Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia

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21.06.2013 Views

c’è un’ulteriore intreccio rilevante che spiega perché tante inchieste vennero fermate a Padova, ultima la fonte Casalini che aveva indicato la provenienza dalla Germania dell’esplosivo utilizzato per la strage di Piazza Fontana. Nel giugno del 1969 Saverio Molino, ex carabiniere, un duro che ha fatto la sua carriera nelle squadre politiche di due Questure, Trento e Padova, riceve l’ordine di perquisire l’abitazione di un noto fascista locale, Eugenio Rizzato. Una decisione maturata dopo tutta una serie di attentati in città, in gran parte messi in atto, come quello allo studio del rettore dell’Università, Opocher, dal gruppo Freda. A casa di Rizzato si trova una pistola, foto di Mussolini e un dossier con un elenco che contiene 400 indirizzi di uomini di sinistra, anche di “rango” elevato, che debbono essere colpiti, appunti operativi per un colpo di Stato, con elenchi di caserme e comandi militari da occupare. In quelle settimane in Senato Pietro Nenni aveva ripetutamente denunciato le manovre in atto per un’azione di forza e l’Italia viveva la psicosi dei colonnelli. Rizzato tace con la Questura del rapporto sul golpe e segnala il tutto all’Ufficio Affari riservati del Viminale, all’epoca guidato da Elvio Catenacci. Questa struttura operava con quella che è stata definita “la Gladio parallela”, cioè uffici distinti dalle normali questure che bypassavano i colleghi e i magistrati raccogliendo notizie in proprio. Era una vera e propria rete parallela che agiva in maniera centralizzata e autonoma dai normali uffici politici della questura. Molino fotocopiò tutto l’incartamento e lo “seppellì” nell’archivio della Questura di Padova. Nel 1973 a La Spezia si scoprono a casa di un medico della mutua, Giampaolo Porta Casucci, gli stessi piani trovati a Padova. “Questi piani vengono da Padova, me li diede un nostro capo, Rizzato”, dice Porta Casucci. Il secondo dossier è però ben più articolato. Tra l’altro contiene un elenco di 1617 personalità da eliminare al momento del “golpe”. Nell’archivio si ritrova la pratica iniziale del 1969: è sostanzialmente identica. Molino è lo stesso che ha definito “non interessanti” i nastri delle intercettazioni fatte sui telefoni di Freda e Ventura tra il 15 e il 19 aprile 1969, durante il vertice che diede il via, di fatto, alla stagione delle bombe. Nel settembre del 1969 nuova richiesta di intercettazione da parte del Procuratore Capo di Padova, Aldo Fais. La risposta fu identica, nulla. Quei nastri provavano invece che Freda stava acquistando i timer, congegni a tempo. La bomba di Piazza Fontana aveva un temporizzatore. Questi nastri, riascoltati nel 1972, divennero uno degli elementi principali dell’accusa a Freda e Ventura. Molino era lo stesso poliziotto che aveva “archiviato” la denuncia fatta dallo studente Giorgio Caniglia che aveva portato negli uffici della polizia di Padova una borsa simile a quella non esplosa e ritrovata nel pomeriggio del 12 dicembre alla Banca Commerciale di Milano. Convocata quattro giorni dopo la commessa della valigeria “Al Duomo” di Padova, questa dirà di averne vendute 4 uguali il 10 dicembre. “A comprarle è stato un giovane alto, con i capelli neri”. L’avvocato di Ventura disse chiaro e tondo che “Molino conosceva bene Freda e l’aveva anche avvertito dei controlli telefonici. E’ il mio assistito che lo sostiene e lo ha detto ai giudici”. Freda, pochi lo ricordano, ha fatto il suo esordio operativo in Alto Adige, a contatto con la vicenda del terrorismo altoatesino che tanto interessava la Germania. I piani trovati a Padova altro non erano che quelli della “Rosa dei Venti”, un nome che non può che evocare il simbolo della Nato. Tra i referenti principali di quella organizzazione c’erano gli “Elmi di acciaio”, la più agguerrita organizzazione nazista operante in Germania. Tra gli aderenti anche Nobert Burger, ex professore all’Università di Innsbruck, ben conosciuto per le sue azioni terroristiche in Alto Adige. Della stessa organizzazione faceva parte anche un ex ministro Dc, Hans Krueger. Dagli “Elmi” proviene Von Thadden, fondatore nel 1964 del partito neo nazista Npd. In Austria a fondare l’Npd è Norbert Burger. Porta Casucci è una aderente agli “Elmi d’acciaio” e spesso va a Monaco. Freda fu sospettato a lungo di essere l’autore di un attentato ad un treno che arrivava a Trento da Monaco di Baviera. Due poliziotti intervengono e portano la bomba giù dal treno. Muoiono mentre cercano d’aprirla. Nell’agosto del 1969 Livio Jaculano, un detenuto per fatti criminali, dice ai magistrati che “l’avvocato Fredda” di Padova è il mandante dell’attentato. Un verbale importante che finisce su un binario morto, è il caso di dire. A Padova tra gli uomini di Molino c’è un commissario vecchio stampo, Pasquale Juliano. Contano i fatti. E solo quelli. Nell’aprile 1969 indagando sulle bombe Juliano, grazie a balordi e confidenti, 56 56

stila un rapporto nel quale accusa in maniera circostanziata Freda e Ventura. Juliano aveva ritrovato un ordigno nella soffitta dell’abitazione di Massimiliano Fachini, consigliere missino, figlio del questore di Verona durante la repubblica di Salò. Juliano venne accusato di aver costruito le prove nei confronti di Fachini, Freda e Ventura. Il suo informatore è messo nella stessa cella con dei fascisti e ritratta tutto. Un testimone a suo favore, Alberto Muraro, è trovato morto nella tromba del condominio dove faceva il custode dopo un volo di alcuni piani di scale. Dopo la morte il corpo di Muraro era stato fotografato da un operatore dilettante. Quelle foto non combaciavano con quelle “ufficiali”. Il corpo era in posizione diversa, una scopa accanto era scomparsa. Sulla base di quelle foto e di altri elementi si ipotizzò, senza sbocco giudiziario finale, che nella morte ci fosse la presenza della cellula di On. Molino fece carriera, Juliano venne allontanato dalla polizia, sospeso dallo stipendio. “Non mi ci volle molto ad agganciare uno dei componenti della cellula neofascista. Da quel momento in poi ho scoperto praticamente tutto quello che c’era da scoprire. Erano a mia disposizione addirittura i disegni degli ordigni. Avevo già localizzato i depositi di armi, conoscevo l’organigramma di questo gruppo nei minimi dettagli. Altri venti giorni e li avrei assicurati tutti alla giustizia”. Juliano aveva una convinzione: “…di essere stato il classico granello di sabbia che ha rischiato di inceppare un meccanismo più grande di tutti i protagonisti della vicenda padovana, la cui mente probabilmente non era neppure italiana”. Il 23 luglio arriva un ispettore del Viminale che si rivolge in maniera dura a Juliano: “ Non le assicuro che lei non verrà arrestato, a meno che non si dimetta”, gli dice. Il giorno dopo è incriminato, sospeso dalle funzioni e dallo stipendio. Dal ’69 al ’71 vive dalla suocera con la moglie e due bambini. Nel 1971 riammesso in servizio ma bloccato nel grado in cui era stato sospeso. Gli “consigliarono” di non tornare a Padova per la sua sicurezza. Ci vorranno 10 anni e 5 processi per veder riconosciuta pienamente la correttezza e la fondatezza della sua inchiesta.. “Quello che dovevo dire l’ho detto, quello che dovevo fare l’ho fatto”. Molino si è difeso affermando di aver sempre informato i suoi veri referenti, cioè gli Affari Riservati. Non solo Molino spedì tutte le carte a Milano, al Dottor Allegra, capo della “politica”, al responsabile romano, Provenza, oltre che al responsabile nazionale Catenacci. Ovverosia le stesse persone che sono state perseguite per aver tenuto nel cassetto la segnalazione delle borse acquistate a Padova il 10 di dicembre del 1969. Ventura, durante i suoi interrogatori, tanto per sbandierare le protezione di cui “doveva” godere disse una volta che il suo gruppo “era saldamente protetto da catene e Catenacci”. Cosa rendeva così pericolosa l’inchiesta di Juliano, che poi tornerà d’attualità negli sviluppi delle indagini del golpe Borghese? L’aver individuato una località dove c’era la santabarbara del gruppo, lì dove erano cassette di armi con su stampigliato scritte in inglese e la dicitura di appartenenza: Nato. Il 14 agosto l’ informatore della polizia di Padova Jaculano prende il coraggio a quattro mani e chiede di parlare al magistrato anche di questo: il mandante degli attentati ai treni all’inizio del mese è sempre “Giorgio Fredda”. Non basta ancora. “Sono venuto a conoscenza dalle stesse fonti della presenza in una località di campagna compresa tra Treviso e Vittorio Veneto (ho qualche sospetto che tale località possa individuarsi nella cittadina di Paese) di un deposito di materiale che viene utilizzato per la preparazione degli esplosivi”, dice a verbale l’informatore che ha avuto modo di contattare le stesse fonti di Juliano. L’inchiesta Salvini, e quelle successivi di Meroni e della Pradella, hanno esattamente individuato dove sorgesse quel casolare e cosa vi fosse custodito. Ecco perché Juliano andava comunque fermato. Altro aspetto che colpisce è l’intreccio con la vicenda Borghese, perché il terminale politico di tutto un mondo è proprio il “principe nero”. Porta Casucci spiegò che la preparazione delle ‘reclute’ più promettenti avveniva in Baviera. Il tutto emerge nel 1973 quando per il 7 aprile era prevista l’ennesima strage sul treno Torino-Roma. Doveva essere attribuita a Lotta Continua ma Nico Azzi si fa esplodere la bomba tra le gambe mentre la prepara nel bagno del treno in corsa. Nonostante ciò il 12 del mese ci sono i duri scontri di Milano dopo che la questura, all’ultimo momento, ha vietato il corteo. I fascisti lasciano sul terreno, oltre all’agente Marino ucciso da una bomba Scrm, anche tessere della Cgil e del Pci. Afferma Vincenzo Vinciguerra a proposito di questi incidenti che “il piano predisposto nella 57 57

c’è un’ulteriore intreccio rilevante che spiega perché tante inchieste vennero fermate a Padova,<br />

ultima la fonte Casalini che aveva indicato la provenienza dalla Germania dell’esplosivo utilizzato<br />

per la strage di Piazza Fontana.<br />

Nel giugno del 1969 Saverio Molino, ex carabiniere, un duro che ha fatto la sua carriera nelle<br />

squadre politiche di due Questure, Trento e Padova, riceve l’ordine di perquisire l’abitazione di un<br />

noto fascista locale, Eugenio Rizzato. Una decisione maturata dopo tutta una serie di attentati in<br />

città, in gran parte messi in atto, come quello allo studio del rettore dell’Università, Opocher, dal<br />

gruppo Freda. A casa di Rizzato si trova una pistola, foto di Mussolini e un dossier con un elenco<br />

che contiene 400 indirizzi di uomini di sinistra, anche di “rango” elevato, che debbono essere<br />

colpiti, appunti operativi per un colpo di Stato, con elenchi di caserme e comandi militari da<br />

occupare. In quelle settimane in Senato Pietro Nenni aveva ripetutamente denunciato le manovre in<br />

atto per un’azione di forza e l’Italia viveva la psicosi dei colonnelli. Rizzato tace con la Questura<br />

del rapporto sul golpe e segnala il tutto all’Ufficio Affari riservati del Viminale, all’epoca guidato<br />

da Elvio Catenacci.<br />

Questa struttura operava con quella che è stata definita “la Gladio parallela”, cioè uffici distinti<br />

dalle normali questure che bypassavano i colleghi e i magistrati raccogliendo notizie in proprio. Era<br />

una vera e propria rete parallela che agiva in maniera centralizzata e autonoma dai normali uffici<br />

politici della questura. Molino fotocopiò tutto l’incartamento e lo “seppellì” nell’archivio della<br />

Questura di Padova. Nel 1973 a La Spezia si scoprono a casa di un medico della mutua, Giampaolo<br />

Porta Casucci, gli stessi piani trovati a Padova. “Questi piani vengono da Padova, me li diede un<br />

nostro capo, Rizzato”, dice Porta Casucci. Il secondo dossier è però ben più articolato. Tra l’altro<br />

contiene un elenco di 1617 personalità da eliminare al momento del “golpe”.<br />

Nell’archivio si ritrova la pratica iniziale del 1969: è sostanzialmente identica. Molino è lo stesso<br />

che ha definito “non interessanti” i nastri delle intercettazioni fatte sui telefoni di Freda e Ventura<br />

tra il 15 e il 19 aprile 1969, durante il vertice che diede il via, di fatto, alla stagione delle bombe.<br />

Nel settembre del 1969 nuova richiesta di intercettazione da parte del Procuratore Capo di Padova,<br />

Aldo Fais. La risposta fu identica, nulla. Quei nastri provavano invece che Freda stava acquistando i<br />

timer, congegni a tempo. La bomba di Piazza Fontana aveva un temporizzatore. Questi nastri,<br />

riascoltati nel 1972, divennero uno degli elementi principali dell’accusa a Freda e Ventura. Molino<br />

era lo stesso poliziotto che aveva “archiviato” la denuncia fatta dallo studente Giorgio Caniglia che<br />

aveva portato negli uffici della polizia di Padova una borsa simile a quella non esplosa e ritrovata<br />

nel pomeriggio del 12 dicembre alla Banca Commerciale di Milano. Convocata quattro giorni dopo<br />

la commessa della valigeria “Al Duomo” di Padova, questa dirà di averne vendute 4 uguali il 10<br />

dicembre. “A comprarle è stato un giovane alto, con i capelli neri”. L’avvocato di Ventura disse<br />

chiaro e tondo che “Molino conosceva bene Freda e l’aveva anche avvertito dei controlli telefonici.<br />

E’ il mio assistito che lo sostiene e lo ha detto ai giudici”. Freda, pochi lo ricordano, ha fatto il suo<br />

esordio operativo in Alto Adige, a contatto con la vicenda del terrorismo altoatesino che tanto<br />

interessava la Germania. I piani trovati a Padova altro non erano che quelli della “Rosa dei Venti”,<br />

un nome che non può che evocare il simbolo della Nato. Tra i referenti principali di quella<br />

organizzazione c’erano gli “Elmi di acciaio”, la più agguerrita organizzazione nazista operante in<br />

Germania. Tra gli aderenti anche Nobert Burger, ex professore all’Università di Innsbruck, ben<br />

conosciuto per le sue azioni terroristiche in Alto Adige. Della stessa organizzazione faceva parte<br />

anche un ex ministro Dc, Hans Krueger. Dagli “Elmi” proviene Von Thadden, fondatore nel 1964<br />

del partito neo nazista Npd. In Austria a fondare l’Npd è Norbert Burger. Porta Casucci è una<br />

aderente agli “Elmi d’acciaio” e spesso va a Monaco. Freda fu sospettato a lungo di essere l’autore<br />

di un attentato ad un treno che arrivava a Trento da Monaco di Baviera. Due poliziotti intervengono<br />

e portano la bomba giù dal treno. Muoiono mentre cercano d’aprirla. Nell’agosto del 1969 Livio<br />

Jaculano, un detenuto per fatti criminali, dice ai magistrati che “l’avvocato Fredda” di Padova è il<br />

mandante dell’attentato. Un verbale importante che finisce su un binario morto, è il caso di dire.<br />

A Padova tra gli uomini di Molino c’è un commissario vecchio stampo, Pasquale Juliano. Contano<br />

i fatti. E solo quelli. Nell’aprile 1969 indagando sulle bombe Juliano, grazie a balordi e confidenti,<br />

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