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Quando la speleologia incontra l'archeologia - Parco Del Marguareis

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<strong>Quando</strong> <strong>la</strong> <strong>speleologia</strong> <strong>incontra</strong> l’archeologia


<strong>Quando</strong> <strong>la</strong> <strong>speleologia</strong> <strong>incontra</strong> l’archeologia<br />

Il progetto “<strong>Quando</strong> c’erano gli orsi …” è stato<br />

attivato dal<strong>la</strong> Soprintendenza per i Beni Archeologici<br />

del Piemonte e del Museo Antichità Egizie<br />

e dal Laboratorio Territoriale di Educazione Ambientale<br />

dell’Ente di gestione Parchi e Riserve<br />

Naturali Cuneesi di Chiusa di Pesio, con <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione<br />

del Laboratorio di Paleontologia umana del Dipartimento<br />

di anatomia, farmacologia e medicina legale dell’Università<br />

di Torino e di Gruppi speleologici piemontesi e liguri;<br />

esso ha preso avvio nel 2003 nell’ambito del “Programma<br />

di Interventi Ambientali 2002” finanziato dal<strong>la</strong> Provincia<br />

di Cuneo 1 .<br />

Il principale obiettivo scientifico del progetto, finalizzato a<br />

una più ampia conoscenza del<strong>la</strong> presenza storica dell’orso<br />

(Ursus spe<strong>la</strong>eus e Ursus arctos) nelle Alpi Marittime, è costituito<br />

dal<strong>la</strong> volontà di creare una banca-dati informatizzata<br />

di tutte le conoscenze disponibili sull’orso bruno (documentazione<br />

d’archivio, fonti iconografiche, recupero di<br />

reperti paleontologici, segna<strong>la</strong>zione di siti, dati geologici<br />

e geomorfologici dei contesti di provenienza, tipologia<br />

dei rinvenimenti, analisi anatomiche e tafonomiche, datazioni<br />

radiometriche, etc.), tale da rendere possibile <strong>la</strong><br />

comprensione delle dinamiche del popo<strong>la</strong>mento dell’orso<br />

nelle Alpi (con partico<strong>la</strong>re riferimento alle Alpi Marittime)<br />

e del suo rapporto millenario con l’uomo, dal<strong>la</strong> più lontana<br />

preistoria fino ad arrivare al<strong>la</strong> sua estinzione, avvenuta<br />

nel Cuneese alle soglie del XIX secolo.<br />

La prima fase del progetto (2003-2005) ha comportato<br />

il censimento dei siti e il recupero dei reperti di orso bruno<br />

provenienti dal territorio del<strong>la</strong> Provincia di Cuneo, <strong>la</strong><br />

raccolta dei toponimi e di elementi del folklore locale attinenti<br />

all’orso 2 , <strong>la</strong> pulitura, il consolidamento, lo studio<br />

anatomico completo e alcune datazioni radiometriche di<br />

resti scheletrici rinvenuti in grotte delle Alpi Liguri, come <strong>la</strong><br />

Grotticel<strong>la</strong> del Piccolo Ferà, l’Abisso Armaduk e l’Abisso El<br />

Topo (Briga Alta), il Pozzo degli Orsi e il Pozzo sul<strong>la</strong> Cresta<br />

fra Ciuaiera e Antoroto (Ormea), il Garb dell’Omo inferiore<br />

(Garessio) e il riparo di Aisone 3 .<br />

Nel<strong>la</strong> seconda fase (2006-2009), più specificamente dedi-<br />

Marica Venturino Gambari<br />

11<br />

cata al<strong>la</strong> valorizzazione e promozione dei dati acquisiti e<br />

all’allestimento, presso <strong>la</strong> sede dell’Ente di gestione Parchi<br />

e Riserve Naturali Cuneesi, del<strong>la</strong> sa<strong>la</strong> didattica dedicata<br />

all’orso bruno, con il rimontaggio di due individui di Ursus<br />

arctos, l’uno rinvenuto nell’Abisso El Topo (Ormea),<br />

l’altro nel Pozzo degli Orsi (Col<strong>la</strong> dei Termini - Alpe degli<br />

Stanti, Ormea) (Venturino Gambari 2001; 2009) (fig. 1),<br />

è stato effettuato un censimento bibliografico sul<strong>la</strong> presenza<br />

dell’orso bruno in contesti archeologici e iconografici<br />

italiani e del versante esterno delle Alpi 4 ; inoltre ai fini<br />

di una più ampia sensibilizzazione dell’opinione pubblica<br />

alle problematiche archeologico-paleontologiche, è stato<br />

organizzato un seminario, prevalentemente indirizzato al<br />

mondo del<strong>la</strong> <strong>speleologia</strong>, per illustrare i risultati del progetto<br />

e promuovere <strong>la</strong> conoscenza delle problematiche<br />

re<strong>la</strong>tive all’eventuale rinvenimento di resti paleontologici<br />

Fig. 1. Chiusa di Pesio. Ente di gestione Parchi e Riserve Naturali Cuneesi:<br />

rimontaggio di esemp<strong>la</strong>ri di orso bruno dall’Abisso El Topo (Ormea) e dal<br />

Pozzo degli Orsi (Col<strong>la</strong> dei Termini - Alpe degli Stanti, Ormea).


12 Marica Venturino Gambari<br />

e archeologici in occasione del<strong>la</strong> frequentazione di cavità<br />

carsiche, che tanto caratterizzano il nostro territorio.<br />

Il convegno “Speleologia e archeologia a confronto”<br />

(Chiusa di Pesio - Ormea, 9-10 giugno 2007), che si è<br />

concluso tragicamente con <strong>la</strong> prematura scomparsa di Livio<br />

Mano, conservatore del Museo Civico di Cuneo e insostituibile<br />

presenza nell’attività di ricerca e di valorizzazione<br />

del<strong>la</strong> preistoria e dell’archeologia del Cuneese, ha voluto<br />

rappresentare un primo momento di sintesi del progetto<br />

con l’illustrazione dei risultati delle ricerche e delle indagini<br />

svolte (Chiusa di Pesio, 9 giugno 2007) e con un’esercitazione<br />

pratica di tecniche di documentazione e rilievo<br />

in caso di rinvenimenti di emergenza all’interno di cavità<br />

carsiche (Ormea, 10 giugno 2007) 5 .<br />

“Speleologia e archeologia a<br />

confronto”. le ragioni Di un convegno<br />

Il rinvenimento e talvolta il conseguente recupero di resti<br />

di orso bruno e di orso speleo, ritrovati fortuitamente<br />

nel corso di attività speleologiche (fig. 2), costituiscono<br />

un problema di tute<strong>la</strong> del patrimonio paleontologico piemontese<br />

perché <strong>la</strong> mancata segna<strong>la</strong>zione, il recupero di<br />

ossi senza metodologie scientifiche e <strong>la</strong> loro dispersione<br />

per incuria o malsano collezionismo difficilmente sono<br />

percepiti dagli speleologi come una vio<strong>la</strong>zione del<strong>la</strong> normativa<br />

vigente in materia di beni culturali (Decr. Legisl.<br />

42/2004) 6 , normativa che con gli articoli del Capo VI (Ritrovamenti<br />

e scoperte) - Sezione I (Ricerche e rinvenimenti<br />

fortuiti nell’ambito del territorio nazionale) rego<strong>la</strong> <strong>la</strong> disciplina<br />

dei rinvenimenti - occasionali e fortuiti - di beni<br />

culturali [quali appunto i reperti paleontologici, inseriti tra<br />

i beni culturali ai sensi dell’art. 10, comma 4, lettera a):<br />

le cose che interessano <strong>la</strong> paleontologia, <strong>la</strong> preistoria e le<br />

primitive civiltà].<br />

La legge riconosce un’esclusiva competenza nell’attività di<br />

ricerca archeologica su tutto il territorio nazionale (art. 88,<br />

comma 1) unicamente al Ministero per i beni e le attività<br />

culturali, che può autorizzare altri soggetti tito<strong>la</strong>ti a svolgere<br />

scavi e ricerche previa concessione (art. 89, comma<br />

1-2); al cittadino è fatto obbligo di dare immediata segna<strong>la</strong>zione<br />

alle autorità preposte di ritrovamenti fortuiti di<br />

Fig. 2. Grotta Chauvet (Pont d’Arc). Ammasso di crani e ossi di orso non<br />

concrezionati (da Clottes 2005, fig. 47).<br />

beni culturali (art. 90, comma 1), effettuandone <strong>la</strong> rimozione<br />

solo per garantire <strong>la</strong> loro sicurezza e conservazione.<br />

L’emersione, in occasione del progetto, di tanti rinvenimenti<br />

di resti di orso, effettuati in un passato anche recente<br />

e rimasti privi di segna<strong>la</strong>zione al momento del<strong>la</strong> scoperta,<br />

ha stimo<strong>la</strong>to <strong>la</strong> Soprintendenza per i Beni Archeologici<br />

del Piemonte e del Museo Antichità Egizie e l’Ente di gestione<br />

Parchi e Riserve Naturali Cuneesi di Chiusa di Pesio<br />

a cercare un’occasione di informazione e di confronto su<br />

questa problematica, con <strong>la</strong> speranza di contribuire a evitare<br />

il danneggiamento o <strong>la</strong> totale distruzione di contesti<br />

paleontologico/archeologici e <strong>la</strong> dispersione dei reperti.<br />

Il titolo di questa mia breve re<strong>la</strong>zione ne evidenzia <strong>la</strong> finalità<br />

principale, quel<strong>la</strong> di portare a conoscenza, senza<br />

ambizioni di esaustività ma solo a titolo di esempio, una<br />

serie di casi rappresentativi per dimostrare quali possono<br />

essere le evenienze, le possibilità, le circostanze in cui <strong>la</strong><br />

tecnica speleologica e <strong>la</strong> ricerca archeologica e paleontologica<br />

possono <strong>incontra</strong>rsi e hanno trovato forme corrette<br />

di col<strong>la</strong>borazione per rispettare, conservare e tute<strong>la</strong>re in<br />

modo adeguato le testimonianze del nostro più lontano<br />

passato (fig. 3); a questo si aggiunge l’intento di dimostrare<br />

quale eccezionale potenziale di interesse archeologico<br />

e paleontologico siano i depositi delle grotte. Quello tra<br />

<strong>speleologia</strong> e archeologia non è certo un incontro obbligatorio,<br />

ma è un incontro che frequentemente si è verificato<br />

e si potrà ancora verificare in futuro anche nel nostro<br />

territorio; molte scoperte, anche importanti e talvolta straordinarie,<br />

sono avvenute proprio ad opera di speleologi o<br />

di appassionati escursionisti, senza <strong>la</strong> cui col<strong>la</strong>borazione<br />

non sarebbero divenute patrimonio comune di conoscenza,<br />

valorizzazione e fruizione.<br />

Esiste una diffidenza reciproca tra speleologi e archeologi/paleontologi.<br />

C’è diffidenza da parte degli speleologi<br />

nei confronti degli enti di tute<strong>la</strong> perché le Soprintendenze<br />

sono percepite come un impedimento a esercitare liberamente<br />

le attività in grotta, condizionandone l’accesso e<br />

determinando problemi quando, in mancanza di segna<strong>la</strong>zione<br />

dei rinvenimenti, ci si trova a dover fornire giustificazioni.<br />

C’è diffidenza anche da parte del<strong>la</strong> Soprintendenza,<br />

che vede con una certa preoccupazione attività in grotte<br />

di cui si presume un potenziale interesse culturale, perché<br />

è successo spesso in passato che proprio <strong>la</strong> mancanza di<br />

Fig. 3. Grotta Cosquer (Cap Morgiou). Raffigurazioni di cavalli: l’innalzamento<br />

del livello del mare ha causato l’al<strong>la</strong>gamento di gran parte del<strong>la</strong> grotta<br />

(da Vanrell 2010, fig. 1).


Fig. 4. Grotta Cosquer (Cap Morgiou). Jean Courtin al <strong>la</strong>voro, con metà corpo<br />

immerso nell’acqua, davanti al<strong>la</strong> parete con raffigurazioni di cavalli (da<br />

Clottes - Courtin 1994, fig. 9).<br />

consapevolezza abbia determinato, quando le cose andavano<br />

bene, un ritardo nel<strong>la</strong> segna<strong>la</strong>zione, quando le cose<br />

andavano male, addirittura <strong>la</strong> perdita di documentazione<br />

e di reperti di interesse archeologico/paleontologico, privandoci<br />

di preziosi tasselli di conoscenza che ormai sono<br />

andati irrimediabilmente perduti e non sono più recuperabili.<br />

Ho accettato quindi con interesse ed entusiasmo l’invito<br />

che mi è venuto dall’Ente di gestione Parchi e Riserve<br />

Naturali Cuneesi di Chiusa di Pesio di organizzare insieme<br />

questo seminario per far <strong>incontra</strong>re il mondo del<strong>la</strong><br />

<strong>speleologia</strong> con quello dell’archeologia e del<strong>la</strong> paleontologia,<br />

con <strong>la</strong> convinzione che, se anche l’avvio è stato un po’<br />

difficoltoso, nel tempo questo dialogo si possa proseguire<br />

meglio nell’interesse comune, incrementando le nostre<br />

conoscenze, conoscendo le norme all’interno delle quali<br />

ci possiamo muovere, trovando un ruolo attivo per quegli<br />

speleologi che scelgono di essere a fianco degli Enti di tute<strong>la</strong><br />

per conservare le testimonianze del rapporto millenario<br />

tra l’uomo e l’orso e farlo conoscere in modo sempre<br />

più approfondito.<br />

L’ambiente sotterraneo è una realtà complessa, dove possono<br />

interagire fenomeni anche molto diversi; in genere<br />

le grotte visitate dagli speleologi conservano contesti<br />

morfologici, climatici e faunistici di partico<strong>la</strong>re rilevanza,<br />

legati alle dinamiche interne degli ambienti ipogei. Alcune<br />

volte queste grotte conservano un’importante documentazione<br />

anche sul piano culturale, legata al rapporto tra<br />

animali e grotte (tane, inghiottitoi che hanno funzionato<br />

da occasionali trappole in cui gli animali sono caduti, endemismi,<br />

etc.) e tra uomo e grotte (caccia, riparo e abitazione,<br />

stabu<strong>la</strong>zione di animali, attività funerarie e cultuali,<br />

etc.) (fig. 4). Essendo ambienti conservativi, rispetto ai siti<br />

all’aperto, le grotte permettono in genere <strong>la</strong> conservazione<br />

di una documentazione di alto livello perché completa,<br />

non intaccata da altre attività, e quindi il nostro senso di<br />

<strong>Quando</strong> <strong>la</strong> <strong>speleologia</strong> <strong>incontra</strong> l’archeologia<br />

responsabilità deve essere ancora maggiore perché sappiamo<br />

di poter avere tra le mani testimonianze importanti<br />

per <strong>la</strong> paleontologia, <strong>la</strong> preistoria e l’archeologia, con le<br />

quali forse noi siamo i primi a venire in contatto.<br />

La necessità di muoversi con rispetto, correttezza e professionalità<br />

in questi ambienti è per altro, come abbiamo<br />

visto, imposta dalle leggi dello Stato, che tutti siamo tenuti<br />

a rispettare. Per evitare quindi di incorrere in infrazioni<br />

del<strong>la</strong> legge e di arrecare danni, talvolta anche irreparabili,<br />

ai contesti paleontologici e archeologici il confronto è un<br />

passaggio obbligato per acquisire <strong>la</strong> consapevolezza di<br />

come archeologia e paleontologia siano scienze a tutti gli<br />

effetti, con una complessità di metodologie di indagine<br />

e di documentazione e con regole di comportamento di<br />

cui tutti devono essere consapevoli e di cui si deve tenere<br />

conto, nel momento in cui si ha a che fare con un contesto<br />

archeologico o paleontologico 7 .<br />

In ultimo va ancora ricordato che comportamenti non<br />

corretti portano come conseguenza grave e inevitabile <strong>la</strong><br />

perdita di informazioni e di dati e quindi l’impossibilità di<br />

ricostruire compiutamente <strong>la</strong> realtà di cui i resti sono <strong>la</strong><br />

testimonianza materiale. Questo spiega perché il seminario<br />

si è artico<strong>la</strong>to in due momenti: l’uno di riflessione e di<br />

confronto, l’altro costituito da un’esperienza pratica sulle<br />

problematiche fondamentali di cui bisogna tenere conto<br />

quando ci si <strong>incontra</strong> con resti paleontologici o di carattere<br />

archeologico.<br />

l’uoMo e le grotte:<br />

una Storia Millenaria<br />

La storia tra animali e grotte, tra le grotte e l’uomo è una<br />

storia plurimillenaria; nel<strong>la</strong> mia rassegna presenterò alcuni<br />

casi di rinvenimenti archeologici e paleontologici databili<br />

a partire dal Paleolitico fino ad arrivare alle soglie del<strong>la</strong><br />

romanità, illustrando a livello emblematico alcuni esempi<br />

che mi sono sembrati partico<strong>la</strong>rmente interessanti e significativi.<br />

<strong>la</strong> grotta Di <strong>la</strong>Malunga<br />

Il rinvenimento di contrada Lamalunga (Altamura, BA) è<br />

avvenuto nell’ottobre 1993 durante l’attività di ricerca e di<br />

esplorazione di un complesso di grotte carsiche da parte<br />

degli speleologi del Centro Altamurano Ricerche Speleologiche<br />

e del CAI di Vespertilio (BA), nel corso del<strong>la</strong> quale<br />

sono stati rinvenuti resti umani fossilizzati e molto concrezionati<br />

dal<strong>la</strong> calcite. Si accede al sito attraverso un inghiottitoio<br />

profondo 10 m, superato il quale, dopo un percorso<br />

di circa 60 m, ci si imbatte in uno straordinario reperto archeologico,<br />

lo scheletro fossile di un uomo vissuto nel Paleolitico<br />

medio (100.000-40.000 anni fa). I resti umani si<br />

trovano al<strong>la</strong> fine di un’angusta galleria, nell’angolo di una<br />

picco<strong>la</strong> cavità situata tra il pavimento e <strong>la</strong> parete di fondo<br />

e costituita da una potente cortina sta<strong>la</strong>ttitica (fig. 5).<br />

Lo studio antropologico ha determinato che i resti sono<br />

da riferire allo scheletro di un maschio adulto, una forma<br />

arcaica di Homo Sapiens Neanderthalensis, indicato come<br />

l’Uomo di Altamura (L’uomo di Altamura 1996) (fig. 6);<br />

l’analisi del Dna, eseguita recentemente su una porzione<br />

di scapo<strong>la</strong> prelevata in condizioni di sterilità nel suo gia-<br />

13


14 Marica Venturino Gambari<br />

Fig. 5. Grotta di Lamalunga (Altamura). Formazioni sta<strong>la</strong>ttitiche nei pressi<br />

dell’Abside dell’Uomo (da L’uomo di Altamura 1996, fig. 25).<br />

Fig. 6. Grotta di Lamalunga (Altamura). Veduta ravvicinata del cranio e di<br />

alcune ossa lunghe ricoperte da rivestimenti e concrezioni coralliformi di calcite<br />

(da L’uomo di Altamura 1996, p. 61, fig. 31).<br />

ciglio a 10 m di profondità, ha dimostrato che è vissuto<br />

tra 60.000 e 40.000 anni fa, aveva i capelli rossi, <strong>la</strong> carnagione<br />

chiara e un´altezza intorno al metro e sessanta, corporatura<br />

robusta 8 ; le sue caratteristiche antropologiche lo<br />

collocano nel campo di variabilità genetica dei neandertaliani<br />

dell’Europa meridionale, con affinità con reperti coevi<br />

rinvenuti in Spagna e in Croazia.<br />

La scoperta è avvenuta nel<strong>la</strong> grotta del Pulo di Lamalunga<br />

Murge (circa 450 m s.l.m.), che prende il suo nome da una<br />

<strong>la</strong>ma (valle allungata), delimitata da numerose collinette<br />

dall’aspetto tipico del<strong>la</strong> murgia di Altamura; sul versante<br />

rivolto a valle si apre l’accesso che conduce all’interno<br />

del<strong>la</strong> grotta, a circa 8 m di profondità. Tutte le grotte di<br />

questo tipo manifestano, attraverso aperture (inghiottitoi)<br />

in superficie che possono rimanere pervie o obliterarsi in<br />

alternanza di periodi più o meno lunghi, <strong>la</strong> capacità di<br />

raccogliere al loro interno materiali che vengono trasportati<br />

dallo scorrimento superficiale delle acque meteoriche.<br />

Così si spiega <strong>la</strong> presenza all’interno del<strong>la</strong> grotta di numerosi<br />

resti (taluni molto voluminosi) di fauna, anch’essa<br />

molto antica.<br />

Nell’antico canalone di Lamalunga l’Uomo di Altamura,<br />

forse un cacciatore, fu travolto dalle acque e fu scaraventato<br />

nel<strong>la</strong> sa<strong>la</strong> principale del<strong>la</strong> grotta attraverso un pozzo<br />

che intercettava una galleria di scorrimento, a circa 30 m<br />

dal<strong>la</strong> superficie. Una successiva piena lo trasportò in un<br />

ramo secondario di assorbimento, dove rimase incastrato<br />

tra le sta<strong>la</strong>ttiti; l’acqua lo sommerse e con <strong>la</strong> calcite ricamò<br />

sul suo scheletro merletti di concrezioni a “cavolfiore”.<br />

Attraverso gli altri pozzi e sospinte dai flussi stagionali,<br />

numerose carcasse di animali (daino, cervo, bos primigenius,<br />

cavallo, iena e volpe) raggiunsero <strong>la</strong> grotta; l’acqua<br />

le depositò con il limo, l’argil<strong>la</strong> rossa e <strong>la</strong> sabbia negli anfratti<br />

più nascosti.<br />

L’ominide è integro nel<strong>la</strong> struttura scheletrica e in ottimo<br />

stato di conservazione; esso ha una partico<strong>la</strong>rità che lo<br />

rende unico in Italia e in Europa: è intatto, anche se disartico<strong>la</strong>to,<br />

perché ha conservato tutte le ossa, mentre tutti<br />

gli altri reperti italiani ed europei sono documentati solo<br />

da ossa iso<strong>la</strong>te o da frammenti di scheletro.<br />

le grotte Di toirano<br />

Molte altre cavità, note da tempo, presentano spettaco<strong>la</strong>ri<br />

fenomeni di concrezione naturale, come le sta<strong>la</strong>ttiti o<br />

le sta<strong>la</strong>gmiti, e tracce di frequentazione antropica, come<br />

Fig. 7. Cacciatori neandertaliani di orsi nel<strong>la</strong> Grotta del<strong>la</strong> Bàsura; illustrazione<br />

utilizzata per i manifesti turistici e per <strong>la</strong> copertina del<strong>la</strong> guida turistica<br />

degli anni Cinquanta del XX secolo (da Toirano e <strong>la</strong> grotta del<strong>la</strong> Basura 2008,<br />

p. 22, fig. 2).


Fig. 8. Grotta del<strong>la</strong> Basura (Toirano). Impronta di piede umano nel <strong>la</strong>to sinistro<br />

del “Corridoio delle impronte” (da La grotta preistorica del<strong>la</strong> Basura<br />

1985, p. 365).<br />

per esempio le grotte di Toirano (Finale Ligure, SV), un<br />

complesso di caverne di origine carsica che sono state<br />

frequentate dall’uomo per un lungo arco di tempo, dal<br />

Paleolitico medio (100.000-40.000 anni fa) fino all’età<br />

romana. La loro importanza sul piano naturalistico e<br />

culturale è nota dal<strong>la</strong> fine del XIX secolo, quando per <strong>la</strong><br />

prima volta furono esplorate da Arturo Issel (1842-1922)<br />

e Nicolò Morelli (1855-1920) (per un breve profilo biografico,<br />

cfr. Colligite fragmenta 2009, pp. 364-365; 366-369)<br />

che effettuarono anche scavi archeologici e recuperarono<br />

i reperti che documentano il lungo arco di frequentazione<br />

antropica di questo complesso di grotte.<br />

La parte più spettaco<strong>la</strong>re e famosa del complesso, nota anche<br />

a livello internazionale, è <strong>la</strong> grotta del<strong>la</strong> Bàsura (o del<strong>la</strong><br />

Strega) che fu scoperta solo nel maggio 1950 “per l’iniziativa<br />

e l’opera di Toiranesi appassionati di grotte” come<br />

ricorda <strong>la</strong> targa apposta dall’Amministrazione comunale<br />

di Finale Ligure all’entrata per ricordare <strong>la</strong> loro impresa;<br />

solo in parte esplorata, offre abbondanti e spettaco<strong>la</strong>ri<br />

manifestazioni naturali come sta<strong>la</strong>ttiti, sta<strong>la</strong>gmiti e piccoli<br />

<strong>la</strong>ghi (La grotta preistorica del<strong>la</strong> Basura 1985; Toirano e<br />

<strong>la</strong> grotta del<strong>la</strong> Basura 2008). La sua importanza è però<br />

legata anche al rinvenimento di ossa e di impronte di orso<br />

delle caverne (Ursus spe<strong>la</strong>eus), che si datano al Paleolitico<br />

medio (80.000-40.000 anni fa), e per le significative testimonianze<br />

del passaggio e del<strong>la</strong> presenza dell’uomo preistorico,<br />

come documentano numerosi carboni di legna,<br />

resti di torce e di ocra, impronte di mani e di piedi nel<strong>la</strong><br />

cd. “Sa<strong>la</strong> dei Misteri“, nel<strong>la</strong> parte terminale del<strong>la</strong> grotta,<br />

datate con il metodo dell’Uranio-Torio a circa 14.300<br />

anni fa (Paleolitico superiore) (fig. 7). L’ipotesi interpretativa<br />

più accreditata è che si tratti di manifestazioni legate<br />

al<strong>la</strong> religione dell’uomo del Paleolitico in re<strong>la</strong>zione a riti di<br />

iniziazione; molte di queste impronte sono di dimensioni<br />

ridotte (figg. 8-9) e si è pensato che potrebbero essere<br />

impronte di bambini che venivano portati nel<strong>la</strong> grotta per<br />

forme di iniziazione. Sul<strong>la</strong> parete di fondo si notano pallottole<br />

di argil<strong>la</strong> scagliate probabilmente contro gli autori<br />

delle impronte, a scopo iniziatico per i giovani cacciatori.<br />

<strong>la</strong> grotta chauvet<br />

La grotta Chauvet, una delle più importanti caverne istoriate<br />

d’Europa, si trova nel<strong>la</strong> Francia meridionale, presso<br />

<strong>Quando</strong> <strong>la</strong> <strong>speleologia</strong> <strong>incontra</strong> l’archeologia<br />

Fig. 9. Grotta del<strong>la</strong> Basura (Toirano). Grotta del<strong>la</strong> Bàsura, impronta di piede<br />

umano (da Toirano e <strong>la</strong> grotta del<strong>la</strong> Basura 2008, p. 21, fig. 1).<br />

Pont d’Arc, nell’Ardèche (Rhône-Alpes). La sua scoperta<br />

casuale risale al dicembre 1994 per merito dello speleologo<br />

dilettante Jean-Marie Chauvet e di alcuni suoi amici. È<br />

famosa nel mondo per le numerose pitture parietali risalenti<br />

all’uomo di Cro-Magnon (Paleolitico superiore, circa<br />

30.000 anni fa) (La grotte Chauvet 2001; Clottes 2005).<br />

La grotta si snoda per oltre 500 m all’interno del<strong>la</strong> montagna<br />

(fig. 10) e fu scavata nei millenni dal fiume Ardèche,<br />

che adesso scorre più in basso rispetto all’apertura del<strong>la</strong><br />

grotta; è lunga 234 m, <strong>la</strong>rga al massimo 58 m e si artico<strong>la</strong><br />

in vaste sale, diverticoli e gallerie con pareti, soffitto e<br />

pavimento ricoperti da incrostazioni calcaree e ricche con-<br />

Fig. 10. Grotta Chauvet (Pont d’Arc). P<strong>la</strong>nimetria con indicazione dei tracciati<br />

di impronte e dei resti faunistici (da Clottes 2005, fig. 26).<br />

15


16 Marica Venturino Gambari<br />

Fig. 11. Grotta Chauvet (Pont d’Arc). Panoramica (da Clottes 2005, fig. 72).<br />

figurazioni di sta<strong>la</strong>ttiti e sta<strong>la</strong>gmiti (fig. 11).<br />

La caverna è stata frequentata nel Paleolitico dagli animali<br />

e dagli uomini. Sono state ritrovate impronte soprattutto<br />

di orso, ma anche di un grande canide e di uno stambecco,<br />

inoltre numerose graffiature 9 sulle pareti e tane d’orso,<br />

ossa di orso e di stambecco.<br />

Il passaggio degli uomini è testimoniato, oltre che dall’arte<br />

parietale, da una ventina di impronte di piede di un<br />

ragazzo o adolescente, alto circa 1,30 m, da foco<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong><br />

“sa<strong>la</strong> del Cero” e nel<strong>la</strong> parte terminale del<strong>la</strong> “galleria dei<br />

Megaceri”, da pochi strumenti di selce e da una punta in<br />

avorio di mammuth rinvenuti sul<strong>la</strong> superficie del suolo, da<br />

smocco<strong>la</strong>ture di torce contro le pareti e da carboni sparsi.<br />

La grotta presenta pitture e incisioni rupestri di diversi ani-<br />

Fig. 12. Grotta Chauvet (Pont d’Arc). Raffigurazione di orso (da Clottes 2005,<br />

fig. 194).<br />

mali (bisonti, mammut, gufi, rinoceronti, leoni, orsi, cervi,<br />

cavalli, iene, renne ed enormi felini di colore scuro) 10 (fig.<br />

12); soli o ritratti in branco, nei colori resi disponibili dagli<br />

elementi naturali allora disponibili, le figure di animali assommano<br />

a oltre 500 e sono state realizzate con un alto<br />

livello di maestria. Tutto questo complesso di evidenze<br />

fa pensare che questo luogo fosse un importante centro<br />

di culto dell’epoca collegato a rituali che facevano parte<br />

del<strong>la</strong> sfera spirituale delle popo<strong>la</strong>zioni paleolitiche, sicuramente<br />

collegati anche ai riti del<strong>la</strong> caccia.<br />

<strong>la</strong> grotta coSQuer<br />

Un’altra cavità che è stata identificata in occasione di ricerche<br />

di <strong>speleologia</strong> è <strong>la</strong> grotta Cosquer a Cap Morgiou<br />

nei pressi di Marsiglia (Provence-Alpes-Côte d’Azur, Francia);<br />

deve il suo nome a Henri Cosquer, un sommozzatore<br />

professionista che <strong>la</strong> scoprì nel 1985 percorrendo un buio<br />

tunnel sottomarino lungo 175 m che si apriva in un’ampia<br />

sa<strong>la</strong> (circa 50 m di diametro), solo parzialmente al<strong>la</strong>gata,<br />

con numerose sta<strong>la</strong>ttiti (fig. 13). L’ingresso è collocato a<br />

circa 37 m di profondità rispetto al livello attuale del mare,<br />

mentre nel Paleolitico superiore (40.000-10.000 anni fa)<br />

si apriva in ambiente aereo. La grotta è inserita all’interno<br />

di un contesto ambientale di grande suggestione, sia<br />

dal punto di vista dell’aspetto naturale del<strong>la</strong> costa, ancora<br />

incontaminato, sia per le caratteristiche dell’interno che,<br />

forse proprio grazie al<strong>la</strong> difficoltà di accesso, si è conservato<br />

intatto (Clottes - Courtin 1994; Vanrell 2010).<br />

La grotta Cosquer documenta un repertorio di raffigurazioni,<br />

databili al Paleolitico superiore (Aurignaziano, cir


Fig. 13. Grotta Cosquer (Cap Morgiou). Veduta generale; <strong>la</strong> galleria di accesso<br />

sottomarina è situata sul<strong>la</strong> sinistra (da Clottes - Courtin 1994, fig. 6).<br />

Fig. 14. Grotta Cosquer (Cap Morgiou). Raffigurazioni di pinguini (da Clottes<br />

- Courtin 1994, fig. 114).<br />

ca 18.500 anni fa), di animali terrestri e marini di grande<br />

varietà; sulle pareti umide del<strong>la</strong> grotta sono raffigurati a<br />

pittura e a incisione cavalli, bisonti e uri, stambecchi e camosci,<br />

diversi cervidi, un felino e altri animali non identificabili<br />

per un totale di 142 figure. Un aspetto assolutamente<br />

straordinario e di grande interesse per <strong>la</strong> storia<br />

dell’arte paleolitica sono le raffigurazioni di animali marini<br />

(pinguini, foche, pesci e segni forse interpretabili come<br />

polipi o meduse), che in genere sono riprodotti molto<br />

raramente nelle grotte preistoriche; nel<strong>la</strong> grotta Cosquer<br />

costituiscono una parte non trascurabile delle raffigurazioni,<br />

raggiungendo circa l’11% del totale. Per quanto<br />

riguarda il pinguino (Alca impennis) (fig. 14), <strong>la</strong> cui presenza<br />

è segna<strong>la</strong>ta in diversi siti mediterranei del Paleolitico<br />

superiore (Gibilterra, golfo di Genova, Italia meridionale),<br />

si tratta del<strong>la</strong> sua prima rappresentazione nell’arte paleolitica;<br />

era probabilmente un pinguino di grandi dimensioni,<br />

che ancora XIX secolo popo<strong>la</strong>va i mari dell’Oceano At<strong>la</strong>ntico<br />

settentrionale e che si è estinto nel 1844 a causa di<br />

una caccia incontrol<strong>la</strong>ta per ottenerne il grasso e per l’uso<br />

commestibile da parte di marinai e pescatori. Testimonianza<br />

del<strong>la</strong> frequentazione del<strong>la</strong> cavità da parte dell’uomo<br />

del Paleolitico superiore sono anche le 55 impronte<br />

di mani (fig. 15); sono situate nel<strong>la</strong> parte orientale del<strong>la</strong><br />

grotta, sembrano identificarne un percorso verso il fondo<br />

e si datano a circa 27.000 anni fa. L’apparente mancanza<br />

<strong>Quando</strong> <strong>la</strong> <strong>speleologia</strong> <strong>incontra</strong> l’archeologia<br />

Fig. 15. Grotta Cosquer (Cap Morgiou). Mani in negativo dipinte su fondo<br />

nero su una parete sta<strong>la</strong>gmitica all’estremità nord-est del<strong>la</strong> grotta (da Clottes<br />

- Courtin 1994, fig. 31).<br />

delle fa<strong>la</strong>ngi ha suscitato numerosi interrogativi: testimonianza<br />

di muti<strong>la</strong>zioni, di sacrifici rituali, di ma<strong>la</strong>ttie circo<strong>la</strong>torie<br />

o di dita ge<strong>la</strong>te? L’ipotesi più probabile è che le mani<br />

siano state disegnate con le dita ripiegate per esprimere<br />

un linguaggio codificato, probabilmente legato al<strong>la</strong> caccia<br />

e ai suoi riti, forma di espressione silenziosa ancora oggi<br />

utilizzata dai Boscimani e dagli Aborigeni dell’Australia.<br />

<strong>la</strong> caverna <strong>Del</strong>le arene canDiDe<br />

Le Arene Candide (Finale Ligure, SV) erano una duna di<br />

bianca sabbia quarzosa, addossata al versante occidentale<br />

del promontorio del<strong>la</strong> Caprazzoppa dai forti venti dell’ultima<br />

g<strong>la</strong>ciazione; ancora riprodotta in alcune fotografie dei<br />

primi anni Venti del Novecento, <strong>la</strong> duna è stata nel tempo<br />

completamente rimossa dall’esercizio di attività industriali<br />

(abrasivi, cava di calcare). L’ampia caverna si apriva a circa<br />

90 m s.l.m. presso uno dei vertici del<strong>la</strong> duna ed è entrata<br />

nel<strong>la</strong> letteratura archeologica come “Caverna delle Arene<br />

Candide” dopo gli scavi condotti tra il 1864 e il 1876 da<br />

Arturo Issel, fondatore dell’Istituto di Geologia dell’Università<br />

di Genova, per provvedere reperti al nascente Museo<br />

Nazionale Etnografico e Preistorico (ora Museo Nazionale<br />

Preistorico Etnografico Luigi Pigorini) di Roma (Colligite<br />

fragmenta 2009, pp. 201-210). La sua celebrità interna-<br />

17


18 Marica Venturino Gambari<br />

Fig. 16. Caverna delle Arene Candide (Finale Ligure). La parete nord-est del<strong>la</strong><br />

trincea al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> prima campagna di scavo (da Bernabò Brea 1946,<br />

fig. 4).<br />

Fig. 17. Caverna delle Arene Candide (Finale Ligure). Scavi 1948-1950; In<br />

sezione <strong>la</strong> stratigrafia neolitica, caratterizzata dallo scandirsi di livelli chiari<br />

(cenere) e scuri (letame più o meno bruciato e/o foco<strong>la</strong>ri (da Dalle Arene<br />

Candide a Lipari 2004, fig. 5).<br />

zionale deriva dagli scavi che Luigi Bernabò Brea e Luigi<br />

Cardini condussero negli anni 1940-1942 e 1948-1950<br />

nel<strong>la</strong> porzione sud-orientale del<strong>la</strong> caverna, mettendo in<br />

luce quel<strong>la</strong> che ancora oggi è <strong>la</strong> più completa e artico<strong>la</strong>ta<br />

stratigrafia archeologica del bacino del Mediterraneo (dal<br />

Paleolitico superiore fino all’epoca bizantina, da 26.000<br />

a.C. al VII secolo d.C.), in un contesto ambientale molto<br />

favorevole al<strong>la</strong> conservazione dei reperti, anche di origine<br />

organica (Bernabò Brea 1946; 1956; Arene Candide 1997;<br />

Il Neolitico nel<strong>la</strong> Caverna delle Arene Candide 1999).<br />

È evidente l’importanza di questo eccezionale palinsesto<br />

(figg. 16-17) che, conservatosi nel tempo e indagato con<br />

metodologie scientifiche, ha permesso di registrare e di<br />

comprendere, nel lungo arco di tempo di frequentazione<br />

del<strong>la</strong> grotta, i cambiamenti nell’utilizzo del<strong>la</strong> caverna (insediamento,<br />

sepolture, stabu<strong>la</strong>zione di animali, frequentazione<br />

occasionale, etc.) e il succedersi delle diverse fasi<br />

culturali di popo<strong>la</strong>mento del<strong>la</strong> costa ligure, dal<strong>la</strong> preistoria<br />

all’alto medioevo, documentando anche le variazioni climatiche<br />

che si sono succedute nel tempo.<br />

Fig. 18. Caverna delle Arene Candide (Finale Ligure). Sepoltura cd. del<br />

“giovane principe” (da http://web.unife.it/progetti/isernia-<strong>la</strong>-pineta/mostra/<br />

SEP_INF.htm).<br />

Nel corso degli scavi sono state rinvenute diciannove sepolture<br />

che costituiscono uno dei più consistenti complessi<br />

funerari paleolitici del mondo; tra le sepolture si segna<strong>la</strong><br />

in partico<strong>la</strong>re per <strong>la</strong> ricchezza del corredo funebre <strong>la</strong><br />

tomba di un adolescente, cd. del “giovane principe” (fig.<br />

18), un quindicenne rinvenuto adagiato su uno strato di<br />

ocra rossa, rivolto a sud, con un copricapo di nasse dorate,<br />

monili di conchiglie, ossa, corna di cervo <strong>la</strong>vorate e una<br />

lunga <strong>la</strong>ma di selce in mano. Una ferita mortale al mento<br />

era stata ricomposta con ocra gial<strong>la</strong> prima del<strong>la</strong> sepoltura.<br />

<strong>la</strong> tanaccia Di BriSighel<strong>la</strong><br />

La frequentazione delle grotte per finalità funerarie o per<br />

scopi cultuali continua anche nel Neolitico (VI - metà IV<br />

millennio a.C.) e nell’età dei Metalli (metà IV - I millennio<br />

a.C.) e numerose sono le attestazioni in tutta <strong>la</strong> Peniso<strong>la</strong>.<br />

È questo il caso del<strong>la</strong> Tanaccia di Brisighel<strong>la</strong> (Faenza, RA);<br />

anche in questo caso <strong>la</strong> scoperta si deve a uno speleologo,<br />

il triestino Giovanni Mornig, che negli anni tra il 1934 e<br />

il 1935 esplorò per primo <strong>la</strong> cavità. La caverna si presentava<br />

con un imponente arco alto 8 m e <strong>la</strong>rgo 12 e una<br />

lunghezza visibile di ca. 14 m; il passaggio a un secondo<br />

ambiente, non esplorato, era chiuso da imponenti massi<br />

(Acque, grotte e dei 1997) (fig. 19).<br />

La grotta fu utilizzata a scopo rituale tra l’età del Rame e<br />

l’antica età del Bronzo (2.300-1.700 a.C.). Partico<strong>la</strong>ri rituali<br />

funerari sembrano testimoniati dall’uso di deporre<br />

alcuni recipienti integri in posizione capovolta e dal<strong>la</strong> rappresentazione<br />

simbolica di armi che sono state deposte in<br />

questa grotta sotto forma di pendagli e di amuleti in osso.<br />

Il numero re<strong>la</strong>tivamente limitato dei resti antropologici<br />

rinvenuti, appartenenti a un massimo di 10-12 individui,<br />

quando riconosciuti tutti di sesso maschile, potrebbe far<br />

pensare a seppellimenti selettivi, riservati solo ad alcuni<br />

individui del<strong>la</strong> comunità.


Fig. 19. L’ingresso del<strong>la</strong> Tanaccia di Brisighel<strong>la</strong> (Faenza), cavità utilizzata a<br />

scopo rituale nelle età del Rame e del Bronzo (da Acque, grotte e dei 1997,<br />

fig. 4).<br />

<strong>la</strong> grotta <strong>Del</strong> re tiBerio<br />

Sempre in Romagna, un’altra grotta che mostra un lungo<br />

utilizzo per scopi culturali è <strong>la</strong> grotta del Re Tiberio (Riolo<br />

Terme, RA); <strong>la</strong> cavità costituisce il percorso fossile di una<br />

sorgente carsica che si snoda per uno sviluppo complessivo<br />

di oltre 300 m (fig. 20).<br />

Indagata già nel<strong>la</strong> seconda metà dell’Ottocento da Giuseppe<br />

Scarabelli (1870), uno dei pionieri del<strong>la</strong> paletnologia<br />

italiana, <strong>la</strong> grotta ha restituito numerosi reperti che<br />

indicano una frequentazione per usi funerari e cultuali tra<br />

l’età del Rame e l’età del Bronzo (2.300-1.150 a.C.) (La<br />

collezione Scarabelli 1996; Acque, grotte e dei 1997).<br />

Una ripresa di attività rituali connesse al culto delle acque<br />

è documentata nel corso del<strong>la</strong> media età del Ferro (VI-V<br />

secolo a.C.) dal<strong>la</strong> presenza di numerosi vasetti miniaturistici<br />

e di bronzetti votivi (fig. 21).<br />

Fig. 20. Veduta dell’ingresso del<strong>la</strong> grotta del Re Tiberio (Riolo Terme), dall’interno<br />

(da La collezione Scarabelli 1996, p. 421).<br />

<strong>Quando</strong> <strong>la</strong> <strong>speleologia</strong> <strong>incontra</strong> l’archeologia<br />

Fig. 21. Grotta del Re Tiberio (Riolo Terme). Vasetti miniaturistici con tracce<br />

del contenuto di ocra e campioni di ocra prelevati da Scarabelli, con didascalia<br />

originale (da Acque, grotte e dei 1997, fig. 3).<br />

il pozzo Degli orSi<br />

Il recupero dell’esemp<strong>la</strong>re quasi integro di orso bruno del<br />

Pozzo degli Orsi (Col<strong>la</strong> delle Carsene - Alpe degli Stanti,<br />

Ormea) costituisce un efficace esempio di recupero, a diversi<br />

anni dal suo rinvenimento, di un importante ritrovamento<br />

che solo recentemente ha potuto essere studiato e<br />

valorizzato, rive<strong>la</strong>ndo tutta <strong>la</strong> sua valenza storica e culturale<br />

(Venturino Gambari 2001; 2009) 11 (fig. 22).<br />

La grotta si apre sul bordo di una profonda dolina tra <strong>la</strong><br />

Col<strong>la</strong> dei Termini e l’Alpe degli Stanti, a circa 1.900 m<br />

s.l.m. Si tratta verosimilmente di una tana, come sembrano<br />

indicare il rinvenimento di diversi scheletri di orso bruno<br />

e le tracce di unghiate (griffes) rilevate sulle pareti, anticamente<br />

accessibile tramite un ingresso che si apriva sul<br />

fianco del<strong>la</strong> dolina, attualmente non più agibile. Nel<strong>la</strong> sa<strong>la</strong><br />

al fondo del pozzo erano state rinvenute e recuperate, da<br />

parte di un gruppo di speleologi valtanaresi (1982), non<br />

consapevoli dell’importanza scientifica e dell’eccezionalità<br />

del rinvenimento, le ossa di uno scheletro di orso bruno<br />

non in stretta associazione anatomica (Dai Bagienni a Bredulum<br />

2001, pp. 31-32).<br />

Sul femore sinistro aderiva una concrezione di ossidi di<br />

rame di colore verdastro che, dopo <strong>la</strong> pulizia, ha restituito<br />

una punta di freccia con alette e peduncolo di bronzo;<br />

dal<strong>la</strong> localizzazione del<strong>la</strong> traccia <strong>la</strong>sciata sull’osso, si<br />

può presumere che <strong>la</strong> freccia sia penetrata con direzione<br />

antero-posteriore nel<strong>la</strong> parte alta del<strong>la</strong> coscia, colpendo<br />

l’animale mentre era in posizione eretta sulle zampe posteriori,<br />

in posizione di attacco. L’orso, probabilmente una<br />

femmina di circa quattro anni, era stato ferito gravemente<br />

dal<strong>la</strong> freccia dei cacciatori ed era verosimilmente morto<br />

dopo aver raggiunto, non senza difficoltà, <strong>la</strong> sua tana.<br />

Solo <strong>la</strong> consegna dei reperti al<strong>la</strong> Soprintendenza (2001)<br />

ha permesso l’avvio di uno studio anatomico completo<br />

dell’esemp<strong>la</strong>re, effettuato in col<strong>la</strong>borazione con l’Istituto<br />

19


20 Marica Venturino Gambari<br />

Fig. 22. Pozzo degli Orsi Col<strong>la</strong> delle Carsene - Alpe degli Stanti, Ormea). Pannello dedicato all’orso bruno trafitto dal<strong>la</strong> freccia di un cacciatore dell’età del<br />

Bronzo (Ente di gestione Parchi e Riserve Naturali Cuneesi, sa<strong>la</strong> dell’orso).


<strong>Quando</strong> <strong>la</strong> <strong>speleologia</strong> <strong>incontra</strong> l’archeologia<br />

21


22 Marica Venturino Gambari<br />

di Anatomia Umana Normale - Laboratorio di Paleontologia<br />

dell’Università di Torino. Sui resti scheletri dell’orso<br />

del Pozzo degli Orsi di Ormea sono state effettuate anche<br />

due datazioni radiometriche presso il Laboratoire de carbone<br />

14 di Villeurbain (Lione) 12 . La prima, effettuata su<br />

un frammento di radio sinistro (reperto PO 161), ha dato<br />

una data 3.370 ± 35 BP, calibrata 1.750-1.520 BC (Lyon-<br />

2763), <strong>la</strong> seconda, effettuata direttamente su un campione<br />

del femore che presentava tracce dell’impregnazione<br />

da ossidi di rame (reperto PO 140), ha dato <strong>la</strong> data 3.335<br />

± 25, calibrata 1.690-1.520 BC (Lyon-4496). Le due datazioni,<br />

coerenti tra di loro, indicano che il decesso dell’animale<br />

è avvenuto tra il XVII e il XVI secolo a.C. e datano<br />

quindi agli inizi del<strong>la</strong> media età del Bronzo (1.700-1.350<br />

a.C.) questo episodio di caccia all’orso bruno da parte delle<br />

popo<strong>la</strong>zioni preistoriche del Monregalese, permettendo<br />

di precisare meglio <strong>la</strong> cronologia del rinvenimento, attribuita<br />

inizialmente all’età del Bronzo finale (XII-X secolo<br />

a.C.) sul<strong>la</strong> base dell’analisi crono-tipologica del<strong>la</strong> punta di<br />

freccia (Dai Bagienni a Bredulum 2001, pp. 15, 31-32).<br />

In archeologia sono spesso documentati episodi di caccia<br />

all’orso da parte dell’uomo, che sembra aver selezionato<br />

con attenzione le sue prede, privilegiando individui<br />

femminili, talvolta con cuccioli, forse perché di taglia più<br />

picco<strong>la</strong> o probabilmente più vulnerabili e preoccupati di<br />

proteggere <strong>la</strong> prole.<br />

gli acQueDotti antichi<br />

La col<strong>la</strong>borazione con i gruppi speleologici si è rive<strong>la</strong>ta di<br />

estrema importanza anche per l’esplorazione di vani ipogei<br />

utilizzati nel<strong>la</strong> protostoria, in età romana e medioevale,<br />

come nel caso degli acquedotti.<br />

Il ricorso alle loro competenze si è rive<strong>la</strong>to fondamentale<br />

nelle attività di esplorazione, rilievo e messa in sicurezza<br />

dei manufatti, come nel caso dell’acquedotto etrusco conosciuto<br />

come “del<strong>la</strong> Selvotta” o “del Fosso degli Olmetti”<br />

(Formello, Roma) (VI-V secolo a.C.). Parte di un sistema<br />

di condotti idraulici realizzati intorno a Veio per regimentare<br />

le acque piovane e sorgive, bonificando il fondovalle,<br />

l’acquedotto, scavato nel tufo, era stato realizzato con <strong>la</strong><br />

metodologia più c<strong>la</strong>ssica, in cui l’acqua procedeva a pelo<br />

libero (non in pressione) e arrivava al punto di utilizzo per<br />

caduta; nonostante gli oltre 2.500 anni di funzionamento,<br />

il condotto ancora oggi garantisce un’ottima portata d’acqua,<br />

al punto da alimentare un torrente per tutto l’anno.<br />

Sul territorio, immediatamente allo sbocco, è ancora possibile<br />

vedere i resti del<strong>la</strong> diga di sbarramento, i blocchi<br />

tufacei con cui era stata realizzata e i canali di presa del<br />

bacino idrico. Anche in Piemonte <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione con<br />

il Gruppo Speleologico CAI di Acqui Terme è stata decisiva<br />

nell’esplorazione dell’acquedotto di Aquae Statiel<strong>la</strong>e<br />

(Acqui Terme, AL), consentendone di chiarire, in maniera<br />

precisa e definitiva, l’intero percorso (in partico<strong>la</strong>re nel suo<br />

tratto sotterraneo), <strong>la</strong> consistenza strutturale (fig. 23) e le<br />

specifiche caratteristiche tecnico-costruttive (Filippi 1992;<br />

Bacchetta 2006) (fig. 24); queste indagini, effettuate agli<br />

inizi degli anni Novanta del secolo scorso, hanno consentito<br />

di predisporre il vincolo sull’intero tracciato in vista di<br />

progetti di valorizzazione e fruizione che si stanno mettendo<br />

a punto d’intesa con le Amministrazioni comunali<br />

di Cartosio, Me<strong>la</strong>zzo e Acqui Terme.<br />

Fig. 23. Acqui Terme, regione Marchiolli, loc. La Maddalena. L’interno del<br />

condotto sotterraneo dell’acquedotto romano (da Bacchetta 2006, fig. 12)<br />

Fig. 24. Acqui Terme, regione Marchiolli, loc. La Maddalena. Restituzione<br />

grafica del<strong>la</strong> conduttura sotterranea di un acquedotto (da Bacchetta 2006,<br />

fig. 6)


conSiDerazioni concluSive<br />

La consapevolezza, maturata nel corso del<strong>la</strong> realizzazione<br />

del progetto “<strong>Quando</strong> c’erano gli orsi …”, del<strong>la</strong> frequenza<br />

di rinvenimenti di beni (reperti e contesti) di interesse<br />

paleontologico e archeologico verificati in passato senza<br />

che gli organi competenti ne fossero portati a conoscenza,<br />

con il recupero o <strong>la</strong> dispersione dei reperti che ne sono<br />

conseguiti in assenza del<strong>la</strong> registrazione accurata delle<br />

condizioni di rinvenimento e dei dati di giacitura e di contesto,<br />

ha indotto <strong>la</strong> Soprintendenza per i Beni Archeologici<br />

del Piemonte e del Museo Antichità Egizie e l’Ente<br />

di gestione Parchi e Riserve Naturali Cuneesi di Chiusa di<br />

Pesio a favorire occasioni di incontro e confronto con il<br />

mondo degli speleologi, con <strong>la</strong> speranza di contribuire<br />

all’emersione di altre informazioni e all’avvio di una corretta<br />

col<strong>la</strong>borazione.<br />

Come è già stato ricordato, <strong>la</strong> segna<strong>la</strong>zione dei rinvenimenti<br />

occasionali e fortuiti è un dovere di legge (Decr. Legisl.<br />

42/2004, art. 90, comma 1: Chi scopre fortuitamente<br />

cose immobili o mobili indicate nell’articolo 10 ne fa denuncia<br />

entro ventiquattro ore al soprintendente o al sindaco<br />

ovvero all’autorità di pubblica sicurezza e provvede<br />

al<strong>la</strong> conservazione temporanea di esse, <strong>la</strong>sciandole nelle<br />

condizioni e nel luogo in cui sono state rinvenute). Lo scopritore<br />

non dovrebbe intervenire sui reperti rinvenuti, proprio<br />

al fine di non arrecare danneggiamenti con interventi<br />

non supportati da adeguate metodologie scientifiche, ma<br />

“ha facoltà di rimuoverle [le cose] per meglio garantirne<br />

<strong>la</strong> sicurezza e <strong>la</strong> conservazione sino al<strong>la</strong> visita dell’autorità<br />

competente e, ove occorra, di chiedere l’ausilio del<strong>la</strong> forza<br />

pubblica” (Decr. Legisl. 42/2004, art. 90, comma 2).<br />

Le cose rubricabili come beni culturali, “da chiunque e<br />

in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali<br />

marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano<br />

immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio<br />

indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del<br />

Codice Civile” (Decr. Legisl. 42/2004, art. 91, comma 1);<br />

l’omessa segna<strong>la</strong>zione del rinvenimento e l’impossessamento<br />

o l’acquisizione illecita dei reperti si configurano<br />

pertanto come reati, nell’accezione del furto (art. 624 Codice<br />

Penale) e del<strong>la</strong> ricettazione/incauto acquisto (art. 648<br />

Codice Penale: acquisto di cose di sospetta provenienza,<br />

ai sensi degli articoli 712 o 848 Codice Penale a seconda<br />

del<strong>la</strong> consapevolezza o meno del<strong>la</strong> provenienza delittuosa<br />

del bene), senza considerare i danni irreparabili al<strong>la</strong> conoscenza<br />

del nostro patrimonio culturale.<br />

Lo Stato prevede premi di rinvenimento (Decr. Legisl.<br />

42/2004, artt. 92-93) per ricompensare <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione<br />

dei cittadini che hanno prontamente segna<strong>la</strong>to il rinvenimento<br />

di beni culturali o sono proprietari dei terreni dove<br />

è avvenuto il ritrovamento, corrispondendo somme in denaro<br />

da valutarsi in percentuale sul valore degli oggetti,<br />

stimato dal<strong>la</strong> Soprintendenza sul<strong>la</strong> base delle disposizioni<br />

ministeriali e di tabelle che sono redatte dal Ministero per<br />

i Beni e le Attività Culturali ai fini dell’inventariazione e<br />

del<strong>la</strong> catalogazione dei reperti.<br />

All’interno delle norme previste dal<strong>la</strong> legge, <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione<br />

è quindi non solo possibile ma auspicabile soprattutto<br />

per quanti hanno a cuore <strong>la</strong> conservazione e <strong>la</strong> tute<strong>la</strong><br />

di quel patrimonio di conoscenza che anche le nostre<br />

grotte conservano nei loro archivi segreti (fig. 25).<br />

Forme di col<strong>la</strong>borazione tra speleologi ed enti di tute<strong>la</strong> si<br />

<strong>Quando</strong> <strong>la</strong> <strong>speleologia</strong> <strong>incontra</strong> l’archeologia<br />

Fig. 25. Grotta di Lamalunga (Altamura). Una delle strettoie prima di arrivare<br />

all’Abside dell’Uomo (da L’uomo di Altamura 1996, fig. 24).<br />

stanno del resto sperimentando un po’ in tutta <strong>la</strong> peniso<strong>la</strong><br />

italiana, pur restando all’interno di specifiche linee<br />

guida, necessarie a fornire un elevato livello qualitativo<br />

sia in termini di forma che di contenuti, e in partico<strong>la</strong>re a<br />

Roma, dove sono nate associazioni di speleologi appassionati<br />

di archeologia che intendono mettere a disposizione<br />

dell’attività d’indagine archeologica l’analisi, lo studio e <strong>la</strong><br />

raccolta dati all’interno di ambienti ipogei (grotte naturali<br />

e ripari, antiche cave e miniere, cunicoli, acquedotti ed<br />

emissari, pozzi e cisterne, sepolture ipogee e cripte, mitrei<br />

e luoghi di culto, sotterranei, carceri, instal<strong>la</strong>zioni militari,<br />

fognature etc.). Come per altre associazioni di volontariato<br />

che operano in Italia, questi gruppi non hanno scopo<br />

di lucro e utilizzano i fondi che hanno a disposizione per<br />

effettuare rimborsi spese nei confronti dei col<strong>la</strong>boratori<br />

volontari, per formare e specializzare gli iscritti attraverso<br />

corsi di speleo-archeologia e di <strong>speleologia</strong> urbana, oltre<br />

che per acquistare il materiale necessario allo svolgimento<br />

delle attività con i mezzi più moderni, affidabili e sicuri che<br />

<strong>la</strong> tecnologia mette a disposizione 13 .<br />

* Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del<br />

Museo Antichità Egizie - Piazza San Govanni 2 - 10122 Torino<br />

E-mail: marica.venturino@beniculturali.it<br />

23


24 Marica Venturino Gambari<br />

Note<br />

1 Un sincero ringraziamento a quanti in questi anni hanno col<strong>la</strong>borato per <strong>la</strong> buona riuscita dell’iniziativa e in partico<strong>la</strong>re a Patrizia<br />

Grosso (direttore dell’Ente di gestione Parchi e Riserve Naturali Cuneesi), Erika Chiecchio e Caterina Musso (referenti del<br />

Laboratorio Territoriale di Educazione Ambientale di Chiusa di Pesio con sede presso l’Ente di gestione Parchi e Riserve Naturali<br />

Cuneesi), Giacomo Giacobini, Giancar<strong>la</strong> Malerba, Antonio Rocci Ris e Giuliano Vil<strong>la</strong> (Laboratorio di Paleontologia umana del<br />

Dipartimento di anatomia, farmacologia e medicina legale dell’Università di Torino), Riccardo Mucciarelli (già sindaco di Chiusa<br />

di Pesio), Roberto Audino, Gian Carlo Comino, Agostino Navone, Francesco Rubat Borel. Con l’occasione vorrei esprimere<br />

anche <strong>la</strong> mia gratitudine a quanti mi sono stati vicini in quel<strong>la</strong> tragica giornata del 10 giugno 2007, e in partico<strong>la</strong>re a Mauro<br />

Fissore, Caterina Musso, Massimo Sciandra, Piera Terenzi e Raffael<strong>la</strong> Zerbetto.<br />

2 G.C. Comino, “<strong>Quando</strong> c’erano gli orsi…”: testimonianze storiche, culturali, artistiche del<strong>la</strong> presenza dell’orso nel Piemonte<br />

sud-occidentale, re<strong>la</strong>zione inedita conservata agli Atti del<strong>la</strong> Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo<br />

Antichità Egizie (maggio 2006).<br />

3 Cfr. A. Rocci Ris - G. Vil<strong>la</strong> - G. Giacobini, L’orso bruno nel Cuneese: storia di un rapporto millenario, in questo volume di atti.<br />

4 Cfr. F. Rubat Borel, L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dal<strong>la</strong> preistoria al medioevo, in questo volume di atti.<br />

5 Cfr. A. Rocci Ris - M. Sciandra - P. Terenzi - R. Zerbetto, L’escursione al<strong>la</strong> grotta Gnugnu (Ormea, Col<strong>la</strong> dei Termini - 10 giugno<br />

2007) con esperienza di rilievo e documentazione di un contesto paleontologico, in questo volume di atti.<br />

6 Per un breve excursus sul<strong>la</strong> normativa vigente con partico<strong>la</strong>re riferimento al<strong>la</strong> disciplina delle scoperte fortuite, cfr. A. Rocci<br />

Ris - M. Sciandra - P. Terenzi - R. Zerbetto, L’escursione al<strong>la</strong> grotta Gnugnu (Ormea, Col<strong>la</strong> dei Termini - 10 giugno 2007) con<br />

esperienza di rilievo e documentazione di un contesto paleontologico, in questo volume di atti.<br />

7 Per una rapida sintesi delle corrette metodologie di intervento e di documentazione di un contesto paleontologico o archeologico<br />

in grotta, cfr. P. Terenzi, Metodi di ricerca e documentazione archeologica in grotta, in questo volume di atti.<br />

8 Analisi in corso a cura di David Caramelli (Dipartimento di Biologia evoluzionistica dell´Università di Firenze,<br />

Silvano Agostini (Servizio geologico e paleontologico del<strong>la</strong> Soprintendenza per i beni archeologici dell´Abruzzo), Giorgio Manzi<br />

(Dipartimento di Biologia animale e dell’Uomo dell’Università di Roma La Sapienza), Marcello Piperno (Dipartimento di Discipline<br />

storiche dell’Università di Roma La Sapienza) e Guido Biscontin (Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e<br />

Statistica dell´Università Ca´ Foscari di Venezia); una prima segna<strong>la</strong>zione in http://bari.repubblica.it/cronaca/2010/06/29/news/<br />

il_dna_sve<strong>la</strong>_luomo_di_altamura_un_cacciatore_di_60mi<strong>la</strong>_anni_fa-5241100/.<br />

9 Per <strong>la</strong> problematica delle griffes e dell’archeologia delle pareti in grotte e ripari, troppo spesso inosservata o ignorata dai<br />

frequentatori delle grotte, cfr. L. Mano, Archeologia e <strong>speleologia</strong> delle pareti, in questo volume di atti, con “l’invito agli speleologi<br />

affinché, tra le loro diverse attività, trovino il tempo per indagare le superfici delle grotte e per comunicare eventuali<br />

scoperte”.<br />

10 Per una più completa analisi delle manifestazioni di arte rupestre del<strong>la</strong> grotta Chauvet, con partico<strong>la</strong>re riferimento alle raffigurazioni<br />

di orso, cfr. F. Rubat Borel, L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dal<strong>la</strong> preistoria al medioevo, in questo volume di atti.<br />

11 Per ulteriori informazioni sul rinvenimento e sulle caratteristiche dell’animale, cfr. F. Rubat Borel, L’orso e l’archeologia. Alcuni<br />

esempi dal<strong>la</strong> preistoria al medioevo, e A. Rocci Ris - G. Vil<strong>la</strong> - G. Giacobini, L’orso bruno nel Cuneese: storia di un rapporto<br />

millenario, in questo volume di atti.<br />

12 Le datazioni radiometriche sono state realizzate nell’ambito del progetto grazie ad un finanziamento reso disponibile dall’Ente<br />

di gestione Parchi e Riserve Naturali Cuneesi di Chiusa di Pesio; si ringrazia il prof. Giacomo Giacobini per <strong>la</strong> disponibilità e <strong>la</strong><br />

cortese col<strong>la</strong>borazione.<br />

13 Un ringraziamento partico<strong>la</strong>re alle amiche e colleghe Maurizia Lucchino e Valentina Faudino (Soprintendenza per i Beni Archeologici<br />

del Piemonte e del Museo Antichità Egizie) per <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione nelle ricerche bibliografiche e <strong>la</strong> predisposizione delle<br />

illustrazioni che corredano questo contributo.<br />

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febbraio 2001, a cura di P. Pe<strong>la</strong>gatti - G. Spadea, Roma (Bollettino d’arte, volume speciale).<br />

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Venturino Gambari M. 2001. Il pianoro di Breolungi tra l’età del Bronzo finale e l’età del Ferro, in Dai Bagienni a Bredulum 2001, pp.<br />

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