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01 - Copertina - Associazione Nazionale Finanzieri d'Italia

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FiammeGialle - Agosto 2<strong>01</strong>2<br />

Gaspare Elios Russo, Professore Aggregato di<br />

Nefrologia Prima Facoltà di Medicina - Sapienza<br />

Università di Roma Resp. U.O.S. Dialisi Peritoneale -<br />

D.A.I. Nefrologia Urologia Az. Policlinico Umberto I -<br />

Roma - Consulente nefrologo del Poliambulatorio<br />

FAF di Roma, diretto dal Dott. Riccardo Piccinni<br />

IPERTENSIONE, NEFROPATIE E<br />

DANNO CARDIOVASCOLARE<br />

Il rene è uno dei principali attori dell'omeostasi<br />

corporea, la cui alterazione, secondaria<br />

a varie patologie, può comportare la<br />

compromissione della funzione di altri<br />

organi ed apparati. In particolare il rene<br />

svolge un ruolo cruciale nel controllo della<br />

pressione arteriosa. Secondo l'antica<br />

medicina cinese “i reni immagazzinano lo<br />

Jing (Essenza)” e sono deputati al governo<br />

dell'acqua corporea, mentre “il cuore<br />

comanda lo Shen (Spirito Vitale)” ed è<br />

dunque deputato al governo del fuoco<br />

corporeo. L'interazione tra pressione<br />

arteriosa e rene è stata inizialmente dibattuta<br />

da Richard Bright che già nel 1827 nel<br />

suo "Reports of Medical Cases" considerava,<br />

sulla scorta di numerose rilevazioni<br />

anatomopatologiche, il "sintomo" ipertensione<br />

quale conseguenza di una nefropatia.<br />

Egli reputava che l'ipertrofia ventricolare<br />

sinistra identificata autopticamente nei<br />

nefropatici, fosse il fattore intermediario tra<br />

nefropatia ed ipertensione. In altri termini<br />

l'ipertrofia ventricolare sinistra, secondo<br />

Bright, era causa (e non conseguenza)<br />

RENI<br />

GRINZI<br />

?<br />

QUALE DEI DUE E’ IL PRIMO?<br />

L’ENIGMA DI<br />

RICHARD<br />

BRIGHT<br />

1827<br />

VENTRICOLO<br />

SINISTRO<br />

IPERTROFICO<br />

20<br />

“L’angolo della salute” in questo numero è a cura del Prof. Gaspare Elios Russo<br />

L’Angolo della SALUTE<br />

degli elevati valori pressori. Per spiegare<br />

tale interrelazione, egli ipotizzava che<br />

"l'alterata qualità del sangue modifica la<br />

circolazione microscopica e capillare del<br />

rene a tal punto da rendere più intensa<br />

l'azione necessaria per forzare il sangue<br />

lungo le suddivisioni più distali del sistema<br />

vascolare". La teoria renale dell'ipertensione,<br />

emessa da Bright 180 anni fa è<br />

importante non solo perché è la prima, ma<br />

essenzialmente perché il rene è stato e<br />

rimane al centro del problema patogenetico<br />

dell'ipertensione arteriosa valutato variamente<br />

a seconda delle alterne fasi storiche.<br />

Già 2000 anni prima però, in un antico<br />

trattato di medicina cinese si leggeva:<br />

“Quando il polso è teso e duro alla palpazione<br />

la malattia risiede nei reni”. Nel 1854 il<br />

patologo tedesco Traube confermava come<br />

l'esaltato lavoro cardiaco fosse un mezzo di<br />

compenso messo in atto dalla natura di<br />

fronte al restringimento e alla lesione dei<br />

vasi renali: l'aumentata pressione, ovvero<br />

l'ipertensione”, risultava così "essenziale"<br />

per la vita. Veniva così coniato il termine<br />

ipertensione essenziale di cui sentiamo<br />

spesso parlare. Tali evidenze scientifiche<br />

stanno in parte modificando le idee sull'ipertensione<br />

arteriosa, sul modo di concepire il<br />

rapporto rene-pressione e sul conseguente<br />

approccio terapeutico, il rene diventa,<br />

dunque, un fattore di rischio indipendente<br />

ed il suo deficit è responsabile di mortalità e<br />

morbilità tali che, nei pazienti con scompenso<br />

cardiaco, risulta essere un fattore prognostico<br />

ancor più negativo degli indicatori<br />

propri di compromissione della funzione<br />

cardiaca. D'altra parte la malattia cardiovascolare<br />

è la principale causa di morbilità e<br />

mortalità nel paziente con I.R.C (46%), 5-10<br />

volte superiore rispetto alla popolazione<br />

generale. L'esistenza di una relazione<br />

continua tra il livello di pressione arteriosa e<br />

il rischio cardiovascolare rende arbitraria<br />

ogni definizione e classificazione numerica<br />

della ipertensione, risultando una variabile<br />

continua cosicchè una pressione normalealta<br />

include valori che debbono essere<br />

considerati come “elevati” (ipertensione)<br />

nella popolazione ad alto rischio (nefropatici,<br />

diabetici, etc.), o accettabili negli individui<br />

con profilo di rischio ridotto. Nella malattia<br />

renale cronica gli obiettivi sono di ridurre la<br />

PA, il rischio cardiovascolare (fumo, dislipidemia,<br />

diabete, etc.) e rallentare la progressione<br />

della I.R.C.. L'uso e l'efficacia dei<br />

trattamenti antipertensivi hanno sicuramente<br />

contribuito a far diminuire la mortalità per<br />

ictus e cardiopatia ischemica, mentre<br />

l'incidenza di IRC è aumentata dell'8-13%<br />

annuo in quei pazienti con ipertensione<br />

arteriosa e diabete. Di seguito cercheremo<br />

di rispondere alle domande più comuni<br />

sull'ipertensione in pazienti con nefropatia<br />

dando suggerimenti per mantenersi il più<br />

possibile sani anche quando affetti da<br />

queste malattie.<br />

In cosa consiste la terapia per ipertensione<br />

e nefropatia?<br />

Per ogni paziente viene definita una terapia<br />

su misura in base allo stadio di evoluzione<br />

della nefropatia. Statine, aspirina, bbloccanti<br />

sono terapie efficaci nel ridurre il<br />

rischio di cardiopatia, ma poco utilizzate nei<br />

pazienti con malattia renale cronica a<br />

dispetto di una riduzione di eventi cardiovascolari<br />

(

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