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Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia

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concepito nel quadro di una assoluta ortodossia costituzionale. I colpi di Stato non mi interessano,<br />

anche se sono convinto ammiratore di ciò che ha potuto fare De Gaulle in Francia”.<br />

È facilmente deducibile che la proposta fatta da Mattei del quadrumvirato (il “direttorio” di cui<br />

parlava L’Unità?) o era stato proposto nella conversazione da Saragat, oppure era a diretta<br />

conoscenza di Mattei. Certamente il direttore non avrebbe potuto citare un tale dettagliato piano di<br />

“forzate riforme” nella sua replica al Presidente, se non gli fosse stato quantomeno esposto dal<br />

Presidente o da lui confermato.<br />

Il magistrato Gerardo D’Ambrosio, dopo la sentenza della Cassazione che ha chiuso<br />

definitivamente la vicenda giudiziaria sulla strage, ha affermato che per sapere qualcosa in più ci si<br />

dovrebbe rivolgere al leader di Ordine Nuovo, Pino Rauti (era lui che teneva i contatti con ambienti<br />

Dc?), e a Giulio Andreotti che svelò la natura di informatore di Guido Giannettini, anello di<br />

collegamento tra il Sid e la cellula ordinovista veneta di Freda e Ventura. D’Ambrosio aveva<br />

scoperto che Giannettini era stato assunto dal Sid dall’allora capo di Stato maggiore, e che<br />

l’ammiraglio Henke continuava a pagarlo con i soldi dei servizi segreti anche durante la latitanza.<br />

La domenica successiva la Cassazione tolse l’inchiesta a D’Ambrosio e la spedì a Catanzaro.<br />

Interrogato durante il processo a Catanzaro Giulio Andreotti escluse che tra i motivi che lo<br />

indussero a rilasciare l’intervista che svelava il ruolo d’ informatore svolta da Giannettini vi fosse<br />

una lettera di D’Ambrosio al capo dello Stato Giuseppe Saragat. Henke aveva certamente nascosto<br />

alla magistratura la notizia su Giannettini “per motivi superiori”.<br />

Per dare il senso concreto dell’incomprensione tra Saragat e Moro in quei mesi citiamo sempre<br />

dalla stessa inchiesta di Mattei. “Ricordo quanto Saragat poco stimasse gli uomini politici italiani<br />

che assumevano posizioni ambigue sul problema del comunismo. Una volta mi confidò il fastidio<br />

che gli procurava Moro, che regolarmente evitava di ricordare che l’Italia era nel patto Atlantico,<br />

preferendo ricorrere a circonlocuzioni come ‘la collocazione internazionale dell’Italia’, o altre<br />

simili. ‘Questo comportamento - mi disse Saragat - mi ricorda quello delle monache di un tempo<br />

che per non nominare certe parti del corpo le chiamavano pudende’” 60 .<br />

Certamente quello fu un periodo particolare che inizia nel 1967, come ricorda il generale<br />

Gianadelio Maletti, dell’Ufficio ‘D’ del Sid in anni successivi e accusato di aver fatto fuggire<br />

alcuni dei neofascisti coinvolti nelle inchieste. Quando deve spiegare quelle sue azioni il generale<br />

dice di aver “ereditato” una certa situazione che si era determinata proprio in quegli anni, con la<br />

presenza di neofascisti con funzioni informative, e non solo, nei servizi segreti. Una “infiltrazione”<br />

frutto della paura del ‘nuovo’ che stava covando ma anche dell’affermarsi di teorie, prassi,<br />

manualistica e ‘logica d’ intervento’ legate ad una visione di contrasto attivo del ‘fronte interno’,<br />

cioè dei partiti e movimenti di sinistra. La ‘guerra’ era in casa anche se a ‘bassa intensità’ militare e<br />

ad ‘alta intensità’ sociale e politica e tutte le armi potevano e dovevano essere utilizzate.<br />

Una situazione politica poteva e doveva essere ‘costruita’, se necessario, e la strage, i suoi<br />

presupposti, lo furono con un sapiente, complesso e articolato gioco di specchi tra politici, servizi e<br />

neofascisti che infiltrarono e in alcuni casi condizionarono molti gruppi della nascente sinistra<br />

estraparlamentare. Ma anche nella Dc come accadrà con On a Mestre, come svelò un processo<br />

promosso da Lotta Continua, in settori del Psi, e in altri gruppi e partiti a livello locale.<br />

Vincenzo Vinciguerra intervistato nel carcere dove sconta la condanna per l’attentato di Peteano dà<br />

la sua interpretazione del 12 dicembre 1969. Una lettura interessante perché introduce un’ulteriore<br />

variante nel gioco a specchi tra politici e gruppi dell’estrema destra. “Il 12 dicembre non è un colpo<br />

di Stato che rovescia, che muta il regime, assolutamente no; è la proclamazione dello stato<br />

d’emergenza che rafforza il regime, elimina le opposizioni che sono da eliminare, a mio avviso<br />

anche le destre”. “Il 12 dicembre ha rappresentato il massimo momento di consenso, sul piano<br />

politico, di tutte le forze anticomuniste”, che subito dopo però litigano sulla strategia da sviluppare<br />

e soprattutto sulla ‘gestione’ della strage e delle sue conseguenze quando non accade quello che ci<br />

si attendeva. Ben diverso sarebbe stata la situazione se invece che 17 morti colpevoli solo di essere<br />

60 Enrico Mattei, “Saragat all’alba degli anni di piombo”, Il Giornale, 20 giugno 1985.<br />

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