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Dialoghi al <strong>Carducci</strong>-Dante<br />

3


B. BIANCHI - C. BORDIGNON - F. BRANDMAYR - V. DORDOLO<br />

M. INDRIGO - G. OLIVO - G. PELLIS - D. STROPPOLO<br />

Istituto Statale di Istruzione Superiore<br />

“Giosuè <strong>Carducci</strong> – Dante Alighieri”<br />

Trieste 2012


B. BIANCHI - C. BORDIGNON - F. BRANDMAYR - V. DORDOLO<br />

M. INDRIGO - G. OLIVO - G. PELLIS - D. STROPPOLO<br />

DIALOGHI AL<br />

CARDUCCI-DANTE<br />

pagine di cultura e didattica<br />

numero 3<br />

Istituto Statale di Istruzione Superiore<br />

“Giosuè <strong>Carducci</strong> – Dante Alighieri”<br />

Trieste 2012


Avvertenza<br />

Giunti al terzo numero, i “Dialoghi al Liceo Dante” cambiano nome<br />

in “Dialoghi al <strong>Carducci</strong>-Dante”. Dall’anno scolastico 2011-2012,<br />

infatti, il Liceo “Dante Alighieri” di Trieste ha cessato di esistere quale<br />

organismo autonomo, per fondersi con il Liceo “Giosuè <strong>Carducci</strong>”.<br />

Il presente volume, oltre che nel nome, rispecchia anche nei contenuti<br />

questa nuova realtà, essendo il frutto della collaborazione dei docenti<br />

di entrambi gli istituti scolastici, oggi denominati unitamente I.S.I.S.<br />

“Giosuè <strong>Carducci</strong>-Dante Alighieri”.<br />

Prima edizione: dicembre 2012<br />

Tutti i diritti sono riservati a norma di legge<br />

© 2012 Istituto Statale di Istruzione Superiore<br />

“Giosuè <strong>Carducci</strong> – Dante Alighieri”<br />

via Madonna del Mare 11 - 34124 Trieste<br />

www.carducci-ts.it<br />

pubblicazione realizzata da:<br />

LINT Editoriale srl - Trieste<br />

www.linteditoriale.com<br />

ISBN 978-88-8190-286-6


Indice<br />

Nota introduttiva di Daniele Stroppolo ............................. » 7<br />

Ringraziamenti..................................................................<br />

Atque in perpetuum. Omaggio a Giorgio Caproni a cent’an-<br />

» 11<br />

ni dalla nascita (Brigitta Bianchi) ....................................... » 13<br />

Esperienze di apprendimento cooperativo nella didattica<br />

dell’italiano, tra formazione professionale e attività<br />

in classe (Cristina Bordignon) .............................................<br />

Perché perivi (o tenerella)? Analisi dei tempi verbali nel<br />

» 21<br />

“grande canto” A Silvia (Marco Indrigo).......................... » 33<br />

Media e costruzione della realtà (I). Una riflessione sulla<br />

didattica e sulla ricerca nella prospettiva delle scienze<br />

sociali (Franz Brandmayr)...................................................<br />

L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione (Valentina<br />

» 41<br />

Dordolo)............................................................................... » 73<br />

Indirizzo all’attività sportiva (G. Pellis-G. Olivo) ........... » 97<br />

5


Nota introduttiva<br />

di Daniele Stroppolo *<br />

Questo terzo volume dei “Dialoghi” è figlio di una serie cospicua<br />

di cambiamenti: la scuola italiana sta subendo un processo<br />

di riforma piuttosto radicale; gli istituti scolastici proseguono le<br />

proprie esistenze secondo un percorso di evoluzione con lente<br />

eppure evidenti dinamiche; il corpo docenti di ciascun istituto<br />

si allarga, si impoverisce o se non altro cambia in qualche volto<br />

da un anno scolastico a quello successivo.<br />

Il nostro piccolo progetto editoriale segue fisiologicamente<br />

quanto avviene alla scuola e alle scuole, ne trae sostanza e tenta di<br />

restituire, attraverso una serie di monografie, un’immagine di quello<br />

che può essere colto e percepito tramite lo sguardo dei docenti –<br />

naturalmente senza alcuna pretesa di giudicare o condurre: lo scopo<br />

di queste pagine è, piuttosto, quello di testimoniare.<br />

Testimoniare che cosa? Innanzitutto la volontà per nulla sopita<br />

di proseguire nel confronto dialettico e dialogico tra colleghi<br />

sempre appassionati della propria professione: condividere conoscenze,<br />

chiedere e fornire pareri; cercare di raggiungere qualche<br />

brano di verità – ammesso che sia possibile – non per fruirne<br />

* Docente di italiano e latino.<br />

7


8<br />

Daniele Stroppolo<br />

in solitario, ma per godere della comunanza. E se verità non<br />

fosse, certamente sarà esperienza, percorso, passo in una qualche<br />

direzione per non soccombere alla stasi. Ecco dunque che<br />

in questi “Dialoghi” non si registra tanto che cosa pensino i<br />

docenti, ma piuttosto a che cosa essi pensino: alla didattica, alle<br />

proprie discipline d’insegnamento mai troppo esplorate, alle<br />

proprie attività di ricerca indipendenti dall’ambito strettamente<br />

scolastico, ai propri percorsi culturali oltre che professionali.<br />

Se in tutto ciò il terzo volume non si discosta da quanto proposto<br />

in quelli precedenti, esso diventa invece del tutto nuovo<br />

rispetto a una serie di processi apparentemente esterni alla sua<br />

redazione, ma che invece hanno influito profondamente sulla<br />

produzione e sulla raccolta dei materiali qui pubblicati: il “Liceo<br />

Dante Alighieri” di Trieste non esiste più come organismo autonomo;<br />

è avvenuta una fusione tra due istituti scolastici, ciascuno<br />

con una propria storia, una precipua identità, un’utenza<br />

piuttosto definita – per quanto certamente intercambiabile, come<br />

dimostrano i molti passaggi di studenti dall’una all’altra scuola<br />

anno dopo anno. Così, due poeti tanto distanti si sono ritrovati<br />

vicini, a condividere una stessa denominazione: “Istituto Statale<br />

di Istruzione Superiore Giosuè <strong>Carducci</strong> – Dante Alighieri”.<br />

Si potrebbe pensare che tale fatto abbia implicazioni meramente<br />

burocratiche, o del tutto periferiche rispetto all’attività professionale<br />

dei docenti: le sedi di ciascuna delle scuole sono rimaste le<br />

stesse; c’è forse qualche impegno burocratico più complesso da<br />

gestire, perché va affrontato con i colleghi di tutto il neo-istituto,<br />

ma nulla che possa scoraggiare o creare disagi che non siano del<br />

tutto trascurabili. Eppure, volendo davvero interrogarsi circa la<br />

natura della propria attività, circa il percorso che ciascun docente<br />

si ritrova a seguire nella propria professione, allora l’accorpamento<br />

tra le due entità non deve essere ignorato.<br />

Vi sono tendenze, intimamente legate al ruolo professionale<br />

del quale siamo investiti (si perdonerà l’espressione forse troppo<br />

sacrale), a causa delle quali l’insegnante si ritrova molto spes-


Nota introduttiva<br />

so a intraprendere un viaggio piuttosto solitario: in cattedra di<br />

fronte allo schieramento delle classi; nella preparazione domestica<br />

delle lezioni; nel momento critico – in ogni senso possibile<br />

– della valutazione. Il rischio è quello di abbandonarsi, per comodità,<br />

per abitudine se non per sopraffazione del concreto<br />

lavorare sulla volontà astratta, al solipsismo, o addirittura a una<br />

sorta di autismo professionale. L’autoreferenzialità, anche nell’immagine<br />

che dei docenti hanno molto spesso gli alunni, è una<br />

cifra dalla quale con difficoltà ci si distacca in una professione<br />

così decisamente improntata su un’autonomia che, d’altra parte, è<br />

del tutto indispensabile nell’attività didattica e va custodita anche<br />

con una certa gelosia. Eppure è proprio nel margine comune tra<br />

l’agire individuale e la collaborazione che andrebbe forse ricercato<br />

l’opportuno equilibrio per una sana attività di docenza.<br />

In questi termini, la nascita del “<strong>Carducci</strong> – Dante” non può<br />

essere ignorata né semplicemente sopportata: dovrebbe invece<br />

essere coltivata, al fine di costituire un corpo docenti in grado di<br />

trarre un qualche profitto dalla nuova situazione istituzionale.<br />

Le conversazioni che hanno portato alla nascita dei “Dialoghi”<br />

si sono svolte soprattutto in un’aula insegnanti accogliente, intima,<br />

in cui un numero piuttosto limitato di docenti transitava<br />

familiarmente. È stato allora naturale ritrovarsi a produrre qualche<br />

chiacchiera, cominciando forse dalle più convenzionali considerazioni<br />

atte al semplice socializzare fino a giungere a scambi<br />

estremamente proficui circa le rispettive indagini – di carattere<br />

didattico, scientifico o filosofico che fossero. Il nuovo istituto<br />

possiede un’articolazione, anche semplicemente logistica, così<br />

ricca e complessa che non può essere previsto uno spazio unico<br />

paragonabile a quell’aula: le classi, e di conseguenza i docenti, si<br />

distribuiscono su tre sedi diverse; i momenti di raccolta unitaria<br />

sono rari e perlopiù così densi di motivi professionali da non<br />

lasciare molto tempo alla parola spontanea ed estemporanea.<br />

È allora plausibile, se non necessario, cercare strumenti e<br />

opportunità per uno scambio che certamente, qualora riesca a<br />

9


10<br />

Daniele Stroppolo<br />

concretarsi, non può che determinare un arricchimento professionale<br />

e umano in grado di ripercuotersi positivamente sull’attività<br />

didattica: il confronto è mezzo irrinunciabile di<br />

automiglioramento. In questa direzione tenta di porsi il presente<br />

volume, frutto dei volontari contributi di docenti che, in alcuni<br />

casi, neppure hanno avuto ancora l’occasione di presentarsi<br />

l’un l’altro. Molto si è costruito attraverso intermediazioni, scambi<br />

di indirizzi e-mail, parole di terzi e fiducia nel prossimo; la speranza<br />

è che questo processo di mutuo accoglimento sia uno dei tanti<br />

mezzi per tentare di rendere sempre più viva e intensa la collaborazione<br />

interna a questa nuova e variegata realtà scolastica. Del<br />

resto, nel titolo della pubblicazione è stato sin dall’inizio riposto<br />

un doppio significato: esito di dialogo, invito al dialogo.<br />

Non si ritenga, però, che il senso di questo volume si esaurisca<br />

nel puro slancio cooperativo, né nel suo emblematico invito<br />

alla reciproca conoscenza; permangono i motivi per i quali i<br />

“Dialoghi” sono nati e stanno ormai trovando una certa continuità<br />

di produzione e pubblicazione: resta ferma e costante la<br />

fiducia nel fatto che la ricerca sia parte irrinunciabile nella professionalità<br />

dei docenti. Altrettanta sicurezza è riposta nel pensiero<br />

che la dedizione, la serietà e la precisione con cui le indagini<br />

qui pubblicate sono state eseguite conferiscano loro dignità e<br />

significato, al di là degli eventuali riconoscimenti istituzionali o<br />

delle attenzioni accademiche di cui possono essere stati – o meno<br />

– oggetto. C’è molta qualità nella scuola italiana; troppe voci, estranee<br />

più spesso che interne, hanno cercato e tuttora cercano di far<br />

credere il contrario. Che questa pubblicazione fornisca un piccolo<br />

argomento a sostegno del nostro impegno professionale.


Ringraziamenti<br />

Nel volume di Dialoghi del 2012 la maggior parte degli articoli è<br />

stata redatta da insegnanti che non appartenevano al precedente<br />

corpo docente del Liceo “Dante Alighieri”: crediamo questa<br />

sia una piccola – ma forse significativa – testimonianza della<br />

volontà di costruire insieme qualche cosa di valido nella nuova<br />

e unitaria realtà scolastica dell’I.S.I.S. “<strong>Carducci</strong>-Dante”.<br />

La nostra gratitudine va, in primo luogo, al dirigente scolastico<br />

Maria Cristina Rocco e al direttore dei servizi generali<br />

amministrativi Fulvia Bezzoni, che – nel corso di un anno scolastico<br />

estremamente impegnativo sotto tanti aspetti – hanno<br />

trovato l’energia per incoraggiare e sostenere economicamente<br />

l’iniziativa.<br />

Molti colleghi, anche di altri Istituti, hanno mostrato il loro<br />

interesse e la loro simpatia e, in qualche caso, ci hanno gratificato<br />

con il loro apprezzamento: senza questi incitamenti il nostro<br />

lavoro sarebbe stato più gravoso. Siamo loro riconoscenti e speriamo<br />

di poter contraccambiare, magari ospitando qualche loro<br />

contributo scritto.<br />

Un ringraziamento particolare va, infine, al professor<br />

Paoloemilio Biagini che, anche nella sua nuova sede, ha voluto<br />

continuare a farsi parte attiva nella costruzione dell’“avventura”<br />

di Dialoghi.<br />

11


Atque in perpetuum<br />

Omaggio a Giorgio Caproni a cent’anni dalla nascita<br />

di Brigitta Bianchi *<br />

«Sergio farà una tesi su Giorgio Caproni», mi disse mio fratello<br />

nel 1990 parlando di un caro amico comune che si sarebbe<br />

laureato in lettere. «E chi sarebbe costui?», mi venne spontaneo<br />

chiedere. Qualche tempo dopo, a un corso di aggiornamento,<br />

venne letto il “Congedo del viaggiatore cerimonioso”.<br />

«Carina e profonda questa poesia, – pensai – leggera, ma non<br />

certo banale.» L’apprezzai a tal punto nella sua ironica ingenuità<br />

che la “usai” alla fine dell’anno scolastico come congedo<br />

da una quinta ginnasiale e gli alunni l’apprezzarono (e se la<br />

ricordarono) a tal punto che, alla fine della terza liceo, mi fecero<br />

omaggio di una borsa di stoffa con stampata su proprio<br />

questa poesia.<br />

Non conosco Caproni “da sempre” e, forse proprio per questo<br />

motivo, ho cercato di accostarmici con maggiore attenzione.<br />

Ho scoperto un poeta vario e versatile, chiaro e immediato,<br />

ma a volte volutamente criptico e allusivo. Nel corso della sua<br />

lunga vita (Livorno 1912-Roma 1990) egli si è cimentato in varie<br />

modalità poetiche, riproponendo tematiche tradizionali o sperimentando<br />

nuovi percorsi. Nella sua vasta produzione ho individuato<br />

alcuni filoni che mi sembra si prestino a illustrare quella<br />

* Docente di italiano e latino.<br />

13


14<br />

Brigitta Bianchi<br />

che Pasolini definì “linea anti-novecentesca” e che ha in Umberto<br />

Saba il proprio capofila.<br />

Segnalo schematicamente tre piste d’indagine didattica premettendo<br />

che in esse non si esaurisce la poesia caproniana e<br />

che le linee da me indicate si intersecano e s’intrecciano continuamente.<br />

1<br />

1. Il rapporto con la tradizione<br />

Caproni rivisita la poesia del passato, dialoga con gli antichi poeti,<br />

li cita, strizza loro l’occhio nei suoi versi chiari, freschi e dolci.<br />

Due esempi per tutti.<br />

Per inciso, si tratta di due esempi che potrebbero benissimo<br />

figurare nella tematica degli affetti familiari: lo dico per sottolineare<br />

subito quell’intersecarsi di linee cui accennavo poc’anzi.<br />

- Senza soffermarmi sugli echi danteschi di due titoli di raccolte<br />

di versi (Il seme del piangere del 1959, che riprende Purgatorio<br />

XXXI 46, e Il muro della terra del 1975, che rimanda alla città di<br />

Dite), cito “Preghiera” e “Ultima preghiera” dai Versi livornesi,<br />

poi confluiti proprio ne Il seme del piangere, in cui Caproni,<br />

riecheggiando Cavalcanti e la sua ballatetta, celebra sua madre,<br />

Anna Picchi, invitando la propria anima a cercare, nella natia Livorno,<br />

la madre ancora ragazza, apprezzata e timida ricamatrice.<br />

- Nella raccolta del 1982 Il franco cacciatore (titolo che rappresenta<br />

un omaggio all’omonima opera del musicista Carl Maria<br />

1 GROSSER H., Il canone letterario. La letteratura italiana nella tradizione europea,<br />

Principato, Milano 2009, vol. 6, p. 625, osserva, riprendendo Raboni, che<br />

nella poesia di Caproni compaiono tre temi fondamentali, «quello della città,<br />

quello della madre e quello del viaggio».


Atque in perpetuum. Omaggio a Giorgio Caproni<br />

von Weber), il poeta dialoga affettuosamente con suo fratello<br />

defunto sulla falsariga del celeberrimo Carmen 101 di Catullo, il<br />

cui ultimo verso Caproni utilizza in parte come titolo della poesia<br />

Atque in perpetuum, frater… Le molte genti e i molti mari del<br />

famoso incipit catulliano diventano freddamente in Caproni inverno<br />

e neve; tale variazione, se toglie la peripezia e la drammaticità<br />

del viaggio, propone al loro posto il gelo e l’immobilità<br />

della morte. «Quanto inverno, quanta / neve ho attraversato,<br />

Piero, / per venirti a trovare» (vv.1-3). Ciò non impedisce però<br />

al poeta di instaurare un caldo colloquio con il fratello Pier Francesco,<br />

chiamato «solo e vero / amico» nella chiusa del componimento<br />

(vv. 13-14).<br />

2. La città d’elezione<br />

Pur essendo vissuto a Livorno dalla nascita ai dodici anni e,<br />

successivamente, a Roma da poco prima della seconda guerra<br />

mondiale fino alla morte, Giorgio Caproni individua in Genova<br />

la sua città. Egli amava dire che abitava a Roma, ma viveva a Genova.<br />

«Genova si configura come il simbolo assoluto e concreto<br />

di una civiltà urbana carica di umanità, dove le cose e gli<br />

oggetti industriali hanno ancora funzioni umane, dove il paesaggio<br />

cittadino “in salita” mantiene una sua severa dolcezza». 2<br />

Al capoluogo ligure il poeta dedica due testi indimenticabili e<br />

assai diversi tra loro per tipologia poetica, ma non certo per<br />

contenuto: “Stornello” e “Litania”, entrambi contenuti nella<br />

raccolta Il passaggio di Enea del 1956. Merita riportare per esteso<br />

il primo per la sua brevitas efficace:<br />

2<br />

FERRONI G., Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi scuola, Milano 1992,<br />

p. 1100.<br />

15


16<br />

Brigitta Bianchi<br />

Mia Genova difesa e proprietaria.<br />

Ardesia mia. Arenaria.<br />

Le case così salde nei colori<br />

a fresco in piena aria,<br />

è dalle case tue che invano impara,<br />

sospese nella brezza<br />

salina, una fermezza<br />

la mia vita precaria.<br />

Genova mia di sasso. Iride. Aria. 3<br />

Ma, paradossalmente, anche un testo “liturgico” esteso (contiene<br />

ben novanta invocazioni alla città ligure) come “Litania” è<br />

asciutto, quasi «scabro ed essenziale» come avrebbe voluto sentirsi<br />

il Montale di Ossi di seppia. Tornerò a Montale nel terzo punto,<br />

qui basti ricordare che un distico di “Litania” recita: «Genova<br />

nome barbaro. / Campana. Montale. Sbarbaro» (vv. 57-58), in<br />

omaggio alla “triade” dei poeti liguri (Campana d’acquisizione).<br />

Sia la ritualità di questa poesia sia l’attaccamento viscerale<br />

alla città ci fanno pensare a un possibile legame con Umberto<br />

Saba, in particolare alle liriche dedicate dal poeta triestino alla<br />

moglie Lina e alla propria città natale. Genova e Trieste sono<br />

entrambe porti di mare e entrambi i poeti sembrano prediligerne<br />

il lato mercantile, anche nel suo aspetto deteriore. Dice Saba<br />

in versi celeberrimi in “Città vecchia” (da Trieste e una donna,<br />

1910-1912, vv. 5-10):<br />

Qui tra la gente che viene che va<br />

dall’osteria alla casa o al lupanare,<br />

dove son merci ed uomini il detrito<br />

di un gran porto di mare,<br />

3 CAPRONI G., L’opera in versi, Mondadori, Milano 1998, p. 171. Anche nella<br />

lirica “A Tullio”, ivi contenuta a p. 163, il poeta esprime le stesse immagini ai<br />

vv. 5-6: «Genova mia città fina; / ardesia e ghiaia marina».


Atque in perpetuum. Omaggio a Giorgio Caproni<br />

io ritrovo, passando, l’infinito<br />

nell’umiltà. 4<br />

Dal canto suo, Caproni, in un intervento su “Tuttolibri” nel<br />

1985, 5 ha affermato: «Il mio non è il mare estatico dei contemplativi,<br />

ma semplicemente un mare mercantile, popolato più che da<br />

Sirene o Tritoni da bastimenti in rotta o alla fonda: un mare trafficato<br />

o addirittura commerciale, ecco, anche se questa mia idea<br />

di mare può riuscire per molti riduttiva, e quindi deludente.»<br />

Il titolo della raccolta a cui “Litania” appartiene, che potrebbe<br />

sembrare un’allusione puramente mitologica, ha un legame concreto<br />

con la città di Genova. In piazza Bandiera, infatti, dopo<br />

varie peregrinazioni, ha trovato spazio un gruppo marmoreo raffigurante<br />

Enea con Anchise sulle spalle e Ascanio per mano, scolpito<br />

agli inizi del Settecento dal carrarese Francesco Baratta. 6<br />

Genova significa anche l’entroterra ligure, in particolare la<br />

val Trebbia dove Caproni insegnò come maestro elementare,<br />

dove conobbe sua moglie Rosa Rettagliata detta Rina, dove partecipò<br />

alla lotta partigiana, come si può vedere in Statale 45. Io,<br />

Giorgio Caproni, una docu-fiction del 2006 firmata da Fabrizio<br />

Lo Presti, che interpreta anche il poeta da giovane. La permanenza<br />

in val Trebbia ispirò a Caproni la raccolta poetica Ballo a<br />

4 Ricordo comunque, per precisione, quanto su Caproni puntualizza Giulio<br />

Ferroni, op. cit., p. 1099: «A differenza di Saba, a cui però può essere avvicinato,<br />

egli fa arretrare in lontananza l’urgenza della materia psicologica e preferisce<br />

coprire la propria persona e il proprio stesso scrivere sotto una sottile ironia:<br />

prende molto sul serio la poesia, ma sorride continuamente di quel prenderla<br />

sul serio, allontanandosi così da ogni atteggiamento di tipo romantico.»<br />

5 Riportato in TRAVERSO P. e SURDICH L., Genova ch’è tutto dire. Immagini per<br />

“Litania” di Giorgio Caproni, Il Canneto, Genova 2011, p. 53.<br />

6 BETTINI M., Con l’Eneide in tasca nella seconda guerra mondiale, in “la Repubblica”,<br />

8 novembre 2005, p. 50; cfr. anche Traverso e Surdich, op. cit., p. 181.<br />

17


18<br />

Brigitta Bianchi<br />

Fontanigorda (1938). Osserva Albano Marcarini su “Bell’Italia”<br />

proponendo un percorso sulle montagne di Caproni: «Alcune<br />

delle sue più toccanti poesie sembrano scaturire dalle pieghe e<br />

dalle ombre di questa magnifica vallata», dopo aver sottolineato<br />

che «non si possono apprezzare del tutto le sue opere se non si<br />

è stati almeno una volta nei luoghi della sua ispirazione, fra i<br />

boschi e i villaggi, fra le genti dell’alta val Trebbia.» 7<br />

3. Colloqui con altri poeti del Novecento<br />

Citazioni e adeguamento, quasi parodico, allo stile di altri autori<br />

del Novecento troviamo nella produzione di Caproni secondo<br />

un procedimento da lui già utilizzato in rapporto alla tradizione<br />

poetica del passato. Di solito agli studenti piace questo dialogo<br />

a distanza tra autori da loro studiati, li aiuta a sentirli più vivi,<br />

più umani. Ho individuato tre “colloqui”: con Sereni, con Penna,<br />

con Montale.<br />

Nella poesia “Paura terza”, raccolta ne Il conte di Kevenhüller<br />

(1986), Caproni allude a due testi intitolati con lo stesso sostantivo<br />

e i due ordinali precedenti da Vittorio Sereni, ricordato da<br />

Caproni nella lirica proprio con le parole del poeta di Luino.<br />

Più articolato è il confronto con Sandro Penna in una poesia<br />

inedita: 8 Caproni osserva (con una punta di benevola invidia?)<br />

che Penna si esprime «senza il vento della morte / che invece<br />

scuote certune mie rime» (vv. 3-4) attribuendo questa differenza<br />

al fatto che il collega è giovane, e greco. E, pochi versi dopo,<br />

sottolineando il carattere vivo dello stile dell’altro, continua: «Le<br />

7<br />

MARCARINI A., La val Trebbia che ispirò il poeta dei silenzi, in “Bell’Italia”, luglio<br />

2011, p. 121.<br />

8 Ora in CAPRONI G., op. cit., p. 990.


Atque in perpetuum. Omaggio a Giorgio Caproni<br />

vocali di Penna sono quiete / e aperte» (vv. 10-11). Sembra notarlo<br />

con rimpianto, forse non ricordando (o proprio perché se<br />

ne ricorda bene) che la stessa freschezza leggera e semplice era<br />

stata anche sua nei componimenti dedicati alla madre, soprattutto<br />

in “Per lei” (da Il seme del piangere, vv. 1-6): «Per lei voglio<br />

rime chiare, / usuali: in –are. / Rime magari vietate, / ma aperte:<br />

ventilate. / Rime coi suoni fini / (di mare) dei suoi orecchini». 9<br />

Nella sezione dedicata alle poesie disperse nel Meridiano<br />

Mondadori ce ne sono tre 10 dedicate a Eugenio Montale, la prima<br />

delle quali composta in occasione del conferimento del Nobel<br />

al poeta genovese nel 1975. Qui Caproni dipinge Montale come<br />

un «dio / divertito e lontano / dai suoi leviti» (vv. 6-8) e gli<br />

riconosce il merito di essere riuscito «a dissertare / la morsa<br />

dell’Equazione / – ultima – fra il Tutto e il Niente» (vv. 12-14).<br />

Nella terza poesia, intitolata “Dopo Satura”, Caproni commenta<br />

soltanto, divertito e lapidario, «Montale, ogni scherzo vale».<br />

Necessariamente, la trattazione di questo terzo punto ha già<br />

portato con sé delle considerazioni sullo stile e sulla forma scel-<br />

9 Utile risulta qui il confronto con le «trite parole» della sabiana “Amai” e con<br />

la montaliana poesia “Le rime” contenuta in Satura. Cfr. anche quanto detto<br />

in un’intervista su “Specchio” del maggio 2009, p. 22, dalla poetessa polacca<br />

W. Szymborska: «Per funzionare, una rima deve sempre suonare fresca, “di<br />

giornata”. Ma purtroppo non esistono o quasi rime che non siano già state<br />

usate, riusate e consunte. Quindi l’allontanamento dalla rima è un fenomeno<br />

inevitabile, poiché non è possibile ripetersi all’infinito. Ecco perché la rima si<br />

recupera quasi solo nel momento in cui si desidera trasmettere al lettore un<br />

messaggio come “divertiamoci”, o “si tratta di un gioco”. Allora si rispolverano<br />

senza pudore rime anche logore, ma utilissime per dare un effetto collaterale,<br />

secondario, un timbro ironico e scherzoso.» Di questo timbro ironico, anche se<br />

non propriamente scherzoso, si trova traccia in due componimenti di Caproni<br />

contenuti nella raccolta Res amissa, pubblicata postuma nel 1991 dal filosofo<br />

Giorgio Agamben: “Alla patria” scritta nell’aprile 1978 e “Fatalità della rima”.<br />

10 CAPRONI G., op. cit., p. 958 e ss.<br />

19


20<br />

Brigitta Bianchi<br />

ta da Caproni per i suoi componimenti. Si è già detto della sua<br />

attenzione alla rima. Giova ancora ricordare, a questo proposito,<br />

quanto ha osservato Pier Vincenzo Mengaldo:<br />

Conforme a una poetica anti-novecentesca della grazia e della<br />

sorgività, per Caproni in principio è la rima (o l’assonanza e<br />

consonanza) in cui sono volutamente privilegiati gli accostamenti<br />

più “facili” sì («la rima in cuore e amore» [sic]), ma anche<br />

tali da produrre corti circuiti epigrammatici (tipo fiele:miele e simili).<br />

[…] È l’accordo fonico a creare, quasi per gemmazione<br />

spontanea, il gioco delle immagini e dei significati. 11<br />

*<br />

Caproni, pur essendo morto da ventidue anni, continua a parlarci.<br />

Lo fa con parole risalenti agli anni Sessanta in un frammento<br />

inedito di diario apparso di recente sulla rivista “Nuova<br />

corrente”:<br />

Io non conosco che la fedeltà del sentimento, degli affetti, del<br />

cuore. Gli affetti non hanno, per fortuna, verità, non sono<br />

giudizi né propositi, per questo non ammettono perplessità.<br />

Ma per tutto ciò che dipende dal giudizio, per tutto ciò che<br />

dipende dalla volontà vivo in perpetuo labirinto. Sono, e rimarrò,<br />

nella “selva oscura”. 12<br />

Se dovessi allora ripensare questo mio contributo alla luce di<br />

queste “nuove” parole di Caproni, saprei già, almeno, come intitolarlo,<br />

rendendo omaggio e chiedendo ispirazione al “solito”<br />

Umberto Saba e all’apprezzato Italo Calvino: Caproni poeta degli<br />

affetti o poeta del labirinto?<br />

11 MENGALDO P.V., Poeti italiani del Novecento, Mondadori, Milano 1978, p. 701.<br />

12 Cfr. “Domenica” del “Sole 24 ore”, 3 giugno 2012.


Esperienze di apprendimento cooperativo<br />

nella didattica dell’italiano, tra formazione<br />

professionale e attività in classe<br />

di Cristina Bordignon *<br />

La didattica del cooperative learning<br />

Occorre precisare che, quando si parla di cooperative learning, ci si<br />

riferisce, prima ancora che a uno specifico metodo di insegnamento/apprendimento,<br />

a un vasto movimento educativo che, pur<br />

partendo da prospettive teoriche diverse, applica particolari tecniche<br />

di cooperazione nell’apprendimento in classe. Esse permettono<br />

di far lavorare gli studenti in gruppo facilitando, nel contempo,<br />

l’acquisizione di abilità sociali. In altri termini, si tratta di un sistema<br />

che permette di apprendere sia contenuti disciplinari che comportamenti<br />

sociali di collaborazione e cooperazione. L’apprendimento<br />

è sicuramente un processo attivo individuale, ma, perché<br />

* Docente di italiano e latino. Edito come BORDIGNON C., Esperienze di apprendimento<br />

cooperativo nella didattica dell’italiano, tra formazione professionale e<br />

attività in classe, in AA.VV. Formazione iniziale degli insegnanti di scuola secondaria<br />

a Udine. Primi contributi, SSIS-Università degli Studi di Udine, Forum, Udine<br />

2004. Il presente lavoro intende sviluppare una riflessione critica sul cooperative<br />

learning, iniziata con l’acquisizione di tale metodologia didattica nelle<br />

attività di laboratorio dei corsi SSIS e di tirocinio disciplinare presso le<br />

scuole accoglienti, e approfondita, successivamente, come docente di lettere<br />

in un liceo classico europeo.<br />

21


22<br />

Gestione<br />

della classe:<br />

Funzione<br />

dell’insegnante:<br />

Specificità del<br />

cooperative learning:<br />

<br />

Muta:<br />

Cristina Bordignon<br />

Fig. 1 – La didattica del “cooperative learning”<br />

strategie con “mediazione dell’insegnante”<br />

gruppo cooperativo a “mediazione sociale” 1<br />

<br />

Obiettivi: fare insieme<br />

perseguire fini comuni<br />

operare in gruppo<br />

promuovere le potenzialità<br />

di ciascuno<br />

organizza un clima sociale positivo<br />

alimenta una calda relazione educativa<br />

svolge funzioni di regia<br />

differenzia la natura del Contratto formativo<br />

interdipendenza positiva<br />

interazione faccia a faccia<br />

uso di competenze sociali<br />

controllo del comportamento di gruppo<br />

le caratteristiche della relazione educativa<br />

la funzione del docente<br />

l’immagine dell’alunno<br />

la natura del Contratto formativo<br />

Fonte: CAPALDO N.-NERI S.-RONDANINI L., Il manuale<br />

della scuola secondaria, Fabbri, Milano 2000, p. 137<br />

1 Le differenze tra le due modalità di gestione della classe non sono di poco<br />

conto, in quanto, nel primo modello, il docente rappresenta la fonte esclusiva<br />

di conoscenza e spesso le strategie didattiche tendono ad essere trasmissive<br />

e direttive; nel secondo caso, si tende, invece, a valorizzare le risorse, le


Esperienze di apprendimento cooperativo<br />

esso si verifichi, è importante che il processo sia condiviso e vissuto<br />

socialmente. Alcune tra le molte ragioni che motivano l’introduzione<br />

del cooperative learning nella scuola sono efficacemente<br />

riassunte nello schema in fig. 1.<br />

Mentre, dunque, la classica lezione frontale si fonda sulle capacità<br />

didattiche e relazionali del docente, l’apprendimento cooperativo<br />

punta sullo sviluppo del senso di responsabilità. Ogni<br />

allievo è responsabile del proprio apprendimento; il gruppo stesso<br />

diviene responsabile dei progressi dei suoi membri, facendo<br />

ricorso alle risorse umane interne, quando vi sia bisogno di sostegno<br />

o di particolari strategie per superare difficoltà individuali. 2<br />

Non bisogna confondere, tuttavia, il cooperative learning con il<br />

semplice lavoro di gruppo. Occorre, pertanto, sottolineare come<br />

non sia sufficiente suddividere la classe in gruppi di apprendimento,<br />

discussione o ricerca perché si possa parlare di apprendimento<br />

cooperativo. Esso si attua, infatti, in base a una precisa<br />

metodologia, che mira alla massima valorizzazione e integrazione<br />

degli allievi, in particolare di chi presenta difficoltà di apprendimento<br />

e/o di integrazione sociale. 3<br />

potenzialità cognitive e relazionali dei ragazzi e l’insegnante svolge soprattutto<br />

una funzione di regia, di facilitazione delle attività che gli allievi realizzano.<br />

Cfr. JOHNSON D.W.-JOHNSON R.T.-HOLUBEC E.J., Apprendimento cooperativo<br />

in classe, Erickson, Trento 1994.<br />

2 Cfr. VIVIAN G., L’apprendimento cooperativo, in Il pensiero nei territori del testo.<br />

Percorsi di didattica modulare di lingua italiana, a cura di Lerida Cisotto, Cleup,<br />

Padova 2002, p. 75.<br />

3 Cfr. in proposito ANOÈ R., Ecologia in classe: aspetti organizzativi ed educativi, pp.<br />

47-50, testo di una conferenza svoltasi il 6.2.1995, e distribuito dal docente<br />

stesso quale parte della bibliografia del corso di “Didattica generale”, tenuto<br />

presso la SSIS dell’Università degli Studi di Udine (a.a. 2001-2002): «Una<br />

classe di alunni non è di per sé un gruppo di apprendimento. Perché ciò<br />

accada sono necessari tempi, condizioni e consuetudini di lavoro che rendano<br />

possibili lo scambio, l’integrazione, la reciprocità tra allievi, l’instaurarsi di<br />

23


24<br />

Cristina Bordignon<br />

Creare e sostenere uno spirito di collaborazione in classe è<br />

compito dell’insegnante, cui si richiede la creazione di un clima<br />

cooperativo e l’uso di un modello di comunicazione efficace, la<br />

progettazione di compiti appropriati a piccoli gruppi, l’organizzazione<br />

della classe con la pianificazione del compito, definendo<br />

i ruoli e le competenze degli allievi, l’osservazione e la<br />

stimolazione dell’interazione del gruppo, l’intervento, quando<br />

esso sia richiesto, e infine l’aiuto dato agli allievi per monitorare<br />

l’apprendimento che acquisiscono. 4<br />

Il ruolo dell’insegnante è, dunque, centrale nella creazione di<br />

un buon clima di classe, e questo, a sua volta, è condizione essenziale<br />

per realizzare attività di reale cooperazione. Questo<br />

perché non si può dare per scontato che gli allievi siano in grado<br />

di stabilire spontaneamente buone relazioni interpersonali,<br />

di attribuire valore all’apporto di ognuno, di ascoltare l’altro e di<br />

gestire le situazioni conflittuali che inevitabilmente si presentano.<br />

5 Il primo compito dell’insegnante è, dunque, quello di educare<br />

le competenze relazionali proprie e quelle degli allievi, stimolando<br />

l’assunzione, da parte di questi ultimi, di comportamenti<br />

che contribuiscano, all’interno dei gruppi, all’accettazione<br />

reciproca (fig. 2).<br />

uno spazio di lavoro comune con obiettivi consapevoli e trasparenti in cui<br />

siano possibili relazioni orizzontali, collaborative. Una classe come gruppo di<br />

apprendimento presuppone larghe opportunità di apprendimento tra pari, le<br />

cui potenzialità non paiono sufficientemente esplorate; anzi, recenti osservazioni<br />

fatte nella scuola elementare mostrano che il lavoro di gruppo è ancora<br />

fortemente diretto dal docente e quando le classi si suddividono in piccoli<br />

gruppi per attività specifiche, il “modello classe” si riproduce con analoga struttura<br />

verticale, solo con meno alunni, ad indicare che il rapporto “uno-molti”<br />

non è solo un dato funzionale, ma un dato culturale profondamente radicato.»<br />

4 Cfr. LANEVE C., Elementi di didattica generale, Editrice La Scuola, Brescia 1998,<br />

pp. 62-64.<br />

5 Cfr. VIVIAN G., L’apprendimento cooperativo, cit., pp. 75-76.


Esperienze di apprendimento cooperativo<br />

Fig. 2 – Atteggiamenti che contribuiscono<br />

all’accettazione reciproca nei gruppi di alunni<br />

Proporre in maniera discreta il proprio aiuto<br />

Non giudicare gli errori altrui (ognuno deve essere libero<br />

di sbagliare!)<br />

Non spazientirsi di fronte alle domande dei compagni<br />

Non pretendere che gli altri ragionino o lavorino in modo<br />

identico al proprio<br />

Incoraggiare le soluzioni degli altri<br />

Sapere che non sempre basta una sola spiegazione<br />

Rendersi conto che spiegare un concetto ad altri è un modo<br />

efficace per migliorare la propria preparazione<br />

Fonte: MAINI P.-COMOGLIO M., L’apprendimento cooperativo a scuola,<br />

in “Orientamenti Pedagogici”, n. 3, 1995, p. 466<br />

L’esperienza scolastica<br />

La conoscenza della metodologia didattica del cooperative learning,<br />

acquisita nelle attività di laboratorio di molti corsi della SSIS, sia<br />

di area trasversale e psicopedagogica che disciplinare, ha successivamente<br />

trovato occasione di applicazione concreta, in sede<br />

di tirocinio, in una classe terminale di triennio, a indirizzo sperimentale<br />

“Brocca”, di liceo classico. Tale esperienza si è espressa<br />

nella conduzione di un laboratorio di lettura, organizzato per<br />

gruppi di allievi, ed è stata successivamente ripresa e approfondita<br />

in una classe di biennio di liceo classico europeo. Il gruppo<br />

classe, composto da oltre venti allievi, dotati di una discreta curiosità<br />

intellettuale e interesse per la lettura, mancava, tuttavia,<br />

come spesso accade, di omogeneità. Ad alcuni allievi, attivi e<br />

partecipi dell’attività didattica, si affiancava, infatti, una parte<br />

della classe, caratterizzata da un atteggiamento di sostanziale<br />

25


26<br />

Cristina Bordignon<br />

passività, unita al comportamento “vivace” manifestato da alcuni<br />

componenti.<br />

Al fine di promuovere e favorire lo spirito di collaborazione<br />

tra gli studenti e tra questi e l’insegnante, di educarne le capacità<br />

di ascolto e di dialogo, nel rispetto delle diverse posizioni, nel<br />

tentativo, cioè, di creare un ambiente educativo e di studio positivo<br />

e stimolante, si è ritenuto opportuno inserire, nella programmazione<br />

didattica annuale di italiano, il modulo Tendenze<br />

del romanzo contemporaneo, dedicato alla lettura di opere della più<br />

recente narrativa italiana e straniera.<br />

La metodologia didattica, alla quale si è inteso fare riferimento,<br />

è stata, appunto, quella del cooperative learning, per un duplice<br />

ordine di motivazioni. Innanzitutto per lo sviluppo di abilità<br />

relazionali e l’uso di competenze sociali da parte degli allievi,<br />

che essa persegue, particolarmente funzionali alla formazione<br />

di un reale gruppo di apprendimento, caratterizzato da tempi,<br />

condizioni e consuetudini di lavoro comuni, in cui sia resa possibile<br />

la creazione di relazioni orizzontali e collaborative. In secondo<br />

luogo, la scelta del cooperative learning è sembrata particolarmente<br />

idonea allo spazio di “laboratorio”, al quale era stata<br />

destinata: nel liceo classico europeo, infatti, l’insegnamento dell’italiano<br />

si articola nelle due fasi della “lezione”, di tipo tradizionale,<br />

e del “laboratorio culturale”, che rappresenta, invece, il<br />

momento di applicazione e di affinamento delle abilità cognitive<br />

e delle competenze operative previste in sede di programmazione.<br />

Durante le ore settimanali di laboratorio, la classe può<br />

essere riorganizzata secondo diverse modalità di lavoro, in rapporto<br />

alle necessità ed in relazione, appunto, alla metodica dell’”apprendere<br />

insieme facendo”. Intento dell’insegnante è stato,<br />

soprattutto, quello di far sì che i ragazzi avvertissero tale<br />

spazio di lavoro come proprio, cioè come un ambito privilegiato,<br />

in cui poter esprimere e approfondire liberamente i propri<br />

interessi culturali, attraverso la lettura di opere, nella scelta delle<br />

quali essi sono stati assolutamente liberi. Ciò, coerentemente


Esperienze di apprendimento cooperativo<br />

con l’obiettivo, esplicitato nella programmazione didattica, di<br />

sviluppare il gusto e il piacere della lettura, in vista della formazione<br />

del “lettore consapevole”. 6<br />

È stato così che, all’interno del modulo, pure incentrato sulle<br />

tendenze più recenti del romanzo contemporaneo (sono state<br />

scelte le opere di E. Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal gruppo; D.<br />

Cugia, No; S. Tamaro, Va’ dove ti porta il cuore; A. Camilleri, Il<br />

ladro di merendine; M.E. Loricchio, La terrazza dei ricordi; E.<br />

Springer, Il silenzio dei vivi), sono stati accolti elementi “spuri”,<br />

quale l’opera di E. Rostand, Cyrano de Bergerac. Quest’ultima è<br />

stata letta e drammatizzata, in alcune scene, da un gruppo di<br />

allievi che, all’interesse per la lettura, univa la passione per il<br />

teatro, coltivata attivamente, fra l’altro, nel gruppo teatrale d’istituto.<br />

Anche la presentazione in classe de Il ladro di merendine di<br />

Camilleri ha visto gli allievi impegnati nella recitazione di alcuni<br />

dialoghi del romanzo.<br />

La formazione dei gruppi e l’assegnazione dei ruoli<br />

Nella formazione dei gruppi si è proceduto seguendo un criterio<br />

di eterogeneità. Da un lato, si è tenuto conto del diverso<br />

livello di profitto degli studenti e delle relazioni di sinergia e/o<br />

conflitto emerse nella vita di classe; dall’altro, la composizione è<br />

stata parzialmente casuale, in modo da abituare gli studenti a<br />

situazioni, che si verificano nella vita sociale e nel mondo del<br />

lavoro, in cui non vi è la possibilità di scegliere i partners con cui<br />

condividere esperienze e con cui lavorare.<br />

6 Riguardo alla “formazione del buon lettore”, quale finalità dell’insegnamento<br />

letterario, si veda COLOMBO A., A che punto è l’insegnamento di letteratura,<br />

in La letteratura per unità didattiche. Proposte e metodi per l’educazione letteraria, a<br />

cura di Adriano Colombo, La Nuova Italia, Firenze 2000, pp. 8-9.<br />

27


28<br />

Cristina Bordignon<br />

Per quanto attiene ai ruoli individuali all’interno dei gruppi,<br />

essi sono stati ricoperti a rotazione dai diversi membri del gruppo<br />

stesso, ai quali è stata, inoltre, somministrata la seguente scheda<br />

di autovalutazione del lavoro svolto (figg. 3a e 3b).<br />

Fig. 3a – Assegnazione dei ruoli<br />

e scheda di autovalutazione<br />

ASSEGNAZIONE DEI RUOLI<br />

Ruolo di gestione del gruppo:<br />

controllare i toni di voce (assicurarsi che tutti i membri<br />

del gruppo usino un tono di voce moderato)<br />

controllare i turni (assicurarsi che i compagni svolgano il<br />

compito assegnato secondo i turni prestabiliti)<br />

controllare i tempi (assicurarsi che il gruppo svolga le<br />

consegne entro i tempi stabiliti)<br />

Ruoli di funzionamento del gruppo:<br />

incoraggiare la partecipazione (assicurarsi che tutti i<br />

componenti del gruppo diano il loro contributo)<br />

fornire sostegno (sollecitare i membri del gruppo a esprimere<br />

le loro idee)<br />

leggere e rispondere alle richieste di chiarimento dei compagni<br />

Ruolo per l’apprendimento:<br />

comunicare in modo efficace con gli insegnanti (rivolgere<br />

domande di chiarimento, spiegazione)<br />

approfondire la discussione e l’argomento trattato<br />

supervisionare il lavoro<br />

Ruolo di stimolo al gruppo:<br />

sollecitare i compagni a rispettare tutti gli interventi, senza<br />

criticare le persone<br />

collaborare con i compagni per quanto riguarda la valutazione<br />

del lavoro di gruppo


Esperienze di apprendimento cooperativo<br />

Fig. 3b – Assegnazione dei ruoli<br />

e scheda di autovalutazione<br />

SCHEDA DI AUTOVALUTAZIONE DEL LAVORO SVOLTO DAL GRUPPO<br />

Gruppo n.: ___________ Data: ___________<br />

1) Ruolo di gestione del gruppo:<br />

Ho controllato i toni di voce<br />

sempre qualche volta<br />

spesso mai<br />

Ho controllato i turni<br />

sempre qualche volta<br />

spesso mai<br />

Ho controllato i tempi<br />

sempre qualche volta<br />

spesso mai<br />

2) Ruoli di funzionamento del gruppo:<br />

Ho incoraggiato la partecipazione<br />

sempre qualche volta<br />

spesso mai<br />

Ho fornito sostegno<br />

sempre qualche volta<br />

spesso mai<br />

Ho letto e ho risposto alle richieste di chiarimento<br />

dei compagni<br />

sempre qualche volta<br />

spesso mai<br />

3) Ruolo per l’apprendimento:<br />

Ho comunicato in modo efficace con l’insegnante<br />

sempre qualche volta<br />

spesso mai<br />

29


30<br />

Cristina Bordignon<br />

Ho approfondito la discussione e l’argomento trattato<br />

sempre qualche volta<br />

spesso mai<br />

Ho supervisionato il lavoro<br />

sempre qualche volta<br />

spesso mai<br />

3) Ruolo di stimolo al gruppo:<br />

Ho sollecitato i compagni a rispettare tutti gli interventi,<br />

senza criticare le persone<br />

sempre qualche volta<br />

spesso mai<br />

Ho collaborato con i compagni per quanto riguarda la<br />

valutazione del lavoro di gruppo<br />

sempre qualche volta<br />

spesso mai<br />

Registrazione e revisione del lavoro di gruppo<br />

Uno degli elementi essenziali del cooperative learning è la valutazione<br />

periodica, che gli studenti fanno, del buon funzionamento del<br />

loro gruppo, identificando i problemi e suggerendo soluzioni.<br />

Benché parte del lavoro di gruppo possa essere suddivisa e svolta<br />

individualmente, è necessario, infatti, che i componenti il gruppo<br />

lavorino in modo interattivo, verificando gli uni con gli altri la<br />

catena del ragionamento e registrando, di volta in volta, le tappe/<br />

punti del lavoro svolto, gli obiettivi, le conclusioni, le difficoltà,<br />

fornendosi il feedback.<br />

In proposito, si è ritenuto utile fornire agli studenti la seguente<br />

traccia, perché potessero monitorare le diverse fasi del<br />

loro lavoro e apprendimento (fig. 4).


Esperienze di apprendimento cooperativo<br />

Fig. 4 – Registro di gruppo<br />

Gruppo n.: ___________ Data: ___________<br />

Nome e cognome dei<br />

componenti del gruppo<br />

Tipo di attività:<br />

Argomento specifico:<br />

Svolgimento del lavoro:<br />

Tappe/punti<br />

del lavoro<br />

Giudizio di gruppo:<br />

a) sul lavoro<br />

b) sulla produzione<br />

Ruoli:<br />

a) per le abilità sociali<br />

b) per le consegne<br />

Esecutore Tempi<br />

Giudizio individuale:<br />

Produzione (orale o scritta):<br />

Obiettivi e compiti per il lavoro successivo:<br />

31


32<br />

Cristina Bordignon<br />

La valutazione<br />

Nella valutazione del lavoro di gruppo, elemento decisivo ed<br />

esplicitato dall’insegnante fin dall’inizio dell’attività è stata<br />

l’interdipendenza tra i diversi componenti, in virtù della quale<br />

ognuno è stato ritenuto responsabile non solo del proprio lavoro,<br />

ma anche di quello degli altri. La valutazione finale è risultata,<br />

quindi, dalla media delle singole valutazioni attribuite ai membri<br />

del gruppo stesso.<br />

Considerazioni conclusive<br />

L’esperienza di cooperative learning effettuata in classe si è rivelata,<br />

sia per l’insegnante, che per gli allievi, assai proficua e ricca di<br />

stimoli. La maggior parte degli studenti ha ravvisato un miglioramento<br />

nel proprio apprendimento, anche se, inizialmente, alcuni<br />

manifestavano qualche riserva o sfiducia verso questo tipo<br />

di approccio, in quanto non abituati a lavorare insieme.<br />

Durante lo svolgimento del lavoro, si sono raccolte le difficoltà<br />

incontrate dagli allievi, che, laddove richiesto, sono stati<br />

aiutati a risolverle. Non è stato, invece, necessario giungere a<br />

ricomposizioni dei gruppi stessi, né si sono verificati casi in cui<br />

uno o più allievi siano stati costretti a svolgere gran parte del<br />

lavoro, senza ottenere la collaborazione degli altri membri.<br />

Si è potuta così constatare la creazione di un’interdipendenza<br />

positiva all’interno dei gruppi, in cui si sono spesso originate<br />

dinamiche relazionali nuove e più profonde tra i diversi componenti.


Perché perivi (o tenerella)?<br />

Analisi dei tempi verbali nel “grande canto” A Silvia<br />

di Marco Indrigo *<br />

Dal punto di vista dei tempi verbali, le strofe 1, 2 e 3 costituiscono<br />

un unico blocco. L’unico tempo impiegato è l’imperfetto,<br />

con le sole, significative eccezioni dell’incipit (rimembri ancora),<br />

e del v. 26 (Lingua mortal non dice).<br />

Nel verbo dell’incipit, insieme alla persona (tu, allocuzione) 1<br />

e all’aspetto semantico (poetica delle ricordanze), il tempo presente<br />

concorre a suggerire già in nuce tutto il dramma che deve<br />

svolgersi nel canto (speranze della giovinezza frustrate, dalla<br />

morte per Silvia, dal “vero” e dal dolore per l’io lirico; dolcezza<br />

delle ricordanze frustrata dalla disillusione). Lo stilema<br />

leopardiano dell’interrogativa, inoltre, non prevede risposta.<br />

Il presente del v. 26 ha valore assoluto (“nessuna lingua mortale<br />

ha mai potuto, può o potrà dire”), ma forse già sottilmente<br />

insinua il tarlo della scissione passato-presente. Non va nemmeno<br />

sottovalutata la recusatio per cui questi versi rappresentano, di<br />

fatto, la dichiarazione di un’impossibilità.<br />

* Docente di italiano e latino.<br />

1 Sull’importanza dell’allocuzione nello stile poetico leopardiano, cfr.<br />

MENGALDO P.V., Sonavan le quiete stanze, Il Mulino, Bologna 2006, cap. II, “Come<br />

iniziano i Canti”, pp. 41 e ss.<br />

33


34<br />

Marco Indrigo<br />

Così tutto il blocco delle prime tre strofe, apparentemente<br />

dedicato alla rievocazione di rimembranze “vaghe e indefinite”,<br />

è già costretto dentro la gabbia atroce dello scacco.<br />

*<br />

Nella strofe 4 l’imperfetto quasi sparisce, e subentra il presente.<br />

Solo una volta, al v. 30 (ci apparia), abbiamo un imperfetto, unico<br />

verbo del primo quarto della strofe (vv. 28-31), dove le due<br />

interiezioni sembrano continuare in climax la dolcezza della rievocazione<br />

delle strofe precedenti, ma in realtà contengono almeno<br />

altri due “tarli”: l’avverbio allor che, inavvertito nel suo<br />

peso in quanto parzialmente nascosto tra gli accenti metrici,<br />

pure funge, in modo quasi subliminale, da prologo al prossimo<br />

disvelamento della cesura passato-presente, speranze-vero; e il<br />

sostantivo fato, scelta lessicale che connota negativamente il concetto<br />

di destino umano, ormai a ridosso del collasso tematico<br />

ed emotivo del canto.<br />

Si noti, en passant, che siamo esattamente a metà canto: i versi<br />

totali sono 63, la chiave di volta si trova precisamente tra il v. 31<br />

(ultimo della parte “dolce” – seppure, come abbiamo visto, di<br />

una dolcezza già “viziata”) e il v. 32 (primo della parte “amara”).<br />

Ed ecco infatti, disseminata lungo gli altri tre quarti della<br />

strofe 4 (vv. 32-39), l’inesorabile sequela di sei tempi presenti.<br />

Nel secondo e nel terzo quarto della strofe (vv. 32-35) l’io lirico<br />

riflette “sconsolatamente”, in un presente “sventurato”, sul<br />

dolore non tanto per la perdita in sé delle speranze, quanto per<br />

la ripetuta (tornami a doler) constatazione del contrasto tra la cotanta<br />

speme del passato e la disillusione e desolazione del presente.<br />

Nell’ultimo quarto della strofe (vv. 36-39) il presente ha di nuovo<br />

valore assoluto (in qualche modo come al v. 26), o meglio<br />

“cosmico”: è il momento della “protesta di Leopardi” in questo<br />

canto, l’io lirico apostrofa la Natura “all’islandese”. A conferma<br />

del valore assoluto del presente (e della protesta), abbiamo prometti<br />

(v. 38), che slega l’apostrofe dal contesto del canto (non


Perché perivi (o tenerella)?<br />

“quel che hai promesso allora, a me e a Silvia”, ma “quel che<br />

prometti sempre a tutti i giovani”). In tal modo, tra l’altro, l’avverbio<br />

allor ricorrendo qui esplica ormai tutta la sua valenza di<br />

disillusione che abbiamo intravista al v. 30.<br />

*<br />

La strofe 5 si svolge di nuovo all’insegna dell’imperfetto, senza<br />

nemmeno le eccezioni della prima strofe, anzi il monopolio<br />

dell’imperfetto è rafforzato dal congiuntivo (v. 40 inaridisse). Troviamo<br />

persino una forzatura dell’aspetto del tempo verbale al v.<br />

42 (perivi) che soppianta marcatamente l’aspetto puntuale di un<br />

passato remoto (“peristi”). Perché tale marcatura?<br />

Diciamo qualcosa che vale per ogni grande poeta della tradizione<br />

letteraria, ricordando che nel testo leopardiano non vi<br />

è assolutamente nulla di casuale. Ma ciò vale tanto più nel caso<br />

di Leopardi, in quanto egli è consapevole della responsabilità<br />

della sua posizione, al valico tra la poesia classica (e classicista),<br />

e la poesia moderna. Padre della poesia moderna, Leopardi<br />

infonde in essa tutta intera, ma scevra di gravami e alleggerita<br />

di ogni orpello, la grandissima lezione formale dei padri suoi,<br />

classici e classicisti. Lezione di equilibrio, controllo, lima, di<br />

perfetto disegno architettonico che spazia dalle più ampie corrispondenze<br />

tra strutture e temi, fino ai minimi dettagli<br />

dell’interpunzione.<br />

Questa dottrina formale, appresa e auto-inoculata nel sangue<br />

con immane travaglio, viene vivificata con sentimento moderno,<br />

e tonificata con l’affinamento di uno stile apparentemente<br />

più libero ed essenziale, fino a dispiegarsi nel canto disteso del<br />

“filosofar poetando”. Libertà apparente, in quanto le regole (o<br />

meglio le regolarità) formali sono in buona parte dislocate da<br />

un piano di maggiore esteriorità, a un piano di profonda (“arcana”)<br />

corrispondenza tra l’enunciato e il dettato interiore. Ogni<br />

minima scelta stilistica diviene dunque tanto più accorta, meditata,<br />

essenziale. Ed ecco il mirabile strumento della “canzone<br />

35


36<br />

Marco Indrigo<br />

leopardiana”, inaugurato in tutta la sua rigorosa duttilità proprio<br />

con A Silvia.<br />

Ritornando ora al testo, sarà chiaro che non possiamo evitare di<br />

chiederci perché qui Leopardi abbia scelto l’imperfetto perivi piuttosto<br />

che il passato remoto “peristi”, più “corretto” dal punto di<br />

vista della consecutio e analogo per quanto riguarda l’aspetto metrico.<br />

Il problema è che, se approfondiamo la questione, tutti gli<br />

imperfetti di questa strofe ci appaiono strani. È qui l’uso in generale<br />

dell’imperfetto a risultare marcato, dove si evocano i diletti<br />

(v. 56) cui Silvia, a rigor di termini, “non poté” prendere parte,<br />

perché “perì”. Tanto più che tutti sono facilmente sostituibili,<br />

dal punto di vista metrico, col corrispettivo passato remoto (a<br />

parte molceva v. 44, ma non sarà stato certo un singolo problema<br />

metrico a indurre Giacomo Leopardi a incatenare tutta la consecutio<br />

della strofe a una scelta lessicale!).<br />

La risposta risiede nell’estensione stessa del problema a tutta<br />

la strofe, che è quella in cui forse il dramma della giovane morta<br />

anzitempo scopre il suo fianco più umano. Se, come regola generale<br />

di questo canto, gli imperfetti «sottolineano la continuità<br />

domestica ed intima del passato» 2 (il che, del resto, non è che<br />

l’applicazione specifica della principale funzione dell’imperfetto),<br />

non possiamo non considerare che qui essi, di quella continuità,<br />

sottolineano la negazione. Non dimentichiamo che siamo<br />

oltre la “chiave di volta” del canto (vv. 31-32): da lì in poi<br />

non c’è più speranza, il canto è ineluttabilmente sconsolato, ed<br />

evocare la continuità dei diletti giovanili, ma in negativo per Silvia,<br />

non fa che rimarcare il dramma della morte anzitempo in<br />

questa strofe “troppo umana.” In altre parole, nell’ambito della<br />

seconda parte del canto è qui che veramente muoiono la “fan-<br />

2 BINNI W., La protesta di Leopardi, Sansoni, Firenze 1988, cap. XII, “I grandi<br />

canti pisano-recanatesi del ’28-’30", p. 122.


Perché perivi (o tenerella)?<br />

ciulla popolana” 3 e le sue aspettative, mentre nella strofe precedente<br />

e in quella successiva il poeta piange sostanzialmente sull’infranto<br />

simulacro della cotanta e lacrimata speme (vv. 32 e 55) 4 .<br />

Così, questi tre imperfetti negativi sembrano quasi delicate cicatrici<br />

pronte a riaprirsi, come quando nei sogni ci visitano persone<br />

e sensazioni che nel sogno stesso una parte di noi sa essere<br />

passate “remote”, ma che pure suscitano un affetto disperatamente<br />

vivo. La poetica delle ricordanze appunto.<br />

E il verbo che ha innescato l’analisi di tutta la strofe? Alla fine<br />

di tutta questa riflessione, ci accorgiamo che per perivi non può<br />

valere la funzione di sottolineare la continuità dei diletti perduti,<br />

neppure in negativo. Niente è più “puntuale” della morte, niente<br />

come la morte fa piazza pulita di illusioni, aspettative, speranze.<br />

Perché, allora, perivi?<br />

Possiamo facilmente individuare una ragione di carattere fonico<br />

e stilistico, una sorta di “attrazione temporale” per cui, dato ciò<br />

che abbiamo osservato per i tre imperfetti successivi, un passato<br />

remoto qui avrebbe fortemente alterato la tonalità generale della<br />

strofe, di una malinconia così delicata e struggente.<br />

Ma la scelta dell’imperfetto perivi vuole forse qui suggerire anche<br />

un aspetto negativo della continuità, un aspetto di pena legato<br />

alla lotta col chiuso morbo evocata nel verso precedente (41).<br />

Avvertiamo in questo imperfetto, per la prima volta nel canto,<br />

che non solo i diletti e la letizia per il vago avvenir (futuri o<br />

rimembrati) si estendono nel tempo, ma anche la sofferenza<br />

fisica ha un carattere penoso di durata. Se ci lasciamo coinvolgere<br />

dall’intensità umana di questa strofe, e quindi anche dalla<br />

concretezza della sofferenza della giovane tenerella, ci sarà più<br />

3 Ivi, p. 122.<br />

4 Con tutta l’ambiguità polisemica, naturalmente: sappiamo che Silvia incarna<br />

anche la Speme.<br />

37


38<br />

Marco Indrigo<br />

facile percepire la durata della lotta, nel corso della quale lei sarà<br />

stata combattuta e vinta dal chiuso morbo, la tisi.<br />

Perivi: quasi che della morte qui si voglia connotare la corrosione<br />

di quel che resta della vita, e non tanto il punto in cui il<br />

sipario calò. Non tanto l’estremo spirare, quanto piuttosto l’ultimo<br />

atto nel suo complesso, l’estrema consunzione (“de-perire”) 5 .<br />

*<br />

Non manca peraltro – e siamo alla strofe 6 – il verbo puntuale<br />

della morte. Lo incontriamo, irrevocabile abisso orrido, immenso, 6<br />

poco più avanti sulla strada della nostra lettura: cadesti (v. 61).<br />

Tanto più marcato, se la nostra memoria di lettori è riuscita a<br />

mantenere una visione d’insieme, permettendoci di abbracciare<br />

la coesione degli elementi architettonici. Ed ecco che, con un<br />

superbo effetto di chiaroscuro ottenuto mediante le curvature<br />

dei tempi verbali e del lessico, ci si manifesta la compiuta<br />

giustapposizione strutturale tra il verbo “in levare” della prima<br />

strofe, e questo verbo “in battere”: salivi... cadesti.<br />

Non c’è, in quest’ultima strofe, un tempo dominante, quanto<br />

piuttosto una ricca modulazione.<br />

Il primo verbo è peria, che istituisce una corrispondenza con<br />

perivi del v. 42, segnalata peraltro dalla congiunzione anche: “come<br />

tu, Silvia, (de)perivi e morivi prima che l’inverno inaridisse la<br />

vegetazione, ovvero prima che l’età matura giungesse a infrangere<br />

le tue illusioni e speranze giovanili, anche le mie dolci speranze<br />

sarebbero morte di lì a poco”. Ancora un altro uso del-<br />

5 Per questo significato del verbo “perire” in Leopardi, cfr. Canto notturno di<br />

un pastore errante dell’Asia, v. 67: e perir della terra.<br />

6 È il terribile v. 35 del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, nel quale il<br />

pastore rappresenta icasticamente il nulla, il precipizio di oblio che si trova<br />

alla fine della travagliata vita umana.


Perché perivi (o tenerella)?<br />

l’imperfetto dunque, che viene piegato qui a sostituire un condizionale<br />

con funzione di futuro nel passato, con l’ausilio dell’indicazione<br />

temporale: fra poco.<br />

Anche peria fra poco<br />

Non solo la delicata corrispondenza col v. 42, non solo la<br />

concisa, lapidaria, superba soluzione metrico-ritmica del<br />

settenario con enjambement, ma anche l’effetto straniante dell’impiego<br />

dell’imperfetto per il futuro nel passato, sottolineato<br />

dall’indicazione della prossimità di quel futuro. E non solo<br />

questo.<br />

Leggiamo tutto il periodo dei primi quattro versi della strofe<br />

(49-52): il verbo e il verso di cui ci siamo occupati finora funzionano<br />

anche come elementi di una perfetta perla architettonica,<br />

un’altra, più piccola, chiave di volta: anche peria... anche negaro. Con<br />

l’anafora sono qui posti in corrispondenza simmetrica due momenti<br />

che si collocano alle due parti opposte rispetto alla cesura<br />

della disillusione: con peria fra poco siamo in un tempo che precede<br />

la cesura (seppure con tutta la condensazione drammatica<br />

del “senno di poi”), mentre negaro è il verbo della sentenza definitiva,<br />

della sconsolata presa di coscienza dell’arido vero. Al<br />

passato remoto, non a caso: di nuovo “in levare” e “in battere”<br />

dunque, come abbiamo visto per perivi e cadesti, ma nel più stretto<br />

cerchio strutturale dell’anafora.<br />

Il passato remoto negaro intensifica inoltre la valenza perentoria<br />

del significato stesso del verbo: il quale raccoglie quasi il<br />

frutto della disseminazione di avverbi negativi che abbiamo visto<br />

nella strofe precedente.<br />

Veniamo ora all’unico passato prossimo del canto, passata sei<br />

(v. 53). È la costruzione ad anastrofe, a indicarci il valore soprattutto<br />

metrico-fonico della scelta di questo tempo. Il sei spostato<br />

alla fine del verso, con la sibilante “s” (peraltro in allitterazione<br />

con passata) che si scioglie per un attimo nella “e” accentata del<br />

dittongo, il quale poi si chiude nella “i” come per un rinnovato<br />

39


40<br />

Marco Indrigo<br />

dolore, non fa che prolungare il lamento aperto dall’interiezione<br />

ahi e sostenuto con l’anadiplosi di come:<br />

... Ahi come,<br />

come passata sei...<br />

Questa è peraltro la strofe in cui più fitte ricorrono le figure<br />

della ripetizione: Anche... anche (vv. 49 e 51); come, come (vv. 52-<br />

53); mia... mia (vv. 54-55); Questo... questi... Questa (vv. 56 e 59).<br />

Viene accentuato così l’effetto di climax della perorazione. L’acme<br />

sta proprio nell’interiezione dei vv. 52-55. Segue l’amara sequenza<br />

delle tre domande retoriche dei vv. 56-59 (resa quasi grottesca<br />

dall’aperta parodia dell’incipit ariostesco al v. 57), dove si<br />

contrappuntano i due tempi verbali, lo sconsolatamente presente<br />

è (v. 56), e il definitivo passato remoto ragionammo (v. 58).<br />

Ed eccoci agli ultimi versi, in cui si concentra una suprema<br />

modulazione di tempi e modi verbali, così da creare quasi un<br />

rapido movimento d’onda che sommerge inesorabile ogni residuo<br />

di “vago e indefinito”: All’apparir... cadesti: e... mostravi.<br />

Quattro versi essenziali, lapidari, apparentemente “ignudi”,<br />

ma accuratamente intessuti nei suoni, nei ritmi, nelle figure. Per<br />

non allontanarci troppo dal proposito di quest’analisi, ci limitiamo<br />

a notare l’agghiacciante chiasmo del v. 62, nel cui fatale abbraccio<br />

sono unite per sempre la fredda morte, nella sua universalità<br />

accennata dall’articolo determinativo la, ed una tomba ignuda,<br />

dove una esprime insieme l’indeterminatezza che fa di una tomba<br />

un simbolo, ma anche l’unicità di “quella” tomba.<br />

Abbraccio definitivo, tra lo scacco universale e una sofferenza<br />

individuale. Così, il tempo verbale dell’ultimo verso è di nuovo<br />

quello della continuità, ma una continuità privata ormai del<br />

residuo dolce-amaro della “ricordanza” che abbiamo visto nelle<br />

strofe precedenti. È la continuità di un disvelamento avvenuto<br />

nel passato individuale che sconfina nella legge dell’eterno, disumano<br />

ordine delle cose: mostravi.


Media e costruzione della realtà (I)<br />

Una riflessione sulla didattica e sulla ricerca<br />

nella prospettiva delle scienze sociali<br />

di Franz Brandmayr *<br />

La prima regola era di non accettare mai nulla per<br />

vero, senza conoscerlo evidentemente come tale: cioè di<br />

evitare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione;<br />

e di non comprendere nei miei giudizi niente più<br />

di quanto si fosse presentato alla mia ragione tanto<br />

chiaramente e distintamente da non lasciarmi nessuna<br />

occasione di dubitarne. 1<br />

Chi ha un bastone più grosso ha una maggiore probabilità<br />

di riuscire a imporre la sua definizione della realtà. 2<br />

1.0 Epistemologia minima (I): i media sono fonti affidabili?<br />

Mi accingo a condurre questa riflessione con l’atteggiamento<br />

dell’insegnante, quindi del lavoratore intellettuale, 3 che si interroga<br />

sulla propria attività di ricerca (didattica e non), sul proprio<br />

* Docente di I.R.c.<br />

1 3<br />

CARTESIO R., Discorso sul metodo, Editori Riuniti, Roma 1996 (1637), p. 72.<br />

2<br />

BERGER P.L.-LUCKMANN TH., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna<br />

1969 (1966), p. 153.<br />

3 Sottraggo all’espressione qualsiasi sussiego o contenuto snobistico e – per<br />

motivi di spazio – rinvio, per un primo approccio tematico alla figura e all’attività<br />

dell’intellettuale, solo ai seguenti testi scelti, peraltro, in maniera quasi<br />

casuale: GUITTON J., Arte nuova di pensare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)<br />

198611 (s.d. orig.), passim; ID., Il lavoro intellettuale. Consigli a coloro che studiano e<br />

lavorano, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 198711 (s.d. orig.), passim;<br />

41


42<br />

Franz Brandmayr<br />

rapporto con le fonti in generale, ma soprattutto con quelle risorse<br />

conoscitive rappresentate dai mezzi di comunicazione di<br />

massa. A spingermi ad affrontare questa disamina, che svolgo<br />

nella prospettiva delle scienze sociali, 4 pesano in buona misura i<br />

frequenti correttivi che, nel processo dell’insegnamento-apprendimento,<br />

il lavoro di docenza impone di apportare ai media più<br />

comunemente adoperati nell’attività in aula. Enciclopedie in rete,<br />

articoli di quotidiani o di periodici, talvolta persino i manuali<br />

scolastici 5 sono cosparsi di approssimazioni, di stereotipie, 6 di<br />

stigmi, 7 di tautologie, 8 di effetti alone, 9 di varie forme di etno-<br />

SERTILLANGES A.D., La vita intellettuale, Studium, Roma 1998 6 (1920), passim;<br />

WALZER M., L’intellettuale militante. Critica sociale e impegno politico nel Novecento, Il<br />

Mulino, Bologna 2004 2 (1988), passim.<br />

4 Come il lettore potrà constatare, attingo primariamente a opere di Sociologia<br />

generale e di Sociologia della Comunicazione inserite in un quadro complessivo<br />

di carattere antropologico-culturale. I contributi forniti dai giornalisti<br />

(in qualche caso anche quelli di accademici-giornalisti) occupano, solitamente,<br />

il carattere di testimonianze più che di contributi teorici.<br />

5 A titolo di esempio, rinvio a BRANDMAYR F., Medioevo: un pregiudizio secolare che<br />

perdura nel discorso comune. Esercizi di decostruzione alla luce delle scienze sociali, in<br />

BIANCHI B.-ID.-COSIMI R.-CREAZZO F.-STROPPOLO D.-ZOCCHI M., Dialoghi al<br />

Liceo Dante. Pagine di cultura e didattica, n. 2, Liceo Ginnasio Statale “Dante<br />

Alighieri”-LINT, Trieste 2011, soprattutto alle pp. 64-69 e 80-81.<br />

6 ARCURI L., Percezione e cognizione sociale, in ID. (a cura di), Manuale di psicologia<br />

sociale, Il Mulino, Bologna 1995, p. 126; MAZZARA B.M., Stereotipi e pregiudizi, Il<br />

Mulino, Bologna 1997, p. 16.<br />

7 AIME M., s.v. Stigma, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), Dizionario di<br />

antropologia. Etnologia antropologia culturale antropologia sociale, Zanichelli, Bologna<br />

1997, p. 709.<br />

8 ABBAGNANO N., s.v. Tautologia, in ID., Dizionario di filosofia, U.T.E.T., Torino<br />

1971 2 (s.d. orig.), p. 857.<br />

9 MANDL H., s.v. Alone/effetto, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura<br />

di), Dizionario di psicologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 3 (1975),<br />

p. 61.


Media e costruzione della realtà<br />

centrismo, 10 di esclusivismo culturale, 11 di selettività, 12 di anacronismo<br />

13 e – non di rado – di errori veri e propri.<br />

È vero che – sovente – questi difetti espositivi risultano difficilmente<br />

evitabili: lo si deve riconoscere, la “narrativizzazione” 14<br />

giornalistica consente spesso formati 15 e tempi 16 solo molto ristretti,<br />

con tutte le deficienze che possono derivarne 17 . Ne consegue<br />

che – come sostengono gli studiosi – «ogni tipo di comunicazione<br />

(giornalistica) non può che essere selettiva, sintetica,<br />

forgiata sull’esclusione di elementi che si ritengono meno<br />

interessanti» 18 .<br />

Il mio scopo, quindi, non è certo quello di stigmatizzare una<br />

certa tipologia di mezzi, magari per promuoverne altri, quali<br />

potrebbero essere – ad esempio – i libri. Oltre a essere una battaglia<br />

perduta in partenza, 19 si tratterebbe chiaramente di un<br />

anacronismo esiziale per la stessa ricerca, che di una differen-<br />

10 Vd. ad es. BERNARDI B., Uomo cultura società. Introduzione agli studi etno-antropologici,<br />

Franco Angeli, Milano 1984 8 (s.d. orig.), p. 44.<br />

11 CIRESE A.M., Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo<br />

popolare tradizionale, Palumbo, Palermo 1973, p. 7.<br />

12 SCHENCK J., s.v. Sociale/percezione, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a<br />

cura di), op. cit., pp. 1078-1080; vd. anche infra, nt. 18 e 95.<br />

13 Vd. ad es. BRANDMAYR F., op. cit., pp. 60-62.<br />

14 Vd. infra, nt. 126.<br />

15 Cfr. ad es. AGOSTINI A., “la Repubblica”. Un’idea dell’Italia, Il Mulino, Bologna<br />

2005, pp. 59-70; SORRENTINO C., Tutto fa notizia. Leggere il giornale, capire il<br />

giornalismo, Carocci, Roma 2010, pp. 95-96.<br />

16 Cfr. infra, nt. 120.<br />

17 Cfr. infra, nt. 126 e 127.<br />

18<br />

SORRENTINO C., op. cit., p. 28 (parentesi tonda mia).<br />

19 Cfr. SARTORI G., Prefazione, in ID., Homo videns. Televisione e post-pensiero, Laterza,<br />

Roma-Bari 201012 (1997), p. XVI.<br />

43


44<br />

Franz Brandmayr<br />

ziazione degli strumenti e delle tecniche non può che avvalersi<br />

fruttuosamente. 20<br />

Mi pare – tuttavia – che la vera posta in gioco sia la stessa<br />

affidabilità 21 dei mezzi di informazione, i quali vedono impegnata<br />

– pur nelle sue notevoli differenziazioni interne 22 – un’unica<br />

classe di lavoratori intellettuali: quella dei giornalisti. Nell’ambito<br />

accademico non sono poche le testimonianze di una certa<br />

disistima della qualità professionale dei giornalisti, 23 ma in que-<br />

20 Cfr. ad es. il chiaro nesso positivo fra istruzione e un certo utilizzo di<br />

Internet rilevato dai sociologi (SARTORI L., Il divario digitale. Internet e le nuove<br />

disuguaglianze sociali, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 87 e 94). Per un approfondimento<br />

dei significati simbolici sottesi all’uso dei media rinvio al suggestivo<br />

MOORES SH., La televisione satellitare come segno culturale, in ID., Il consumo dei<br />

media, Il Mulino, Bologna 1998 (1993), pp. 187-202 e all’opera tutta.<br />

21 Cfr. FROIO F., L’informazione spettacolo. Giornali e giornalisti oggi, Editori Riuniti,<br />

Roma 2000, p. 206; MARLETTI C., Media e politica. Saggi sull’uso simbolico della politica<br />

e della violenza nelle comunicazioni, Franco Angeli – Istituto di Scienze politiche “G.<br />

Solari” Università di Torino, Milano 1984, p. 72; cfr. anche infra, nt. 129.<br />

22 Per una sintesi efficace sulla differenziazione interna alla pratica giornalistica<br />

attuale cfr. ad es. AGOSTINI A., Orizzonti digitali, in ID., Giornalismi. Media<br />

e giornalisti in Italia, Il Mulino, Bologna 2004, pp. 141-187.<br />

23 Cfr., solo a titolo di esempio, CARMO FELICIANI S., Introduzione, in DAWSON<br />

CH., Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, Rizzoli, Milano 1997 2<br />

(1950), p. 6; FERRAROTTI F., Prefazione, in BARBANO A., L’Italia dei giornali<br />

fotocopia. Viaggio nella crisi di una professione, Franco Angeli, Milano 2003, p.<br />

12; LO IACONO P., La concezione islamica dell’occidente, in ALLIEVI S. (a cura di),<br />

L’occidente di fronte all’islam, Franco Angeli, Milano 1996, pp. 146 e 151;<br />

PERNOUD R., Medio Evo. Un secolare pregiudizio, Bompiani, Milano 1998 5 (1977),<br />

p. 145; PIVATO S., Vuoti di memoria. Usi ed abusi della storia nella vita pubblica<br />

italiana, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 22, 26, 34, 74, 87-88, 129, 131 et alibi;<br />

POPPER K.R., Una patente per fare tv, in ID.-CONDRY J.-WOJTYÙA K., Cattiva<br />

maestra televisione, Donzelli, Milano 1996, p. 34; VASOLI C., Prefazione, in<br />

BURDACH K., Riforma Rinascimento Umanesimo. Due dissertazioni sui fondamenti<br />

della cultura e dell’arte della parola moderne, Sansoni, Firenze 1986 2 (1918), p.<br />

VII. Vd. anche infra, nt. 109.


Media e costruzione della realtà<br />

sta sede si vuole pensare a quello del giornalista come a un lavoro<br />

intellettuale nel senso pieno del termine, 24 professione – per<br />

di più – gravata da pesi e responsabilità non indifferenti. 25<br />

Queste poche pagine non hanno certo il fine di dare conto<br />

del dibattito interno al mondo mediatico circa le finalità del giornalismo<br />

stesso o intorno al problema dell’obiettività, se essa esista<br />

e in quali termini, 26 se venga considerata, e da chi, un proposito<br />

ancora perseguibile, 27 se configuri – al contrario – un ideale<br />

donchisciottesco e anacronistico, oppure illusorio 28 e – in definitiva<br />

– mistificante; 29 se il mercato 30 rappresentato dai media<br />

destituisca di significato ogni riferimento forte alla verità e via<br />

dicendo. Analogamente, sono costretto a lasciare da parte, o a<br />

sfiorare appena, tematiche ancora più impegnative, come la<br />

nozione di “dato concreto”, di “fatto” 31 e di “verità”, che attraversano<br />

il dibattito epistemologico da svariati decenni. Mi richiamo<br />

– invece – a una concezione più limitata e, nella nostra<br />

24 Cfr. MARLETTI C., op. cit., p. 88.<br />

25 Cfr. infra, nt. 176 e 180.<br />

26 Vd. infra, nt. 78-79 e 177.<br />

27 Cfr. ad es. infra, nt. 70.<br />

28<br />

AGOSTINI A., “la Repubblica”, cit., p. 7.<br />

29<br />

ECO U., Obiettività dell’informazione: il dibattito teorico e le trasformazioni della<br />

società italiana, in ID.-LIVOLSI M.-PANOZZO G., Informazione. Consenso e dissenso,<br />

Il Saggiatore, Milano 1979, pp. 15 et passim.<br />

30 Cfr. infra, nt. 173-175.<br />

31<br />

ABBAGNANO N., s.v. Fatto, in ID., op. cit., pp. 379-381. Con riferimento al<br />

nostro oggetto di studio scrive LASCH CH., La ribellione delle élite. Il tradimento<br />

della democrazia, Feltrinelli, Milano 1995 (1994), p. 70 (parentesi tonda mia):<br />

«In certi ambienti, l’idea stessa di realtà è stata messa in discussione, forse<br />

perché le “classi parlanti” (quelle che hanno maggiore accesso ai media) vivono<br />

in un mondo artificiale, in cui la simulazione della realtà ha preso il posto<br />

delle cose in sé».<br />

45


46<br />

Franz Brandmayr<br />

prospettiva delle scienze sociali, più operativa di «tecnica della<br />

verità» 32 , intendendola come «ipotetica» e «plausibile» 33 presa in<br />

esame dei fatti e delle interpretazioni, che a questi fatti conferiscono<br />

un significato. 34<br />

1.1 Epistemologia minima (II): finalità del contributo<br />

A questo scopo attingo qualche spunto sommario, visti i limiti<br />

di questo studio, anche da ambiti – lo ammetto – estranei a<br />

quello giornalistico: mi riferisco in particolare a quello delle scienze<br />

sociali e, in parte, a quello storiografico. È certo che mi si<br />

potrà opporre facilmente l’obiezione circa la specificità della<br />

professione di giornalista, che scienziato sociale o storico – so-<br />

32 MARLETTI C., op. cit., p. 76; cfr. anche infra, nt. 76.<br />

33 Vd. anche infra, nt. 68.<br />

34 A questa scelta metodologica non è sotteso alcun misconoscimento della<br />

dignità filosofica del tema della ricerca della verità e della sua conoscibilità,<br />

come dell’opportunità di un approfondimento euristico costante anche in<br />

queste direzioni. A questo proposito vd. ad es. COTTIER G., Le vie della ragione:<br />

temi di epistemologia teologica e filosofica, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002;<br />

GIORDANI A., Il problema della verità: Heidegger vs Aristotele, V&P università,<br />

Milano 2001; IACCARINO A., Verità e giustizia: per un’ontologia del pluralismo, Città<br />

nuova, Roma 2008; POSSENTI V. (a cura di), La questione della verità: filosofia,<br />

scienze, teologia, Armando, Roma 2003; POSSENTI V.-MASSARENTI A. (a cura di),<br />

Nichilismo, relativismo, verità: un dibattito, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ)<br />

2001; STAGLIANÒ A., Su due ali: l’impegno per la ragione, responsabilità della fede,<br />

Lateran University Press, Roma 2005. In una prospettiva filosofica diversa si<br />

colloca ad es. VATTIMO G., Verità, comunicazione, espressione, in AA.VV., Il problema<br />

della comunicazione, Gregoriana, Padova 1964, pp. 260-266; ID., Arte e verità<br />

nel pensiero di M. Heidegger, corso di Estetica dell’a.a. 1965-66, Giappichelli,<br />

Torino 1966, passim; ID., Verità e pace, in AA.VV., Identità culturale dell’Europa. Le<br />

vie della pace, Atti del colloquio internazionale (Torino, 19-22 giugno 1984),<br />

Aic, Torino 1984, pp. 69-75.


Media e costruzione della realtà<br />

litamente – non è, ma perseguo egualmente il mio intento per<br />

una serie di motivi.<br />

In primo luogo non ambisco ad avere tutte le ragioni in questa<br />

riflessione: voler impartire lezioni metodologiche dall’esterno<br />

a una categoria di lavoratori, cui non si appartiene e delle cui<br />

difficoltà non si ha viva esperienza, sarebbe soprattutto ridicolo,<br />

più che biasimevole. Inoltre, accingendomi a esplorare qualche<br />

aspetto del «mondo sociale» 35 del giornalismo, non mi pare<br />

opportuno “far parlare i fatti” 36 , dando – surrettiziamente – uno<br />

spazio retorico al diffuso sentimento di sfiducia 37 nei confronti<br />

degli organi di informazione: non è con la demagogia che si<br />

può tentare di avviare un leale confronto con una categoria professionale<br />

“altra”. 38 In terza istanza – al seguito di una tradizione<br />

scientifica consolidata 39 – intendo esplicitare chiaramente,<br />

senza mimetismi di sorta, i presupposti epistemologici dai quali<br />

prendo le mosse per questa riflessione.<br />

L’intento di queste pagine è – soprattutto – quello di fornire<br />

delle testimonianze raccolte nel mondo dei giornalisti e del<br />

materiale descrittivo ricavato dalle analisi degli studiosi, il tutto<br />

in vista di uno sviluppo euristico ulteriore. Sarebbe mia intenzione,<br />

infatti, riservare a una pubblicazione futura la presa in<br />

considerazione della problematica affidabilità dei media, particolarmente<br />

quando si occupano dello specifico ambito delle<br />

35 BERTAUX D., Racconti di vita. La prospettiva etnosociologica, Franco Angeli, Milano<br />

2003 (1998), pp. 37-38.<br />

36 Cfr. FORCELLA E., Millecinquecento lettori. Confessioni di un giornalista politico, in<br />

“Tempo Presente”, n. 6, p. 454.<br />

37 Cfr. infra, nt. 181 e 183-188.<br />

38 Cfr. infra, nt. 49.<br />

39 Cfr., ad es., GEERTZ C., L’io testimoniante. I figli di Malinowsky, in ID., Opere e<br />

vite. L’antropologo come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 85-86.<br />

47


48<br />

Franz Brandmayr<br />

religioni; 40 il mondo dei mezzi di comunicazione di massa potrebbe<br />

«coprire» 41 questi temi con effetti di palese resa stereotipica,<br />

42 di oscuramento 43 e di discredito. 44 D’altra parte, secondo<br />

studi sociologici autorevoli, queste caratteristiche (ma soprattutto<br />

quella della resa stereotipica) costituirebbero addirittura<br />

delle «regole precise», che «la società di massa impone alle religioni<br />

e a chi vuole parlarne in TV e sulla carta stampata» 45 .<br />

40 Ho già svolto un lavoro di questo genere per quanto concerne, in modo<br />

particolare, l’islâm, per il quale rinvio a BRANDMAYR F., L’islàm nelle rappresentazioni<br />

collettive degli italiani. Le etichettazioni “orientalistiche”, in “A.N.I.R.”, XXI<br />

(2006), nn. 2-3, pp. 20-22; ID., L’ islàm nei media italiani. La comunicazione<br />

funzionale al processo dell’etnicità, in “A.N.I.R.”, XXII (2007), n. 1, gennaio-aprile,<br />

pp. 11-15; ID., L’ islàm nei media italiani. La deriva islamofobica, in “A.N.I.R.”,<br />

XXIII (2008), nn. 2-3, pp. 8-10; ID., L’ islàm nei media italiani. La deriva<br />

islamofobica (II parte), in “A.N.I.R.”, XXIV (2009), n. 1, pp. 12-14. Sono<br />

consultabili anche ID., Jihad, contributi per un’ermeneutica, in “Cristiani nel Mondo”,<br />

XXV (2010), n. 2, aprile/maggio, pp. 8-10; ID., Parlare di islàm. Per una<br />

comprensione del concetto di “sottomissione”. Dalle stereotipie ad un approccio ermeneutico,<br />

in BIAGINI P.E.-BIANCHI B.-ID.-CREAZZO F.-SERGI M.-STROPPOLO D., Dialoghi<br />

al Liceo Dante. Pagine di cultura e didattica, Liceo-Ginnasio Statale Dante Alighieri-<br />

LINT, Trieste 2010, pp. 85-131.<br />

41 Significa «assumere il compito di informazione attraverso uno o più servizi<br />

giornalistici o radiotelevisivi, relativamente a eventi di particolare rilievo»<br />

(cfr. DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Coprire, in IID., Il dizionario della lingua italiana,<br />

Le Monnier, Firenze 1995). A volte viene usato l’anglismo coverage.<br />

42 Cfr. supra, nt. 6.<br />

43 GILI G., Il problema della manipolazione: peccato originale dei media?, Franco Angeli,<br />

Milano 2001, pp. 116-117; cfr. anche CASILLO S., Fattoidi, bufale e falsi<br />

giornalistici, in ID.-DI TROCCHIO F.-SICA S., Falsi giornalistici. Finti scoop e bufale<br />

quotidiane, Guida, Napoli 1997, pp. 25-27.<br />

44 Cfr. GILI G., op. cit., pp. 98-102 e, solo per quanto concerne la strategia<br />

della «costruzione del nemico», DAL LAGO A., Non-persone. L’esclusione dei migranti<br />

in una società globale, Feltrinelli, Milano 2004 2 (1999), p. 50.<br />

45 PACE E., in ACQUAVIVA S.-ID., Sociologia delle religioni. Problemi e prospettive,<br />

Carocci, Roma 1996 2 (1992), p. 174.


Media e costruzione della realtà<br />

Nonostante questo proposito mirato al futuro, mi pare che<br />

lo «sguardo» 46 , che – ab extra – mi propongo di rivolgere al mondo<br />

dei media, possa avere un suo significato anche a prescindere<br />

dagli eventuali sviluppi della ricerca. Ritengo, ad esempio, che<br />

queste pagine possano dare voce a una esigenza di fondo – quella<br />

dell’obiettività – non del tutto sopita nel mondo della stampa e<br />

che – in ogni caso – interpella qualsiasi lavoratore intellettuale e,<br />

in fondo, ogni soggetto che ritenga importante la propria<br />

maturazione personale e civica.<br />

Per porre le premesse alla formulazione delle suddette ipotesi<br />

plausibili ho tentato di entrare in relazione, diretta o attraverso i<br />

testi, con diversi addetti ai lavori, celebri o meno che fossero. 47 Al<br />

«gruppo» 48 dei giornalisti, che ho avvicinato come fosse una sorta<br />

di «cultura professionale» 49 specifica, mi illudo di avere guardato<br />

– inoltre – con una certa «simpatia metodologica» 50 , che – indi-<br />

46 Mi rifaccio al concetto di «sguardo antropologico» così come emerge dalle<br />

suggestioni che mi provengono da APOLITO P., Sguardi e modelli. Saggi di antropologia,<br />

Franco Angeli, Milano 1994, passim.<br />

47 Nella fase esplorativa che precede il lavoro sul campo vero e proprio si<br />

rivelano utili anche i colloqui informali (BIANCO C., Dall’evento al documento.<br />

Orientamenti etnografici, C.I.S.U., Roma 1988, p. 112). Vd. anche CIRESE A.M.,<br />

op. cit., p. 244: alcune conversazioni con giornalisti si sono rivelate per me<br />

significative ai fini dell’elaborazione di questa riflessione.<br />

48 Quando si occupano di professioni i sociologi si riferiscono a «gruppi<br />

secondari […] regolati da norme formali, razionali», cfr. GABASSI P., s.v. Gruppo,<br />

in DEMARCHI F.-ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), Nuovo dizionario di<br />

sociologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994 3 (1987), p. 941.<br />

49 DUBAR C., La socializzazione. Come si costruisce l’identità sociale, Il Mulino, Bologna<br />

2004 (2000), p. 153. Vd. le riserve di CUCHE D., La nozione di cultura nelle<br />

scienze sociali, Il Mulino, Bologna 2003 (2001), pp. 123-125 su questo utilizzo<br />

del concetto di cultura.<br />

50 Cfr. ad es. il riferimento alla «simpatia» dell’antropologo per la cultura<br />

studiata (FIRTH R., I simboli e le mode, Laterza, Bari 1977, p. 40). È un’espres-<br />

49


50<br />

Franz Brandmayr<br />

spensabile in ogni approccio antropologico-culturale all’oggetto<br />

di studio – abbiamo visto che non sempre impronta le critiche<br />

portate da altri mondi sociali 51 al gruppo costituito dagli operatori<br />

dei media. Si tratta di una simpatia che – voglio sottolinearlo – trae<br />

origine anche da una considerazione di ordine politico, se per<br />

«politica» intendiamo quella intesa nel «senso forte» 52 del termine,<br />

cioè l’arte di ricercare il bene comune: 53 lo “sguardo giornalistico”<br />

sulla realtà è carico di un potere che «può innalzare e può<br />

abbattere» e che può influire sui destini di molti. Non a caso,<br />

infatti, Weber accosta il ruolo del giornalista a quello del politico<br />

(per cui «i nomi di “scrittore mercenario” e di “oratore mercenario”<br />

risuoneranno […] alle orecchie dell’uno e dell’altro») 54 : ad<br />

ambedue sono riservate «gioie intime» quali il «sentimento del<br />

potere […] e di elevarsi al di sopra della realtà quotidiana» 55 .<br />

Nella sua pratica lavorativa il giornalista può, quindi, proporre<br />

un’azione altamente costruttiva nella direzione della preservazione<br />

e dell’incremento della prassi democratica 56 all’interno della com-<br />

sione, tuttavia, che non va intesa in senso «emotivo», né va confusa con<br />

opzioni teoriche che rifiutino a priori il tentativo di una «comprensione»<br />

oggettiva della cultura studiata; cfr. TULLIO-ALTAN C., Manuale di antropologia<br />

culturale. Storia e metodo, Bompiani, Milano 1979 (1971), p. 543. Vd. anche la<br />

nozione di «osservazione partecipante» in SCHULTZ E.A.-LAVENDA R.H., Antropologia<br />

culturale, Zanichelli, Bologna 1999 (1998), pp. 34-35.<br />

51 Vd. supra, nt. 23.<br />

52 Vd., da un punto di vista prettamente antropologico-culturale, TULLIO-ALTAN<br />

C., Antropologia. Storia e problemi, Feltrinelli, Milano 1985 2 (1983), pp. 227-233.<br />

53 Vd. ad es. HÕFFNER J., La dottrina sociale cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo<br />

(MI) 1986 3 (1983), pp. 33-39.<br />

54 WEBER M., La politica come professione, in ID., Il lavoro intellettuale come professione,<br />

Einaudi, Torino 1966 (1919), p. 100.<br />

55 Ib.; cfr. infra, nt. 148.<br />

56 Vd. infra, nt. 173.


Media e costruzione della realtà<br />

pagine statuale oppure, al contrario, può contribuirne al degrado.<br />

È, questa del lavoro giornalistico, un’opportunità che – se valorizzata<br />

– può impreziosire considerevolmente la funzione sociale<br />

e politica dell’operatore dell’informazione. La sua azione<br />

sociale andrebbe, pertanto, più che demonizzata, orientata e finalizzata<br />

a scopi compatibili con le battaglie più significative<br />

dell’attuale emergenza democratica. Il venire meno dello Statonazione,<br />

57 infatti, sembra imporre un faticoso, ma irrinunciabile<br />

58 lavoro di ricerca delle forme più adatte di convivenza fra<br />

sensibilità culturali diversificate 59 e della diffusione di un «orientamento<br />

di valore» 60 meno succube del mercato 61 e dei modelli<br />

57 Cfr., ad es., da un punto di vista sociologico COLOMBO E., Le società<br />

multiculturali, Carocci, Roma 2002, pp. 22-25; in una prospettiva storica<br />

REINHARD W., Storia dello stato moderno, Il Mulino, Bologna 2010 (2007), pp.<br />

118-119.<br />

58 La «vita comune» e la «disponibilità» a «riconoscersi reciprocamente» fra<br />

diverse culture sembrano venire pensati da POSSENTI V., Le ragioni della laicità,<br />

Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), p. 38, come una premessa di fondo ed<br />

una condizione di sopravvivenza della società postsecolare.<br />

59 Con sensibilità differenziate rispetto a questi problemi si possono leggere<br />

BERNARDI U., La nuova insalatiera etnica. Società multiculturale e relazioni interetniche<br />

nell’era della globalizzazione, Franco Angeli, Milano 2000, passim e COLOMBO E.,<br />

op. cit., passim.<br />

60 Con questa nozione intendo l’applicazione di «complessi di valori organizzati<br />

[…] ad ampi segmenti della vita», valori funzionali «all’integrazione<br />

culturale» (cfr. SEYMOUR-SMITH CH., s.v. Valori, in EAD., Dizionario di antropologia,<br />

Sansoni, Firenze 1991 [1986], pp. 420-421) del soggetto, ma anche<br />

all’«espressione» (cfr. TURNER V., Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna 1986<br />

[1982], p. 36) di giudizi, di comportamenti etici e di sentimenti (ivi, pp.<br />

120-121), che possono essere cognitivamente dissonanti (TRENTIN R., Gli<br />

atteggiamenti sociali, in ARCURI L. [a cura di], op. cit., pp. 274-281) rispetto al<br />

contesto sociale.<br />

61 Cfr. ARDIGÒ A., Introduzione, in PARSONS T., Comunità societaria e pluralismo. Le<br />

differenze etniche e religiose nel complesso della cittadinanza, Franco Angeli, Milano<br />

51


52<br />

Franz Brandmayr<br />

egemonici 62 elitari 63 concomitanti al fenomeno della globalizzazione.<br />

In definitiva, alle procedure critiche proprie delle scienze<br />

sociali, che improntano le riflessioni che seguono, soggiace<br />

un’opzione dichiaratamente etico-sociale, 64 mirata – nei suoi limiti<br />

– a rinforzare il rapporto di fiducia 65 fra chi le notizie le<br />

produce e noi fruitori dei mezzi di comunicazione di massa.<br />

1994, pp. 13-14. Per un primo approccio interdisciplinare al tema socioeconomico<br />

del mercato vd., ad es., AA.VV., Fuori dal mercato non c’è salvezza?, in<br />

“Concilium”, XXXIII (1997), 2, passim.<br />

62 SEYMOUR-SMITH CH., s.v. Egemonia, in EAD., op. cit., p. 151.<br />

63 Su questo aspetto della ricerca sociale non ho trovato opere che abbiano<br />

una lucidità pari a quella di LASCH CH., op. cit., pp. 29-46 et passim.<br />

64 Come tale valutativa e a sua volta passibile di essere fatta oggetto del giudizio<br />

di valore del lettore, vd. WEBER M., Il metodo delle scienze storico-sociali,<br />

Einaudi, Torino 1981 2 (1922), pp. 60-61, 335-337 et alibi. Del resto – come è<br />

noto – adesione al valore (in questo caso: la democrazia) e scientificità non<br />

sono inconciliabili: l’essenziale è distinguere accuratamente i diversi piani del<br />

discorso (cfr. ad es. ivi, pp. 68 e 97).<br />

65 Sul tema della fiducia nel contesto della modernità, vd. ad es. i contributi di<br />

Sztompka P., Jedlowski P., Tarozzi A. e Cotesta V. nella II parte di CRESPI F.-<br />

SEGATORI R. (a cura di), Multiculturalismo e democrazia, Donzelli, Roma 1996,<br />

pp. 49-96; GIDDENS A., Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e<br />

pericolo, Il Mulino, Bologna 1994 (1990), soprattutto i capp. III e IV. Come si<br />

sa, anche il sociologo anglo-polacco Zygmunt Bauman ha dato spazio a<br />

tematiche come le «paure postmoderne» (BAUMAN Z., La società dell’incertezza,<br />

Il Mulino, Bologna 1999 [1999], pp. 99-126) o l’«insicurezza» (ID., La solitudine<br />

del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2008 [1999], pp. 17-63), che presentano<br />

una certa complementarità con l’argomento.


Media e costruzione della realtà<br />

1.2 Epistemologia minima (III): fatti e interpretazioni<br />

Il fatto che il giornalista abbia fra i suoi fini quello di tradurre, 66<br />

in qualche modo, i «mondi della vita» 67 e la realtà sociale (sia<br />

quando si occupa di cronaca nera, che quando scrive di arte o di<br />

moda o altro ancora) nel linguaggio e nei formati propri della<br />

sua professione, credo possa avvicinarlo – perlomeno sotto certi<br />

aspetti – allo studioso di scienze sociali. Anche questi non<br />

presume tanto di spiegare esaustivamente il significato dei «“meccanismi<br />

sociali”», quanto – piuttosto – di<br />

elaborare progressivamente un corpo di ipotesi plausibili […]<br />

fondato sulle osservazioni, ricco di descrizioni […] e di proposte<br />

interpretative […] dei fenomeni osservati. 68<br />

Emerge, come si può agevolmente constatare, la componente<br />

empirica, «fattuale», 69 che senza dubbio informa anche<br />

il lavoro giornalistico; 70 inoltre, mi pare ciò possa valere – mutatis<br />

mutandis – anche quando la notizia viene elaborata con l’attività<br />

di desk 71 e il giornalista, pur non muovendosi dalla sua postazione<br />

al computer, è costretto a rapportarsi con le fonti rappresentate<br />

dalle diverse notizie d’agenzia, spesso contraddit-<br />

66 CHAKRABARTY D., Provincializzare l’Europa, Meltemi, Roma 2004 (2000), pp.<br />

105 e ss.<br />

67 ABBAGNANO N., s.v. Mondo della vita, in ID., op. cit., p. 596; PARDI F., s.v.<br />

Soggettività, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit.,<br />

p. 1986.<br />

68 BERTAUX D., op. cit., p. 41.<br />

69 Ivi, p. 43.<br />

70 Piero Ottone, già direttore del “Corriere della Sera”, richiamava alla concretezza<br />

i suoi colleghi con queste semplici parole: «Dire le cose come stanno:<br />

questo è l’imperativo del buon giornalista» (ID. cit. in FROIO F., op. cit., p. 30).<br />

53


54<br />

Franz Brandmayr<br />

torie, variamente interpretabili e la cui notiziabilità va valutata<br />

di volta in volta. 72<br />

I dati [...] mostrano come “funziona” un mondo sociale o<br />

una situazione sociale. Questa funzione […] permette […]<br />

una descrizione in profondità dell’oggetto sociale, […] prende<br />

in carico le configurazioni dei rapporti sociali interne all’oggetto,<br />

i suoi rapporti di potere, le sue tensioni, i suoi processi<br />

di riproduzione permanente, le sue dinamiche di trasformazione.<br />

73<br />

Credo si tratti – quindi – di non eccedere nel «relativismo» 74<br />

tipicamente postmoderno, che «mette in dubbio la distinzione tra<br />

fatto e finzione, realtà oggettiva e discorso concettuale» 75 e di attenersi<br />

a «una concezione pragmatica delle “verità fattibili”<br />

(workable), fondate su nozioni condivise e razionali del fatto e della<br />

prova» 76 . Per quanto nella storiografia una oggettività «totale» 77<br />

71 È il «lavoro di scrivania» (SORRENTINO C., op. cit., p. 102), cioè effettuato a<br />

tavolino.<br />

72 Per notiziabilità (cfr. ivi, pp. 73 e ss.) l’Autore sembra intendere quel complesso<br />

di criteri, di opzioni e di pratiche professionali mediante il quale un<br />

fatto, un fenomeno o un processo sociale può diventare notizia.<br />

73 BERTAUX D., op. cit., p. 41.<br />

74 Cfr. HOBSBAWM E.J., On History, Weikenfeld and Nicholson, London 1997,<br />

p. 311; per un approfondimento del tema nell’ambito delle scienze sociali<br />

vd., ad es.: BOUDON R., Il relativismo, Il Mulino, Bologna 2009 (2008), passim e<br />

GEERTZ C., Contro l’anti-relativismo, in ID., Antropologia e filosofia, Il Mulino,<br />

Bologna 2001 (1984), pp. 57-83.<br />

75 Cfr. HOBSBAWM E.J., op. cit., p. 311.<br />

76 CHAKRABARTY D., op. cit., p. 138. Direttamente pertinente con la pratica<br />

giornalistica è l’attualissima riflessione in materia prodotta da MARLETTI C.,<br />

Informazione, falsi giornalistici e costruzioni di realtà, in ID., Media, cit., pp. 50-82.<br />

77 SCHULTZ E.A.-LAVENDA R.H., op. cit., p. 38.


Media e costruzione della realtà<br />

sia irraggiungibile 78 e lo storico possa «aspirare al massimo alla<br />

plausibilità […] la plausibilità, naturalmente, non si fonda sull’invenzione<br />

arbitraria di una descrizione storica; essa implica invece<br />

strategie razionali per determinare ciò che è plausibile in realtà» 79 .<br />

A questo richiamo alla concretezza dei fatti non è sottesa –<br />

d’altra parte – una superata fattualità positivistica, 80 quasi un<br />

feticismo del cosiddetto “dato concreto”. È – in effetti – un’opinione<br />

che viene discussa ormai da lungo tempo, e persino nell’ambito<br />

delle scienze della natura, quella che ritiene ancora che<br />

la ricerca si configuri come una «passiva registrazione di nudi<br />

fatti» 81 . Nel caso delle «discipline sociali», poi, proprio in quanto<br />

il ricercatore deve confrontarsi con attori sociali che sono portatori<br />

di schemi culturali 82 peculiari, la «comprensione» 83 dei fatti<br />

esige «una grandissima intimità con le fonti: gli informatori.<br />

Di conseguenza i dati […] sono […] intersoggettivi, prodotto di<br />

lunghi dialoghi tra ricercatore e informatore» 84 .<br />

Ora, non occorre dilungarsi sul fatto che – solitamente – il<br />

giornalista non può soffermarsi «sul terreno» 85 (sempre nel caso<br />

78<br />

IGGERS G.G., Historiography in the Twentieth Century: From Scientific Objectivity to<br />

Postmodern Challenge, Wesleyan University Press, Hannover-London 1997, p.<br />

145; cfr. anche WEBER M., Il metodo, cit., p. 84 e WALZER M., op. cit., p. 288.<br />

79<br />

IGGERS G.G., op. cit., p. 145.<br />

80 Vd. ad es. SCHULTZ E.A.-LAVENDA R.H., op. cit., pp. 36-37.<br />

81<br />

DEI F.-CLEMENTE P., I fabbricanti di alieni. Sul problema della descrizione in antropologia,<br />

in FABIETTI U. (a cura di), Il sapere dell’antropologia. Pensare, comprendere,<br />

descrivere l’Altro, Mursia, Milano 1993, p. 84. Secondo BOURDIEU P., Ragioni<br />

pratiche, Il Mulino, Bologna 20092 (1994), pp. 85-86, la «costruzione scientifica»<br />

è «anche una costruzione sociale».<br />

82<br />

TENTORI T., Antropologia culturale, Studium, Roma, 1960, p. 19.<br />

83<br />

MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 790.<br />

84 SCHULTZ E.A.-LAVENDA R.H., op. cit., p. 39.<br />

85 Cfr. infra, nt. 104.<br />

55


56<br />

Franz Brandmayr<br />

ci vada personalmente) 86 se non per pochi giorni, quando non<br />

per poche ore soltanto, né si può sempre chiedere all’inviato di<br />

avere competenze linguistiche e di ricerca sul campo di livello<br />

antropologico, né – tanto meno – delle relazioni avviate e consolidate<br />

come è auspicabile intessa l’antropologo nei suoi prolungati<br />

soggiorni. Attraverso questa suggestione ricavata dalle<br />

scienze sociali ho inteso, però, porre egualmente l’accento sull’importanza,<br />

ritengo, per il giornalista, di svolgere «due compiti<br />

distinti e strettamente intrecciati: da un lato, ricostruire i fatti;<br />

dall’altro metterli in relazione attraverso interpretazioni» 87 , in un<br />

intreccio dialettico 88 che dovrebbe rendere conto delle diverse<br />

«posizioni» 89 occupate dai differenti attori coinvolti nell’evento<br />

o nella «situazione sociale» 90 narrata. Questo composto di cronaca<br />

e di interpretazione, peraltro opportunamente dosate a<br />

seconda dei contesti e delle circostanze, potrebbe – inoltre –<br />

offrire l’estro per un fecondo connubio fra diverse tradizioni<br />

giornalistiche: quella italiana, di solito più versata nel commento<br />

dei fatti, e quella anglosassone, particolarmente focalizzata<br />

sulla cronaca. 91<br />

In queste pagine – tuttavia – più che sull’operatore mediatico<br />

soffermerei la mia attenzione soprattutto sul destinatario dei<br />

media: ciò per fare esercizio di sensibilizzazione, da un lato, di<br />

noi lettori adulti di quotidiani, noi telespettatori, noi utenti della<br />

86 Cfr. infra, nt. 100-106.<br />

87 BERTAUX D., op. cit., p. 84.<br />

88 Sulla dialettica intesa come ragionamento filosoficamente rigoroso vd. ad<br />

es. GUITTON J., Arte, cit., pp. 114-120. Da un punto di vista storiografico vd.<br />

ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.<br />

89 BERTAUX D., op. cit., p. 44.<br />

90 Ivi, p. 38.<br />

91 Cfr. infra, nt. 145.


Media e costruzione della realtà<br />

rete onde affinare gli strumenti critici dei quali disponiamo e,<br />

dall’altra parte, degli studenti, al fine di trasmettere loro queste<br />

stesse chiavi di lettura e contribuire a fare instaurare loro un<br />

rapporto più consapevole e meditato con i media stessi.<br />

2.0 «Questa insostenibile leggerezza del pensare…»<br />

Nel 2001 Stefano Allievi, uno dei massimi esperti di sociologia<br />

dell’islâm in Europa, da ex giornalista definiva in questo modo<br />

caustico 92 la produzione di «fattoidi» 93 e di «esagerazioni», la superficialità<br />

94 e la selettività 95 messi in campo dal mondo della comunicazione<br />

italiano impegnato a rendere conto della realtà<br />

islamica internazionale e italiana. Secondo il nostro, infatti, sembrava<br />

che il ruolo dei media non fosse «più solo quello di informare,<br />

ma propriamente di costruire 96 i nostri mondi conoscitivi» 97 .<br />

92 ALLIEVI S., Parole dell’islam, parole sull’islam. Formazione culturale, comunicazione<br />

e ruolo dei mass media, in SIGGILLINO I. (a cura di), I media e l’islam. L’informazione<br />

e la sfida del pluralismo religioso, E.M.I., Bologna 2001, p. 41.<br />

93 ALLIEVI S., Parole, cit., p. 36. «I fattoidi sono eventi mai avvenuti, dotati di<br />

peculiarità e caratteristiche anomale e curiose, ma plausibili e verosimili,<br />

sul cui conto, nel tessuto sociale o in alcuni ambienti di esso, circolano<br />

indizi, liberamente disponibili per tutti i mass media, che possono far supporre<br />

– con maggiori o minori forzature – una loro reale esistenza» (CASILLO<br />

S., Fattoidi, bufale e falsi giornalistici, in ID.-DI TROCCHIO F.-SICA S., Falsi giornalistici.<br />

Finti scoop e bufale quotidiane, Guida, Napoli 1997, p. 30). Vd. anche<br />

GILI G., op. cit., pp. 250-254.<br />

94 Cfr. ALLIEVI S., Parole, cit., p. 42.<br />

95 Ivi, p. 35. Sul concetto di selettività vd. supra, nt. 12, 18 e infra, nt. 167-171.<br />

96 Cfr. BERGER P.L.-LUCKMANN TH., op. cit., soprattutto il cap. III; sulla costruzione<br />

giornalistica come «inevitabile» vd. SORRENTINO C., op. cit., p. 18.<br />

97 ALLIEVI S., Parole, cit., p. 44.<br />

57


58<br />

Franz Brandmayr<br />

Le critiche mosse dal sociologo – peraltro – venivano<br />

suffragate qualche anno più tardi – con un riferimento più ampio<br />

della copertura del solo islâm e con un’attribuzione allargata<br />

a tutto il mondo dei media italiani – dalla valutazione di Paese<br />

«parzialmente libero» data all’Italia, collocata dal “Freedom of<br />

the press 2004 – Table of Global Press Freedom Ranking” al<br />

74° posto nel mondo 98 a New York nel maggio del 2004, mentre<br />

nello stesso anno i Reporters sans frontières assegnavano al nostro<br />

Paese – sempre relativamente alla libertà di stampa – il 53°<br />

posto su settanta Stati considerati 99 . Questa situazione sarebbe<br />

derivata da un insieme di fattori, fra i quali potremmo indicare –<br />

senza alcuna pretesa di esaustività – i seguenti: a) il fatto che la<br />

carenza di inchieste in loco 100 (causata dai costi) 101 determini una<br />

dipendenza sempre maggiore dei giornali dalle agenzie (soprattutto:<br />

Ansa 102 e Reuter 103 ); b) pertanto l’informazione risulterebbe<br />

sempre più povera di rilevamenti «sul campo» 104 e c) ap-<br />

98 MASTELLARINI G., Assalto alla stampa. Controllare i media per governare l’opinione<br />

pubblica, Dedalo, Bari 2004, p. 147.<br />

99 TRANFAGLIA N., Prefazione, in MASTELLARINI G., op. cit., p. 11. Una posizione<br />

contraria rispetto a queste evidenze emerge da E. Mauro, in ivi, p. 110.<br />

100 CASILLO S., op. cit., pp. 19-21; cfr. AGOSTINI A., Giornalismi, cit., p. 132.<br />

101 CASILLO S., op. cit., p. 19; MARTIN H.-J., Storia e potere della scrittura, Laterza,<br />

Roma-Bari 2009 (1988), p. 527.<br />

102 BARBANO A., op. cit., p. 36.<br />

103 Vd. ad es. CASILLO S., op. cit., pp. 18 e, per il passaggio dal newsmaking<br />

(l’elaborare la notizia) al gatekeeping (la «selezione e la presentazione di notizie<br />

prodotte da altri»), 21; MARTIN H.-J., op. cit., pp. 449 e 527.<br />

104 CIRESE A.M., op. cit., p. 238. Per un primo approccio al tema vd. ivi, pp.<br />

244-257 e SEYMOUR-SMITH CH., s.v. Ricerca sul campo, in EAD., op. cit., pp. 340-<br />

343. Equivale all’espressione «sul terreno» (SOLINAS P.G., Itinerari di letture per<br />

l’antropologia. Guida bibliografica ragionata, C.I.S.U., Roma 1991, p. 26; una ricca<br />

messe di indicazioni bibliografiche intorno all’argomento è reperibile ivi, pp.


Media e costruzione della realtà<br />

piattita e omologata nei contenuti e nelle chiavi interpretative<br />

forniti – in buona sostanza – in una prospettiva rispettivamente<br />

statunitense e britannica; d) ciò determinerebbe una perdita di<br />

rapporto con il reale 105 e anche e) un «crescente provincialismo»<br />

106 . Un’altra delle riprove più significative di questa perdita<br />

di qualità professionale sarebbe rappresentata dalla f) consuetudine<br />

delle redazioni di «fotocopiare» 107 pedissequamente<br />

l’«agenda» 108 delle testate televisive e giornalistiche più quotate.<br />

Ancora, c’è chi lamenta a chiare lettere g) «l’inadeguatezza delle<br />

competenze professionali» 109 e chi pare nemmeno interrogarsi<br />

sul fatto se sia opportuno che h) «il giornalismo raccont[…(i)]<br />

la realtà attraverso la sottolineatura dell’eclatante, dell’iperbolico,<br />

del significativo» 110 . Nondimeno, la difficile situazione dei media<br />

26-30). Vd. anche le riserve circa l’analogia fra inchiesta giornalistica e lavoro<br />

antropologico sul campo espresse supra, nel paragrafo 1.1.<br />

105 RIGHETTO R., La situazione odierna: segnali di ottimismo, in SIGGILLINO I. (a<br />

cura di), op. cit., p. 26; cfr. MARLETTI C., Media, cit., pp. 64-65; cfr. supra, nt. 31.<br />

106 CLEMENTE P., Lontananze vicine: sui modi di pensare e insegnare l’antropologia nel<br />

mondo globale, in PASQUINELLI C. (a cura di), Occidentalismi, Carocci, Roma 2005,<br />

pp. 161-162; TAGLIAFERRI F., Islam e comunicazione, in SIGGILLINO I. (a cura di),<br />

op. cit., pp. 101 e 109; cfr. SORRENTINO C., op. cit., p. 67. E. Scalfari cit. in FROIO<br />

F., op. cit., p. 15 sembra dissentire in merito.<br />

107 BARBANO A., op. cit., passim; G. Bocca, cit. in FROIO F., op. cit., p. 9; U. Eco,<br />

cit. ivi, p. 22.<br />

108 Sull’importanza della gerarchizzazione delle notizie cfr. SORRENTINO C.,<br />

op. cit., p. 76 e le osservazioni critiche di CHELI E., La realtà mediata. L’influenza<br />

dei mass media tra persuasione e costruzione sociale della realtà, Franco Angeli, Milano<br />

2002 6 (1992), pp. 106-110.<br />

109 BARBANO A., op. cit., pp. 42-43.<br />

110 SORRENTINO C., op. cit., p. 73; BARBANO A., op. cit., pp. 45-46 – meno entusiasticamente<br />

di Sorrentino – mette invece in luce l’effetto di «proiezione<br />

amplificata di alcuni punti di crisi» e porta l’esempio specifico della resa<br />

caricaturale dell’immagine mediatica della famiglia italiana.<br />

59


60<br />

Franz Brandmayr<br />

italiani verrebbe a complicarsi ulteriormente alla luce della i)<br />

«teledipendenza» della stampa italiana, 111 stampa gravemente condizionata<br />

dall’informazione televisiva non solo nello stabilire la<br />

rilevanza 112 degli eventi, ma anche dal crescente affermarsi dell’informazione<br />

«urlata», 113 dello «sfottò», 114 della «battuta ad effetto»,<br />

115 del «culto dell’immagine», 116 della «personalizzazione», 117 del<br />

sensazionalismo 118 più spinto, della predilezione per le «tinte forti»,<br />

119 tutti atteggiamenti che sembrano impoverire e finanche sostituire<br />

la narrazione giornalistica e l’analisi.<br />

Questi aspetti sembrano intrecciarsi anche con una sorta di<br />

l) tendenza a elementarizzare la narrazione, per cui<br />

la contrapposizione, la rappresentazione del conflitto diventa<br />

l’artificio […] più frequentemente adoperato. Anziché rap-<br />

111 Ad es. U. Eco, cit. in FROIO F., op. cit., pp. 12-13 e 16. Per una valutazione<br />

dissonante vd. AGOSTINI A., Giornalismi, cit., p. 70, mentre SORRENTINO C.,<br />

op. cit., p. 91, sembra evidenziare piuttosto la complementarità fra i diversi<br />

media.<br />

112 CHELI E., op. cit., p. 107; SORRENTINO C., op. cit., pp. 28-29 e 76.<br />

113 W. Veltroni, cit. in FROIO F., op. cit., p. 17.<br />

114 U. Eco, cit. ivi, p. 22.<br />

115 SORRENTINO C., op. cit., pp. 86 e 134.<br />

116 W. Veltroni, cit. in FROIO F., op. cit., p. 17.<br />

117 Per personalizzazione si intende «porre l’enfasi sul protagonista di un<br />

evento […] attraverso il racconto dell’esperienza individuale», cosa che «facilita<br />

l’attribuzione di significatività […] la riconoscibilità e la memorizzazione<br />

[… (il)] concentrarsi sul protagonista come simbolo caratterizzante l’oggetto<br />

di trattazione» (SORRENTINO C., op. cit., p. 85; parentesi tonda mia). Cfr.<br />

anche ivi, p. 87.<br />

118 Ivi, pp. 85-87; da un punto di vista filosofico vd. POPPER K.R., op. cit., pp. 34 e<br />

37. Sulla nascita del giornalismo sensazionalista vd. MARTIN H.-J., op. cit., p. 451.<br />

119 SORRENTINO C., op. cit., p. 86.


Media e costruzione della realtà<br />

presentare la realtà […] come un prisma a più facce, ci si<br />

limita a vederla come una medaglia con solo [sic] due rovesci:<br />

il bianco e il nero, il bello e il brutto, il giusto e l’ingiusto.<br />

Questa semplificazione ben si adatta ai tempi sempre più<br />

rapidi della notiziabilità ed è facilmente adeguabile ai formati<br />

giornalistici. 120<br />

In questo caso – però – all’insito rischio, opportunamente<br />

segnalato da Sorrentino, di «rappresentare una realtà più opaca»<br />

e frammentata 121 e – perciò – tutt’altro che oggettiva, si assomma<br />

– a mio avviso – l’azzardo forse più rilevante della possibile<br />

riproduzione e dell’amplificazione mediatica del conflitto eretta<br />

a duplice schema: interpretativo della realtà e risolutivo delle<br />

questioni (individuali, sociali, interetniche, politiche etc.), con<br />

tutte le complicazioni che possono derivarne per quanto attiene<br />

la pace sociale e internazionale. 122 Alla fine di un elenco così<br />

preoccupante può forse fare addirittura sorridere la menzione<br />

della pur grave prassi della m) mancata verifica 123 dei continui<br />

“si dice” e dei n) discorsi messi fra virgolette, ma del tutto inventati<br />

dal giornalista. 124<br />

120 Ivi, p. 134; cfr. anche AGOSTINI A., Giornalismi, cit., p. 140 e LASCH CH., op.<br />

cit., p. 95.<br />

121 SORRENTINO C., op. cit., p. 134.<br />

122 In questo senso resta a mio parere esemplare – sotto il profilo giornalistico<br />

– la serie di indagini e le riflessioni svolte da RUMIZ P., Maschere per un<br />

massacro, Editori Riuniti, Roma 1996, passim, dalle quali emerge come la sistematica<br />

costruzione mediatica della diversità etnica sia stata decisiva nel far<br />

deflagrare il conflitto nelle repubbliche e nelle regioni autonome della ex<br />

Repubblica federale jugoslava.<br />

123 MARLETTI C., Media, cit., p. 61; da un punto di vista giuridico cfr. anche<br />

SICA S., Profili giuridici del falso giornalistico, in CASILLO S.-DI TROCCHIO F.-ID., op.<br />

cit., pp. 181-182, 186-187 e 200-202.<br />

124 Cfr. FROIO F., op. cit., pp. 7, 246 et alibi.<br />

61


62<br />

Franz Brandmayr<br />

Come si può agevolmente costatare, fra le manchevolezze<br />

riportate si può riconoscere una buona parte degli elementi<br />

costitutivi dell’informazione televisiva, dove «oggi – scriveva la<br />

Farinotti già nel 1997 – è diventato pressoché impossibile individuare<br />

una zona incontaminata, uno spazio “puro” dell’informazione<br />

in cui non entrino elementi di spettacolo o di fiction» 125 .<br />

A equilibrare la valutazione circa il sistema mediatico italiano<br />

può giovare, tuttavia, il richiamo alla reale difficoltà imposta<br />

dalle esigenze della «narrativizzazione». Essa consiste nel lavoro<br />

di ineludibile «semplificazione della realtà» svolto dagli operatori<br />

dei media, che comporta un «processo di decontestualizzazione<br />

degli eventi dal flusso di cui fanno parte e<br />

ri-contestualizzazione nei formati giornalistici» 126 : è possibile,<br />

sostiene Sorrentino, che il giornalista-narratore ritenga «meno<br />

significative le parti omesse», senza che – con ciò – egli abbia<br />

avuto necessariamente l’intenzione di mentire od occultare parte<br />

dell’evento raccontato 127 .<br />

Questa semplice osservazione ci permette di prendere una<br />

certa distanza critica dal paradigma tradizionale della teoria della<br />

manipolazione, che dagli anni Cinquanta e Sessanta sostiene<br />

la tesi della «“cospirazione” delle élite». Secondo questa interpretazione<br />

la manipolazione sarebbe sempre e soltanto il frutto<br />

di una intenzione deliberata dell’emittente. 128 Pare opportuno<br />

riconoscere, invece, che – se il medium vuole conservare una<br />

125 FARINOTTI L., L’informazione, in COLOMBO F. (a cura di), Televisione e industria<br />

culturale in Italia, Cooperativa Libraria I.U.L.M., Milano 1997, p. 71; DI<br />

TROCCHIO F., Falsi scoop e scienza spettacolo nei quotidiani, in CASILLO S.-ID.-SICA<br />

S., op. cit., p. 128; MASTELLARINI G., op. cit., p. 169.<br />

126 SORRENTINO C., op. cit., p. 73; cfr. anche ivi, p. 74 e CASILLO S., op. cit., pp. 21-23.<br />

127 SORRENTINO C., op. cit., p. 74.<br />

128 GILI G., op. cit., p. 72; cfr. SORRENTINO C., op. cit., p. 160.


Media e costruzione della realtà<br />

propria «credibilità» 129 – deve in realtà negoziare la propria «posizione,<br />

in risposta a pressioni interne ed esterne»; esso deve<br />

tener conto – infatti – della pluralità dell’offerta informativa,<br />

dei meccanismi strutturali che condizionano la logica dei media<br />

130 (si pensi, ad es., alla sola «sfida contro il tempo» 131 ), delle<br />

politiche editoriali dei singoli organi d’informazione 132 e<br />

dell’interazione di questi e di altri fattori ancora.<br />

2.1 Media e gruppi di interesse<br />

In aggiunta alle carenze e alle problematiche di ordine strettamente<br />

tecnico-professionale, però, va senz’altro ribadito il fatto<br />

che la situazione appena descritta sarebbe funzionale – secondo<br />

Allievi almeno per la copertura dell’islâm – agli interessi dei poteri<br />

forti. Questi sarebbero rappresentati da «illustri storici e politologi,<br />

e meno illustri commentatori e giornalisti» 133 , ma, secondo altri<br />

Autori e a un livello più generale, anche da «importanti case editrici»<br />

e prestigiose firme del giornalismo italiano. 134 Non mancano,<br />

peraltro, soggetti denominati «fonti stabili centrali» 135 , «che si<br />

129 GILI G., op. cit., pp. 39-40, dove l’Autore scrive di «attendibilità» e «sinceri-<br />

tà», e 75-98.<br />

130 Ivi, p. 72. Vd. anche AGOSTINI A., Giornalismi, cit., pp. 13-14 e SORRENTINO<br />

C., op. cit., pp. 93-149, dove l’Autore descrive Una giornata in redazione e Gli<br />

ambiti giornalistici.<br />

131 Ivi, p. 82. In merito alla velocizzazione dei tempi di produzione delle notizie<br />

cfr. anche ALLIEVI S., Parole, cit., pp. 44-45.<br />

132 GILI G., op. cit., p. 72.<br />

133 ALLIEVI S., Parole, cit., p. 41.<br />

134 Cfr. CASILLO S., op. cit., p. 85.<br />

135 Ivi, p. 22.<br />

63


64<br />

Franz Brandmayr<br />

collocano a livelli molto alti nella struttura del potere politico,<br />

militare, statuale, giuridico, scientifico, economico» 136 .<br />

Del resto, pur nelle sue diverse fasi storiche, 137 il giornalismo<br />

italiano è sempre stato dipendente dalla politica, 138 politica strettamente<br />

connessa a «un sistema economico tendenzialmente<br />

oligopolistico, basato sulla centralità di poche grandi famiglie» 139 ,<br />

che si configurano come «gruppi di interesse» 140 politico-economico.<br />

141 Peraltro non bisogna pensare che questa situazione<br />

storica contraddistingua il giornalismo italiano in maniera peculiare<br />

ed esclusiva. 142<br />

136 CESAREO G., Fa notizia. Fonti, processi, tecnologie e soggetti nella macchina dell’informazione,<br />

Editori Riuniti, Roma 1981, pp. 87-88; cfr. anche CASILLO S., op.<br />

cit., pp. 91-103; G. Ferrara, in BARBANO A., op. cit., p. 77; FROIO F., op. cit., pp.<br />

24, 30 e 90; SORRENTINO C., op. cit., pp. 35 e 47 e infra, nt. 98.<br />

137 SORRENTINO C., op. cit., pp. 31-32. Per lo studio della storia del giornalismo<br />

italiano rinvio a: CASTRONOVO V.-TRANFAGLIA N. (a cura di), La stampa italiana,<br />

Laterza, Roma-Bari 1976-1994, 7 voll., passim; FARINELLI G.-PACCAGNINI E.-<br />

SANTAMBROGIO G.-VILLA A.I., Storia del giornalismo italiano, U.T.E.T., Milano 1997,<br />

passim; GOZZINI G., Storia del giornalismo, Bruno Mondadori, Milano 2000, passim;<br />

MURIALDI P., Storia del giornalismo italiano, Gutenberg 2000, Torino 1986, passim.<br />

138 SORRENTINO C., op. cit., pp. 131-132.<br />

139 Ivi, p. 32.<br />

140 Per la nozione di gruppo d’interesse vd. TELLIA B., s.v. Gruppo di pressione,<br />

in DEMARCHI F.-ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., p. 946; scriveva<br />

MARLETTI C., Media, cit., p. 103 già nel 1984: «Vi è da pensare che anche da<br />

noi come negli Stati Uniti accanto ed oltre ai partiti acquisteranno sempre<br />

maggior peso i gruppi di pressione, le lobbies più o meno occulte [… (che)]<br />

hanno origini e natura extrapolitica, in rapporto a gruppi d’interesse» (parentesi<br />

tonda mia).<br />

141 Per una descrizione giornalistica dei maggiori gruppi di pressione italiani<br />

vd. MASTELLARINI G., Stampa e potere, in ID., Assalto, cit., pp. 19-50. Una posizione<br />

critica rispetto alla logica del mercato emerge palesemente in WOJTYÙA<br />

K., La potenza dei media, in POPPER K.R.-CONDRY J.-ID., op. cit., p. 48.<br />

142 Ad es. anche la Francia presenta una storia significativa sotto il profilo


Media e costruzione della realtà<br />

In un contesto di questo genere «i quotidiani si trasformano<br />

in canali attraverso cui i vari attori politici spediscono messaggi»,<br />

comprensibili appieno «soltanto a coloro che sono interni a<br />

questo campo», messaggi che vanno a costituire «l’arena di scontro<br />

fra i diversi rappresentanti (politici), piuttosto che sottolineare<br />

l’interesse per la funzione della politica di mediare fra i conflitti<br />

e i differenti interessi posti in gioco dai soggetti sociali» 143 .<br />

Va letta, ad esempio, in questo modo la consuetudine tutta italiana<br />

con il cosiddetto «pastone», «lungo articolo nel quale il<br />

giornalista assembla gli eventi politici della giornata, inserendovi<br />

anche le proprie opinioni» 144 . Ciò fa concludere a un noto<br />

studioso di Teoria e Tecniche delle Comunicazioni di massa che<br />

in Italia «la cronaca non costituisce l’essenza della professione<br />

(giornalistica), le si preferisce il commento, l’opinione» 145 .<br />

Va segnalato, però, che negli «ultimi quindici anni […] si è notevolmente<br />

modificato il rapporto fra politica e informazione» 146 ;<br />

dell’influenza esercitata sulle masse dai capitali privati per il tramite della<br />

stampa quotidiana (MARTIN H.-J., op. cit., p. 457), con punte storiche massime,<br />

che gli specialisti collocano nella fase della Terza Repubblica (ivi, p. 452).<br />

143 SORRENTINO C., op. cit., p. 33 (parentesi tonda mia). Cfr. anche BARBANO A.,<br />

op. cit., p. 37; LASCH CH., op. cit., pp. 12, 17 e 93; MARLETTI C.A., La Repubblica<br />

dei media. L’Italia dal politichese alla politica iperreale, Il Mulino, Bologna 2010,<br />

pp. 42 et passim. Vd. anche supra, nt. 36 e FORCELLA E., op. cit., p. 451.<br />

144 SORRENTINO C., op. cit., p. 33; cfr. MARLETTI C., Media, cit., p. 48, che scrive –<br />

attingendo ad un contributo del giornalista Pansa – del «“giornalismo dimezzato”»<br />

di quanti «“partecipano” agli eventi che dovrebbero commentare». A<br />

questo proposito SICA S., op. cit., pp. 206-207 scrive – da un punto di vista<br />

prettamente giuridico – del «falso da commistione fra cronaca e critica».<br />

145 SORRENTINO C., op. cit., pp. 33 e 35 (parentesi tonda mia); cfr. anche ivi, p.<br />

78, dove si sottolinea che la tradizione giornalistica anglosassone predilige,<br />

invece, la cronaca rispetto al commento sui fatti.<br />

146 Ivi, p. 131. Vd., a proposito dei prodromi storici di questo processo,<br />

MARLETTI C., Media, cit., pp. 31-49.<br />

65


66<br />

Franz Brandmayr<br />

i climi d’opinione [… (sono)] meno tributari alla centralità<br />

della classe politica, mentre [… (risentono)] della varietà dei<br />

punti di vista propri di una società caratterizzata da identità<br />

plurime, in cui i consumi materiali e culturali dei singoli definiscono<br />

appartenenze sociali articolate e complesse. 147<br />

È questo spostamento negli assetti di potere che fa scrivere<br />

ad Agostini che<br />

a metà degli anni Novanta, le agenzie di socializzazione politica,<br />

gli attori che definiscono la scena, il gioco e le mete della<br />

politica non sono più soltanto i partiti […]. Questi altri attori<br />

sono i giornali. 148<br />

Queste osservazioni, ricavate da alcuni sociologi e da altri<br />

studiosi delle comunicazioni, sembrano avallare – certo, in modo<br />

nuovo – la concezione del sistema dell’informazione (non più<br />

solo della stampa, come nel Settecento di Burke) visto come<br />

«quarto potere» 149 e rinforzano, inoltre, gli effetti di «iperrealtà» 150<br />

e di «autoreferenzialità» diagnosticati da Marletti «in rapporto ai<br />

media e alla comunicazione politica» 151 .<br />

147 SORRENTINO C., op. cit., p. 132 (parentesi tonde mie); cfr. anche ivi, pp. 135-<br />

136.<br />

148 AGOSTINI A., “la Repubblica”, cit., p. 8; LASCH CH., op. cit., p. 39; MARLETTI<br />

C.A., La Repubblica, cit., p. 83. Cfr. supra, nt. 55.<br />

149 MARTIN H.-J., op. cit., p. 438.<br />

150 MARLETTI C.A., La Repubblica, cit., pp. 113-122; in estrema sintesi, con<br />

questo termine l’Autore designa la tendenza dei politici a sviluppare indefinitamente<br />

le attese sociali senza dover temere un riscontro puntuale con la<br />

realtà, che sembra perdere il confronto con la più fascinosa realtà mediale<br />

(cfr. soprattutto ivi, pp. 115-116).<br />

151 Ivi, p. 41; cfr. supra, nt. 143.


Media e costruzione della realtà<br />

Le logiche del potere – come è noto – non sono sempre compatibili<br />

con un’oggettività almeno germinale. Indicazioni in questo<br />

senso sembrano emergere, peraltro, anche dall’interno del giornalismo<br />

italiano, in parte propenso a credere che la stampa e la<br />

TV abdichino al dovere della cronaca e della ricerca della verità 152 .<br />

Già nel 1991 Mazzanti 153 aveva sostenuto che la ricerca dell’obiettività<br />

da parte dei mezzi di comunicazione fosse un ideale in crisi<br />

patente, tuttavia l’accusa di tale mancanza non sembra scuotere<br />

più di tanto una parte del mondo giornalistico. 154<br />

Pare – anzi – che, ad esempio, la seconda (per numero di<br />

lettori) 155 testata italiana faccia professione esplicita del proprio<br />

indirizzo ideologico, con il quale intenderebbe porsi, non senza<br />

enfasi, 156 quale «strumento di costruzione di identità per i lettori»<br />

157 . In questo caso il giornalismo nel suo insieme viene interpretato<br />

da alcuni studiosi quale vera e propria «bussola della<br />

modernità» 158 , mentre il singolo giornalista sembra assumersi il<br />

compito di orientare il lettore, diventando una sorta di «definitore<br />

ufficialmente accreditato della realtà» 159 . Può – dunque – affer-<br />

152 Cfr. ad es. NASO P., L’informazione religiosa: costruire il pluralismo, in SIGGILLINO<br />

I. (a cura di), op. cit., p. 14.<br />

153<br />

MAZZANTI A., L’obiettività giornalistica. Un ideale maltrattato, Liguori, Napoli<br />

1991, passim.<br />

154<br />

MARLETTI C., Media, cit., pp. 62-63 e 80-82.<br />

155 È “la Repubblica” (cfr. SORRENTINO C., op. cit., p. 60).<br />

156 Cfr. ad es. gli accenti encomiastici e celebrativi di AGOSTINI A., “la Repubblica”,<br />

cit., pp. 16, 47-58, 70 et alibi.<br />

157 Ivi, pp. 29 et alibi; SORRENTINO C., op. cit., p. 132.<br />

158 Ivi, pp. 23-26.<br />

159 Cfr. BERGER P.L.-LUCKMANN TH., op. cit., p. 138; per quanto riguarda certi<br />

grandi eventi trasmessi in diretta televisiva DAYAN D.-KATZ E., Le grandi cerimonie<br />

dei media. La storia in diretta, Baskerville, Bologna 1993 (1992), p. 10<br />

scrivono del «ruolo quasi sacerdotale giocato dai giornalisti».<br />

67


68<br />

Franz Brandmayr<br />

marsi «un modello giornalistico forgiato da un’ottica educativa,<br />

pedagogica, attento a formare più che a informare» 160 , che si<br />

colloca così significativamente in una consolidata tradizione giornalistica<br />

italiana. 161 «L’appartenenza politica […] è determinante<br />

nella formazione delle identità individuali, e i media<br />

assecondano tali processi» 162 , fino a poter diventare – scriveva<br />

uno dei più noti sociologi della comunicazione italiani già negli<br />

anni Ottanta – dei «quasi-partiti» 163 o, come aggiunge qualcun<br />

altro, delle «“testate-stili di vita”» 164 .<br />

È evidente che, se alcuni media possono proporsi come «officine<br />

dell’identità» 165 , ciò accade in quanto emerge dalla base<br />

sociale dei lettori una «ricerca di senso» 166 generalizzata. Questa<br />

esigenza diffusa induce poi senz’altro una quantità di attori<br />

sociali all’esposizione omofila, 167 cioè alla tendenza a leggere e<br />

160 SORRENTINO C., op. cit., p. 132.<br />

161 Cfr. la «strategia pedagogizzante» considerata da COLOMBO F., La cultura<br />

sottile. Media e industria culturale in Italia dall’Ottocento agli anni novanta, Bompiani,<br />

Milano 2009 4 (1991), pp. 16-18, 26, 33-35 et alibi.<br />

162 SORRENTINO C., op. cit., p. 35 (cfr. anche ivi, p. 85). Sul «giornalismo “partigiano”<br />

o “moschettiere” [… (e)] animoso», che avrebbe segnato la storia<br />

italiana e che arriverebbe fino agli Scalfari e ai Montanelli dei nostri giorni,<br />

vd. MARLETTI C., Media, cit., pp. 74-75 (parentesi tonda mia).<br />

163 Ivi, pp. 46 e 102; cfr. anche le pp. 83-94. In AGOSTINI A., Giornalismi, cit.,<br />

pp. 77-92 e ID., “la Repubblica”, cit., pp. 15-16 si può trovare un’appassionata<br />

apologia della linea editoriale de “la Repubblica” intesa come «officina dell’identità»<br />

(vd. supra, nt. 157 e infra, nt. 165).<br />

164 SORRENTINO C., op. cit., p. 41; vd. anche AGOSTINI A., Giornalismi, cit., pp.<br />

127-140.<br />

165 ID., “la Repubblica”, cit., p. 11. Cfr. supra, nt. 144, 145 e 163.<br />

166 Ricavo l’espressione da una prospettiva filosofica (NANNI C., L’educazione<br />

tra crisi e ricerca di senso. Un approccio filosofico, LAS, Roma 1986, pp. 29-49 et<br />

passim).<br />

167 GILI G., op. cit., pp. 87-88. È appena il caso di ricordare che il concetto di


Media e costruzione della realtà<br />

ad ascoltare soltanto le fonti e i contenuti consonanti 168 con il<br />

proprio sentire-pensare-agire. 169 Di questo atteggiamento<br />

selettivo, ben noto agli addetti ai lavori 170 , sembra pervenire<br />

tuttavia a piena consapevolezza solo una minoranza di lettori,<br />

i quali – in un’indagine del 2005 – ammettono una conformità<br />

di opinioni rispetto alla testata preferita appena nel 12% dei<br />

casi rilevati. 171<br />

Le istanze identitarie, comunque, per quanto importanti, non<br />

fanno certo dimenticare che quello dei quotidiani rimane, in<br />

tutti i casi, un mercato. Anche se un importante fine sotteso alla<br />

gestione del medium può essere quello del «maggiore coinvolgimento<br />

e identificazione del lettore» 172 , ciò non toglie che la<br />

dimensione di impresa del giornale non possa esimere la dire-<br />

«omofilia» fatto proprio dalla Sociologia della Comunicazione non ha nulla a<br />

che vedere con il lemma omofono, dall’etimologia peraltro approssimativa,<br />

in uso presso gli psicologi [cfr. ad es. ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a<br />

cura di), op. cit., p. 764].<br />

168 Cfr. anche CARTOCCI R., Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia,<br />

Il Mulino, Bologna 2007, p. 72, nt. 2; GILI G., op. cit., pp. 42-43; MARLETTI<br />

C.A., La Repubblica, cit., p. 103; TRENTIN R., op. cit., pp. 274-281 e soprattutto<br />

p. 276.<br />

169 Secondo TURNER V., op. cit., p. 120, sono le tre «strutture dell’esperienza»<br />

del soggetto; cfr., sotto il profilo della ricerca antropologica sul campo, BIANCO<br />

C., op. cit., pp. 162-163.<br />

170 Sulla fedeltà alle «lealtà sociali» e alle «appartenenze» che prevalgono sul<br />

«giudizio personale» cfr. GILI G., op. cit., p. 140. Del resto, negli studi di psicologia<br />

sociale sono noti gli effetti della «familiarità» fra la fonte emittente e il<br />

destinatario (vd. ad es. GUÉGUEN N., Psicologia del consumatore, Il Mulino, Bologna<br />

2010 [2009], pp. 170-173), che non risparmiano neanche il «consumatore<br />

di informazioni» (SUNSTEIN C.R., repubblic.com. Cittadini informati o consumatori<br />

di informazioni?, Il Mulino, Bologna 2003 [2002], passim).<br />

171<br />

SORRENTINO C., op. cit., p. 61.<br />

172 Ivi, pp. 40-41.<br />

69


70<br />

Franz Brandmayr<br />

zione dal prestare la dovuta attenzione alla voce relativa ai<br />

profitti. 173<br />

La compatta saldatura fra l’informazione e la logica commerciale,<br />

infine, sembra portare inevitabilmente ad almeno due<br />

tipologie di conflitti d’interessi: da un lato, può accadere che –<br />

come abbiamo già visto – un medium rischi di diventare meno<br />

affidabile per i lettori, 174 in quanto succube di gruppi di pressione,<br />

ai quali deve rendere conto del proprio operato. Da un’altra<br />

parte, può venire a prodursi la situazione per la quale l’esigenza<br />

del cittadino di venire informato con competenza e obiettività<br />

incontra la risposta di testate che pongono «la maggiore attenzione<br />

alle esigenze del mercato» e che sono propense «a compiacere<br />

il lettore più che ad informarlo» 175 , mancando, così, al<br />

compito di fornire un quadro attendibile della realtà.<br />

Nel rimandare a un’altra sede le riflessioni propriamente attinenti<br />

alla copertura delle religioni concludo la prima parte di<br />

questo mio contributo con il fermo richiamo di uno dei decani<br />

della Sociologia della Comunicazione:<br />

Obiettività e credibilità dell’informazione rappresentano risorse<br />

fondamentali per la qualità di una democrazia. 176<br />

173 Vd. ad es. E. Scalfari, cit. in FROIO F., op. cit., p. 15; G. Anselmi cit. ivi, p. 16;<br />

AGOSTINI A., Giornalismi, cit., pp. 119-127; POPPER K.R., op. cit., pp. 36-37;<br />

SORRENTINO C., op. cit., pp. 85 e 88. È in questo ambito che si colloca anche il<br />

nodo problematico relativo al marketing: per un primo approccio rinvio a<br />

GOFFREDO D.-VANTAGGIO L., Dietro la pubblicità. Guida alla formazione critica dei<br />

recettori, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1987, passim, che – pur superato –<br />

presenta apprezzabili caratteristiche di sintesi e di equilibrio nelle conclusioni.<br />

174 Cfr. BARBANO A., op. cit., p. 46.<br />

175 SORRENTINO C., op. cit., p. 88; cfr. anche AGOSTINI A., Giornalismi, cit., pp.<br />

48-56, 74 e 119-127 e COLOMBO F., op. cit., pp. 261 e ss.<br />

176 MARLETTI C.A., La Repubblica, cit., p. 64. Cfr. anche FERRAROTTI F., op. cit.,<br />

p. 13 e POPPER K.R., op. cit., p. 45.


Media e costruzione della realtà<br />

A tal fine non si rendono necessarie prestazioni che siano al<br />

di là delle possibilità umane, perché, come abbiamo già osservato<br />

sopra, ogni testata e ogni singolo giornalista sono portatori<br />

di una propria concezione del mondo e di propri interessi e si<br />

avvalgono di una mappa concettuale dotata di filtri e di griglie<br />

interpretative, dei quali sono più o meno consapevoli.<br />

Ciononostante<br />

l’obiettività […] va considerata una meta, un orientamento a<br />

cui tendere proprio per capire meglio come si costrui(scono)<br />

questi filtri e chi li costrui(sce), dando per scontato che la loro<br />

costruzione [… (sia)] inevitabile. 177<br />

Come invita a fare il linguista Tullio De Mauro, pertanto, si<br />

tratterebbe soltanto di chiedere ai giornalisti di elaborare<br />

una buona informazione [(, che) …] deve essere sempre smontabile<br />

nelle sue componenti per poter essere verificabile. 178<br />

A tal fine è fondamentale, a mio parere, promuovere nei rispettivi<br />

«microcosmi sociali» 179 uno spirito di riscoperta del lavoro<br />

critico, che niente impedisce possa venire fatto proprio in<br />

misura maggiore anche dagli operatori mediatici.<br />

In ogni caso resta il fatto che chi impronta la propria azione<br />

sociale all’autoeducazione 180 e alla partecipazione civica è co-<br />

177<br />

SORRENTINO C., op. cit., p. 18 (parentesi tonde mie).<br />

178<br />

FROIO F., op. cit., p. 28 (parentesi tonda mia).<br />

179 Cfr. BERTAUX D., op. cit., pp. 37-38.<br />

180 Dal punto di vista psicologico cfr., ad es., SOVERNIGO G., Divenire liberi.<br />

Educazione alla libertà, LDC, Leumann (TO) 1981, pp. 102-115 soprattutto.<br />

Nel proporre anche una prospettiva pedagogica mi rifaccio a POPPER K.R.,<br />

op. cit., pp. 42-43, dove il filosofo liberale austriaco non esita a definire il<br />

giornalista come un «educatore».<br />

71


72<br />

Franz Brandmayr<br />

stretto a misurarsi – in maniera palese – con una forte pressione<br />

culturale di segno contrario rispetto alle istanze dell’onestà intellettuale.<br />

Le reazioni più immediate a uno stato di avanzato<br />

degrado professionale (che non concerne certamente i soli giornalisti)<br />

e di crisi di fiducia, 181 come quello in cui versa l’Italia di<br />

oggi, configurano un complesso di atteggiamenti, che potrebbero<br />

oramai innervare un certo tipo di senso comune. 182 Potrebbe<br />

incombere – in effetti – una sorta di acedia inibita e «apatica»<br />

183 spesso pronta a colorarsi (forse nell’intento di nobilitarsi)<br />

di un’aura di «disincanto» 184 e di «distacco dai propri concittadini»<br />

185 , e che – nelle «rappresentazioni collettive» 186 proprie di<br />

una certa tipologia di “colti” – caratterizzerebbe il modello dell’intellettuale<br />

cinico 187 e consapevole … Però, probabilmente<br />

pessimismo e scetticismo non creano gli anticorpi della critica<br />

e della consapevolezza, ma soltanto quelli del disinteresse<br />

e della disillusione, in cui possono pescare demagoghi e populisti.<br />

188<br />

181 Cfr. supra, nt. 65.<br />

(Prima parte – continua)<br />

182 GEERTZ C., Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna 1988 (1983), pp.<br />

91-117.<br />

183 Cfr. LASCH CH., op. cit., p. 79.<br />

184 È il noto concetto weberiano (cfr. PACE E., s.v. Secolarizzazione, in ID. [a cura<br />

di], Dizionario di sociologia e di antropologia culturale, Cittadella, Assisi 1984, p. 505).<br />

185 WALZER M., op. cit., p. 304.<br />

186 DURKHEIM É., Rappresentazioni individuali e rappresentazioni collettive, in ID., Le<br />

Regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Comunità, Torino 2001 (1895),<br />

pp. 137-164.<br />

187 LASCH CH., op. cit., p. 79.<br />

188 SORRENTINO C., op. cit., p. 20.


L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />

di Valentina Dordolo *<br />

«Padre, io ti chiedo lo Spirito Santo che illumini la mia mente,<br />

purifichi i miei sensi,<br />

penetri con l’amore il mio cuore.<br />

Prego lo Spirito Santo che apra tutto il mio essere<br />

e mi renda capace di cogliere,<br />

attraverso il visibile,<br />

l’invisibile dell’Icona del Tuo Figlio.<br />

Donami poi, o Signore,<br />

la forza di diventare io stesso icona di Lui.<br />

Amen».<br />

Preghiera dell’iconografo<br />

L’arte dell’icona: bello estetico e bello teologico<br />

Per comprendere meglio le connotazioni specifiche dell’icona,<br />

che la distinguono radicalmente da qualsiasi altro dipinto, anche<br />

da quello legato all’ambito religioso, è forse opportuno richiamare<br />

alcune considerazioni formulate da L.A. Uspenskij riguardo<br />

al concetto di bellezza presente nell’arte occidentale e in quella<br />

iconografica. Nella rappresentazione pittorica, sia che si consideri<br />

l’autore dell’opera o il fruitore di questa, risulta evidente<br />

che ad affermarsi, in modo cosciente oppure irriflesso, è «la<br />

personalità umana» 1 . In questo caso la capacità espressiva dell’artista<br />

e la sua abilità nel servirsi di colori e di tecniche partico-<br />

* Docente di I.R.c.<br />

1 USPENSKIJ L.A., in BERNARDI P. G., L’icona, Città Nuova, Roma 1998, p. 178.<br />

73


74<br />

Valentina Dordolo<br />

lari assumono la massima importanza, mentre il contenuto della<br />

realizzazione pittorica viene ritenuto secondario.<br />

L’iconografia si presenta come un’arte decisamente contrapposta<br />

all’esaltazione della libera creazione del pittore. Secondo<br />

L.A. Uspenskij, «la bellezza di un’icona [...] è espressa dall’artista<br />

soggettivamente, secondo il rifiuto cosciente del suo io, che<br />

si annulla di fronte alla Verità rivelata» 2 . Se nella pittura occidentale,<br />

sia profana sia religiosa, prevale il «culto del personale, dell’esclusivo<br />

e dell’originale» 3 , l’iconografia può essere definita un<br />

linguaggio espressivo allusivo e simbolico del divino, la cui intenzione<br />

«non è di provocare né di esaltare in noi un sentimento<br />

umano naturale. [...] Il suo fine è di orientare verso la<br />

Trasfigurazione tutti i nostri sentimenti, così come la nostra intelligenza<br />

e tutti gli altri aspetti della nostra natura, spogliandoli di<br />

ogni esaltazione che non potrebbe che risultare negativa e nociva»<br />

4 . La venerazione dell’icona, ampiamente diffusa soprattutto<br />

presso il popolo russo, non va perciò considerata quale semplice<br />

devozione ad un’immagine votiva. 5 Attraverso la contemplazione<br />

2 Ivi, p. 180. Il corsivo è dell’autore.<br />

3 Ivi, p. 178.<br />

4 Ivi, p. 180.<br />

5 A testimonianza del profondo legame tra il contadino russo e la venerazione<br />

dell’icona si può ricordare che in ogni casa non manca mai il cosiddetto<br />

“krasnij ugol” (= l’angolo bello), riservato esclusivamente a questo manufatto.<br />

Si tratta di un piccolo santuario domestico, ornato di fiori e lampade, dove<br />

vengono esposte le icone protettrici della famiglia. Di notevole interesse è<br />

anche il rito russo dell’ospitalità agli stranieri, pellegrini o uomini smarritisi<br />

nella steppa, nel quale è compreso il saluto alle sacre immagini, che dev’essere<br />

rivolto non appena si entra in casa. Ulteriore prova del legame inscindibile<br />

tra uomo e icona è quanto ricorda Paola Cortesi, docente della Scuola di<br />

Iconografia di Seriate, riguardo alla diffusione di queste opere dopo la lotta<br />

iconoclasta (843): «Ovunque erano viste come presenze benefiche e autorevoli,<br />

partecipi della vita umana in tutti i suoi aspetti: c’era quindi l’icona che


L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />

dei colori e dei soggetti rappresentati il fedele può cogliere una<br />

realtà diversa da quella umana, ossia la presenza di Dio:<br />

Non venero la materia, ma venero il Creatore della materia, che<br />

per me si è fatto materia, che ha assunto la vita nella materia e<br />

per mezzo della materia ha realizzato la mia salvezza. 6<br />

L’icona non ha un valore puramente didascalico o estetico,<br />

bensì intende essere un tramite reale della Rivelazione. Secondo<br />

la Chiesa ortodossa russa, l’immagine sacra non può essere<br />

disgiunta dall’essenza stessa del Cristianesimo, anzi ne costituisce<br />

«un attributo indispensabile» 7 in quanto conseguenza dell’Incarnazione:<br />

In memoria perenne della vita nella carne del nostro Signore<br />

Gesù Cristo [...] noi abbiamo ricevuto la tradizione di rappresentarlo<br />

nella sua forma umana, cioè nella sua Teofania visibile,<br />

ben sapendo che in questo modo esaltiamo l’umiliazione<br />

del Verbo di Dio. 8<br />

La dimensione estetica si perde quasi totalmente a favore di<br />

quella teologica e l’icona viene a essere immagine anticipatrice<br />

dell’eschaton, della piena realizzazione del progetto di Dio sul-<br />

proteggeva le partorienti, che accompagnava i pellegrini, che confortava gli<br />

ammalati o vegliava i moribondi, fino a quella che seguiva il defunto nella<br />

tomba, stretta fra le sue mani per precederlo come “avvocato” davanti al<br />

trono di Cristo nel giorno del Giudizio.» CORTESI P., in POPOVA O.-SMIRNOVA<br />

E.-CORTESI P., Icone. Guida completa al riconoscimento delle icone dal VI secolo a oggi,<br />

Mondadori, Milano 1997, p. 10.<br />

6 San Giovanni Damasceno, citato ibidem.<br />

7 USPENSKIJ L.A., La teologia dell’icona, La Casa di Matrjona, Milano 1995, p. 6.<br />

8 San Germano, patriarca di Costantinopoli, citato in POPOVA O.-SMIRNOVA<br />

E.-CORTESI P., op. cit., p. 10.<br />

75


76<br />

Valentina Dordolo<br />

l’uomo. A sua volta, l’iconografia diventa «arte ecumenica» 9 ,<br />

capace di generare un’unità fondata sulla fede e sulla santità.<br />

Se l’icona custodisce un carattere rivelativo e teologico, si<br />

può ben comprendere come la figura dell’iconografo non possa<br />

essere assimilata a quella del pittore occidentale. Il carattere liturgico-sacrale<br />

del manufatto richiama un concetto di bellezza<br />

molto particolare, quello della «bellezza-somiglianza divina» 10 .<br />

Non si tratta di raffigurare la rigogliosità e l’armonia della natura,<br />

considerata quale opera di Dio, dal momento che il Creato è<br />

stato disgregato dal peccato dell’uomo, com’è ricordato dal libro<br />

della Genesi. 11 A causa della caduta dell’essere umano non è<br />

più possibile «riflettere fedelmente la bellezza divina, in quanto<br />

l’immagine divina (l’uomo) iscritta al centro di questo universo<br />

si è offuscata» 12 . Ciò che l’artista deve perseguire è l’esatta rappresentazione<br />

della deificazione dell’uomo e del mondo, tenendo<br />

sempre ben presente che Dio stesso si è fatto uomo, secondo<br />

le parole dell’evangelista Giovanni:<br />

In principio era il Verbo,<br />

e il Verbo era presso Dio<br />

e il Verbo era Dio.<br />

Egli era in principio presso Dio:<br />

tutto è stato fatto per mezzo di lui,<br />

9 AA.VV., Presenza dell’invisibile. Bellezza e preghiera nelle icone russe, Ed. Scritti<br />

Monastici, Abbazia di Praglia 1989, p. 15.<br />

10 BERNARDI P.G., op. cit., p. 176.<br />

11 Cfr. Genesi 3, 23-24: «Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché<br />

lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose ad<br />

oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante,<br />

per custodire la via all’albero della vita.»<br />

12 USPENSKIJ L.A., in BERNARDI P.G., op. cit., p. 176.


L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />

e senza di lui niente è stato fatto di tutto<br />

ciò che esiste. 13<br />

L’icona non è la portavoce dell’equilibrata armonia del mondo,<br />

bensì richiama una forza capace di trascenderlo e di trasformarlo<br />

radicalmente. Quella forza che Dostoevskij ha definito<br />

come la bellezza «che salverà il mondo» 14 .<br />

Il Deus absconditus dell’Antico Testamento si rivela nel volto<br />

del Verbo, nella presenza del Cristo. Il mistero dell’Incarnazione<br />

consente all’iconografo di richiamare l’Altissimo nella raffigurazione<br />

del Messia, non dimenticando mai che il cristiano deve<br />

andare oltre l’«uomo Gesù» 15 , per riconoscere in Lui il Salvatore<br />

del mondo. L’artista non può limitarsi a ricordare singoli episodi<br />

evangelici o a ritrarre il Messia nella sua ordinaria esistenza. È<br />

indispensabile che l’icona illumini sia la mente di chi la esegue<br />

sia lo sguardo di chi la contempla sulla gloria del Signore e sull’infinito<br />

amore di Dio.<br />

In questa prospettiva l’esperienza del monte Tabor, narrata<br />

nei Vangeli, 16 assume un rilievo fondamentale. Pietro, Giacomo<br />

e Giovanni, i discepoli che hanno potuto vedere Gesù trasfigurato<br />

sul monte Tabor, sono anche i testimoni della Sua<br />

agonia nel Getsemani. 17 Essi partecipano dei momenti fondamentali<br />

della vita del Maestro e diventano i custodi prescelti di<br />

questa rivelazione:<br />

13 Giovanni 1, 1-3.<br />

14 DOSTOEVSKIJ F.M., in BERNARDI P.G., op. cit., p. 176.<br />

15 USPENSKIJ L.A., ivi, p. 32.<br />

16 Cfr. Matteo 17, 1-9.<br />

17 Cfr. Marco 14, 33: «Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a<br />

sentire paura e angoscia.»<br />

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78<br />

Valentina Dordolo<br />

E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non<br />

parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo<br />

non sia risorto dai morti.» 18<br />

La visione taborica del volto di Dio diventa il modello principale,<br />

il prototipo dell’icona e ne sancisce il carattere rivelativo<br />

e santificante:<br />

Come Cristo sul monte Tabor mostrò ai discepoli la verità<br />

del secolo a venire e li fece partecipare al mistero della Sua<br />

Trasfigurazione, così l’arte liturgica, mettendosi di fronte questa<br />

stessa verità [...], santifica tutto il nostro essere. 19<br />

L’iconografo non dimostra il suo genio creativo o la sua abilità<br />

pittorica, bensì si pone al servizio dell’intera comunità cristiana.<br />

Le mani e il talento dell’artista, guidati dalla consapevolezza<br />

di aver ricevuto un preciso compito, si devono rivolgere<br />

alla missione di redimere il mondo. L’autore di icone ha ricevuto<br />

un dono da Dio, ossia quello di portare la luce e la Parola di<br />

Cristo con la propria opera tra gli uomini. Non si tratta di un<br />

mestiere o di una piacevole attività da svolgere di quando in<br />

quando, ma di una vera e propria vocazione. Per questo è necessario<br />

che egli obbedisca a canoni ben definiti, sanciti dalla Chiesa<br />

quale depositaria e custode attenta dell’eredità apostolica e<br />

segua un preciso stile di vita, consono alla missione ricevuta:<br />

Il pittore di icone si rivolga al padre spirituale di frequente,<br />

informandolo di tutto, e viva secondo le prescrizioni e gli<br />

insegnamenti di lui, in digiuno, penitenza ed astinenza, con<br />

mente umile e senza nessuno scandalo né mancanza di deco-<br />

18 Matteo 17, 9.<br />

19 USPENSKIJ L.A., in BERNARDI P.G., op. cit., p. 34.


L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />

ro e con somma cura dipinga l’immagine di Nostro Signore<br />

Gesù e della Sua Madre purissima e dei santi profeti, apostoli<br />

e martiri e delle donne venerabili, delle guide della Chiesa e<br />

dei beati Padri, secondo l’immagine e somiglianza e secondo<br />

sostanza. 20<br />

Allo studio artistico devono unirsi la penitenza e l’ascesi spirituale.<br />

L’iconografo deve osservare un rigoroso digiuno e dedicarsi<br />

esclusivamente alla preghiera e alla meditazione per un mese.<br />

Solo dopo aver effettuato questa preparazione, atta a purificare<br />

il corpo e l’anima, egli può accostarsi alla tavola di legno da<br />

dipingere. Anche l’esecuzione dell’opera e il soggetto di questa<br />

devono seguire un ordine preciso e immutabile. Il primo tocco<br />

di pennello viene dato in ginocchio, all’alba del trentunesimo<br />

giorno, quando appare il primo raggio di sole, e la prima icona a<br />

dover essere realizzata è quella della Trasfigurazione, «cioè la<br />

manifestazione della presenza di Dio in tutte le cose» 21 .<br />

L’ascesi, la mortificazione del proprio orgoglio e la rinuncia<br />

alle vanità del mondo sono requisiti fondamentali per chi vuole<br />

dedicarsi all’arte iconografica, diventando così autentico e degno<br />

testimone della Parola del Signore:<br />

Il pittore di icone deve essere pieno di umiltà, di dolcezza, di<br />

pietà, fuggire i propositi futili, le sciocchezze. Il suo carattere<br />

sarà pacifico, ignorerà l’invidia. Non dovrà essere ubriaco, non<br />

sarà predatore, non ruberà e soprattutto dovrà osservare con<br />

scrupolosa cura la povertà spirituale e corporale. 22<br />

20 Concilio dei Cento Capitoli, in AA.VV., Presenza dell’invisibile, cit., p. 17.<br />

21 Ivi, p. 16.<br />

22 Concilio di Mosca (1666-1667), citato ibidem.<br />

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80<br />

Valentina Dordolo<br />

L’iconografo ricerca la luce della Verità e, nello stesso tempo,<br />

si fa portavoce di questa nella più completa umiltà, rammentando<br />

le parole che Gesù ha rivolto ai discepoli:<br />

I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere<br />

su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia<br />

così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo<br />

e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande,<br />

chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola?<br />

Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. 23<br />

La tavola di legno e le sue dimensioni: fondamenti biblici<br />

Le norme riguardanti l’iconografia, stabilite e ribadite con fermezza<br />

dalla Chiesa ortodossa, non si limitano ai soggetti da rappresentare<br />

e all’autore di questi, ma investono anche gli aspetti<br />

più strettamente tecnici inerenti alla realizzazione della sacra<br />

immagine. Per creare un’autentica icona ci si deve servire esclusivamente<br />

di una tavola di legno stagionato ed è necessario rispettare<br />

delle misure ben precise, riguardanti le dimensioni del<br />

manufatto. Il rigore perseguito nel determinare le operazioni<br />

più pratiche relative all’esecuzione dell’immagine trova giustificazione<br />

nel fatto che anch’esse si rifanno a precisi richiami biblici.<br />

Il legno, oltre a essere un materiale ampiamente diffuso in<br />

Russia, richiama la semplicità e l’essenzialità della vita del contadino<br />

e dell’asceta, nonché il lavoro faticoso dell’uomo. La<br />

materia lignea è fonte di sopravvivenza per l’essere umano, poiché<br />

gli fornisce il fuoco con cui riscaldarsi e cucinare i cibi, gli<br />

23 Luca 22, 25-27.


L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />

dà modo di creare oggetti con le proprie mani tramite l’intaglio<br />

e la scultura e gli ricorda il forte legame con il Creato.<br />

Tuttavia esiste una simbologia ancora più profonda, inerente<br />

alla sfera religiosa, che richiama la figura del Messia e la Sua<br />

opera redentrice. 24 Agli occhi dell’uomo l’albero è legato al ritmo<br />

delle stagioni, germoglia e produce frutto. Diventa perciò<br />

una manifestazione di vita e il «segno tangibile della forza vitale<br />

che il Creatore ha effuso nella natura» 25 . Nell’Antico Testamento<br />

l’albero verdeggiante diventa sovente emblema dell’uomo<br />

retto, benedetto da Dio, e del popolo prediletto:<br />

Beato l’uomo che non segue il consiglio<br />

degli empi,<br />

non indugia nella via dei peccatori<br />

e non siede in compagnia degli stolti;<br />

ma si compiace della legge del Signore,<br />

la sua legge medita giorno e notte.<br />

Sarà come albero piantato lungo corsi<br />

d’acqua,<br />

che darà frutto a suo tempo<br />

e le sue foglie non cadranno mai;<br />

riusciranno tutte le sue opere. 26<br />

All’ombra delle fronde la pianta offre rifugio e ristoro e l’altezza<br />

del tronco, profondamente radicato nella terra, è tale da<br />

raggiungere il cielo, sovrastando così gli altri esseri viventi. Una<br />

24 Per la simbologia biblica riguardante l’icona e i suoi elementi, cfr. AA.VV.,<br />

Dizionario di teologia biblica, Marietti, Genova 1995; LURKER M., Dizionario delle<br />

immagini e dei simboli biblici, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994; ELIADE<br />

M., Immagini e simboli, Jaca Book, Milano 1998.<br />

25 BONNARD P.-É.-GRELOT P., in AA.VV., Dizionario di teologia biblica, cit., p. 25.<br />

26 Salmo 1, 1-3.<br />

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Valentina Dordolo<br />

simile visione suggerisce all’uomo l’idea dell’unione tra materia<br />

(la terra) e spirito (il cielo), tra conoscenza umana e onnipotenza<br />

divina. 27 Nella Bibbia gli imperi umani sono spesso paragonati a<br />

un albero straordinario, che sale fino al cielo e costituisce riparo<br />

per tutti gli uccelli, simbolo dei popoli della terra:<br />

Ecco, l’Assiria era un cedro del Libano,<br />

bello di rami e folto di fronde, alto di tronco;<br />

fra le nubi era la sua cima. 28<br />

In questo caso, però, la pianta assume un valore negativo, in<br />

quanto figura di una grandezza fittizia, fondata sull’orgoglio<br />

dell’uomo e destinata a crollare sotto il giudizio di Dio:<br />

Per ogni valle caddero i suoi rami e su ogni pendice della terra<br />

furono spezzate le sue fronde. Tutti i popoli del paese si allontanarono<br />

dalla sua ombra e lo abbandonarono. 29<br />

Al tronco colpito dall’ira divina si contrappone il Regno dell’Altissimo,<br />

nato da un umile seme e destinato a diventare un<br />

grande albero, dove tutti gli uccelli verranno a nidificare:<br />

Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa,<br />

27 Anche in altre religioni, quali, ad esempio, l’egiziana e la greca, l’albero<br />

assume un’importanza fondamentale. Esso è considerato simile al tempio,<br />

luogo sacro e inviolabile, fino a diventare simbolo vero e proprio della divinità.<br />

In Egitto si venerava Hathor, dea del cielo, rappresentata nelle tombe<br />

sotto forma di albero, mentre fornisce cibo e bevanda al defunto o al suo<br />

uccello-anima. Nella mitologia greca si può ricordare il giardino delle Esperidi<br />

e l’albero delle mele d’oro, capaci di donare l’immortalità. Per ulteriori approfondimenti<br />

riguardo alla simbologia delle piante nei culti precristiani o in<br />

altre religioni, cfr. ELIADE M., op. cit., pp. 143-154.<br />

28 Ezechiele 31, 3.<br />

29 Ezechiele 31, 12.


L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />

che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più<br />

piccolo di tutti i semi, ma, una volta cresciuto, è più grande<br />

degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli<br />

uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami. 30<br />

Nell’escatologia profetica la Terra Santa è descritta come un<br />

Paradiso ritrovato, le cui piante lussureggianti forniranno all’uomo<br />

cibo e rimedio:<br />

In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del<br />

fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce<br />

frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le<br />

nazioni. 31<br />

Nella Sacra Scrittura si possono ritrovare inoltre numerosi<br />

riferimenti alla sapienza quale albero i cui frutti ricolmeranno di<br />

gioia l’essere umano:<br />

È un albero di vita per chi ad essa s’attiene<br />

e chi ad essa si stringe è beato. 32<br />

Nel secondo capitolo della Genesi vengono ricordati l’«albero<br />

della vita» e quello «della conoscenza del bene e del male» 33 .<br />

Tale distinzione potrebbe far pensare a una netta separazione<br />

tra esistenza e sapienza. Tuttavia bisogna tener presente che<br />

entrambi «da un punto di vista simbolico possono essere visti<br />

anche come un albero solo, perché non esiste vita (spirituale)<br />

senza conoscenza, né conoscenza senza vita» 34 .<br />

30 Matteo 13, 31-32.<br />

31 Apocalisse 22, 2.<br />

32 Proverbi 3, 18.<br />

33 Genesi 2, 9.<br />

34 LURKER M., op. cit., p. 8.<br />

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Valentina Dordolo<br />

Nel Nuovo Testamento l’immagine dell’albero della vita viene<br />

ripresa da Cristo stesso, quale fonte di ristoro e di nutrimento<br />

per chi sarà stato fedele alla Sua Parola:<br />

Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta<br />

nel Paradiso di Dio. 35<br />

Nella lettera di Giuda si può cogliere il paragone tra la pianta<br />

incapace di dare frutto e l’uomo malvagio. Come il tronco<br />

rinsecchito alimenta e, nello stesso tempo, è avvolto e consumato<br />

dal fuoco, tali sono gli empi che si nutrono di false dottrine:<br />

Come nuvole senza pioggia portate via dai venti, o alberi di<br />

fine stagione senza frutto, due volte morti, sradicati. 36<br />

L’immagine della pianta assume, invece, una connotazione<br />

del tutto positiva in Giovanni Damasceno, il quale vede in Maria<br />

la terra del Paradiso, che ha generato l’autentico albero della<br />

vita, ossia Cristo. 37 La Madonna diviene il riferimento anche di<br />

un’altra interpretazione simbolica, nella quale è la Madre del<br />

Salvatore a essere identificata con l’albero della vita. Come ha<br />

modo di rilevare M. Lurker a questo riguardo, è probabilmente<br />

da attribuire a ciò se «le tavolette d’avorio d’epoca protocristiana<br />

che raffigurano l’annunciazione presentano solitamente, accanto<br />

a Maria, un albero della vita» 38 .<br />

Ma il richiamo più importante del legno per il cristiano è<br />

senza dubbio quello costituito dalla Croce. Gesù stesso sulla<br />

35 Apocalisse 2, 7.<br />

36 Lettera di Giuda 12.<br />

37 Cfr. LURKER M., op. cit., p. 9.<br />

38 Ibidem.


L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />

Via Dolorosa si definisce il legno verde contrapposto a quello<br />

secco dei peccatori:<br />

Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno<br />

secco? 39<br />

L’albero, divenuto segno di maledizione, in quanto patibolo<br />

per i condannati a morte, si trasforma nel legno della salvezza.<br />

La Croce diventa titolo di gloria per il cristiano, poiché qui si<br />

può contemplare il modello del Cristo, che «sul legno ha portato<br />

le nostre colpe nel Suo corpo, affinché, morti alle nostre colpe,<br />

viviamo per la giustizia» 40 . Solo così il vero testimone della<br />

Parola del Signore può essere trasformato dalla sapienza del<br />

Maestro, liberandosi pienamente dal peccato. 41<br />

I Padri della Chiesa esortano più volte il fedele ad avere sempre<br />

nel cuore e nella mente la Croce del Cristo, come legge e<br />

norma suprema di vita. Nella Lettera di Barnaba (130 d.C. circa)<br />

emerge in maniera inequivocabile il rilievo fondamentale del<br />

legno, che viene ad essere punto di riferimento imprescindibile<br />

per il cristiano:<br />

La sovranità di Gesù proviene dal legno e quanti confidano<br />

nel legno vivranno per l’eternità. 42<br />

Secondo la simbologia patristica, la missione redentrice della<br />

Croce ricorda un altro strumento di salvezza, presente nell’An-<br />

39 Luca 23, 31.<br />

40 Prima Lettera di Pietro 2, 21-24.<br />

41 Cfr. Lettera ai Romani 6, 6: «Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è<br />

stato crocifisso con Lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi<br />

non fossimo più schiavi del peccato.»<br />

42 Lettera di Barnaba, in LURKER M., op. cit., p. 108.<br />

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Valentina Dordolo<br />

tico Testamento e anch’esso di legno, ossia l’arca di Noè. Quest’ultimo<br />

non solo salva se stesso e la sua discendenza dal diluvio,<br />

ma, grazie alla rettitudine e alla fede, ottiene la riconciliazione<br />

tra Dio e la terra. Nel Nuovo Testamento Noè emerge quale<br />

araldo della giustizia divina e come «tipo dell’uomo salvato in<br />

Cristo» 43 . Egli è il testimone della fede, l’uomo che si affida completamente<br />

alla Parola di Dio:<br />

Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non<br />

si vedevano, costruì con pio timore un’arca a salvezza della<br />

sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne<br />

erede della giustizia secondo la fede. 44<br />

Per quanto concerne le dimensioni e il formato dell’icona<br />

esistono dei canoni precisi e rigorosi, ai quali l’artista deve assolutamente<br />

attenersi. Se si traccia idealmente una diagonale nella<br />

tavola di legno rettangolare, si ottengono due triangoli rettangoli<br />

uguali. La forma di riferimento per l’iconografo viene perciò<br />

a essere il triangolo rettangolo, che ricorda il cosiddetto “triangolo<br />

sacro” o “triangolo d’oro”. Tali definizioni risalgono alla<br />

più remota antichità, addirittura al popolo egizio, che identificava<br />

in questa figura geometrica la triade delle maggiori divinità<br />

Osiride, Iside e Horo. Un’altra denominazione è quella di “triangolo<br />

di Pitagora” legata al teorema formulato da questo filosofo<br />

e matematico. 45<br />

Caratteristica fondamentale del triangolo sacro è quella di<br />

essere il primo della serie di triangoli rettangoli le cui misure<br />

sono numeri interi in progressione aritmetica crescente, ossia 3,<br />

43 SZABÓ L., in AA.VV., Dizionario di teologia biblica, cit., p. 763.<br />

44 Lettera agli Ebrei 11, 7.<br />

45 Cfr. PALAMIDESSI T., L’icona, i colori e l’ascesi artistica, Arkeios, Roma 1997,<br />

p. 145.


L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />

4, 5 e 6 (3 e 4 per i cateti, 5 per l’ipotenusa e 6 per l’area). 46 Tali<br />

cifre non sono casuali, dal momento che si ricollegano a una<br />

precisa simbologia numerica. 47<br />

Nella Bibbia il 3 è il numero perfetto, in quanto indica la<br />

Trinità, l’Unità divina che si manifesta in un processo triadico: 48<br />

Poiché sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre,<br />

il Verbo e lo Spirito Santo; e questi tre sono una cosa sola. 49<br />

Trova così massima espressione il dogma trinitario, secondo<br />

il quale Dio è Uno in Tre Persone (o Ipostasi, se si preferisce la<br />

terminologia dei Padri Cappadoci) 50 .<br />

Un’altra simbologia legata a questo numero è quella delle<br />

virtù teologali (Fede, Speranza e Carità):<br />

Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle<br />

46 Naturalmente non è possibile realizzare un’icona che abbia 3 centimetri di<br />

base, 4 di altezza e 5 di diagonale. Di conseguenza, nell’esecuzione pratica è<br />

fondamentale mantenere la proporzione del 3, 4 e 5 fra le varie parti del<br />

manufatto: «A seconda della grandezza che si vuole ottenere si stabilisce<br />

perciò una misura unitaria che si moltiplica per 3 e per 4: automaticamente la<br />

diagonale varrà cinque volte la misura unitaria stabilita.» Ibidem.<br />

47 Il significato simbolico di questo triangolo e delle misure dei suoi lati era<br />

già stato rilevato da Plutarco: «Il 3 è il primo numero dispari (non considerando<br />

l’unità come numero ma come principio di tutto); il 4 è il quadrato del<br />

primo numero pari; il 5 è la somma di 3 e 2; il quadrato di 5 dà il numero<br />

delle lettere dell’alfabeto egizio e quello degli anni di vita del bue sacro Api.»<br />

Plutarco, ivi, p. 146. È chiaro che nell’ambito di questa trattazione sulle icone<br />

si preferisce esporre esclusivamente l’interpretazione simbolica in chiave<br />

cristica, tralasciando quella derivante da altri culti religiosi.<br />

48 Per la simbologia numerica nella Sacra Scrittura, cfr. AA.Vv., Dizionario di<br />

teologia biblica, cit., pp. 776-781.<br />

49 Prima Lettera di Giovanni 5, 7-8.<br />

50 Cfr. MALNATI E., Dio nel Suo Mistero, MGS Press, Trieste 1998, pp. 242-243.<br />

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Valentina Dordolo<br />

nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre<br />

nostro del vostro impegno nella Fede, della vostra operosità<br />

nella Carità e della vostra costante Speranza nel Signore<br />

nostro Gesù Cristo. 51<br />

Il 4 designa la totalità cosmica, l’idea dell’universalità e, di<br />

conseguenza, tutto ciò che ha carattere di pienezza. A tale riguardo<br />

si possono ricordare i quattro flagelli del libro di Ezechiele<br />

e le quattro beatitudini del Vangelo di Luca:<br />

Dice infatti il Signore Dio: Quando manderò contro Gerusalemme<br />

i miei quattro tremendi castighi: la spada, la fame, le<br />

bestie feroci e la peste, per estirpare da essa uomini e bestie,<br />

ecco, vi sarà in mezzo un residuo che si metterà in salvo con<br />

i figli e le figlie. 52<br />

Beati voi poveri,<br />

perché vostro è il Regno di Dio.<br />

Beati voi che ora avete fame,<br />

perché sarete saziati.<br />

Beati voi che ora piangete,<br />

perché riderete.<br />

Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno<br />

al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro<br />

nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi<br />

in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa<br />

è grande nei cieli. 53<br />

Altri richiami a questo numero presenti nella Bibbia e, in<br />

particolare, nell’Antico Testamento sono quelli costituiti dai<br />

51 Prima Lettera ai Tessalonicesi 1, 2-3.<br />

52 Ezechiele 14, 21-22.<br />

53 Luca 6, 20-23.


L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />

quattro fiumi del Paradiso nel libro della Genesi e dai quattro<br />

punti cardinali in Isaia:<br />

Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si<br />

divideva e formava quattro corsi. 54<br />

Egli alzerà un vessillo per le nazioni e raccoglierà gli espulsi<br />

di Israele; radunerà i dispersi di Giuda dai quattro angoli<br />

della terra. 55<br />

La cifra assume un significato simbolico ancora più profondo<br />

se si considera che quattro sono le lettere del nome di Dio in<br />

ebraico (il cosiddetto Tetragramma YHWH) e quattro le braccia<br />

della Croce.<br />

Il 5 può essere interpretato quale risultato sia della somma di<br />

2+3 sia di 4+1. In entrambi i casi il simbolo a cui ci si richiama<br />

rimane lo stesso, ossia quello dell’unione del principio terrestre<br />

con quello celeste. Il 2 può essere visto come il segno del<br />

dualismo maschile e femminile, che, unendosi al 3, ossia alla<br />

Trinità, raggiunge la sintesi perfetta. Per quanto concerne la<br />

somma di 4+1 si può osservare che in questa operazione «il<br />

numero 4, perfetto ma ancora legato alla materia, si santifica<br />

nello sposalizio con l’1, l’Unità assoluta e trascendente, inizio e<br />

fine di tutte le cose» 56 .<br />

Altri riferimenti simbolici legati al numero 5 possono essere<br />

individuati nel Pentagramma, stella a cinque punte ed emblema<br />

dell’uomo rigenerato, 57 nonché nel Pentateuco, comprendente i<br />

cinque libri della Legge.<br />

54 Genesi 2, 10.<br />

55 Isaia 11, 12.<br />

56<br />

PALAMIDESSI T., op. cit., p. 147.<br />

57 Cfr. ivi, p. 148.<br />

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Valentina Dordolo<br />

Per quanto riguarda il 6, l’interpretazione può essere diversa<br />

a seconda della composizione aritmetica considerata. In senso<br />

positivo, questa cifra può essere vista quale multiplo di 3, il numero<br />

della Trinità; in senso negativo, invece, la si può ritenere<br />

quale simbolo della perfezione non raggiunta e della malvagità:<br />

Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta<br />

un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei. 58<br />

Nel triangolo sacro la simbologia numerica non riguarda solamente<br />

le singole misure dei cateti e dell’ipotenusa, bensì essa<br />

viene ricavata anche sommando in maniera diversa i lati della<br />

figura geometrica e dal perimetro.<br />

Il numero 7, ricavato dalla somma dei due cateti, ha moltissimi<br />

richiami biblici. Nell’Antico Testamento esso designa tradizionalmente<br />

una serie completa ed è legato a oggetti o a figure<br />

degne di venerazione, quali i sette angeli nel libro di Tobia:<br />

Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti<br />

ad entrare alla presenza della maestà del Signore. 59<br />

Ma è soprattutto la cifra che indica i giorni della settimana e,<br />

in particolare, caratterizza il sabato, giorno santo per eccellenza:<br />

Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che<br />

aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. 60<br />

Il 7 viene utilizzato nelle immagini riguardanti le visioni<br />

profetiche e apocalittiche, come quella della corte celeste di San<br />

Giovanni apostolo:<br />

58 Apocalisse 13, 18.<br />

59 Tobia 12, 15.<br />

60 Genesi 2, 2.


L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />

Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese<br />

ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio. 61<br />

Per Sant’Agostino tale cifra indica la totalità biblica, in quanto<br />

risultato dell’unione del Pentateuco e dei due Testamenti della<br />

Sacra Scrittura.<br />

Volendo ricavare un ulteriore significato simbolico, si può<br />

considerare con particolare attenzione la somma di 4+3 che dà<br />

origine al 7. In questa si può cogliere l’immagine dell’uomo perfettamente<br />

realizzato, il quale è riuscito a raggiungere nella vita<br />

la sintesi delle tre virtù teologali e delle quattro cardinali (Prudenza,<br />

Temperanza, Giustizia, Fortezza).<br />

Il numero 8, ottenuto dalla somma di un cateto con<br />

l’ipotenusa (3+5), visto quale multiplo del quattro richiama «la<br />

perfezione materiale vivente, la giustizia equilibrante, la realizzazione»<br />

62 .<br />

Dalla somma dell’altro cateto con l’ipotenusa (4+5) si ha il<br />

numero 9, di grande rilievo simbolico dal punto di vista biblico.<br />

Tale cifra, se considerata multiplo di tre, diventa la perfezione<br />

nella perfezione e rappresenta «la vittoria dell’Iniziato sulle prove<br />

umane e sulla sua terrestrità tramite la purezza morale acquisita<br />

con la trasmutazione di coscienza» 63 .<br />

Un riferimento molto particolare al numero 9 è costituito<br />

dalle gerarchie angeliche, che si suddividono in Serafini, Cherubini,<br />

Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli,<br />

Angeli. 64<br />

61 Apocalisse 4, 5.<br />

62 PALAMIDESSI T., op. cit., p. 149.<br />

63 Ibidem.<br />

64 Ivi, pp. 141-144.<br />

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Valentina Dordolo<br />

Dal perimetro del triangolo sacro si ottiene la cifra di 12,<br />

considerata perfetta nella Bibbia e presente sia nell’Antico sia<br />

nel Nuovo Testamento. Dodici sono le tribù di Israele, che nel<br />

mondo nuovo verranno governate dai dodici apostoli di Gesù:<br />

In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione,<br />

quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua<br />

gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici<br />

tribù di Israele. 65<br />

La Gerusalemme Celeste dell’Apocalisse presenta dodici<br />

porte, dove sono ricordate le tribù di Israele, e dodici basamenti,<br />

che portano i nomi dei dodici discepoli:<br />

La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte:<br />

sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi<br />

delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione<br />

tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre<br />

porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra<br />

i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. 66<br />

L’iconografo testimone di Cristo<br />

L’iconografo si incammina spontaneamente e consapevolmente<br />

sul sentiero tracciato da Gesù. Come ogni uomo egli ricerca<br />

un dialogo continuo e proficuo con Dio, mettendo al servizio<br />

del Signore la propria vita e la propria opera. È una risposta al<br />

dono divino che gli è stato fatto, un modo per ringraziare l’Altissimo<br />

del talento ricevuto in Grazia:<br />

65 Matteo 19, 28.<br />

66 Apocalisse 21, 12-14.


L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />

La Rivelazione non è un’azione unilaterale di Dio sull’uomo;<br />

essa suppone necessariamente la cooperazione dell’uomo,<br />

lo chiama non alla passività, ma ad uno sforzo attivo di<br />

conoscenza e di penetrazione. 67<br />

Il pittore, seguendo Gesù e memore del Suo sacrificio, non<br />

può concepire la propria realizzazione come uomo e come testimone<br />

di Cristo in una creatività solitaria e individuale. Egli<br />

trova invece necessario porsi al servizio dell’intera comunità,<br />

per rendersi strumento della volontà divina. In questa prospettiva<br />

il canone iconografico non viene percepito come un fardello<br />

o un’imposizione, poiché, obbedendo fedelmente alle regole<br />

della Chiesa ortodossa, l’artista dà modo alla propria esistenza e<br />

al proprio talento di inserirsi all’interno della vita ecclesiale:<br />

Nei vari ambiti della vita e della creatività ecclesiali, il canone<br />

è la forma che la Chiesa imprime al cammino dell’uomo verso<br />

la sua salvezza. È nel canone che la tradizione iconografica<br />

realizza la propria funzione come linguaggio artistico della<br />

Chiesa. 68<br />

Il canone diventa una regola esistenziale, una norma interiore,<br />

che nasce dal bisogno di essere autentici testimoni del Messia<br />

e della Sua Verità. La partecipazione attiva e consapevole alla<br />

missione cristiana si realizza nella vita eucaristica della Chiesa,<br />

depositaria e custode dell’eredità apostolica:<br />

L’unità della verità rivelata è strettamente connessa alla molteplicità<br />

delle esperienze personali che si possono avere di<br />

questa verità. [...] Perciò l’icona canonica testimonia l’ortodossia,<br />

indipendentemente dai cedimenti dei portatori della<br />

67 USPENSKIJ L.A., op .cit., p. 357.<br />

68 Ivi, p. 358.<br />

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Valentina Dordolo<br />

verità [...]. Qualunque sia il livello spirituale e artistico del pittore,<br />

anche se si tratta di un artigiano di poco conto, l’icona<br />

canonica, sia antica che nuova, testimonia un’identica verità. 69<br />

Nel grigiore della banalità e nelle tenebre delle prove della<br />

vita l’iconografo è colui che ricerca senza posa la fiamma capace<br />

di illuminare e riscaldare il cuore dell’uomo, trasformandolo<br />

in fiaccola ardente. Un fuoco sempre acceso, che offre ristoro e<br />

infinita serenità, vincendo il freddo della solitudine e dell’angoscia,<br />

come viene ribadito dall’evangelista Giovanni, memore delle<br />

parole pronunciate da Cristo stesso:<br />

Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà<br />

nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. 70<br />

Bibliografia<br />

OPERE CONSULTATE<br />

AA.VV., Dizionario di teologia biblica, Marietti, Genova 1995.<br />

AA.VV., Guida alla Bibbia, Paoline, Roma 1980.<br />

AA.VV., In un’altra forma. Percorsi di iniziazione all’icona, Servitium Editrice–<br />

Interlogos, Sotto il Monte (BG)-Schio (VI) 1996.<br />

AA.VV., Presenza dell’invisibile. Bellezza e preghiera nelle icone russe, Ed. Scritti Monastici,<br />

Abbazia di Praglia 1989.<br />

ALLEN J.J., La via interiore. La direzione spirituale del cristianesimo orientale, Jaca<br />

Book, Milano 1996.<br />

ARTIOLI M.B.-LOVATO M. F., La Filocalia, Gribaudi, Milano 2001 (4 voll.).<br />

69 Ivi, pp. 358-359.<br />

70 Giovanni 8, 12.


L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />

ASNAGHI A. (a cura di), Preghiere russe, La Locusta, Vicenza 1990.<br />

BERNARDI P.G., L’icona, Città Nuova, Roma 1998.<br />

DIRKS J., Les saintes icônes, Priorato d’Amay, 1939.<br />

ELIADE M., Immagini e simboli, Jaca Book, Milano 1998.<br />

EVDOKIMOV P., Teologia della Bellezza. L’arte dell’icona, San Paolo, Cinisello Balsamo<br />

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FLORENSKIJ P., Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, Milano 2002.<br />

LURKER M., Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, San Paolo, Cinisello<br />

Balsamo (MI) 1994.<br />

MALNATI E., Dio nel Suo Mistero, MGS Press, Trieste 1998.<br />

MANZONI G., La spiritualità della Chiesa ortodossa russa, Qiqajon, Bose 1993.<br />

PALAMIDESSI T., L’icona, i colori e l’ascesi artistica, Arkeios, Roma 1997.<br />

POPOVA O.-SMIRNOVA E.-CORTESI P., Icone. Guida completa al riconoscimento delle<br />

icone dal VI secolo ad oggi, Mondadori, Milano 1997.<br />

ŠPIDLIK TH., La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, Lipa,<br />

Roma 2002.<br />

USPENSKIJ L.A., La teologia dell’icona, La Casa di Matrjona, Milano 1995.<br />

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«Rivista di ascetica e mistica», Nerbini, Firenze 2004, n. 2, pp. 285-307.<br />

ROSSI L., Il segreto del cuore e la preghiera del cuore, in “Rivista di ascetica e mistica”,<br />

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P. BERETTA (a cura di), Nuovo Testamento Interlineare (Greco Latino Italiano), San<br />

Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1999.<br />

95


Indirizzo all’attività sportiva<br />

di Giancarlo Pellis * e Giampaolo Olivo **<br />

1. Introduzione<br />

Gli avvenimenti sportivi, soprattutto in questi ultimi anni, ci<br />

fanno credere che non esista record in alcuna disciplina sportiva<br />

che non possa essere migliorato. Eppure la macchina umana,<br />

per sua stessa natura, è limitata, e ciò fa ragionevolmente pensare<br />

che esista un limite oltre il quale un atleta, sebbene dotato e<br />

preparato, non possa spingere la sua prestazione. Se l’uomo non<br />

può superare se stesso, si tende tuttavia a saggiare, se non addirittura<br />

a raggiungere, questo limite e i fatti dimostrano che questo<br />

fine può essere perseguito solamente curando nei minimi<br />

dettagli la preparazione di un’élite di atleti già naturalmente dotati,<br />

facendo uso di tutti i mezzi tecnici e delle conoscenze scientifiche<br />

che si hanno a disposizione.<br />

* Docente di educazione fisica. Il contributo, già edito come PELLIS G.-OLIVO<br />

G., Indirizzo all’attività sportiva. Ipotesi di valutazione fisico-attitudinale per l’indirizzo a<br />

discipline sportive con prevalente impegno anaerobico alattacido, Grafad, Trieste 1985, ha<br />

ottenuto il I Premio internazionale di Educazione fisica e Sport “Jose Maria<br />

Cagigal”, Bilbao, Spagna. La presente versione consiste in un aggiornamento e<br />

in una rivisitazione con verifica sperimentale di tale lavoro.<br />

** Ingegnere elettronico.<br />

97


98<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

Il tecnicismo, che svolge oggi un ruolo rilevante nel raggiungimento<br />

delle estreme performance espresse dai grandi atleti,<br />

tende a essere trasportato a tutti i livelli dello sport. Ciò si<br />

deve soprattutto a una ormai diffusa consapevolezza che gli<br />

obiettivi più elevati, prerogativa di pochi uomini al vertice della<br />

piramide sportiva, debbano essere perseguiti già alla base adottando<br />

gli stessi mezzi che questi ultimi hanno a disposizione.<br />

Il crescente impegno di mezzi tecnici e scientifici implica,<br />

nello sport come altrove, una razionalizzazione di tutto il lavoro<br />

svolto dagli operatori del settore. Con ciò la soluzione di tutti i<br />

problemi, che questi sono tenuti quotidianamente a risolvere,<br />

non viene lasciata più al caso, ma viene affrontata in base a precise<br />

metodologie fondate sulle conoscenze teoriche.<br />

A riprova di quanto detto, possiamo centrare l’attenzione<br />

in particolare su un problema molto importante in quanto<br />

profondamente sentito da chiunque operi entro l’organizzazione<br />

sportiva. Si fa riferimento all’individuazione, nella popolazione<br />

giovanile in particolare, di quei soggetti i quali, per<br />

loro natura, siano particolarmente adatti a una certa attività<br />

sportiva e che abbiano quindi le qualità necessarie per aspirare<br />

a elevati traguardi. Questo problema rientra in quello più vasto<br />

di una programmazione sportiva su larga scala la quale<br />

stenta a prendere piede nel nostro Paese sia per carenza di<br />

organizzazione e di mezzi sia per la mancanza di metodi di<br />

indagine concreti, applicabili a vaste popolazioni e in particolare<br />

a quella scolastica.<br />

Da sondaggi condotti in questo campo sappiamo che circa<br />

la metà dei ragazzi non pratica alcuna attività sportiva<br />

extrascolastica. Se la pratica, la scelta di quest’ultima è stata fatta<br />

spesso durante il passaggio nella scuola media di primo grado e<br />

il più delle volte è dovuta al caso. In tal modo si riducono le<br />

possibilità che un soggetto dalle particolari caratteristiche<br />

biofisiche incontri la struttura sportiva a lui più congeniale dove<br />

potrebbe iniziare con soddisfazione la scalata di quella vertigi-


Indirizzo all’attività sportiva<br />

nosa piramide alla base della quale lo sport deve essere gioco,<br />

divertimento, educazione. È proprio nella scuola che dovrebbe<br />

essere indicata a ognuno l’attività sportiva adatta usando<br />

metodologie relativamente semplici ma valide anche perché proprio<br />

la scuola stessa offre i mezzi necessari a tale scopo, ha una<br />

organizzazione alle spalle che può favorire e coordinare tali attività<br />

e può basarsi sulla competente collaborazione di personale<br />

qualificato quali gli insegnanti di educazione fisica.<br />

A questo punto si capisce che un sistema del genere presenterebbe<br />

vantaggi dal lato sociale, con un migliore indirizzo all’utilizzo<br />

del tempo libero, da quello sportivo, in quanto permetterebbe<br />

di elevare il livello di prestazione, e da quello scientifico<br />

perché offrirebbe un’ampia fonte di dati utili ad aggiornare<br />

continuamente i metodi di selezione e quelli di pianificazione<br />

dell’attività futura.<br />

L’insegnante di educazione fisica diventerebbe l’educatore<br />

che l’attuale impostazione scolastica si propone di evidenziare e<br />

di elevare a un ruolo che fino a ieri era considerato più ricreativo<br />

che educativo, al fine di contribuire, oltre che alla migliore<br />

maturazione fisica degli alunni, anche a una rilevante formazione<br />

del carattere, facendo ricorso concretamente proprio a quei<br />

«metodi di individualizzazione e a una continua valutazione dello<br />

sviluppo e della differenziazione delle tendenze personali» 1 .<br />

In questo contesto l’educazione fisica si trasformerebbe inevitabilmente,<br />

e nella giusta proporzione, in attività sportiva specifica<br />

contemporaneamente alla maturazione fisica e psicologica<br />

del ragazzo.<br />

1 DPR n. 908 dell’1.10.1982.<br />

99


2. Scopo dell’indagine<br />

100<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

Il lavoro che presentiamo è una continuazione di quello da noi<br />

già svolto negli anni precedenti, 2 i risultati del quale hanno fornito<br />

delle preziose informazioni a livello metodologico per l’avvio<br />

di questa nuova fase della ricerca su più di 10.000 soggetti di<br />

ambo i sessi, facenti parte della popolazione scolastica della media<br />

di primo grado della provincia di Trieste, popolazione compresa<br />

tra gli 11 e i 14 anni di età. Ciò con l’intento di evidenziare<br />

tutti quei soggetti che per natura posseggono delle caratteristiche<br />

di base superiori ad altri e quindi più predisposti a un tipo di<br />

disciplina sportiva.<br />

Caratteristica innovativa rispetto ai lavori già svolti da altri<br />

risulta essere il fatto che gli esaminati non sono solo gli appartenenti<br />

a qualche società sportiva e quindi già selezionati, ma anche<br />

coloro che per varie ragioni non si sono mai avvicinati a tale<br />

pratica pur avendone le capacità fisico-atletiche.<br />

L’individuazione proprio di questi soggetti risulta essere importante,<br />

preziosa e ormai indispensabile e può avvenire soltanto<br />

in un ambiente nel quale il loro passaggio è reso obbligatorio:<br />

la scuola.<br />

Il lavoro è stato basato sulla valutazione del meccanismo<br />

anaerobico alattacido, fattore biologico che, come meglio specificheremo<br />

nei capitoli seguenti, regola la riuscita in quelle discipline<br />

sportive in genere più praticate a livello scolastico ed<br />

extrascolastico, nelle quali l’esplosività del gesto atletico risulta<br />

essere una dote indispensabile (tav. 1).<br />

2 Applicazione di una batteria di test quale selezione per l’indirizzo a discipline<br />

sportive con prevalente impegno anaerobico alattacido.


Indirizzo all’attività sportiva<br />

Tav. 1<br />

Il riscontro di tale caratteristica nelle sue forme di potenza e<br />

di capacità potrebbe consentire, in via del tutto sperimentale, di<br />

avviare ogni soggetto a una precisa disciplina sportiva selezionata<br />

tra i principali giochi e alcune specialità dell’atletica, introducendo<br />

una nuova e concreta metodologia nella ricerca dell’attività<br />

più consona.<br />

Abbiamo incentrato il nostro studio sulla valutazione del<br />

meccanismo alattacido in base a considerazioni di ordine sia<br />

biofisiologico che pratico, la prima delle quali risulta essere il<br />

fatto che la quantità dei fosfati, che regolano il fenomeno sopra<br />

descritto, è un qualcosa di congenito nel soggetto stesso e quindi<br />

ritenuto non considerevolmente influenzabile dal fattore allenamento<br />

in soggetti di questa età.<br />

Altro fattore che ha determinato la nostra scelta consiste nel<br />

fatto che lo studio di altre fonti energetiche basate sulla scissione<br />

dei glucidi e dei lipidi, processi notevolmente influenzati dal<br />

grado di intensità dell’allenamento eventualmente praticato, richiede<br />

test con tempi di esecuzione prolungati e quindi maggiore<br />

possibilità di errore da parte degli esaminati e con le conseguenze<br />

menzionate in seguito, cosa che può procurare gravi<br />

ritardi a un lavoro che deve essere svolto in un tempo determinato<br />

(un anno scolastico).<br />

Ciò comunque non esclude la possibilità di estendere tale<br />

tipo di ricerca, in tempi successivi, anche per quelle discipline<br />

101


102<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

sportive che prevedono come meccanismo energetico l’aerobico<br />

e l’anaerobico lattacido.<br />

3. Descrizione dell’indagine<br />

La ricerca si è svolta durante l’intero anno scolastico 1983-’84<br />

con la collaborazione della Provincia di Trieste, del CONI Provinciale,<br />

del Provveditorato agli Studi e dell’Università degli Studi<br />

di Trieste.<br />

In quest’arco di tempo (24 ottobre 1983-9 giugno 1984, per<br />

un totale di più di 2500 ore di lavoro) un’équipe composta da<br />

tre persone (per un totale di nove rilevatori) si è recata sistematicamente<br />

in tutte le scuole medie di primo grado della provincia<br />

e ha sottoposto ogni studente ad una serie di test.<br />

Sono state visitate complessivamente 34 scuole: 24 statali, 3<br />

parificate di lingua italiana e 7 di lingua slovena. Tali rilevazioni<br />

avvenivano per classi durante l’ora di educazione fisica per non<br />

procurare intralci al regolare svolgimento delle lezioni. Ogni<br />

scuola è stata visitata 2 volte al fine di permettere il recupero del<br />

maggior numero di assenti.<br />

Oltre ai dati inerenti le prestazioni raggiunte nei singoli test,<br />

sono state raccolte per ogni singolo individuo altre informazioni<br />

riguardanti le sue caratteristiche antropometriche, le abitudini<br />

alimentari, l’attività sportiva eventualmente praticata, le ore<br />

settimanali a essa dedicate, una indicazione sulla statura dei genitori<br />

e l’eventuale attività sportiva da essi svolta. Queste si sarebbero<br />

dimostrate utili per un’indagine statistica parallela al lavoro<br />

principale.<br />

Sono stati esaminati esattamente 10.486 soggetti di cui solo<br />

9639 hanno fornito risultati completi.<br />

L’elaborazione dei risultati, che consiste nella manipolazione<br />

di circa 800.000 dati, è stata affidata al Centro di Calcolo<br />

dell’Università degli Studi di Trieste. Pertanto tutti i valori rac-


Indirizzo all’attività sportiva<br />

colti sono stati replicati su scheda perforata per permettere la<br />

lettura da parte del calcolatore e l’archiviazione in una sua memoria<br />

prima dell’elaborazione finale. Questa operazione, seppure<br />

di importanza secondaria, ha presentato un peso rilevante sia<br />

dal punto di vista economico, sia perché la ricopiatura dei dati,<br />

unitamente alla lettura e registrazione manuale dei risultati dei<br />

test, è un’inevitabile fonte di errori che generalmente intralciano<br />

la speditezza della successiva elaborazione.<br />

I giovani selezionati sono stati successivamente segnalati agli<br />

organi competenti, in particolare ai rispettivi insegnanti di educazione<br />

fisica, al CONI e alle società sportive locali, specificando<br />

per ogni selezionato a quale disciplina sportiva, alla luce dei risultati<br />

ottenuti, si era dimostrato più adatto.<br />

È d’obbligo, a questo punto, fare delle precisazioni in merito<br />

ai limiti del metodo stesso. Essendo, infatti, strutturato su modelli<br />

matematico-statistici, non può prevedere le infinite variabili<br />

che determinano la prestazione, e offre, pertanto, indicazioni<br />

non assolute. Ciò significa che risulta limitato principalmente<br />

in due sensi: primo perché studia una sola fonte energetica con<br />

il risultato di non indirizzare tutti coloro che possiedono altre<br />

caratteristiche magari in maggior misura. Secondo perché fattori<br />

di ordine neuro-fisiologico e psicologico possono interferire<br />

sul risultato del test come ad esempio la modalità del comando<br />

motorio centrale e le riafferenze di aggiustamento del programma<br />

stesso e, non trascurabile assolutamente, la motivazione del<br />

soggetto che effettua la prestazione, forse non del tutto consapevole<br />

dell’importanza che essa assume.<br />

4. Fattori bio-energetici di indirizzo<br />

Un atleta, nell’esercizio del suo impegno agonistico, si sottopone<br />

regolarmente a un’attività fisica che presenta caratteristiche<br />

diverse a seconda del tipo di disciplina praticata ma che, nel suo<br />

103


104<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

genere, è sempre intensa. In ogni caso, la prestazione che egli è<br />

in grado di raggiungere, dipende dalla sua capacità di far fronte<br />

a quel particolare tipo di lavoro. Tale capacità si può far derivare,<br />

in ultima analisi, da alcuni attributi che hanno origine dalla<br />

sua struttura bio-fisiologica e che, nel loro complesso, qualificano<br />

un individuo riguardo alla sua attitudine generica allo sport.<br />

L’interesse che vi è nel mondo dello sport per questo genere di<br />

attributi personali si fonda sul fatto che essi determinano la<br />

predisposizione di un individuo verso una certa categoria di discipline<br />

sportive, in quanto da essi dipende la sua capacità di<br />

affrontare il tipo di attività fisica richiesta.<br />

Ad esempio in tutte quelle discipline che prevedono<br />

l’esplosività di un gesto atletico, attributi quali forza ed elasticità<br />

assumono un ruolo determinante per il raggiungimento della<br />

massima prestazione. Prendiamo ad esempio una categoria di<br />

specialità quale l’atletica veloce. L’atleta deve compiere un lavoro<br />

breve ma molto intenso al fine di percorrere una determinata<br />

distanza nel tempo minore possibile.<br />

La forza esplosiva è una dote essenziale: essa permette di<br />

generare una successione di spinte capaci di imprimere alla sua<br />

massa corporea un’accelerazione elevata e di mantenere la massima<br />

velocità raggiunta per tutta la durata della gara. L’elasticità<br />

può contribuire in modo rilevante alla produzione di una spinta<br />

efficace. Se il movimento assume ritmicità e frequenza, è possibile<br />

un recupero parziale dell’energia globalmente sviluppata dall’atleta<br />

che, invece di essere trasformata in calore, viene espressa<br />

sotto forma di forza propulsiva. L’elasticità quindi permette,<br />

dal punto di vista energetico, un migliore rendimento del gesto<br />

atletico. Considerazioni analoghe valgono anche per molte altre<br />

specialità quali quelle di salto in tutte le sue varianti e anche in<br />

molti sport di squadra in cui lo “scatto” improvviso è una componente<br />

essenziale del gioco.<br />

Di tutt’altre caratteristiche è l’impegno energetico richiesto<br />

in specialità nelle quali interviene la forza resistente in quanto


Indirizzo all’attività sportiva<br />

l’atleta deve produrre un lavoro rilevante per periodi prolungati<br />

(alcune decine di secondi), per cui incorre inevitabilmente in<br />

affaticamento estremo. La capacità di produrre questo tipo di<br />

lavoro in tali condizioni di disagio fisico determina, alla fine,<br />

l’esito della gara.<br />

Esiste, inoltre, una categoria di specialità atletiche quali ad<br />

esempio la maratona, la marcia, il ciclismo su strada, in cui l’atleta<br />

deve essere in grado di protrarre per un tempo molto lungo<br />

(anche più ore) la propria attività senza sensibili variazioni delle<br />

sue caratteristiche fisiologiche. L’affaticamento, inteso come<br />

bisogno immediato di recupero di energie, non deve mai sopraggiungere<br />

durante tutta la gara, pena l’inevitabile calo di prestazione.<br />

In questo tipo di discipline spetta ovviamente all’atleta<br />

amministrare le proprie disponibilità energetiche in modo da<br />

non trovarsi mai nelle condizioni suddette.<br />

Con questi semplici esempi abbiamo voluto mettere in risalto<br />

le caratteristiche dei tre meccanismi energetici: anaerobico<br />

alattacido, anaerobico lattacido e aerobico.<br />

Sono state prima citate la forza e l’elasticità dal lato dell’influenza<br />

sul risultato sportivo; ora accenneremo a tali argomenti<br />

a livello bio-istologico, basandoci su dati riscontrati nella letteratura<br />

e riguardanti sia l’analisi della struttura dei muscoli scheletrici<br />

dell’uomo sia i sistemi bio-energetici, cercando di chiarire<br />

alcuni aspetti fisiologici dai quali ha preso spunto l’ideazione<br />

del nostro lavoro.<br />

A tale proposito sappiamo che i processi di produzione dell’energia,<br />

l’attività degli enzimi che la trasformano da chimica in<br />

meccanica, nonché l’ultrastruttura e la composizione della<br />

miofibrilla muscolare hanno un ruolo determinante nella prestazione<br />

sportiva.<br />

La forza, nelle sue varie forme (Harre), viene determinata da<br />

un fattore chimico-biologico e, in base all’intensità e al tempo<br />

di applicazione della stessa, viene attivato il processo energetico<br />

appropriato. Quando abbiamo l’espressione di gesti di intensità<br />

105


106<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

massimale e di durata non eccedente la decina di secondi viene<br />

impiegata l’energia proveniente dal meccanismo alattacido e<br />

quindi derivante dalla scissione del fosfageno (tav. 2).<br />

È proprio la limitata concentrazione dei fosfati che riduce la<br />

capacità di energia chimica; a sua volta la capacità condiziona la<br />

potenza media intesa come quota di energia utilizzabile nell’unità<br />

di tempo (sempre entro i limiti dell’alattacido) basata anche sull’attività<br />

degli enzimi ATPasi e CPasi e sulla qualità e quantità<br />

delle fibre muscolari.<br />

Stimare quindi l’entità di tali caratteristiche risulta essere un<br />

fattore molto utile per prevedere alcuni fenomeni sportivi.<br />

Alla forza determinata dalla contrazione muscolare si può<br />

sommare, se sfruttata a dovere, un’altra componente: l’energia<br />

elastica. Tale energia risulta essere una componente molto importante<br />

nelle prestazioni di potenza specie per quanto riguarda<br />

gli arti inferiori; parte di essa viene incamerata nei componenti<br />

Tav. 2


Indirizzo all’attività sportiva<br />

elastici dei tendini e nelle lamine connettivali che racchiudono<br />

le fibre muscolari, e parte sembra prodotta dalla stessa meccanica<br />

di contrazione. Tale fenomeno, comunque, ha luogo esclusivamente<br />

quando tra la fase di lavoro negativo (nel quale si<br />

incamera appunto l’energia elastica) e quella di lavoro positivo<br />

non vi è soluzione di continuità; nel caso contrario, infatti, l’energia<br />

elastica accumulata non può essere utilizzata ma viene trasformata<br />

in calore.<br />

Il riscontro di particolari doti di forza ed elasticità assume<br />

rilevanza maggiore se si tiene conto che le stesse vengono in<br />

gran parte determinate geneticamente. Anche se per la seconda<br />

si fanno soltanto delle supposizioni, non esistendo dati concreti,<br />

è ormai provato che la quantità dei fosfati di un individuo è<br />

una caratteristica del proprio corredo genetico. L’eventuale carenza<br />

di tale fattore limita in maniera considerevole il<br />

raggiungimento di elevate performance in certe attività sportive<br />

determinando, così, una selezione naturale anche nel mondo<br />

dello sport. Se poi si pensa che con l’allenamento è possibile,<br />

seppure in minima parte, mutare le caratteristiche funzionali di<br />

un determinato tipo di muscolatura, anch’essa ritenuta ormai<br />

corredo genetico (Komi-Karlosson 1979), con apprezzabili variazioni<br />

dell’attività enzimatica in rapporto alla specificità della<br />

stessa, si può dedurre quanto sia indispensabile avviare la persona<br />

allo sport più congeniale.<br />

Quanto riportato è stato chiarito da D. Costill e J. Counsilman<br />

i quali, oltre a evidenziare le possibili trasformazioni tra i tipi<br />

diversi di miofibrille, misero in risalto gli effetti sfavorevoli provocati<br />

da stimoli diversi da quelli ai quali la miofibrilla stessa era<br />

predisposta determinando, così, sfavorevoli variazioni dell’attività<br />

enzimatica in senso opposto alla natura della fibra. Tali affermazioni<br />

sono state anche dimostrate da esperimenti condotti<br />

negli ultimi anni e l’unanimità dei risultati non smentisce che,<br />

a parità di allenamento, l’adattamento migliore lo produce indubbiamente<br />

colui le cui caratteristiche biofisiche, assieme a<br />

107


108<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

quelle antropometriche e motorie, sono presenti in maggior<br />

misura e, allo stesso tempo, riscontrabili già in giovane età. Ciò<br />

non discosta molto dalla definizione data da Laszlo Nadori:<br />

«Talento è colui che è dotato di un complesso di capacità tali da<br />

favorire prestazioni mentali e fisiche nettamente superiori alle<br />

media, o prestazioni speciali come sono quelle sportive.»<br />

Quanto brevemente riportato permette di rendersi facilmente<br />

conto come la disponibilità di metodi di valutazione di parametri<br />

biologici, presenti un interesse che va oltre una semplice classificazione<br />

delle capacità del singolo individuo. Essa determina<br />

infatti l’introduzione nel mondo dello sport di nuovi metodi di<br />

lavoro, razionali ed estremamente efficaci, che, se impiegati su<br />

larga scala, sono capaci di elevare la qualità della classe sportiva,<br />

consentendo di giungere a livelli agonistici sempre più elevati.<br />

5. Metodi di valutazione<br />

Se al termine di misura si attribuisce quel significato che esso<br />

comunemente assume nella scienza e nella tecnica, allora è facile<br />

rendersi conto che non tutte le risorse bio-energetiche di un<br />

individuo sono grandezze misurabili.<br />

Misurare una grandezza fisica implica necessariamente disporre<br />

di un campione e di una scala di misura assoluti che, nella<br />

fattispecie, non esistono, né si sa come potrebbero essere rigorosamente<br />

definiti. Per tale motivo, invece che di misura, si è preferito<br />

sempre parlare, in modo più generico, di una loro valutazione.<br />

Con ciò si intende dire che ogni tentativo di quantizzare una<br />

di esse lascia adito a un’interpretazione dei risultati ottenuti mai<br />

oggettiva ma sempre dipendente sia dal metodo con cui essi sono<br />

stati ottenuti che dal soggetto stesso che viene esaminato e facente<br />

riferimento a una scala di valori genericamente empirica.<br />

Il metodo generale usato per fornire una valutazione delle<br />

qualità energetiche di un soggetto che verrà qui preso in consi-


Indirizzo all’attività sportiva<br />

derazione si basa direttamente sul significato pratico che esse<br />

hanno. Precedentemente si è visto come esse si identificano con<br />

quei fattori che, nel loro complesso, determinano la capacità del<br />

soggetto di affrontare un particolare tipo di attività fisica. Ebbene,<br />

un modo immediato per rendersi conto della loro consistenza<br />

è quello di imporre al soggetto in questione un certo<br />

lavoro fisico e osservarne il comportamento. In termini più concreti,<br />

si tratta di sottoporre il soggetto a uno o più esercizi fisici<br />

e di ricavare le corrispondenti prestazioni che, a seconda del<br />

caso, si identificano con delle misure dirette di tempi, lunghezze<br />

o altro, oppure derivano da tali misurazioni attraverso la loro<br />

breve elaborazione mediante semplici formule matematiche. Se<br />

l’esecuzione di uno di questi esercizi richiede il pieno sfruttamento<br />

di una certa qualità, allora la prestazione corrispondente<br />

è un indice della sua entità.<br />

La scala di valori con cui vengono generalmente rapportati<br />

quei numeri che sintetizzano la prestazione ottenuta è costruita<br />

o in base alla profonda conoscenza del soggetto in esame,<br />

o più semplicemente all’esperienza. Per quanto riguarda l’esame<br />

di soggetti dei quali non si conosce generalmente nulla, è<br />

l’esperienza di chi opera da tempo con questi metodi e che ha<br />

avuto quindi l’occasione di avvalorare a posteriori la validità di<br />

certi giudizi fatti in precedenza, che suggerisce una classificazione<br />

delle capacità del soggetto a seconda dei risultati da esso<br />

ottenuti in uno di questi test, come meglio esposto nel corso<br />

della trattazione.<br />

Affinché un esercizio fisico possa costituire la prova di base<br />

di un vero e proprio test su un parametro ben specifico, esso<br />

deve soddisfare evidentemente alcuni requisiti.<br />

Il primo, il più ovvio, è la validità. Un test è tanto più valido<br />

quanto più i risultati che esso fornisce sono correlati con l’entità<br />

della grandezza che esso si prefigge di valutare. Per questa<br />

più che naturale necessità l’esercizio fisico che fa capo a uno di<br />

questi test, seppure banale nella forma, è sempre studiato sia<br />

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110<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

nel gesto atletico che prevede, sia per le condizioni di lavoro<br />

fisiologico che esso impone.<br />

Solo se eseguito secondo modalità ben precise, esso è in grado<br />

di mettere in risalto quanto prestabilito, la cui entità sia legata<br />

alla prestazione secondo una relazione ben definita. In particolare<br />

si è sempre cercato, entro i limiti del possibile, di ideare<br />

degli esercizi fisici per i quali la prestazione sia determinata dall’impegno<br />

di un’unica fonte energetica con la conseguenza pratica<br />

che la quantificazione sia immediatamente deducibile dalla<br />

prestazione riscontrata. Nei casi in cui ciò si è dimostrato impossibile,<br />

si è fatto comunque ricorso a più test. Questi sono<br />

generalmente formulati in modo tale che, da un’analisi globale<br />

delle prestazioni in esse riscontrate, sia sempre possibile ricavare<br />

la valutazione che interessa.<br />

Un requisito importante che in genere questi test possiedono<br />

è la semplicità. Dalla parte di chi è destinato a servirsene,<br />

essa va intesa come facilità di rilevazione delle misure e della<br />

loro eventuale elaborazione.<br />

Queste due caratteristiche assumono particolare importanza<br />

se si tiene conto che una larga diffusione di simili metodi di lavoro<br />

è destinata necessariamente a coinvolgere personale non specializzato,<br />

poco abituato a operare su strumenti troppo complessi<br />

e che non guarda generalmente di buon occhio procedure di calcolo<br />

troppo elaborate. Riguardo invece a chi a tali test è destinato<br />

solamente a sottoporsi, assume particolare importanza la facilità<br />

di esecuzione dell’esercizio fisico che essi prevedono.<br />

L’esperienza personale di chi scrive ne è stata una conferma.<br />

Ci si riferisce in particolare a ricerche già svolte su un vasto<br />

campione della popolazione studentesca. In tal caso è significativo<br />

il tempo richiesto per l’effettuazione di un singolo test in<br />

quanto da esso e dalle dimensioni del campione da esaminare<br />

dipende ovviamente la durata dell’intero lavoro che, per ragioni<br />

organizzative, deve solitamente esaurirsi entro un tempo<br />

prefissato. Ebbene, si è notato come le minime difficoltà


Indirizzo all’attività sportiva<br />

riscontrabili negli esercizi fisici proposti, possono intralciare in<br />

modo determinante e imprevedibile la speditezza dell’intero lavoro.<br />

Infatti, con il diminuire dell’età dei soggetti esaminati, si è<br />

assistito a delle crescenti reali difficoltà di apprendimento di<br />

quelle già elementari nozioni motorie richieste per l’effettuazione<br />

corretta della prova. La necessità da parte degli operatori di<br />

rispiegare molte volte le stesse istruzioni, o di ripetere spesso e<br />

per più soggetti i test, determina inevitabilmente l’aumento del<br />

tempo medio d’esame per singolo soggetto. A ragion veduta si<br />

può quindi dire che per questo tipo di applicazione la semplicità<br />

dei test diventa un requisito indispensabile senza il quale essi<br />

non avrebbero neppure ragione d’esistere. Se, nel loro complesso,<br />

non fossero elementari sia per chi li segue, sia per chi ad essi<br />

si sottopone, le difficoltà di vario genere che sopraggiungerebbero<br />

li renderebbero praticamente inutilizzabili.<br />

Sono stati sviluppati molti test che soddisfano i requisiti richiesti<br />

e particolarmente quelli che fanno riferimento agli arti<br />

inferiori. Si tratta delle cosiddette “prove di salto verticale”<br />

(vertical jump) in tutte le loro varianti, le quali costituiscono un<br />

insieme esaustivo di test. L’esercizio fisico cui fanno capo consiste,<br />

come il loro stesso nome fa ben capire, in uno o più balzi<br />

eseguiti secondo modalità diverse ma sempre in modo tale da<br />

ricadere nello stesso punto ove gli stessi sono stati spiccati.<br />

D’ora in poi si farà sempre riferimento a questo tipo di test e<br />

quindi implicitamente sempre agli arti inferiori. Tale limitazione<br />

è in realtà meno restrittiva di quello che può apparire. Infatti<br />

bisogna tener presente che l’interesse nel valutare un individuo<br />

ha sempre il secondo fine di poter analizzare le sue capacità in<br />

qualche disciplina sportiva e che quasi tutti gli sport si basano<br />

sulla mobilità dell’atleta che si realizza proprio con il suo apparato<br />

locomotore il quale tra l’altro comprende gran parte (circa<br />

il 40%) delle masse muscolari corporee.<br />

Vari sperimentatori, poi, basandosi sul parallelismo di una<br />

batteria di test motori con il prelievo istologico di tessuto mu-<br />

111


112<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

scolare (vasto laterale) hanno messo in evidenza anche come la<br />

performance espressa sia correlata con la composizione muscolare<br />

(Bosco-Komi 1979).<br />

Si comprende perciò come sia possibile ed importante saggiare<br />

queste caratteristiche senza ricorrere a metodi cruenti che<br />

possono andar bene per una cerchia molto ristretta di persone<br />

ma non sicuramente essere applicati a un vasto campione magari<br />

in giovane età.<br />

Gran parte di questi lavori sperimentali si sono avvalsi di<br />

uno dei metodi più semplici ed efficaci per la stima della massima<br />

potenza anaerobica alattacida: il salto verticale.<br />

6. Gli strumenti di misura<br />

Il salto verticale, conosciuto meglio come test di Abalakov, dal<br />

nome di chi l’ha introdotto come mezzo d’indagine, consiste<br />

nel misurare il massimo spostamento verticale del baricentro<br />

che un soggetto è in grado di raggiungere con una singola prova<br />

di salto. Il test è volto a fornire una valutazione della forza<br />

esplosiva espressa dagli arti inferiori e rientra proprio in uno di<br />

quei casi in cui il risultato fornito dal test viene assunto come<br />

misura di riferimento per il parametro in questione<br />

Anche altri sperimentatori, tra i quali ricordiamo D.J. Glencross<br />

e L.W. Sargent, hanno sviluppato il salto verticale con modalità<br />

diverse, le quali non hanno l’affidabilità del sistema introdotto da<br />

Abalakov che riporta con rara immediatezza la misura dell’altezza<br />

raggiunta. In tale metodologia di svolgimento viene fatto uso<br />

di un metro avvolgibile ancorabile in qualche modo al pavimento.<br />

Il capo libero di questo metro viene fissato alla cintola del soggetto.<br />

A salto avvenuto, la lunghezza per la quale esso si è svolto<br />

fornisce direttamente la misura richiesta.<br />

In questi tempi qualcuno ha pensato di innovare questo semplice<br />

metodo di misura sostituendo a questa rudimentale, seppure


Indirizzo all’attività sportiva<br />

efficiente, attrezzatura qualcosa di più completo. L’idea che ha<br />

dato vita a questi cambiamenti consiste nel fatto che questa<br />

misura di altezza è sostanzialmente riconducibile a una misura<br />

del tempo. Per l’esattezza è sufficiente misurare la durata del<br />

tempo di volo del salto, cioè il tempo che intercorre tra l’istante<br />

in cui l’atleta, mosso dalla spinta da lui stesso prodotta, stacca i<br />

piedi dal pavimento e l’istante in cui vi ricade. Questo tempo<br />

viene detto “tempo di volo”.<br />

In realtà le innovazioni apportate dalla misura di tempo hanno<br />

un significato che va ben oltre il semplice desiderio di stare<br />

al passo con i tempi, soprattutto se si considera che esse coinvolgono<br />

un ambiente generalmente restio alle novità, in quanto<br />

ancorato a metodi di lavoro che, seppur sorpassati, sono ormai<br />

ampiamente collaudati. Esse hanno ragione d’essere per il fatto<br />

che il metodo di misura tradizionale, quello cioè che utilizza il<br />

metro svolgibile, presenta fastidiose limitazioni. Esso soffre infatti<br />

del grosso difetto di non essere più applicabile nel caso che<br />

la modalità di esecuzione della prova di salto venga leggermente<br />

cambiata rispetto alla forma originale prevista dal test di<br />

Abalakov. Alcune varianti del test sono in realtà molto interessanti.<br />

Ne sono proprio un esempio la cosiddetta “prova di salto<br />

verticale con caduta” e i “salti multipli”, test principali su cui si<br />

è basato il nostro lavoro di selezione.<br />

Il primo caso consiste nel far cadere il soggetto da un’altezza<br />

prestabilita e fargli poi compiere un balzo non appena esso tocca<br />

terra. Anche in questo caso si tratta di effettuare la misura<br />

dello spostamento verticale del baricentro durante la fase di volo<br />

del balzo; tuttavia essa si arricchisce di nuovi significati in quanto<br />

ci permette di studiare l’influenza di varie ipotesi di<br />

prestiramento sul salto stesso. Con il piegamento degli arti inferiori<br />

dovuto alla fase di ammortizzamento della caduta, viene<br />

incamerata nella muscolatura interessata una certa quantità di<br />

energia elastica che viene poi restituita nel balzo successivo sotto<br />

forma di spinta. Quindi l’altezza massima raggiunta non è<br />

113


114<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

determinata soltanto dalla forza espressa dalla muscolatura<br />

estensoria degli arti inferiori, ma anche dall’opportuno sfruttamento<br />

dell’elasticità della muscolatura stessa.<br />

Il secondo caso ci permette di studiare la potenza aerobica<br />

oppure anaerobica variando le modalità di esecuzione della prova<br />

strutturata in una o più serie di salti verticali prodotti, in tempi<br />

prefissati.<br />

La misura dell’elevazione del baricentro di un individuo in<br />

un singolo balzo verticale, tramite il rilevamento del tempo di<br />

volo, oltre a presentare molti vantaggi già in linea di principio,<br />

risulta, anche in pratica, estremamente facile da realizzare. Tradizionalmente<br />

viene fatto uso di una strumentazione che nel<br />

complesso è nota nel mondo dello sport con il nome di “Ergo<br />

Jump” (Bosco).<br />

Uno strumento che ne svolge le funzioni essenziali è stato<br />

costruito dagli autori e denominato “Ergometric jump program”.<br />

Esso consiste essenzialmente in un cronometro, avente una<br />

precisione pari, almeno, al centesimo di secondo, il quale permette<br />

l’avanzamento del tempo soltanto quando un interruttore<br />

elettrico esterno a esso collegato mantiene aperto il suo contatto.<br />

I due poli dell’interruttore esterno di cui si fa uso consistono<br />

in una pedana, la cui superficie presenta una buona<br />

conducibilità elettrica, e di una fascetta, anch’essa di materiale<br />

conduttore, che viene disposta su un piede del soggetto in posizione<br />

plantare. Così, quando costui si trova in piedi sulla pedana,<br />

il contatto elettrico risulta chiuso e il cronometro è fermo.<br />

Non appena il soggetto spicca il balzo, il conteggio del tempo<br />

ha inizio e si ferma soltanto quando egli ricade a terra. Il tempo<br />

così rilevato è quello di volo relativo a quel balzo.<br />

L’arresto automatico delle misurazioni dopo un numero<br />

prestabilito di balzi compiuti dal soggetto in esame risulta molto<br />

comodo per quei test che si fondano sull’esecuzione di un<br />

numero prefissato di salti in quanto l’operatore non deve far<br />

altro che programmare opportunamente lo strumento, avviare


Indirizzo all’attività sportiva<br />

le operazioni di conteggio e attenderne l’arresto automatico<br />

controllando soltanto l’esecuzione del test.<br />

In tale eventualità lo strumento misura il tempo totale (Tt)<br />

impiegato per svolgere la prova. Da questo (Tt) e dal tempo di<br />

volo complessivo (Tv), cioè la somma dei tempi di volo relativi<br />

a tutti i balzi che compongono la prova, è possibile ricavare il<br />

cosiddetto “tempo di contatto complessivo” (Tc), cioè quel tempo<br />

durante il quale il soggetto tocca terra. Infatti tra i tre tempi<br />

intercorre l’ovvia relazione Tt = Tv + Tc.<br />

L’interesse che vi è per quest’ultimo tempo deriva dal fatto<br />

che esso permette, in alcuni test, di definire la prestazione in<br />

modo più significativo. È ad esempio il caso del test di salto<br />

verticale con caduta per il quale, dal tempo di volo relativo a<br />

quest’ultimo, è possibile stimare la forza media sviluppata dal<br />

soggetto nella spinta. Allo stesso modo nei test di resistenza<br />

menzionati in precedenza, potendo determinare tempo di volo<br />

e tempo di contatto, si ricava l’energia sviluppata dal soggetto<br />

durante la prova.<br />

Facendo riferimento a un test quale il salto verticale con caduta,<br />

la rilevazione del tempo di contatto richiede che la misura<br />

abbia inizio quando il soggetto tocca terra per la prima volta.<br />

Pertanto si è dovuto esigere che l’avvio automatico di tutte le<br />

operazioni di conteggio potesse avvenire non solo all’atto dell’apertura<br />

del contatto esterno ma anche alla sua chiusura.<br />

Oltre a ciò è possibile segmentare la prova in più parti per<br />

ognuna delle quali vengono fornite delle misurazioni indipendenti<br />

per studiare l’adattamento del soggetto in esame alle condizioni<br />

di lavoro nel protrarsi del tempo. Per ogni funzione programmata<br />

è possibile visualizzare i rispettivi risultati:<br />

- per il salto verticale con caduta, il tempo di contatto ed il<br />

tempo di volo;<br />

- per la prova con i salti multipli, impostato il tempo del test<br />

(tempo totale) vengono esposti il tempo di volo totale ed il numero<br />

di salti effettuati.<br />

115


7. Metodo di indagine<br />

116<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

La batteria di test è stata modificata rispetto a quella del lavoro<br />

precedente 3 in quanto certe prove avevano presentato degli inconvenienti.<br />

Ci riferiamo in particolare al calcolo dell’elasticità<br />

della muscolatura degli arti inferiori. Tale valore veniva ricavato<br />

dalla differenza percentuale tra due varianti di salto verticale<br />

ossia tra il salto con contro movimento (SCCM) e il salto senza<br />

contro movimento (SSCM) (figg. 1a e 1b).<br />

Nell’esecuzione del SCCM durante il quale il soggetto prima<br />

di effettuare il salto verticale, partendo dalla posizione di ritto e<br />

mani ai fianchi, doveva fare un dinamico piegamento e successivo<br />

raddrizzamento degli arti inferiori, non veniva incontrata<br />

nessuna difficoltà. Si sono posti, invece dei problemi, nell’esecuzione<br />

del SSCM nel quale il soggetto doveva, partendo dalla<br />

posizione di assoluta immobilità, con gli arti inferiori semipiegati<br />

(angolo tra gamba e coscia di 90°) e mani ai fianchi, effettuare<br />

un salto verticale sfruttando la sola spinta degli arti in modo da<br />

3 Vedi supra, nt. 2.<br />

Figg. 1a (a sinistra) e 1b (a destra).


Indirizzo all’attività sportiva<br />

Tav. 3<br />

utilizzare la sola energia espressa dalla contrazione della<br />

muscolatura estensoria.<br />

Per ragazzi di 11, 12, 13 anni restare immobili, seppur per<br />

una piccola frazione di tempo in tale posizione di partenza, era<br />

di estrema difficoltà e spesso essi facevano precedere al salto un<br />

leggero prestiramento. Ciò comportava una continua ripetizione<br />

del test con conseguente affaticamento del soggetto il quale,<br />

dopo un paio di tentativi, non solo non era più in grado di esprimere<br />

il meglio delle proprie capacità ma in alcuni casi era anche<br />

incapace di svolgere l’esercizio correttamente producendo, pertanto,<br />

dei risultati non attendibili (tav. 3).<br />

Dal grafico si nota come la dispersione sia abbondantemente<br />

sotto il valore zero. Ciò deriva senz’altro dagli inconvenienti<br />

117


118<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

succitati in quanto l’energia elastica, se sfruttata nella maniera<br />

corretta, si deve sommare e non certo sottrarre alla forza e pertanto<br />

tutti i valori, e non soltanto quelli medi, dovrebbero trovarsi<br />

nel campo positivo del grafico. La stessa risulta, inoltre,<br />

troppo accentuata rispetto alle piccole variazioni dei rispettivi<br />

valori medi, rendendo quindi il tutto privo di significato.<br />

Il metodo precedente, comunque, può essere ritenuto valido<br />

per atleti evoluti che già posseggono un determinato controllo<br />

motorio che permette di non creare difficoltà nelle rilevazioni.<br />

Si è rinunciato così alla valutazione della pura elasticità sostituendo<br />

a essa la valutazione della potenza reattiva quale espressione<br />

contemporanea di forza ed elasticità.<br />

La batteria di test è stata quindi così modificata: alle due prove<br />

di salto suddette è stata sostituita una prova consistente in un<br />

salto verticale conseguente a una caduta da altezza determinata<br />

(T.S.V.C). Ciò ci permette di calcolare la potenza reattiva quale<br />

espressione della forza sviluppata con una certa velocità, dopo<br />

aver fissato il carico di lavoro ossia l’altezza di caduta.<br />

Tale test prevede che il soggetto si lasci cadere da uno scalino<br />

di 30 cm e, mantenendo sempre le mani ai fianchi, toccata la<br />

piastra, compia un salto verticale al massimo dell’elevazione ricadendo,<br />

poi, sulla piastra (fig. 2).<br />

Fig. 2


Indirizzo all’attività sportiva<br />

L’altezza di 30 cm è stata determinata dopo uno studio<br />

sperimentale (dati non pubblicati) condotto dagli stessi autori<br />

sull’altezza ottimale di caduta per soggetti dagli 11 ai 13<br />

anni di età.<br />

Con la strumentazione descritta è possibile registrare il tempo<br />

totale (intercorrente tra primo ed il secondo contatto in piastra)<br />

Tv e, dalla differenza dei due, determinare il tempo di contatto<br />

Tc nel quale il soggetto ammortizza la caduta incamerando<br />

energia elastica (tempo negativo) che verrà riutilizzata nella<br />

fase di spinta (tempo positivo). Usando le formule di Asmussen<br />

e Bonde-Petersen che presuppongono che il soggetto in esame<br />

svolga le fasi eccentrica e concentrica con moto uniformemente<br />

accelerato, siamo in grado anche di quantificare la forza media<br />

espressa per ammortizzare la caduta (forza negativa), quella<br />

estrinsecata per compiere il nuovo salto, l’impulso, quale prodotto<br />

della forza media per il tempo nel quale viene espressa, e,<br />

infine, il rapporto a noi parso significativo, tra la forza media e il<br />

tempo (F+/t+) cui può essere attribuito il significato di rapidità<br />

di espressione della forza di spinta.<br />

Con procedura simile sono state calcolate anche la potenza<br />

anaerobica alattacida media e la potenza totale, determinate dalla<br />

prova dei salti multipli sul tempo di otto secondi. Anche in questo<br />

caso è stato possibile calcolare i valori medi del tempo di<br />

contatto, dell’altezza dei salti, della forza positiva, dell’impulso<br />

e della velocità di salita. Per controllare poi come avveniva l’adattamento<br />

del soggetto a tale tipo di sforzo la prova è stata suddivisa<br />

in due parti onde ricavare la differenza percentuale tra l’una<br />

e l’altra, stabilendo in quale e di quanto il soggetto era riuscito a<br />

esprimere maggior potenza.<br />

Di tipo tradizionale sono invece il test di Margaria e quello<br />

dell’elevazione massima. Dal primo è stata ricavata la massima<br />

potenza anaerobica alattacida (PAA1) come rapporto tra la velocità<br />

verticale di ascesa di una scalinata di circa 12 scalini, misurata<br />

cronometrando elettronicamente il passaggio dal quarto<br />

119


120<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

Fig. 3<br />

all’ottavo, e il rendimento meccanico del gesto motorio specifico<br />

(fig. 3).<br />

Con semplice procedimento matematico è stata ricavata anche<br />

la massima potenza meccanica sviluppata (PAA2).<br />

Dal test dell’elevazione massima (fig. 4), infine, è stato dedotto<br />

lo spostamento massimo raggiunto dal centro di gravità<br />

del soggetto in conseguenza a un salto sfruttando sia il<br />

prestiramento della muscolatura degli arti inferiori sia lo slancio<br />

degli arti superiori. Anche in questo caso è stata calcolata la<br />

velocità di ascesa.<br />

Gli autori si riservano di analizzare più in dettaglio il reale<br />

pratico significato di tale parametro.<br />

Fig. 4


8. Criteri di selezione<br />

Indirizzo all’attività sportiva<br />

La selezione costituisce probabilmente la parte concettualmente<br />

più interessante dell’intero lavoro, ma anche quella più ricca di<br />

problematiche. Se tutta l’opera svolta è da considerarsi sperimentale,<br />

essa impone indubbiamente quelle scelte a cui meglio<br />

si addice questo aggettivo.<br />

I risultati registrati dalla batteria di test applicata permettono<br />

di ricavare alcuni dati individuali ognuno dei quali si identifica<br />

con la valutazione quantitativa di uno dei principali parametri<br />

biologici inerenti al meccanismo anaerobico alattacido.<br />

L’insieme di questi dati numerici sintetizza la predisposizione<br />

di un soggetto nella riuscita in una delle discipline sportive considerate<br />

ed è pertanto naturale basare su di esso qualsiasi criterio<br />

razionale e automatico di selezione. In questi termini il problema<br />

della selezione si traduce immediatamente nel riportare<br />

correttamente sulla scala dei valori numerici dei singoli parametri<br />

di selezione, quei limiti entro i quali le rispettive valutazioni<br />

del singolo individuo devono trovarsi affinché esso possa essere<br />

ritenuto “interessante”.<br />

Non è difficile rendersi conto come la scelta più opportuna<br />

di tali limiti debba essere affidata all’esperienza. In mancanza di<br />

questa, si è cercato di adottare un metodo ragionevole e flessibile,<br />

destinato a subire eventuali modificazione nel tempo. Dopo<br />

continue verifiche sulla sua reale validità e conseguenti aggiustamenti<br />

è possibile giungere in ogni caso ad una soluzione definitiva<br />

e soddisfacente.<br />

Il metodo così adottato è quello riportato qui di seguito. Innanzi<br />

tutto l’intera popolazione esaminata è stata ripartita in<br />

classi a seconda del sesso e dell’età. Per ognuna di tali classi e<br />

per ogni parametro di selezione, è stato fissato un valore di soglia<br />

che identifica quel valore del parametro, superato il quale<br />

un soggetto incomincia ad essere “interessante”. La selezione<br />

mira ovviamente a segnalare tutti quei soggetti i quali si distin-<br />

121


122<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

guono per qualche aspetto dalla massa. Per questo motivo il<br />

valore di soglia è stato ricavato da un’analisi globale dei valori<br />

registrati per una classe. In particolare ci si è serviti di riassunti<br />

campionari quali il valore medio e lo scarto quadratico medio,<br />

sfruttando il loro significato immediato. Il significato del primo<br />

è noto a tutti; il secondo fornisce invece un’indicazione di “quanto<br />

sia larga la fascia di valori, centrata attorno alla media, entro<br />

la quale è concentrata la massa delle rilevazioni sul campione”.<br />

Partendo da queste elementari considerazioni si è così utilizzata<br />

la formula<br />

S = m + k sqm<br />

1<br />

ove S 1 è il valore di soglia, per un parametro e per una data<br />

classe, entro la quale il parametro ha media m e scarto quadratico<br />

medio sqm, mentre k è una costante, il cui valore è unico per<br />

tutti i parametri da fissare secondo criteri di cui in seguito si farà<br />

menzione. k, come si vedrà, determina il numero di soggetti che<br />

si vuole selezionare, cioè la “selettività” del metodo qui esposto.<br />

Le specialità sportive considerate non richiedono in egual<br />

misura la presenza in un soggetto di tutte quelle caratteristiche<br />

prese come parametri di selezione.<br />

La tabella seguente, elaborata dal prof. Dal Monte e altri e da<br />

noi adottata per renderla più attinente alle nostre necessità e<br />

integrata per quanto riguarda la massima potenza meccanica<br />

sviluppata (PAA2) e l’elevazione massima, inserita sulla base di<br />

esperienze condotte in merito, dà una chiara spiegazione di quanto<br />

affermato.<br />

Essa fornisce un’analisi delle caratteristiche di un soggetto<br />

particolarmente adatto a una delle discipline elencate,<br />

schematizzando appunto l’influenza che ogni caratteristica riportata<br />

ha nella produzione della massima prestazione in ogni<br />

singola attività.<br />

Un qualsiasi metodo di selezione efficiente deve tenere conto<br />

di tali differenziazioni. In relazione al criterio seguito fin dal-


Indirizzo all’attività sportiva<br />

l’inizio, si sono dovuti pertanto tradurre in termini di valori numerici<br />

i concetti di buono, ottimo, eccellente (analogamente di<br />

alta, media, pesante ecc.). Si è così proceduto: per ogni classe e<br />

per ogni parametro è stato fissato un valore massimo S 4 al di<br />

sotto del quale è concentrato il 99.5% della popolazione. L’intervento<br />

compreso tra tale valore e il valore di soglia S 1 precedentemente<br />

discusso, è stato ripartito in 3 parti a ognuna delle<br />

quali sono stati associati ordinatamente i giudizi buono, ottimo,<br />

eccellente (alta, media, bassa etc.), mentre alla parte eccedente<br />

l’S 4 è stato associato il giudizio di massimo.<br />

Statura: A = alta; M = media; B = bassa<br />

Peso: P = pesante; M = medio; L = leggero<br />

E= eccellente; O= ottimo; B= buono; I= indifferente<br />

La situazione è quella dello schema sotto riportato:<br />

Indifferente Buono Ottimo Eccellente Massimo<br />

————+—————+—————————+————————+————————+———————<br />

valore medio S 1 S 2 S 3 S 4<br />

In tal modo un qualsiasi soggetto, relativamente alla sua età e<br />

al sesso, può essere classificato a seconda dei valori che egli ha<br />

fatto registrare, conformemente alla tabella sopra esposta, la<br />

123


124<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

quale lo scarta o lo colloca in una o più delle discipline sportive<br />

considerate.<br />

Il valore di S 4 non è stato scelto pari al massimo assoluto<br />

osservato su una classe, come sembrerebbe naturale, perché<br />

sporadici errori di rilevazione o di ricopiatura dei dati ricavati in<br />

fase di applicazione dei test possono aver fatto registrare qualche<br />

valore errato e spropositatamente elevato, tale da innalzare<br />

troppo, rispetto alla realtà, le soglie S 2 , S 3 , S 4 .<br />

Il suddetto valore S 4 , quindi, è stato ricavato dallo studio delle<br />

curve di distribuzione per ogni relativo parametro e classe.<br />

Al di sopra di S 4 il valore registrato poteva essere considerato<br />

“massimo” ma, in certi casi, anche “sospetto”. Per far sì che<br />

proprio un risultato “sospetto” non pregiudicasse l’esito di tutta<br />

la barriera di test, tale valore era messo in “attesa” con riserva<br />

di controllare anche l’esito degli altri risultati.<br />

Quale esempio riportiamo, nella tav. 4, lo studio della curva,<br />

relativa all’intera popolazione maschile di 4917 soggetti, della<br />

massima potenza anaerobica alattacida PAA1. Considerando che<br />

lo 0.5% eccedente S 4 corrisponde a circa 24 soggetti si può stabilire,<br />

sommando sulla colonna delle frequenze (terza colonna<br />

della tav. 4), il numero pari allo 0.5% relativo, prendendo poi in<br />

considerazione il valore X 2 corrispondente.<br />

Quando al solo variare di k la selezione risulta essere ancora<br />

troppo “rigida”, è possibile anche variare l’ampiezza relativa al<br />

parametro stesso della determinata attività sportiva, passando<br />

ad esempio da valori di eccellente a quelli compresi tra ottimo<br />

ed eccellente e così via. Tale sistema si è reso anche utile perché<br />

il criterio impostato risulta essere molto selettivo, in quanto prende<br />

in considerazione ben sette parametri, e ciò specialmente in<br />

quelle discipline nelle quali la statura risulta essere indispensabile,<br />

per cui solo pochi soggetti verrebbero a corrispondere a tutte<br />

quelle caratteristiche previste dalla specialità stessa.<br />

Il criterio di selezione esposto, certamente non immune da<br />

critiche, ha comunque il pregio di essere razionale, sistematico


Indirizzo all’attività sportiva<br />

(quindi facilmente implementabile sul calcolatore) e soprattutto<br />

flessibile. Le variabili su cui si può agire sono la costante k e, in<br />

generale, il modo con cui possono essere scelte le soglie S 1 , S 2 e<br />

S 3 . Questa flessibilità è particolarmente utile qualora si presentino<br />

situazioni simili a quella che è stata a noi proposta. Nel nostro<br />

caso la selezione non ha interessato esclusivamente l’intera<br />

popolazione esaminata ma anche popolazioni più ridotte quali<br />

quelle individuate dai singoli Istituti scolastici. Dovendo garantire<br />

a ognuno di essi un numero minimo di elementi selezionati,<br />

si è stati costretti a diminuire la selettività, soprattutto tenendo<br />

conto delle scuole meno numerose. I soggetti segnalati in questo<br />

modo, pur non costituendo l’élite in assoluto, sono pur sempre<br />

il meglio che vi è in quell’ambiente scolastico e come tale<br />

interessano ovviamente i docenti di educazione fisica che lì operano.<br />

Così si è ripetutamente agito sul valore della costante k,<br />

abbassandolo all’occorrenza, cercando di ottenere nell’ambito<br />

di ogni Istituto un giusto compromesso tra qualità dei soggetti<br />

selezionati e loro numero.<br />

Concludendo appare doveroso puntualizzare due cose: la<br />

prima riguarda la scelta per “tentativi” della costante. Ciò può<br />

sorprendere ma, se si considera che le curve di normalità ricavate<br />

dall’intera popolazione esaminata (tav. 4) per ogni parametro<br />

hanno lo stesso andamento anche per campioni più piccoli<br />

individuati in singole scuole, fa pensare che ci siano dei valori<br />

proporzionali tra popolazione e campione.<br />

È su questa proporzionalità che è basata la validità sperimentale<br />

della costante e quindi di tutto lo studio proposto. È<br />

ovvio che i dati riportati danno maggior affidamento per la popolazione<br />

studiata, ma, vista la distribuzione manifestamente<br />

casuale, possono rappresentare un ottimo mezzo di confronto<br />

anche per popolazioni diverse.<br />

Il secondo punto da considerare è che il sistema descritto,<br />

strutturato su modelli matematico-statistici, non può prevedere<br />

le infinite variabili che determinano la prestazione in quanto<br />

125


126<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

Tav. 4<br />

non può tener conto di fattori di ordine neuro-fisiologico, psicologico<br />

e motivazionale.<br />

Questo studio, pertanto, può essere considerato un ottimo<br />

mezzo di aiuto per indirizzare un soggetto alla disciplina sportiva<br />

a lui più consona: il pregio del sistema esposto è quello di<br />

indicare dei valori a cui far riferimento, per ogni specialità in<br />

base all’impegno più o meno rilevante che ogni caratteristica<br />

acquista nell’estrinsecazione della massima prestazione.


Indirizzo all’attività sportiva<br />

9. Indirizzi all’attività sportiva e criteri prognostici<br />

Il confronto di tutti i risultati da ogni singolo soggetto con i<br />

valori teorici relativi alla specifica attività sportiva dà modo di<br />

collocare e quindi di indirizzare il singolo a una o più attività, in<br />

base alle particolari esigenze delle stesse. Per comodità di interpretazione<br />

e di individuazione, tutti i selezionati sono stati suddivisi<br />

per Istituto di appartenenza ed elencati in tavole, relative<br />

alle singole scuole, sulle quali è indicato, oltre al codice di<br />

individuazione del soggetto, ogni parametro ad esso relativo,<br />

con il giudizio letterale corrispondente.<br />

A fianco dell’attività già eventualmente praticata è presente<br />

l’indicazione della o delle specialità alle quali il soggetto, in base ai<br />

giudizi ottenuti, viene indirizzato: pallacanestro PC, pallavolo PV,<br />

pallamano PM, velocità VE, salto in alto SA e salto in lungo SL.<br />

Nelle tavv. 5a e 5b vengono riportati due esempi di selezione<br />

relativi allo stesso Istituto, al fine di dimostrare anche come<br />

sia possibile considerare diversi valori di k (vedi § 8), per rendere<br />

flessibile il sistema in modo da adattarlo a varie esigenze.<br />

Una considerazione che appare evidente dalle tavole citate è<br />

quella che più k risulta maggiore, più risulta maggiore la selettività<br />

e più evidenti appaiono le differenze tra le varie discipline. La<br />

proporzionalità quindi tra i risultati forniti dai test e l’indirizzo<br />

all’attività specifica risulta essere affidato proprio a tale valore.<br />

Nel caso che il campo di selezione risulti sempre più ampio,<br />

a k vengono attributi valori sempre minori con conseguenze<br />

che la precisione del sistema viene man mano diminuita.<br />

Riferendosi a quanto riportato negli ultimi paragrafi del capitolo<br />

precedente e analizzando le tavv. 5a e 5b, possiamo notare<br />

quanto detto proprio in quelle specialità nelle quali la statura viene<br />

a essere un parametro determinante. Non a caso quindi nella<br />

tav. 5a non risulta alcun selezionato per l’attività pallacanestro<br />

PC. Ciò si deve al fatto che, con un valore di k elevato, valori di<br />

statura uguali o superiori a quelli considerati “ottimi” non sono<br />

127


128<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

stati registrati. Nella tav. 5b, invece, possiamo notare che, sempre<br />

per la pallacanestro, i valori stabiliti vengono raggiunti in<br />

quanto, con un k minore, i valori di soglia risultano essere anch’essi<br />

minori.<br />

Un’altra precisazione da fare riguardo le tavv. 5a e 5b, cosa<br />

del resto già chiarita nel § 8, è che per i motivi di “rigidità della<br />

selezione” può anche essere variata “l’ampiezza relativa al parametro<br />

stesso della determinata attività sportiva”. Ciò può far<br />

sorgere alcune mancate corrispondenze tra quanto riportato nelle<br />

tavole sopra citate e quello indicato nella tavola del capitolo precedente,<br />

costruita, molto probabilmente, solo su valori teorici<br />

in quanto non risulta specificato su che tipo di campione tali<br />

indicazioni sono state ricavate.<br />

Dopo la trasmissione dei relativi dati alle scuole ed alle società<br />

sportive interessate, il lavoro entra nella sua fase di verifica<br />

che dovrà convalidare il metodo esposto.<br />

Tale convalida si basa sul confronto dei dati registrati nei test<br />

con i risultati delle singole prestazioni ottenute nella specifica<br />

disciplina, i quali, in teoria, dovrebbero essere accompagnati da<br />

un miglior adattamento di tutte quelle caratteristiche bio-fisiologiche<br />

influenzanti l’attività stessa, convalidando quelle leggi<br />

teoriche sulle quali si basa lo studio del talento.<br />

Oltre ai successivi controlli sui selezionati, sia nelle scuole<br />

di appartenenza, nelle quali i ragazzi dovrebbero venir invogliati<br />

a seguire le ore di attività extrascolastiche, sia nelle rispettive<br />

società sportive, saranno di grande utilità delle indicazioni<br />

obiettive dei rispettivi insegnanti al fine di poter anche<br />

valutare l’impegno che ogni selezionato dimostra. Tale impegno<br />

risulta essere indispensabile per la riuscita; se mancasse,<br />

verrebbe ovviamente a cadere il punto cardinale della resa in<br />

qualsiasi attività sportiva.<br />

I risultati esigono perciò la convalida nel tempo e pertanto<br />

risulta necessario che tutto il lavoro venga riproposto a cicli successivi,<br />

sia come verifica sia come nuova fase di selezione.


Indirizzo all’attività sportiva<br />

A tale proposito gli autori propongono una stretta collaborazione<br />

tra gli Enti già partecipanti a questa prima fase dello<br />

studio e le Società sportive eventualmente interessate in modo<br />

da far sì che questo lavoro diventi un primo ciclo di un qualcosa<br />

di indispensabile per il futuro dello sport.<br />

10. Risultati statistici ottenuti<br />

a) Studio dei valori medi<br />

Per ogni parametro preso in considerazione è stato calcolato il<br />

valore medio (MEDIA), lo scarto quadratico medio (SQM), il<br />

valore massimo riscontrato (MAX) e quello minimo (MIN).<br />

Come esempio riportiamo la tav. 6 nella quale sono trascritti i<br />

valori generali per il campione maschile.<br />

Per semplificare la lettura delle tabelle si puntualizza che la<br />

sigla TSVC fa riferimento al test di salto verticale con caduta dal<br />

quale sono stati ricavati anche i valori del “rapporto F+/t+”,<br />

mentre con la dicitura TCA ci si riferisce ai parametri ricavati<br />

dalla prova dei salti multipli per la determinazione della potenza<br />

anaerobica alattacida media e totale.<br />

Per quanto riguarda i valori di “TCA Diff.Perc.”, si fa riferimento<br />

alla differenza registrata tra le due fasi della prova dei<br />

salti multipli; il segno (-) indica come i risultati della prima fase<br />

del test prevalgono su quelli della seconda, indicandoci probabilmente<br />

come la quota di energia proveniente dalla scissione<br />

dell’ATP, sia appena più elevata, in soggetti di questa età, rispetto<br />

a quella proveniente dalla risintesi ad opera del CP.<br />

Per semplicità di interpretazione, per ogni parametro elencato<br />

viene riportato il corrispondente significato con la relativa<br />

unità di misura. Ciò risulterà utile anche per l’analisi di tutti gli<br />

altri risultati.<br />

Nella parte bassa di ogni relativa tabella, viene riportata la<br />

“frequenza delle risposte nei test”.<br />

129


130<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo


Indirizzo all’attività sportiva<br />

Tavv. 5a (in alto) e 5b (in basso)<br />

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Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

Tav. 6<br />

Per quanto riguarda le risposte registrate, la dicitura “alta” e<br />

“bassa”, si riferisce alla statura dei genitori; “tanto”, “medio” e<br />

“poco”, alle abitudini alimentari di ogni singolo soggetto e “praticata”<br />

“non praticata” all’eventuale attività sportiva praticata<br />

dal singolo genitore.


Indirizzo all’attività sportiva<br />

b) Studio sulla pratica delle varie discipline sportive<br />

Nelle tavv. 7a e 7b rispettivamente per le femmine e per i maschi,<br />

sono riportate le attività sportive scolastiche ed<br />

extrascolastiche praticate dai singoli soggetti.<br />

I valori si riferiscono alla frequenza nelle risposte e sono stati<br />

suddivisi in base all’età, con il riporto dei valori medi totali<br />

nell’ultima colonna a destra.<br />

L’interpretazione dei risultati riportati nelle tabelle citate dà<br />

adito ad alcune considerazioni di carattere generale.<br />

In primo luogo si può constatare come i maschi pratichino<br />

in maggior numero l’attività sportiva (circa un 15% in più rispetto<br />

alle femmine). Le discipline più praticate dalle femmine,<br />

da quanto appare nell’ultima colonna delle rispettive tabelle, sono<br />

la pallavolo, il basket, la ginnastica ritmica, il nuoto, la danza,<br />

l’atletica leggera e il pattinaggio mentre i maschi praticano nell’ordine<br />

il calcio, il basket, il nuoto, l’atletica pesante, la pallavolo,<br />

l’atletica leggera, il tennis e la pallamano.<br />

Considerando la frequenza anno per anno, si deve constatare<br />

un fenomeno estremamente sconsolante che investe tutti e<br />

due i sessi: dagli 11 ai 14 anni infatti circa il 25% dei soggetti<br />

abbandona l’attività sportiva.<br />

Due esempi meritano di essere evidenziati e riguardano il basket<br />

e il nuoto, che nell’arco di 4 anni perdono rispettivamente quasi il<br />

70% e il 50% dei praticanti. Tale cifra sembra estremamente elevata<br />

anche in considerazione del fatto che nella pallacanestro, più<br />

che in ogni altra disciplina sportiva, intervengono prevalentemente<br />

fattori coordinativi e antropometrici, che determinano una precoce<br />

specializzazione del ruolo la quale a sua volta porta a una<br />

rigida selezione naturale. Nel nuoto invece la selezione è determinata<br />

principalmente da fattori condizionali e psicologici; esso inoltre<br />

viene intrapreso non necessariamente con scopi agonistici,<br />

ma con fini puramente educativi. Una volta quindi imparate le<br />

tecniche di base, una gran parte dei praticanti se ne allontana.<br />

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134<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

Tavv. 7a (in alto) e 7b (in basso)


Indirizzo all’attività sportiva<br />

Un andamento simile, ma meno pronunciato, lo si avverte<br />

nel tennis, nella ginnastica artistica, nella danza e nel calcio.<br />

Per quanto riguarda invece le attività in genere più praticate<br />

a livello scolastico quali pallavolo, pallamano e l’atletica leggera,<br />

si può notare come tra gli 11 ed i 14 anni ci sia un netto aumento<br />

della partecipazione sia maschile che femminile. Ciò può essere<br />

attribuito al fatto che coloro che si avvicinano all’attività<br />

sportiva, in questa età, ne traggono forse maggiore soddisfazione<br />

in considerazione di una maggiore maturità con la quale può<br />

venir affrontato un simile impegno sia fisico che psicologico.<br />

Ciò fa dedurre che l’età d’inizio dell’attività deve essere tenuta<br />

in seria considerazione: cercare di anticipare i tempi porta<br />

inevitabilmente a scompensi negativi tra i quali il più frequente<br />

è l’abbandono dell’attività intrapresa, se non addirittura l’allontanamento<br />

dallo sport in generale.<br />

In un discorso contestuale quindi tali considerazioni devono<br />

far nascere una certa preoccupazione in quanto risulta chiaro<br />

che attualmente la tappa fondamentale del curriculum sportivo,<br />

perlomeno nella popolazione esaminata, è l’ambiente antecedente<br />

la scuola media di primo grado. Tale fase (scuola elementare)<br />

non prevede un organo coordinativo sufficientemente valido<br />

per affrontare e risolvere un problema così importante e<br />

vasto, problema che è lasciato a operatori non specializzati in<br />

questo campo, o a iniziative private che però operano prevalentemente<br />

con indirizzo specifico e unilaterale e il più delle volte<br />

non sono portati a considerare certi aspetti fondamentali dello<br />

sviluppo e dell’evoluzione organica, fisica, motoria e maturativa<br />

del soggetto stesso.<br />

c) Studio statistico per ore di pratica e per attività sportiva<br />

Nella parte “a” della tav. 8 “statistiche per ore di attività” vengono<br />

riportati, in base al numero di ore di attività indicate nella<br />

prima colonna a sinistra sull’ordinata, i valori medi con il relati-<br />

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Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

Tav. 8a


Tav. 8a<br />

Indirizzo all’attività sportiva<br />

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Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

Tav. 8b


Tav. 8b<br />

Indirizzo all’attività sportiva<br />

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Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

vo scarto quadratico medio, indipendentemente dall’attività sportiva<br />

praticata. Il numero dei soggetti è indicata nella seconda<br />

colonna dell’ordinata. I parametri numerati in ascissa corrispondono<br />

a: 1-peso, 2-statura, 3-rapporto statura/peso, 5-massima<br />

potenza anaerobica alattacida (PAA1), 6-massima potenza meccanica<br />

sviluppata (PAA2), 7-TSVC potenza reattiva, 8-TSVC<br />

altezza del salto, 12-TSVC forza positiva, 14-TSVC impulso, 16elevazione<br />

massima, 18- potenza alattacida media, 26-rapporto<br />

F+/t+.<br />

Tale suddivisione è stata fatta per poter controllare l’eventuale<br />

influenza del numero di ore di allenamento praticate su<br />

alcune caratteristiche studiate.<br />

Nella parte “b” delle rispettive tavole “statistiche per sport<br />

praticato”, vengono riportati in ascissa i valori medi dei parametri<br />

e in ordinata l’attività sportiva praticata, al fine di studiare<br />

l’influenza dell’attività sportiva specifica su una determinata caratteristica<br />

antro- fisiologica e/o biomeccanica.<br />

11. Verifica dei presupposti adottati<br />

Tutto lo studio presentato si basa sulla valutazione del meccanismo<br />

alattacido e in particolare sul fatto che esso viene considerato<br />

un qualcosa di congenito nel soggetto stesso e quindi<br />

ritenuto non considerevolmente influenzabile dal fattore allenamento.<br />

L’inalterabilità quindi dei risultati ricavati dai test applicati ha<br />

permesso di non incorrere nell’imprecisione di evidenziare anche<br />

coloro che, se pur non in possesso delle caratteristiche richieste,<br />

beneficino in maniera rilevante di un allenamento specifico.<br />

Ci pare quindi opportuna una verifica in questo senso, con<br />

una particolareggiata analisi statistica dei risultati riportati nel §<br />

10 punto c, per poter inequivocabilmente affermare che le pre-


Indirizzo all’attività sportiva<br />

stazioni ottenute da ogni singolo non sono condizionate da alcun<br />

agente esterno.<br />

Si è agito considerando i risultati riportati nelle tavole “a”<br />

(statistiche per ore di attività) e “b” (statistiche per sport praticato)<br />

con la suddivisione per classe e in sottogruppi “non praticanti”<br />

e “praticanti”.<br />

Così operando sono state prese in considerazione le seguenti<br />

grandezze: peso (1), statura (2), potenza anaerobica<br />

alattacida (5), massima potenza meccanica (6), TSVC forza<br />

pos. (12), TSVC impulso (14), elevazione massima (16) e potenza<br />

alattacida media (18).<br />

L’eventuale riscontro di differenze significative, riscontrate<br />

tra classi di età e relativi sottogruppi, può condurre ad affermare<br />

che le caratteristiche studiate risultano influenzate dall’allenamento;<br />

contrariamente, se eventuali differenze non dovessero<br />

esistere, potremmo concludere che l’eventuale attività sportiva<br />

non condiziona alcunché, convalidando così i presupposti<br />

sui quali è stato intrapreso il lavoro.<br />

I parametri atti a rilevare tali diversità nel miglior modo sono<br />

le medie delle differenze tra i soggetti “non praticanti” e quelli<br />

“praticanti” di età inferiore con quelli di età superiore, confrontando<br />

tra loro ogni grandezza.<br />

L’indagine statistica mira proprio a fornire una stima di tali<br />

valori medi evidenziando anche “il margine di errore” con cui<br />

essa viene determinata.<br />

Nelle tavv. 8a (femmine) e 8b (maschi) vengono riportati i<br />

risultati più significativi ricavati dai sottogruppi più numerosi.<br />

Esse sono state costruite con un confronto sistematico tra<br />

gruppi di età diversa calcolando i valori medi (m) e lo scarto<br />

quadratico medio s (sqm) di ogni parametro:<br />

m (p.) = X (p.12 anni) - X<br />

m (n.p) = Xn. (p.12 anni) - X (p.11 anni)<br />

dove:<br />

141


142<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

X = è il valore medio del parametro studiato<br />

2 2 sqm = [s /n(p12 + s /n(p11 ] (p) (p.12 anni) anni) (p11anni) anni) 0.5<br />

2 2 sqm =[s /n(np.12anni) + s /n(np11anni) ] (np) (np12anni)<br />

(np11anni)<br />

0.5<br />

dove:<br />

s = è lo scarto quadratico medio del parametro studiato<br />

n = è il numero di soggetti<br />

M = m (p.) -m (np.)<br />

SQM = sqm (p) -sqm (np)<br />

IC (-) = M - (SQM * ks)<br />

IC (+) = M + (SQM * ks)<br />

dove:<br />

ks = costante (1,96), che indica la probabilità pari al 95% di<br />

avere il valore medio reale contenuto nell’intervallo.<br />

Una rapida analisi degli intervalli di confidenza, tenuto conto<br />

del loro significato statistico, riportati nelle tavv. 8a e 8b fa<br />

pensare che, sebbene esistano delle differenze tra i valori medi<br />

“stimati”, possono esistere differenze tra i valori medi reali.<br />

Se non dovesse esistere differenza tra le due popolazioni,<br />

quella tra i valori medi dovrebbe essere idealmente nulla.<br />

Per cercare di risolvere questa indeterminazione che inevitabilmente<br />

accompagna una stima campionaria quale la media e<br />

quindi per cercare di dare una risposta precisa, scopo di questa<br />

verifica, è stato condotto un test statistico (test dei campioni<br />

indipendenti) che, sulla base dei valori medi (M e SQM) calcolati,<br />

permette di appurare se gli scostamenti ricavati dalle differenze<br />

dei rispettivi sottogruppi per ogni gruppo di età hanno<br />

un riscontro reale o nullo.<br />

È stato perciò determinato il rapporto<br />

(M) e (SQM)<br />

e successivamente confrontato con la costante 1.96 (per “p”


Indirizzo all’attività sportiva<br />

= 95%) o 2.58 (per “p” = 99%) relativa alla probabilità “p” che<br />

il valore medio sia contenuto nell’intervallo. Nel caso che il valore<br />

ricavato dal rapporto sia maggiore della costante i risultati<br />

dei due gruppi di età sono da considerarsi diversi, nel caso contrario,<br />

uguali.<br />

Il risultato fornito dal test (tav. 9a e 9b) in generale non<br />

evidenzia delle reali differenze tra i valori medi; esse, se esistono,<br />

sono molto piccole e perciò non palesemente rese esplicite<br />

dai test statistici applicati.<br />

A tal punto, riscontrata però l’entità di queste differenze, bisogna<br />

tener presente che possono essere dovute a fattori di altro<br />

genere quali piccole variazioni che rientrano in quel margine di<br />

errore non più statistico, ma dovuto probabilmente ai benefici<br />

concreti dell’allenamento definibili come una migliore capacità<br />

coordinativa nelle seppur banali azioni motorie riprodotte o da<br />

un miglior utilizzo di quelle immediate riserve energetiche che<br />

determinano una estrinsecazione di potenza. Ambedue tali caratteristiche<br />

determinano un innalzamento del rendimento biochimico<br />

con conseguente miglioramento della prestazione motoria.<br />

Una conferma di quanto fin qui esposto lo si riscontra in<br />

uno studio longitudinale, nel quale sono stati presi in considerazione<br />

100 soggetti a circa 18 mesi di distanza, e applicati gli<br />

stessi test motori e la medesima elaborazione statistica.<br />

A questo punto possiamo affermare che le prestazioni determinate<br />

dall’utilizzo della massima potenza alattacida sono strettamente<br />

appartenenti al singolo, con personali leggi di sviluppo.<br />

Giustamente quindi è possibile basare su tale riscontro un<br />

criterio di indagine al fine di indirizzare appropriatamente soggetti<br />

di giovane età a una disciplina sportiva che prevede lo sfruttamento<br />

di tale processo energetico come predominante. Riteniamo<br />

pertanto indispensabile far porre l’attenzione sull’importanza<br />

di un’applicazione di massa di tali test in quanto chi, e<br />

solamente chi, già in giovane età risulta avere un’elevata potenza<br />

anaerobica alattacida potrà poi emergere in attività sportive<br />

143


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Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

Tav. 9a


Indirizzo all’attività sportiva<br />

Tav. 9b<br />

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Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

che richiedono l’impegno esclusivo o prevalente di tale processo<br />

energetico, traendone quindi la massima soddisfazione.<br />

12. Verifica dei risultati<br />

Come già accennato, il confronto diretto tra i dati ricavati dai test<br />

con quelli registrati nella specifica disciplina sportiva può convalidare<br />

le ipotesi sulle quali si basa tutto il lavoro presentato.<br />

Senza dubbio questa parte dello studio appare come quella<br />

più interessante, perché può fornire un esplicito assenso al metodo<br />

che finora è apparso puramente teorico.<br />

In quest’ultima fase, quindi, si sono paragonati questi due tipi<br />

di risultati; ciò è stato possibile per le specialità dell’atletica leggera<br />

quali la corsa veloce, il salto in lungo e il salto in alto, dove il<br />

risultato è quantificato in un’unità di tempo o di spazio, mentre<br />

non si è trovata una soluzione per i giochi sportivi in quanto manca<br />

la possibilità di avere un preciso indice di riferimento.<br />

A tal fine sono stati raccolti tutti i risultati dei Giochi della<br />

Gioventù, della fase provinciale di Trieste, relativi all’atletica leggera,<br />

degli anni 1983, ’84 e ’85 dai quali sono stati estratti tutti<br />

coloro che avevano effettuato i test preposti e partecipato ai<br />

giochi scolastici. Per ogni soggetto così individuato, sono stati<br />

riportati i due tipi di prestazioni ottenute.<br />

Per il confronto tra queste ultime, quella di gara è stata trasformata<br />

in punteggio in base alle vigenti tabelle di trasformazione<br />

della Fidal (1983), affinché ogni soggetto di qualsiasi età<br />

e/o categoria possa essere paragonato a un altro anche se di<br />

diversa età e/o disciplina.<br />

Per i risultati dei test, invece, si è proceduto a una ricodifica<br />

dei “concetti” indifferente, buono, ottimo, eccellente e massimo,<br />

sostituendoli con valori numerici. Tale trasformazione ha<br />

permesso di sommare e quindi di determinare, per ogni singolo,<br />

dei valori riassuntivi.


Indirizzo all’attività sportiva<br />

Per la precisione si è tenuto conto della somma di PAA1 (x3),<br />

PAA2 (x4), Pot. Reat. (x5), Elev. Max. (x6) e Cap. Alatt. Tot. (x7),<br />

denominata SOM mentre SOX corrisponde alla somma di tutti i<br />

parametri elencati compresi la statura (x1) e il peso (x2).<br />

Sono stati così estratti 776 soggetti in considerazione di cinque<br />

specialità e precisamente: corsa veloce, corsa a ostacoli, salto<br />

in alto, salto in lungo e 2000 m di corsa piana. Quest’ultima disciplina,<br />

rappresentata da un campione piccolissimo di appena 23<br />

unità, è stata considerata unicamente per la controprova del sistema<br />

in quanto come impegno energetico richiesto è indipendente<br />

da quello trattato. La corsa a ostacoli, invece, è stata presa in considerazione<br />

per fornire utili indicazioni al fine di poter inserire<br />

quest’ultima in un eventuale campo più vasto di selezione.<br />

Lo studio di verifica è stato così congegnato in due tempi: uno<br />

considerando tutto il campione di 753 soggetti indipendentemente<br />

dall’indirizzo e dalla specialità alla quale avevano partecipato e il<br />

secondo analizzando solo coloro che, indirizzati con il sistema<br />

esposto nel corso della trattazione a una delle discipline considerate,<br />

quali corsa veloce, salto in lungo e salto in alto, avevano<br />

partecipato alla stessa disciplina nei giochi scolastici.<br />

Il punteggio della gara è stato così correlato sia con i valori<br />

SOM e SOX, sia con ogni singolo parametro (x1, x2, ... x7), al<br />

fine di riscontrare tutte le analogie tra i due tipi di prestazione.<br />

Nelle tavv. 10a (per l’intero campione), 10b (per quello femminile)<br />

e 10c (per quello maschile), vengono riportati i valori<br />

delle correlazioni (COEFFICIENT), il numero di casi sui quali<br />

sono stati calcolati (CASES) e la significatività “p”<br />

(SIGNIFICANCE), relativo a ogni parametro (x1, x2, ecc.), le<br />

somme SOX e SOM.<br />

Ogni campione è stato poi suddiviso in gruppi in base alla<br />

specialità: corsa a ostacoli (SUBFILE S1), corsa piana (SUBFILE<br />

S2), salto in alto (SUBFILE S3), salto in lungo (SUBFILE S4).<br />

Controllando le correlazioni ricavate da ogni singolo parametro,<br />

si può notare come ci sia una particolare corrispondenza<br />

147


148<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

tra tutte le specialità e il salto verticale con caduta, il cui valore<br />

ricavato della potenza reattiva (x5) è altamente correlato con<br />

tutte le discipline.<br />

Il Margaria test, invece (x3 e x4), non è correlato con la corsa<br />

a ostacoli e poco per il salto in alto, molto probabilmente in<br />

virtù del fatto che non può tener conto della mobilità articolare<br />

coxo-femorale, della coordinazione e del ritmo richiesti che influenzano<br />

la prestazione unitamente alle caratteristiche considerate.<br />

Riguardo il test sull’elevazione massima (x6), si nota come ci<br />

sia un’ottima corrispondenza con le specialità di salto, meno<br />

marcate, ovviamente, con quelle di corsa.<br />

Sorprende però che proprio nel salto in alto femminile sia<br />

stata registrata la significatività più bassa.<br />

Ciò molto probabilmente è dovuto al fatto che in ambiente<br />

scolastico la selezione delle saltatrici è stata fatta considerando<br />

come caratteristica più importante la statura (x1) delle atlete (p<br />

= 0.004) invece dell’elevazione (x6) (p = 0.145); questo è esattamente<br />

l’opposto di quanto accade ai maschi che per questa specialità<br />

vengono considerati i “saltatori” (x6) (p = 0.001) anche<br />

se non con caratteristiche antropometriche richieste (x1 - p =<br />

0.126, x2 - p = 0.321).<br />

Infine possiamo notare come il test sulla capacità alattacida<br />

(x7) risulti ben correlato a tutte le specialità (tavv. 10a, b, c).<br />

Per il campione femminile (tav. 10b), invece, le cose sono un<br />

po’ differenti in quanto risulta condizionato dal peso (x2); si<br />

può notare infatti come quest’ultimo, intervenendo nel calcolo,<br />

ha un comportamento parallelo a tale parametro.<br />

Per quanto riguarda invece la corrispondenza con l’intera<br />

batteria di test, i valori SOM e SOX si sono dimostrati perfettamente<br />

attinenti alle specialità considerate e solo in pochi casi c’è<br />

una significatività diversa da p = 0.001. Questo fa dedurre molto<br />

chiaramente che esiste una netta concordanza tra le due prestazioni;<br />

si può perciò affermare che tutti coloro che hanno avuto


Indirizzo all’attività sportiva<br />

Tavv. 10a (in alto) e 10b (in basso)<br />

149


150<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

Tav. 10c<br />

nei test buoni risultati li hanno poi riconfermati nelle gare alle<br />

quali hanno partecipato.<br />

A tale proposito possiamo fare ancora un’ultima considerazione:<br />

dalle informazioni ricavate da tutti i soggetti esaminati,<br />

sappiamo che il 43% non svolge alcuna disciplina sportiva<br />

extrascolastica, il 43% è suddiviso in ben 23 discipline diverse e<br />

solo il 14% ha dichiarato di praticare una disciplina dell’atletica<br />

tra quelle considerate.<br />

Ciò valorizza ancor più i risultati ottenuti in quanto ci porta<br />

a dedurre che, se in un individuo esistono delle caratteristiche di<br />

base, biologiche e antropometriche, i risultati che si possono<br />

raggiungere, anche in tempi brevi, sono da considerarsi validi e<br />

significativi. Per la seconda parte della verifica, quella riguardante<br />

solo quei soggetti che hanno gareggiato in una di quelle


Indirizzo all’attività sportiva<br />

Tav. 11<br />

specialità la quale gli era stata indicata dal sistema di indirizzo, i<br />

risultati sono riportati nella tav. 11.<br />

Gli 81 soggetti considerati (25 corsa piana, 36 salto in alto,<br />

20 salto in lungo) hanno fornito risultati che si possono considerare<br />

estremamente positivi ed incoraggianti in quanto la validità<br />

statistica registrata risultata elevata in tutti i parametri considerati<br />

(eccetto x7).<br />

Analizzando poi tutte le informazioni ricavate da questo gruppo<br />

di soggetti, risulta che solo 10 di essi come attività<br />

extrascolastica hanno dichiarato di praticare una delle specialità<br />

considerate, 11 non ne svolgono alcuna e gli altri 60 sono “distribuiti”<br />

tra ben 13 specialità diverse.<br />

Questo può far ritenere che la maggior parte di coloro che<br />

hanno partecipato alle gare scolastiche lo hanno fatto, molto<br />

151


152<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

Tav. 12<br />

probabilmente, con un limitato bagaglio tecnico specifico, cosa<br />

che può aver creato uno scostamento tra i due risultati, facendo<br />

sì che il rendimento meccanico del gesto atletico da riprodurre<br />

sia molto basso.<br />

Ciò è una conferma ulteriore dei risultati in quanto indica che<br />

tali soggetti posseggono ampi margini di miglioramento che se<br />

sfruttati possono innalzare notevolmente le prestazioni di gara.<br />

Indicativo risulta anche quanto riportato nella tav. 12 dove<br />

appaiono i valori di “p” ricavati su un piccolo gruppo di soggetti<br />

che hanno partecipato ai giochi nei 2000 m di corsa piana.<br />

Anche se con pochi casi, i valori della probabilità sono estremamente<br />

elevati, facendo ritenere che non esiste corrispondenza<br />

tra i risultati, proprio in funzione del fatto che i processi energetici<br />

che regolano la prestazione nei test e la riuscita in tale specialità<br />

sono totalmente indipendenti.<br />

13. Conclusioni e prospettive future<br />

L’interpretazione di un fenomeno studiato secondo una o più<br />

variabili pone certamente dei problemi all’operatore che deve da<br />

un lato programmare e sintetizzare rispettivamente il metodo e la<br />

sua verifica e dall’altro analizzare i risultati in relazione alla concordanza<br />

con le ipotesi formulate in precedenza. Quando tale<br />

analisi viene condotta sull’uomo subentrano delle enormi difficoltà<br />

nell’elaborare e applicare oggettivamente un metodo in con-


Indirizzo all’attività sportiva<br />

siderazione delle molteplici variabili presenti in esso, alcune delle<br />

quali, come già accennato precedentemente, sono di difficilissimo<br />

rilievo obiettivo (ad esempio quelle psicologiche).<br />

Prendendo in esame quest’ultimo concetto, vediamo come il<br />

senso più stretto di valutare significa misurare, ridurre l’esaminato<br />

a una molteplicità di dati, che possono permettere un confronto.<br />

Per l’educatore fisico, quindi, la valutazione rappresenta<br />

un elemento fondamentale, quasi uno strumento per migliorare<br />

il suo programma didattico.<br />

Per quanto riguarda il metodo impostato, appare doveroso<br />

puntualizzare ancora due cose: la prima è indirizzata alla scelta<br />

per “tentativi” della costante. Ciò può sorprendere ma, se si considera<br />

che le curve di normalità ricavate dall’intera popolazione<br />

esaminata per ogni parametro hanno lo stesso andamento anche<br />

per campioni più piccoli individuati in singole scuole, fa pensare<br />

che ci siano dei valori proporzionali tra popolazione e campione.<br />

È su questa proporzionalità che è basata la validità sperimentale<br />

della costante e quindi di tutto lo studio proposto. È<br />

ovvio che i dati riportati danno maggior affidamento per la popolazione<br />

studiata, ma, vista la distribuzione manifestamente<br />

casuale, possono rappresentare un ottimo mezzo di confronto<br />

anche per popolazioni diverse.<br />

Il secondo punto da considerare è che il sistema descritto,<br />

strutturato su modelli matematico-statistici, non può prevedere<br />

le infinite variabili che determinano la prestazione in quanto<br />

non può tener conto di fattori di ordine neuro-fisiologico, psicologico<br />

e motivazionale.<br />

Questo studio, pertanto, può essere considerato un ottimo<br />

mezzo di aiuto per indirizzare un soggetto alla disciplina sportiva<br />

a lui più consona: il pregio del sistema esposto è quello di<br />

indicare dei valori a cui far riferimento, per ogni specialità in<br />

base all’impegno più o meno rilevante che ogni caratteristica<br />

acquista nell’estrinsecazione della massima prestazione.<br />

Alla luce di quanto fin qui descritto, ricollegandoci a quanto<br />

153


154<br />

Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />

verificato nei due capitoli precedenti, dove si è puntualizzato che<br />

in un individuo l’allenamento non modifica in maniera apprezzabile<br />

le prestazioni determinate dall’utilizzo del sistema alattacido,<br />

in quanto quest’ultimo è un qualcosa di strettamente appartenente<br />

al singolo, siamo portati a esprimere un parere favorevole sia<br />

alla formulazione di batteria di test, per lo studio e/o l’indirizzo a<br />

specifiche discipline o a gruppi di attività sportive, sia all’applicazione<br />

di tali metodi di ricerca su vaste popolazioni simili a quella<br />

presentata, che a nostro avviso dovranno trovare una giusta collocazione<br />

nel mondo dello sport a qualsiasi livello.<br />

Un lavoro di tale tipo, protratto nel tempo, potrà in sintesi<br />

raggiungere nuove conoscenze che verranno poi sintetizzate dando<br />

soddisfacenti spiegazioni sui perché di ben precise scelte.<br />

L’importante è che dietro tali scelte, cioè dietro il lavoro di un<br />

educatore, vi sia un lavoro di ricerca, di studio, di sperimen-tazione,<br />

garanzia indispensabile per un risultato altamente specializzato.<br />

A tale scopo ci si può orientare su metodi di più facile realizzazione<br />

di quello presentato, essendo il sistema applicabile da<br />

chiunque operi nel settore, potendo ugualmente ricavare indicazioni<br />

utili e indispensabili allo scopo, anche con materiali e<br />

mezzi molto meno sofisticati. È proprio la volontà di fare che<br />

fa nascere l’ingegno di operare in un certo modo.<br />

A tale proposito possiamo ancora spendere qualche parola<br />

su questioni tecniche che si sono già manifestate in quest’esperienza<br />

e per le quali è stata già abbozzata una soluzione ottimale.<br />

Infatti il peso della parte tecnica è talmente rilevante da influenzare<br />

notevolmente sia l’organizzazione del lavoro sia la teoria<br />

su cui esso si basa. I problemi nascono proprio dal numero elevato<br />

di dati ricavati e dalla loro successiva manipolazione antecedente<br />

l’elaborazione al calcolatore, fonti inevitabili di errori.<br />

Tali errori, la maggior parte di difficilissima individuazione<br />

e che possono creare degli sfalsamenti nella selezione, sono<br />

prodotto dell’uomo e dovuti principalmente alla lettura dei<br />

dati dallo strumento, alle registrazioni su supporti cartacei e al


Indirizzo all’attività sportiva<br />

successivo riporto su scheda perforata per l’introduzione dei<br />

dati nel calcolatore.<br />

Per ridurre, quindi, l’intervento dell’uomo, che a sua volta<br />

richiede anche un notevole impegno finanziario, è stato creato<br />

un sistema automatico di collegamento tra strumento di<br />

rilevazione ed un personal computer.<br />

È stato quindi predisposto un interfacciamento hardware<br />

tra strumento di misura (esempio cellule fotoelettriche) e personal<br />

computer. L’impiego del pc ha aperto in realtà delle prospettive<br />

inizialmente inimmaginabili; per quanto modesto esso<br />

sia, non deve infatti essere trascurata la potenzialità di calcolo<br />

che esso offre.<br />

In una tappa successiva è prevista la trasmissione di quanto<br />

registrato al maxi-calcolatore per elaborazioni finali.<br />

Questa prima concreta innovazione può risolvere in realtà gran<br />

parte dei problemi; definiti, infatti, i livelli di soglia e introdotti nel<br />

personal, la selezione può avvenire direttamente sul luogo della<br />

rilevazione e in tempo reale, saltando l’utilizzo del macro-calcolatore,<br />

necessario, ormai, solo per fornire quei dati statistici di controllo<br />

al fine di aggiornare e riconvalidare il sistema.<br />

Tale soluzione tecnico-tecnologica apre in realtà anche un<br />

nuovo capitolo nel campo dell’attività motoria e in particolare<br />

offre la possibilità di abbinare in tempo reale “valutazione, pianificazione<br />

e controllo”, elementi fondamentali per una corretta<br />

pianificazione dell’allenamento.<br />

Ringraziamenti<br />

Gli Autori ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita<br />

dell’opera: Cristina De Grassi, Laura De Grassi, Giuliana Quasimodo, Mario<br />

Peresson, Marina Senni, Antonella Viola, Dionisio Visintin e Giorgio Visintin.<br />

Un ringraziamento particolare al prof. Aristide Scano, docente di Fisiologia<br />

umana applicata all’Educazione fisica all’I.S.E.F. Roma per la preziosa<br />

collaborazione e i consigli forniti.<br />

155


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Finito di stampare<br />

nel mese di dicembre 2012<br />

presso lo stabilimento tipografico<br />

Globalprint srl di Gorgonzola (MI)<br />

per conto della casa editrice<br />

LINT Editoriale srl di Trieste

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