Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia

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21.06.2013 Views

agente Usa fa sua pienamente la lettura che della vicenda dà fin dal 1978 “Il Segreto della Repubblica”: muovendo verso destra in piena solidarietà ed armonia con la crescente avversione popolare alla “strategia del terrore” che si stava sviluppando in quei mesi, e che l’opinione pubblica credeva opera della sinistra, “Saragat sperava di raccogliere 3 milioni di voti. Ma non poteva anticipare la data delle elezioni senza una maggioranza nelle Camere avendo soltanto il sostegno che aveva ricevuto da Nixon, la Cia e l’industria italiana”. Il grande spauracchio era appunto un governo Dc-Psi con appoggio del Pci e del Psiup: una coalizione che avrebbe rappresentato circa il 70% delle forze presenti in Parlamento. “Per sconfiggere, annientare una tale coalizione, gli Usa potevano soltanto sperare di creare un’emergenza più grande che avrebbe isolato Moro e la sinistra Dc”, scrive Tompkins che cita proprio il libro di Walter Rubini, cioè Fulvio Bellini, a riscontro. “L’ambasciatore Usa a Roma, Martin aveva scelto di andare all’attacco”. Il suo canale in ambasciata con i vertici di Avanguardia Nazionale era rappresentato da Peter Bridges, Primo segretario all’ambasciata di Via Veneto. “All’organizzazione terrorista di Delle Chiaie fu dato disco verde ma Bridge disse che la responsabilità doveva cadere sulla sinistra”, scrive Tompkins. La Confindustria – scrive sempre Tompkins nel dattiloscritto – “chiedeva intanto al governo di eliminare gli scioperi ‘politici’ e, con un rapporto top secret, a Saragat un governo forte, senza i socialisti, che potesse controllare gli operai nel Nord d’Italia, proibire i ‘picchetti’ operai, e mettere fuori legge la ‘propaganda sovversiva’ e le ‘assemblee sediziose’”. In quelle settimane, a cavallo di giugno-luglio, Panorama riportava le parole di un anonimo funzionario del Viminale: “Basterebbe che un poliziotto fosse ucciso in una manifestazione, colpito dai dimostranti con armi da fuoco. Sarebbe quello che è utile per iniziare. Il Capo dello Stato e il governo potrebbero dichiarare lo stato d’emergenza”. Più avanti ritroveremo il giovane diplomatico Peter Bridges, che parlava fluentemente l’italiano, nei contatti che a fine 1969 l’ambasciata Usa intraprende, indirettamente, con il Pci. Anche nel ‘70-’71, come abbiamo visto, l’altro problema centrale dello scacchiere politico italiano è chi andrà al Quirinale dopo Saragat: Moro o Fanfani. I documenti americani danno conto di quella che definiscono quasi una “ossessione” della politica italiana e tra i due contendenti gli analisti americani indicano un outsider che farà strada, Sandro Pertini. Si sa che se Moro scalerà il Colle si potrà realizzare quella “Repubblica Conciliare’’ che tanto spaventa giornali come Il Borghese e Candido. Nel 1969 si parla di “nuovo patto costituzionale” (De Mita) e di “centrosinistra senza preclusioni” (De Martino). Nel 1978 di “compromesso storico”, ma il problema è lo stesso, e questo lega indissolubilmente la strage di Piazza Fontana a via Fani. Anzi la strada che porta in via Caetani, alle spalle di Botteghe Oscure, inizia proprio quel 12 dicembre del 1969 ed ecco perché la strage del dicembre e l’omicidio di Aldo Moro rappresentano gli architravi del terrorismo italiano. Subito dopo la strage, Kissinger non esclude che le bombe siano di destra: “La polizia italiana sta arrestando anche i neofascisti con trascorsi terroristici”. Tra gennaio e febbraio né Rumor, né Moro, né Fanfani riescono a formare un governo: l’Italia sembra lì lì per naufragare. A marzo, tra mille dubbi, come già ricordato, ci riesce nuovamente Rumor. Veneto, noto per la sua mitezza, era citatissimo nelle strade dai giovani di destra grazie allo slogan “Le bombe fanno Rumor”. Dopo la strage, ricorda un suo stretto collaboratore di allora, Piervincenzo Porcacchia, andò in Galleria a Milano per far vedere che tutto era sotto controllo e che bisognava stare tranquilli. Però, Porcacchia ricorda anche che “in quei mesi arrivavano i giornalisti stranieri che facevano sempre la stessa domanda: ‘Che cosa ne sapete di un imminente colpo di Stato?’”. Paolo Emilio Taviani ha escluso con decisione che Rumor potesse essere il terminale della strategia stragista e quindi indotto a proclamare lo stato di emergenza all’indomani della bomba di Piazza Fontana. “È falso perché Rumor caratterialmente era incapace non solo di farlo ma anche di pensarlo”. È un fatto che Ordine Nuovo tentò più volte di uccidere Rumor per vendicarsi di qualcosa. Tentarono con Vincenzo Vinciguerra, nel 1971, (“doveva pagare perché ha tradito. Non ha approfittato della situazione, si è tirato indietro”, come gli disse Delfo Zorzi proponendogli 42 42

l’omicidio) e poi con l’ambiguo attentato di Gianfranco Bertoli, sedicente anarchico, ma ricattato dal gruppo ordinovista veneto, secondo l’inchiesta Salvini. Guido Salvini afferma che Rumor si defilò non avallando le richieste che venivano dal Quirinale fin dalla stessa sera del 12 dicembre. Vedremo che c’è qualche traccia di tutto questo tra le carte. Il problema, come affermano i “pentiti” dell’inchiesta Salvini, era che Ordine Nuovo (e non solo lui) “si aspettava” la proclamazione dello stato d’emergenza nazionale con relative sospensioni di alcune garanzie costituzionali. Ma in politica le aspettative sono tante quante le delusioni. Due linee strategiche si intersecano e si ricompongono: anzi, cerchi concentrici che si ignorano ma si sostengono l’uno con l’altro, creando un accadimento, un fatto, una strage, con la forza dei singoli cerchi che puntano, richiudendosi politicamente ed operativamente, sempre più al centro; al punto zero. Una spiegazione che è stata avallata da uno dei più stretti collaboratori di Aldo Moro, Corrado Guerzoni, con le parole pronunciate, nel 1995, davanti alla Commissione stragi. Se si riflette su questa descrizione, a suo modo esemplare, tutto diventa politicamente intelligibile. “Al livello più alto si dice che il paese va alla deriva, che ha dei grossi problemi, che i comunisti finiranno per avere il potere anche a causa dei propri errori e che si deve fare qualcosa. Tra questo cerchio e il successivo apparentemente non c’è un collegamento, perché sono appunto cerchi concentrici, equidistanti l’uno dall’altro. Sappiamo però che c’è una forza sottostante, una sorta d’ onda lunga che li fa tenere in sintonia e li sprigiona. Al cerchio successivo si dice: ‘Guarda che sono preoccupati, che cosa possiamo fare?’. Nel nostro ambito dobbiamo fare questo, questo ancora, dobbiamo vedere di influire sulla stampa, eccetera’. Così si va avanti fino all’ultimo livello, quello che dice: ‘Ho capito’. E succede quello che deve succedere. È la costruzione sistematica di un clima che, così come per il potere e il comando, chi lavora è sempre all’ultimo livello, così anche in questo caso. Ognuno non ha mai la responsabilità. Se lei va a chiedere a questo ipotetico onorevole se lui è la causa di piazza Fontana, le risponderà di no, ammesso che sia in buona fede. In realtà è avvenuto questo ed è accaduto sempre più sistematicamente, perché la Dc era un partito sostanzialmente moderato”. Così, almeno uno dei cerchi si sente “coperto” e “autorizzato” a muoversi, magari autonomamente, anticipando tempi e modi di un percorso d’innalzamento dello scontro che era stato ipotizzato come più lungo e con passaggi non segnati dal sangue ancora per molto tempo. Ecco perché probabilmente senza il “cerchio” che faceva riferimento a Rumor non ci sarebbe stato quello che faceva riferimento a Saragat, e viceversa. Senza On non ci sarebbe stata An, senza il Sid non ci sarebbe stato l’Ufficio Affari Riservati del Viminale. Il quotidiano inglese The Observer, il 6 dicembre, lo stesso giorno in cui diventa irreperibile a Milano Giangiacomo Feltrinelli, pubblica un articolo in cui si sostiene che la Grecia sta preparando un golpe in Italia. Nei giorni successivi, il giornale inglese attacca duramente Giuseppe Saragat denunciando la sua “strategia della tensione” che aveva indirettamente incoraggiato l’estrema destra a passare al terrorismo. Dopo la strage, Londra denuncia un piano “da paura”: “L’inaspettata moderazione dell’autunno caldo minacciava di liquidare la paura della rivoluzione sulla quale aveva puntato l’intero schieramento di destra, dai socialdemocratici ai neo-fascisti. Quelli che hanno fatto esplodere le bombe hanno riportato indietro quella paura”. Una spiegazione chiara e convincente. Il 14 dicembre il giornale inglese, “imbeccato” dai servizi di Londra, come vedremo, avanza una analisi della scissione socialista e dei suoi fini reali: Saragat “stava cercando più che influenzare i socialisti, di spostare la Dc verso la destra. Il calcolo era che il governo Rumor sarebbe caduto a causa delle agitazioni nel settore industriale, che elezioni di emergenza si sarebbero tenute nel nuovo anno e che la paura del comunismo avrebbe spazzato via alle elezioni la forte corrente di sinistra della Dc. Questo avrebbe eliminato la possibilità di una coalizione con i comunisti”. Gli attacchi da Londra si susseguono, tanto che si arriva a un passo ufficiale di protesta dell’ambasciatore italiano nella capitale inglese (non si capisce se effettivo o “mimato” per la stampa). Il 20 gennaio, l’Evening Standard scrive: “Al momento del panico, dopo la bomba, il Presidente italiano, sostenuto da potenti forze economiche, aveva progettato una strategia della 43 43

agente Usa fa sua pienamente la lettura che della vicenda dà fin dal 1978 “Il Segreto della<br />

Repubblica”: muovendo verso destra in piena solidarietà ed armonia con la crescente avversione<br />

popolare alla “strategia del terrore” che si stava sviluppando in quei mesi, e che l’opinione pubblica<br />

credeva opera della sinistra, “Saragat sperava di raccogliere 3 milioni di voti. Ma non poteva<br />

anticipare la data delle elezioni senza una maggioranza nelle Camere avendo soltanto il sostegno<br />

che aveva ricevuto da Nixon, la Cia e l’industria italiana”. Il grande spauracchio era appunto un<br />

governo Dc-Psi con appoggio del Pci e del Psiup: una coalizione che avrebbe rappresentato circa il<br />

70% delle forze presenti in Parlamento. “Per sconfiggere, annientare una tale coalizione, gli Usa<br />

potevano soltanto sperare di creare un’emergenza più grande che avrebbe isolato Moro e la sinistra<br />

Dc”, scrive Tompkins che cita proprio il libro di Walter Rubini, cioè Fulvio Bellini, a riscontro.<br />

“L’ambasciatore Usa a Roma, Martin aveva scelto di andare all’attacco”. Il suo canale in<br />

ambasciata con i vertici di Avanguardia Nazionale era rappresentato da Peter Bridges, Primo<br />

segretario all’ambasciata di Via Veneto. “All’organizzazione terrorista di Delle Chiaie fu dato disco<br />

verde ma Bridge disse che la responsabilità doveva cadere sulla sinistra”, scrive Tompkins. La<br />

Confindustria – scrive sempre Tompkins nel dattiloscritto – “chiedeva intanto al governo di<br />

eliminare gli scioperi ‘politici’ e, con un rapporto top secret, a Saragat un governo forte, senza i<br />

socialisti, che potesse controllare gli operai nel Nord d’Italia, proibire i ‘picchetti’ operai, e mettere<br />

fuori legge la ‘propaganda sovversiva’ e le ‘assemblee sediziose’”. In quelle settimane, a cavallo di<br />

giugno-luglio, Panorama riportava le parole di un anonimo funzionario del Viminale: “Basterebbe<br />

che un poliziotto fosse ucciso in una manifestazione, colpito dai dimostranti con armi da fuoco.<br />

Sarebbe quello che è utile per iniziare. Il Capo dello Stato e il governo potrebbero dichiarare lo stato<br />

d’emergenza”. Più avanti ritroveremo il giovane diplomatico Peter Bridges, che parlava<br />

fluentemente l’italiano, nei contatti che a fine 1969 l’ambasciata Usa intraprende, indirettamente,<br />

con il Pci.<br />

Anche nel ‘70-’71, come abbiamo visto, l’altro problema centrale dello scacchiere politico italiano<br />

è chi andrà al Quirinale dopo Saragat: Moro o Fanfani. I documenti americani danno conto di quella<br />

che definiscono quasi una “ossessione” della politica italiana e tra i due contendenti gli analisti<br />

americani indicano un outsider che farà strada, Sandro Pertini.<br />

Si sa che se Moro scalerà il Colle si potrà realizzare quella “Repubblica Conciliare’’ che tanto<br />

spaventa giornali come Il Borghese e Candido. Nel 1969 si parla di “nuovo patto costituzionale”<br />

(De Mita) e di “centrosinistra senza preclusioni” (De Martino). Nel 1978 di “compromesso storico”,<br />

ma il problema è lo stesso, e questo lega indissolubilmente la strage di Piazza Fontana a via Fani.<br />

Anzi la strada che porta in via Caetani, alle spalle di Botteghe Oscure, inizia proprio quel 12<br />

dicembre del 1969 ed ecco perché la strage del dicembre e l’omicidio di Aldo Moro rappresentano<br />

gli architravi del terrorismo italiano.<br />

Subito dopo la strage, Kissinger non esclude che le bombe siano di destra: “La polizia italiana sta<br />

arrestando anche i neofascisti con trascorsi terroristici”. Tra gennaio e febbraio né Rumor, né Moro,<br />

né Fanfani riescono a formare un governo: l’Italia sembra lì lì per naufragare. A marzo, tra mille<br />

dubbi, come già ricordato, ci riesce nuovamente Rumor.<br />

Veneto, noto per la sua mitezza, era citatissimo nelle strade dai giovani di destra grazie allo slogan<br />

“Le bombe fanno Rumor”. Dopo la strage, ricorda un suo stretto collaboratore di allora,<br />

Piervincenzo Porcacchia, andò in Galleria a Milano per far vedere che tutto era sotto controllo e che<br />

bisognava stare tranquilli. Però, Porcacchia ricorda anche che “in quei mesi arrivavano i giornalisti<br />

stranieri che facevano sempre la stessa domanda: ‘Che cosa ne sapete di un imminente colpo di<br />

Stato?’”.<br />

<strong>Paolo</strong> Emilio Taviani ha escluso con decisione che Rumor potesse essere il terminale della strategia<br />

stragista e quindi indotto a proclamare lo stato di emergenza all’indomani della bomba di Piazza<br />

Fontana. “È falso perché Rumor caratterialmente era incapace non solo di farlo ma anche di<br />

pensarlo”. È un fatto che Ordine Nuovo tentò più volte di uccidere Rumor per vendicarsi di<br />

qualcosa. Tentarono con Vincenzo Vinciguerra, nel 1971, (“doveva pagare perché ha tradito. Non<br />

ha approfittato della situazione, si è tirato indietro”, come gli disse Delfo Zorzi proponendogli<br />

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