Ovidio
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Exemplaria<br />
<strong>Ovidio</strong><br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
Giulia Colomba Sannia S189<br />
Collana di autori e testi latini<br />
Metamorfosi<br />
e trattatistica<br />
amorosa<br />
<br />
Estratto della pubblicazione
Exemplaria<br />
<strong>Ovidio</strong><br />
Giulia Colomba Sannia<br />
Collana di autori e testi latini<br />
Metamorfosi<br />
e trattatistica<br />
amorosa<br />
®<br />
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet
Estratto distribuito da Biblet<br />
A Giulia
Copyright © 2006 Esselibri S.p.A.<br />
Via F. Russo 33/D<br />
80123 Napoli<br />
Azienda con sistema qualità certificato ISO 14001: 2003<br />
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È vietata la riproduzione anche parziale<br />
e con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione<br />
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Per citazioni e illustrazioni di competenza altrui, riprodotte in questo libro,<br />
l’editore è a disposizione degli aventi diritto. L’editore provvederà, altresì, alle<br />
opportune correzioni nel caso di errori e/o omissioni a seguito della segnalazione<br />
degli interessati.<br />
Prima edizione: Gennaio 2006<br />
S189<br />
ISBN 88-244-7984-7<br />
Ristampe<br />
8 7 6 5 4 3 2 1 2006 2007 2008 2009<br />
Questo volume è stato stampato presso<br />
Arti Grafiche Italo Cernia<br />
Via Capri, n. 67 - Casoria (NA)<br />
Coordinamento redazionale: Grazia Sammartino<br />
Grafica e copertina:<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
Impaginazione: Grafica Elettronica
Premessa<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
In un bell’articolo del 1983, intitolato Il Latino che serve, attualissimo nella disarmante sincerità<br />
con cui è scritto, lo scrittore Luigi Compagnone affermava: «Io ho amato e amo il Latino…Se<br />
ho amato e amo il Latino non è per merito mio. Il merito è della fortuna che come primo<br />
insegnante di materie letterarie mi dette un professore che si chiamava Raffaele Martini… La<br />
sua lezione era un colloquio vivo, un modo chiaro e aperto di farci capire il Latino che per<br />
noi non fu mai una lingua morta. Perché lui sapeva rendere vivo tutto il vivo che è nel Latino.<br />
E nessuno non può non amare le cose vive che recarono luce alla sua adolescenza […]. In<br />
una società in cui le parole di maggior consumo sono immediatezza, praticità, concretezza,<br />
utilitarismo, la caratteristica del Latino è costituita dal “non servire” a nessunissima applicazione<br />
immediata, pratica, concreta, utilitaria… [Il Latino] fa intravedere che al di là delle<br />
nozioni utili c’è il mondo delle idee e delle immagini. Fa intuire che al di là della tecnica<br />
e della scienza applicata, c’è la sapienza che conta molto di più perché insegna l’armonia del<br />
vivere e del morire. È una disciplina dell’intelligenza, che direttamente non serve a nulla, ma<br />
aiuta a capire tutte le cose che servono e a dominarle e a non lasciarsi mai asservire ad esse<br />
[…]. La disgrazia più inqualificabile [per gli studenti] è essere stati inclusi negli studi classici<br />
senza averne tratto nessun vantaggio intellettuale, la vera disgrazia è aver fatto gli studi<br />
classici ritenendoli e mal sopportandoli come il più grave dei pesi… [perché] al tempo della<br />
scuola tutto si è odiato, […] tutto è stato condanna e sbadiglio».<br />
Come dare, dunque, ai ragazzi un Latino che serve ed evitare che il suo studio sia noia<br />
e peso, un esercizio poco proficuo, un bagaglio di conoscenze sterili, di cui liberarsi presto,<br />
non appena si lascia la scuola, se non addirittura, subito dopo la valutazione?<br />
C’è una sola via che conduce all’amore per il Latino e quella via è costituita dalla lettura<br />
dei testi in lingua originale, ma di quei testi che nei secoli hanno resistito alla selezione<br />
e in tutte le epoche sono apparsi imprescindibili. Non possiamo illuderci che la biografia<br />
di un autore, un contesto storico, una pagina critica, un frammento di Nevio, un brano di<br />
Ammiano Marcellino possano avere lo stesso valore e la stessa funzione di una pagina di<br />
Lucrezio o di Tacito, di Catullo o di Cicerone. Quella sapienza che insegna l’armonia del<br />
vivere e del morire, la quale costituisce il portato più alto della cultura classica, passa<br />
d’obbligo attraverso la lettura di testi di altissima qualità. È la lingua latina, con la<br />
perfezione geometrica della sua struttura, con l’armonia delle sue assonanze, con la<br />
raffinatezza dei suoi accorgimenti retorici, a comunicare emozione e rigore logico, senso<br />
del bello e razionalità, accendendo l’interesse dell’adolescente posto di fronte ai grandi<br />
interrogativi della vita.<br />
Aver studiato il Latino, significherà, perciò, per i ragazzi, non tanto aver imparato la<br />
biografia di Cicerone o di Plauto o di <strong>Ovidio</strong>, o il contesto storico in cui essi hanno vissuto,<br />
ma aver meditato sulle loro parole. In tutte le epoche le loro opere sono state lette e rilette,<br />
Estratto della pubblicazione<br />
5
icercate dagli umanisti in tutte le biblioteche d’Europa, riportate all’esatta lectio filologica,<br />
preservate dall’oblio dai monaci medioevali perché ricopiate con amore.<br />
Ci sono saperi che soltanto la scuola può dare, chiavi di lettura che solo da adolescenti<br />
si ricevono e che, una volta perduti o ignorati, non si recupereranno mai più. Uno studente,<br />
che non abbia letto nella lingua originale Virgilio o Lucrezio o Agostino o Tacito (come<br />
se non avrà letto Dante, Boccaccio e Ariosto), che non abbia acquisito sensibilità di lettore<br />
attraverso la consuetudine con le analisi testuali, mai più potrà provare il brivido di<br />
emozione che la parola poetica comunica. Forse nel tempo, se e quando un’arricchita<br />
sensibilità adulta gli farà avvertire il bisogno di tornare al passato, ricercherà in traduzione<br />
italiana qualche autore particolarmente amato, come Seneca o Catullo. Ma, perché si<br />
manifesti questo desiderio, la scuola dovrà aver trasmesso almeno il senso dello studio del<br />
latino, focalizzando l’attenzione su quello che è grande ed essenziale, evitando di far<br />
disperdere energie ed interesse sull’inutile.<br />
Ci piace citare, a sostegno di quanto si è detto, le parole di Nuccio Ordine.<br />
Nel Convegno tenutosi a Roma dal 17 al 19 marzo 2005 sul tema «Il liceo per l’Europa della<br />
conoscenza», promosso da EWHUM (European Humanism in the World), Nuccio Ordine ha<br />
usato parole che confermano, senza saperlo, quanto andiamo sostenendo da anni sulla<br />
didattica del Latino e che sentiamo il dovere di riportare per la profondità e la chiarezza del<br />
pensiero espresso:<br />
«Conoscere significa “imparare con il cuore”. E ha ragione Steiner a ricordarci che […]<br />
presuppone un coinvolgimento molto forte della nostra interiorità. In assenza del testo,<br />
nessuna pagina critica potrà suscitarci quell’emozione necessaria che solo può scaturire<br />
dall’incontro diretto con l’opera. […]. Nel Rinascimento (i professori) si chiamavano “lettori”,<br />
[…] perché il loro compito era soprattutto quello di leggere e spiegare i classici. […] Chi<br />
ricorderà a professori e studenti che la conoscenza va perseguita di per sé, in maniera gratuita<br />
e indipendentemente da illusori profitti? Che qualsiasi atto cognitivo presuppone uno sforzo<br />
e proprio questo sforzo che compiamo è il prezzo da pagare per il diritto alla parola? Che<br />
senza i classici sarà difficile rispondere ai grandi interrogativi che danno senso alla vita<br />
umana? […]. Non è improbabile che le stesse biblioteche – quei grandi “granai pubblici”, come<br />
ricordava l’Adriano della Yourcenar, in grado di “ammassare riserve contro un inverno dello<br />
spirito che da molti indizi mio malgrado vedo venire”, – finiranno a poco a poco, per<br />
trasformarsi in polverosi musei. E lungo questa strada in discesa, chi sarà più in grado di<br />
accogliere l’invito di Rilke a “sentire le cose cantare, nella speranza di non farle diventare<br />
rigide e mute”? “Io temo tanto la parola degli uomini./Dicono sempre tutto così chiaro:/ questo<br />
si chiama cane e quello casa,/ e qui è l’inizio e là è la fine/ […] Vorrei ammonirli: state<br />
lontani./ A me piace sentire le cose cantare./Voi le toccate: diventano rigide e mute./ Voi mi<br />
uccidete le cose”».<br />
Sulla base di questi presupposti teorici nasce l’antologia latina in fascicoli della collana<br />
Exemplaria che comprende autori e temi di tutta la letteratura latina. Ogni singolo volume<br />
costituisce l’ossatura della storia letteraria e al tempo stesso una sorta di passaggio obbligato<br />
della cultura, perché tutta la letteratura posteriore e tutta la cultura occidentale hanno avuto<br />
come fermo punto di riferimento questi autori. Ed essi sono diventati exemplaria appunto<br />
(da cui il titolo della collana), perché modelli da accettare o rifiutare, ma comunque con<br />
i quali necessariamente confrontarsi per capire il presente.<br />
La scelta dei testi è stata guidata, quindi, dall’esigenza di focalizzare l’attenzione degli<br />
studenti sia sulla personalità dell’autore, sulla sua poetica, sul genere letterario privilegiato<br />
6 Premessa<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
Estratto della pubblicazione
e sia, soprattutto, dal desiderio di suscitare l’amore per una lettura che aiuti a capire se<br />
stessi e la vita.<br />
È importante capire bene la struttura dei volumetti per poterla utilizzare al meglio. Ogni<br />
autore è introdotto dal paragrafo Perché leggerlo?, che consiste nella spiegazione, in<br />
sintesi, delle qualità per le quali quell’autore è diventato famoso e merita lo studio.<br />
La vita e il contenuto delle opere hanno, poi, un piccolo spazio in quanto sono solo<br />
funzionali alla migliore ricezione dei testi. Non manca un paragrafo sul genere di appartenenza<br />
o sul tema topico relativo.<br />
Ogni singolo brano quindi è introdotto da una presentazione più o meno breve, per<br />
fornire immediatamente agli studenti le informazioni sul contenuto, seguito dalle note al<br />
testo, che propongono sempre la traduzione e commenti di carattere morfosintattico,<br />
mitologico e storico-culturale, e dall’analisi testuale che permette di cogliere il messaggio<br />
poetico dell’autore, attraverso le strutture formali, stilistiche e letterarie, sia in rapporto ai<br />
generi che alle connessioni intertestuali e intersegniche.<br />
A conclusione di ogni percorso didattico i Laboratori prevedono prove di verifica delle<br />
abilità e delle competenze acquisite sul modello della tipologia A (Analisi testuale) della<br />
prima prova (italiano) all’Esame di Stato, con la scansione consueta del Ministero, in<br />
comprensione, analisi, approfondimento. Poiché si tratta di lingua latina, l’analisi si divide<br />
in analisi morfosintattica sulle concordanze, sui casi ecc. e analisi semantica, sullo stile<br />
e sul linguaggio. L’approfondimento, talvolta, fa riferimento anche alla tipologia B o D<br />
dell’Esame di Stato (saggio breve o trattazione generale). Lo scopo è stato quello di abituare<br />
gli studenti a un metodo che sappia distinguere le fasi del lavoro: comprendere, analizzare,<br />
sintetizzare, approfondire ecc. Non si è voluto rinunciare a momenti di creatività: si vedano<br />
gli esercizi “dare un titolo”, o “creare uno schema”, i confronti “intersegnici” ecc. Questo<br />
tipo di esercizi nella prassi didattica si è sempre rilevato molto gradito agli studenti e<br />
utilissimo a stimolare la loro capacità di osservazione e la loro creatività.<br />
Una coppa circondata da una coroncina di alloro contraddistingue alcuni testi e<br />
prove di verifica di particolare complessità, che possono essere riservati a quegli alunni che<br />
mostrano il desiderio di approfondire o ampliare lo studio dell’argomento e vogliano<br />
perseguire l’eccellenza.<br />
Non mancano le Pagine critiche che offrono le interpretazioni di noti studiosi su aspetti<br />
e tematiche riguardanti l’autore e la sua opera.<br />
I brani antologici sono accompagnati talvolta dai confronti intertestuali e intersegnici e dalla<br />
rubrica Incontro tra autori in cui si confrontano due autori su differenti versioni di un<br />
mito o differenti interpretazioni di un personaggio storico. Personaggi storici, come Cesare,<br />
Bruto, Catilina, o mitici, come Orfeo, Medea, Cassandra, tanto per fare solo qualche nome<br />
molto noto, oppure alcuni episodi famosi, ritornano nelle opere di autori diversi ed ogni<br />
autore li “legge” differentemente, secondo la sua sensibilità e il suo intento poetico. Il titolo<br />
della rubrica richiama una terminologia che si dice ucronica, da oúk + krónos («senza<br />
tempo»), cioè come se essi potessero, per assurdo, incontrarsi al di là delle loro epoche<br />
storiche e del contesto in cui vissero, per esprimere ciascuno di loro, nell’opera letteraria,<br />
il proprio pensiero sullo stesso tema.<br />
Chiude ogni singolo fascicolo il Vocabolario dei termini tecnici.<br />
Premessa<br />
7
Indice<br />
Premessa p. 7<br />
<strong>Ovidio</strong>: L’epos delle forme nelle Metamorfosi « 12<br />
1. Perché leggerlo? « 12<br />
2. Il genere letterario di appartenenza: l’epos delle forme nelle Metamorfosi « 13<br />
3. La vita « 14<br />
T1 Metamorfosi I, 232-39: Licaone « 14<br />
Incontro tra autori: Petronio e <strong>Ovidio</strong>: Licaone (Satyricon, 62, 3-14) « 16<br />
T2 Metamorfosi III, 374-401: Eco e Narciso « 20<br />
Pagine critiche: Eco e Narciso: linguaggio adeguato e inadeguato (E. Grassi) « 23<br />
L’economia interna del poema (I. Calvino) « 25<br />
Laboratorio » 27<br />
Prova di verifica 1 - Confronto intersegnico: Forme mutanti in <strong>Ovidio</strong> e in Roberto Cappucci » 27<br />
Prova di verifica 2 - Confronto intersegnico: Apollo e Dafne in <strong>Ovidio</strong> e in Bernini » 28<br />
Prova di verifica 3 - Confronto intersegnico: Il mito di Narciso in <strong>Ovidio</strong> e in Caravaggio » 32<br />
T3 Metamorfosi IV, 55-166: Piramo e Tisbe « 35<br />
T4 Metamorfosi IV, 368-79: Ermafrodito « 43<br />
T5 Metamorfosi XIV, 129-53: La Sibilla cumana « 46<br />
Incontro tra autori: Pascoli e <strong>Ovidio</strong>: Filemone e Bauci (Carmina: Laureolus) « 50<br />
Laboratorio » 62<br />
Prova di verifica 1 - Confronto intertestuale: La tessitrice in <strong>Ovidio</strong> e “lo sfilacciatore” in Parini » 62<br />
Prova di verifica 2 - Confronto intertestuale: Marsia in <strong>Ovidio</strong> e in Dante » 64<br />
Prova di verifica 3 - Confronto intersegnico: Il mito del Minotauro in <strong>Ovidio</strong> e in Picasso » 67<br />
Prova di verifica 4 - Confronto intertestuale: Filemone e Bauci in <strong>Ovidio</strong> e in Pascoli » 69<br />
Prova di verifica 5 - Metamorfosi VIII, 711-24: Il desiderio di Filemone e Bauci » 72<br />
Prova di verifica 6 - Confronto intertestuale: Mirra in <strong>Ovidio</strong> e in Alfieri » 74<br />
Prova di verifica 7 - Una rilettura dell’opera di <strong>Ovidio</strong> alla luce delle riflessioni di Giuseppe<br />
Pontiggia: Alla ricerca di <strong>Ovidio</strong>, da “L’isola volante” » 78<br />
<strong>Ovidio</strong>: La trattatistica amorosa « 81<br />
1. Perché leggerlo? « 81<br />
T1 Ars amatoria II, 123-46: È il carattere che conquista « 82<br />
T2 Ars amatoria III, 804-12: La conclusione dell’opera « 85<br />
Pagine critiche: L’Ars amatoria (S. Mariotti) « 86<br />
Estratto della pubblicazione<br />
9
Laboratorio p. 87<br />
Prova di verifica 1 - Ars amatoria I, 135-70: Al circo » 87<br />
Prova di verifica 2 - Ars amatoria II, 345-58: La giusta distanza » 87<br />
T3 Medicamina faciei, 1-28; 43-50: Prologo « 91<br />
T4 Remedia amoris 579-90: Fuggire la solitudine « 95<br />
Laboratorio » 98<br />
Prova di verifica 1 - Remedia amoris 297-340: Consigli per dimenticare l’amata » 98<br />
Prova di verifica 2 - Remedia amoris 795-814: Cosa mangiare » 101<br />
T5 Heroides I, 1-24; 110-16: Penelope ad Ulisse « 105<br />
Pagine critiche: La forma epistolare delle Heroides: un esperimento audace (G. Rosati) « 107<br />
T6 Heroides XVIII, 55-110: Leandro ad Ero « 109<br />
Incontro tra autori: Virgilio e <strong>Ovidio</strong>: L’amore tra Ero e Leandro (Georgiche III, 258-63) « 115<br />
Laboratorio » 117<br />
Prova di verifica 1 - Heroides 129-76: Fedra a Ippolito » 117<br />
Prova di verifica 2 - Confronto intertestuale: Didone ed Enea in <strong>Ovidio</strong> e in Virgilio » 121<br />
Prova di verifica 3 - Heroides XVI: Paride ad Elena, 1-12, 153-64, XVII, Elena a Paride, 1-10,<br />
75-94, 153-63 » 124<br />
Metrica » 128<br />
Vocabolario dei termini tecnici » 132<br />
Legenda:<br />
T = testo con analisi<br />
C = confronto intertestuale o intersegnico<br />
= testi o verifiche di particolare complessità per l’eccellenza<br />
10<br />
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet<br />
•L’epos delle forme<br />
nelle Metamorfosi<br />
•La trattatistica amorosa<br />
Estratto della pubblicazione
1. Perché leggerlo?<br />
12<br />
<strong>Ovidio</strong><br />
L’epos delle forme<br />
nelle Metamorfosi<br />
<strong>Ovidio</strong> è il poeta elegante della Roma augustea, dichiaratamente felice di vivere nella sua<br />
epoca, versatile nel comporre versi su qualunque argomento. Dalla poesia elegiaca (Amores) ai<br />
trattati sull’amore (Ars amatoria e Remedia amoris), dal calendario, repertorio delle festività<br />
(Fasti), alle lettere immaginarie delle eroine mitiche (Heroides), dal racconto dell’esilio dolorosissimo<br />
(Tristia ed Epistulae ex Ponto) ai cosmetici (Medicamen faciei), fino alle Metamorfosi,<br />
tutto quello che scriveva versus erat, diventava verso. E, <strong>Ovidio</strong> è, infatti, il poeta della «forma»,<br />
che, meglio di ogni altro del suo tempo, rappresenta il clima culturale di raffinatezza e di<br />
trasgressione che caratterizzava la Roma di quegli anni. Di qui il suo allegro definirsi<br />
lascivi…praeceptor amoris («maestro di amore sensuale») (Ars amatoria II, 497), ma anche il<br />
dolore di dover pagare di persona, con un esilio, le cui cause restano ancora oscure, l’ostilità<br />
di Augusto, rigidamente severo contro l’ironico e galante poeta.<br />
Le Metamorfosi sono un «poema epico», secondo la definizione, ormai accettata di Brooks Otis 1 .<br />
Infatti, nella lunghissima narrazione (15 libri in esametri), si canta l’epos delle «forme», cioè delle<br />
creature umane che diventano «forme» animali, vegetali, minerali, quando la «metamorfosi» serve a<br />
risolvere – in modo rassicurante e pacificatore – una tensione che ha raggiunto il limite ed è<br />
diventata troppo dolorosa. Non ci sarà più, quindi, nell’uomo il dolore disperante, perché, nel<br />
momento in cui esso diventerà insopportabile, arriverà la mutazione della forma a placarlo. Al<br />
tempo stesso, non c’è pianta o lago, o fiume, o roccia, o uccello, che non conservi il ricordo di una<br />
vicenda umana, spiegando, così, l’origine di tutte le cose (poesia eziologica), ma, soprattutto,<br />
fissando, nell’eternità della natura, la fragile caducità dell’uomo. Se divertente e gradevole è la<br />
lettura di tutte le opere ovidiane sull’amore, per la disinibita e poetica disposizione a trattarne ogni<br />
aspetto, la lettura delle Metamorfosi si presenta come un’avventura continua, in cui ogni episodio<br />
si innesta subito su di un altro, senza interruzione, senza pause di rallentamento, con un ritmo<br />
narrativo teso e inesauribile, in cui, l’alternanza dei registri stilistici fa scivolare, di volta in volta,<br />
l’epos verso la lirica o l’elegia e perfino verso forme drammatiche e teatrali.<br />
Non c’è alcun criterio cronologico che regga le storie, le quali scorrono, l’una dietro l’altra, o<br />
incastrate l’una nell’altra, in una narrazione definita da Bettini 2 «labirintica», che ha come criterio<br />
di fondo il piacere del raccontare, sorretto dall’uso di una lingua immaginifica, «barocca» ante<br />
litteram, per la quale lo «stupore» dell’avvenimento si fa «stupore» della parola poetica.<br />
1 Brooks O., Ovid as an epic poet, Cambridge University, 1970 (traduzione italiana di M.L. Delvigo).<br />
2 Bettini M., Antropologia e cultura romana, La Nuova Italia, Firenze.<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet<br />
• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
2. Il genere letterario di appartenenza: l’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
L’epica è uno dei più importanti generi poetici del mondo classico. Il termine deriva da epos che<br />
significa parola, perché in origine era poesia recitata, cantata, il cui scopo era quello di celebrare<br />
azioni eroiche e leggendarie. Aristotele la paragona alla tragedia, in quanto esalta i gesti nobili dei<br />
personaggi, ma ne sottolinea la diversità, perché l’epica a differenza della tragedia, era caratterizzata<br />
da un unico metro, l’esametro, il verso eroico tipico del genere e perché non esistevano limiti<br />
temporali nella narrazione.<br />
I modelli archetipici di epica, quelli a cui tutti gli autori successivi si rifaranno per adeguarvisi o per<br />
rovesciarli, sono, come è noto, i poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, composti tra il IX e il VII secolo<br />
a.C. attribuiti alla figura leggendaria di Omero il poeta cieco, ma composti forse da aedi ionici per<br />
la recitazione e la trasmissione orale.<br />
Non è un caso che la letteratura latina inizi appunto con la famosa traduzione dell’Odissea<br />
compiuta da Livio Andronico, ora andata perduta, ma studiata nelle scuole romane fino all’età<br />
augustea, secondo la testimonianza di Orazio. Livio Andronico usò come verso il saturnio, allo stesso<br />
modo di Nevio nel primo poema epico latino il Bellum Poenicum. Sarà Ennio, con l’introduzione<br />
dell’esametro nel suo poema degli Annales, a far conoscere il modello omerico agli scrittori romani.<br />
Lucrezio e Virgilio, coll’epos della Natura il primo e con l’epos di Roma il secondo, daranno un<br />
carattere nuovo all’epica, fino ad <strong>Ovidio</strong> delle Metamorfosi e Lucano del Bellum civile o Pharsalia,<br />
che muteranno in modo significativo il genere, l’epos delle forme l’uno, l’epos dell’eroe sconfitto,<br />
nella decadenza di Roma, senza dei e senza gloria, l’altro.<br />
La poesia epica tradizionale si presenta come un lungo racconto di gesta in cui il protagonista,<br />
attraverso le avventure e i rischi affrontati, perviene alla consacrazione del suo ruolo “eroico”.<br />
Perché allora definire epos delle forme il poema delle Metamorfosi di <strong>Ovidio</strong>? Anche qui ci sono<br />
lunghe narrazioni di avventure e di mitiche imprese, ma protagonisti non ne sono tanto le innumerevoli<br />
figure che le compiono, bensì è la natura ambigua e sfaccettata nella quale esse vengono<br />
tramutate a dominare su tutte le vicende. È la “metamorfosi” da uomo a pianta, da uomo ad<br />
animale, da uomo ad elemento naturale, acqua, roccia, a costituire il filo unificante delle storie.<br />
Sono le “forme” mutate da quelle umane a quelle naturali, le infinite immagini nelle quali si<br />
stempera la tragedia dei protagonisti o si risolve il dramma del singolo, a costituire il tessuto epico.<br />
Epico, perciò, è il trionfo della natura sulle povere vicende dell’umanità, epica è la memoria eterna<br />
che resta della creatura, quando si tramuta e perde se stessa, per diventare parte di un universo nel<br />
quale ogni aspetto, dal più umile al più solenne, dal ragno alle stelle, dall’upupa all’alloro, dal fiore<br />
del narciso alla rupe si fa “segno”. C’è qualcosa di eroico e di drammatico al tempo stesso,<br />
nonostante la levità elegante della narrazione, in questo incalzante mutamento degli esseri umani,<br />
per i quali il morire è solo un cambiamento di “forma”. Rinunciando alla propria condizione di essere<br />
pensante per perdersi nella forma acquisita attraverso la metamorfosi, l’uomo risolve il proprio<br />
dramma di vita, la propria pena esistenziale, espia anche le proprie colpe, ma perde per sempre quel<br />
connotato grande e nobile che è soffrire e gioire, cadere e rialzarsi, lottare ed essere sconfitto, con<br />
le sue sole forze e la sua volontà. Fissato per sempre nell’immobilità della forma acquisita, egli sa<br />
di diventare eterno, ma di non essere più uomo. Allora il lungo poema che nasce con intento<br />
eziologico (spiegare l’origine degli aspetti naturali) rivela una matrice più profonda: è il rifiuto di<br />
credere che la morte estingua in polvere la creatura vivente e ne cancelli per sempre il segno. In<br />
ogni aspetto della natura, invece, noi possiamo percepire qualcosa di umano e calarci in esso,<br />
accettando con malinconica serenità che le “forme” vinceranno sull’uomo e sul tempo.<br />
Estratto della pubblicazione<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
13
• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
3. La vita<br />
Publio <strong>Ovidio</strong> Nasone nacque a Sulmona, in<br />
Abruzzo, nel 43 a.C. da un’antica e agiata<br />
famiglia equestre. A Roma studiò grammatica<br />
e retorica e completò i suoi studi in Grecia.<br />
Destinato dal padre alla carriera forense e<br />
politica, <strong>Ovidio</strong> avvertì, invece, una forte inclinazione<br />
verso la poesia. Ad alimentare questa<br />
sua vocazione poetica fu Valerio Messalla<br />
Corvino; ma <strong>Ovidio</strong> fu vicino pure a Mecenate,<br />
e conobbe i maggiori poeti dell’epoca, come<br />
Orazio, Tibullo, Properzio, Gallo (solo per poco<br />
vide Virgilio). Frequentò la corte di Augusto<br />
e fu molto apprezzato grazie alle letture pubbliche<br />
delle sue elegie amorose.<br />
Intorno al 20 a.C. pubblicò un prima raccolta<br />
delle sue elegie gli Amores, suddivise prima in<br />
cinque libri e poi in tre. In seguito pubblicò<br />
altre opere elegiache: le Heroides («Eroine»);<br />
l’Ars Amatoria («L’arte di amare»); i Remedia<br />
amoris («Rimedi all’amore»); i Medicamina<br />
faciei («I cosmetici delle donne»). Tutte le opere<br />
di <strong>Ovidio</strong> sono in versi.<br />
Tra l’1 e l’8 d.C. il poeta si dedicò a forme di<br />
poesia più impegnate: l’epica mitologica delle<br />
T1 Metamorfosi I, 232-39: Licaone<br />
14<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
Metamorfosi e l’elegia eziologica dei Fasti, opera<br />
quest’ultima che rimase incompiuta a causa<br />
dell’evento che cambiò la vita del poeta.<br />
Infatti, nell’8 d.C., quando ormai aveva raggiunto<br />
il successo, il poeta fu colpito da un<br />
ordine di Augusto, che lo relegava a Tomi,<br />
l’attuale Costanza, sulle coste del Ponto (il<br />
Mar Nero). Non si conoscono esattamente le<br />
ragioni di questo provvedimento, ma probabilmente<br />
il poeta fu coinvolto in uno scandalo<br />
di corte insieme con la nipote di Augusto,<br />
Giulia Minore, accusata di immoralità, che fu<br />
invece relegata nelle Isole Tremiti.<br />
Quella di <strong>Ovidio</strong> fu una relegatio che, a differenza<br />
dell’exilium, non prevedeva la perdita dei<br />
diritti di cittadino e la confisca dei beni. Tuttavia,<br />
egli fu costretto a rimanere isolato in una<br />
terra selvaggia e inospitale, implorando il perdono<br />
attraverso le elegie dei cinque libri dei<br />
Tristia («Tristezze») e dei quattro delle Epistulae<br />
ex Ponto («Lettere dal Ponto»), senza mai riuscire<br />
ad ottenerlo né da Augusto né dal suo successore<br />
Tiberio. A Tomi rimase per quasi dieci<br />
anni, fino alla morte, che lo colse nel 17 d.C.<br />
<strong>Ovidio</strong> è stato il primo nelle Metamorfosi a parlare di Licaone, re dell’Arcadia, che fu da Giove<br />
tramutato in lupo. In verità sono differenti le tradizioni relative a Licaone e alle forme della sua ferocia<br />
per cui meritò di essere punito; secondo alcuni avrebbe mangiato le carni di un ostaggio, secondo altri<br />
avrebbe dato in pasto il figlio a Giove, secondo altri ancora, – ed è questa la leggenda raccolta da<br />
<strong>Ovidio</strong> – avrebbe messo alla prova l’onniscienza di Giove, facendogli mangiare carni umane, per<br />
vedere, poi, se il padre degli dei se ne sarebbe accorto.<br />
Tutte le tradizioni, comunque, adombrano l’esistenza di un culto primitivo, nelle società arcaiche,<br />
che ammetteva sacrifici umani. Questo aspetto antropologico non poteva, però, interessare a <strong>Ovidio</strong>,<br />
elegante e raffinato scrittore. Infatti, egli non si dilunga sulle ragioni della punizione, ma, come<br />
sempre, in tutte le metamorfosi, si sofferma sulla genesi del passaggio da uno stato all’altro, ed è qui,<br />
naturalmente, il nodo poetico del testo.<br />
Metro: esametro<br />
Territus ipse fugit nactusque silentia ruris<br />
exululat frustraque loqui conatur; ab ipso<br />
232-33. Territus…conatur: «Atterrito<br />
egli fugge, imbattendosi nel silenzio<br />
della campagna ulula e invano tenta di<br />
parlare».<br />
Estratto della pubblicazione<br />
Territus: in posizione rilevata ha il sintagma<br />
silentia ruris come correlato: dalla paura si
• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
colligit os rabiem solitaeque cupidine caedis<br />
utitur in pecudes et nunc quoque sanguine gaudet. 235<br />
In villos abeunt vestes, in crura lacerti:<br />
fit lupus et veteris servat vestigia formae;<br />
canities eadem est, eadem violentia vultus,<br />
idem oculi lucent, eadem feritatis imago est.<br />
trova nel silenzio in cui solo il suo ululato<br />
si udrà e, infatti, nel verso seguente il verbo<br />
exululat è in incipit; nactus: participio<br />
passato di nanciscor; silentia: accusativo<br />
plurale.<br />
Si noti il chiasmo:<br />
exululat frustra<br />
loqui conatur<br />
Frustra: avverbio, collocato in posizione<br />
tale da essere in rapporto sia con l’ululare<br />
che con il parlare, come se tutto<br />
appunto fosse inutile, «vano».<br />
233-35. ab ipso… gaudet: «il volto esprime<br />
la sua rabbia e dà sfogo al desiderio<br />
nella consueta violenza contro le bestie<br />
e ora ancora gode del sangue».<br />
Ab ipso: «da lui», è stato omesso per<br />
chiarezza nella traduzione; os: è propriamente<br />
«la bocca», per metonimia è il<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
volto; solitae: genitivo concordato con<br />
caedis, allude alle abitudini sanguinarie<br />
di Licaone; cupidine: ablativo dipendente<br />
da utitur.<br />
Utitur e gaudet in incipit e clausola sono<br />
rilevati, a indicare la ferocia del personaggio.<br />
236-37. In villos…formae: «Le vesti si<br />
tramutano in peli, le braccia si tramutano<br />
in gambe, diventa lupo, eppure conserva<br />
i segni dell’antica forma».<br />
La simmetria villos…crura sottolinea il<br />
simultaneo mutamento; abeunt: da abeo,<br />
è propriamente «se ne vanno»; fit: in<br />
incipit fa chiudere come in chiasmo lupus<br />
e veteris formae; veteris vestigia: l’allitterazione<br />
rimarca i due termini per sottolineare<br />
l’importanza dei «segni» antichi<br />
(vestigia) che non scompaiono del tutto;<br />
crura: accusativo plurale di crus-cruris;<br />
veteris: da vetus, significa «vecchio», ma<br />
implica anche una sorta di sfumatura<br />
positiva, come «antico».<br />
238. canities…vultus: «la canizie è la<br />
stessa, la stessa è la violenza del volto».<br />
Si noti il chiasmo che serra al centro il<br />
pronome ripetuto, a indicare l’orrendo<br />
ricordo della prima natura che si scontra<br />
con l’altra, animalesca:<br />
canities eadem<br />
eadem violentia<br />
239. idem oculi…imago est: «gli occhi<br />
luccicano allo stesso modo, l’immagine<br />
della sua ferocia è la stessa».<br />
Idem…eadem: il poliptoto sottolinea ancora<br />
l’oscuro miscuglio di umano e di<br />
animalesco; idem: plurale nominativo riferito<br />
ad oculi; lucent: lessema pregnante<br />
perché esprime l’intensità con cui brillano<br />
gli occhi del lupo.<br />
Analisi testuale T1 Metamorfosi I, 232-39: Licaone<br />
Fit lupus et veteris servat vestigia formae: è questo il «segno» del passaggio<br />
dall’ambiguo miscuglio di uomo e di animale, sottolineato anche dal chiasmo:<br />
fit lupus<br />
veteris servat<br />
Il chiasmo viene reso più efficace sul piano semantico dall’iperbato veteris…formae,<br />
in cui formae, in clausola, rilevato e allontanato, fa come avvertire la «distanza» che<br />
ormai corre tra il presente ferino e la passata forma umana. Il lupo Licaone ha, infatti,<br />
qualcosa ancora di umano, così come da uomo aveva avuto qualcosa di bestiale.<br />
Il poliptoto ripete insistente che nulla è cambiato: eadem…eadem…idem…eadem:<br />
sempre uguale è la ferocia, appartenga essa all’uomo o all’animale. Il connotato<br />
fisico più nobile dell’uomo era nel mondo antico avere i capelli bianchi, segno<br />
di saggezza e di esperienza e, perciò, degno di massimo rispetto: qui canities e<br />
violentia vultus sono messi non a caso in opposizione dal chiasmo, proprio ad<br />
indicare qualcosa di contraddittorio e di distorto, un oscuro stravolgimento<br />
dell’umanità in cui restano i capelli bianchi a testimonianza di un’occasione<br />
smarrita di essere «uomo», di una grandezza perduta, di una dignità offesa dal<br />
proprio errore. Anche qui, come in altri miti, ad essere mortificata è la parola,<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
15
• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
16<br />
l’attributo più alto delle qualità umane: exululat frustraque loqui conatur. È<br />
ancora una volta la figura retorica dominante del chiasmo a sottolineare la<br />
dolorosa contrapposizione tra l’ululare (in incipit exululat) e il parlare (loqui); la<br />
sua bocca serve solo a raccogliere la rabbia e a far esplodere l’orrore.<br />
Di fronte a tanta deprivazione, infatti, è solo la bestialità dei gesti che può<br />
trionfare così il fascio semantico della violenza accompagna la sua metamorfosi:<br />
rabiem…cupidine caedis sanguine gaudet…violentia feritatis. E tuttavia i particolari<br />
fisici, memoria della perduta umanità, restano, seppur stravolti, in una commistione<br />
inquietante di uomo e bestia: vestes, lacerti, vultus, oculi.<br />
Incontro tra autori<br />
Petronio e <strong>Ovidio</strong>: Licaone<br />
Due scrittori narrano con profonda differenza l’uomo-lupo: <strong>Ovidio</strong> coglie l’aspetto drammatico,<br />
Petronio quello umoristico-folklorico.<br />
Satyricon, 62, 3-14<br />
Alla cena di Trimalchione, un amico del padrone di casa, Nicerote, racconta una sua avventura<br />
durante un viaggio a Capua: il soldato che lo accompagnava, all’alba, si tramuta in lupo mannaro.<br />
[3] Erat autem miles, fortis tamquam Orcus. Apoculamus nos circa gallicinia; luna lucebat<br />
tamquam meridie. [4] Venimus intra monimenta: homo meus coepit ad stelas facere, sedeo<br />
ego cantabundus et stelas numero. [5] Deinde ut respexi ad comitem, ille exuit se et omnia<br />
vestimenta secundum viam posuit. Mihi anima in naso esse, stabam tamquam mortuus.<br />
[6] At ille circumminxit vestimenta sua, et subito lupus factus est. Nolite me iocari putare;<br />
ut mentiar, nullius patrimonium tanti facio. [7] Sed, quod coeperam dicere, postquam<br />
lupus factus est, ululare coepit et in silvas fugit. [8] Ego primitus nesciebam ubi essem,<br />
deinde accessi, ut vestimenta eius tollerem: illa autem lapidea facta sunt. [9] Qui mori<br />
timore nisi ego? Gladium tamen strinxi et in tota via umbras cecidi, donec ad villam<br />
amicae meae pervenirem. [10] Ut larva intravi, paene animam ebullivi, sudor mihi per<br />
bifurcum volabat, oculi mortui, vix unquam refectus sum. [11] Melissa mea mirari coepit,<br />
quod tam sero ambularem, et «Si ante» inquit «venisses, saltem nobis adiutasses; lupus<br />
enim villam intravit et omnia pecora perculit, tamquam lanius sanguinem illis misit. Nec<br />
tamen derisit, etiam si fugit; servus enim noster lancea collum eius traiecit». [12] Haec ut<br />
audivi, operire oculos amplius non potui, sed luce clara Gaii nostri domum fugi tamquam<br />
copo compilatus, et postquam veni in illum locum, in quo lapidea vestimenta erant facta,<br />
nihil inveni nisi sanguinem. [13] Ut vero domum veni, iacebat miles meus in lecto<br />
tanquam bovis, et collum illius medicus curabat. Intellexi illum versipellem esse, nec<br />
postea cum illo panem gustare potui, non si me occidisses. [14] Viderint alii quid de hoc<br />
exopinissent; ego si mentior, genios vestros iratos habeam.<br />
Traduzione<br />
[3] Era poi con me un soldato forte come un demonio. Al primo canto del gallo ce la svignammo; la luna<br />
splendeva come se fosse mezzogiorno. [4] Arrivammo ad un cimitero. Il mio uomo cominciò a fare i suoi<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
Estratto distribuito da Biblet
• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
bisogni vicino alle tombe, io mi seggo canticchiando e mi metto a contare le tombe. [5] Poi, come mi voltai<br />
a guardare il compagno, questi si spogliò e sparpagliò i vestiti lungo la strada. Io avevo l’anima in gola e<br />
stavo immobile come morto. [6] Ma quello urinò tutto intorno ai suoi vestiti e improvvisamente divenne<br />
lupo. Non pensate che io scherzi; non mentirei per nessuna ragione al mondo. [7] Ma, come avevo<br />
cominciato a dire, dopo che divenne lupo, cominciò ad ululare e fuggì nei boschi. [8] Io all’inizio non<br />
sapevo più dove fossi, poi mi avvicinai per prendere i suoi vestiti: quelli erano diventati di pietra. [9] Chi<br />
non sarebbe morto di paura se non io? Tuttavia impugnai la spada e per tutta la via detti colpi alle ombre,<br />
finché non giunsi alla casa della mia amica. [10] Entrai come un cadavere, quasi esalai l’anima, il sudore<br />
mi colava per le gambe, gli occhi ciechi, a stento, infine, mi ripresi. [11] La mia Melissa cominciò a<br />
meravigliarsi che me ne andavo in giro tanto tardi e mi disse: “Se fossi venuto prima almeno ci avresti<br />
aiutati, infatti un lupo è entrato nella casa e ha assalito tutte le pecore, come un macellaio ha levato loro<br />
il sangue. Tuttavia non l’ha fatta franca, anche se è scappato, infatti, un nostro servo gli ha trapassato il collo<br />
con una spada”. [12] Come sentii questo, non potetti più chiudere occhio, ma appena fu piena luce, fuggii<br />
a casa del nostro Gaio, come se fossi un oste bastonato e dopo che arrivai in quel posto dove i vestiti erano<br />
diventati tutti di pietra, non trovai altro che sangue. [13] Ma appena venni a casa vidi che il mio soldato<br />
stava steso a letto come un bue e un medico gli curava il collo. Allora capii che quello era un lupo mannaro<br />
e da allora non sarei riuscito più a mangiare il pane con lui, neppure se tu mi avessi ucciso. [14] Vedano<br />
gli altri che cosa vogliono pensare su questo fatto; quanto a me se mento, che i vostri dei protettori siano<br />
arrabbiati con me.<br />
Analisi testuale Petronio: Satyricon, 62, 3-14<br />
Il testo è caratterizzato dalla potente contrapposizione tra la figura demoniaca del<br />
miles, fortis tamquam Orcus («forte come un diavolo»), già prima di rivelarsi lupo<br />
mannaro, e la figura del narratore (Nicerote), che riferisce con enfasi e toni<br />
allarmati l’avventura occorsa.<br />
Consideriamo, pertanto, il linguaggio relativo al miles.<br />
Il miles/Orcus si tramuta al canto del gallo: gallicinium è l’alba e perciò il tempo<br />
indica la «porta», la «soglia», segno di passaggio dal giorno alla notte, dalla vita<br />
alla morte, dalla terra all’aldilà, da uomo a bestia.<br />
Coepit…facere…circumminxit: l’inizio della metamorfosi coincide con i comportamenti<br />
animaleschi (urinare) e, poi, comporta il denudarsi, deporre l’attributo<br />
dell’uomo che è il vestito (exuit se).<br />
L’ululare, il mutamento di voce, corrisponde all’avvenuto mutamento di stato:<br />
lupus factus est.<br />
In silvas fugit: la fuga verso il bosco costituisce il «distacco», la «funzione», cioè,<br />
dell’allontanamento, secondo la terminologia di Propp 1 , con cui si opera il<br />
cambiamento di stato.<br />
Il lessema sanguinem, ripetuto per due volte nel racconto, rimarca l’importanza<br />
del tema che ha una specifica centralità nella cultura folklorica: il licantropo<br />
sparge sangue e versa sangue. Il male compiuto viene lavato col sangue rituale,<br />
in una dialettica vita/morte in cui la crisi di frattura della personalità si risolve con<br />
un recupero dell’umanità. Infatti, alla fine: Iacebat in lecto…medicus curabat.<br />
Quindi, egli dallo spazio ferino della selva passa alla intimità protetta della casa<br />
e, in particolare del letto, luogo sacro della vita e della morte. Vediamo ora la<br />
reazione di Nicerote, o meglio, la descrizione del suo terrore.<br />
1 Propp V., Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino, 1988.<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
17
• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
18<br />
La paura si riveste di immagini allusive della morte:<br />
• anima in naso;<br />
• stabam tamquam mortuus;<br />
• mori timore;<br />
• ut larva;<br />
• animam ebullivi;<br />
• oculi mortui;<br />
• operire oculos amplius non potui.<br />
L’intellexi («capii») finale sta a indicare che ormai si è creata la barriera, l’altro è<br />
un «diverso» da cui bisogna difendersi e con cui non si può dividere il pane: nec<br />
postea cum illo panem gustare potui. Non è più, dunque, un «compagno» in senso<br />
etimologico (cum+panis).<br />
Al racconto di Nicerote seguirà dopo poco quello di Trimalchione sulle streghe,<br />
in sintonia col tema del magico e dell’irrazionale, presente nel lupo mannaro.<br />
È interessante applicare al brano lo schema triadico di Bremond2 , secondo il quale la<br />
logica delle azioni del protagonista segue o un miglioramento possibile o un peggioramento<br />
o alterna miglioramento e peggioramento nella successione detta «testa/coda».<br />
Nel caso del personaggio del lupo mannaro abbiamo appunto un «testa/coda»:<br />
Trasformazione Processo Trasformazione<br />
da compiere di trasformazione compiuta<br />
da stato umano tempo e luoghi ritorno allo stato umano<br />
a stato animale rituali da quello animale<br />
arrivo della crisi manifestazione della crisi termine della crisi<br />
Questa alternanza, che si verifica nel licantropo, rappresenta simbolicamente un<br />
entrare e un uscire dalla conoscenza. Il viaggio di Nicerote e dell’amico non è<br />
altro, infatti, che l’avventura e il rischio legati alla conoscenza. Tale racconto di<br />
viaggio, del resto, è inserito nell’altro lungo viaggio che costituisce la trama del<br />
Satyricon tutto e, attraverso le molteplici vicende dei protagonisti, approda al<br />
mondo distorto e degradato di Crotone, città dei morti, simbolo di una società<br />
in sfacelo, qual era quella dell’epoca di Petronio.<br />
La crisi dell’uomo che si trasforma in lupo si configura, così, come una sorta di<br />
«viaggio», in cui l’individuo diventa «altro da sé», perde la propria identità conosciuta,<br />
per entrare in un’altra dimensione, scoprire l’ignoto che c’è dietro il noto,<br />
varcare, quindi, la «frontiera» che separa il sé dall’altro.<br />
In tal senso, il racconto di Petronio è la metafora della duplicità interiore, dello<br />
sdoppiamento di personalità. Quello che muta, invece, a seconda dei contesti è<br />
il modo con cui è sentito, valutato, considerato tale sdoppiamento: orrore per la<br />
bestialità dell’uomo, ammirazione per la sua forza sovrumana, curiosità per la<br />
stranezza del fenomeno o pietà, dolente malinconia per la creatura malata e sola,<br />
2 In AA.VV., L’analisi del racconto, Bompiani, Milano, 1969.<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
Estratto distribuito da Biblet
Estratto distribuito da Biblet<br />
• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
chiusa nel cerchio irraggiungibile del suo mistero, «segno» di ribellione ad un<br />
mondo falso, fatto di sole apparenze.<br />
In Petronio, quindi, la licantropia si inscrive nel significato di tutto il romanzo, quale<br />
la rappresentazione del mondo rovesciato dei valori romani al tempo di Nerone.<br />
Se si considera, invece, la figura del lupo mannaro come espressione di un passaggio<br />
dallo stato di cultura (uomo) a quello di natura (lupo) e, poi ancora, un ritorno allo<br />
stato di cultura (uomo), si può cogliere in questa metamorfosi un significato antropologico.<br />
Rappresenterebbe, infatti, la testimonianza di antichi rituali, forse di carattere<br />
iniziatico, che accompagnavano il momento di ingresso nella pubertà.<br />
L’acqua, il fango, il sangue, che compaiono in tutti i racconti, sia letterari che<br />
folkloristici, sono gli elementi tipici della purificazione rituale. Il lupo, d’altro<br />
canto, era animale diffuso nell’area geografica europea, per cui assume un<br />
significato ambiguo, insieme negativo e positivo: è espressione del male e<br />
rappresenta il demoniaco, perché minaccia la comunità (si pensi allo spauracchio<br />
del lupo cattivo o alla fiaba di Cappuccetto Rosso); è espressione del bene,<br />
invece, in quanto dotato di una forza superiore e di un potere eccezionale.<br />
Dominarlo significava poterlo inserire nel contesto della civiltà, cioè «convertirlo».<br />
Così, nelle leggende medioevali i santi (S. Francesco, S. Domenico ecc.) riescono<br />
a volgere, convertire (cum-verto) la sua natura bestiale in comportamento umano,<br />
riportando la vittoria sul nemico, come «eroi» sorretti dalla potenza divina. Il cane<br />
lupo, fedele al padrone più di tutte le altre razze, rappresenta, appunto, questo<br />
conflitto natura/cultura ormai risolto. Nel licantropo, invece, le due connotazioni<br />
opposte, cultura/natura, ordine/disordine, umanità/bestialità, continuano a convivere<br />
in modo inquietante, suscitando un’ambigua reazione: orrore per il suo<br />
comportamento bestiale, ammirazione per il suo potere sovrumano.<br />
Non a caso la tradizione folklorica riferisce che i contadini non sparano mai ad<br />
un lupo, perché temono che in esso si nasconda un uomo.<br />
La trasformazione che subisce il lupo mannaro nelle notti di plenilunio, rappresenta<br />
un «passaggio», quindi, verso territori sconosciuti in cui l’io sperimenta<br />
quello che l’antropologo René Girard definisce il «doppio mostruoso», la scissione<br />
tra il «sé» e l’«altro da sé», e «il soggetto sembra obbedire ad una forza venuta<br />
dall’esterno» (La violenza e il sacro, Adelphi Edizioni, Milano, 1986).<br />
Il «viaggio» del licantropo si configura, pertanto, ancora come un viaggio verso la<br />
conoscenza, con la dolorosa rottura del consueto che ogni conoscenza comporta.<br />
Si ha così questo tipo di schema:<br />
LICANTROPIA<br />
Crisi<br />
consorzio umano, perdita di identità, mondo soprannaturale,<br />
spazio noto passaggio e varco spazi esterni, ignoto,<br />
della «frontiera», visione nuova e profonda<br />
morte dell’io delle cose, comprensione<br />
diversa<br />
Petronio: monimenta, silvas (bosco), solitudine<br />
via, villam, domum,<br />
lecto ecc.<br />
Estratto della pubblicazione<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
19
• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
20<br />
Lotman e Uspenskij 3 hanno rappresentato con il seguente grafico il concetto di<br />
«frontiera», di chiusura, cioè, che si tende ad ergere tra la propria cultura antropologica<br />
(religione, usanze, riti ecc.) e quella altrui:<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
IO<br />
IN = (bene)<br />
ALTRO<br />
ES = (male)<br />
frontiera<br />
Ciascuno difende il proprio «spazio» di cultura e ritiene nemico l’«altro» che occupa<br />
lo «spazio» fuori della frontiera. Di qui, all’opposto, tolleranza è abbattere la<br />
«frontiera» per aprire il proprio spazio geografico e metaforico alla cultura altrui,<br />
accettando scambio e confronto, senza paure e diffidenze.<br />
T2 Metamorfosi III, 374-401: Eco e Narciso<br />
L’episodio di Eco e Narciso è tra i più noti delle Metamorfosi: Eco per aver spiato la dea Giunone fu<br />
punita a dover perdere la voce e a poter ripetere solo le parole finali delle frasi altrui. Eco incontra il<br />
bellissimo Narciso e vorrebbe parlargli, ma naturalmente non può e si distruggerà d’amore, da lui irrisa.<br />
Narciso, invece, come è noto, specchiandosi nell’acqua crederà di scorgere una creatura reale bellissima<br />
e si innamorerà di sé, fino a morire annegato, nel tentativo di abbracciare lo sconosciuto ragazzo.<br />
Metro: esametro<br />
3 Lotman J. - Uspenskij I., Tipologia della cultura, Bompiani, Milano, 1975.<br />
O quotiens voluit blandis accedere dictis 375<br />
et mollis adhibere preces! Natura repugnat<br />
nec sinit, incipiat; sed, quod sinit, illa parata est<br />
exspectare sonos, ad quos sua verba remittat.<br />
Forte puer comitum seductus ab agmine fido<br />
dixerat «Ecquis adest?», et «Adest!» responderat Echo. 380<br />
375-76. O quotiens…preces!: «O quante<br />
volte volle avvicinarglisi con dolci parole<br />
e rivolgergli tenere preghiere!».<br />
Nei versi che precedono <strong>Ovidio</strong> dice che<br />
Eco ha visto Narciso vagare per i campi.<br />
Dictis: in clausola, è parola chiave perché<br />
è lì tutto il dramma di Eco, nella<br />
parola; mollis: sta per molles.<br />
376-78. natura…remittat: «la natura glielo<br />
vieta né permette che lei inizi, ma ciò che<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
le permette, è che lei sia pronta ad attendere<br />
i suoni da riecheggiare con le sue parole».<br />
Repugnat: da re-pugno, indica proprio<br />
come una lotta tra Eco e la natura;<br />
sinit…quod sinit: i due incisi rimarcano<br />
ciò che è lecito e ciò che non lo è, con<br />
la ripetizione dello stesso verbo; incipiat:<br />
congiuntivo dipendente da repugnat;<br />
remittat: congiuntivo consecutivo,<br />
come a mostrare il meccanismo qua-<br />
Estratto della pubblicazione<br />
si automatico: lei sente suoni e ripete<br />
suoni.<br />
376-80. Forte puer…Echo: «Per caso il<br />
ragazzo separatosi dalla schiera fidata dei<br />
suoi amici aveva detto: “Chi c’è?” e “C’è”<br />
aveva risposto Eco».<br />
Seductus: participio, da seduco, prepara<br />
la condizione di solitudine in cui si consuma<br />
l’esperienza dei due personaggi; fido:<br />
accordato con agmine segna il passaggio
• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
Hic stupet, utque aciem partes dimittit in omnes,<br />
voce «Veni!» magna clamat: vocat illa vocantem.<br />
Respicit et rursus nullo veniente «Quid» inquit<br />
«me fugis?» et totidem, quot dixit, verba recepit.<br />
Perstat et alternae deceptus imagine vocis 385<br />
«Huc coëamus!» ait, nullique libentius umquam<br />
responsura sono «Coëamus!» rettulit Echo<br />
et verbis favet ipsa suis egressaque silva<br />
ibat, ut iniceret sperato bracchia collo.<br />
Ille fugit fugiensque manus complexibus aufert; 390<br />
«Ante» ait «emoriar, quam sit tibi copia nostri!»<br />
Rettulit illa nihil nisi «Sit tibi copia nostri!»<br />
Spreta latet silvis pudibundaque frondibus ora<br />
protegit et solis ex illo vivit in antris;<br />
sed tamen haeret amor crescitque dolore repulsae: 395<br />
et tenuant vigiles corpus miserabile curae,<br />
adducitque cutem macies, et in aèra sucus<br />
corporis omnis abit; vox tantum atque ossa supersunt:<br />
vox manet; ossa ferunt lapidis traxisse figuram.<br />
dal noto all’ignoto, da ciò che dà fiducia<br />
a ciò che è sconosciuto; adest: da adsum,<br />
propriamente «è presente»; puer…Echo:<br />
sono in collocazione opposta, l’uno in<br />
incipit, l’altro in clausola, come a voler<br />
creare, anche formalmente, la distanza che<br />
li separa.<br />
381-82. Hic stupet…vocantem: «Questi<br />
resta stupito e dopo aver girato lo sguardo<br />
in ogni parte, chiama a voce forte<br />
“Vieni!”. Lei chiama lui che chiama».<br />
Il verbo dimittit, da demitto, indica il<br />
movimento dello sguardo dall’alto in<br />
basso; si noti voce in incipit e vocat<br />
vocantem (allitterazione, figura etimologica<br />
e poliptoto) che concentrano l’attenzione<br />
sulla voce come nodo dell’episodio.<br />
383-84. Respicit…recepit: «Guarda di<br />
nuovo e, poiché di nuovo non viene nessuno<br />
“Perché fuggi da me?” chiese e riebbe<br />
ugualmente le stesse parole che disse».<br />
I tre verbi re-spicit, re-cepit, rursus, indicano<br />
con insistenza il ripetersi ossessivo<br />
delle voci.<br />
385-87. Perstat…Echo: «Si blocca fermo<br />
e ingannato dal suono di un’altra voce<br />
dice “Uniamoci qua!” e Eco rispose “Uniamoci!”<br />
a nessun altro suono mai più<br />
volentieri disposta a rispondere».<br />
Nulli: dativo accordato con sono; responsura:<br />
participio futuro di respondeo; coeamus:<br />
congiuntivo esortativo di coeo,<br />
da cum+eo (= «andare insieme») ed è<br />
parola ambigua che può alludere al rapporto<br />
sessuale.<br />
388-89. et verbis…collo: «e uscendo dal<br />
bosco in risposta alle sue parole, andava<br />
a gettare le braccia al collo amato».<br />
Il verbo favet significa letteralmente «favorisce»<br />
e regge il dativo verbis; ibat:<br />
l’imperfetto prolunga il gesto nel tempo<br />
e significa «stava per»; sperato: tradotto<br />
con «amato» ha in sé anche il senso dell’attesa;<br />
egressa: participio passato di<br />
egredior, regge l’ablativo silva.<br />
390-91. Ille fugit…nostri: «Egli fugge e<br />
fuggendo strappa le mani ai suoi abbracci;<br />
dice: “Vorrei morire piuttosto che<br />
essere tuo!”»<br />
Si noti il poliptoto fugit fugiens per rimarcare<br />
la repulsione che diventa fuga da lei;<br />
complexibus: ablativo, da complexus, indica<br />
l’abbraccio stretto; aufert: da ab+fero,<br />
esprime il «portar via da»; ante…quam: si è<br />
tradotto «piuttosto che»; copia: letteralmente<br />
è «abbondanza», «pienezza»; nostri:<br />
genitivo, pluralis maiestatis, «di noi», ed<br />
esprime il possesso totale «pieno».<br />
392. Rettulit…nostri: «Rispose lei niente<br />
altro se non “che essere tuo”».<br />
Rettulit: da re+fero, rimarca sempre l’effetto<br />
di eco; sit…nostri: questa volta è<br />
ripetuto l’intero sintagma.<br />
393-94. Spreta…antris: «Disprezzata si<br />
nasconde nelle selve e protegge, piena di<br />
Estratto della pubblicazione<br />
vergogna, il suo volto con le foglie e vive<br />
negli antri solitari [solo] di lui».<br />
Spreta: in rilievo per la collocazione in<br />
incipit, da sperno «disprezzo»; protegit:<br />
da pro+tego, «coprire», per cui in italiano<br />
«proteggere»; solis: in iperbato con antris,<br />
chiude al centro ex illo ad esprimere<br />
una solitudine che si nutre di amore (ex<br />
è «da») che viene da lui.<br />
395-99. sed tamen haeret…figuram: «ma<br />
tuttavia le resta attaccato addosso l’amore<br />
e cresce col dolore del rifiuto e l’angoscia<br />
che la tiene sveglia rende macilento<br />
il misero corpo, la magrezza le affloscia la<br />
pelle e tutto l’umore del corpo si scioglie<br />
in aria. Soltanto la voce e le ossa restano;<br />
la voce rimane, dicono che le ossa presero<br />
la forma di una roccia».<br />
I due verbi haeret e crescit chiudono al<br />
centro amor, ponendolo in rilievo; vigiles:<br />
in iperbato con curae e in chiasmo<br />
per indicare il contrasto tra un corpo<br />
distrutto e un pensiero ossessivo:<br />
vigiles curae<br />
corpus miserabile<br />
Il parallelismo sucus…abit…vox atque<br />
ossa supersunt esprime la correlazione<br />
tra i due fatti: all’umore vitale che si<br />
perde corrisponde la voce che si conserva;<br />
ferunt: «dicono»; lapidis: genitivo di<br />
lapis, «pietra».<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
21
• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
22<br />
Inde latet silvis nulloque in monte videtur, 400<br />
omnibus auditur: sonus est, qui vivit in illa.<br />
400-01. Inde…illa: «Poi si nasconde nelle selve e non si vede<br />
su nessun monte, [ma] è udita da tutti. È il suono quel che vive<br />
in lei».<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
Omnibus: dativo di agente; nullo videtur…omnibus auditur: ancora<br />
in parallelismo per indicare la corrispondenza «non si vede,<br />
ma si ode»; sonus: Eco non è più una voce, ma un «suono».<br />
Analisi testuale T2 Metamorfosi III, 374-401: Eco e Narciso<br />
Il disperato amore di Eco per Narciso acquista nel testo ovidiano la forza di una<br />
metafora: «consumarsi» per qualcuno, chiudersi nella solitudine pietrificata, in cui<br />
resta comunque la «voce» come pensiero ossessivo che si fa parola del cuore.<br />
Eco è, infatti, solo voce e il poeta allunga sempre con accorta insistenza il fascio<br />
semantico della voce: dictis…sonos…verba remittat; voce…clamat…vocat vocantem…<br />
inquit…dicit…verba recepit; imagine vocis…rettulit; vox …vox…auditur<br />
sonus.<br />
I tre tempi in cui si svolge il racconto esprimono, appunto, questo progressivo<br />
scarnificarsi della persona, fino a restare, da voce mutilata che era, solo suono<br />
confuso. Analizziamoli:<br />
• il primo tempo è segnato dalla voce che affascina Narciso (vv. 374-87);<br />
• il secondo tempo costituisce la rivelazione con il rifiuto di Narciso (vv. 388-92);<br />
• il terzo tempo segna la fine dolorosa di Eco (vv. 383-402).<br />
Perciò abbiamo prima la focalizzazione su Narciso e sul suo stupore carico di<br />
attese, poi l’incontro pone insieme i due personaggi e le loro opposte reazioni;<br />
infine, resta solo Eco protagonista. Schematizzando si ha questo tipo di ordine:<br />
NARCISO soggetto dell’azione: è solo e ascolta<br />
ECO E NARCISO si incontrano<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
ECO soggetto dell’azione, fugge e diventa solo suono<br />
È soprattutto nella prima parte che si consuma il dramma di Eco, contrariamente<br />
a quanto sembra, perché non è la metamorfosi da persona a voce a costituire la<br />
pena di vivere, ma è quella parola mozza, quella frase meccanica senza autonomia<br />
di pensiero, tutta dipendente dalle sillabe altrui, parole senza senso, e al<br />
tempo stesso, piene del senso di cui il destino le carica, a determinare la qualità<br />
poetica del testo.<br />
Equivoco maggiore di quello che nasce dalle frasi pronunciate dai due personaggi<br />
non potrebbe esserci:<br />
«Chi c’è?» → «C’è»<br />
«Vieni» → «Vieni»<br />
«Perché mi fuggi?» → «Perché mi fuggi?»<br />
«Uniamoci qui!» → «Uniamoci!»<br />
Se percezione di sofferta impotenza ha mai provato una persona che ama, scoprendosi<br />
incapace di trovare le parole per comunicare con l’altro, nessun testo meglio<br />
Estratto della pubblicazione
• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
di questo esprime come una stessa frase possa acquisire significati diversi per<br />
ognuno dei due, scavando un abisso di distanza e di incomprensione dolorosa.<br />
La repulsione sdegnata di Narciso e la vergogna di Eco traducono in immagine questa<br />
distanza tra due creature che è sempre la parola a segnare. Voce scarnificata per<br />
l’eternità, eco delle rocce, il personaggio racchiude il significato di un linguaggio che<br />
non comunica e che pertanto si riduce a puro, inutile suono, legato ad altri suoni.<br />
Il tessuto fonico che accompagna la scoperta della verità, modula la gradazione<br />
dei sentimenti sul cambiamento dai suoni dolci del fonema s (fugis coeamus<br />
libentius) a quelli aspri dei fonemi d, t, r (spreta frondibus latet adducit).<br />
Eppure, come sempre in <strong>Ovidio</strong>, la metamorfosi scioglie e risolve la tensione del<br />
racconto in forme di levità elegante e raffinata. A conclusione, infatti, è il<br />
sintagma finale a dare la chiave di lettura: sonus est, qui vivit in illa. Il suono,<br />
dunque, vive in lei per cui, comunque, l’immagine che resta è quella di una vita<br />
che si è calata nella natura per l’eternità, protetta e racchiusa dalle sue forme<br />
(frondibus lapidis). Si noti, infine, come non si parli più di vox, ma di sonus con<br />
un connotato più alto, quasi a ignorare la mutilazione subita.<br />
pagine critiche<br />
Eco e Narciso: linguaggio adeguato e inadeguato<br />
Ernesto Grassi, evidenzia, in termini filosofici, il parallelismo che intercorre tra la tragedia di Eco e quella di Narciso<br />
per rilevare, poi, il sottile legame esistente tra metafora e metamorfosi.<br />
Il linguaggio della ninfa Eco appare<br />
[…] come qualcosa di inaudito, perché<br />
nella pura ripetizione non solo non<br />
dice e non può dire nulla di nuovo, ma<br />
anche perché non ha la possibilità di<br />
comunicare con un altro, dato che lei<br />
stessa, realizzando solo una ripetizione,<br />
non fa che ripetere ciò che un altro<br />
afferma, non può mai apparire come<br />
un altro che parla e quindi nemmeno<br />
testimoniarsi come un se stesso. Un<br />
tale linguaggio non può quindi mai<br />
essere interlocutorio, ma solo ripetitivo,<br />
escludendo così una dualità locutoria<br />
e confermando l’isolamento.<br />
Il testo di <strong>Ovidio</strong> conferma tale tesi,<br />
quando riporta le parole ammonitrici<br />
di Giunone a Eco: “E con l’effetto<br />
[Giunone] confermò le minacce: essa<br />
[Eco] soltanto raddoppia i suoni al<br />
termine dell’altrui parlare e ripete<br />
parole che ha udite” (III, 369). […]<br />
Narciso incontra invece Eco ed è oggetto<br />
della sua passione: «quando dunque essa<br />
vide Narciso che si aggirava per campi<br />
fuori mano e se ne accese d’amore, di<br />
nascosto ne seguì le orme» (III, 370).<br />
A questo punto incontriamo una doppia<br />
tragedia: la prima è quella della ninfa<br />
Eco, che non possiede il linguaggio della<br />
comunicazione, della propria passione,<br />
che solo rende possibile il colloquio con<br />
gli altri. La seconda tragedia – che<br />
<strong>Ovidio</strong> descriverà più avanti – è quella<br />
di Narciso: nel suo rifiuto di ogni passione<br />
persiste nel proprio isolamento, in<br />
un proprio furore. […] Il problema del<br />
rapporto di parola e passione non viene<br />
trattato da <strong>Ovidio</strong> astrattamente, ma<br />
concretamente nell’ambito delle passioni<br />
sofferte: della passione di Giove per le<br />
ninfe, di Giunone per il legittimo amante<br />
divino, di Eco e Narciso, e sempre<br />
sotto l’egida indicativa di una unificazione<br />
passionale da realizzare. In questo<br />
modo viviamo e patiamo a nostra<br />
volta con le due dramatis figurae la<br />
connessione di passione e parola.<br />
<strong>Ovidio</strong> riconnette proprio con questa<br />
problematica la tragedia della ninfa<br />
Eco e di Narciso. Durante la caccia<br />
quest’ultimo perde la vicinanza dei<br />
Estratto della pubblicazione<br />
propri compagni, rimane isolato e<br />
senza orientamento e in tale situazione<br />
gli sfugge nella selva il grido di<br />
disperazione di ogni sperduto: “C’è<br />
qualcuno?” (III, 380).<br />
In questo caso non si tratta di una<br />
domanda astratta, speculativa, di una<br />
ricerca ontologica circa l’Essere, di<br />
un problema gnoseologico, bensì della<br />
disperata e inaudita richiesta se<br />
esista qualcuno che ci assista nel<br />
nostro disorientamento, con una fonesi<br />
indicativa e corrispondente a un<br />
appello sofferto passionalmente.<br />
La domanda inaudita rinvia a un appello<br />
intimamente connesso a una<br />
corrispondenza, inficiata però dal<br />
dubbio che non esista una connessione<br />
necessaria tra appello e interlocutore,<br />
cioè dal pericolo che la disperata<br />
domanda si perda nel silenzio,<br />
nell’oscurità nella quale viviamo.<br />
Il grido di disperazione di Narciso è<br />
legittimato nel suo timore di non ricevere<br />
una risposta ma solo una ripetizione<br />
della propria domanda. Alla ripe-<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
23
• L’epos delle forme nelle Metamorfosi<br />
tizione Narciso risponde Eco con una<br />
frase affermativa e in questo caso equivoca:<br />
«“Qualcuno” Eco rispose» (III,<br />
380). Dunque ciò che qui risuona non è<br />
una voce significativa (psóphos semantikós).<br />
Eco non è una voce significativa<br />
in quanto ripete solo la domanda, che<br />
in tal modo rimane di fatto senza risposta,<br />
cioè inaudita, poiché nessuno<br />
le corrisponde, confermando così l’isolamento<br />
della ninfa Eco: ella non è un<br />
altro; l’altro al quale ci riferiamo non<br />
esiste e perciò non può darci voci indicative<br />
proprie e nuove. […]<br />
La tensione tra gli pseudo-interlocutori<br />
Eco e Narciso aumenta. La vuota risposta,<br />
la pura ripetizione di Eco, ha<br />
per conseguenza l’invito di Narciso rivolto<br />
all’interlocutore di avvicinarsi.<br />
«Rimase attonito [Narciso]; e dopo aver<br />
rivolto lo sguardo in ogni direzione,<br />
chiamò a gran voce: “Vieni!”; ed ella<br />
chiamò lui che chiamava» (III, 382).<br />
In funzione della risposta alla domanda<br />
di Narciso si realizza un colloquio<br />
illusorio e quindi una risposta che non<br />
è tale, un suono che non è una indicazione<br />
semantica: si assiste alla realizzazione<br />
di un colloquio che rimane vuoto,<br />
che non corrisponde, che svuota la<br />
funzione della parola interrogativa di<br />
Narciso, fraintesa dalla passione di Eco.<br />
L’assurdità della struttura contraddittoria<br />
di tale colloquio si manifesta<br />
anzitutto nel fatto che l’isolamento<br />
dell’interlocutore non viene superato:<br />
assurdo nel caso di Eco perché la sua<br />
espressione fonetica sorge dalla passione,<br />
che però non può comunicare;<br />
assurdo nel caso di Narciso perché il<br />
linguaggio a sua volta non scaturisce<br />
da una passione per la ninfa.<br />
Il ritmo dell’illusorio colloquio che inizia<br />
con la disperata domanda se c’è<br />
qualcuno che possa essere d’aiuto, alla<br />
quale corrisponde la voce puramente<br />
ripetitiva di Eco, «c’è», è il seguente:<br />
se di fatto c’è qualcuno è naturale la<br />
reazione di Narciso con l’invito – se-<br />
24<br />
<strong>Ovidio</strong>: Metamorfosi e trattatistica amorosa<br />
Estratto distribuito da Biblet<br />
condo passo del colloquio – ad avvicinarsi;<br />
ma siccome nessuno viene e<br />
Narciso attende invano, abbiamo la<br />
terza interlocuzione dell’assurdo colloquio<br />
con la domanda «perché mi sfuggi?»<br />
(III, 384). Tutto preso dalla potenza<br />
del colloquio fittizio e puramente<br />
ludico, Narciso fa seguire la quarta e<br />
finale richiesta: «Incontriamoci qui» (III,<br />
386), ma con un significato totalmente<br />
differente da «Incontriamoci», come<br />
intende Eco. <strong>Ovidio</strong>, per sottolineare il<br />
carattere di un colloquio che di fatto<br />
non è tale, ricorda che la ninfa Eco «a<br />
nessun richiamo mai avrebbe più gioiosamente<br />
risposto: “Incontriamoci”»<br />
(III, 387). E proprio a questo punto raggiungiamo<br />
il culmine della tragedia del<br />
colloquio vuoto. Tutta la tragicità del<br />
rapporto con la ninfa Eco si rivela nella<br />
risposta di Narciso: cioè diventa palese<br />
che le medesime parole hanno un significato<br />
radicalmente diverso per entrambi.<br />
Narciso fugge e grida: «“Togli<br />
le tue mani da questo abbraccio” dice;<br />
“morrò prima di congiungermi a te”.<br />
Null’altro ella risponde se non: “Congiungermi<br />
a te”» (III, 390).<br />
Viviamo nella passione per un altro, di<br />
fatto per salvarci nel colloquio. Da qui<br />
nasce la tragedia di una lingua insufficiente<br />
per interloquire, se solo ripete<br />
il già detto: l’orrore per la lingua ripetitiva<br />
che non può realizzare una interlocuzione,<br />
un colloquio, una storia. Il<br />
fatto che noi poniamo nella facoltà linguistica<br />
la nostra speranza nasce dalla<br />
persuasione di poter incontrare l’altro.<br />
[…] In questa esperienza patita<br />
bisogna riconoscere che il linguaggio<br />
deve gettare le sue radici nella passione,<br />
che solo questa problematica permette<br />
di uscire dall’isolamento.<br />
Le figure di Narciso ed Eco rinviano<br />
rispettivamente a due tragedie: la<br />
morte come illusione delle immagini e<br />
il linguaggio ripetitivo. Dobbiamo a<br />
questo punto riconoscere la difficoltà<br />
sottesa a questi eventi. In precedenza<br />
Estratto della pubblicazione<br />
l’immagine e il linguaggio apparivano<br />
quale via di liberazione dalla morsa<br />
del destino, ora essi stessi rivelano la<br />
loro insufficienza, anzi il loro ineludibile<br />
scacco, se non vengono radicati<br />
nella situazione che li genera. <strong>Ovidio</strong><br />
ha una coscienza profondissima di<br />
questa situazione e quindi giunge a<br />
conclusioni essenzialmente filosofiche<br />
e non meramente letterarie.<br />
Il dialogo tra Narciso ed Eco testimonia<br />
un equivoco: non esiste una connessione<br />
necessaria tra domanda e<br />
risposta proprio perché le parole significano<br />
diversamente in ogni situazione.<br />
[…] La parola, sottraendosi al<br />
compito di manifestare la realtà, si<br />
rifugia nell’intrattenimento, nel quotidiano<br />
e inautentico man – come<br />
direbbe Heidegger – e suscita soltanto<br />
un insuperabile equivoco che allontana<br />
gli uomini invece di avvicinarli.<br />
Non dimentichiamo che questa<br />
conclusione è raggiunta da <strong>Ovidio</strong> con<br />
piena consapevolezza.<br />
Il lamento di Narciso, “ciò che vedo e<br />
mi piace, non riesco tuttavia a raggiungere”,<br />
sottolinea la distanza che<br />
lo separa dall’oggetto del desiderio e<br />
che si rivela incolmabile. Dobbiamo<br />
allora chiederci in quale forma di linguaggio<br />
possiamo scoprire l’alterità<br />
altrimenti soggetta all’equivoco e all’irraggiungibilità.<br />
Solo la passione<br />
suscita l’esperienza dell’altro. Se si<br />
riduce la passione a pura esperienza<br />
soggettiva, come fa Narciso, si cade<br />
nella follia del soggettivismo.<br />
Narciso ed Eco vivono diverse passioni<br />
sebbene non originarie. Narciso esperimenta<br />
la passione dell’immagine non<br />
indicativa ed Eco quella del linguaggio<br />
non semantico e non pragmatico. Da<br />
qui deriva la loro tragedia. La coscienza<br />
è un contributo specificamente ovidiano<br />
e il progetto di un filosofare latino.<br />
(E. Grassi, Il dramma della metafora,<br />
Officina Tipografica, Roma, 1992)