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Leopardi e la favolistica - Associazione degli Italianisti Italiani

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<strong>Leopardi</strong> e <strong>la</strong> <strong>favolistica</strong><br />

Gabriel<strong>la</strong> Guarino<br />

Dal<strong>la</strong> lettura delle pagine dello Zibaldone e delle opere giovanili di<br />

G. <strong>Leopardi</strong>, si rileva un’attrazione costante dell’ autore per <strong>la</strong> favo<strong>la</strong> e<br />

<strong>la</strong> <strong>favolistica</strong>. Nello Zibaldone il termine favo<strong>la</strong> ricorre assai<br />

frequentemente: talora designa il racconto <strong>degli</strong> antichi, talora si<br />

identifica col mito, a volte <strong>la</strong> favo<strong>la</strong> è <strong>la</strong> storia inventata, <strong>la</strong> finzione, le<br />

nugae, <strong>la</strong> novel<strong>la</strong> falsa. Col termine favo<strong>la</strong>, precisa <strong>Leopardi</strong> nello<br />

Zibaldone, P<strong>la</strong>tone definiva il suo sistema di idee. La favo<strong>la</strong> è il mezzo<br />

attraverso cui, agli uomini antichi, i saggi e<strong>la</strong>rgivano il dono del<strong>la</strong><br />

verità. Favo<strong>la</strong> è definito il mito di Prometeo che ruba il fuoco agli dei<br />

per darlo agli uomini, favo<strong>la</strong> è il mito di Amore e Psiche o il mito di<br />

Eracle bambino che uccide due serpenti. Che il mito sia favo<strong>la</strong> per<br />

<strong>Leopardi</strong> è dato certo. Da conoscitore ed abile manipo<strong>la</strong>tore del mito<br />

qual è non esita a fondere favo<strong>la</strong> e mito, in partico<strong>la</strong>re nelle Operette<br />

Morali, in cui il mito è <strong>la</strong> te<strong>la</strong> su cui tesse il suo intricato pensiero, per<br />

creare un “tessuto letterario” complesso ma omogeneo nel<strong>la</strong> sua<br />

stratificazione. Mito e favo<strong>la</strong> sono in <strong>Leopardi</strong> identificabili.<br />

Il mito è un racconto simbolico che permette l’analisi del<strong>la</strong> realtà e<br />

del<strong>la</strong> natura umana, attraverso forme ed espressioni alternative a


Gli Scrittori d'Italia – XI Congresso Nazionale dell'ADI<br />

quelle reali. Il mito è cogente ed inalterabile, esemp<strong>la</strong>re ed universale,<br />

eterno e perciò sacro. La favo<strong>la</strong> non è cogente ed inalterabile, nel<br />

tradur<strong>la</strong> può subire variationes, a differenza del mito, tuttavia è rigida e<br />

limitativa, come indica <strong>la</strong> parte conclusiva del<strong>la</strong> favo<strong>la</strong>, che è sempre<br />

costituita da una formu<strong>la</strong> rituale d’impronta moralistica. La favo<strong>la</strong> è<br />

duttile e sintetica, può essere adattata ad altri generi letterari, essere<br />

trasformata e riusata, ma differentemente dal mito, che nel riuso<br />

mantiene <strong>la</strong> sua inalterabilità, <strong>la</strong> favo<strong>la</strong> può essere modificata e<br />

reinterpretata totalmente. La sinteticità è prerogativa del<strong>la</strong> favo<strong>la</strong>: il<br />

breve concetto da essa espressa e <strong>la</strong> trama coincidono con <strong>la</strong> scrittura.<br />

Strutturalmente non ha suddivisioni interne né episodi, essa coincide<br />

con un unico episodio. La favo<strong>la</strong> è soprattutto una narrazione di tipo<br />

allegorico. L’allegoria è un “metalogismo”, ossia un'operazione linguistica<br />

che agisce sul contenuto logico mediante <strong>la</strong> soppressione totale del<br />

significato di base, che deve essere riportato a un diverso livello di senso<br />

o isotopia comprensibile in riferimento a un codice segreto.<br />

Morier, considera l'allegoria un racconto di carattere simbolico o<br />

allusivo e l'avvicina al<strong>la</strong> favo<strong>la</strong> o all'apologo di tradizione esopica. La<br />

favo<strong>la</strong> - allegoria del<strong>la</strong> rana e del bue metterebbe in rapporto due<br />

mondi: mondo <strong>degli</strong> animali e mondo <strong>degli</strong> uomini.<br />

Secondo Quintiliano l'allegoria era una "metafora continuata", cioè una<br />

narrazione che si sviluppa per mezzo di numerose immagini<br />

metaforiche in successione. Molti moderni non accettano tale<br />

definizione: ad esempio A. Marchese, a proposito dell'allegoria


Gabriel<strong>la</strong> Guarino – <strong>Leopardi</strong> e <strong>la</strong> <strong>favolistica</strong><br />

quintilianea del<strong>la</strong> nave, <strong>la</strong> definisce «un insieme di simboli astratti».<br />

In ogni caso, l'accordo sul<strong>la</strong> sua definizione "moderna" è quasi<br />

unanime: l'allegoria consiste nel "dire altro" rispetto a ciò che <strong>la</strong> lettera<br />

significa, nel senso che dietro il significato di superficie (quello<br />

letterale) c'è un significato nascosto e profondo che il lettore,<br />

attraverso l'interpretazione, deve comprendere. L'allegoria ha sempre<br />

bisogno di una decodifica e di un'interpretazione in quanto lo esige il<br />

dualismo del<strong>la</strong> catena discorsiva che lo regge. L'interpretazione avviene<br />

in base al<strong>la</strong> sovrasenso, cioè sul senso adombrato che è ce<strong>la</strong>to nel senso<br />

di base del<strong>la</strong> lettera. La favo<strong>la</strong> come l'allegoria si serve di un<br />

parallelismo, che è rigido e simmetrico. La favo<strong>la</strong> è in <strong>Leopardi</strong> anche il<br />

racconto con cui gli antichi saggi, anche primitivi, educavano i popoli<br />

all’incivilimento, quando gli uomini vivevano liberi dai condizionamenti<br />

del<strong>la</strong> ragione e del progresso.<br />

La multifunzionalità nell'uso del termine favo<strong>la</strong>, appare evidente sin<br />

dalle prime pagine dello Zibaldone come è evidente <strong>la</strong> multifunzionalità<br />

nell'uso del genere favolistico in partico<strong>la</strong>re nelle Operette Morali.<br />

Riusare <strong>la</strong> favo<strong>la</strong>, così come <strong>la</strong> fonte mitica, in <strong>Leopardi</strong> significa non<br />

solo estrapo<strong>la</strong>r<strong>la</strong>, ma estrapo<strong>la</strong>r<strong>la</strong> in modo che si adatti al<strong>la</strong> sua<br />

capacità inventiva. Il mito e <strong>la</strong> favo<strong>la</strong> sono <strong>degli</strong> strumenti che l'autore<br />

usa per ritornare all'antico, alle “belle fole”, all’immaginazione e<br />

significa anche tracciare una mappa ideale di ciò che per lui<br />

rappresenta <strong>la</strong> discrasia tra antichi e moderni, tra immaginazione e<br />

sentimento e corrisponde inoltre a quel senso di vago ed indefinito a


Gli Scrittori d'Italia – XI Congresso Nazionale dell'ADI<br />

lui tanto caro. Nelle Operette Morali il genere favolistico riveste un<br />

ruolo fondamentale, anche se non emerge in modo evidente. Nel 1818<br />

scrisse che aveva in animo di dare all'Italia un nuovo tipo di prosa in<br />

cui «a lingua e lo stile essendo c<strong>la</strong>ssico e antico paresse moderno e<br />

fosse facile ad intendere e dilettevole così al volgo come ai letterati»;<br />

nel 1819 affermò di volere scrivere alcuni «dialoghi satirici al<strong>la</strong> maniera<br />

di Luciano [...] tra personaggi che si fingono vivi, ed anche volendo, fra<br />

animali»; nel 1821 annunciava: «Io cercherò di portare <strong>la</strong> commedia a<br />

quello che finora è stato proprio del<strong>la</strong> tragedia, cioè i vizi dei grandi, i<br />

princìpi fondamentali del<strong>la</strong> ca<strong>la</strong>mità e miseria umana, gli assurdi del<strong>la</strong><br />

politica, le sconvenienze appartenenti al<strong>la</strong> morale universale e al<strong>la</strong><br />

filosofia, l’andamento e lo spirito generale del secolo, <strong>la</strong> somma delle<br />

cose, del<strong>la</strong> società, del<strong>la</strong> civiltà presente» (da qui forse derivò l’idea di<br />

definire «morali» le sue future operette) e sempre nel 1821, quasi a<br />

voler giustificare per tempo quel<strong>la</strong> che sarebbe stata una tendenza<br />

abbastanza diffusa nel<strong>la</strong> sua opera di prosatore, e cioè <strong>la</strong> rievocazione<br />

di “favole antiche”, scrisse: «Io non voglio credere alle allegorie né<br />

cercarle nel<strong>la</strong> mitologia o invenzioni dei poeti o credenze del volgo.<br />

Tuttavia <strong>la</strong> favo<strong>la</strong> di Psiche, cioè dell’anima, che era felicissima senza<br />

conoscere e accontentandosi di godere, e <strong>la</strong> cui infelicità provenne dal<br />

voler conoscere, mi pare un emblema così conveniente e preciso, e nel<br />

tempo stesso così profondo del<strong>la</strong> natura dell’uomo e delle cose, del<strong>la</strong><br />

nostra destinazione vera su questa terra, del danno del sapere, del<strong>la</strong><br />

felicità che si conveniva, che unendo questa considerazione col


Gabriel<strong>la</strong> Guarino – <strong>Leopardi</strong> e <strong>la</strong> <strong>favolistica</strong><br />

manifesto significato del nome Psiche appena posso discredere che<br />

quel<strong>la</strong> favo<strong>la</strong> non sia un parto del<strong>la</strong> più profonda sapienza e cognizione<br />

del<strong>la</strong> natura dell’uomo e di questo mondo» e, ancora più<br />

esplicitamente, qualche mese dopo: «Uno dei principali dogmi del<br />

cristianesimo è <strong>la</strong> degenerazione dell’uomo da uno stato primitivo più<br />

perfetto e felice [...] Il principale insegnamento del mio sistema è<br />

appunto <strong>la</strong> detta degenerazione. Tutte, pertanto, le infinite osservazioni<br />

e prove generali o partico<strong>la</strong>ri ch’io adduco per dimostrare come l’uomo<br />

fosse fatto primieramente al<strong>la</strong> felicità, come il suo stato perfettamente<br />

naturale, che non si trova mai nel fatto, fosse per lui il solo perfetto,<br />

come quanto più ci allontaniamo dal<strong>la</strong> natura tanto più diveniamo<br />

infelici [...]». Nello Zibaldone egli accusa Pignotti, autore di una raccolta<br />

di favole e novelle che si ispira ai favolisti francesi ed inglesi del 1700, di<br />

aver trasformato <strong>la</strong> favo<strong>la</strong> in satirette inurbane sul modello esopiano,<br />

adatte esclusivamente ad un pubblico adulto.<br />

Le favole, infatti, si erano trasformate, nel corso del 1700, in<br />

componimenti carichi d’ invettive e polemiche indirizzate ad un<br />

pubblico adulto, in cui si deridevano i vizi e <strong>la</strong> corruzione <strong>degli</strong> uomini,<br />

argomenti troppo impegnativi e poco adatti ad allietare le orecchie dei<br />

più piccini. Le favole di Pignotti sono apprezzabili per <strong>la</strong> cura e <strong>la</strong><br />

ricercatezza stilistica, ma in esse è svanito il fine del<strong>la</strong> favo<strong>la</strong>, allietare,<br />

con il mezzo del dolce e del<strong>la</strong> similitudine, i giovani. Tuttavia nelle<br />

Operette Morali, <strong>Leopardi</strong> riutilizza con finalità satiriche e polemiche il<br />

genere favolistico proprio come fa il Pignotti, discostandosi dal


Gli Scrittori d'Italia – XI Congresso Nazionale dell'ADI<br />

quest'ultimo nel<strong>la</strong> scelta dei protagonisti, che egli non rileverà più dal<br />

mondo animale, come precedentemente aveva ipotizzato, poiché per<br />

<strong>Leopardi</strong> l’animale non poteva rappresentare adeguatamente <strong>la</strong> società<br />

umana. Anche per <strong>Leopardi</strong> <strong>la</strong> favo<strong>la</strong> riveste finalità pedagogiche e<br />

serve ad educare i bambini. Le favole sviluppano <strong>la</strong> fantasia del<br />

fanciullo e <strong>la</strong> creatività, attraverso gli ammonimenti e gli insegnamenti<br />

rispondono a finalità paidetiche e morali, conservando viva<br />

l’interazione tra oralità e scrittura, riescono a mantenere viva<br />

l'attenzione del lettore, a stimo<strong>la</strong>re <strong>la</strong> fantasia, a non stancare chi le<br />

ascolta, anche grazie al<strong>la</strong> loro sinteticità.<br />

<strong>Leopardi</strong> stesso, fu autore, in età giovanile, di favole, realizzate sul<br />

modello di Aviano, autore che le edizioni settecentesche di Fedro<br />

recuperavano quasi sempre, e sul modello di Roberti. Le favole scritte<br />

da <strong>Leopardi</strong> sono sei: Il sole e <strong>la</strong> luna, L’Asino e <strong>la</strong> Pecora, l’Ucello, il<br />

Pastore e <strong>la</strong> serpe, I filosofi e il cane, Laena leo et pastor.<br />

Il sole e <strong>la</strong> luna probabilmente si ispira al De vento et sole di Aviano, il<br />

quale a sua volta si rifà al<strong>la</strong> favo<strong>la</strong> di Esopo intito<strong>la</strong>ta Il vento e il sole. La<br />

morale è <strong>la</strong> stessa nei tre autori: <strong>la</strong> superbia viene sempre punita e <strong>la</strong><br />

presunzione è sempre sconfitta. <strong>Leopardi</strong> sostituisce al vento <strong>la</strong> luna, <strong>la</strong><br />

quale entra in competizione col sole, nel<strong>la</strong> convinzione di essere a lui<br />

superiore ed infine dal sole verrà oscurata. La superbia è il male<br />

peggiore che affligge l’uomo e l’umiltà è <strong>la</strong> più cara e stimata virtù. La<br />

presenza assidua del<strong>la</strong> luna già si manifesta nel<strong>la</strong> produzione giovanile.<br />

<strong>Leopardi</strong> è il poeta del<strong>la</strong> luna, il poeta che ha dato al<strong>la</strong> luna versi


Gabriel<strong>la</strong> Guarino – <strong>Leopardi</strong> e <strong>la</strong> <strong>favolistica</strong><br />

bellissimi, che ha fatto apparire <strong>la</strong> luna nei suoi versi in tante<br />

situazioni, in tanti modi, in tante forme e che ha riflettuto con <strong>la</strong> sua<br />

poesia sul<strong>la</strong> natura di questa luce lunare. Inoltre alcune espressioni<br />

presenti nel<strong>la</strong> favo<strong>la</strong>, sembrano preannunciare alcuni stilemi propri<br />

del<strong>la</strong> futura lirica leopardiana: il pallido splendor diffuso dal<strong>la</strong> luna,<br />

richiama le suggestive, future descrizioni del<strong>la</strong> sua compagna<br />

prediletta, <strong>la</strong> luna appunto. L'Asino e <strong>la</strong> Pecora è realizzata sul modello<br />

di Esopo, il quale scrisse L'Asino e <strong>la</strong> volpe. <strong>Leopardi</strong> sostituisce al<strong>la</strong> volpe<br />

<strong>la</strong> pecora. La favo<strong>la</strong> è stata proposta anche da Gabriele Faerno, scrittore<br />

di favole del 1500, <strong>la</strong> cui raccolta è presente nel<strong>la</strong> biblioteca leopardiana<br />

e non è da escludere come possibile fonte di cui il giovane <strong>Leopardi</strong> si<br />

servì per comporre le sue favole. Gabriele Faerno è una delle fonti<br />

letterarie di Pignotti. Sul modello di una favo<strong>la</strong> originale del Faerno,<br />

Giove e l'Affittuario, Pignotti infatti scrisse <strong>la</strong> favo<strong>la</strong> omonima presente<br />

nel<strong>la</strong> sua raccolta intito<strong>la</strong>ta Favole e Novelle.<br />

Nel Seicento e nel Settecento i filosofi si divertirono a volte a travestire<br />

da favole i loro alti concetti sull’uomo e sul<strong>la</strong> società. Il Settecento,<br />

secolo dell’Illuminismo e dell’educazione, fu l’età aurea del<strong>la</strong> favo<strong>la</strong>, <strong>la</strong><br />

cui teoria fu allora formu<strong>la</strong>ta da Lessing (1759). Si pensi al A. Berto<strong>la</strong>,<br />

autore di un Saggio sopra le favole ( 1788 ), Pignotti e GiamBattista abate<br />

conte Roberti, che <strong>Leopardi</strong> cita nello Zibaldone: «Notano (Roberti<br />

favo<strong>la</strong> 62 nota) che le femmine <strong>degli</strong> uccelli generalmente son meno<br />

belle dei maschi e se ne fanno maraviglia: e ciò perchè nell’uomo pare<br />

il contrario. Poca riflessione. Noi siamo uomini e <strong>la</strong> femmina ci par più


Gli Scrittori d'Italia – XI Congresso Nazionale dell'ADI<br />

bel<strong>la</strong> del maschio, alle donne pare il contrario, agli uccelli maschi certo<br />

par più bel<strong>la</strong> <strong>la</strong> femmina, e alle femmine l’opposto. Che se ci fosse un<br />

altro animale ragionevole che come noi giudichiamo <strong>degli</strong> uccelli, così<br />

potesse giudicare del<strong>la</strong> specie umana, non è dubbio che per perfezione<br />

vistosità ec. rispettiva di forme ec. ec. darebbe <strong>la</strong> preferenza al maschio,<br />

e chiamerebbe più bello l’uomo che <strong>la</strong> donna, che da noi tuttavia si<br />

chiama il “bel sesso”». Le osservazioni leopardiane sul<strong>la</strong> favo<strong>la</strong> citata, il<br />

cui titolo è Le uccellette dinanzi a Giove, rilevano un atteggiamento<br />

filosofico - scientifico verso i soggetti del<strong>la</strong> <strong>favolistica</strong> tradizionale,<br />

analizzata criticamente e rigorosamente, al fine di evidenziare<br />

incongruenze narrative. L’atteggiamento di <strong>Leopardi</strong> verso <strong>la</strong> <strong>favolistica</strong><br />

tradizionale è di emu<strong>la</strong>zione, mai di sterile imitazione. Accoglie e<br />

rie<strong>la</strong>bora <strong>la</strong> tradizione, rivisitando<strong>la</strong> sempre al<strong>la</strong> luce del suo pensiero,<br />

delle sue idee, delle sue osservazioni critiche, adattando <strong>la</strong> materia<br />

letteraria alle sue teorie. Il riuso del materiale favolistico, è simile al<br />

riuso del mito nelle Operette Morali: mito e favo<strong>la</strong> diventano<br />

instrumenta per esplicare le proprie convinzioni, materia da p<strong>la</strong>smare<br />

per dimostrare il suo pensiero. La favo<strong>la</strong> di <strong>Leopardi</strong> intito<strong>la</strong>ta l’Ucello è<br />

stata realizzata sul modello dei Fringuelli dell’ abate Giambattista<br />

Roberti. Mentre il Roberti, gesuita e letterato di graffiante vena satirica,<br />

che scrisse Favole esopiane e il poemetto Le perle, attraverso il suo<br />

messaggio educativo, esorta il giovane a non abusare del<strong>la</strong> propria<br />

libertà, ma a vivere con equilibrio e moderazione, in <strong>Leopardi</strong>, <strong>la</strong> libertà<br />

è il bene più prezioso per ogni uomo ed esorta il giovane a godere di


Gabriel<strong>la</strong> Guarino – <strong>Leopardi</strong> e <strong>la</strong> <strong>favolistica</strong><br />

tutti i benefici provenienti da essa. Il messaggio personale del poeta<br />

recanatese, prevale sull'emu<strong>la</strong>zione di un modello tanto ammirato, di<br />

cui però non condivide <strong>la</strong> morale. Nel<strong>la</strong> produzione successiva, il<br />

genere favolistico verrà utilizzato abbondantemente dall’autore,<br />

seppure mesco<strong>la</strong>to ad altri generi, in partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> satira. La<br />

Batracomiomachia è l'opera che meglio rive<strong>la</strong> il genio <strong>favolistica</strong> -<br />

satirico che si nasconde in <strong>Leopardi</strong>. Ma nelle Operette Morali si esplica<br />

<strong>la</strong> grande capacità di <strong>Leopardi</strong> di riusare il materiale a disposizione, in<br />

una prospettiva di intertestualità e scambio osmotico tra generi<br />

letterari diversi, <strong>favolistica</strong>, satira, tra leggenda e mito, tra invenzione e<br />

realtà, tra riflessione seria e comicità.

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