Guida per l'insegnante - Palumbo Editore
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Elementi di didattica del Latino<br />
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tati alle esigenze della verifica grammaticale, di fatto ritenuta preminente<br />
rispetto alla comprensione del senso.<br />
b) Il lavoro deve essere svolto in pochissimo tempo, che è il contrario di quanto<br />
esige una vera traduzione. Come ha scritto Testard, «tradurre richiede<br />
tempo, pazienza, ritorni sul lavoro fatto, ‘ruminazione’ dei testi più difficili…»<br />
(Testard 1975, 55).<br />
c) Si consente all’alunno solo l’uso del vocabolario bilingue, fuorviante <strong>per</strong> sua<br />
stessa natura; e che comunque, senza specifici esercizi propedeutici e una<br />
normale ed abituale pratica quotidiana, nel poco tempo a disposizione non<br />
può essere veramente «consultato», ma malamente usato come falsante re<strong>per</strong>torio<br />
di presunte corrispondenze lessicali.<br />
d) Le prevalenti preoccupazioni di verifica fiscale mettono l’allievo in una situazione<br />
di ansia la meno adatta al lavoro traduttivo.<br />
Di tali prove ed esercizi, del resto, è stato già detto tutto il male possibile. Cito<br />
<strong>per</strong> tutti le parole di Mario Alighiero Manacorda: «Il (loro) risultato è che il latino<br />
che si impara – se così si può dire – è un latino barbarico e maccheronico<br />
(…) In compenso si imbastardisce l’italiano: (…) i nostri ragazzi si abituano a<br />
un linguaggio convenzionale, fatto di infiniti, di gerundi, di ‘affinché’, che ha<br />
ben poco a che fare con l’italiano moderno; (…) (in esso) si insinua (…) il mito<br />
della cultura come oratoria, (e) si sancisce quel definitivo distacco della scuola<br />
dalla vita che è la sostanza della crisi della scuola» (Manacorda 1962, 52).<br />
a) Il latinese<br />
Se è vero che la traduzione in generale è soprattutto es<strong>per</strong>ienza delle capacità<br />
espressive della lingua d’arrivo, tuttavia ogni specifica traduzione non può non essere<br />
(e, come dice Benjamin, in certo modo deve essere) più o meno influenzata<br />
anche dalla lingua di partenza, entro larghi margini di accettabilità secondo le scelte<br />
proprie del traduttore ed i suoi scopi specifici. Si distingue così una traduzione<br />
semantica (più attenta ai valori della lingua di partenza), da una comunicativa (più<br />
attenta agli effetti sul destinatario nella lingua d’arrivo). P.e. nel carme 5 di Catullo<br />
(Vivamus mea Lesbia) la moneta axis, il cui infimo valore è paragonato dal poeta<br />
all’importanza delle chiacchiere dei moralisti, da alcuni è tradotta con «asse» (traduzione<br />
semantica), da altri con «soldo bucato», «vil moneta», ecc. (traduzione comunicativa).<br />
La distinzione tuttavia è utile in sede epistemologica, ma non può essere<br />
applicata meccanicamente rispetto alla concreta attività traduttiva, che assolve<br />
sempre e comunque, con diverso dosaggio, ad entrambe le funzioni.<br />
Un testo poetico può essere tradotto privilegiando il livello dei suoni, quello delle<br />
immagini o quello dei concetti (E. Pound). Secondo alcuni (p.e. Vivaldi) il traduttore<br />
dell’Eneide dovrebbe privilegiare il livello delle immagini. Un testo, e specie<br />
un testo letterario, possiede più strati di senso, diversi livelli di denotazione e<br />
di connotazione (fonetico-ritmico, lessicale, sintattico, retorico, ideologico) e un<br />
certo dosaggio delle funzioni comunicative (emotiva, conativa, referenziale…).<br />
La traduzione deve cercare di riprodurre gli effetti dell’originale e contempora-