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discorso Cortese.pdf - Comune di Bassano del Grappa

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SESSANTOTTESIMO ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE<br />

<strong>Bassano</strong> <strong>del</strong> <strong>Grappa</strong>, 25 aprile 2013<br />

Commemorazione ufficiale<br />

Fulvio <strong>Cortese</strong> *<br />

Le lapi<strong>di</strong> sono importanti, i monumenti sono importanti,<br />

ma il più grande monumento, il maggiore, il più<br />

straor<strong>di</strong>nario che si è costruito in Italia, alla Libertà, alla<br />

Giustizia, alla Resistenza, all’Antifascismo, al<br />

Pacifismo, è la nostra Costituzione<br />

Teresa Mattei<br />

Signor Sindaco, Signori Sindaci <strong>del</strong> Bassanese, autorità civili, religiose, politiche e<br />

militari, rappresentanti <strong>del</strong>le associazioni combattentistiche e partigiane, e <strong>del</strong>le<br />

associazioni tutte che animano il tessuto connettivo <strong>di</strong> questa comunità, citta<strong>di</strong>ne e<br />

citta<strong>di</strong>ni,<br />

Il primo pensiero, anzi, la prima emozione che mi sento <strong>di</strong> esprimere in questa sede, e in<br />

questa giornata così importante per la nostra Repubblica, per questa città e per il nostro<br />

territorio locale, corre ad un ricordo tutto personale; e perdonerete, spero, questo<br />

riferimento, che vuole essere rapido, ma che è per me quanto mai doveroso e quasi<br />

in<strong>di</strong>spensabile, perché è rivolto a chi, nella mia famiglia, tanto sentiva questa ricorrenza<br />

e tanto desiderava che fosse un luogo <strong>di</strong> memoria e <strong>di</strong> crescita al contempo; in<br />

particolare, è rivolto a chi, pur non potendo con<strong>di</strong>videre più questa commemorazione,<br />

ha fatto sì che il mio animo coltivasse da sempre una particolare attenzione, uno<br />

specifico rispetto per ciò che è accaduto nel passato e per le battaglie, le sofferenze, le<br />

atrocità, le aspirazioni, i sacrifici e anche i sogni che si trovano all’origine <strong>di</strong> ciò che<br />

oggi è, o quanto meno dovrebbe essere, la nostra Italia.<br />

Per me, infatti, il ricordo <strong>di</strong> oggi è legato all’eco <strong>di</strong> tanti racconti, <strong>di</strong> tante storie, al<br />

commento <strong>di</strong> altrettante fotografie, alla voce, negli anni via via più insicura, <strong>di</strong> una<br />

* Ricercatore <strong>di</strong> Diritto amministrativo e professore <strong>di</strong> Istituzioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto pubblico (Facoltà <strong>di</strong><br />

Giurisprudenza, Università <strong>di</strong> Trento).


donna che, come tante donne e tanti uomini <strong>del</strong>la sua generazione, come se avesse<br />

vissuto più vite in una vita sola, desiderava che il suo primo nipote portasse un<br />

testimone <strong>di</strong> tanta ricchezza e sapesse cogliere anche negli innumerevoli segni che la<br />

Liberazione ha lasciato in questa città qualcosa <strong>di</strong> più <strong>di</strong> un monumento o <strong>di</strong><br />

un’occasione rituale: una vera e propria traccia <strong>di</strong> una <strong>di</strong>rezione da non mollare più e <strong>di</strong><br />

un impegno da rinnovare quoti<strong>di</strong>anamente nel proprio futuro <strong>di</strong> uomo, prima che <strong>di</strong><br />

citta<strong>di</strong>no, e nel contesto <strong>del</strong>la cornice costituzionale che integra il lascito più nobile e<br />

durevole <strong>di</strong> quelle generazioni.<br />

Chiedo ancora scusa per questo inciso. Eppure devo confessarvi che senza <strong>di</strong> esso non<br />

sarei in grado <strong>di</strong> parteciparvi <strong>di</strong> quello che vorrebbe essere il mio piccolo e umile<br />

contributo alle o<strong>di</strong>erne celebrazioni. Che, per la verità, non vuole e non può essere<br />

interprete dei ricor<strong>di</strong> personali <strong>di</strong> ciascuno, o dei sentimenti, anche contrastanti, che<br />

ognuno <strong>di</strong> voi può provare ed associare al proprio vissuto.<br />

Mi propongo, molto più semplicemente, <strong>di</strong> evidenziare che fare memoria, in questi<br />

contesti, è un’azione che, oggettivamente, non esaurisce i propri effetti in se stessa, e<br />

che ha un intrinseco valore formativo, che ci aiuta, cioè, a comprendere quale possa<br />

essere il patrimonio <strong>di</strong> esperienza, <strong>di</strong> storia, <strong>di</strong> cultura e <strong>di</strong> dolore senza il quale ogni<br />

citta<strong>di</strong>nanza non è altro che un vuoto contenitore formale; ci costringe, in altri termini, a<br />

fare i conti con le scelte che altri prima <strong>di</strong> noi hanno compiuto e con il significato che<br />

quelle scelte hanno avuto per ciò che siamo e potremo essere; ci insegna quali sono –<br />

nei fatti, nelle cose, nelle lapi<strong>di</strong>, ed anche nelle tombe – gli interlocutori primi dei<br />

<strong>di</strong>ritti, <strong>del</strong>le libertà e dei principi che la nostra Repubblica ha voluto porre alla propria<br />

ra<strong>di</strong>ce, quali riferimenti supremi e non rinunciabili <strong>del</strong>la Costituzione che ancora ci<br />

guida, nella vita civile come nelle istituzioni pubbliche.<br />

Senza un ricordo <strong>di</strong> questo genere ogni commemorazione rischierebbe, semplicemente,<br />

<strong>di</strong> aggiungersi alla precedente, come un appuntamento fisso <strong>di</strong> un certo momento<br />

<strong>del</strong>l’anno. Viceversa, soffermarsi <strong>di</strong> fronte ai tanti alberi <strong>del</strong> nostro Viale dei Martiri,<br />

ripensare al tragico rastrellamento <strong>del</strong> <strong>Grappa</strong> ed alla data <strong>del</strong> 26 settembre 1944,<br />

riascoltare, nel vento <strong>del</strong>la valle – che così ci può accarezzare ma, se serve, anche


sferzare – il lamento <strong>di</strong> chi, civile o militare, è stato strappato dalle proprie case e dai<br />

propri affetti per essere poi condotto al lavoro coatto o alla durissima esperienza <strong>del</strong><br />

concentramento: ecco, avere e conservare tutto questo significa, senza dubbio,<br />

continuare a rinnovare un patto; quel patto che altri ci hanno consegnato; quella<br />

promessa che deve potersi trasmettere anche a noi tutti, e chi verrà dopo <strong>di</strong> noi,<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dalla presenza attuale <strong>di</strong> chi ne ha innervato fisicamente il corpo. Si<br />

tratta <strong>di</strong> ricordarsi <strong>di</strong> respirare quell’orgoglio che è destinato ad alimentare la<br />

coscienza, civica ma anche morale, <strong>di</strong> chi non può non sapere <strong>di</strong> essere citta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> un<br />

Paese che, <strong>di</strong> fronte alle macerie <strong>di</strong> una <strong>di</strong>sfatta e alle lacerazioni <strong>di</strong> una guerra intestina,<br />

ha imboccato la strada <strong>del</strong> pluralismo, <strong>del</strong>l’uguaglianza, <strong>del</strong>la partecipazione, <strong>del</strong>la<br />

solidarietà sociale, <strong>del</strong> lavoro e <strong>del</strong>la tutela progressiva <strong>del</strong>la persona e <strong>del</strong>le sue<br />

fondamentali prerogative come in<strong>di</strong>spensabili baluar<strong>di</strong> <strong>di</strong> uno Stato democratico che tale<br />

voglia essere realmente.<br />

***<br />

Perché occorre <strong>di</strong>re – e questo è l’apporto che anche nel presente contesto può dare il<br />

giurista che stu<strong>di</strong>a il <strong>di</strong>ritto pubblico, e che come tale è chiamato ad interrogarsi<br />

continuativamente sui fondamenti e sulle ragioni ultime <strong>del</strong>le regole e <strong>del</strong>le istituzioni<br />

che ci governano – che è proprio vero, come ha acutamente notato un autorevolissimo<br />

interprete (Ernst-Wolfgang Böckenförde), che ciò che per noi è lo Stato e, con esso,<br />

tutte le manifestazioni pubbliche <strong>del</strong>l’autorità vive <strong>di</strong> presupposti normativi che da solo<br />

non può garantire; che, quin<strong>di</strong>, la memoria <strong>di</strong> ciò che è passato e che rappresenta la<br />

scaturigine <strong>del</strong>la “legge fondamentale” <strong>del</strong>lo Stato e <strong>del</strong>la società civile, che in esso si<br />

riconosce e si organizza, funziona come in<strong>di</strong>spensabile catalizzatore, come veicolo<br />

costante e vivente per proteggere, spiegare, sviluppare e rinsaldare quei valori essenziali<br />

che stanno alla base <strong>del</strong>le scelte costituenti e che, altrimenti, rischierebbero <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sconnettersi dall’humus fecondo che li ha generati, per poi annegare in astratte<br />

questioni <strong>di</strong> maggiore o minore efficienza, <strong>di</strong> maggiore o minore funzionalità, <strong>di</strong><br />

maggiore o minore convenienza rispetto alle emergenze <strong>del</strong>la contingenza. Esigenze,<br />

queste, che certo non sono trascurabili: il <strong>di</strong>ritto è, senz’altro, tecnica e strumento,<br />

mezzo per la risoluzione <strong>di</strong> problemi e il raggiungimento <strong>di</strong> obiettivi; ma c’è davvero<br />

<strong>del</strong>l’altro, ed è sicuramente corretto ciò che con tono perentorio ci ricorda sempre Piero<br />

Calamandrei, uno dei nostri Padri Costituenti più autorevoli: lo Stato siamo noi; siamo


noi a determinare la consapevolezza sugli obiettivi da raggiungere; senza la nostra<br />

partecipazione, senza il nostro impegno, nulla <strong>di</strong> ciò che è regola essenziale <strong>del</strong>la<br />

convivenza assume un significato autentico.<br />

Il ricordo <strong>di</strong> chi ha combattuto per la Liberazione, <strong>di</strong> chi è morto per essa, <strong>di</strong> chi è stato<br />

oppresso, se non annientato, da poteri, viceversa, svincolati da qualsiasi nesso con<br />

quello che dovrebbe essere l’ineliminabile rapporto tra il <strong>di</strong>ritto e la sua profonda<br />

umanità, non è, quin<strong>di</strong>, soltanto il modo per partecipare <strong>di</strong> un dolore comunitario, più o<br />

meno con<strong>di</strong>viso; è il modo, invece, e soprattutto, per rammentarci sempre che la nostra<br />

citta<strong>di</strong>nanza e i principi che la ispirano e che la guidano nel nostro or<strong>di</strong>namento<br />

costituzionale sono nati per garantire sempre l’esistenza e la durevolezza <strong>di</strong> quel<br />

rapporto e per migliorarlo ed implementarlo, nella prospettiva <strong>di</strong> un mo<strong>del</strong>lo <strong>di</strong> società<br />

nel quale, come recita puntualmente l’art. 3 <strong>del</strong>la nostra Costituzione, vengano rimossi<br />

“gli ostacoli <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne economico e sociale, che, limitando <strong>di</strong> fatto la libertà e<br />

l’uguaglianza dei citta<strong>di</strong>ni, impe<strong>di</strong>scono il pieno sviluppo <strong>del</strong>la persona umana e<br />

l’effettiva partecipazione <strong>di</strong> tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e<br />

sociale <strong>del</strong> Paese”.<br />

Ricordare, quin<strong>di</strong>, equivale a riba<strong>di</strong>re che la persona viene prima <strong>del</strong>lo Stato; che non<br />

esiste più, al fondo, un <strong>di</strong>ritto o un potere, pubblico o privato, che si possa legittimare<br />

per la sua sola capacità <strong>di</strong> farsi osservare, semplicemente; che come si è fatta la<br />

Resistenza da parte <strong>di</strong> chi ci ha dato la possibilità <strong>di</strong> godere <strong>di</strong> una cornice <strong>di</strong> libertà e<br />

pluralismo, così si può e si deve sempre fare resistenza rispetto all’arbitrio, al sopruso, a<br />

tutto ciò che è brutalmente unilaterale ed aggressivo, a tutto ciò che omologa e ingabbia<br />

la citta<strong>di</strong>nanza in ruoli prevalentemente passivi e che vuole concepire la partecipazione<br />

politica e sociale soltanto in termini <strong>di</strong> <strong>del</strong>ega deresponsabilizzante; viceversa, la<br />

convivenza, le sue istituzioni e i processi in base ai quali queste si giustificano sono<br />

legittime soltanto se funzionali ai <strong>di</strong>ritti e alle libertà <strong>di</strong> cui ogni in<strong>di</strong>viduo deve godere<br />

nel contesto <strong>del</strong>l’ambizioso programma che il menzionato art. 3 <strong>del</strong>la Costituzione<br />

affida, per l’appunto, a tutta la Repubblica, citta<strong>di</strong>ni compresi. Fare resistenza, oggi,<br />

significa, innanzitutto, fare Costituzione; significa riappropriarsi <strong>del</strong>l’interesse generale;<br />

significa prendersi carico <strong>di</strong>.


Potrà forse sorprendere, ma, a quest’ultimo riguardo, proprio il Paese che più <strong>di</strong> ogni<br />

altro si è reso artefice <strong>del</strong>l’oppressione e che ha rappresentato proprio per i nostri<br />

combattenti ed internati il volto <strong>del</strong>la <strong>di</strong>sumanizzazione più profonda e <strong>del</strong>la violenza<br />

più spietata, la Germania, ha dato vita, dal Dopoguerra in poi, ad un <strong>di</strong>battito<br />

intensissimo, finalizzato ad evidenziare la necessità <strong>di</strong> un patriottismo costituzionale;<br />

non più fondato su valori propri <strong>del</strong>la sola cultura nazionale, non più caratterizzato su<br />

presupposti <strong>di</strong> implicita superiorità <strong>del</strong>le proprie scelte politiche, ma centrato, piuttosto,<br />

sulla necessità che il passato non deve mai più ripetersi e che, per fare ciò, l’unica via è<br />

la preservazione forte, costante, decisa, vissuta <strong>del</strong>la memoria collettiva e la posizione<br />

<strong>di</strong> limiti, altrettanto insuperabili e rigorosi, alla con<strong>di</strong>visione pubblica o all’accettazione<br />

<strong>di</strong> posizioni ideologiche che possano condurre all’oblio e, per tale via, alla rimozione<br />

<strong>del</strong>le colpe dei propri padri e <strong>del</strong> connesso senso <strong>di</strong> responsabilità che è giusto che i figli<br />

abbiano sentito e sentano sempre nell’ottica <strong>di</strong> rendersi nuovamente e costantemente<br />

degni <strong>del</strong>la propria citta<strong>di</strong>nanza.<br />

Questa operazione, nel nostro Paese, non è stata sempre chiara. La memoria collettiva,<br />

purtroppo, è sempre rimasta consegnata al facile, ma ambiguo, campo <strong>del</strong>le opinioni<br />

polarizzate e strumentali, <strong>del</strong>le pretese velleità <strong>di</strong> ricostruire e contrapporre – come se<br />

esistessero sempre e soltanto soluzioni univoche – o una raffigurazione <strong>di</strong> un passato<br />

glorioso <strong>di</strong> soli e invincibili eroi o, al contrario, una lettura <strong>di</strong> un passato incerto e<br />

macchiato da episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> sopraffazione non meno gravi <strong>di</strong> quelli cui tanto ci si voleva<br />

contrapporre e <strong>di</strong>stinguere. Ma è evidente che simile campo non consente mai una via<br />

d’uscita; è evidente, cioè, che esso non lascia mai spazio ad alcunché <strong>di</strong> veramente<br />

obbiettivo. Anzi; esso ci coinvolge in una ripetuta logica agonistica, se non<br />

antagonistica, che dalle controversie sulle storie in<strong>di</strong>viduali si sposta alla storia tout<br />

court; che dal <strong>di</strong>battito o dal confronto sulle molteplici ed alternative letture degli eventi<br />

ci porta alla lacerazione su ciò che davvero è irrinunciabile, ossia sull’esito vigente e<br />

prescrittivo <strong>di</strong> tutte le drammatiche e passate e tragiche vicende che hanno coinvolto il<br />

popolo italiano, e quin<strong>di</strong> sulla Costituzione e su ciò che essa vuole rappresentare.


A ben vedere – se, come ho precisato anche poc’anzi, fare memoria e resistere, oggi, è,<br />

in primo luogo, fare Costituzione – il punto è che non <strong>di</strong> pura obbiettività si deve<br />

<strong>di</strong>scutere; ma <strong>di</strong> scelta; <strong>di</strong> una scelta che, impregiu<strong>di</strong>cata la vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> tutti i contributi e<br />

le ricerche e le tesi che consentano <strong>di</strong> avere maggiori ragguagli sulla complessità <strong>di</strong> una<br />

“guerra” e <strong>di</strong> tutte le sue nefandezze, si <strong>di</strong>mostra imprescin<strong>di</strong>bile e tuttora valida per<br />

l’imprescin<strong>di</strong>bilità e la vali<strong>di</strong>tà dei suoi risultati costituzionali e <strong>del</strong> patrimonio <strong>di</strong><br />

riferimenti ideali che non è solo italiano, e che era ed è, anzi, europeo, a tutti gli effetti.<br />

E che quin<strong>di</strong> non ci appartiene allo stesso modo <strong>di</strong> come potrebbe appartenerci una<br />

storia esclusivamente personale o “<strong>di</strong> parte”.<br />

***<br />

In questo senso si dovrebbe riflettere molto sul fatto che l’Unione europea – troppo<br />

spesso invocata nel <strong>di</strong>battito comune come un’entità autoreferenziale ed insensibile ad<br />

istanze che non siano quelle economiche o finanziarie – ha adottato nel 2008 con un<br />

gesto coraggioso e complesso, ma con<strong>di</strong>viso dagli Stati membri, una decisione quadro<br />

(2008/913/GAI, <strong>del</strong> Consiglio, <strong>del</strong> 28 novembre 2008) che invita tutti gli Stati a punire,<br />

tra l’altro, il negazionismo (ossia l’apologia, la negazione o la minimizzazione<br />

grossolana dei crimini <strong>di</strong> genoci<strong>di</strong>o, dei crimini contro l’umanità e dei crimini <strong>di</strong><br />

guerra).<br />

A prescindere dai tanti problemi e dalle tante questioni, tutti reali e verosimili, che sono<br />

collegati all’adozione <strong>di</strong> “leggi <strong>del</strong>la memoria” e alla criminalizzazione <strong>di</strong> opinioni, per<br />

quanto terribili – tema su cui si interrogano da tempo, con esiti alterni, i giu<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> molti<br />

Paesi, dalla Spagna alla Francia, dalla Germania all’Inghilterra, solo per citarne alcuni –<br />

il dato incontrovertibile è che esiste, anche in Europa, una tensione con<strong>di</strong>visa a prendere<br />

una posizione univoca rispetto al passato e a ciò che possa offenderne la memoria, e<br />

così a pre<strong>di</strong>sporre opportune politiche pubbliche nei confronti <strong>di</strong> tutto ciò che possa<br />

entrare in cortocircuito con le ra<strong>di</strong>ci <strong>del</strong> patrimonio costituzionale europeo e, quin<strong>di</strong>,<br />

anche con la tutela e il ricordo <strong>di</strong> esperienze e <strong>di</strong> sofferenze che hanno generato i<br />

principi irrinunciabili <strong>del</strong>lo Stato democratico quale noi oggi lo conosciamo. Ma<br />

attenzione: ciò che l’Unione europea vuole significare non è che si debbano porre<br />

vincoli allo stu<strong>di</strong>o <strong>del</strong>la storia o alla manifestazione <strong>del</strong>le opinioni; è, viceversa, che si<br />

deve evitare la cancellazione <strong>del</strong>le acquisizioni <strong>di</strong> principio che da determinati eventi


sono scaturite e che, anche oggi, sono <strong>di</strong> centrale importanza per il perseguimento <strong>di</strong><br />

primari obiettivi <strong>di</strong> giustizia.<br />

In proposito, sia chiaro, si possono fare molte cose: si possono adottare leggi che<br />

obblighino ad un determinato ricordo ufficiale (e così è avvenuto anche in Italia:<br />

pensiamo alle varie Giornate, <strong>del</strong>la memoria o <strong>del</strong> ricordo); si possono anche punire,<br />

come sembra in<strong>di</strong>care l’Unione europea, coloro che, negando certi fatti, istighino ad atti<br />

<strong>di</strong> attuale violenza o <strong>di</strong>scriminazione; si possono anche rimuovere con maggiore<br />

coraggio “timori” o “imbarazzi” troppo lungamente pendenti, e quin<strong>di</strong> perseguire le<br />

or<strong>di</strong>narie vie <strong>del</strong>la giustizia, con determinazione, nei confronti <strong>di</strong> coloro che allora si<br />

resero colpevoli <strong>di</strong> crimini atroci e per troppo tempo <strong>di</strong>menticati o nascosti o rimossi o,<br />

più semplicemente, custo<strong>di</strong>ti in imbarazzanti “arma<strong>di</strong> <strong>del</strong>la vergogna”.<br />

Ma prima <strong>di</strong> tutto ciò, l’azione che è ancor più importante da perseguire è un’altra.<br />

Ossia: proiettarsi anche oltre i singoli fatti o le singole vicende, ricordarli, cioè, pur<br />

sempre nel senso <strong>del</strong>l’anzidetto patriottismo costituzionale, nel senso assoluto che esige<br />

il rispetto per ciò che essi rappresentano e che ci ricorda, quin<strong>di</strong>, perché dobbiamo<br />

capire e rispettare ed agire la Costituzione che ci è stata consegnata da chi ha vissuto e<br />

ha voluto superare quegli orrori, affinché mai più accadono.<br />

Perché la citta<strong>di</strong>nanza e il suo significato costituzionale, il riscoprirsi tutti citta<strong>di</strong>ni <strong>del</strong>la<br />

Repubblica, titolari <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti e <strong>di</strong> doveri, partecipi <strong>di</strong> un progetto comune e nobilisssimo,<br />

è il miglior modo <strong>di</strong> rendere omaggio e testimonianza <strong>di</strong> ciò che anche i nostri Martiri<br />

hanno sofferto; ecco, sono i nostri Martiri ad essere i nostri primi con-citta<strong>di</strong>ni, ad<br />

averci dato l’esempio <strong>di</strong> quanto possa essere alto e duro il prezzo <strong>del</strong>le prerogative <strong>di</strong><br />

cui noi oggi go<strong>di</strong>amo e <strong>di</strong> cui, dunque, non possiamo non essere portavoce, affinché<br />

siano tali; affinché continuino ad esserlo anche quando sarà venuto meno l’ultimo<br />

testimone vivente; anche, cioè, quando non potremo più apprezzare lo sguardo, le<br />

parole, la commozione <strong>di</strong> chi può ancora raccontarci ciò che ha visto, ciò che ha fatto,<br />

ciò che ha subito e, soprattutto, ciò che ha sperato e voluto per sé e per i propri figli<br />

come un naturale orizzonte <strong>di</strong> libertà.<br />

***


C’è anche <strong>del</strong>l’altro, però, nell’approccio che così vorrei proporre alla vostra attenzione.<br />

E su questo punto vorrei anche concludere.<br />

Perché la memoria pubblica non è soltanto motore <strong>di</strong> consapevolezza e <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tazione<br />

su ciò che sta alla base <strong>del</strong>le fondamenta <strong>del</strong>la nostra comunità. Questo genere <strong>di</strong><br />

memoria è anche un mezzo <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione e <strong>di</strong> inclusione: come si <strong>di</strong>ceva prima, la<br />

citta<strong>di</strong>nanza che si nutre <strong>di</strong> questa memoria non è una citta<strong>di</strong>nanza esclusiva, nazionale,<br />

prerogativa <strong>di</strong> pochi o <strong>di</strong> gruppi specifici o <strong>di</strong> culture etnicamente o socialmente<br />

connotate. Questa citta<strong>di</strong>nanza, che si alimenta alla matrice universalistica <strong>del</strong>la<br />

tra<strong>di</strong>zione costituzionale, è inclusiva, aggregante; si può e si deve con<strong>di</strong>videre con ogni<br />

persona, con tutti coloro, cioè, che possono trarvi motivazioni e ispirazioni per il<br />

proprio agire pubblico; e ciò vale non soltanto per coloro che sono ra<strong>di</strong>cati nel territorio<br />

che ha conosciuto determinati eventi, ma anche, e forse oggi innanzitutto, per coloro che<br />

cercano ragioni <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>camento e che ambiscono a trovare, anche nel passato,<br />

testimonianze ed esperienze per conquistare la propria nuova citta<strong>di</strong>nanza o per meglio<br />

ritrovare quella <strong>di</strong> originaria appartenenza.<br />

Ancora: ricordare i nostri Martiri, i nostri partigiani, i nostri deportati, i nostri internati,<br />

le nostre vittime ed i nostri piccoli e gran<strong>di</strong> eroi <strong>del</strong>la Liberazione equivale anche a dare<br />

visibilità e concretezza ai presupposti <strong>del</strong>la nostra convivenza e a renderli così<br />

<strong>di</strong>sponibili a chi, da straniero, sia pur proveniente da culture e Paesi anche assai <strong>di</strong>stanti<br />

dai nostri, potrà apprezzarne e con<strong>di</strong>viderne la forte e sottesa istanza <strong>di</strong> giustizia e, con<br />

essa, la ragione <strong>di</strong> tutte le regole e <strong>di</strong> tutti i principi che il popolo italiano si è dato.<br />

Credo che la coscienza <strong>di</strong> questo snodo sia davvero importante. Le celebrazioni <strong>di</strong><br />

questa giornata non possono essere occasioni <strong>di</strong> commemorazione autoreferenziale.<br />

Esse devono, viceversa, aprirsi alla comunicazione fiera e libera <strong>di</strong> un’identità che non<br />

allontana, che non separa, che non <strong>di</strong>vide, ma che, per sua stessa proiezione ideale,<br />

accomuna, avvicina, unisce in un patto <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza che, prima che essere concepito<br />

soltanto sulla <strong>di</strong>scendenza o sulla trasmissione generazionale, si qualifica per essere<br />

attraversato dalla con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> orizzonti pluralisti, aperti e solidali. Perché tutti<br />

coloro, italiani o stranieri, giovani o vecchi, che si trovino ad assistere a queste


manifestazioni possano davvero <strong>di</strong>re, con orgoglio, <strong>di</strong> non potersi non sentire più<br />

italiani <strong>di</strong> quanto non lo fossero prima.

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