Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia

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21.06.2013 Views

impossibile fare un processo, accertare la verità. Sono importantissimi i generali e anche Guido Giannettini, Pino Rauti, Stefano Delle Chiaie” 38 . La rete italo-americana che si mosse – e in questo le testimonianze dell’inchiesta sono tali e tante da essere prese in considerazione dagli storici che non hanno paura di affondare le mani nel ‘cuore oscuro’ dell’Italia - aveva un progetto ben chiaro in testa: lo ‘sbocco’ della stagione delle bombe doveva essere, secondo almeno una delle due cordate che agivano sul campo in quelle settimane, la proclamazione dello stato d’emergenza da parte del Presidente del Consiglio Rumor. L’altra mirava ad un vero e proprio intervento dei militari sulla base dell’esperienza maturata ad Atene con il golpe dei colonnelli del 1967. Nel primo caso si trattava di una sorta di “pressione” militare da esercitarsi grazie e sull’onda dello sdegno, provocata dalla strage (quindi non un vero e proprio golpe) che avrebbe portato allo scioglimento del Parlamento e magari a riforme di stampo gollista, come vedremo. Anche qui troviamo, se ben si valuta tutta la documentazione disponibile, due linee, due strategie, due obiettivi a vari livelli. E probabilmente anche diversi referenti politici. L’analisi di Salvini poggia su riscontri politici logici che trovano conferma anche in quelli che i politici hanno detto negli anni sulla strage. Come altrimenti spiegare l’insistenza di Moro nel suo memoriale su Rumor e Bertoli? “Ricordo una viva raccomandazione fatta al ministro dell’Interno onorevole Rumor (egli stesso fatto oggetto di un attentato) di lavorare per la pista nera”, scrive durante la sua prigionia Aldo Moro, Presidente della Dc. Le dichiarazioni di Digilio e Siciliano, i dubbi di Taviani, le indicazioni di Moro si sommano e trovano ‘riscontro logico’ con quanto dichiarato ormai oltre 10 anni fa da Vincenzo Vinciguerra che dal gruppo ordinovista mestrino ricevette per ben due volte l'invito ad uccidere Rumor come forma di “punizione” per essersi tirato indietro. E' accertato - compare negli atti di diverse inchieste e di processi - che per due volte il gruppo di On chiese a Vinciguerra di uccidere il presidente del Consiglio nel '71 - '72. Vinciguerra si rifiutò. Lo stesso gruppo arrivò a controllare i soggiorni di fine settimana di Rumor a Vicenza studiando la possibilità di colpirlo con un fucile in giardino, come Kennedy. La sentenza della Cassazione ha assolto definitivamente Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Virginio Rognoni dall’accusa di essere i responsabili diretti della strage ma non ha cancellato quanto si è documentalmente capito, grazie a quest’ultimo processo sulla strage, del ruolo delle strutture di intelligence Usa nella strategia della tensione. Il referente Usa Carrett spiegò a Digilio che nei giorni immediatamente successivi alla strage le navi sia americane, sia italiane avevano avuto l'ordine di uscire dai porti “perché, in caso di manifestazioni o scontri diffusi, ancorate nei porti potevano essere più facilmente colpite”. A comandare la flotta Nato del Sud Europa è dal luglio del 1969 l’ammiraglio Giuseppe Rosselli-Lorenzini che era destinato a divenire il ministro della Difesa nei piani del golpe del 7 dicembre 1970, il ‘Golpe della Madonna’ che Borghese tentò di attuare con l’aiuto degli americani. Digilio riferisce di un colloquio, all’inizio dell' estate del ‘69, prima degli attentati ai treni dell’ agosto, con Carrett.“Mi disse che la loro struttura era stufa di tollerare o appoggiare azioni dei servizi segreti italiani, che avevano superato i limiti e scherzavano con il fuoco. Mi confermò che erano concepite azioni dimostrative in senso anticomunista, ma non massacri indiscriminati”. Politici, pentiti e agenti Usa sembrano raccontare tutti la medesima storia. Tra i molti episodi il pentito di On cita un colloquio con Ventura nell’estate del 1969: “Mi disse che la campagna non era finita e che altri gruppi di attentati sarebbero stati avviati nell’ intento di far fare una scelta al mondo militare e, a ruota di questo, anche a certi politici di Roma. Ventura ribadì che gli attentati non erano l’impresa di quattro pazzi, ma facevano parte di un piano ben preciso. Il progetto era partito con una riunione a Padova nella primavera, che aveva visto presenti i padovani, i veneziani, alcuni di Treviso, tra cui lui stesso e il capo di On, Pino Rauti. Non sono in grado di dire se tale riunione fosse la stessa di cui hanno poi parlato ampiamente i giornali”. Ecco come altri protagonisti dell’inchiesta milanese ricostruiscono la vicenda nei verbali. Edgardo Bonazzi, 38 “Ventura vuole Giannettini perché dica tutta la verità”, Il Tempo, 29 gennaio 1975 28 28

esponente storico dell’estremismo di destra, riferisce delle confidenze raccolte in carcere da Guido Giannettini. “Mi disse che la strage aveva di fatto paralizzato un progetto golpista poiché una serie di attentati dimostrativi avrebbe spinto verso una risposta d’ordine, mentre la strage, di fatto, aveva portato ad una risposta di solidarietà e di pacificazione”. Giannettini disse testualmente, racconta ancora Bonazzi, “che qualcuno aveva voluto spingere sull’acceleratore e questo aveva causato la rottura con Delle Chiaie secondo il quale la strage avrebbe inibito il golpe che avrebbe dovuto aver luogo il 12 dicembre. Giannettini mi disse che alcuni dirigenti nazionali del Msi conoscevano il progetto golpista del 1969”. L'elettricista padovano Tullio Fabris, inconsapevole consigliere di Freda e Ventura nella predisposizione dei timer, parla, nei verbali, di tre minacce ricevute nel tempo dagli esponenti di On Massimiliano Fachini e Pino Rauti. Nel marzo del 1970, Freda tenta di avvicinarlo nuovamente per convincerlo a divenire consulente stabile del gruppo. “La pagheremo bene e sarà protetto - racconta Fabris di quel colloquio - stia tranquillo che c'è una persona importante a livello governativo che ci darebbe una mano e che proteggerebbe anche lei”. Fabris riferisce anche che Franco Freda parlava di “colpo di Stato” e di “destabilizzazione” della situazione politica italiana già nel corso nei primi sei mesi del '69. Nicola Falde, generale dei servizi, oggi deceduto, nel '95 ha messo a verbale di aver ricevuto precise confidenze nell’ambito militare sulla strage. “Si tratta di notizie recepite in occasione di discorsi col generale Aloia, in un primo tempo e poi confermatemi dal colonnello Viola e dal generale Jucci. Tali notizie erano inerenti il coinvolgimento dell’ufficio Affari riservati nella fase di organizzazione della strage e il ruolo di copertura prestato dal Sid dopo l’operazione. Con l’ ufficio AaRr i miei interlocutori intendevano indicare il Prefetto Umberto Federico D'Amato e non la struttura nel suo insieme, così come quando si parlava del Sid intendevano riferirsi all'ammiraglio Henke e ai suoi fidati della direzione del Sid ed ai capi degli uffici”. Uno dei contributi più rilevanti a chiarire la dinamica politica della strage è quello di Vinciguerra. Gli attentati del 12 dicembre vanno inquadrati in una strategia golpista e per questi erano stati utilizzati sia uomini di On, sia di An. Questa strategia era arrivata in Italia, come in altre nazioni (la prima a sperimentarlo fu la Francia durante il maggio del 1968) grazie all’elaborazione teorica e all’ispirazione dell’Aginter Press di Guerin Serac, un ex ufficiale dell’Oas di formazione integralista cattolica che era la “mente” del modulo operativo utilizzato negli attentati e aveva addestrato a tal proposito gli uomini di Delle Chiaie. Fondamentale per capire cosa doveva succedere dopo la strage è la testimonianza di Vinciguerra sulla manifestazione convocata a Roma per il 14 dicembre dalla direzione del Msi, subito dopo il rientro di On nel partito. Obiettivo della manifestazione, che venne bloccata anche per le durissime ma non spiegate contestazioni che comparvero su L’Avanti! , era quello di innescare la richiesta da parte della “piazza di destra” di un “governo forte” con intervento dei militari. Questo l’obiettivo della cordata oltranzista. Vinciguerra parte da Udine la sera del 12 dicembre. Porta con sé una vistosa insegna di Ordine Nuovo nonostante il movimento sia entrato nel partito da alcune settimane. Il 13 restano a Roma in attesa di notizie dato che la manifestazione era in forse. “Sino a tarda notte – dice Vinciguerra- le notizie erano ancora incerte. La domenica mattina, il 14, si seppe che l’adunata era stata sospesa dal governo. Vinciguerra ebbe successivamente conferma di quanto già sapeva direttamente: quella manifestazione era strettamente collegata alla strage. Facevano parte di un’unica operazione politica. “Indico negli attentati del 12 dicembre 1969 non l’inizio della strategia della tensione, bensì il detonatore che, facendo esplodere una situazione, avrebbe consentito a determinate autorità politiche e militari la proclamazione dello stato d’ emergenza”. Anche Siciliano venne fermato in partenza per Roma. Vinciguerra fornisce la chiave per capire come si sarebbero costretti i militari ad intervenire; un’ulteriore strage che doveva colpire proprio “l’adunata” del 14 dicembre e che avrebbe portato impressa nell’obiettivo – i militanti di On e del Msi - il marchio dell’esecutore, cioè la sinistra. Quella manifestazione era destinata a “degenerare in gravi incidenti, così da fare da supporto e sostenere meglio la decisione del governo, legittima e certamente non disapprovata dalla 29 29

impossibile fare un processo, accertare la verità. Sono importantissimi i generali e anche Guido<br />

Giannettini, Pino Rauti, Stefano Delle Chiaie” 38 .<br />

La rete italo-americana che si mosse – e in questo le testimonianze dell’inchiesta sono tali e tante da<br />

essere prese in considerazione dagli storici che non hanno paura di affondare le mani nel ‘cuore<br />

oscuro’ dell’Italia - aveva un progetto ben chiaro in testa: lo ‘sbocco’ della stagione delle bombe<br />

doveva essere, secondo almeno una delle due cordate che agivano sul campo in quelle settimane,<br />

la proclamazione dello stato d’emergenza da parte del Presidente del Consiglio Rumor. L’altra<br />

mirava ad un vero e proprio intervento dei militari sulla base dell’esperienza maturata ad Atene con<br />

il golpe dei colonnelli del 1967. Nel primo caso si trattava di una sorta di “pressione” militare da<br />

esercitarsi grazie e sull’onda dello sdegno, provocata dalla strage (quindi non un vero e proprio<br />

golpe) che avrebbe portato allo scioglimento del Parlamento e magari a riforme di stampo gollista,<br />

come vedremo. Anche qui troviamo, se ben si valuta tutta la documentazione disponibile, due linee,<br />

due strategie, due obiettivi a vari livelli. E probabilmente anche diversi referenti politici.<br />

L’analisi di Salvini poggia su riscontri politici logici che trovano conferma anche in quelli che i<br />

politici hanno detto negli anni sulla strage. Come altrimenti spiegare l’insistenza di Moro nel suo<br />

memoriale su Rumor e Bertoli? “Ricordo una viva raccomandazione fatta al ministro dell’Interno<br />

onorevole Rumor (egli stesso fatto oggetto di un attentato) di lavorare per la pista nera”, scrive<br />

durante la sua prigionia Aldo Moro, Presidente della Dc. Le dichiarazioni di Digilio e Siciliano, i<br />

dubbi di Taviani, le indicazioni di Moro si sommano e trovano ‘riscontro logico’ con quanto<br />

dichiarato ormai oltre 10 anni fa da Vincenzo Vinciguerra che dal gruppo ordinovista mestrino<br />

ricevette per ben due volte l'invito ad uccidere Rumor come forma di “punizione” per essersi tirato<br />

indietro. E' accertato - compare negli atti di diverse inchieste e di processi - che per due volte il<br />

gruppo di On chiese a Vinciguerra di uccidere il presidente del Consiglio nel '71 - '72. Vinciguerra<br />

si rifiutò. Lo stesso gruppo arrivò a controllare i soggiorni di fine settimana di Rumor a Vicenza<br />

studiando la possibilità di colpirlo con un fucile in giardino, come Kennedy.<br />

La sentenza della Cassazione ha assolto definitivamente Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Virginio<br />

Rognoni dall’accusa di essere i responsabili diretti della strage ma non ha cancellato quanto si è<br />

documentalmente capito, grazie a quest’ultimo processo sulla strage, del ruolo delle strutture di<br />

intelligence Usa nella strategia della tensione. Il referente Usa Carrett spiegò a Digilio che nei<br />

giorni immediatamente successivi alla strage le navi sia americane, sia italiane avevano avuto<br />

l'ordine di uscire dai porti “perché, in caso di manifestazioni o scontri diffusi, ancorate nei porti<br />

potevano essere più facilmente colpite”. A comandare la flotta Nato del Sud Europa è dal luglio del<br />

1969 l’ammiraglio Giuseppe Rosselli-Lorenzini che era destinato a divenire il ministro della Difesa<br />

nei piani del golpe del 7 dicembre 1970, il ‘Golpe della Madonna’ che Borghese tentò di attuare con<br />

l’aiuto degli americani. Digilio riferisce di un colloquio, all’inizio dell' estate del ‘69, prima degli<br />

attentati ai treni dell’ agosto, con Carrett.“Mi disse che la loro struttura era stufa di tollerare o<br />

appoggiare azioni dei servizi segreti italiani, che avevano superato i limiti e scherzavano con il<br />

fuoco. Mi confermò che erano concepite azioni dimostrative in senso anticomunista, ma non<br />

massacri indiscriminati”.<br />

Politici, pentiti e agenti Usa sembrano raccontare tutti la medesima storia. Tra i molti episodi il<br />

pentito di On cita un colloquio con Ventura nell’estate del 1969: “Mi disse che la campagna non era<br />

finita e che altri gruppi di attentati sarebbero stati avviati nell’ intento di far fare una scelta al<br />

mondo militare e, a ruota di questo, anche a certi politici di Roma. Ventura ribadì che gli attentati<br />

non erano l’impresa di quattro pazzi, ma facevano parte di un piano ben preciso. Il progetto era<br />

partito con una riunione a Padova nella primavera, che aveva visto presenti i padovani, i veneziani,<br />

alcuni di Treviso, tra cui lui stesso e il capo di On, Pino Rauti. Non sono in grado di dire se tale<br />

riunione fosse la stessa di cui hanno poi parlato ampiamente i giornali”. Ecco come altri<br />

protagonisti dell’inchiesta milanese ricostruiscono la vicenda nei verbali. Edgardo Bonazzi,<br />

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