4 - Consiglio Regionale della Basilicata

DOMENICANI, AGOSTINIANI,
CARMELITANI E CHIERICI
REGOLARI IN BASILICATA
NELL’ETÀ MODERNA
The present work shows how some religious orders settled in Basilicata from XVI to XIX
century particularly referring to penetration of Dominican, Augustinian and Carmelitens
friars which supported the massive and widespread Franciscan presence. Monasteries became
important places for social and religious aggregation, carrying aut a system of devotional
“custom” and of social relationships with local communities. During XII century other
religious orthers as Somaschi and Jesuit were present with specific and well-defined roles:
the former devoted themselves to education of laical and clerical youth from Melfi; the latter,
on the contrary, went along Basilicata as missionaries aiming at religious acculturation
of rural population. Jesuit particularly ran the “Real Collegio” of Basilicata in Potenza
from 1852 to 1860 devoting themselves to cultural and religious education of young people
from “Lucania”.
Nel corso del XVII
secolo, sullo slancio
del movimento
di “riforma delle membra”
1 che investì la vita religiosa
italiana dalla seconda
metà del Quattrocento,
anche in Basilicata
appare ben delineato un
articolato e ampio reticolo
d’istituzioni regolari
maschili che viene a completare
il processo di organizzazione
territoriale, avviato
dagli Ordini Mendicanti
sul finire del XIII secolo,
e si inserisce all’interno
di un sistema monastico
il cui massimo
splendore si era avuto
nell’Alto e Basso Medioevo
con l’incontro fra la
grande tradizione monastica
greca e quella latina 2 .
Una fitta rete di monasteri,
conventi e conventini,
infatti, costella il territorio
lucano durante tutta
l’età moderna: le nuove
forme di vita religiosa che
si sviluppano a partire dal
XIII secolo con il fiorire
degli Ordini Mendicanti
(Francescani, Domenicani,
Agostiniani e Carmelitani)
intraprendono la loro
opera in un terreno dissodato
spiritualmente dai
monaci, tanto è vero che
molti conventi delle nuove
famiglie religiose sono
antiche dipendenze monastiche
rimaste prive dei
loro originari abitatori.
Se capillare e massiccia
è la presenza dell’Ordine
Francescano nella diversificata
articolazione dei
suoi rami (Conventuali,
Osservanti, Riformati,
Cappuccini), come i numerosi
studi hanno già
posto in luce 3 , ben presto
ai discepoli di S. Francesco
si affianca la penetrazione
degli altri Ordini
Mendicanti, prima dei
Domenicani e degli Agostiniani,
successivamente
dei Carmelitani. Le nuove
famiglie si concentrano,
così come i Francescani,
— 217 —
inizialmente nelle sedi vescovili
per poi diramarsi
negli altri centri della regione
secondo una dinamica
insediativa che privilegia
soprattutto i confini
regionali, particolarmente
quello orientale, ed è condizionata
dall’intreccio di
vari fattori, politici, sociali
e religiosi, dal peso di
elementi territoriali o da
parametri demografici
che stanno alla base
dell’insediamento dei singoli
Ordini.
I DOMENICANI
I frati predicatori domenicani,
al pari dei francescani,
arrivarono in Basilicata
dalla limitrofa Puglia
verso la metà del Trecento
all’epoca del vasto
apostolato del Beato Nicola
Paglia che si spinse fino
a Matera dove fondò il
convento di S. Domenico
che dal 1671 divenne
un’importante sede di noviziato.
di Maria Antonietta Rinaldi

Altri conventi sorsero
prima a Venosa e, poi, nel
corso del Quattrocento a
Montemurro, Atella e
Ferrandina 4 .
Il convento di Ferrandina
nel 1589 divenne casa
di noviziato e dal 1652 un
importante luogo di formazione
per i giovani avviati
allo studio e al sacerdozio,
anche se lunghe e
tormentate furono le vicende
dell’insediamento
dei padri, costretti a trasferirsi
dall’iniziale dimora
benedettina di Ognissanti
di Uggiano al nuovo
convento di S. Maria di
Loreto di Ferrandina, la
cui apertura fu concessa
da Leone X dopo la distruzione,
operata da Federico
D’Aragona, del castello
e degli insediamenti
sparsi nel territorio di Uggiano
e il trasferimento
degli abitanti a Ferrandina
5 .
Il convento dal 1597 al
1630 fu aggregato alla
Congregazione della Sanità
che mirava a riformare
i conventi della provincia
del Regno, a partire da
quello di Capodimonte di
Napoli da dove essa ebbe
inizio 6 .
Agli inizi del Cinquecento
in Basilicata vennero
istituite altre fondazioni
domenicane, come
quella di Grottole, insieme
ai piccoli “locus” di
Senise, Tursi e S. Chirico.
Tra il finire del XVI secolo
e gli inizi del XVII sorsero,
poi, altre case ad
Avigliano, Moliterno, Vaglio
e, forse, Ruoti, anche
se su alcune date di fondazione,
come per Avigliano,
gli studiosi non
sono concordi, così come
su una probabile ma sporadica
presenza a Lavello 7 .
Un dato inequivocabile
è che la distribuzione de-
Tricarico (Mt): Chiesa di S. Maria del Monte Carmelo
(Foto Antonio Mazzone)
gli insediamenti domenicani
si articola secondo
un reticolo dalle maglie
estremamente larghe ed è
favorita dai rapporti intessuti
con i vescovi delle
varie diocesi, i quali, soprattutto
nei decenni successivi
al Concilio di
Trento, affidarono a questi
religiosi mansioni molto
delicate, chiamandoli
anche come teologi personali
e utilizzandoli per
l’insegnamento nei seminari.
Un esempio è la casa di
Melfi, fondata nel 1727
grazie all’intervento del
Vescovo Orsini per dare
nuovo impulso e stabilità
all’opera evangelizzatrice
e didattica iniziata già nel
— 218 —
secolo precedente, finalizzata
alla diffusione del
Rosario e all’esercizio delle
mansioni di teologi
personali del Vescovo Spinelli
8 .
I Domenicani, in ogni
caso, pur ampliando fra il
Cinquecento ed il Settecento
la loro rete insediativa
non costituirono mai
in Basilicata una provincia
autonoma ed i conventi
citati furono inglobati,
insieme a quelli di
Altamura e Gravina, nella
“Nazione Basilicata” che
insieme alla Capitanata,
la Barese, la Tarantina e
l’Otrantina formavano la
circoscrizione della Provincia
di S. Tommaso di
Puglia 9 . Infatti l’esiguità
numerica e patrimoniale
delle comunità sorte nel
Materano, Melfese e Potentino,
nonché la natura
aspra ed inaccessibile delle
terre non favorirono la
formazione di una provincia
autonoma, caso
non unico nell’ordinamento
giuridico e amministrativo
dell’Ordine,
anche se le iniziative prese
dai Domenicani per moltiplicare
gli insediamenti
rivela un certo attaccamento
dei padri predicatori
per questa regione.
Non meraviglia, pertanto,
che essi accettarono come
“locus” edifici piccoli, dislocati
in luoghi deserti e,
pertanto, non idonei ad
accogliere i religiosi di
passaggio, come Senise e
Vaglio che furono soppressi
insieme a Tursi, S.
Chirico e Ruoti dal decreto
innocenziano del 1652
che stabiliva la chiusura
dei piccoli conventi dove
l’esiguo numero dei religiosi
non consentiva l’espletamento
di quegli esercizi
conventuali secondo
i quali si espletava la
vita religiosa di comunità
10 .
In ogni caso al di là del
numero degli insediamenti,
la presenza e l’azione
dei Domenicani fu
vitale per il tessuto socioreligioso
della Basilicata.
Basti pensare all’ampia attività
di apostolato svolta
attraverso l’impegno nella
predicazione e nella diffusione
di numerose confraternite
del Rosario: a tal
proposito emblematica è
la relazione ad limina del
1675 in cui il Vescovo di
Tricarico loda i Domenicani
di Montemurro che
ogni giorno nella loro chiesa
promuovevano la recita
del Rosario e predicavano
“con grande concorso

di popolo e salvezza delle
anime” 11 .
GLI AGOSTINIANI
L’insediamento degli
Agostiniani in alcuni centri
lucani si realizza, invece,
fra il XIV e il XVI secolo
e si collega all’espansione
dell’Ordine nelle
province limitrofe.
Infatti il nuovo Ordine,
nato nel 1256 dalla fusione
di vari nuclei di eremiti,
già nella seconda metà
del XIII secolo annoverava
l’esistenza di nove province,
fra cui quella del
Regno dalla quale agli inizi
del Trecento si staccarono
i conventi pugliesi,
formando la provincia di
Puglia 12 .
Da Napoli gli Agostiniani
si mossero verso
l’area di confine tra il Cilento
e la Basilicata mirando
ad occupare gli spazi
lasciati liberi da francescani
e domenicani.
Infatti nell’area nordoccidentale
troviamo a
Pescopagano il convento
dei Santi Cosimo e Damiano,
di cui non si conosce,
però, l’anno di
fondazione e che, invece,
per la povertà delle entrate
fu chiuso con il decreto
innocenziano del 1652.
Ben presto, dopo l’istituzione
della provincia
pugliese, sorsero fra il
XIV ed il XVI secolo alcune
fondazioni nella zona
nord-orientale vicino
alla Puglia. Le prime furono
Venosa e Melfi anche
se incerto è l’anno di
erezione dei due conventi:
in quello di Venosa,
che probabilmente risale
al 1345, vi era una cappella
con l’immagine della
Madonna della Libera,
eretta nel 1488 in ricordo
del fatto che la città, per
la sua intercessione, era
— 219 —

Tricarico (Mt): Chiesa di S. Maria del Monte Carmelo, affreschi dei Ferro, 1612-1616
(Foto Antonio Mazzone)
stata liberata dalla peste
13 ; invece del convento
di Melfi sappiamo solo
che risultava incorporato
alla provincia pugliese ed
era sede di noviziato. Esso,
infatti, possedeva una
biblioteca comunitaria,
ricca di testi teologici e filosofici
che dovevano servire
come strumenti di
studio e di lavoro per i
giovani che si avviavano
alla vita religiosa, a differenza
degli altri conventi
quali Atella, Matera e
Montescaglioso dove i religiosi
possedevano solo
pochi libri nelle loro celle,
quali la Bibbia, i Santi Padri,
i breviari e qualche
compendio dell’arte esorcistica
14 . Questi ultimi insediamenti,
insieme a
Maschito e Montepeloso,
si svilupparono più tardi
secondo la ricostruzione
formata da B. Van Luijk,
anche se i dati relativi ad
alcune fondazioni non sono
del tutto attendibili 15 .
Sullo scorcio del Cinquecento
nella zona sud-
orientale vicino alla Calabria
sorsero, poi, alcune
fondazioni della nuova
Congregazione agostiniana
Osservante dei Coloriti
fondata nel 1545 da un
prete-eremita Bernardo
Milizia da Rogliano, che
conduceva una vita austera
con alcuni compagni
nell’eremo di Colorito,
vicino a Morano Calabro,
dove si venerava anche
una Madonna sotto questo
titolo.
Infatti negli ambienti
agostiniani agli inizi del
Cinquecento era diffusa
l’esigenza di introdurre la
riforma già avviata in altre
regioni d’Italia per frenare
la decadenza morale e disciplinare
che si era andata
propagando nell’Ordine
e propugnare una osservanza
più rigida della
regola di S. Agostino. Il
movimento dell’Osservanza
era stato introdotto
in Calabria da Francesco
Marino da Zumpano che
aveva fondato la Congregazione
degli Zumpani,
— 220 —
approvata nel 1509. Essa
ebbe un rapido sviluppo e
a metà Seicento contava
42 conventi, mentre l’altra
Congregazione dei
Coloriti, che si limitava a
solo tre insediamenti in
terra calabra (Morano,
Mormanno e Cassano) si
propagò maggiormente in
Basilicata nell’area sudorientale
ai confini con la
stessa Calabria 16 . Infatti,
in queste zone, a metà
Cinquecento sorsero alcuni
insediamenti come ad
Episcopia, Viggianello,
Moliterno, Colobraro,
Chiaromonte, anche se di
tutti non si conosce l’anno
di fondazione.
In particolare sappiamo
che nel 1597 fu eretto a
Viggianello il convento di
S. Maria del Loreto proprio
dal fondatore della
congregazione, padre Bernardo
da Rogliano, con
l’assenso del vescovo Giulio
Caracciolo ed il beneplacito
del conte della Saponara,
Ferrante San Severino
padrone di quella
terra. Sempre a Viggianello
fu costruito nel 1630,
con il favore del vescovo e
del conte, l’altro insediamento
di S. Niccolò “sub
nomine hospitii seu valetudinarii”
per maggiore
comodità dei frati ammalati
di Santa Maria del Loreto.
A Colobraro, invece, la
congregazione di Colorito
si insediò nel 1634, con il
beneplacito del vescovo e
dell’Università, per mantenere
aperta all’esercizio
del culto la chiesa di S.
Maria della Neve “di gran
frequenza”.
Anche ad Episcopia il
convento dedicato a S.
Maria della Neve fu fondato
nel 1610 con il consenso
del barone Francesco
Antonio della Porta e
del vescovo monsignor
Bernardo Giustiniani.
A Chiaromonte, invece,
i frati agostiniani, chiamati
nel 1628 per devozione
dal R.D. Carlo Sanseverino,
ricevettero i beni
dall’Università dal momento
che non vi erano
altri conventi mendicanti
e si stabilì che “in pertetuo”
si celebrasse in quel
convento la messa quotidiana
per l’anima dei benefattori.
Infine, a Moliterno, il
convento di S. Antonio di
Vienna si insediò nel palazzo
di don Giovanni
Battista Galleotto, canonico
regolare di S. Antonio
di Vienna della terra
di Moliterno. 17
Pertanto anche le fondazioni
agostiniane della
Congregazione di Colorito
sorsero, come era avvenuto
per i primi insediamenti
agostiniani, grazie
al favore delle Università
o dei signori locali per far
fronte alla mancanza di
assistenza spirituale da

parte del clero secolare e
divennero poli di irradiazione
di un’intensa attività
liturgica, pastorale e
caritativa.
D’altro canto la chiamata
dei primi Agostiniani
nel XIII secolo a Montepeloso
e a Matera era
stata favorita dai vescovi
delle due diocesi per far
fronte ad un fattivo impegno
pastorale: non a caso
il convento di S. Maria
delle Grazie, come quello
di Montescaglioso, fu
eretto nella città a differenza
delle altre comunità
agostiniane che si insediavano,
in genere, al di fuori
del perimetro urbano o
contigui alle mura, per
contemperare l’osservanza
regolare con l’esercizio del
culto e della pratica liturgica.
Infatti l’intento primigenio
di vivere una vita
puramente contemplativa
in eremi solitari da parte
del nascente Ordine Agostiniano
fu circoscritto ad
un impegno di povertà
mentre si dilatava sempre
più la dimensione apostolica.
Nella relazione “ad limina”
del 1589, ad esempio,
il vescovo di Montepeloso
afferma che i “padri agostiniani
fanno a gara a
predicare la parola di
Dio” 18 , come d’altro canto
anche i membri della
congregazione agostiniana
di Colorito, che dovevano
mirare ad un’austera
organizzazione di vita comunitaria
basata sulla povertà,
su pratiche ascetiche
penitenziali e su una
forte devozione alla Madonna,
avevano l’obbligo
di predicare senza accettare
elemosine e di svolgere
tale ministero “più con
buona vita e buon esempio
che con la dottrina” 19 .
Gli interventi innocenziani
indebolirono, però,
il tessuto insediativo degli
Agostiniani che videro
soppressi gli insediamenti
di Atella e Pescopagano
unitamente a quelli di
Moliterno e Colobraro
della Congregazione dei
Coloriti: quest’ultima fu,
in seguito, definitivamente
sciolta con la conseguente
soppressione anche
degli altri conventi di
Episcopia, Chiaromonte e
Viggianello 20 . I più antichi
conventi di Atella e
Venosa rimasero, invece,
aperti sotto la giurisdizione
degli Ordinari diocesani,
così come avvenne anche
per quello dei Carmelitani
di Venosa 21 .
I CARMELITANI
La presenza dei Carmelitani
in Basilicata fu molto
più limitata e tardiva:
nel corso del Seicento,
troviamo segnalati dai vescovi
solo alcuni insediamenti;
quali Venosa, Melfi,
Matera, Genzano, Tricarico
e Barile 22 .
La diffusione di questi
insediamenti fu dovuta,
probabilmente, alla spinta
derivante dall’espansione
nell’età post-tridentina
della provincia pugliese
lungo le vie principali di
comunicazione. Infatti il
convento di Venosa fu costruito,
forse, a servizio
dei frati intineranti ma,
soppresso con il decreto
innocenziano, passò sotto
la giurisdizione del vescovo
23 .
Anche a Tricarico è probabile
che l’arrivo dei
Carmelitani sia avvenuto
tra il 1588 e il 1605, anno
in cui il Maestro priore
confermò ai Carmelitani
— 221 —
la possibilità di ristrutturare
un’antica chiesa per
edificarvi un convento dei
Carmelitani Scalzi, il ramo
che nel 1593 si era reso
autonomo da quello
dell’antica osservanza sotto
la spinta del potente
impulso riformatore di S.
Teresa di Gesù 24 .
Il convento di Tricarico
venne, pertanto, a far parte
della Provincia di Terra
di Lavoro ed ebbe un ruolo
di primo piano nell’ambito
della Provincia
di appartenenza.
Ben presto nel 1612 il
Capitolo provinciale ufficializzò
anche le nuove
fondazioni di Matera,
Melfi e Grassano e assegnò
loro i primi priori. In
virtù del decreto innocenziano
sia Grassano che
Matera furono soppressi,
anche se quest’ultimo fu,
poi, inglobato nel Seminario
dal Vescovo Lanfranchi
25 e sopravvissero
solo le fondazioni di Tricarico
e Melfi.
LE CONGREGAZIONI DEI
CHIERICI REGOLARI: I
SOMASCHI E I GESUITI
All’articolata e variegata
presenza delle famiglie
mendicanti si affianca a
partire dagli inizi del Seicento
la sporadica attività
delle nuove Congregazioni
dei Chierici regolari,
quali i Somaschi e i Gesuiti
che realizzavano la
loro edificazione personale
attraverso un’intensa
operosità apostolica con
particolare impegno nel
campo dell’istruzione.
I Somaschi furono chiamati
a Melfi nel 1618 dal
vescovo Placido Della
Marra “per ammaestrare
la gioventù laicale e cleri-
cale nelle belle lettere e
costumi cristiani” 26 , e,
poi, furono utilizzati anche
dal successore Lazzaro
Carafino per istruire gli
alunni del locale seminario,
il quale ebbe vita
stentata nonostante la
presenza ed il contributo
dei Somaschi che rimasero
in città fino alla venuta
degli Scolopi nel 1699 27 .
Il fugace passaggio dei
Gesuiti in Basilicata è, invece,
attestato da alcune
missioni da loro svolte nel
Potentino, nelle diocesi di
Tricarico e di Anglona e
Tursi nel corso del Seicento
e del Settecento.
Infatti alcuni missionari
giunsero nel 1614 a Vietri
di Basilicata, a Missanello
e Gallicchio nel 1618, a
Tricarico nel 1680, a Potenza
nel 1686; altri padri
furono chiamati, invece,
dal vescovo di Anglona e
Tursi nei primi decenni
del Settecento 28 .
Le poche relazioni inviate
dai “Preti di Gesù”
forniscono un quadro,
certamente, non roseo
della realtà socio-religiosa
della Basilicata vista, al
pari delle altre aree interne
e rurali del Mezzogiorno,
come una delle “Indie
di quaggiù”, le “Otras Indias”,
meta di evangelizzazione
nella prospettiva
di quell’invasione missionaria
che caratterizzò
l’Europa e il Nuovo Mondo,
come traduzione del
duplice impegno tridentino
di “istruire e condurre
alla pratica della vita cristiana”
29 .
I Gesuiti cercavano nel
loro lavoro missionario di
favorire conversioni e pacificazioni,
organizzavano
processioni penitenziali,
confessioni e comunioni
generali, promuovevano
la fondazione di congre-

gazioni dedicate alla Vergine,
che avevano lo scopo
di rafforzare in “loco” i
frutti delle missioni attraverso
un’intensa devozione
mariana.
I membri dei sodalizi
avevano l’obbligo di unirsi
nei giorni festivi a comunicarsi
ogni mese e recitare
in chiesa, a “chori”
la 3 a parte del S. Rosario.
Il sodalizio dei Sette
Schiavi della Vergine a
Tricarico, ad esempio, era
solito anche fare una processione
penitenziale ed i
suoi membri per impetrare
il perdono “camminavano
incatenati con una
lunga corda da S. Francesco
al Vescovado passando
per le strade e piazze pubbliche
senza cappello e
collare” 30 .
Anche nella prima metà
dell’Ottocento vi furono
diverse missioni nell’area
del Potentino (a Potenza,
a Venosa, a Maschito, a
Forenza e a Lavello), in
quanto, per un breve periodo,
dal 1852 al 1860, i
Gesuiti ebbero una residenza
stabile a Potenza,
essendo stato loro affidata
la cura del Real Collegio
di Basilicata.
Infatti l’esperienza positiva
avutasi nella città di
Potenza durante gli esercizi
spirituali tenuti da
due gesuiti, il padre Palomba
e il padre D’Amico
del collegio di Salerno,
aveva sollecitato la popolazione
e, soprattutto, il
vescovo Pieramico ad ottenere
una presenza stabile
della Compagnia che, a
suo avviso, avrebbe giovato
molto all’educazione
— 222 —
della gioventù e alla vita
religiosa della diocesi 31 .
D’altro canto dopo i
moti del ’48 che avevano
visto come protagonista
anche il Rettore del Real
Collegio, Francesco Paolo
Coronati, il Sovrano fu
ben favorevole alla scelta
dei Padri di Gesù per la
gestione dell’Istituto 32 .
In verità molte furono
le difficoltà per un’idonea
sistemazione dei Padri in
quanto il palazzo Loffredo
che ospitava il Real
Collegio era così angusto
da non consentire la presenza
di più di tre o quattro
padri ed era privo di
una chiesa.
Si poneva, pertanto, la
necessità di un ampliamento
della struttura o di
un trasferimento nei locali
del Tribunale che offri-
vano il vantaggio di una
maggiore capienza per i
convittori e la presenza
della chiesa annessa di S.
Francesco.
Ma, scartata questa possibilità,
e annullato il decreto
di trasferimento del
Real Collegio ad Avigliano
nei locali dell’ex-convento
dei Padri Domenicani,
che, comunque, dovevano
essere riadattati,
fu stabilito da parte della
Deputazione Provinciale
la costruzione di un nuovo
edificio e fu erogata la
somma di ducati 5000
per sette anni 33 .
Un primo progetto del
collegio e della chiesa, redatto
dall’ingegnere Marino
Massari che aveva già
ristrutturato negli anni
trenta il palazzo Loffredo,
fu inviato a Roma, ma in
realtà, come sottolineava
il padre provinciale Fava
al Generale della Compagnia,
esso era molto dispendioso
ed eccessivamente
grandioso perché
prevedeva, tra l’altro, un
maestoso portico verso la
città.
Fu, pertanto, ben presto
sostituito da quello preparato
dal padre Giovanni
Iazzolla, che era stato
chiamato nel 1850 per un
consulto a Potenza. Questi,
dopo aver ispezionato
la zona, stabilì che il collegio
fosse da costruire in
un nuovo sito sul versante
meridionale, prendendo a
modello il disegno di palazzo
Pitti di Firenze, nonostante
alcune riserve
sulla grandiosità anche di
questo progetto fossero
avanzate dal Provinciale 34 .
Solo dal ’52 si diede avvio
ai lavori che proseguirono
con estrema lentezza
e in attesa che il nuovo
fabbricato fosse abitabile,
si dispose di riaprire il

vecchio edificio di Palazzo
Loffredo, dopo alcuni lavori
di ampliamento.
Già prima di iniziare la
costruzione del nuovo
edificio, comunque, i Gesuiti
avevano aperto le
scuole pubbliche e continuarono
a svolgere la loro
attività didattica fino al
1857, quando per il terremoto
che rese inagibile
l’edificio, i convittori furono
trasferiti nei collegi
di Salerno e Bari. Pochi
padri rimasero a Potenza
per sovrintendere ai lavori
del nuovo edificio e prestare
soccorso materiale e
spirituale ai terremotati 35 .
D’altro canto i Gesuiti
avevano, sin dall’inizio
del loro arrivo, affiancato
all’impegno didattico
quello apostolico dando il
loro aiuto per le confessioni
e la predicazione in
quelle chiese dove erano
richiesti.
Nelle Domeniche e nei
giorni festivi si dedicavano
all’insegnamento della
Dottrina cristiana e dirigevano
la Congregazione
di S. Spirito che, in base
al rescritto regio del 1821,
veniva eretta in tutti i comuni
più popolosi per gli
studenti.
La Congregazione, in
mancanza di una chiesa
dei Gesuiti, si riuniva nella
chiesa della Congrega
di S. Nicola e vide la frequenza
di numerosi studenti,
almeno fino al
1857, quando i padri cominciarono
ad avere difficoltà
nella gestione del
Real Collegio sia per problemi
finanziari sia per il
terremoto. Infatti nell’istituto
dal 1857 rimasero
solo 3 padri e due coordinatori
che abbandonarono
completamente la
città in seguito alla dimostrazione
fatta dagli insor-
Irsina (Mt): Chiesa e convento di S. Agostino
(da MICHELE CALIA, Irsina nella storia e nell’arte, a cura della Proloco, Altamura 1998, pag. 172)
ti fra il 28 e il 29 giugno
del 1860 sotto le porte e
le finestre del Real Collegio
36 .
La breve e transitoria
permanenza dei Gesuiti
nel Real Collegio di Basilicata,
così come il fugace
passaggio nelle loro “scorrerie
spirituali”, non poté
avere un’incidenza notevole
sulla vita religiosa e
culturale della città di Potenza
e del suo hinterland,
a differenza dell’azione
più feconda svolta
dalla massiccia presenza
francescana che insieme a
quella degli altri Ordini
mendicanti (Agostiniani,
Domenicani e Carmelitani)
costituì, per tutta l’età
moderna, un importante
polo di aggregazione sociale
e religiosa, istituendo
una rete di “clientele
— 223 —
devozionali” e di rapporti
sociali con la realtà locale.
Note
1 A. PROSPERI, Riforma Cattolica,
Controriforma, disciplinamento
sociale in Storia
dell’Italia religiosa, II, L’età
moderna a cura di G. De Rosa
e T. Gregory, Bari 1994,
pp. 26.35.
2 Sullo sviluppo insediativo
della rete dei Regolari in Basilicata
cfr. M.A. RINALDI
Gli Ordini Religiosi in Storia
regionale della Basilicata, La
Chiesa, L’età moderna a cura
di G. De Rosa e A. Cestaro
(in corso di pubblicazione).
3 Sulla presenza e lo sviluppo
dell’Ordine francescano
in Basilicata in particolare
cfr., P. COCO, I Francescani
in Basilicata in “Studi francescani
XXII (1925), Firenze
1925, pp. 2-89; M.DA CALI-
TRI, I frati minori Cappuccini
nella Lucania e nel Salernitano,
Salerno 1948 (voll. I-II);
T.PEDIO, Diocesi e comunità
monastiche in Basilicata,
Matera 1967, pp. 41-58;
M.A. BOCHICCHIO Conventi
e Ordini Religiosi mendicanti
in Basilicata nell’età
moderna. Atti del convegno
di Potenza-Matera (25-28
settembre 1975) Potenza
1977, vol. II, pp. 71-119; ID,
L’origine e lo sviluppo della
regolare Osservanza francescana
in Basilicata (1475-
1593) in “Studi francescani”
LXXIV (1977), n° 1-2, pp. 1-
96; Francescanesimo in Basilicata.
Atti del Convegno di
Rionero in Vulture (7-10
maggio 1987) a cura di G.
Bove, L. Palestina, F.L. Pietrafesa,
Napoli 1989; M.A. RI-
NALDI La presenza france

scana nella Basilicata moderna
in Ordini religiosi e
società nel Mezzogiorno moderna,
Atti del Seminario di
studio (Lecce 29-31 gennaio
1986) a cura di B.Pellegrino
e F. Gaudioso, Galatina
1987, vol. I, pp. 233-255;
Insediamenti francescani Un
repertorio per la conoscenza,
tutela e conservazione,
Matera 1988, 2 voll.
4 Sulla presenza domenicana
in Basilicata cfr. L.G.
ESPOSITO, I Domenicani in
Basilicata Ricerche e Documenti
in “Archivium fratrum
Praedicatorum LIV” (1984),
pp. 381-429; ID Immagini
dei Domenicani in Basilicata,
Calabria e Puglia. Insediamenti,
uomini e problemi
aperti in Ordini religiosi e
società cit. vol. I, pp. 85-86.
5 A tale proposito cfr. C. PA-
LESTINA, Ferrandina vol.II,
Uggiano Nomine Ferrandine
da Federico d’Aragona a
Carlo III di Borbone, Venosa,
1994, pp. 330-343.
6 Cfr. Idem, pp. 335-337.
Sulla riforma della Sanita
cfr. G. CIOFFARI-M. MIELE,
Storia dei Domenicani nell’Italia
meridionale, E.D.I.,
Napoli-Bari; 1993, vol. II,
pp. 299-304.
7 Secondo il Bochicchio il
convento di Avigliano risalirebbe
al 1290 mentre al
1587 per l’archivista Esposito
che ipotizza agli inizi del
Cinquecento anche una presenza
dei Domenicani a Lavello.
A tal proposito cfr. BO-
CHICCHIO, Conventi ed ordini,
cit, p. 93; ESPOSITO,
cit, p. 403.
8 ESPOSITO, cit, p. 398.
9 Idem, pp. 381-382.
10 Sulla soppressione innocenziana,
cfr. S. BOAGA, La
soppressione innocenziana
dei piccoli conventi in Italia,
Roma 1971.
11 ESPOSITO, cit, p. 400.
12 C. CASTELLANI, Gli insediamenti
agostiniani della
Puglia meridionale in Puglia
e Basilicata tra Medioevo ed
età moderna. Uomini, spazio
e territorio Miscellanea in
onore di C.D. Fonseca, Galatina,
1998, pp. 72-74.
13 AGA, (Archivio Generale
Agostiniano) Ii 4, f 341r; Aa
1, ff 226r-227r.
14 Idem, Ii 4 ff; 271r-276v;
CASTELLANI, cit, p. 74; Vat.
Lat. 11310 ff 309r-315r.
15 B. VAN LUJK, Le monde
augustinien due XVII e au XIX
siecle Asse, Pays Bass 1977,
p. 37. Ad esempio il convento
di Montescaglioso che secondo
Van Luijk risale al
1540 nella relazione innocenziana
viene definito
“molto antico” (cfr. AGA Ii 4,
ff 306r).
16 Sulla diffusione della Riforma
agostiniana in Calabria
cfr. M. MARIOTTI - F. AC-
CETTA, Per uno studio sulla
Riforma agostiniana in Calabria
(secc. XV - XVIII) in Geronimo
Seripando e la Chiesa
del suo tempo nel V centenario
della nascita a cura di
A. Cestaro, Roma 1997, pp.
291-353.
17 Per le notizie su questi insediamenti
cfr. AGA Ii 6/2.
18 A.S.V. (Archivio Segreto
Vaticano) Sacrae Congregationis
Conciliis, Relationes ad
limina, Montis Pelusini, 543,
anno 1589.
19 Statuti seu costituzioni della
congregazione di S. Maria
di Colorito di Morano di
Calabria citra dell’Ordine
Eremitano di S. Agostino
dell’Osservanza, Napoli
1637.
20 A tal proposito cfr. LYPYN-
SKY, Antichi conventi Agostiniani
in Calabria e Lucania
in “Archivio storico di Calabria
e Lucania” XIII (1943),
pp. 119-127.
21 A.S.V. Sacrae Congregationis,
cit, Venusin, 862a,
— 224 —
anno 1654.
22 Idem, Venusin 862a, anno
1609, Melphien 516a, anno
1616; 516b, anno 1769;
Acheruntin 5a anno 1618;
Tricaricen 813a, anno 1642.
23 A tal proposito cfr. S.
BOAGA, I carmelitani in terra
d’Otranto e di Bari in epoca
moderna (note di ricerca)
in Ordini religiosi e Società
cit, vol. I, p. 120.
24 Per le vicende del convento
di Tricarico cfr. C. BISCA-
GLIA, Il monastero di S. Maria
del Monte di Carmelo di
Tricarico e la provincia napoletana
dei Carmelitani in
“Rassegna storica lucana anno
XV n° 22, dic. 1995, pp.
37-60.
25 G. GATTINI, Note storiche
sulla città di Matera, Napoli
1882, pp. 196-340.
26 I Somaschi, a cura di L.
Mascilli Migliorini, Roma,
1992, pp. 126-130.
27 Sulle origini e le vicende
del Seminario di Melfi cfr.
G.M. VISCARDI, Il Seminario
di Melfi dalle origini all’episcopato
di Diodato Scaglia
(1590-1644) in “Rassegna
storica lucana” anno XII, n
15, gennaio 1997, pp. 93-
122.
28 A.R.S.J. (Archivio Romano
Società di Gesù) Neap. 73;
Neap. 76; Inst 74; A.S.V.
Sacrae Congregationis, cit,
Anglonen et Tursien, 49, anno
1717.
29 L. CHATELLIER, La religione
dei poveri. Le missioni rurali
in Europa e la formazione
del cattolicesimo moderno
XVI e XIX secolo. Garzanti
Milano, 1994.
30 Sull’attività di queste congregazioni
cfr. M.A. RINAL-
DI, Per una storia delle congregazioni
mariane in Basilicata
in “Quaderni” I Dipartimento
di Scienze storiche,
linguistiche, antropologiche,
Potenza, 1994, pp. 279-
299.
31 A.S.N. (Archivio Stato Napoli)
Ministero Pubblica Istruzione,
cart. 242, Lettera del
Vescovo Michelangelo Pieramico,
26 aprile 1850.
32 Sulle origini e le vicende
del Real Collegio di Basilicata
cfr. S. BRUNO, Il convitto
Nazionale Salvatore Rosa
(origini e vicende). Potenza
1961; Il Liceo Quinto Orazio
Flacco nell’Ottocento a cura
di G. Tramice, Pompei 1964;
T. RUSSO, Cultura e scuola
in Basilicata nell’Ottocento,
Milano 1955.
33 A tal proposito cfr. A.N.
S.J. (Archivio Napoletano
Società di Gesù) Historia
Collegiorum et Domorum
Provinciae Neapolitanae S.I.
Ab anno 1821 ad annum
1859 Historia Collegi Potentini
Societatis Jesu.
34 A.R.S.J. Neap. 8,I,27;
Neap. 8, I, 28.
35 Sull’attività dei Gesuiti nel
Real Collegio di Basilicata
cfr. M.A. RINALDI, Prassi educativa
e religiosa dei Gesuiti:
il Real Collegio di Basilicata
(1850-1860) in “Ricerche
di storia sociale e religiosa)
n. 52, A XXVI, Luglio-
Dicembre 1997, pp. 219-
246.
36 Ivi, p. 235.