RELAZIONE FINALE Titolare assegno: dott.ssa Gabriella Cerrone ...
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<strong>RELAZIONE</strong> <strong>FINALE</strong><br />
<strong>Titolare</strong> <strong>assegno</strong>: <strong>dott</strong>.<strong>ssa</strong> <strong>Gabriella</strong> <strong>Cerrone</strong><br />
Tutor: Prof.re Antonio Sasso<br />
Sede: Università degli studi di Napoli “Federico II”, dipartimento di<br />
Scienze Fisiche<br />
Tematica: Tecniche avanzate di caratterizzazione chimico-fisica di<br />
molecole e sistemi molecolari aggregati di interesse ambientale<br />
Tutor Assegnista<br />
1
INDICE<br />
Attività di ricerca (con risulati conseguiti) p.3<br />
Progetti futuri p.36<br />
Ricadute tecnologiche e scientifiche p.38<br />
Collaborazioni p.39<br />
Acquisizione delle competenze organizzativo-manageriali p.39<br />
2
ATTIVITA’ DI RICERCA<br />
Stato dell’arte/Introduzione<br />
L’interesse della comunità scientifica internazionale per lo studio della componente nanometrica<br />
dell’aerosol atmosferico nasce da tre principali motivi.<br />
In primo luogo, la frazione più abbondante dell’aerosol atmosferico è costituito da particelle di<br />
dimensioni inferiori ai 100 nm che, per effetto dell’agitazione Browniana e dei moti convettivi,<br />
presentano un tempo di permanenza nell’atmosfera molto lungo [1].<br />
In secondo luogo, studi epidemiologici hanno già dimostrato che, tra le numerose specie inquinanti<br />
in atmosfera, l’aerosol nanometrico ha effetti particolarmente nocivi sulla salute umana, ed è causa<br />
di varie patologie a carico del sistema respiratorio e cardiovascolare [2]. Ciò è dovuto, proprio alle<br />
ri<strong>dott</strong>e dimensioni di queste nanoparticelle che possono raggiungere le vie respiratorie più profonde<br />
e di lì, attraverso il sistema circolatorio, invadere l’intero organismo provocando un incremento nel<br />
rischio di malattie cancerogene.<br />
Infine, la componente nanometrica del particolato atmosferico risulta fortemente coinvolta nei<br />
complessi meccanismi che regolano la chimica e la fisica dell’atmosfera. Ad esempio tali particelle<br />
rappresentano centri di nucleazione per la formazione di aerosol più grandi, i cui effetti climatici<br />
sono di enorme portata (effetto serra e relativo riscaldamento del pianeta) [3,4].<br />
Più del 50% dell’aerosol ultrafine presente in atmosfera è costituto da materiale carbonioso<br />
organico ed elementale. La principale sorgente antropogenica di tale composti carboniosi è<br />
costituita dai sistemi di combustione, largamente usati nella società industriale [5, 6].<br />
La distribuzione dell’emissione da parte dei sistemi di combustione è di tipo bimodale: esistono<br />
particelle di dimensioni tipiche di qualche nanometro (1-5 nm) di carbone organico (NOC) e<br />
particelle di carbone elementale (fuliggine o EC) con dimensioni tipiche tra i 20 e i 200 nm. Le<br />
particelle di tipo EC sono state ampiamente caratterizzate e studiate, sia in fiamme che in processi<br />
di pirolisi ad alte temperature; al contrario, non esistono studi sistematici sulla componente<br />
organica. In particolare, persistono problematiche aperte riguardo il ruolo che le particelle<br />
nanometriche rivestono come nuclei precursori della fuliggine.<br />
Inoltre, è stato dimostrato che il NOC, a differenza del carbone elementale, è solubile in acqua, il<br />
che ha dirette ripercussioni circa la sua capacità di penetrazione nelle cellule. Pertanto, una<br />
3
migliore comprensione della struttura chimica di tali nanoparticelle può, da una parte, aiutare a<br />
comprendere meglio i meccanismi alla base del processo di combustione e, dall’altra, fare luce<br />
sugli effetti che tali particelle hanno sulla salute umana [7, 8].<br />
La rilevanza e l’interdisciplinarità di tali tematiche giustifica il notevole sviluppo di metodologie<br />
sperimentali, avvenuto negli ultimi anni, per la caratterizzazione chimico-fisica del particolato<br />
carbonioso. Tecniche basate sullo scattering elastico e dinamico [9], sull’assorbimento ottico<br />
(principalmente nelle regioni spettrali dell’ultravioletto e visibile) [10], sulla diffrazione a raggi X<br />
[11], nonché su microscopia a trasmissione elettronica (TEM) ed a Forza Atomica (AFM) [12],<br />
hanno fornito informazioni intere<strong>ssa</strong>nti per lo studio della componente del particolato atmosferico<br />
con dimensione maggiore di 10 nm, mentre risulta ancora inesplorata (talvolta problematica) la loro<br />
applicazione a particelle nel range dimensionale di 1-5 nm.<br />
E’ proprio da questa constatazione che prende forma il presente progetto, il cui scopo è quello di<br />
mettere a punto una serie di metodologie sperimentali, tra di loro complementari, finalizzate alla<br />
caratterizzazione del particolato nanometrico direttamente prelevato da fiamme da laboratorio. In<br />
particolare, il progetto punterà all’implementazione di tecniche sperimentali di tipo ottico:<br />
spettroscopia in assorbimento, spettroscopia Raman per la caratterizzazione chimica e<br />
morfologica del NOC. La spettrometria di ma<strong>ssa</strong> è attualmente la tecnica maggiormente utilizzata<br />
per l’analisi dei composti carboniosi pro<strong>dott</strong>i nei sistemi di combustione [13-18]. Tecniche di<br />
diagnostica di tipo ottico forniscono informazioni complementari a quelle che si ricevono dalla<br />
spettroscopia di ma<strong>ssa</strong>. Esse costituiscono strumenti, ormai ben consolidati, per un’analisi non<br />
distruttiva del campione in esame. Dal punto di vista spettroscopico, le particelle organiche<br />
nanometriche sono state intensivamente investigate nella regione spettrale dell’U. V.[19-22].<br />
Informazioni di tipo morfologico sul particolato nanometrico possono essere ottenute con l’ausilio<br />
di tecniche spettroscopiche risolte in tempo come la Time Resolved Fluorescence Polarization<br />
Anisotropy (TRFPA). E<strong>ssa</strong> costituisce una tecnica non invasiva già ampiamente utilizzata in<br />
ambito biologico [24-27], ma solo recentemente applicata a sostanze pro<strong>dott</strong>e in sistemi di<br />
combustione [28]. Allo stato attuale, invece, non esistono studi conclusivi circa le proprietà di<br />
assorbimento nell’infrarosso. Tale regione risulta, invece, estremamente intere<strong>ssa</strong>nte per due ordini<br />
di motivi. In primo luogo, e<strong>ssa</strong> costituisce il presupposto essenziale per misure di diagnostica ottica<br />
basata sull’utilizzo di sorgenti laser commerciali a basso costo (laser a diodo a semiconduttore). In<br />
secondo luogo, lo spettro infrarosso di un assegnato campione è in grado di fornire l’impronta<br />
digitale delle strutture molecolari presenti in esso, e, quindi, risulta uno strumento indispensabile<br />
per lo studio delle proprietà chimico-fisiche delle strutture nanometriche.<br />
4
La spettroscopia Raman, a differenza di quella in assorbimento, consente di investigare legami di<br />
tipo apolare; per questo motivo, e<strong>ssa</strong> è largamente utilizzata per l’analisi e la caratterizzazione di<br />
materiali carboniosi in genere. E<strong>ssa</strong> va ad indagare il tipo di legame formato dagli atomi di<br />
Carbonio che si traduce, a livello macroscopico, nell’esistenza di materiali dalle proprietà<br />
meccaniche e di trasporto elettronico profondamente diverse tra loro, come la grafite, il diamante, i<br />
fullereni o i nanotubi di carbonio. Tecniche di tipo Raman sono state già applicate per lo studio<br />
della componente micrometrica del particolato da combustione [23], mentre nulla è noto circa lo<br />
spettro Raman del NOC.<br />
L’interesse in questa regione spettrale nasce da considerazione chimico-fisiche sul campione. Infatti<br />
ci aspettiamo che in esso siano presenti strutture chimiche aromatiche ed alifatiche in percentuali<br />
diverse a seconda delle sue proprie caratteristiche e tali strutture presentano modi IR attivi e Raman<br />
attivi proprio nell’infrarosso.<br />
Nel nostro caso abbiamo misurato ed analizzato lo spettro di assorbimento di vari campioni in una<br />
regione spettrale compresa tra i 400 e i 7800 cm -1. Per coprire tale spettro di lunghezze d’onda, si e’<br />
utilizzato uno spettrometro a trasformata di Fourier (FTIR) messo a disposizione dal Professor<br />
Maddalena.<br />
In ultimo, al fine di ottenere ulteriori informazioni sulle proprietà ottiche delle nano particelle, si è<br />
montato in laboratorio un apparato per la rivelazione di radiazione Raman allo scopo di effetturare<br />
le prime prove di misura di spettro Raman da nanoparticolato carbonioso.<br />
Recentemente, tecniche ottiche avanzate (Laser Tweezing, Surface-Enhanced Raman Spectroscopy,<br />
Raman imaging) hanno reso possibile lo studio dell’interazione fra singoli oggetti [29-31]. In<br />
particolare, esse hanno trovato larga applicazione per lo studio di singoli oggetti biologici (singole<br />
cellule, frammenti di DNA, virus, etc.) e della loro interazione con l’ambiente esterno.<br />
L’applicazione di questo tipo di tecniche allo studio dell’interazione della componente nanometrica<br />
dell’aerosol con cellule del tessuto epiteliale potrebbe risultare di grande interesse e di grande<br />
attualità. In particolare, potrebbe fornire preziosissime informazioni sulla capacità di penetrazione<br />
delle nanoparticelle attraverso la membrana cellulare in funzione della dimensione delle particelle<br />
stesse, come meglio illustrato nella parte analitica di questo progetto.<br />
Da misure di shift Raman è possibile seguire l'evoluzione temporale della distribuzione spaziale<br />
delle particelle oggetto dell'investigazione. Questi dati possono fornire informazioni preziose<br />
5
specialmente per quanto riguarda il primo strato dell'atmosfera (Planetary Boundary Layer) che è<br />
maggiormente affetto dalle immissioni di tipo antropico.<br />
Nel seguito verranno intro<strong>dott</strong>e le nanoparticelle oggetto dei miei studi, la tecnica di misura della<br />
loro risposta spettrale nella regiore dell’infrarosso con le relative misure effettuate, la tecnica dello<br />
scattering anelastico “Raman” con illustrazione dell’apparato montato in laboratorio per la<br />
rivelazione di tale segnale e tutti i risultati ottenuti.<br />
6
Bibliografia<br />
[1] Kaufman Y. J., Tanrè D., Boucher O., Nature 419 215 (2002)<br />
[2] Wichmann H. E., Tuch T., Heinrich J., Heyder J., Am. J. Respir. Crit. Care Med. 155 1376<br />
(1997).<br />
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Experiments, and Applications Academic Press - San Diego (1999)<br />
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[8] D’Alessio A., D’Anna A., D’Orsi A., Minutolo P., Barbella R., Ciajolo A. Twenty Fourth<br />
Symposium on Combustion - The Combustion Institute 973 (1992)<br />
[9] di Stasio S. Jour. Quant. Spectrosc. Radiat. Tranf. 73 423 (2002)<br />
[10] Basile G., Minutolo P., D'Anna A., D'Alessio A. 6th Int. Congress on Optical Particle<br />
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[11] Miller C.R., Biswas P., Leikauf G. D. Aerosol Science and Technology 35 829 (2001)<br />
[12] Mamane Y., Willis R., Conner T. Aerosol Science and Technology 34 97 (2001)<br />
[13] Ciajolo A., D’Anna A., Barbella R., Comb. Sci. Tech. 100 271 (1994)<br />
[14] Ciajolo A., D’Anna A., Barbella R., Tregrossi A., Violi A., 26 st Symposium on Combustion<br />
2327 (1996)<br />
7
[15] Tompkins E. E., Long R. 25 st Symposium on Combustion 625 (1995)<br />
[16] Benish T. G., Lafleur A.L., Taghizadeh K., Howard J. B. 26 st Symposium on Combustion 2319<br />
(1996)<br />
[17] Rogge W.F., Hildemann L.M., Mazurek M.A., Cass G. R., Simonett B. R. T., Envir. Sci. and<br />
Tech., 27 636 (1993)<br />
[18] Lafleur A. L., Taghizadeh K., Howard J. B., Anacleto J. F., Quilliam M. A. Am. Soc. Mass<br />
Spec. 7 276 (1996)<br />
[19] Vaglieco B. M., Merola S. S., D’Anna A., D’Alessio A. Jour. Quant. Spectrosc. Radiat.<br />
Tranf. 73 443 (2002)<br />
[20] Cavaliere, A. Ciajolo, A. De Joannon, M., Ragucci, R. Proceedings of the 7th International<br />
Congress on Toxic Combustion By products Noth Carolina (2001)<br />
[21] Sgro L.A., Minutolo P., Basile G., D'Alessio A. Chemosphere 42 671 (2001)<br />
[22] Apicella B., Barbella R., Ciajolo A., Tregrossi A.<br />
XXIV Event of the Italian Section of the Combustion Institute S. Margherita Ligure (2001)<br />
[23] Cooper C. A., Young R. J. J. Raman Spectrosc. 30 929 (1999)<br />
[24] Lakowicz J. R. Principles of Fluorescence Spectroscopy Kluwer Academic - Plenum<br />
Publisher -New York (2002)<br />
[25] Olivini F., Beretta S., Chirico G. Appl. Spectr. 55 311 (2001)<br />
[26] Bruckner V., Feller K. H., Grummt U. W. Application of Time-Resolved Optical Spectroscopy<br />
Elsevier - Amsterdam (1990)<br />
[27] Karolin J., Geddes C. D., Wynne K., Birch D. J. S. Meas Sci Technol 13 21 (2002)<br />
[28] Alfè M., Barbella R., Bruno A., Minutolo P., Ciajolo A. Carbon 43 651 (2005)<br />
[29] Geβner R., Winter C., Rosch P., Schmitt M., Petry R., Kiefer W., Lankers M., Popp J.<br />
ChemPhysChem 5 1159 (2004)<br />
8
[30] Agate B., Brown C. T. A., Sibbett W., Dholakia K., Optics Express 12 3011 (2004).<br />
[31] Xie C., Dinno M. A., Li Y. Optics Letters 27 249 (2002)<br />
9
Aeresol atmosferico<br />
In atmosfera sono disperse particelle sia allo stato solido che liquido (aerosol atmosferico) costituito<br />
da tipi di particolato differenti per dimensione e natura chimica. In esso si distinguono pro<strong>dott</strong>i:<br />
-primari, se emessi in atmosfera direttamente attraverso processi naturali o antropici,<br />
-secondari, se si formano in atmosfera mediante reazioni chimiche.<br />
Nella fattispecie, il particolato carbonioso, cioè costituito per la maggiore da carbonio organico<br />
(OC) risulta essere particolarmente nocivo sia per l’ambiente che per la salute umana. Esso è per la<br />
maggior parte di natura primaria ed è classificato a seconda delle sue dimensioni. Così, ad esempio,<br />
si parla di PM10 (particulate matter) quando s’intende polveri di diametro inferiore ai 10 µm,<br />
piuttosto di PM2.5 nel caso di diametro inferiore ai 2.5 µm e così via. In particolare si parla di<br />
particolato fine per i PM2.5 ed ultrafine per i PM0.1 e di nanoparticelle per i PM0.001. La<br />
produzione dei PM è soprattutto di natura antropica: industria e traffico sono, specie nei centri<br />
urbani, i maggiori produttori di PM.<br />
Se consideriamo un campione di PM10 risulta che (vedi figura 1) in termini di ma<strong>ssa</strong> la<br />
concentrazione di PM tra 1 e 10 µm contenuta in esso è maggiore rispetto a quella dei PM di<br />
diametro inferiore mentre, in termini di unità i PM ultrafini sono in concentrazione assolutamente<br />
Figura 1<br />
100<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
concentrazione<br />
numerica<br />
concentrazione<br />
massiva<br />
PM0.01<br />
PM0.1<br />
PM10<br />
10
superiore (D’Alessio et al., La Chimica e l’Industria (2005)).<br />
Tenendo poi in conto che:<br />
-più le dimensioni delle particelle sono ri<strong>dott</strong>e, maggiore è la loro capacità di penetrazione, e quindi<br />
di creare danni nei tessuti umani una volta inalati;<br />
-sostanze nocive alla salute umana nonché perfino cancerogene hanno la tendenza ad adsorbirsi alla<br />
superficie esterna di tale particolato che quindi si fa loro veicolo nel corpo umano;<br />
-il rapporto superficie/volume aumenta col diminuire del diametro;<br />
si può avere un’idea del motivo dell’interesse crescente riguardo tale argomento.<br />
Per quanto concerne l’interazione tra i PM ed il corpo umano, i PM10, una volta inalati, sono<br />
promotori di disturbi all’apparato oro-faringeo, i PM1.0 raggiungono già l’apparato respiratorio<br />
nella sua totalità, mentre i PM0.1 risultano essere estremamente dannosi visto che, date le ri<strong>dott</strong>e<br />
dimensioni, arrivano ad essere trasportati perfino negli alveoli polmonari e da qui possono essere<br />
immessi all’apparato circolatorio. Alcuni studi sperimentali avanzano la possibilità che tali<br />
particelle una volta inalate po<strong>ssa</strong>no raggiungere persino il sistema nervoso centrale (Oberdorster G.<br />
et al (2004), Inhalation Toxicology, 16(6-7),<br />
In Italia, al momento, vige una normativa sul controllo dei PM10. Nello specifico, la concentrazione<br />
media giornaliera non deve superare i 50 µg/m 3 e per non più di 35 volte all’anno, mentre la media<br />
annua non deve superare i 40 µg/m 3 . Ma ben poco ancora si conosce dei PM nanometrici e non<br />
esiste a tutt’oggi una normativa a riguardo.<br />
Per le nostre misure sperimentali sono stati utilizzati come campioni delle sospensioni di<br />
nanoparticelle in acqua bidistillata campionate al dipartimento di Ingegneria Chimica<br />
dell’Università degli studi di Napoli “Federico II” in collaborazione col gruppo del Professor<br />
D’Alessio.<br />
Illustriamo di seguito, in sintesi, il procedimento di campionamento delle nanoparticelle.<br />
Su di un bruciatore si forma una fiamma premiscelata, il rapporto tra i due gas da miscelare viene<br />
deciso dall’operatore e realizzato facendo confluire precedentemente i flussi dei due gas (nel nostro<br />
caso Etano e Ossigeno) in un premiscelatore elettronico. Dalla fiamma viene estratto, mediante un<br />
11
opportuno sistema in vetro raffreddato con acqua in circolo, il particolato. Tale sistema è posto sotto<br />
vuoto. Il particolato gorgoglia in acqua bidistillata contenuta in uno o più bubbler posizionati lungo<br />
il sistema di aspirazione. Si può variare il rapporto Combustibile/Ossigeno, C/O (allo scopo di<br />
monitore la variazione del rapporto tra la componente alifatica e aromatica del campione in esame),<br />
o l’altezza, z, dal bruciatore, allla quale si vuole campionare il particolato pro<strong>dott</strong>o durante la<br />
combustione (dalle quali misure s’intende ricavare informazioni sulla dinamica temporale della<br />
formazione di particolato che corrisponde alle diverse altezze di prelevamento del campione).<br />
Campioni e substrati<br />
Per misurare lo spettro FTIR del particolato pro<strong>dott</strong>o in fiamma è stato nece<strong>ssa</strong>rio preparare i<br />
campioni da studiare in modo opportuno.<br />
La tecnica di estrazione delle nanoparticelle dalla fiamma prevede, come detto, che il pro<strong>dott</strong>o della<br />
combustione sia fatto gorgogliare in acqua bidistillata ed è per questo che i campioni da noi<br />
utilizzati sono costituiti da sospensioni di nanoparticelle in soluzione acquosa; essi differiscono tra<br />
loro per il rapporto carbonio-ossigeno di cui è composta la fiamma in combustione e dall’altezza di<br />
campionamento.<br />
Sfortunatamente, l’acqua presenta un forte assorbimento nell’IR, ragion per cui ci si è trovati nella<br />
necessità di studiare un metodo altenativo per poter misurare lo spettro IR del particolato. L’idea è<br />
quella di depositare il particolato su di un substrato trasparente nella regione dell’infrarosso<br />
eliminando per evaporazione la presenza dell’acqua.<br />
Al tal fine si è scelto, come supporto per la deposizione, una pasticca di bromuro di potassio (KBr)<br />
che essendo trasparente in questa regione spettrale non risulta coinvolto nella misura FTIR.<br />
D’altronde una delle caratteristiche del KBr, che è un sale, è la sua solubilità in acqua, motivo per<br />
cui bisogna privare il campione dell’acqua in cui è in sospensione ed allo stesso tempo trovare un<br />
solvente che non intacchi i legami del KBr .<br />
12
Figura 2: Spettro di asorbimento del KBr<br />
Procedimento di preparazione delle pasticche in KBr<br />
Per preparare le pasticche di KBr necessitiamo di KBr in polvere, per spettroscopia IR (Merck), un<br />
mortaio e pestello di agata, una pre<strong>ssa</strong>, una pompa da vuoto ed un “pasticcatore” (mostrato in<br />
figura) della Perkins Elmer. Le pasticche utilizzate sono state preparate all’ICTP di Pozzuoli (Na)<br />
grazie alla collaborazione con il <strong>dott</strong>or Musto.<br />
Procedimento:<br />
13
-essendo il KBr un materiale igroscopico ci si premura di lasciare una quantità di KBr in polvere in<br />
stufa a 200°C per tutta una notte allo scopo di eliminare l’acqua presente nella polvere;<br />
-si procede quindi alla macinazione nel mortaio di una quantità di tale polvere allo scopo di rendere<br />
la grana ancora più fine in modo che alla fine del processo di vetrificazione la pasticca risulti il più<br />
omogenea possibile;<br />
-si mette una quantità di polvere nel pasticcatore (circa 300 mg) e, posto sotto vuoto per circa<br />
cinque minuti, si procede a pre<strong>ssa</strong>rlo a circa 200 bar di pressione per ulteriori cinque minuti;<br />
-si procede quindi all’estrazione della pasticca dal pasticcatore.<br />
Preparazione dei campioni su pasticca di KBr<br />
Una volta preparate le pasticche e tenute sempre in luoghi asciutti (magari sotto vuoto) si procede<br />
alla deposizione del particolato su di esse e alla relativa misura dell’assorbimento nell’IR<br />
utilizzando uno spettrofotometro a trasformata di Fourier (FTIR).<br />
Si procede quindi in tal senso:<br />
- Si misura lo spettro FTIR di due pasticche di KBr. Tali spettri saranno il nostro bianco di<br />
riferimento.<br />
- In un contenitore apposito si lascia evaporare l’acqua contenuta nella sospensione sotto una<br />
campana di vetro collegata ad una pompa da vuoto ad una pressione di circa 50 mbar, un vuoto<br />
poco spinto al fine di evitare l’evaporazione del particolato stesso.<br />
-Si aggiunge del solvente volatile nel contenitore e con una siringa si procede alla deposizione della<br />
nuova sospensione su una delle due pasticche di KBr . Contemporaneamente si depone una quantità<br />
simile di solo solvente sulla seconda pasticca. Quest’ultima ci farà da riferimento sul segnale del<br />
solvente.<br />
-Si lasciano entrambe le pasticche sotto un vuoto poco spinto (50 mbar) e si ripete la deposizione<br />
più volte.<br />
- Aspettato un tempo stimato sufficiente, si procede alla misurazione dello spettro FTIR delle due<br />
pasticche così preparate.<br />
14
Assorbimento nella regione spettrale dell’infrarosso<br />
L’utilizzo di tecniche spettroscopiche nelle regione dell’infrarosso prende ragion d’essere dal fatto<br />
che la radiazione IR interagisce con i legami interni alla molecola, cioè con i legami fra i vari atomi<br />
e/o i vari gruppi funzionali presenti nella molecola. Dal punto di vista fisico, il trasferimento di<br />
energia è reso possibile dall’accoppiamento del campo elettrico oscillante della radiazione<br />
elettromagnetica incidente con il momento di dipolo della molecola, µ, posto in oscillazione dalle<br />
vibrazioni molecolari, Q. Per cui, per poter avere assorbimento di radiazione infraro<strong>ssa</strong> deve<br />
accadere che la radiazione ste<strong>ssa</strong> provochi una variazione del momento di dipolo molecolare.<br />
Circostanza che dipende fortemente dalla geometria e dalla struttura della molecola. In figura, sono<br />
mostrate due diverse vibrazioni molecolari, nella prima non c’e variazione di momento di dipolo<br />
per cui non si avrà assorbimento nell’infrarosso, nella seconda invece si.<br />
X<br />
X<br />
Y<br />
∂µ/∂Q=0<br />
X<br />
Y<br />
∂µ/∂Q≠0<br />
X<br />
X<br />
X<br />
Viene detto spettro infrarosso di una molecola o sostanza il diagramma che contiene i picchi di<br />
assorbimento dell’energia nella regione dell’infrarosso relativi ai moti vibrazionali della molecola<br />
in funzione del numero d’onda. Generalmente, viene scelta come unità di misura dell’energia il<br />
numero d’onda e cioè il cm -1 .<br />
Dato che ogni tipo di legame fra atomi e ogni gruppo funzionale presenta un assorbimento a una<br />
specifica lunghezza d’onda dell’infrarosso, rivelando lo spettro di assorbimento del campione, si<br />
possono ricavare informazioni sui componenti della molecola.<br />
15
Tra i vari movimenti che una molecola può fare ricordiamo, ad esempio, quelli definiti di<br />
“stretching” e cioè tutti quelli che comportano la variazione della lunghezza del legame, e quelli<br />
definiti di “bending” e cioè tutti i moti che comportano la variazione dell’angolo di legame.<br />
È da notare che non tutte le vibrazioni molecolari produrranno assorbimento nell’infrarosso. Per<br />
essere attiva nell’IR, la vibrazione deve presentare un cambiamento nel momento di dipolo<br />
molecolare durante il modo. Per tale ragione, per le molecole biatomiche omonucleari come H2, N2<br />
e O2, non può essere osservato alcun assorbimento nell’IR. Nel caso di molecole eteronucleari,<br />
come per esempio CO o HCl, che posseggono un dipolo permanente, invece, l’assorbimento<br />
nell’infrarosso è dovuto proprio al fatto che la vibrazione modifica il momento di dipolo. È<br />
comunque da sottolineare che non è nece<strong>ssa</strong>rio che la molecola presenti un momento di dipolo<br />
permanente per essere IR attiva. Per esempio nel caso del CO2, essendo la molecolare lineare e<br />
centrosimmetrica non presenta alcun momento di dipolo permanente, ma nel caso di stretching<br />
asimmetrico si ha la generazione di un momento di dipolo periodico che rende la molecola IR<br />
attiva.<br />
È possibile riconoscere in uno spettro nell’infrarosso una corrispondenza tra zone dello spettro e<br />
specifici modi: in particolare da 3800 a 1300 cm -1 si è nella zona dei gruppi funzionali che<br />
comprende le bande d’assorbimento dovute agli stiramenti dei legami: da 1300 a 650 cm -1 si è nella<br />
cosiddetta zona delle impronte digitali (finger print) poiché lo spettro risulta caratteristico per ogni<br />
molecola dato che in questa zona si registrano assorbimenti dovuti alle vibrazioni totali di tutta la<br />
molecola (vibrazioni di scheletro); da 650 a 200 cm -1 si è nella zona del lontano IR che comprende<br />
i legami tra atomi pesanti, deformazioni di gruppi privi d’idrogeno e vibrazioni di scheletro.<br />
Per ben interpretare gli spettri IR è nece<strong>ssa</strong>rio fare riferimento a spettri già noti in letteratura. In<br />
genere si hanno tabelle che riportano le bande di assorbimento dei gruppi funzionali e delle<br />
vibrazioni degli atomi noti ai quali si fa riferimento quando si studia una sostanza incognita.<br />
16
FTIR<br />
Per misurare gli spettri infrarossi dei nostri campioni abbiamo utilizzato un spettrometro a<br />
trasformata di Fourier della Perkin Elmer (modello: Spectrum 2000)<br />
Gli spettrometri a trasformata di Fourier (FTIR) diversamente da quelli tradizionali non si basano<br />
sull’utilizzo di un monocromatore a dispersione, ma di un interferometro di Michelson, il quale<br />
produce nel corso di una scansione l’interferogramma della sostanza in esame. Mediante<br />
l’operazione matematica della trasformata di Fourier, quest’ultimo viene trasformato dal computer,<br />
collegato allo strumento, in un tradizionale spettro infrarosso.<br />
Vediamo quali sono i principi base di funzionamento di uno di questi spettrofotometri.<br />
La radiazione eme<strong>ssa</strong> da una sorgente luminosa, in genere ad incandescenza, raggiunge uno<br />
specchio semiriflettente, M1: il 50% viene diretto ad uno specchio fisso, M2, ed il restante 50% ad<br />
specchio mobile, M3. I raggi riflessi da questi due ultimi raggiungono nuovamente lo specchio<br />
semiriflettente che li ricongiunge e li indirizza al rivelatore, R. I due raggi, dunque, hanno percorso<br />
un diverso cammino ottico. Il rivelatore registra un interferogramma le cui interferenze costruttive e<br />
distruttive dipendono dalla differenza di cammino ottico pro<strong>dott</strong>o dai due raggi a sua volta legato<br />
istante per istante alla posizione dello specchio mobile.<br />
R<br />
M2<br />
M1<br />
M3<br />
17
Le informazioni riguardanti la frequenza e l’intensità della radiazione eme<strong>ssa</strong> sono contenute nel<br />
suddetto interferogramma. Il software di acquisizione trasforma, mediante la trasformata di Fourier,<br />
il segnale di intensità luminosa in funzione del tempo (proporzionale allo spostamento dello<br />
specchio) in un segnale di intensità in funzione del numero d’onda. Si ottiene quindi, in questo<br />
modo, un tradizionale spettro infrarosso.<br />
La scelta dell’intervallo spettrale (nel range compreso tra 7800 e 370 cm -1 ) nel quale si vuole<br />
acquisire il segnale e della risoluzione (nel range compreso tra 0.2 e 4 cm -1 ) dello strumento può<br />
essere effettuata dall’operatore comandando lo strumento direttamente dal computer.<br />
Misure dello spettro infrarosso del nanoparticolato<br />
A) Uso di diversi solventi<br />
In questa fase si è deposto il particolato (secondo il procedimento spiegato precedentemente)<br />
proveniente dalla ste<strong>ssa</strong> sospensione acquosa (C/O= 0.65) utilizzando tre diversi solventi: il dicloro<br />
metano (DCM), il toluene e l’acetonitrile. Si sono misurati gli spettri FTIR di tutte e tre le pasticche<br />
dopo aver ripetuto più volte il processo di deposizione. Due sono gli scopi di questo tipo di misure:<br />
in primo luogo si vuole capire se il solvente modifica lo spettro FTIR delle nanoparticelle, proprio<br />
per tal motivo si è utilizzato un solvente molto aromatico, il toluene, ed uno molto alifatico,<br />
l’acetonitrile: in secondo luogo, si vuole verificare se uno dei tre solventi risulta, in qualche<br />
maniera, più adatto degli altri per il tipo di misure che intendiamo fare.<br />
18
Trasmissione (%)<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
Trasmissione (%)<br />
100<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
C/O=0.65 in Toluene<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
Come prima osservazione è da sottolineare che, per ottenere gli spettri mostrati in figura, nel caso<br />
del toluene e dell’acetonitrile è stato nece<strong>ssa</strong>rio ripetere molte più volte il procedimento di<br />
deposizione, almeno il triplo delle deposizioni effettuate nel caso dell’utilizzo del DCM.<br />
Circostanza che sottolinea come il DCM sia in ogni caso il miglior solvente da utilizzare per il<br />
nostro particolato, supportati ulteriormente dalla constatazione che il DCM è il solvente più<br />
utilizzato in letteratura per questo tipo di esperimenti.<br />
In più, confrontando i grafici ottenuti, risulta evidente che la posizione dei picchi non cambia<br />
(anche se nel caso dell’acetonitrile i picchi sono appena accennati), per cui oltre a concludere che il<br />
solvente, qualunque dei tre sia, non partecipa alla misura dello spettro nell’infrarosso, possiamo<br />
anche dire che lo spettro misurato è dato proprio dal particolato in esame.<br />
Trasmissione (%)<br />
100<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20<br />
0<br />
C/O=0.65 in DCM<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
C/O=0.65 in Acetonitrile<br />
19
Trasmissione (%)<br />
Trasmissione (%)<br />
100<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
B) Studio per diversi rapporti C/O<br />
Abbiamo misurato lo spettro FTIR di nanoparticolato deposto su pasticche di KBr utilizzando<br />
sospensioni che si differenziavano per il rapporto C/O della fiamma dai quali sono stati prelevati.<br />
L’obiettivo è quello di capire se tale parametro modica la natura ste<strong>ssa</strong> del particolato. Registrando<br />
lo spettro di trasmissione dei vari particolati possiamo, infatti, risalire alla struttura chimica dei<br />
campioni e controllare in tal modo le variazioni dovute per l’appunto alla variazione di rapporto<br />
C/O. Ci si potrebbe aspettare, per esempio, che aumentando il rapporto C/O po<strong>ssa</strong>no a loro volta<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
C/O=0.56<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
C/O=0.77<br />
Trasmissione (%)<br />
Trasmissione(%)<br />
100<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
100<br />
95<br />
90<br />
85<br />
80<br />
75<br />
70<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
C/O=0.65<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
20<br />
C/O=0.92
Trasmissione (%)<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
variare le posizioni dei picchi, dato che alcuni legami potrebbero disfarsi ed altri formarsi. In<br />
particolare, da considerazioni teoriche, ci si potrebbe aspettare che la natura del particolato tendi a<br />
divenire via via più aromatica all’aumentare del rapporto C/O o semplicemente che potrebbe variare<br />
l’intensità relativa tra i picchi aromatici e quelli alifatici. Per cui, assegnati i picchi relativi ad<br />
assorbimenti dovuti a vibrazioni di anelli aromatici piuttosto che dovuti a vibrazioni di catene<br />
alifatiche presenti nel campioni, si può misurare tale andamento. In questa fase, si sono misurati gli<br />
spettri FTIR di particolato campionato ai seguenti rapporti C/O: 0.56, 0.65, 0.77, 0.92. Tutti i<br />
campionamenti sono stati effettuati in un range compreso tra i 3.5 mm e 6 mm di altezza dal<br />
bruciatore.<br />
Confrontando i quattro grafici corrispondenti ai quattro rapporti C/O con cui è stato campionato il<br />
particolato pro<strong>dott</strong>o durante la combustione dalla fiamma si vede che la posizione dei picchi non<br />
viene minimamente modificata dalla variazione del rapporto C/O per cui possiamo concludere che<br />
tale parametro non modifica i legami chimici presenti nel particolato.<br />
C) Riconoscimento dei picchi registrati<br />
Stabilito che il solvente oltre ad evaporare completamente non modifica lo spettro del particolato<br />
siamo ora pronti ad assegnare i picchi misurati ai rispettivi modi vibrazionali.<br />
Prendiamo ad esempio uno degli spettri misurati, in particolare quello relativo ad una sospensione<br />
con rapporto C/O=0.56 e mostriamo nelle seguenti due figure un ingrandimento delle due zone<br />
698<br />
800<br />
863<br />
1015 1096<br />
1261<br />
1467<br />
400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 2000 2200<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
C/O=0.56<br />
spettrali in cui si sono misurati i picchi di assorbimento di tale particolato.<br />
Trasmissione (%)<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
2850<br />
2920<br />
2400 2600 2800 3000 3200 3400<br />
2960<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
C/O=0.56<br />
21
Mediante l’utilizzo di tabelle note in letteratura è stato possibile stilare la seguente tabella che<br />
relaziona i picchi misurati con i modi presenti nel materiale.<br />
Posizione (cm -1 ) Assegnazione<br />
698 anello benzenico trisostituito (1,3,5), fuori dal piano<br />
800 legame C-H in anello benzenico trisostituito (1,3,5), fuori dal piano<br />
863 legame C-H in anello benzenico bisostituito (1,3), fuori dal piano<br />
1015 legame C-H in anello benzenico trisostituito (1,3,5), nel piano<br />
1096 legame C-H in anello benzenico bisostituito (1,3), nel piano<br />
1261 legame C-H in anello benzenico trisostituito (1,3,5)<br />
1467 -C=C- strecthing oppure –CH3 strecthing<br />
2850 -CH2 strecthing simmetrico<br />
2920 -CH2 strecthing asimmetrico<br />
2960 -CH3 strecthing asimmetrico<br />
È possibile dunque riconoscere due zone ben distinte dello spettro, la prima è relativa ad<br />
assorbimenti di energia nell’infrarosso dovuti a moti vibrazionale di legami aromatici (400-<br />
1500cm -1 ), la seconda, invece, ad assorbimenti dovuti alla presenza di legami alifatici (2800-<br />
3000cm -1 ). E’ indubbio, dunque, che con misure FTIR sia possibile ben identificare la struttura<br />
chimica dei costituenti presenti nel particolato in esame.<br />
Per quanto riguarda la possibilità di valutare i rapporti relativi tra i picchi aromatici e quelli alifatici<br />
siamo, al momento in piena, elaborazione dati.<br />
D) Studio a diverse temperature<br />
Un’altra intere<strong>ssa</strong>nte analisi che si è fatta è stata quella di misurare lo spettro FTIR di un dato<br />
particolato carbonioso deposto su di una pasticca di KBr al variare della temperatura.<br />
L’idea da cui prende spunto tale misura si basa sulla constatazione teorica che al crescere della<br />
temperatura gli idrogeni presenti nel particolato evaporano permettendo in tal modo alle catene di<br />
idrocarburi di unirsi ad anello, rendendo quindi il particolato più aromatico. Andamento che<br />
intendiamo monitorare riscaldando a diverse temperature il particolato deposto su di una pasticca<br />
mediante l’utilizzo di un forno, e misurando per ogni temperatura lo spettro FTIR corrispondente.<br />
22
Dal confronto di tali spettri intendiamo ricavare l’informazione sull’andamento aromatizzante o<br />
meno del particolato.<br />
In questo caso si è scelto come particolato quello con rapporto C/O=0.77 e lo si è lasciato nel forno<br />
per un tempo di circa 10 minuti a temperature variabili tra 20 (temperatura ambiente) e i 195 °C .<br />
Dal confronto dei grafici non si nota una variazione nella posizione dei picchi, probabilmente<br />
poiché non abbiamo raggiunto temperature sufficienti a far avvenire il processo di aromatizzazione<br />
del particolato mentre si osserva una netta diminuizione degli assorbimenti dovuti alle catene<br />
alifatiche. I tre picchi relativi alla zona alifatica (2800-3000cm -1 ) sono molto meno profondi a<br />
temperatura di 195°C (ultimo grafico) che non a temperatura di 20°C (primo grafico).<br />
Il passo successivo sarà proprio quello di portare il particolato a temperature maggiori per<br />
innescare il processo di aromatizzazione del particolato. Resta comunque da elaborare in modo<br />
quantitativo i dati ottenuti dalla misura di tali spettri dei quali abbiamo fatto solo una prima<br />
interpretazione puramente qualitativa.<br />
Trasmissione (%)<br />
Trasmissione (%)<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
0.77 a T=20 C<br />
0.77 a T=60 C<br />
Trasmissione (%)<br />
Trasmissione (%)<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
0.77 a T=43 C<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
0.77 a T=85<br />
23
Trasmissiona (%)<br />
Trasmissione (%)<br />
Trasmissione (%)<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
90<br />
85<br />
80<br />
75<br />
70<br />
65<br />
60<br />
55<br />
50<br />
45<br />
90<br />
85<br />
80<br />
75<br />
70<br />
65<br />
60<br />
55<br />
50<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
E) Studio a diverse altezze<br />
0.77 a T=145<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
0.77 a T=105 C<br />
0.77 a T=185 C<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
Risulta particolarmente intere<strong>ssa</strong>nte un’analisi dello spettro FTIR del particolato a rapporto C/O<br />
costante ma campionati ad altezze diverse. La dinamica temporale della formazione di particolato,<br />
Trasmissione (%)<br />
Trasmissione (%)<br />
Trasmissione (%)<br />
100<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000<br />
numro d'onda (cm -1 )<br />
numero d'onda (cm -1 )<br />
0.77 a T=125 C<br />
0.77 a T=165 C<br />
0.77 a T=195 C<br />
24
infatti, corrisponde alle diverse altezze di prelevamento del campione. Da un’analisi di questo tipo,<br />
sarà possibile verificare modelli teorici inerenti la formazione di particolato nanometrico in sistemi<br />
di combustione, che prevedono una progressiva aromatizzazione del particolato stesso, senza che<br />
ciò sia accompagnato ad una crescita dimensionale delle particelle costituenti.<br />
Nel nostro caso sono in corso le misurazioni degli spettri di due campioni, campionati dalla ste<strong>ssa</strong><br />
fiamma (per cui stesso rapporto C/O, ovvero C/O=0.77) ma a due diverse altezza dal bruciatore: 3.5<br />
e 12 mm.<br />
25
Infrarosso/Raman<br />
La spettroscopia nell’infrarosso non è l’unica tecnica capace di dare informazioni sulle energie<br />
nece<strong>ssa</strong>rie per transizioni tra livelli vibrazionali delle molecole. Raman nel 1928 scoprì che quando<br />
la materia viene irraggiata da luce monocromatica riemette parte di e<strong>ssa</strong> ad una lunghezza d’onda<br />
differente da quella incidente. La tecnica sperimentale che si basa su tale fenomeno prende il nome<br />
di spettroscopia Raman. Dalla misura della radiazione diffusa anelasticamente dal campione in<br />
seguito all’irraggiamento con una radiazione laser, è possibile investigare i livelli vibrazionali delle<br />
molecole. Anche per la spettroscopia Raman sono tabellati i picchi di riferimento. Rispetto alla<br />
spettroscopia infraro<strong>ssa</strong>, d’altronde, la spettroscopia Raman presenta differenti regole di selezione.<br />
Infatti, mentre un modo è IR-attivo quando avviene un cambiamento del momento di dipolo della<br />
molecola, µ, un modo è Raman-attivo se c'è un cambiamento di polarizzabilità, P, per cui i modi<br />
che non sono attivi nell’infrarosso possono essere attivi al Raman e viceversa. È possibile quindi<br />
con la spettroscopia Raman, misurare l’energia dei moti vibrazionali capaci di modificare la<br />
polarizzabilità della molecola, circostanza che deriva anch’e<strong>ssa</strong>, come nel caso della spettroscopia<br />
infraro<strong>ssa</strong>, dalla geometria della molecola. Per tal motivo, possiamo affermare che le due<br />
spettroscopie sono complementari. In figura 1 mostriamo per una generica molecola YX3, un modo<br />
Raman attivo e un modo Raman non attivo. In figura 2 mostriamo, per la ste<strong>ssa</strong> molecola, un modo<br />
IR attivo e modo IR non attivo. È intere<strong>ssa</strong>nte notare come lo stesso modo, il primo per entrambe le<br />
figure, sia contemporaneamente Raman attivo ma non IR attivo.<br />
X<br />
Figura 1<br />
X<br />
Y<br />
∂P/∂Q≠0 X ∂P/∂Q=0<br />
X<br />
X<br />
Y<br />
X<br />
26
X<br />
Figura 2<br />
X<br />
Y<br />
∂µ/∂Q=0<br />
X<br />
Y<br />
∂µ/∂Q≠ 0<br />
X<br />
X<br />
X<br />
Effetto Raman<br />
Quando una molecola viene investita da radiazione monocromatica si ha che la maggior parte dei<br />
fotoni vengono diffusi elasticamente, cioè alla ste<strong>ssa</strong> frequanza della radiazione incidenza (senza<br />
perdita di energia), diffusione elastica o Rayleigh, e una piccola parte viene diffusa anelasticamente,<br />
diffusione Raman. In questo caso, se la molecola nell’interazione con la radiazione acquista energia<br />
si parla di Raman Stokes se cede energia, Raman Anti-Stokes. Questo è interpretabile considerando<br />
che la materia irraggiata può trovarsi sia in uno stato energetico fondamentale che in uno stato<br />
vibrazionale energetico eccitato. L’interesse per lo spettro Raman consta nel fatto che esso è<br />
caratteristico delle molecole investite dalla radiazione. Ed è per questo che dallo spettro della luce<br />
diffusa da materiali illuminati da radiazione coerente e monocromatica (tipicamente nel visibile), è<br />
possibile ottenere informazioni sui moti vibrazionali delle molecole.<br />
L'intensità della luce diffusa è tipicamente 10 -3 -10 -5 dell'intensità incidente per la diffusione elastica,<br />
10 -7 -10 -10 per la diffusione anelastica.<br />
Un tipico spettro presenta linee Stokes e anti-Stokes disposte simmetricamente rispetto alla linea<br />
Rayleigh, e la differenza in energia rispetto a quest'ultima corrisponde all'energia acquistata o<br />
ceduta dalla molecola nel variare il livello vibrazionale iniziale.<br />
Schematicamente possiamo descrivere la diffusione nel seguente modo, vedi figura 1.<br />
27
Figura 1: Assorbimento e riemissione di fotoni nell'effetto Raman.<br />
Supponiamo di avere una molecola in un livello di energia εi. Investita da radiazione<br />
monocromatica, e<strong>ssa</strong> assorbe un fotone di energia hν e si porta ad un livello virtuale di energia εν.<br />
Dato che questo livello non corrisponde ad uno stato vibrazionale permesso, l’energia acquisita<br />
viene immediatamente rieme<strong>ssa</strong> sotto forma di un fotone di energia hν’. La molecola pa<strong>ssa</strong> ad un<br />
livello energetico εf.<br />
Per la conservazione dell’energia deve essere<br />
Si ha la diffusione Rayleigh nel caso in cui εi=εf , se ciò non accade si ha la diffusione Raman. È<br />
noto che a temperatura ambiente il livello εg è più popolato di quello ε1 per cui è più probabile la<br />
transizione tra lo stato vibrazionale fondamentale al primo eccitato piuttosto che quella inversa, per<br />
cui risulta anche sperimentalmente che le linee Stokes sono più intense di quelle anti-Stokes.<br />
Volendo calcolare il rapporto tra le intensità, avremo che esso dipende perciò dalla popolazione<br />
relativa di εg e di ε1 secondo il fattore di Boltzmann:<br />
28
Anche se l'effetto Raman è interpretabile mediante l’utilizzo della meccanica quantistica è possibile<br />
tentare un approccio qualitativo classico.<br />
Prendiamo in esame une molecola biatomica ed investiamola di radiazione monocromatica<br />
coerente: possiamo associare ad esso un campo elettrico pari a :<br />
nella direzione di oscillazione della molecola. Sotto l’effetto della radiazione la molecola comincia<br />
ad oscillare attorno alla sua posizione di equilibrio e possiamo introdurre un momento di dipolo pari<br />
a:<br />
dove abbiamo indicato con α la polarizzabilità della molecola, che dipende dalla distanza tra i due<br />
atomi della molecola. Dato x come spostamento dalla distanza di equilibrio x0 tra i due atomi,<br />
sviluppando la polarizzabilità α in serie di Taylor attorno a x0 si ottiene:<br />
dove abbiamo indicato con α0 la polarizzabilità a x0. Supponendo che ogni molecola abbia una sua<br />
frequenza di risonanza ω0, possiamo scrivere x=acosω0t e fermandoci ai termini lineari nello<br />
sviluppo utilizzando anche la (1) si ottiene:<br />
(1)<br />
(2)<br />
(3)<br />
29
che si può riscrivere come:<br />
un dipolo irradia alla sua frequenza di oscillazione, per cui la molecola riemette luce alle frequenze<br />
ω, ω-ω0 e ω+ω0 che sono per l’appunto le frequenze Rayleigh, Raman Stokes e Raman Anti-<br />
Stokes.<br />
In ogni caso il fenomeno dello scattering della luce è debole e occorre un raggio molto intenso<br />
(laser) per osservare l'effetto Raman<br />
Infine, come già detto, la spettroscopia Raman e quella ad infrarosso sono complementari.<br />
Apparato sperimentale per la misura della radiazione Raman<br />
Uno degli obiettivi a lungo termine del mio progetto consisteva nel progettare e montare un<br />
apparato per la rivelazione di radiazione Raman in laboratorio. Come già accennato, l’efficienza del<br />
processo Raman è molto ba<strong>ssa</strong> per cui bisognava realizzare un apparato che amplificasse il più<br />
possibile il segnale diffuso dal campione in esame. L’allineamento delle ottiche, in particolare,<br />
risultava essere molto critico. Ci sono voluti diversi mesi per poter realizzare l’apparato mostrato in<br />
Figura 1.<br />
(4)<br />
30
F<br />
N<br />
OF<br />
Laser<br />
PMT<br />
Figura 1: schema dell’apparato sperimentale realizzato in laboratorio per la rivelazione di<br />
radiazione Raman<br />
Come sorgente di radiazione si è utilizzato un laser Nd:YOV della Spectra Physics duplicato in<br />
cavità, la cui radiazione ha una lunghezza d’onda di 532 nm e una potenza accordabile nel range<br />
0.23-10 Watt.<br />
La radiazione generata dal laser, dopo essere stata filtrata in lunghezza d’onda dal filtro F, investe il<br />
campione focalizzata da un’opportuna lente L.<br />
Essendo la generazione di radiazione Raman un processo isotropo, parte di tale radiazione viene<br />
ricollimata dalla lente e pa<strong>ssa</strong>ndo per il beam splitter BM raggiunge il filtro notch N.<br />
IL filtro notch (Jobin Yvon) è un filtro olografico che blocca la radiazione incidente in di un<br />
intervallo spettrale molto stretto, esso ha la funzione di rimuovere dal segnale che si vuole rivelare<br />
la radiazione generata dalla sorgente al fine di massimizzare l’efficienza della rivelazione Raman.<br />
Nel nostro caso si è utilizzato un filtro che taglia selettivamente la radiazione di lunghezza d’onda<br />
in un intervallo piccato intorno a 532 nm.<br />
Mediante una fibra ottica OF la radiazione raggiunge l’ottica adattiva, che serve per ricollimare il<br />
fascio in uscita dalla fibra, montata a ridosso del monocromatore M. Il ruolo del monocromatore è<br />
quello di separare la radiazione continua nelle sue componenti monocromatiche. Nella fattispecie, si<br />
è utilizzato un monocromatore della Jobin Yonn modello Triax 180, provvisto di una torretta a tre<br />
S<br />
M<br />
AE<br />
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eticoli di diffrazione (300, 600 e 1800 linee/mm). L’apertura delle slitte, l’intervallo spettrale di<br />
scansione e il tempo di scansione sotto tutti parametri che si possono agevolmente gestire tramite<br />
l’utilizzo di un software labview.<br />
La radiazione ulteriormente filtrata e separata in componenti spettrali dal monocromatore viene<br />
quindi raccolta e rivelata da un fotomoltiplicatore PMT a sua volta collegato con l’elettronica di<br />
acquisizione AE, costituita da un lock in (che essenzialmente filtra il segnale da parte del rumore),<br />
un oscilloscopio e una seriale ADC collegata ad un computer.<br />
Il segnale infine viene elaborato via software.<br />
Prove preliminari<br />
Per poter testare la funzionalità dell’apparato, sono stati posti in esame campioni di cui era noto in<br />
letteratura lo spettro Raman in modo da poterli confrontare con quelli da noi rivelati.<br />
E’ stato misurato, per esempio, lo spettro Raman dell’esano e si sono ritrovati i picchi noti in<br />
letteratura.<br />
Misure sulle nanoparticelle<br />
Montato in laboratorio l’apparato sopra descritto, si è proceduto al posizionamento del campione di<br />
particolato nanometrico su di un supporto appositamente costruito per esso.<br />
Come più volte accennato, l’efficienza del processo Raman è molto ba<strong>ssa</strong>, per cui, rivelare il<br />
segnale Raman generato da un campione investito da radiazione laser di pompa, risulta essere<br />
abbastanza problematico. In più, a differenza del caso in cui si misurava lo spettro Raman<br />
dell’esano, adesso si è di fronte ad un campione in cui il particolato è in concentrazione bassissima<br />
in sospensione acquosa. Il processo di generazione di radiazione Raman, quando avviene, risulta<br />
quindi di bassissima intensità. Per cui, ad esempio, si cominciano ad avere seri problemi nel<br />
separare il segnale Raman dal fondo rumoroso dovuto a diversi fattori concomitanti (fluorescenza<br />
del campione, residuo del laser di pompa, radiazione luminosa ambientale…). Il rapporto<br />
segnale/rumore è quindi molto basso.<br />
Come primo passo s’intende lavorare su due fronti paralleli:<br />
-preparazione del campione in maniera da implementare la sua generazione di radiazione Raman;<br />
-ottimizzazione dell’apparato per la misura dello spettro Raman del campione.<br />
Si è cercato, anzitutto, di misurare lo spettro Raman generato dal particolato carbonioso<br />
nanometrico direttamente in sospensione acquosa tale quale viene campionato dai nostri<br />
collaboratori. Si sono poi utilizzati campioni di nanoparticelle deposti su pasticche di KBr o su<br />
finestre di CaF2, che sono entrambi materiali che non interferiscono con il segnale Raman del<br />
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particolato carbonioso. Lo scopo di queste prove è quello di individuare in quale sistema si ottiene<br />
la maggiore amplificazione del segnale Raman pro<strong>dott</strong>o dal particolato.<br />
Contemporaneamente, si è proceduto a modificare l’apparato sperimentale da Raman a micro-<br />
Raman e al fine di vedere in quale delle due situazioni l’efficienza del processo Raman fosse<br />
maggiore.<br />
L’idea prende spunto da queste due considerazioni:<br />
utilizzando una lente, la superficie investita dal campione è maggiore (per cui<br />
presumibilmente un numero maggiore di nanoparticelle dovrebbe essere investito da radiazione<br />
laser) che nel caso dell’utilizzo di un obiettivo da microscopio (micro-Raman), per cui l’efficienza<br />
del processo dovrebbe essere maggiore;<br />
con l’utilizzo di un obiettivo da microscopio, d’altro canto, a parità di potenza del laser<br />
incidente, l’intensità del fascio di pompa sul campione è nettamente maggiore (visto che l’area<br />
investita è minore) che nel caso di una lente, per cui la generazione di radiazione Raman dovrebbe<br />
essere amplificata visto che e<strong>ssa</strong> è proporzionale all’intensità dell’irraggiamento.<br />
In realtà, i due fenomeni sovra citati competono tra loro e, a priori, non è possibile sapere quale dei<br />
due domina. In genere, se il campione è disperso in bassissima concentrazione in un solvente (quale<br />
il caso della sospensione) è più probabile che il Raman po<strong>ssa</strong> fornirci un segnale migliore del<br />
micro-Raman, visto che la luce di pompa, estremamente focalizzata dall’obiettivo da microscopio<br />
ha una alta probabilità di concentrarsi in un’area dove investe un numero di nanoparticelle non<br />
sufficiente alla generazione di una radiazione Raman di intensità rilevabile dalla nostra<br />
strumentazione.<br />
D’altro canto, se la misurazione viene fatta su di un campione uniformemente distribuito (quale<br />
forse il caso delle soluzione lasciata depositare sulle pasticche di KBr o sulla finestra di CaF2)<br />
probabilmente il micro-Raman risulta essere più efficiente.<br />
Inoltre, sempre al fine di ottimizzare la rivelazione del segnale, le misure sono state ripetute<br />
variando alcuni dei gradi di libertà del nostro apparato, quali ad esempio: la potenza del fascio laser<br />
incidente sul campione, l’apertura delle fenditure in ingresso ed in uscita del monocromatore e i vari<br />
parametri del lock in utilizzato (sensibilità, tempo di integrazione,…).<br />
In ogni caso, per quanto riguarda questo tipo di misure siamo solo agli inizi e gli spettri fino ad oggi<br />
misurati sono ancora affetti da molto rumore di fondo, per cui è evidente che bisogna continuare<br />
nel proposito di ottimizzare sia l’apparato che la preparazione del particolato da esaminare. Al<br />
momento si è in questa fase dell’esperimento.<br />
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Misure Raman al CNR di Pozzuoli<br />
Contemporaneamente alla realizzazione dell’apparato Raman in laboratorio, ci siamo intere<strong>ssa</strong>ti<br />
alla misura di spettri Raman del particolato in collaborazione con il <strong>dott</strong>or Camerlingo del CNR di<br />
Pozzuoli (Na).<br />
In questo caso si è utilizzato un apparato per spettroscopia Raman (presente nei laboratori afferenti<br />
al CNR di Pozzuoli) costituito da un laser Elio-Neon (Melles-Griot, lunghezza d’onda=1064 nm)<br />
collegato mediante fibra ottica (diametro:50 µm) ad un sistema di microscopia (obiettivi da 10X,<br />
20X, 50X e 100X) che permette di focalizzare il fascio laser sul nostro campione. Lo stadio<br />
portacampioni permette di variare la posizione del campione, mediante viti micrometriche, sia sul<br />
piano xy che sul piano xz.<br />
La scelta della zona del campione da analizzare (rispettivamente di 100 50 20 10µm) viene<br />
effettuata mediante una telecamera montata sul microscopio. Anche in questo caso si utilizza un<br />
filtro notch, per eliminare la radiazione laser, posto subito prima della fibra ottica che porta il<br />
segnale Raman da rilevare ad un monocromatore (Triax 180 della Jobin Yvon) collegato a sua volta<br />
ad un rivelatore CCD raffreddato ad azoto liquido (Spectrum One CCD). Il segnale viene infine<br />
acquisito ed elaborato mediante uno specifico software (SpectraMax per Windows) che permette<br />
all’operatore di impostare tutti i parametri variabili sia del monocromatore (intervallo di lunghezza<br />
d’onda, apertura delle fenditure,..) sia della CCD (temperatura, …) che dell’acquisizione (tempo di<br />
acquisizione, numero di acquisizioni,..). I dati vengono quindi acquisiti, elaborati e mostrati<br />
direttamente sullo schermo.<br />
Nelle due figure seguenti è mostrato lo spettro Raman di uno dei nostri campioni di particolato in<br />
sopensione acquosa così come viene visualizzato sullo schermo del computer mediante l’utilizzo<br />
del sovra citato software.<br />
.<br />
cm -1<br />
Segnale<br />
Raman<br />
Elaborazione<br />
dati<br />
Residuo<br />
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Raman shift (cm -1 )<br />
Segnale<br />
Raman<br />
Elaborazione<br />
dati<br />
Residuo<br />
Il campione esaminato è una sospensione acquosa di particolato estratto da una fiamma con<br />
C/O=0.92 ad una altezza dal bruciatore di 4.5 mm. Anche se il rapporto segnale/rumore non è<br />
ottimale sono riconoscibili dei picchi in entrambi gli spettri. Si è tentato un inizio di interpretazione<br />
dati che ci permette di assegnare i valori dei numeri d’onda (in cm -1 ) ai quali corrispondono i picchi<br />
di shift Raman misurati (segnati in grassetto nelle due figure). È evidente che le misure vanno<br />
ripetute sia per verificare gli spettri ottenuti sia per migliorare il rapporto segnale/rumore. Solo con<br />
uno spettro “pulito” sarà poi possibile fare l’elaborazione dati volta all’identificazione dei modi<br />
vibrazionali corrispondenti agli shift Raman registrati. Al momento siamo in questa fase.<br />
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PROGETTI FUTURI<br />
È evidente che l’attività finora svolta, anche se già comincia a darci informazioni preziose sulla<br />
natura chimica del particolato in esame, dovrà essere ulteriormente sviluppata al fine di raggiungere<br />
una piena comprensione della struttura chimica delle particelle. Alcune delle strade intraprese, poi,<br />
necessitano di ulteriori misure e verifiche sperimentali. Discorso che vale, per la maggiore, per la<br />
parte relativa alle misure di spettroscopia Raman. Infatti nonostante l’apparato per la rivelazione di<br />
radiazione Raman sia stato messo a punto e testato con campioni standard (esano) occorrerà fare un<br />
ulteriore sforzo al fine di ottimizzarlo per la rivelazione dei segnali generati dal particolato la cui<br />
intensità è particolarmente debole. Operazione, questa, che deve andare in parallelo con quella di<br />
trovare la forma migliore (liquida, solida) ed il substrato più idoneo che ci permetta di ottimizzare il<br />
segnale Raman.<br />
Inoltre, s’intende investigare le bande di assorbimento nell’IR, legate alle vibrazioni di stretching<br />
del legame O-H e C-H, con maggiore risoluzione, mediante spettroscopia in assorbimento. La<br />
radiazione infraro<strong>ssa</strong> nece<strong>ssa</strong>ria a tale scopo sarà pro<strong>dott</strong>a utilizzando il processo di generazione di<br />
frequenza differenza (DFG) in un cristallo di Niobato di Litio di tipo periodically-poled. Le sorgenti<br />
primarie per tale processo saranno fornite da un laser Nd-YAG e da un laser Ti:Sa, pompato da un<br />
Nd:YOV duplicato in frequenza. Utilizzando tale sistema sarà possibile generare radiazione di<br />
elevata purezza spettrale ed accordabile tra 2 e 9 micron.<br />
Gli stessi campioni saranno quindi sottoposti ad un’analisi di tipo micro-Raman, che come ben<br />
noto, fornisce informazioni complementari rispetto alla spettroscopia in assorbimento. In<br />
particolare, si andrà ad indagare l’intensità delle risonanze G e D, comuni a tutti i composti<br />
carboniosi, nelle regioni intorno a 1560 e 1360 cm -1 , rispettivamente. Il picco G è dovuto<br />
prevalentemente alla vibrazione di stretching di atomi sp2 disposti in catene, mentre il picco D è<br />
dovuto alla vibrazione breathing di atomi sp2 in anelli aromatici; ne deriva che, dal confronto<br />
dell’intensità relativa dei picchi G e D, diviene possibile quantificare la componenti alifatica e/o<br />
aromatica del campione in esame.<br />
Risulterà particolarmente intere<strong>ssa</strong>nte effettuare tale analisi su campioni provenienti da una fiamma<br />
di tipo laminare, in cui la dinamica temporale della formazione di particolato corrisponde alle<br />
diverse altezze di prelevamento del campione. Da un’analisi di questo tipo, sarà possibile verificare<br />
modelli teorici inerenti la formazione di particolato nanometrico in sistemi di combustione, che<br />
prevedono una progressiva aromatizzazione del particolato stesso, senza che ciò sia accompagnato<br />
ad una crescita dimensionale delle particelle costituenti. Al fine di studiare le proprietà<br />
spettroscopiche delle singole particelle si procederà alla me<strong>ssa</strong> a punto di un sistema di<br />
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Spettroscopia Raman amplificata da superfice (Surface Enhanced Raman Spectroscopy, SERS).<br />
Infatti, negli ultimi anni è stato dimostrato che le sezioni d’urto di processi Raman possono essere<br />
enormemente aumentate se il campione da investigare viene posto in prossimità di superfici<br />
ricoperte da colloidi metallici per effetto dell’interazione delle risonanze plasmoniche dei colloidi<br />
con la radiazione laser usata nell’analisi Raman. L’incremento tipico delle sezione d’urto Raman<br />
che si ottiene con tecniche SERS può raggiungere 10-12 ordini di grandezza, il che, aumentando<br />
enormemente la sensibilità, rende possibile lo studio di singole particelle. L’applicazione di questa<br />
tecnica al NOC (Nano Organic Carbon) costituirà un aspetto esplorativo di questo progetto. In<br />
particolare, l’eventuale individuazione di risonanze fononiche in tali strutture, che<br />
dimensionalmente si trovano nella regione di transizione tra cluster molecolari e particelle,<br />
risulterebbe di estremo interesse per lo studio delle loro proprietà strutturali. Lo studio di singola<br />
particella, rispetto a quello di ensemble, permetterà di evidenziare aspetti di eterogeneità, ovvero di<br />
mettere in correlazione lo spettro Raman delle singole particelle con le dimensioni delle particelle<br />
stesse e, da questo, comprendere l’ordine presente nelle strutture da investigare.<br />
Tecniche sperimentali di tipo Raman saranno altresì applicate per affrontare tematiche inerenti<br />
l’interazione del particolato nanometrico con tessuti biologici. Tale attività sarà con<strong>dott</strong>a in<br />
collaborazione con l’unità 1 (Professor Sannolo, Università “SUN”, Caserta), che possiede<br />
competenze in ambito medico-biologico. In particolare, si intende indagare la capacità di<br />
penetrazione del particolato da combustione nelle cellule, utilizzando ancora la tecnica Raman<br />
combinata all’uso di una pinzetta ottica (Optica Tweezers). Tale sistema permette l’intrappolamento<br />
e la manipolazione di particelle nell’intervallo compreso tra 200 nm e 50 micron mediante l’uso di<br />
fasci laser fortemente focalizzati. Per questo tipo di misure sarà implementato uno schema<br />
sperimentale in parte già operativo presso i nostri laboratori. Esso prevede l’utilizzo di due sorgenti<br />
laser infrarosse: la prima, costituita da un laser Nd-YAG con una potenza di emissione di 0.5 Watt,<br />
sarà utilizzata per mettere a punto la trappola ottica; la seconda, un laser Ti:Sa in continua, servirà<br />
da sonda per l’investigazione Raman. L’utilizzo di sorgenti infrarosse minimizzerà il riscaldamento,<br />
e quindi il danneggiamento, del campione in analisi. Focalizzando il laser Nd-YAG con un obiettivo<br />
da microscopio 40X in condizioni di overfilling, sarà creata una trappola ottica di dimensioni di<br />
qualche micron, atta a bloccare le cellule in analisi, in modo da evitare contatto con le superfici e, al<br />
tempo stesso, eliminare l’agitazione dovuta al moto Browniano. Sarà in particolare investigato il<br />
pa<strong>ssa</strong>ggio di nanoparticelle attraverso la membrana di cellule epiteliali, incubate con diverse<br />
concentrazioni di nanoparticelle nel mezzo di coltura. Tale analisi sarà con<strong>dott</strong>a focalizzando il<br />
laser di eccitazione Raman (Ti:Sa a 830 nm) all’interno della cellula mediante un obiettivo da<br />
microscopio di elevata apertura numerica (100X) in modo da ottenere nel piano focale uno spot di<br />
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dimensioni confrontabili con la lunghezza d’onda utilizzata. I segnali Raman registrati al variare del<br />
punto di irraggiamento saranno utilizzati per ricostruire l’immagine della cellula in termini della<br />
concentrazione di nanoparticelle (Raman imaging). Questo lavoro si propone di studiare i tempi di<br />
penetrazione delle particelle nanometriche all’interno della singola cellula ed, eventualmente,<br />
individuare le regioni cellulari particolarmente intere<strong>ssa</strong>te a questo fenomeno. In particolare, la<br />
possibilità di indagare il comportamento della singola cellula permetterà di evidenziare eventuali<br />
disuniformità nella risposta di organelli intracellulari.<br />
RICADUTE TECNOLOGICHE E SCIENTIFICHE<br />
Utilizzare tecniche ottiche per lo studio di tali particelle, come già più volte accennato, permette di<br />
fare luce sia sulla loro struttura chimica che sui meccanismi di formazione delle particelle più<br />
grandi note in letteratura come soot. La possibilità di marcare le nanoparticelle, mediante, per<br />
esempio, la loro risposta spettrale nell IR getta le fondamenta per la realizzazione di sensori atti a<br />
rivelare i PM ultrafini al momento inesistenti. A tal fine ricordiamo che la normativa attualmente<br />
vigente in Italia detta legge solo sul controllo in atmosfera dei PM10<br />
In più è evidente che conoscere i meccanismi di formazione del soot è il primo passo nece<strong>ssa</strong>rio al<br />
fine di individuare il sistema di limitare tale processo che come si è detto è nocivo sia alla salute<br />
umana che all’ambiente. Recenti studi infatti mettono in evidenza come il fabbisogno energetico<br />
dell’intera comunità mondiale dipenda e dipenderà sempre più massicciamente da risorse naturali<br />
come il carbon fossile, il petrolio e i gas naturali che bruciando generano proprio le nanoparticelle<br />
oggetto della mia ricerca.<br />
Lo studio che s’intende portare avanti, infine, ci permetterà di far luce sui meccanismi di<br />
interazione tra nanoparticelle e cellule, informazioni preziose, tra l’altro, per la diagnosi precoce di<br />
particolari malattie dovute proprio a tali processi.<br />
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COLLABORAZIONI<br />
E’ il caso di sottolineare che le nostre collaborazioni sia col gruppo del Professor D’Alessio<br />
(Università “Federico II”, Napoli), per il campionamento del particolato, che col Dott. Camerlingo<br />
(CNR, Pozzuoli (Na)), per misure di spettri Raman, che col Professor Cannistraro (Università della<br />
Tuscia, Viterbo), che col <strong>dott</strong>or Musto afferente all’ICTP per la preparazione delle pasticche di KBr<br />
saranno portate avanti e sicuramente affiancate da nuove collaborazioni che si intendono attivare<br />
(Professor Sannolo, Seconda Università di Napoli).<br />
ACQUISIZIONE DELLE COMPETENZE ORANIZZATIVO-<br />
MANAGERIALI<br />
La mia attività di laboratorio mi ha permesso di acquisire nuove competenze sia sul piano teorico<br />
(teoria dello scattering anelastico Raman, teoria dell’assorbimento della regione dell’infrarosso,<br />
chimica delle sostanze utlizzate e studiate ...) che sul piano pratico (utilizzo di lock in, laser in<br />
continua, spettrofotometri FTIR, preparazione di pasticche di KBr ...) e di accrescere dunque il mio<br />
bagaglio di conoscenze spendibili sul mercato. Contemporaneamnete a questo, l’AMRA mi ha dato<br />
la possibilità, mediante i corsi svoltisi a Sant’Angelo dei Lombardi ed all’Università Federiciana,<br />
nonchè mediante seminari ed incontri vari, di avere informazioni di carattere generale sulle altre<br />
attività del centro nonchè sulle caratteristiche proprie del centro. Tali informazioni spaziavano<br />
dall’ambito legale a quello scientifico a quello economico, utili per avere una visione d’insieme del<br />
progetto e del mio lavoro all’interno del centro e per acquisire elementi anche organizzativi e<br />
manageriali che diversamente sarebbe stato difficile ottenere e che sono così importanti<br />
nell’ambiente lavorativo interno ed esterno al centro.<br />
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