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VITA COPTA DI PACOMIO E TEODORO

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per aiutarle a diventare perfette».<br />

Umiltà di Teodoro<br />

135. Quando i fratelli udirono queste parole dalla bocca di apa Teodoro, ammirarono la<br />

fede che aveva in Dio, e la sua profonda umiltà: egli aveva estirpato da sé ogni male,<br />

come un agnello innocente e senza macchia. Non solo progrediva negli esercizi visibili,<br />

ma anche nei frutti dello Spirito Santo cioè l’umiltà e la sottomissione. Dal momento in<br />

cui appresero che il nostro padre apa Orsiesi era stabilito a capo della congregazione,<br />

ogni volta che interrogavano Teodoro sulla spiegazione di una parola della Scrittura,<br />

egli rispondeva con umiltà: «Non potremo trovare la spiegazione del passo, a meno di<br />

pazientare finché siamo arrivati al sud, e il nostro padre ce lo spieghi». Coloro che lo<br />

interrogavano ammiravano in questa risposta la sua profonda umiltà, perché nessuna<br />

parola della Scrittura gli sfuggiva, visto che prima di questi fatti aveva l’abitudine di<br />

istruirli mediante le Scritture. Infatti molto spesso agiva così, e si schermiva per non<br />

acquistarsi la loro confidenza, perché il cuore dei fratelli non inclinasse più verso di lui,<br />

ma verso il padre apa Orsiesi, di cui diceva: «È un uomo potente in parole ed opere».<br />

136. Dopo qualche giorno, terminarono le loro faccende nella città di Alessandria;<br />

ricevettero una lettera dell’arcivescovo destinata ad apa Orsiesi, e presero congedo da<br />

lui dicendo: «Prega per noi, atleta di nostro Signor Gesù Cristo». E in pace lo<br />

lasciarono. Quando arrivarono alla località dove stava apa Antonio, lo cercarono per<br />

fargli visita, ma furono informati che era partito per la montagna interna; navigarono<br />

allora verso sud. Se uno dei fratelli interrogava Teodoro su una parola o una tristezza,<br />

questi lo tranquillizzava dicendo: «Usiamo pazienza, finché non saremo arrivati a sud e<br />

non avremo raccontato le nostre pene al nostro padre, e il Signore per mezzo suo ci darà<br />

la pace».<br />

Quando arrivarono a sud, apa Teodoro e apa Orsiesi, come tutti i fratelli, si<br />

abbracciarono con un puro bacio. Subito apa Teodoro diede ad apa Orsiesi la lettera<br />

dell’arcivescovo. Quando l’ebbe letta, i fratelli ne ricevettero grande consolazione, per<br />

le vive parole che vi erano scritte. Poi apa Teodoro diede anche la lettera che apa<br />

Antonio aveva inviato loro ad Alessandria. I fratelli allora benedissero Dio dicendo:<br />

«Sii benedetto, in tutte le tue opere, perché ci hai dato grande credito presso i tuoi servi,<br />

grazie alle preghiere del nostro santo padre».<br />

137. Apa Teodoro, accorgendosi che i fratelli sempre più frequentemente ricorrevano a<br />

lui, ne fu addolorato, e desiderava partire per qualche monastero per un po’ di tempo,<br />

finché la posizione di apa Orsiesi si fosse pacificamente affermata. Si mise a pregare il<br />

Signore giorno e notte a questo proposito. Mentre era triste e afflitto da questa<br />

situazione, apa Macario, igumeno di Pnoum, arrivò dal nord a fare visita ad apa Orsiesi.<br />

Apa Teodoro andò a trovarlo e gli parlò da solo, raccontandogli tutta la faccenda. Gli<br />

domandò: «Vorrei che tu chiedessi ad apa Orsiesi di mandarmi al sud con te per passare<br />

qualche giorno presso di te: tu hai visto come vanno le cose in questo santo luogo». Apa<br />

Macario gli obbedì, andò a trovare il nostro padre Orsiesi e gli fece la domanda: «Vorrei<br />

che tu mandassi apa Teodoro al sud con me, finché non abbiamo cotto la nostra piccola<br />

provvista di pane: egli conosce molto bene l’arte del fornaio, di modo che i fratelli

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