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Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia

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che Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi erano stati condannati per diffamazione nei confronti del<br />

generale De Lorenzo, già nel marzo del 1967. Questo episodio ha quindi due possibili letture: o<br />

Cossutta volge al bene un colloquio ben più drammatico e diretto, visto quello che scriveva L’Unità<br />

in quei giorni, e quindi il giudizio di oggi è ‘velato’ da un rovesciamento di senso, oppure il Pci<br />

sapeva che l’altra cordata della trama eversiva, quella che prevedeva l’arresto di Saragat da parte di<br />

Licio Gelli e del manipolo che doveva occupare il Quirinale nel dicembre del 1970, si stava<br />

dispiegando con il sostegno di un’ala della Dc, come ha accertato l’inchiesta Salvini.<br />

Altra variante possibile è che gruppi o realtà politiche facessero pressioni pesanti sul Presidente<br />

della Repubblica (basta rileggere i giornali di quei giorni per verificarlo) per impedire la nascita di<br />

un gabinetto Moro, magari minacciando rivelazioni su presunte suggestioni o ipotizzate<br />

disponibilità. L’episodio comunque è interessante perché è francamente inspiegato e inspiegabile<br />

che il maggior partito di opposizione, in quel contesto, si offrisse di garantire l’incolumità del Capo<br />

dello Stato. Minacciata da chi?<br />

L’ipotesi più drammatica vede il Pci dare la sua disponibilità a ‘salvare’ un Saragat sotto ricatto da<br />

parte di strutture, uomini, gruppi che si sentivano minacciati dal traballante ma comunque attivo<br />

avanzare delle inchieste e quindi , in caso di reazione della “piazza di destra” o della ‘cordata’<br />

politico-istituzionale che si sentiva minacciata, il Pci avrebbe offerto con il suo apparato una via di<br />

fuga concreta al Capo dello Stato.<br />

Prima della strage, il Psdi, evocando i poteri di scioglimento delle Camere di Saragat, aveva posto<br />

una serie di rinnovati ultimatum contro la rinascita del centrosinistra organico, proponendo il ritorno<br />

al centrismo, cioè un governo con dentro i liberali che avrebbero sostituito i socialisti accusati di<br />

aver scelto l’intesa strategica con il Pci, proprio nel momento in cui il sistema economico e le<br />

contrattazioni sindacali, che si stavano chiudendo, davano segnali confortanti di aver retto alla tanto<br />

temuta vampata rivoluzionaria dell’autunno caldo.<br />

Una sterzata politica programmata in vista della verifica che si trascinava da ottobre-novembre,<br />

quando il Presidente del Psu, Mario Tanassi, con un’intervista a Epoca aveva posto il problema se<br />

la Dc volesse o no il Pci nell’area di governo, chiedendo che sulla questione i cittadini si<br />

esprimessero. La Dc era in subbuglio. La sinistra interna aveva posizioni di dichiarata apertura al<br />

confronto con il Pci. Botteghe Oscure stava alla finestra in attesa dello sbocco della crisi. Psdi e<br />

liberali invocavano le elezioni con il Pri che, più debolmente, condivideva la linea d’intransigenza.<br />

Il tutto, dopo i rinnovi contrattuali che si stavano positivamente chiudendo in quei giorni, era<br />

rimandato a metà dicembre.<br />

La strage arriva quando si deve decidere che strada imboccare e Rumor, poche ore dopo la bomba,<br />

quando a Milano la sinistra schiera migliaia d’operai per impedire quella che lo stesso Presidente<br />

del Consiglio definirà in un’intervista di qualche giorno dopo una “folle avventura”, chiede subito<br />

un incontro con tutti i segretari del centrosinistra per far rinascere l’intesa.<br />

In tutta la vicenda, quindi, sembra di intravedere due linee di sviluppo operative: una di vecchio<br />

stampo, repressiva e legata direttamente agli apparati fascisti, sopravvissuti alla Resistenza, e l’altra<br />

legata a uomini della Resistenza “bianca”, a logiche di una gestione meno traumatica e più politica<br />

della “strategia della tensione”. Uno scontro di ‘cordate’ che ruota anche attorno alla gestione delle<br />

commesse militari in scadenza; all’emergere di gruppi come il Mar, dell’ex “partigiano bianco”<br />

Carlo Fumagalli, o del comandante Junio Valerio Borghese che probabilmente vede fallire il ‘suo’<br />

golpe già in gestazione nel dicembre del 1969 proprio perché non ci si fida, politicamente, di un<br />

uomo troppo ingombrante visto il suo passato e le dichiarate aspirazioni politiche “in proprio”.<br />

Due linee incarnate, va precisato e chiarito, in chiave strettamente politica, anche dai due uomini al<br />

vertice dello Stato: Giuseppe Saragat e Mariano Rumor, stretti in un “gioco politico” che ai vari<br />

livelli operativi sottostanti veniva visto, desiderato e interpretato in maniera concretamente diversa.<br />

Linee politiche quindi distinte ai vertici, e che alla fine, dopo la strage, si separano lungo elementi<br />

di differenziazione ancora mai evidenziati per intero, ma che avevano molti punti di contatto a<br />

livello operativo: di uomini, di strutture dispiegate sul territorio, di contatti nei gangli dello Stato, di<br />

referenti nei gruppi impegnati nell’innalzamento del livello di infiltrazione e scontro. Obiettivo<br />

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