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Guida per l'insegnante - Palumbo Editore

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Elementi di didattica del Latino<br />

5<br />

56<br />

Con quest’ultima indicazione si scopre una funzione specifica della traduzione del<br />

brano, che è quella di mettere a contatto due lingue, ciascuna con la sua dignità<br />

e la sua autonomia. Non sarà mai abbastanza deprecata l’usanza di ado<strong>per</strong>are quella<br />

lingua prudenziale, che, sotto pretesto di traduzione letterale, riporta il traduttore<br />

del 1988 indietro di qualche secolo o magari gli mette in bocca un gergo mai<br />

esistito, finendo, <strong>per</strong> di più, <strong>per</strong> travisare <strong>per</strong>sino il senso. Così fa chi in Cicerone,<br />

De am. 23,86 rende cupiditate con «cupidigia», otiosi con «oziosi» (anziché «privati»),<br />

liberaliter con «liberalmente» (anziché «da uomini liberi») e in Pro Lig. 6,8<br />

crimine con «crimine, delitto» (anziché «accusa, imputazione»). Al contrario una<br />

traduzione in italiano corrente e corretto arricchisce la lingua materna (<strong>per</strong>ché<br />

costringe a esprimere non solo quello che si sa – come nei temi –, ma quello che<br />

l’altra lingua vuole) e insieme o<strong>per</strong>a il distanziamento, in termini concettuali (l’idea<br />

di «uomo libero» non è la stessa <strong>per</strong> i tempi di Cicerone e i nostri) e lessicali<br />

(ozioso vs privato). Questo assiduo confronto presuppone una metodologia dei<br />

processi traduttivi, che a me pare particolarmente utile alla formazione preuniversitaria<br />

del liceale, e un uso non servile o reverenziale del vocabolario. Su entrambi<br />

questi aspetti sarebbe opportuno riflettere più a lungo.<br />

Ma, se è abbastanza pacifica la validità della versione ai fini dell’apprendimento<br />

linguistico e dell’abilità interpretativa, non altrettanto evidente sembra la sua<br />

funzionalità alla terza dimensione proposta a questa trattazione, ossia l’incontro<br />

con la civiltà classica (a prescindere dall’ovvia constatazione che la lingua è<br />

di <strong>per</strong> sé stessa un aspetto della civiltà). Anzi mi pare che conoscenza della civiltà<br />

classica e lingua tendano ad apparire sempre più come due <strong>per</strong>corsi diversi,<br />

neanche paralleli. La lingua viene «sopportata» finché è ritenuta l’unico<br />

canale di accesso, ma <strong>per</strong>de valore in proporzione dell’allargamento del concetto<br />

di civiltà alla cultura materiale, all’economia, all’ambiente, <strong>per</strong> cui valgono<br />

meglio altri canali, siano o no praticabili a scuola.<br />

Contro questa tendenza credo di dover fare due osservazioni. La prima è questa:<br />

la civiltà romana è essenzialmente retorica. Questa definizione non ha alcun significato<br />

spregiativo. Serve solo a indicare globalmente un tipo di mentalità (la reazione<br />

al reale), di logica non scientifica (<strong>per</strong> esempio quella che presiede al diritto)<br />

e di espressione linguistica, e <strong>per</strong> distinguere l’idea romana di letteratura da una<br />

visione estetica, che sarebbe riduttiva. La letteratura latina esprime <strong>per</strong> via linguistica<br />

quello che i romani considerano cultura, compresi la storia e appunto il diritto<br />

e in genere quelle che noi chiamiamo le scienze umane (fondate appunto sulla<br />

logica del probabile). Ciò non significa che allora mancassero medicina, economia<br />

o architettura, solo che non entravano nel quadro culturale. Dalle testimonianze<br />

materiali, che pur ci sono care, non riceviamo messaggi molto significativi.<br />

Questa constatazione ci introduce alla seconda osservazione, ben connessa alla<br />

prima: del passato a noi interessano soprattutto i «valori», quali sono stati elaborati<br />

e immessi nella storia. Nessuno condivide l’im<strong>per</strong>ialismo o lo schiavismo<br />

o l’antifemminismo dei romani: ma ci importa il loro su<strong>per</strong>amento, <strong>per</strong>ché ne<br />

siamo eredi, così come la ricerca e la formulazione di altri principii, ormai patrimonio<br />

comune, quali lo stato, l’amicizia, la civiltà giuridica. È innegabile che<br />

questi valori sono stati elaborati e comunicati <strong>per</strong> via «letteraria», entro e talvolta<br />

malgrado le strutture sociali. Sembra dunque legittimo l’approccio <strong>per</strong><br />

quella stessa via, <strong>per</strong> cui è avvenuta la trasmissione.

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