Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia
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Probabilmente le Br avrebbero finito per fare una scelta diversa, si sarebbe portato avanti il discorso<br />
su uno scambio di prigionieri”. La verità sulla strage valeva, dunque, per le Br, la libertà di Moro.<br />
Un prezzo altissimo perché quella strage è una data cardine, un vero e proprio spartiacque politico<br />
che nasconde ancora oggi almeno due segreti. Uno giudiziario: chi e come esegue la strage (e su<br />
questo lo Stato per 11 volte ha dimostrato la sua impotenza a pronunciarsi); e uno politico: perché il<br />
potere decide di coprire esecutori e mandanti. Il volume di Bellini propone, nel 1978, tutti gli<br />
elementi essenziali che costrinsero la classe politica italiana, Pci compreso – e solo per la parte di<br />
responsabilità che all’epoca esercitava nel sistema politico italiano e con i relativi pesanti limiti – a<br />
non andare fino in fondo nella ricerca della verità; a scaricare sulla magistratura l’impossibile<br />
accertamento di una verità giudiziaria dei fatti e dei “retroscena” – anche fattuali – che era<br />
volutamente monca del presupposto fondamentale: perché tutto questo?<br />
Con quale scopo? Poteva esserci la risposta giudiziaria giusta se mancava la domanda politica<br />
essenziale, fondante?<br />
Ci vorranno altri dodici anni per “ritrovare”, dietro un pannello murato nell’intercapedine accanto<br />
un termosifone nella stessa base Br milanese di via Monte Nevoso, un altro mazzo di carte di Moro.<br />
Era sempre l’ottobre, ma del 1990, e quelle lettere non furono poi così deludenti come dicevano i<br />
Br.<br />
Moro scrive di non aver mai creduto alla pista “rossa” per Piazza Fontana e che dietro quegli<br />
attentati, che avevano l’obiettivo di normalizzare l’Italia del 1968, c’erano centrali straniere. Moro<br />
svela anche che, nel 1971, quando al Quirinale venne eletto Giovanni Leone, la Dc bruciò la sua<br />
candidatura a Presidente della Repubblica, spiegando, nei verbali degli “interrogatori” ritrovati nel<br />
1990, che quella carica era stata promessa a lui dai maggiorenti del partito. In un’assemblea Dc<br />
Moro parlò, avendo come garanzia una riservatezza assoluta che non ci fu, della grave crisi politica<br />
e dell’avanzare della destra che “è senza dubbio più potente di quello che risulta manifesta”. Tra<br />
l’altro Moro elogiò il Pci che “ha mostrato un notevole senso di responsabilità verso il Paese perché<br />
non ha giuocato un ruolo di rottura, non ha mirato a coprire e a riempire il vuoto prodottosi fra le<br />
forze sociali e le forze politiche con un’azione distruttiva”. E Moro nel discorso che doveva<br />
rimanere segreto allude più volte al “partito della strategia della tensione”: “Non servirebbe allo<br />
scopo – dice - investire con una nostra rigorosa e pubblica denuncia il partito e il governo. Una<br />
simile denuncia determinerebbe la caduta degli attuali vertici del partito e la crisi di governo”. E’ un<br />
esempio perfetto del modo di agire di Moro. Della sua prudenza, del suo cercare comunque e<br />
sempre il compromesso. Di coprire, sedare, tacere, rinviare quando non si può o è controproducente<br />
affrontare, denunciare, decidere. Una scelta che Moro ha fatto già altre volte e farà ancora tanto da<br />
divenire l’uomo degli omissis della Repubblica. E’ l’altra faccia di Moro; quella oscura che lo fa<br />
circondare di una ‘corte’ legata in gran parte allo scandalo dei petroli; che fa depositare in Svizzera<br />
i soldi della corrente per fronteggiare le conseguenze sul suo gruppo e sulla sua famiglia di un<br />
possibile golpe; che gli fa stringere inusitate alleanze con generali notoriamente di destra, ma a lui<br />
fedeli, magari in virtù di coperture offerte in momenti difficili per la loro carriera militare, come nel<br />
caso di Vito Miceli. Gli esempi sono tanti. Fu Moro a porre gli omissis sulla questione del luglio<br />
1964; ancora lui a coprire Miceli che invocava il segreto “politico –militare” per quella che poteva<br />
essere la Gladio; lui a coprire con gli omissis la vicenda Sogno; ancora lui a legittimare e non<br />
denunciare l’utilizzo del “ segreto politico-militare” nell’inchiesta sulla strage.<br />
Nel “carcere del popolo” Moro si soffermerà a lungo su questo importante discorso del 1971.<br />
“Questo episodio mi valse ancora una volta (come già nel 1969) la qualifica di antipartito, una<br />
posizione registrata ed esemplificata tra i gruppi parlamentari che giocò il suo ruolo, come è<br />
naturale decisivo, ai fini della mia qualificazione personale per la carica di Presidente della<br />
Repubblica. Tanto poco dominavo il partito che in quel caso fui battuto da altro parlamentare”, cioè<br />
Giovanni Leone, eletto grazie ai voti del Msi. E Moro sarà battuto nella corsa al Quirinale anche nel<br />
1978 e questa volta non dalla Dc, ma da un partito ben più ampio e oscuro, forte e trasversale, che<br />
ha potuto giovarsi anche del fuoco delle Br per fermare la sua ascesa alla massima carica della<br />
Repubblica.<br />
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