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Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia

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Nessuno prima del 12 dicembre 1969 poteva ipotizzare, mettere in conto, che ci fosse chi potesse<br />

assumere la violenza come terreno strategico per la sua affermazione politica. Dopo Piazza Fontana<br />

tutto questo cambiò di colpo. Fu “l’inizio di un’onda emergenziale che dura da più di una<br />

generazione ormai, un fatto inaudito, una dimensione arcana”, come ricorda Massimo Cacciari,<br />

allora giovane assistente di filosofia a Padova 2 . La strage non ebbe che ambigue controfigure dei<br />

veri colpevoli, dei mandanti, del livello superiore di responsabilità; un elemento che un politico<br />

della destra DC come <strong>Paolo</strong> Emilio Taviani ritenne per anni un fatto decisivo per capire quello che<br />

è accaduto dopo. “Quell’impunità ha distrutto la fiducia nello Stato di un’intera generazione di<br />

cittadini. Il resto è venuto di conseguenza. Quella strage non doveva essere una strage, forse fu un<br />

errore di chi pensava di fare soltanto un botto, però ci fu. E da quel momento è stata una gara per<br />

insabbiarla. E alla fine tutto è finito, finito in niente, a cominciare dalla verità.” 3<br />

Quello scoppio segnò la proclamazione – dicono oggi coloro che erano il 12 dicembre sulle diverse<br />

barricate – di una vera e propria guerra, a bassa intensità militare ma ad alta valenza politica, che<br />

segnerà almeno tutto il decennio successivo e che avrà fasi, coloriture politiche e protagonisti<br />

diversi. Francesco Cossiga ha spiegato, con la franchezza che gli anni gli ha per fortuna regalato, i<br />

termini di quel confronto, invisibile o ben poco percepibile all’epoca dalla maggior parte della<br />

popolazione: “Eravamo in guerra. E non si trattava di una guerra simulata. La guerra ideologica era<br />

in realtà una guerra civile di low intensity” 4 .<br />

Colpisce che Aldo Moro, quel giorno a Parigi per il Consiglio d’Europa che aveva espulso la Grecia<br />

dei colonnelli dal consesso, fatto non estraneo alla strage, si rivolga ai famigliari commentando:<br />

“Siamo in guerra”. Un’espressione ancor più efficace e rilevante se si considera che Moro era<br />

famoso per la costante logica indiretta dei suoi discorsi; per la loro fumosità e spesso<br />

incomprensibilità. Un parlar chiaro che segna anche per l’allora ministro degli Esteri uno ‘stacco’,<br />

un cambiamento.<br />

E’ l’inizio del terrorismo per tanti giovani di destra e di sinistra.<br />

Il 12 dicembre 1969, un freddo venerdì, è un giorno importante perché il destino di tante persone in<br />

quelle ore cambia, imbocca improvvisamente una via imprevista che condurrà un’intera<br />

generazione a ipotizzare – e in tanti a fare negli anni a seguire – la “scelta delle armi’’.<br />

Oggi quei ragazzi del 1969 indicano tutti la stessa data come inizio di quel drammatico percorso: il<br />

venerdì in cui alla banca dell’Agricoltura “scoppiò la guerra’’ che lo Stato, tramite i gruppi fascisti,<br />

aveva proclamato per rispondere alle richieste e alle proposte del ’68 e che si stavano concretando<br />

in Italia anche in campo sindacale ed economico. Quel cambiamento sociale poteva trascinare con<br />

sé anche un mutamento del panorama politico, dei suoi equilibri, temuto e contrastato da tanti con<br />

tutti i mezzi possibili. Ci fu allora chi, per la prima volta nella storia della giovane Repubblica,<br />

scelse di ‘congelare’ quell’ipotesi politica innescando bombe.<br />

Il mondo che si muove per contrastare il cambiamento mette assieme conservatori di varie<br />

estrazioni politiche e ampi pezzi dello Stato, uniti in un intreccio perverso di silenzio e potere per<br />

ostacolare con ogni mezzo anche il più piccolo progetto riformatore.<br />

La bomba spezza vite ma anche progetti politici e sociali. Innesca accelerazioni altrimenti<br />

incomprensibili.<br />

Il fumo che esce dalla banca, quel pomeriggio, è il segnale che l’omicidio terroristico è divenuto<br />

strumento di lotta politica. Neanche venti minuti dopo, alle 16,55, è la volta di Roma: nel passaggio<br />

sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro, che collega la sede di via Veneto con quella di via di<br />

San Basilio, un’altra bomba provoca 13 feriti. Alle 17,27 e 17,30 ancora due attentati; uno innanzi<br />

all’Altare della Patria, l’altro all’entrata del Museo del Risorgimento, su un lato del monumento:<br />

quattro i feriti. Subito scatta il depistaggio: i responsabili possono essere solo gli anarchici. Il<br />

Prefetto di Milano, Libero Mazza, telegrafa al Presidente del Consiglio: “L’ipotesi attendibile che<br />

2 “La generazione del 12 dicembre”, l’Unità, 8 luglio 2002<br />

3 “Sì, c’era un complotto contro Cossiga”, La Stampa, 10 ottobre 1991<br />

4 <strong>Paolo</strong> Barbieri - <strong>Paolo</strong> <strong>Cucchiarelli</strong>, La strage con i capelli bianchi. La sentenza per Piazza Fontana,<br />

Roma, Editori Riuniti, p.15.<br />

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