Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia
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(o del Presidente). Alla fine tra mille contrattazioni la scelta che prevale è quella di “annacquare” il<br />
programma politico ma non abbandonare la formula di centrosinistra resistendo alle forti pressioni<br />
di Antonio Segni che in agosto, dopo un drammatico confronto con Giuseppe Saragat e Aldo Moro<br />
al Quirinale, sarà colpito da una trombosi invalidante che in dicembre lo costringerà alle dimissioni.<br />
Il Presidente della Repubblica aveva minacciato elezioni anticipate- e temuto fortemente reazioni di<br />
piazza - per affossare il centrosinistra di Moro e Nenni e alla fine di fatto è l’ictus che colpisce<br />
Antonio Segni a chiudere lo scontro politico in atto nell’estate del 1964.<br />
Uno dei pochi libri che parlano delle vicende degli “uomini del Quirinale” dà una lettura incrociata<br />
di due drammatici colloqui avvenuti nelle stanze del Colle più alto nel 1964 e nel 1969.<br />
“Accadde per Antonio Segni accusato da Giuseppe Saragat (presente Aldo Moro: l’uno era ministro<br />
degli Esteri e l’altro Capo del Governo) d’atti tanto corposi da ‘meritare l’Alta Corte di Giustizia’.<br />
Ma quali atti? Possibile, come venne detto, soltanto d’ingerenze in un rimescolamento<br />
d’ambasciatori? Si raccontò d’un valletto quirinalesco, o di qualcuno in veste di valletto, che aveva<br />
potuto ascoltare il riferimento all’Alta Corte di Giustizia urlato da Saragat. Poi più niente.<br />
Nemmeno una prova e bocca cucita da parte dei protagonisti. Uno dei quali per sempre: Antonio<br />
Segni colpito in quel frangente da ictus cerebrale.<br />
Accadde per il suo successore. Per Giuseppe Saragat accusato da Aldo Moro di aver preso<br />
misteriosi accordi politici a quattr’occhi con il presidente americano Richard Nixon. E si disse che<br />
Aldo Moro, a quel tempo ministro degli Esteri, fosse stato informato da uomini dei servizi segreti<br />
americani ‘vicini’ al Partito Democratico (Nixon era repubblicano). Poi più niente. Nemmeno una<br />
prova e ancora bocche cucite da parte dei protagonisti. Uscì però un pamphlet (Il Golpe) scritto da<br />
un saggista della sinistra Dc e dedicato scopertamente al Presidente e alle strutture sia militari, sia<br />
civili del Quirinale. Fece scalpore nei palazzi romani, se lo passarono di mano in mano magistrati<br />
della Procura generale, ma non venne portato in tribunale come forse sperava l’autore, Giovanni Di<br />
Capua”. 49<br />
La possibile continuità di situazione e uomini, tra il 1964 e il 1969, è certamente forte e in qualche<br />
misura suggestiva. Un passaggio drammatico che, in situazioni simili, è bissato ma a ruoli invertiti<br />
tra i due politici. Si potrebbe spiegare così anche lo schierarsi di Saragat con la linea della trattativa<br />
durante i 55 giorni e quelle sue drammatiche ma veritiere parole dopo l’omicidio quando affermò<br />
che con il cadavere di Moro scendeva nella terra anche la Prima Repubblica.<br />
“Moro era l’artefice dell’incontro con i comunisti, era un soggetto a rischio. Del resto basta<br />
guardare gli anni delle bombe. Quando Moro si marginalizza, anche le bombe si marginalizzano”,<br />
dice Giovanni, il figlio del Presidente della Dc che definisce, giustamente, il rapimento di suo padre<br />
come “un’operazione di chirurgia sulla politica italiana per fermare il suo progetto”. Anche qui le<br />
similitudini esistenti tra i tre passaggi -1964, 1969, 1978- suggeriscono percorsi di analisi così densi<br />
di elementi, richiami, soggetti nazionali e non e motivazioni nazionali e internazionali, da<br />
sgomentare.<br />
Nel novembre 1968, Moro teme veramente, come tanti in quei mesi, che la Repubblica scivoli verso<br />
Weimar e, soprattutto, che l’irruenza operaia e studentesca possa innescare contraccolpi drammatici<br />
a destra anche perché, dice nel gennaio del 1969, le contestazioni nei confronti delle forze politiche<br />
non sono portate solo da “gruppi di intellettuali conservatori o da qualunquisti incorreggibili” ma<br />
trovano alimento “anche in ambienti democratici”.<br />
Durante la prigionia in mano alle Br, rievocando come seppe della strage del 12 dicembre, mentre<br />
era a Parigi insieme alla figlia per i lavori del Consiglio d’Europa, quello che colpisce ancora oggi è<br />
il senso di sgomento umano e politico di Moro allorché affiora netta la sensazione che “qualcosa d’<br />
imprevedibile e di oscuro si fosse messo in moto”. “Siamo in guerra” aggiunge poco dopo parlando<br />
con i familiari al telefono. “Si sta preparando per un pranzo ufficiale. E’ allegro. Poi qualcuno gli<br />
porta la notizia della strage di Piazza Fontana a Milano. Lo vedo invecchiare in un istante”, racconta<br />
la figlia Agnese di quei momenti. 50<br />
49 AaVv.Gli uomini del Quirinale, Laterza, 1984,p.156<br />
50 Agnese Moro,Un uomo così, Rizzoli, Milano, 2003,p.60<br />
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