Paolo Cucchiarelli - Misteri d'Italia

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21.06.2013 Views

nell’intossicare e infiltrare movimenti di sinistra, provocandoli a compiere sotto “bandiere di sinistra” quella progressione di atti terroristici di cui abbiamo letto schema e scopi nel manuale di Guérin Serac. Chi aveva vent’anni in quell’epoca e si batteva, invece, al fianco dei “dannati della terra” ripeteva spesso il malinconico motto di Frantz Fanon, ben altro scrittore francese, che ammoniva: guai a dire che quell’età fosse la migliore della vita. Opinabile valutazione, soprattutto allora che la gioventù di Europa stava vivendo uno dei periodi più effervescenti e insieme torbidi della storia: grandi movimenti di lotta e spinte eversive, contrapposti gli uni alle altre, ma a volte mischiati in uno stesso calderone, di cui non si conoscevano i cuochi-stregoni, che applicavano - per l’appunto - le ricette del manuale sulle missioni speciali di Guillou-Guérin Serac. Quel manuale a quei tempi noi non l’avevamo letto. C’era chi in Italia, invece, l’aveva studiato, ricopiato pari pari, e pubblicato. Uno di essi si chiamava Clemente Graziani, ed era il fondatore del movimento neonazista Ordine Nuovo di cui troverete ampie tracce in questo libro. Graziani aveva scritto: “Terrorismo indiscriminato implica ovviamente la possibilità di uccidere o far uccidere vecchi donne bambini. (…) Queste forme di intimidazione terroristica sono oggi non solo ritenute valide ma, a volte, assolutamente necessarie”. A volte. Una di quelle volte accadde un grigio venerdì invernale, il 12 dicembre 1969 nella sede milanese della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Diciassette morti, un’ottantina di feriti. L’autore di questo libro, Paolo Cucchiarelli, è uno dei giornalisti italiani che più approfonditamente hanno studiato i colossali incartamenti giudiziari e di polizia accumulatisi su quella fase molto nebulosa e molto tragica della nostra storia. Il titolo di un suo precedente volume, dedicato anch’esso all’eccidio di piazza Fontana, ha una splendida connotazione generazionale: quella avvenuta a Milano il 12 dicembre 1969, così è scritto in copertina, è “la strage dai capelli bianchi”. Ci sono stati undici - undici! - processi. La nostra definitiva canizie coincide tristemente con quella che - dal punto di vista giudiziario - è una specie di pietra tombale della verità sulla strage. Come leggerete, i componenti del gruppo di “Ordine nuovo”, ultimamente accusati e condannati in primo grado per avere collocato e fatto brillare la bomba, sono stati assolti in via definitiva dalla Corte di Cassazione. Eppure i giudici, divisi su quasi tutto, concordano nell’indicare ancora quella matrice, fascista dell’eccidio. E hanno svelato un lunghissimo elenco di deviazioni, depistaggi, imbrogli, bugie e silenzi da parte degli apparati e dei responsabili governativi dell’epoca e di quelle successive. Nella sua maniera tipica di smorzare anche l’apocalisse, Giulio Andreotti, ha detto di ricordare su Piazza Fontana “soltanto grane”. Insomma, una fortissima seccatura. Tra le cose che il senatore a vita non ricorda e di cui invece potrebbe menare vanto, c’è una sua meritevole rivelazione sulla qualità di agente segreto di un certo Guido Giannettini, un giornalista neofascista, che tra l’altro aveva scritto in quegli anni concetti molto simili a quelli di Guérin Serac, distinguendo tra le “bombe fatte esplodere in uffici o locali pubblici nella strada negli assembramenti o nell’abbattere a caso gente a colpi di armi da fuoco” e il terrorismo selettivo che (...) alimenta sempre più la tensione creando un fenomeno irreversibile che tende alla guerra civile”. Norberto Bobbio chiamava questo intruglio infernale il criptogoverno. Cioè “l’insieme delle azioni compiute da forze politiche eversive che agiscono nell’ombra in collegamento con i servizi segreti, con parte di essi, o per lo meno da questi non ostacolate”. E basterebbe una definizione così lucida e icastica per spazzare via lo sproloquio negazionista di certi analisti che vorrebbero cancellare persino la categoria interpretativa di “strategia della tensione”, che fu inaugurata proprio a partire dalla tragedia di piazza Fontana. Un’altra citazione è necessaria, dalla prosa apparentemente felpata e molto drammatica, lasciata nel “carcere del popolo” da Aldo Moro. La strategia della tensione esistette, e come. Moro scrive precisamente nel suo memoriale di una “cosiddetta strategia della tensione”, e sostiene che essa “ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l’Italia nei binari della ‘normalità’ dopo le vicende del ’68 e del cosiddetto autunno caldo (…). Fautori ne erano in generale coloro che nella nostra storia si trovano periodicamente, e cioè ad ogni buona occasione che si presenti, dalla parte di chi respinge le novità scomode e vorrebbe tornare all’antico 2 2

(…). E così ora lamentavano l’insostenibilità economica dell’autunno caldo, la necessità di arretrare nella via delle riforme e magari di dare un giro di vite anche sul terreno politico (…). E’ doveroso alla fine rilevare che quello della strategia della tensione fu un peridoto di autentica e alta pericolosità, con il rischio di una deviazione costituzionale che la vigilanza delle masse popolari fortunatamente non permise…”. Autentica e alta pericolosità, dice Aldo Moro. Che con quel suo cosiddetta riferita alla strategia della tensione, forse vuol alludere alla composita presenza di diverse anime e frazioni eversive, oltranziste e moderate, movimentiste e d’apparato, che Moro aveva ben presenti anche individualmente e personalmente nella memoria e nell’esperienza. Non c’era, insomma, un unico regista, un Grande Vecchio, ma esistevano tanti più o meno piccoli e grandi attori di una trama corale. Cucchiarelli racconta anche di come - secondo certi documenti provenienti dai servizi britannici - lo stesso Moro si fosse prestato qualche anno prima a un compromesso che archiviò per lunghi anni la pista giudiziaria nera, in cambio del ritiro della minaccia (che sarebbe venuta dal Quirinale di Saragat) di uno spostamento a destra dell’asse politico di governo e di una fibrillazione istituzionale. E’ in ogni caso impressionante come in questi anni si siano accumulati negli archivi giornalistici e giudiziari una miriade di accenni, allusioni, ammissioni, rivelazioni sul “criptogoverno” di cui parlava Norberto Bobbio e sugli appoggi internazionali della trama che ha il suo culmine a piazza Fontana. Allusioni e rivelazioni che provengono da parte di protagonisti e comprimari di quelle vicende che le vissero dall’interno del sistema politico di governo. Questo libro scava con acribia e passione dentro questa miniera archivistica, che incredibilmente - pur dopo tanti anni - ci sembra praticamente intatta sul piano della riflessione storica e politica. Si pensi solo alle sconcertanti parole e all’analisi, che leggerete, o alcuni di voi - riteniamo pochi - rileggeranno, dell’ex ministro dell’Interno, Paolo Emilio Taviani, che non era un giornalista “pistarolo”. La responsabilità della strage? Di Ordine Nuovo, collegato con settori dei servizi italiani. Un colonnello del Sid depistò le indagini a sinistra. A un altro “colonnello” gli esecutori fascisti scapparono di mano, e quello che doveva essere un botto senza vittime divenne una strage. L’esplosivo? L’ha fornito “un agente nord americano”. Sembra un film dietrologico, e invece ha lasciato scritta questa sceneggiatura un importante e autorevole uomo di governo. Secondo Cucchiarelli, nello stesso quadro di un sistema politico paralizzato dalla Guerra Fredda e dall’esclusione del Pci dal governo, anche la sinistra avrebbe da farsi perdonare silenzi e omissioni sulla strage e il suo contesto, e questa affermazione farà sicuramente discutere. Molto c’è ancora da scandagliare. Un punto è certo: come ha scritto Nando Dalla Chiesa, questa vicenda è stata “il più grandioso laboratorio di impunità giudiziaria” mai concepito nella storia repubblicana. Archiviata disastrosamente la via giudiziaria alla verità, l’unica strada che rimanga praticabile per dar giustizia ai diciassette morti di piazza Fontana e alle vittime del fiume di sangue che ne è successivamente sgorgato è quella indicata da questo libro. Cioè una riflessione politica e una ricerca storica sgombre da pregiudizi, forse ancora attuabili con l’aiuto dei pochi testimoni che rimangono e attraverso la rilettura di archivi affastellati e lasciati lì a dormire in un disordine apparentemente casuale, come la “lettera” del racconto di Edgar Allan Poe, formidabile archetipo letterario di misteri, trame e depistaggi e di delitti senza colpevoli. Decisiva sarebbe la disponibilità degli archivi americani, ancora secretati e centellinati per quel che riguarda la “madre di tutte le stragi” italiane: la rete americana di supporto agli stragisti che era stata intuita dal giudice Salvini è esistita davvero? Chi la componeva? Che fine hanno fatto gli agenti Usa di cui si parla nell’inchiesta, quell’agente di cui parlava Taviani? Diciamo che si sa soltanto che alcuni loro successori - appartenenti alla sede Cia locale - trentacinque anni più tardi hanno sequestrato e torturato un uomo a Milano, e se ne sono tornati tranquilli a casa. Trentacinque anni dopo, ne sappiamo qualcosa di più. Sappiamo fondamentalmente che tutto si tiene: che non può essere un caso se, per esempio, il capo dei “corleonesi” Luciano Liggio venisse fatto scappare proprio a Milano alla vigilia della strage. Lui stesso dirà in pubblica udienza tanti anni dopo che “i generali” in quei mesi volevano ribaltare lo Stato, che si rivolsero anche a Cosa 3 3

nell’intossicare e infiltrare movimenti di sinistra, provocandoli a compiere sotto “bandiere di<br />

sinistra” quella progressione di atti terroristici di cui abbiamo letto schema e scopi nel manuale di<br />

Guérin Serac. Chi aveva vent’anni in quell’epoca e si batteva, invece, al fianco dei “dannati della<br />

terra” ripeteva spesso il malinconico motto di Frantz Fanon, ben altro scrittore francese, che<br />

ammoniva: guai a dire che quell’età fosse la migliore della vita. Opinabile valutazione, soprattutto<br />

allora che la gioventù di Europa stava vivendo uno dei periodi più effervescenti e insieme torbidi<br />

della storia: grandi movimenti di lotta e spinte eversive, contrapposti gli uni alle altre, ma a volte<br />

mischiati in uno stesso calderone, di cui non si conoscevano i cuochi-stregoni, che applicavano - per<br />

l’appunto - le ricette del manuale sulle missioni speciali di Guillou-Guérin Serac.<br />

Quel manuale a quei tempi noi non l’avevamo letto. C’era chi in Italia, invece, l’aveva studiato,<br />

ricopiato pari pari, e pubblicato. Uno di essi si chiamava Clemente Graziani, ed era il fondatore del<br />

movimento neonazista Ordine Nuovo di cui troverete ampie tracce in questo libro. Graziani aveva<br />

scritto: “Terrorismo indiscriminato implica ovviamente la possibilità di uccidere o far uccidere<br />

vecchi donne bambini. (…) Queste forme di intimidazione terroristica sono oggi non solo ritenute<br />

valide ma, a volte, assolutamente necessarie”. A volte. Una di quelle volte accadde un grigio<br />

venerdì invernale, il 12 dicembre 1969 nella sede milanese della Banca Nazionale dell’Agricoltura.<br />

Diciassette morti, un’ottantina di feriti.<br />

L’autore di questo libro, <strong>Paolo</strong> <strong>Cucchiarelli</strong>, è uno dei giornalisti italiani che più approfonditamente<br />

hanno studiato i colossali incartamenti giudiziari e di polizia accumulatisi su quella fase molto<br />

nebulosa e molto tragica della nostra storia. Il titolo di un suo precedente volume, dedicato<br />

anch’esso all’eccidio di piazza Fontana, ha una splendida connotazione generazionale: quella<br />

avvenuta a Milano il 12 dicembre 1969, così è scritto in copertina, è “la strage dai capelli bianchi”.<br />

Ci sono stati undici - undici! - processi. La nostra definitiva canizie coincide tristemente con quella<br />

che - dal punto di vista giudiziario - è una specie di pietra tombale della verità sulla strage. Come<br />

leggerete, i componenti del gruppo di “Ordine nuovo”, ultimamente accusati e condannati in primo<br />

grado per avere collocato e fatto brillare la bomba, sono stati assolti in via definitiva dalla Corte di<br />

Cassazione.<br />

Eppure i giudici, divisi su quasi tutto, concordano nell’indicare ancora quella matrice, fascista<br />

dell’eccidio. E hanno svelato un lunghissimo elenco di deviazioni, depistaggi, imbrogli, bugie e<br />

silenzi da parte degli apparati e dei responsabili governativi dell’epoca e di quelle successive.<br />

Nella sua maniera tipica di smorzare anche l’apocalisse, Giulio Andreotti, ha detto di ricordare su<br />

Piazza Fontana “soltanto grane”. Insomma, una fortissima seccatura. Tra le cose che il senatore a<br />

vita non ricorda e di cui invece potrebbe menare vanto, c’è una sua meritevole rivelazione sulla<br />

qualità di agente segreto di un certo Guido Giannettini, un giornalista neofascista, che tra l’altro<br />

aveva scritto in quegli anni concetti molto simili a quelli di Guérin Serac, distinguendo tra le<br />

“bombe fatte esplodere in uffici o locali pubblici nella strada negli assembramenti o nell’abbattere a<br />

caso gente a colpi di armi da fuoco” e il terrorismo selettivo che (...) alimenta sempre più la<br />

tensione creando un fenomeno irreversibile che tende alla guerra civile”.<br />

Norberto Bobbio chiamava questo intruglio infernale il criptogoverno. Cioè “l’insieme delle azioni<br />

compiute da forze politiche eversive che agiscono nell’ombra in collegamento con i servizi segreti,<br />

con parte di essi, o per lo meno da questi non ostacolate”. E basterebbe una definizione così lucida e<br />

icastica per spazzare via lo sproloquio negazionista di certi analisti che vorrebbero cancellare<br />

persino la categoria interpretativa di “strategia della tensione”, che fu inaugurata proprio a partire<br />

dalla tragedia di piazza Fontana.<br />

Un’altra citazione è necessaria, dalla prosa apparentemente felpata e molto drammatica, lasciata nel<br />

“carcere del popolo” da Aldo Moro. La strategia della tensione esistette, e come. Moro scrive<br />

precisamente nel suo memoriale di una “cosiddetta strategia della tensione”, e sostiene che essa<br />

“ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l’Italia nei<br />

binari della ‘normalità’ dopo le vicende del ’68 e del cosiddetto autunno caldo (…). Fautori ne<br />

erano in generale coloro che nella nostra storia si trovano periodicamente, e cioè ad ogni buona<br />

occasione che si presenti, dalla parte di chi respinge le novità scomode e vorrebbe tornare all’antico<br />

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