non avevo bisogno delle sollecitudini dei servizi segreti né del generale Miceli, del resto non ancora capo del Sid, che io dichiaro di non aver mai conosciuto. Bastò la mia personale avversione”. Avversione a che? Sentimento contraccambiato da Andreotti che, in vita e in morte, ha più volte polemizzato con Miceli, ma anche con Saragat. Alla fine per capire Piazza Fontana bisogna tornare al novembre del 1968, quando gli americani, dopo un’estate drammatica segnata dalla invasione sovietica di Praga e dall’avanzare visibile delle truppe dell’Armata Rossa, valutano una dato politico che acquista una valenza rilevante in quel contesto: in Italia la somma dei voti ottenuta dai socialisti e comunisti nelle politiche di maggio 81 Tutte le citazioni sono tratte dalla intervista a La Repubblica del 4 agosto 2004 61 61

inviato a Saragat un telegramma informandolo dell’iniziativa di ‘Italia Unita’ e sollecitando<br />

un’udienza”. 79 Quando nasce il Fronte nazionale di Valerio Borghese tra i tanti vi è anche Filippo<br />

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Mariano Rumor. Ecco come rievocherà, con notazioni molto calzanti, quel periodo della sua vita<br />

quando frequentava Rumor: “A quel tempo ero deputato regionale per la Dc nel Lazio, ero<br />

consigliere politico dell’On. Rumor, allora presidente del Consiglio. Godevo della stima e della<br />

fiducia della classe dirigente del mio partito e partecipavo a riunioni del massimo livello. Possono<br />

attestarlo, fra i tanti, gli onorevoli Rumor, Piccoli e Giulio Orlando. A 37 anni, tanti ne avevo, ero in<br />

una posizione di rilevante prestigio, sia in ambienti governativi, sia nell’organizzazione del partito.<br />

Oggi si afferma che cospiravo e addirittura organizzavo un’insurrezione armata. Cospirazione e<br />

insurrezione contro chi? Contro il potere di cui facevo parte?” 80<br />

Picella, abbiamo visto, era l’uomo a cui Moro si rivolge per avere lumi sulla strage quando si trova<br />

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Ecco divenire parzialmente palesi le due linee di cui abbiamo più volte parlato in questa inchiesta.<br />

Due linee che puntavano l’una a dilazionare gli attentati con una logica più politica e l’altra a<br />

forzare la mano ai referenti politici con una ‘disobbedienza’ che imponesse quello di cui si parlava<br />

tanto senza però che l’azione eclatante venisse mai in effetti realizzata. Uno stop ad go che<br />

qualcuno alla fine interrompe forzando la mano con una sofisticata operazione che probabilmente<br />

ha spiazzato anche alcuni degli uomini della destra coinvolti. Ma chi è che ha ‘fregato’ la cordata<br />

avversaria: il Sid o gli Affari Riservati, la cordata filo-Usa o quella degli italiani? Sono cordate e<br />

logiche che si mischiano, raccordano, spesso si sommano, si compongono e scompongono<br />

seguendo vie spesso indecifrabili. Ma che qualcuno sia andato oltre o che si sia predisposta una<br />

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gollista senza remora alcuna né a destra, né a sinistra, il risultato è stato lo stesso. La strage arrivò,<br />

puntuale come un temporale di pomeriggio in montagna. Saragat disse di non aver mai saputo prima<br />

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reiterate da Londra di un suo ‘patronage’ politico al ‘partito americano’ anche se, come abbiamo<br />

visto il Presidente della Repubblica pensava più a un modello gollista, caro anche a una larga fetta<br />

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grazia all’intesa Moro-Saragat..<br />

Nel maggio del 1970, quando ormai la pista nera è delineata e soprattutto lo scontro politico sulla<br />

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Kaiserwilhelmstrasse 69, presso Adolf von Thadden, che è il capo del neonazista Partito<br />

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del 12 dicembre – è grande. Sullo sfondo la figura di Franz Josef Strauss. Taviani diede ordine ad<br />

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fatto il loro esordio quasi tutti i protagonisti della nostra vicenda a cominciare da Franco Freda .<br />

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