Elementi di didattica del Latino 5 62 «traduzioni letterali», che sono considerate «letterali» non <strong>per</strong>ché più vicine al latino, ma al latinese degli stereotipi di corrispondenze bilinguistiche. Viceversa, del resto, un testo, mal scritto nella sua lingua andrebbe teoricamente tradotto in un cattivo italiano. Come suggeriva Leopardi: «L’autore tradotto non sia, <strong>per</strong> esempio, greco in italiano…, ma tale in italiano quale egli è in greco». La cosiddetta «traduzione letterale» non avvicina affatto al testo latino. È solo una traduzione brutta e fuorviante, un concentrato di steretopi traduttivi il cui unico risultato «formativo» è ancora una volta di disincentivare il pensiero, la fantasia, la ricerca, e favorire i luoghi comuni. Un altro dei miti della traduzione scolastica che non solo impedisce la realizzazione delle sue potenzialità formative, ma ne innesca di gravemente deformative, è quello della «(unica) traduzione giusta», legato oltre che ad una mentalità dogmatica ed a-scientifica, anche e più banalmente alla comodità «logistica» della versione come test di profitto. Ogni traduzione è sempre «sbagliata» <strong>per</strong> definizione. Come diceva M. P. Courcelle, «la traduzione è quella cosa <strong>per</strong> la quale uno è sempre scontento di se stesso» (cfr. Testard 1975, 30) e il numero di varianti possibili e plausibili è teoricamente infinito. Cimentarsi con esse è uno dei modi migliori <strong>per</strong> svolgere questa attività exercendi ingenii causa, mentre il mito della «traduzione giusta» concerne a formare mentalità dogmatiche e conformiste. Un buon metodo <strong>per</strong> disintossicare gli alunni dagli stereotipi traduttivi (ed introdurre anche un positivo fattore di gioco e di ironia) è fargli compilare traduzioni di testi latini in dialetto o in gergo (p.e. in romanesco-coattese: maxime: «’na cifra», puerum: «piscitello»). Esiste del resto una tradizione molto dignitosa di traduzione di poesia latina nei dialetti italiani. 1 Al su<strong>per</strong>amento del dogma della unica «traduzione giusta» è di grande utilità la compilazione di più traduzioni dello stesso testo, intenzionalmente informate a criteri diversi o, appunto, in lingue/dialetti/gerghi diversi, anche in relazione al tipo e all’argomento del testo da tradurre, corredate di note di traduzione nelle quali l’alunno possa/debba spiegare differenze, esporre dubbi ed incertezze e soprattutto, come sempre, porre (porsi) problemi e domande. Al suo livello: con errori, ingenuità, imprecisioni, sulle quali crescere. Non diventerà probabilmente un traduttore (né questo è lo scopo della scuola secondaria), ma avrà sviluppato competenze ed abilità spendibili in una vasta gamma di attività intellettuali e non. Chi sa smontare un testo di una lingua e rimontarlo in un’altra, avrà meno difficoltà anche con un problema matematico, con l’osservazione di un quadro, con la compilazione di un bilancio. O anche con lo smontaggio/rimontaggio di un carburatore! E viceversa: solo che la scuola non lo convinca dell’ineluttabile incomunicabilità fra la scuola stessa e la vita. 2 1. Vd. p.e. le traduzioni dialettali del carme 5 di Catullo (insieme a molte altre in lingua italiana ed in altre lingue moderne di diverse epoche) in Sega-Tappi, La traduzione dal Latino, Firenze 1993, pp. 44-45. 2. La metafora del montare/rimontare a proposito della traduzione sembra specificamente adeguata quando è possibile individuare e rias- semblare in italiano (e lo è nella maggioranza dei casi) sintagmi di ruolo omogeneo a quelli latini (Gruppo del soggetto, Gruppo del predicato, Gruppo dell’Oggetto). Il problema della differenza fra le due lingue si pone in realtà a livello della struttura e della semantica lessicale interna ai singoli sintagmi (p.e. Gruppo di un Soggetto latino: turris eburnea vs. italiano «torre d’avorio»).
6 Materiali <strong>per</strong> la programmazione didattica