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la riflessione di lucio d'amico sul funerale del boss pippo mulè

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Venerdì 19 Novembre 2010<br />

LA RIFLESSIONE DI LUCIO D’AMICO SUL FUNERALE DEL<br />

BOSS PIPPO MULE’: Un’omelia che <strong>di</strong>mentica chi è stato<br />

ucciso e umiliato dall’oppressione dei c<strong>la</strong>n<br />

«Poteva vivere <strong>di</strong> più, Pippo Mulè, aveva solo 53 anni. Bisogna rassegnarsi al<strong>la</strong> volontà <strong>del</strong><br />

Signore». Le parole <strong>di</strong> don Polizzi risuonano in una chiesa stracolma. Sono accorsi in tanti<br />

a San Matteo a rendere l’ultimo omaggio a uno dei <strong>boss</strong> riconosciuti <strong>del</strong> quartiere <strong>di</strong><br />

Giostra. È un’omelia <strong>di</strong>fficile, come il percorso <strong>di</strong> chi si muove su un terreno minato,<br />

sospesa tra i richiami <strong>del</strong> Vangelo («Vivete nel<strong>la</strong> verità, nel<strong>la</strong> pace, nel<strong>la</strong> giustizia») e <strong>la</strong><br />

necessità <strong>di</strong> <strong>di</strong>re qualche paro<strong>la</strong> <strong>di</strong> conforto ai familiari e ai parenti che piangono nelle<br />

prime file. «Potremmo prenderce<strong>la</strong> con le istituzioni, con <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>sanità, con <strong>la</strong> burocrazia.<br />

Ma dobbiamo rispettare il volere <strong>di</strong> Dio…». Avremmo voluto sentirne altre, <strong>di</strong> parole. «La<br />

mafia è male, il male assoluto, e chi ha vissuto <strong>di</strong> mafia, chi ha procurato morte e dolore a<br />

decine e decine <strong>di</strong> altre persone, e non si è mai pentito <strong>del</strong> suo “stile <strong>di</strong> vita”, non è degno<br />

<strong>di</strong> stare in un consesso civile». Più o meno le stesse parole ur<strong>la</strong>te nel 1993 da papa<br />

Giovanni Paolo II nel famoso “anatema”, al suo arrivo in terra <strong>di</strong> Sicilia. Avremmo voluto<br />

sentire un appello ai presenti, a quel quartiere fatto <strong>di</strong> giovani e anziani, donne e ragazzini,<br />

uniti nel dolore per <strong>la</strong> morte <strong>di</strong> chi ha ricevuto due condanne all’ergastolo per omici<strong>di</strong>o ed è<br />

stato giu<strong>di</strong>cato in decine <strong>di</strong> altri processi per associazione a <strong>del</strong>inquere, rapina, estorsione,<br />

traffico <strong>di</strong> stupefacenti, detenzione e porto d’armi. Un appello a rispettare <strong>la</strong> vita <strong>di</strong><br />

chiunque, anche quel<strong>la</strong> <strong>del</strong> <strong>boss</strong> defunto, ma a non seguire questi esempi, a ribel<strong>la</strong>rsi<br />

all’assuefazione, al<strong>la</strong> rassegnazione, all’inerzia, al<strong>la</strong> complicità. A volte le parole non<br />

vengono facili e spontanee, e allora, in quei casi, si può ricorrere a quelle degli altri per<br />

darsi forza e coraggio. Le parole, ad esempio, <strong>di</strong> don Puglisi, il prete-martire <strong>di</strong> Brancaccio,<br />

l’uomo che <strong>di</strong>alogava con tutti ma che a tutti in<strong>di</strong>cava, con rigore e fermezza, il punto <strong>di</strong><br />

demarcazione tra il bene e il male. E se neppure le parole degli altri fossero bastate, allora<br />

avremmo voluto sentire il silenzio. Sì, una lunga omelia silenziosa. Il silenzio <strong>di</strong> chi si<br />

raccoglie in preghiera, perché a tutti va data <strong>la</strong> giusta sepoltura (semplice rispetto umano,<br />

non quello “dovuto” agli “uomini <strong>di</strong> rispetto”), e <strong>di</strong> chi chiede solo l’aiuto <strong>del</strong><strong>la</strong> Misericor<strong>di</strong>a<br />

<strong>di</strong>vina. Misericor<strong>di</strong>a per chi non c’è più, per chi è stato ucciso nel<strong>la</strong> “guerra <strong>di</strong> mafia” degli<br />

anni Ottanta, per le generazioni bruciate dal<strong>la</strong> droga smerciata dai <strong>boss</strong> e dai loro affiliati.<br />

Misericor<strong>di</strong>a e perdono in nome dei commercianti umiliati e rovinati dal racket o in nome <strong>di</strong><br />

quel compagno <strong>di</strong> cel<strong>la</strong> massacrato a colpi <strong>di</strong> stampel<strong>la</strong> perché aveva osato non dare <strong>la</strong><br />

precedenza per una doccia. Ma non ci sono state le parole che avremmo voluto né il<br />

silenzio sperato. Nel<strong>la</strong> piazza, guardata a vista da cento e cento occhi, è rimbombato un


suono <strong>di</strong> frasi vuote e nul<strong>la</strong> più. Finita <strong>la</strong> “solenne concelebrazione”, s’è alzato un lungo<br />

app<strong>la</strong>uso all’uscita <strong>del</strong> feretro. Il <strong>funerale</strong> <strong>di</strong> un <strong>boss</strong> ha sempre un suo “fascino”. Tetro e<br />

cupo come il cielo all’orizzonte <strong>di</strong> Giostra.

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