Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia

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21.06.2013 Views

La “verità” politica su Piazza Fontana Bellini l’ha saputa, sia pure per sommi capi, prima che tutto accadesse, già nel settembre del 1969, da un amico commilitone dei tempi del SOE , il servizio segreto militare inglese, le cui iniziali erano G.A che in effetti all’epoca era un agente dell'IRD (Information Research Department, di fatto una branca operativa dei servizi di Londra), che gli annunciò che ci sarebbe stato presto “qualcosa di grosso”. Immediatamente dopo la strage, l'amico inglese tratteggiò questo retroscena: vi era stato un grosso scontro istituzionale fra l’area che aveva a capo Saragat, definibile come ‘partito americano’, e l'area che aveva fatto capo a Moro; scontro che aveva avuto il suo epilogo a fine dicembre. Aveva vinto la seconda linea grazie alla possibilità di mettere sul tavolo i primi risultati delle indagini volute dal ministro Gui, tramite i carabinieri, che avevano evidenziato da subito la responsabilità di gruppi di destra. “Per questa ragione - spiega Bellini- non era stato decretato la Stato d’emergenza e non erano state sciolte le Camere, come soprattutto i settori del rinato Psu volevano, anche se l'accordo si era comunque concluso lasciando da parte i risultati delle prime indagini sulla destra e lasciando che si sviluppasse la cosiddetta ‘pista rossa’. Il ‘giornalista’ inglese mi disse che l'on. Rumor, che inizialmente faceva parte dell’area del ‘partito americano’, fortemente colpito dalla grande mobilitazione popolare che vi era stata ai funerali delle vittime della strage, era stato colto da dubbi e si era alleato con l'onorevole Moro non consentendo così che avvenisse una svolta autoritaria e soprattutto non consentendo che fossero sciolte le Camere” 43 . Bellini nel suo libro attribuisce ad un altro politico, Giulio Andreotti, un ruolo rilevante; decisivo nell’impedire lo scioglimento del Parlamento. A sostenere Moro sono Forlani e Andreotti. Piccoli appoggia il titubante Rumor. I conti si tireranno nella direzione Dc post-strage. Nella relazione introduttiva Forlani si schiera nettamente contro lo scioglimento anticipato delle Camere. “Una crisi disarticolata, al buio, aperta nel totale dissenso e priva di indicazioni aprirebbe troppe gravose incognite”, dice il segretario della Dc. 44 Dalla stampa inglese, subito dopo la strage di Milano, viene l'accusa di aver predisposto un ‘golpe strisciante’ 45 , un’inusitata critica che è “una sorta di presa di posizione ufficiale ben comprensibile negli ambienti politico-diplomatici, che intendevano disapprovare la possibile destabilizzazione del nostro Paese a seguito di un eventuale scioglimento delle Camere”. Ciò era stato ben capito da Saragat che “stizzito aveva indotto il governo ad una presa di posizione diplomatica”. “Comunque - è la tesi di Bellini - da tale messaggio l’ala che faceva capo a Moro e a una forte parte della Dc aveva capito che non era isolata”. “Il Segreto della Repubblica” uscì in libreria nell’ottobre del 1978, quando sui giornali si commentavano, tra mille polemiche, proprio le carte di Aldo Moro trovate a via Monte Nevoso, in una base delle Br. Inizialmente il magistrato ipotizzò, prima di interrogare Bellini che aveva scritto il suo volume sotto pseudonimo, che alcune di quelle notizie potessero essere frutto proprio di notizie raccolte dalle Br durante la prigionia. Ipotesi non del tutto peregrina se si riflette su che cosa volevano sapere dal Presidente della Dc le Brigate Rosse dopo averlo rapito e prima di ucciderlo. Tra le questioni centrali che le Br intendevano conoscere da colui che ai loro occhi rappresentava il “cuore dello Stato”, il vero e unico rappresentante, insieme ad Andreotti, del Potere-Stato della Dc, c’era proprio la “verità” sulla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, a Milano. La “porta stretta” della storia di quegli anni dove tutto passa, volenti o nolenti. “A Moro era stato detto – affermò Patrizio Peci, il primo pentito delle Br nel verbale del 4 febbraio 1980 – che se avesse denunciato gli scandali del regime, come per esempio i retroscena della strage di Piazza Fontana, sicuramente sarebbe stato liberato”. Anche Adriana Faranda, la “postina” delle lettere di Moro, unitamente a Valerio Morucci, ha confermato questo obiettivo centrale degli interrogatori Br: “Moro non parlò, fu evasivo nelle risposte. Se avesse detto ‘come Dc siamo coinvolti nel golpe Borghese o nella strage di Piazza Fontana’ forse si sarebbe salvato. 43 Intervista all’autore a Fulvio Bellini 44 Fulvio Bellini-Gianfranco Bellini,op. cit. ,p.117 45 Intervista dell’autore a Fulvio Bellini 32 32

Probabilmente le Br avrebbero finito per fare una scelta diversa, si sarebbe portato avanti il discorso su uno scambio di prigionieri”. La verità sulla strage valeva, dunque, per le Br, la libertà di Moro. Un prezzo altissimo perché quella strage è una data cardine, un vero e proprio spartiacque politico che nasconde ancora oggi almeno due segreti. Uno giudiziario: chi e come esegue la strage (e su questo lo Stato per 11 volte ha dimostrato la sua impotenza a pronunciarsi); e uno politico: perché il potere decide di coprire esecutori e mandanti. Il volume di Bellini propone, nel 1978, tutti gli elementi essenziali che costrinsero la classe politica italiana, Pci compreso – e solo per la parte di responsabilità che all’epoca esercitava nel sistema politico italiano e con i relativi pesanti limiti – a non andare fino in fondo nella ricerca della verità; a scaricare sulla magistratura l’impossibile accertamento di una verità giudiziaria dei fatti e dei “retroscena” – anche fattuali – che era volutamente monca del presupposto fondamentale: perché tutto questo? Con quale scopo? Poteva esserci la risposta giudiziaria giusta se mancava la domanda politica essenziale, fondante? Ci vorranno altri dodici anni per “ritrovare”, dietro un pannello murato nell’intercapedine accanto un termosifone nella stessa base Br milanese di via Monte Nevoso, un altro mazzo di carte di Moro. Era sempre l’ottobre, ma del 1990, e quelle lettere non furono poi così deludenti come dicevano i Br. Moro scrive di non aver mai creduto alla pista “rossa” per Piazza Fontana e che dietro quegli attentati, che avevano l’obiettivo di normalizzare l’Italia del 1968, c’erano centrali straniere. Moro svela anche che, nel 1971, quando al Quirinale venne eletto Giovanni Leone, la Dc bruciò la sua candidatura a Presidente della Repubblica, spiegando, nei verbali degli “interrogatori” ritrovati nel 1990, che quella carica era stata promessa a lui dai maggiorenti del partito. In un’assemblea Dc Moro parlò, avendo come garanzia una riservatezza assoluta che non ci fu, della grave crisi politica e dell’avanzare della destra che “è senza dubbio più potente di quello che risulta manifesta”. Tra l’altro Moro elogiò il Pci che “ha mostrato un notevole senso di responsabilità verso il Paese perché non ha giuocato un ruolo di rottura, non ha mirato a coprire e a riempire il vuoto prodottosi fra le forze sociali e le forze politiche con un’azione distruttiva”. E Moro nel discorso che doveva rimanere segreto allude più volte al “partito della strategia della tensione”: “Non servirebbe allo scopo – dice - investire con una nostra rigorosa e pubblica denuncia il partito e il governo. Una simile denuncia determinerebbe la caduta degli attuali vertici del partito e la crisi di governo”. E’ un esempio perfetto del modo di agire di Moro. Della sua prudenza, del suo cercare comunque e sempre il compromesso. Di coprire, sedare, tacere, rinviare quando non si può o è controproducente affrontare, denunciare, decidere. Una scelta che Moro ha fatto già altre volte e farà ancora tanto da divenire l’uomo degli omissis della Repubblica. E’ l’altra faccia di Moro; quella oscura che lo fa circondare di una ‘corte’ legata in gran parte allo scandalo dei petroli; che fa depositare in Svizzera i soldi della corrente per fronteggiare le conseguenze sul suo gruppo e sulla sua famiglia di un possibile golpe; che gli fa stringere inusitate alleanze con generali notoriamente di destra, ma a lui fedeli, magari in virtù di coperture offerte in momenti difficili per la loro carriera militare, come nel caso di Vito Miceli. Gli esempi sono tanti. Fu Moro a porre gli omissis sulla questione del luglio 1964; ancora lui a coprire Miceli che invocava il segreto “politico –militare” per quella che poteva essere la Gladio; lui a coprire con gli omissis la vicenda Sogno; ancora lui a legittimare e non denunciare l’utilizzo del “ segreto politico-militare” nell’inchiesta sulla strage. Nel “carcere del popolo” Moro si soffermerà a lungo su questo importante discorso del 1971. “Questo episodio mi valse ancora una volta (come già nel 1969) la qualifica di antipartito, una posizione registrata ed esemplificata tra i gruppi parlamentari che giocò il suo ruolo, come è naturale decisivo, ai fini della mia qualificazione personale per la carica di Presidente della Repubblica. Tanto poco dominavo il partito che in quel caso fui battuto da altro parlamentare”, cioè Giovanni Leone, eletto grazie ai voti del Msi. E Moro sarà battuto nella corsa al Quirinale anche nel 1978 e questa volta non dalla Dc, ma da un partito ben più ampio e oscuro, forte e trasversale, che ha potuto giovarsi anche del fuoco delle Br per fermare la sua ascesa alla massima carica della Repubblica. 33 33

La “verità” politica su Piazza Fontana Bellini l’ha saputa, sia pure per sommi capi, prima che tutto<br />

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segreto militare inglese, le cui iniziali erano G.A che in effetti all’epoca era un agente dell'IRD<br />

(Information Research Department, di fatto una branca operativa dei servizi di Londra), che gli<br />

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Immediatamente dopo la strage, l'amico inglese tratteggiò questo retroscena: vi era stato un grosso<br />

scontro istituzionale fra l’area che aveva a capo Saragat, definibile come ‘partito americano’, e<br />

l'area che aveva fatto capo a Moro; scontro che aveva avuto il suo epilogo a fine dicembre. Aveva<br />

vinto la seconda linea grazie alla possibilità di mettere sul tavolo i primi risultati delle indagini<br />

volute dal ministro Gui, tramite i carabinieri, che avevano evidenziato da subito la responsabilità di<br />

gruppi di destra. “Per questa ragione - spiega Bellini- non era stato decretato la Stato d’emergenza e<br />

non erano state sciolte le Camere, come soprattutto i settori del rinato Psu volevano, anche se<br />

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lasciando che si sviluppasse la cosiddetta ‘pista rossa’. Il ‘giornalista’ inglese mi disse che l'on.<br />

Rumor, che inizialmente faceva parte dell’area del ‘partito americano’, fortemente colpito dalla<br />

grande mobilitazione popolare che vi era stata ai funerali delle vittime della strage, era stato colto<br />

da dubbi e si era alleato con l'onorevole Moro non consentendo così che avvenisse una svolta<br />

autoritaria e soprattutto non consentendo che fossero sciolte le Camere” 43 . Bellini nel suo libro<br />

attribuisce ad un altro politico, Giulio Andreotti, un ruolo rilevante; decisivo nell’impedire lo<br />

scioglimento del Parlamento. A sostenere Moro sono Forlani e Andreotti. Piccoli appoggia il<br />

titubante Rumor. I conti si tireranno nella direzione Dc post-strage. Nella relazione introduttiva<br />

Forlani si schiera nettamente contro lo scioglimento anticipato delle Camere. “Una crisi<br />

disarticolata, al buio, aperta nel totale dissenso e priva di indicazioni aprirebbe troppe gravose<br />

incognite”, dice il segretario della Dc. 44<br />

Dalla stampa inglese, subito dopo la strage di Milano, viene l'accusa di aver predisposto un ‘golpe<br />

strisciante’ 45 , un’inusitata critica che è “una sorta di presa di posizione ufficiale ben comprensibile<br />

negli ambienti politico-diplomatici, che intendevano disapprovare la possibile destabilizzazione del<br />

nostro Paese a seguito di un eventuale scioglimento delle Camere”. Ciò era stato ben capito da<br />

Saragat che “stizzito aveva indotto il governo ad una presa di posizione diplomatica”. “Comunque -<br />

è la tesi di Bellini - da tale messaggio l’ala che faceva capo a Moro e a una forte parte della Dc<br />

aveva capito che non era isolata”.<br />

“Il Segreto della Repubblica” uscì in libreria nell’ottobre del 1978, quando sui giornali si<br />

commentavano, tra mille polemiche, proprio le carte di Aldo Moro trovate a via Monte Nevoso, in<br />

una base delle Br.<br />

Inizialmente il magistrato ipotizzò, prima di interrogare Bellini che aveva scritto il suo volume sotto<br />

pseudonimo, che alcune di quelle notizie potessero essere frutto proprio di notizie raccolte dalle Br<br />

durante la prigionia. Ipotesi non del tutto peregrina se si riflette su che cosa volevano sapere dal<br />

Presidente della Dc le Brigate Rosse dopo averlo rapito e prima di ucciderlo.<br />

Tra le questioni centrali che le Br intendevano conoscere da colui che ai loro occhi rappresentava il<br />

“cuore dello Stato”, il vero e unico rappresentante, insieme ad Andreotti, del Potere-Stato della Dc,<br />

c’era proprio la “verità” sulla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, a Milano.<br />

La “porta stretta” della storia di quegli anni dove tutto passa, volenti o nolenti.<br />

“A Moro era stato detto – affermò Patrizio Peci, il primo pentito delle Br nel verbale del 4 febbraio<br />

1980 – che se avesse denunciato gli scandali del regime, come per esempio i retroscena della strage<br />

di Piazza Fontana, sicuramente sarebbe stato liberato”. Anche Adriana Faranda, la “postina” delle<br />

lettere di Moro, unitamente a Valerio Morucci, ha confermato questo obiettivo centrale degli<br />

interrogatori Br: “Moro non parlò, fu evasivo nelle risposte. Se avesse detto ‘come Dc siamo<br />

coinvolti nel golpe Borghese o nella strage di Piazza Fontana’ forse si sarebbe salvato.<br />

43 Intervista all’autore a Fulvio Bellini<br />

44 Fulvio Bellini-Gianfranco Bellini,op. cit. ,p.117<br />

45 Intervista dell’autore a Fulvio Bellini<br />

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