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agli uomini, è Teodoro. Infatti, voi sapete che già prima era per noi un padre, dopo il<br />
nostro padre Pacomio». Detto questo si alzò e se ne andò al monastero di Seneset, dove<br />
si stabilì.<br />
140. Apa Orsiesi non aveva chiamato Teodoro in consiglio, perché diceva: «Non<br />
bisogna che pronunciamo il suo nome, perché non rifiuti, nella sua profonda umiltà».<br />
Partito apa Orsiesi i fratelli si recarono nel locale dove si trovava Teodoro; lo presero, lo<br />
abbracciarono con gioia ed allegrezza, e gli dicevano: «Veramente in te rivive per noi il<br />
padre Pacomio». A queste parole, Teodoro pianse, perché non acconsentiva ad occupare<br />
tale posizione, e perché si ricordava infatti della tristezza in cui si era trovato, dopo aver<br />
dato il proprio consenso ad altri fratelli, che in un’altra occasione gli avevano parlato<br />
del generalato. Aveva chiesto perciò al Signore di liberarlo completamente da quei<br />
pensieri per non rischiare di perdere il tempo, che aveva perso in sette anni.<br />
Teodoro passò tre giorni senza mangiare né bere e continuando a piangere. Disse ai<br />
fratelli: «Non accetterò mai, a meno di avere un incontro con l’uomo che prima ha<br />
citato il mio nome». Il quarto giorno se ne andarono al monastero di Seneset a chiamare<br />
Orsiesi. Quando questi arrivò, vi fu una nuova riunione a causa di Teodoro. Apa Orsiesi<br />
gli disse: «Siamo forse stati noi a nominarti? È stato il nostro padre che ti designa per<br />
primo, quando i ha preso per la barba dicendoti tre volte: Ricordati, Teodoro, non<br />
lasciare le mie ossa dove sono state seppellite». A queste parole, Teodoro non contestò<br />
più. Così, dopo averlo affidato ai fratelli, Orsiesi se ne ritornò a Seneset. Apa Teodoro<br />
fu stabilito nella carica, e in tutti i monasteri si rallegrarono, a quella notizia, soprattutto<br />
quelli che lo conoscevano fin dall’inizio come vero figlio di apa Pacomio, e sapevano<br />
che la sua parola aveva la grazia e il potere di guarire l’anima che soffriva.<br />
Prima catechesi di Teodoro<br />
141. Quando fece la prima istruzione, apa Teodoro si sedette e disse ai fratelli: «Ecco, il<br />
nostro padre Orsiesi si è donato tutto a noi, trascurando le proprie osservanze per la<br />
nostra formazione, perché non si disperdessero le nostre comunità, che Dio ha riunito<br />
grazie alle lacrime e alle pene del nostro padre. Ora dunque, fratelli, restiamo in un solo<br />
gruppo, e in buon ordine; correggiamoci dalla negligenza e dalla noncuranza nelle quali<br />
siamo vissuti. Non abbiamo atteso molto tempo, da che il Signore ha visitato il nostro<br />
padre, per lasciare la sua legislazione! Per questo il diavolo ha tormentato l’anima di<br />
molti di noi. Nell’Ecclesiaste, infatti, sta scritto: Chi demolisce un muro, il serpente lo<br />
morderà. Non ignorate le pene e le fatiche che il nostro padre ha sopportato, nella fame,<br />
nella sete, nelle numerose veglie, per poterci presentare puri davanti al Signore; e noi,<br />
di nostra volontà, ci siamo sottomessi al diavolo perché ci divori, così da annullare le<br />
fatiche che il nostro padre ha sopportato per noi». Mentre diceva queste cose, i fratelli<br />
piangevano molto, e il rumore dei loro pianti si levava così alto che coloro, che<br />
passavano per la strada, fuori del monastero, lo sentivano. Ogni tanto il rumore dei loro<br />
pianti cessava, e Teodoro si metteva a piangere forte; ogni tanto sospendeva con loro le<br />
lacrime per un momento; si asciugava il volto, dominandosi per non piangere. Fu così<br />
che si strappò la melote, dicendo: «Dominatevi, in modo da ascoltare le mie parole».<br />
Ricominciò a parlare: «Visto che ascoltate e piangete, lo spirito di compunzione non è<br />
ancora del tutto spento. Un morto, infatti, anche se si cerca di tagliargli le membra, non<br />
se ne accorge, perché è morto; ma se il soffio di vita è ancora in lui, è sufficiente