RELAZIONE GENERALE (Allegato 1) - Cimitero La Villetta
RELAZIONE GENERALE (Allegato 1) - Cimitero La Villetta
RELAZIONE GENERALE (Allegato 1) - Cimitero La Villetta
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO PER LA TUTELA E IL RECUPERO DELL’OTTAGONO<br />
MONUMENTALE DELLA VILLETTA.<br />
Relazione<br />
Indice<br />
Introduzione pag. 3<br />
Pianifi cazione e conservazione pag. 5<br />
<strong>La</strong> conservazione della memoria storica pag. 10<br />
<strong>La</strong> costruzione e la valorizzazione pag. 12<br />
I campi erbosi e il verde pag. 14<br />
Conclusioni pag. 17<br />
I SETTORI - ARCHITETTURA<br />
Portico pag. 19<br />
Ingresso pag. 35<br />
Oratorio pag. 38<br />
Galleria sud pag. 41<br />
Galleria nord pag. 46<br />
Galleria Sud – est pag. 51<br />
Manufatti privati pag. 63<br />
DEFUNTI ILLUSTRI pag. 70<br />
ARCHITETTI pag. 172<br />
MATERIALI E TECNOLOGIE COSTRUTTIVE pag. 192<br />
MATERIALI E TECNICHE pag. 234<br />
MICROARCHITETTURE
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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Introduzione<br />
Il Piano Particolareggiato per la tutela e il recupero dell’Ottagono monumentale<br />
della <strong>Villetta</strong> si inserisce in un più ampio intervento pianifi catorio riferito<br />
all’intero sistema cimiteriale del Comune di Parma, come completamento del<br />
Piano Regolatore Cimiteriale recentemente adottato. A sua volta questa ha<br />
seguito un precedente studio di catalogazione architettonica specifi camente<br />
rivolto all’individuazione del nucleo storico-monumentale del cimitero<br />
urbano.<br />
<strong>La</strong> decisione di stralciare il nucleo storico monumentale dal piano principale,<br />
procedendo con un Piano di dettaglio è maturata come conseguenza<br />
dell’approfondimento conoscitivo sul sistema nel suo complesso, che ha<br />
messo in risalto la profonda differenza qualitativa tra la parte già individuata<br />
come monumentale, gli altri nuclei storici nei cimiteri minori, e le rispettive<br />
crescite.<br />
Lo sviluppo di un piano specifi co permette quindi di valutare il patrimonio<br />
storico-architettonico del cimitero monumentale con un’attenzione diversa<br />
rispetto agli ampliamenti, in modo analogo a quanto avviene nei centri storici<br />
rispetto alle periferie.<br />
<strong>La</strong> redazione del piano particolareggiato si è quindi avvalsa della ricca<br />
documentazione già schedata nel corso della catalogazione architettonica,<br />
riprendendo il materiale già inserito nel sistema informativo per una lettura<br />
più approfondita, che ha comportato una verifi ca ulteriore di quanto già<br />
stimato e la correzione di alcuni errori di compilazione o di valutazione.<br />
In questo senso si è rivelato importante il percorso metodologico adottato,<br />
nel quale il primo studio della parte storica ha permesso di capire i<br />
meccanismi di sviluppo, saturazione e crescita, oltre alle caratteristiche<br />
tipologico-formali delle strutture cimiteriali, il successivo sviluppo del piano<br />
regolatore ha comportato un approfondimento degli aspetti tecnici e pratici<br />
del funzionamento e della gestione ordinaria delle strutture. Questo ha<br />
permesso di procedere successivamente con una consapevolezza maggiore<br />
sulla parte più “delicata” dell’intero sistema, per la quale era già emersa la<br />
necessità di tutela e di valorizzazione.<br />
Le premesse sostanziali del Piano Particolareggiato, di seguito indicato<br />
come PPO, erano quindi di incentivare la riqualifi cazione ambientale e la<br />
valorizzazione architettonica del monumento attraverso la tutela del costruito<br />
di qualità e la ricerca di una continuità d’uso delle strutture storiche.<br />
Per queste premesse la “tutela” non è stata concepita in termini di<br />
musealizzazione, cristallizzando l’esistente, ma come risultato di un maggior<br />
controllo sulla qualità degli interventi costruttivi, ritenuti utili a garantire<br />
quella costanza d’uso necessaria a mantenere vivo il monumento, che è<br />
all’origine della stratifi cazione di quel ricco patrimonio storico artistico che<br />
oggi lo caratterizza.<br />
Nello stesso tempo i dati emersi dalle analisi demografi che e dalle proiezioni<br />
sul fabbisogno, hanno evidenziato come fosse possibile procedere al<br />
soddisfacimento del fabbisogno revisionale storico-monumentale, per i quali<br />
gli studi in corso avevano già messo in risalto una notevole incidenza di<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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strutture fuori standard o di diffi cile adeguamento alle normative. Questo<br />
agevola l’individuazione di usi alternativi che consentiranno di garantire il<br />
mantenimento futuro della funzione cimiteriale, quindi l’uso “produttivo” del<br />
bene e la sua conseguente valorizzazione come risorsa economica.<br />
Quindi il PPO, dopo aver individuato il tipo e la distribuzione degli spazi di<br />
sepoltura esistenti all’interno dell’Ottagono, e le relative problematiche di<br />
carattere normativo, ha cercato di individuare possibilità di utilizzo alternativo<br />
di tutte le strutture esistenti, con la sola eccezione delle sepolture perpetue<br />
e di quelle di importanza storica. Anche gli spazi aperti ancora esistenti nei<br />
campi sono stati considerati “disponibili” per un utilizzo diverso da quello<br />
previsto all’esterno della parte monumentale.<br />
Come già il PCm, anche il PPO cerca di lasciare lo spazio più ampio alla<br />
progettualità in fase di attuazione, delineando linee guida che dovranno<br />
essere sviluppate all’interno del contesto gestionale con progetti architettonici<br />
specifi ci, che non possono riguardare solo il restauro delle parti soggette a<br />
tutela, ma dovranno curare soprattutto il ridisegno degli spazi aperti e dei<br />
loro arredi, anche attraverso la concessione edifi catoria di nuove sepolture<br />
private.<br />
Gli studi e le analisi comparate condotte sull’Ottagono e sulle sue pertinenze<br />
dirette permettono di inquadrare con maggior defi nizione i futuri interventi<br />
di restauro delle architetture e delle arcate del portico, per la ricostruzione<br />
di dell’immagine unitaria che lo caratterizzava originariamente e si è persa<br />
nel tempo, ma la cui ricostruzione richiede ulteriori approfondimenti basati<br />
sull’esecuzione di saggi stratigrafi ci di verifi ca sulle superfi ci dipinte degli<br />
archi di collegamento.<br />
A fi anco di indirizzi generali per il restauro delle architetture monumentali,<br />
solo la futura riorganizzazione degli spazi aperti si concretizza in un progetto<br />
di massima pensato disegno di riordino.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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Pianifi cazione e conservazione – le criticità<br />
<strong>La</strong> fi nalità principale del PPO è la riqualifi cazione di un monumento che oggi<br />
presenta aspetti di degrado ambientale, legato solo in parte allo stato di manutenzione<br />
delle strutture storiche, ma conseguenti soprattutto alla presenza<br />
di numerosi oggetti privi di qualità progettuale e alla crescita incontrollata<br />
che ha prodotto una saturazione eccessiva all’interno dei campi di tumulazione.<br />
Per questo motivo, la conservazione non può che essere intesa come<br />
uno degli aspetti del piano.<br />
Essa infatti si lega alla necessità di tutelare le grandi architetture di riferimento<br />
e i manufatti di pregio in esse contenuti, ma non può essere estesa<br />
in modo generalizzato ad un contesto che presenta criticità di ordine diverso<br />
da quello manutentivo, evidenziate dalla cartografi a di lettura tematica del<br />
sistema informativo cimiteriale.<br />
L’Ottagono si presenta come una struttura complessa, nella quale architetture<br />
contenute le une nelle altre sono riconducibili a “proprietà” diverse. A<br />
questa complessa struttura giuridica, purtroppo non ancora chiarita in tutti<br />
i suoi risvolti economici, corrisponde una diversifi cazione dei soggetti che<br />
possono intervenire e degli interventi che possono essere fatti sul costruito.<br />
<strong>La</strong> qualità latente dell’Ottagono è stata più volte sottolineata in tutti gli studi e<br />
lavori precedenti e non si ritiene di doverla sottolineare ulteriormente. Anche<br />
le problematiche principali sono già state sottolineate, ma sono alla base<br />
della decisione di affrontare il cuore del cimitero con un piano autonomo e<br />
quindi pare importante richiamarle sinteticamente.<br />
Le principali criticità possono essere riassunte nei seguenti punti:<br />
- coesistenza di architetture a scala diversa contenute le une nelle<br />
altre,<br />
- coesistenza di differenti titoli giuridici di “proprietà”,<br />
- stratifi cazione di interventi poco consoni alla qualità generale dei<br />
manufatti,<br />
- costruzione di manufatti e interventi incongrui al disegno generale<br />
del monumento,<br />
- tendenza alla saturazione dello spazio interno dei campi, secondo<br />
intenzioni preordinate non sempre organiche al disegno generale<br />
del cimitero<br />
- tendenza alla realizzazione di manufatti privati di dimensioni sempre<br />
maggiori,<br />
- scarsa rispondenza alle normative attuali delle costruzioni storiche e<br />
diffi coltà di adattamento,<br />
- scarsa attenzione progettuale e manutentiva del verde,<br />
- stato di conservazione precario di molte parti architetture storiche,<br />
con evidenti dissesti strutturali e degrado dei rivestimenti superfi ciali.<br />
Tra questi, solo l’ultimo punto può essere risolto con una normativa di tutela<br />
specifi ca fi nalizzata al controllo degli interventi, la cui effi cacia resta<br />
comunque condizionata dalla disponibilità dei mezzi economici necessari ad<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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effettuare adeguati quanto impellenti interventi di consolidamento, restauro<br />
e ripristino.<br />
Tutti gli altri punti richiedono previsioni organiche e di ampio respiro, in modo<br />
da poter perseguire in tempi lunghi una riqualifi cazione generale del costruito,<br />
anche attraverso la sostituzione degli oggetti incongrui, senza contravvenire<br />
gli impegni già presi con il rilascio di concessioni onerose.<br />
A fi anco della salvaguardia delle architetture maggiori e del patrimonio storico-artistico<br />
in esse conservato, il piano individua una strategia di valorizzazione<br />
nel controllo degli interventi costruttivi futuri, prevede quindi usi alternativi<br />
ma compatibili con le strutture esistenti, che consentano di mantenere<br />
vitale la redditività del cimitero e suggerisce meccanismi che consentano di<br />
attenuare o risolvere quegli aspetti di degrado legati alla presenza di manufatti<br />
di scarsa qualità costruiti in gran numero a partire dall’ultimo dopoguerra,<br />
anche attraverso la concessione di nuovi diritti edifi catori.<br />
Caratteristica specifi ca del PPO è l’individuazione di destinazioni, categorie<br />
e unità minime di intervento, e infi ne di una normativa di attuazione che tenga<br />
conto della complessità giuridica e della presenza di tipologie di sepoltura<br />
diverse, nella maggior parte dei casi fuori standard o non pienamente<br />
rispondenti alle normative attuali, e dei relativi utilizzi compatibili.<br />
Le tipologie di sepoltura presenti sono infatti:<br />
- le inumazioni a terra nei campi, progressivamente ridotte per la costruzione<br />
di tombe e edicole di famiglia;<br />
- le tumulazioni nelle cripte ipogee degli archi dell’ottagono, originariamente<br />
proprietà privata e ancora prevalentemente occupate da famiglie nobili,<br />
congregazioni religiose e solo in parte di diretta disponibilità comunale, in<br />
maggioranza accessibili da aperture di dimensione molto ridotta e quindi<br />
di uso poco agevole;<br />
- le cappelle gentilizie con avelli all’interno delle gallerie, dove si trovano anche<br />
quadri di avelli concessi a tempo o in perpetuo, come le altre cappelle<br />
a corridoio ricavate nei lati sud-est e sud-ovest, nelle quali gli avelli sono<br />
facilmente accessibili ma hanno dimensioni insuffi cienti ad ospitare bare<br />
standard;<br />
- infi ne le tombe ed edicole private che hanno via via saturato alcuni riquadri<br />
dei quattro grandi campi erbosi, anche queste non sempre rispondenti<br />
alla normativa.<br />
In generale tutte le strutture fuori standard, per le quali sono applicabili deroghe<br />
che consentono il mantenimento in uso, possono essere destinate con<br />
vantaggio all’uso come ossari e/o cinerari di famiglia, almeno per le strutture<br />
private, ad usi riservati per quelle pubbliche.<br />
All’interno della parte monumentale risulta particolarmente intricata la commistione<br />
tra gli interventi riferibili ai settori, di pertinenza pubblica, e quelli<br />
puntuali riferibili alle singole unità, di pertinenza sia pubblica che privata,<br />
che devono poter essere svincolati dagli interventi di restauro generale dei<br />
settori. A loro volta questi, per la dimensione delle strutture devono poter<br />
essere eseguiti anche per interventi parziali.<br />
Per defi nire gli ambiti di applicazione omogenea negli usi previsti e soprattutto<br />
nelle modalità di intervento, si è seguita la stessa logica già adottata insede<br />
di organizzazione del sistema informativo, individuando le componenti<br />
formalmente e architettonicamente omogenee (settori) e le unità minime di<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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utilizzo, genericamente riferibili ai privati (unità).<br />
In questo modo è stato possibile individuare modalità di intervento diverse<br />
sulle architetture maggiori, ovvero le strutture vere e proprie individuate<br />
come “settori”, sempre soggette a tutela, e gli allestimenti interni delle cappelle<br />
e degli archi individuati come “unità”, in molti casi soggette a rimaneggiamenti<br />
di dubbio risultato e quindi con previsioni diverse in relazione<br />
alla qualità e organicità dell’arredo. In generale però, a differenza di quanto<br />
avviene nel resto del sistema cimiteriale, la presenza di un piano particolareggiato<br />
permette di intervenire direttamente sulle singole unità anche per<br />
interventi di restauro o consolidamento parziale delle strutture, per i quali il<br />
PPO idividua criteri generali di intervento organico.<br />
Sono state quindi individuate 5 categorie di intervento sulle architetture esistenti,<br />
che integrano le previsioni generali relative alle aree interne del settore<br />
prato, nel quale insistono altre microarchitetture:<br />
1. TUTELA: categoria comprende gli oggetti (cappelle, tombe, archi)<br />
storici gli anni ’30 del ‘900; gli oggetti che sono opera di architetti<br />
o artisti di rilievo e che possiedono particolare pregio artistico-architettonico;<br />
gli oggetti che rappresentano una particolare memoria<br />
storica per la città (legata a personaggi o famiglie illustri) e che hanno<br />
particolare pregio artistico-architettonico.<br />
2. CONSERVAZIONE: comprende gli oggetti (cappelle, tombe, archi)<br />
costruiti tra gli anni ’30 e ’50 del 900 che possiedono una buona<br />
qualità architettonica e artistica; gli oggetti che sono opera di architetti<br />
ed artisti di rilievo e che possiedono una buona qualità architettonica<br />
e artistica; gli oggetti che rappresentano una particolare<br />
memoria storica per la città (legata a personaggi o famiglie illustri)<br />
e che possiedono una buona qualità architettonica e artistica; gli<br />
oggetti costruiti dopo gli anni ’45 del ‘900, di cui può anche non essere<br />
noto l’autore che presentano una buona qualità architettonica<br />
e artistica.<br />
3. VALORIZZAZIONE: comprende gli oggetti storici precedenti il 1950<br />
che non possiedono particolare pregio artistico-architettonico; gli<br />
oggetti non storici che presentano elementi puntuali incongrui di cui<br />
si auspica la trasformazione (ad esempio serramenti plastici).<br />
4. RIQUALIFICAZIONE: comprende gli oggetti non storici di scarsa<br />
qualità che presentano rilevanti elementi incongrui di cui si auspica<br />
la trasformazione (materiali di rivestimento, copertura, ecc.).<br />
5. RICONFIGURAZIONE MORFOLOGICA: Questa categoria comprende<br />
gli oggetti non storici incongrui per morfologia, materiali e<br />
dimensioni, che si prevede vengano rimossi, o profondamente trasformati<br />
(spesso con una riduzione delle dimensioni fuori terra, a<br />
decadenza delle concessioni.<br />
Gli interventi sulle aree aperti sono quindi riferiti e riconducibili agli usi cui<br />
queste sono destinate, percorsi, aree verdi, aree di tumulazione.<br />
In generale sono state assoggettate a tutela le opere degli architetti che<br />
seguono, alcuni dei quali operavano alle dipendenze dirette del Comune:<br />
- Sante Bergamaschi<br />
- Amerigo Bonaconza<br />
- Moderanno Chiavelli<br />
- <strong>La</strong>mberto Cusani<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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- Ettore Leoni<br />
- Giuseppe Mancini<br />
- Mario Monguidi<br />
- Ennio Mora<br />
- Francesco Rivara<br />
- Gino Robuschi<br />
- Camillo Uccelli<br />
<strong>La</strong> scelta conseguente è stata quindi quella di sottolineare la monumentalità<br />
solenne del camposanto originario e assecondare la tendenza naturale alla<br />
stratifi cazione della memoria e dell’espressione delle arti locali che lo hanno<br />
reso un pantheon cittadino, individuando spazi riservati da destinare alla sepoltura<br />
e ai monumenti commemorativi dei cittadini illustri e benemeriti per<br />
evitarne la “dispersione” delle spoglie, catalizzando la conservazione della<br />
memoria con la concentrazione in luoghi circoscritti.<br />
Nello stesso tempo si è cercato di promuovere, nel lungo termine, una riqualifi<br />
cazione generale della qualità ambientale dei campi di sepoltura con<br />
interventi più radicali, concepiti come “ristrutturazione urbanistica”, sui due<br />
quadranti più problematici, nei quali era stata prevista una saturazione attuata<br />
nella maggior parte dei casi con scarsa attenzione formale, introducendo<br />
dei vincoli al rinnovo delle concessioni. <strong>La</strong> maggiore disponibilità<br />
di spazi nei quali è consentita la realizzazione di nuovi manufatti privati,<br />
preferibilmente ipogei o di altezza limitata, potrebbe essere utilizzata per la<br />
concessione di incentivi fi nalizzati ad anticipare la sostituzione dei manufatti<br />
ritenuti incongrui e il diradamento del quadrante saturo nel campo NE, per i<br />
quali è previsto la riconfi gurazione a decadenza della concessione.<br />
Il piano prevede quindi direttive con tempi di attuazione lunghi, in modo da<br />
sanare nel tempo quello che nel tempo si è deteriorato, con un’inversione di<br />
rotta che non provochi effetti traumatici sui concessionari.<br />
Per quanto riguarda gli spazi liberi dei campi, esuberanti rispetto al soddisfacimento<br />
del fabbisogno revisionale di inumazioni, reperito interamente<br />
all’esterno della zona storica, si prevede il loro mantenimento a verde, con la<br />
possibilità di ospitare sepolture riservate o per inumazione all’interno di reparti<br />
speciali, che potrebbero essere destinati ai cittadini illustri in regime di<br />
perpetuità, ai bambini e alla realizzazione di sepolture distinte, con tempi di<br />
concessione più lunghi di quelli della rotazione ordinaria decennale, in modo<br />
da giustifi care la realizzazione di manufatti di maggiore pregio artistico.<br />
Il rilievo delle essenze esistenti all’interno dell’Ottagono, molte delle quali<br />
sono arbusti piantumati dai privati in vicinanza delle sepolture di famiglia,<br />
ha messo in risalto la quasi totale mancanza di disegno nelle piantumazioni,<br />
con eccezione delle sole siepi di bosso intorno ai campi, che dovrebbero<br />
essere in parte reintegrate, e delle tuje nell’incrocio principale. A questo si<br />
aggiunge il disordine derivato dalle piantumazioni spontanee dei concessionari,<br />
non sempre soggette a manutenzione adeguata. Per questo motivo si<br />
è ritenuto di sottoporre a progetto la realizzazione dei campi/giardini della<br />
memoria e di limitare alle piante in vaso all’interno del lotto di pertinenza<br />
della concessione le possibilità di piantumazione dei privati.<br />
Cappelle, arcate ed edicole sono state censite, specifi cando per ogni unità<br />
categoria di intervento e vincoli, insieme ai materiali e alle prescrizioni per<br />
gli interventi di manutenzione ordinaria, mentre per quanto riguarda gli interventi<br />
di settore, sono stati consultati i documenti costruttivi in modo da raccogliere<br />
le principali indicazioni progettuali per i previsti interventi di restau-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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ro. In particolare si ritiene che una notevole attenzione debba essere posta<br />
alla scelta dei materiali e tecniche di lavorazione delle superfi ci, evitando il<br />
ricorso alle levigature a specchio, almeno sulle grandi superfi ci e nell’integrazione<br />
di elementi da sostituire nei manufatti storici.<br />
<strong>La</strong> normativa prevede quindi alcune indicazioni generali sui materiali compatibili<br />
con la zona monumentale, nell’intento specifi co di evitare/eliminare<br />
la presenza di serramenti in alluminio, arredi in legno e in plastica e piantumazioni<br />
abusive di arbusti invasivi.<br />
Nel caso delle tombe, che nella maggioranza dei casi sono costituite da<br />
manufatti esterni di piccole dimensioni, talvolta poco più della pietra tombale,<br />
si è ritenuto di individuare due sole categorie di intervento: la tutela<br />
e la riqualifi cazione. Le singole unità, già censite in sede di schedatura<br />
inventariale, sono state così individuate solo cartografi camente, mentre la<br />
normativa relativa consente a seconda dei casi il rifacimento dei manufatti,<br />
come la conservazione dell’esistente, con indicazioni specifi che per quanto<br />
riguarda la scelta dei materiali di rivestimento, i relativi trattamenti di superfi -<br />
cie e le caratteristiche formali e materiche degli arredi funebri, le dimensioni<br />
dei monumenti esterni che possono essere integrati alla tomba. In caso di<br />
conservazione dell’esistente si richiede il ripristino degli elementi incongrui<br />
al disegno originale (in modo particolare le lastre tombali in granito lucido) e<br />
il suo mantenimento per quanto riguarda le iscrizioni e gli arredi.<br />
<strong>La</strong> consultazione dei documenti di archivio relativi alla descrizione degli interventi<br />
costruttivi (progetti, capitolati e contratti) delle gallerie e del portico,<br />
ha infi ne permesso di redigere una sorta di catalogo di riferimento, integrato<br />
da glossario tecnico, dal quale dedurre indicazioni più precise su tecnologie<br />
costruttive, tecniche di lavorazione e materiali, che si ritiene utile per i futuri<br />
interventi di restauro.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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<strong>La</strong> conservazione della memoria storica – i defunti illustri<br />
<strong>La</strong> conservazione della memoria storica è un altro aspetto delicato che riguarda<br />
la gestione della parte monumentale del cimitero.<br />
<strong>La</strong> storia del cimitero infatti, corrisponde, custodisce e racconta solo gli ultimi<br />
due secoli della storia civica, nella quale il supporto critico si confonde<br />
con la tradizione orale della memoria collettiva, sino ad arrivare alla cronaca<br />
senza soluzioni di continuità.<br />
È quindi diffi cile capire quali devono e possono essere allora i criteri per la<br />
salvaguardia dei valori da sottoporre a tutela storica tra quelli che i cimiteri<br />
conservano attraverso la memoria di singoli defunti.<br />
Un vincolo generale sarebbe in qualche modo giustifi cabile, riconoscendo<br />
che la parte storica del cimitero è l’espressione di un passato che si è chiuso<br />
e considerandola un museo di fatto “pieno”, ma questo può solo cristallizzare<br />
la situazione in essere, lasciando poco spazio (in tutti i sensi) alla<br />
successiva stratifi cazione.<br />
Il risultato sarebbe quello di limitare le possibilità di utilizzo di un monumento<br />
che “funziona”, ed è ancora usato e amato dai suoi cittadini.<br />
Per quest’ultimo motivo, tra i presupposti del Piano è sempre stata considerata<br />
una scelta preferenziale l’ipotesi del mantenimento dell’uso, e quindi<br />
della prosecuzione nella sedimentazione della memoria, che inevitabilmente<br />
comporta qualche oblio e richiede compromessi tra la conservazione intesa<br />
nella sua accezione più rigorosa e quelle continue trasformazioni che sono<br />
inevitabili nelle architetture “vive”.<br />
Paradossalmente, il nostro cimitero è un monumento vivo e si ritiene doveroso<br />
mantenerlo tale, sottolineandone la valenza di museo civico in divenire.<br />
<strong>La</strong> dinamicità del cimitero, implicita nella stessa concezione illuminista delle<br />
sepolture a rotazione esprime infatti il riconoscimento della continuità della<br />
storia; nel caso dell’Ottagono della <strong>Villetta</strong> restano spazi per proseguire l’accumulo<br />
di memoria, permettendo di concentrare relativamente gli elementi<br />
di interesse, e quindi di mantenerli più visibili. Inoltre il mantenimento in uso<br />
è funzionale alla conservazione, per effetto della continua manutenzione<br />
che viene dedicata alle sepolture dai parenti dei defunti e dei meccanismi<br />
virtuosi che questo può esercitare sulla manutenzione, e di conseguenza<br />
sulla qualità ambientale nel suo complesso.<br />
<strong>La</strong> scelta attuata è stata quella di considerare la conservazione della memoria<br />
passata (quella futura può solo essere “prevista”) in modo organico<br />
alla riqualifi cazione attraverso la valorizzazione parzialmente costruttiva<br />
degli spazi liberi del cimitero: la conservazione infatti richiede risorse che<br />
è più facile trovare quando sono fi nalizzate a più scopi, anche funzionali.<br />
Per questo motivo si è pensato che fosse giusto accentuare la vocazione<br />
di cimitero monumentale del cuore storico della <strong>Villetta</strong>, mantenendone e<br />
prevedendone un uso riservato, dal momento che non è possibile garantirlo<br />
a tutti i cittadini.<br />
In questo senso la presenza di campi di inumazione riservati ai personaggi<br />
illustri, ma anche ai bambini e agli inconsunti (che hanno una rotazione<br />
veloce e un’impatto poco “invasivo”) potrebbe diventare il simbolo della destinazione<br />
collettiva di una parte del cimitero nella quale non c’è più spazio<br />
per tutti.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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Lo stesso concetto si estende agli archi del portico. Essi appartengono, o<br />
sono in uso, ad un numero ristretto di famiglie che raramente corrispondono<br />
nel nome al “primo proprietario” (che in alcuni casi poteva essere un procuratore<br />
della famiglia) e quindi i passaggi di proprietà sembrano essere stati<br />
documentati se non frequenti anche nell’800, come la destinazione alle congregazioni<br />
religiose, che in alcuni casi ospitano le spoglie di membri laici.<br />
Dal confronto tra la situazione originaria (acquisti d’archi nel registro delle<br />
arcate – Archivio di Stato di Parma) si osserva come l’importante presenza<br />
religiosa all’interno del cimitero non abbia occupato sempre gli stessi spazi,<br />
spostandosi con il completamento del cimitero, dal lato dell’ingresso (il primo<br />
ad essere realizzato) ai fi anchi dell’oratorio e ai lati ovest e nord-ovest.<br />
Oggi circa un terzo degli archi appartiene al Comune, che in passato li ha<br />
utilizzati per sepolture in perpetuo o, più frequentemente, a tempo. Questi<br />
archi sono quasi sempre riconoscibili per l’elevato numero di lapidi e per<br />
la quasi generale mancanza di un allestimento specifi co e progettato. Essi<br />
sembrano essere anche quelli meno rimaneggiati, dove è più facile individuare<br />
i caratteri della fi nitura materica originaria, anche se quasi sempre il<br />
Comune non risulta essere il primo proprietario. Numerosi sono in questi<br />
archi i defunti che hanno preso parte alle battaglie delle Guerre d’Indipendenza<br />
che hanno portato all’unità nazionale.<br />
Gli spazi disponibili negli archi comunali potrebbero essere usati per ospitare<br />
le spoglie dei cittadini benemeriti, ma alcuni potrebbero essere liberati<br />
per ospitare gruppi specifi ci o essere assegnati a congregazioni, enti morali,<br />
associazioni riconosciute.<br />
L’ipotesi di riutilizzo completo di un arco comporta però la riduzione e traslazione<br />
delle salme ivi tumulate “a tempo” e la verifi ca della loro “rimovibilità<br />
storica”, ovvero la mancanza di riferimenti a gesta o azioni particolari ricordata<br />
dalla lapide commemorativa. <strong>La</strong> stessa ipotesi però può contribuire a<br />
generare risorse utili per la conservazione degli archi interessati e di altri,<br />
che hanno un evidente bisogno di restauro.<br />
Per questo motivo si è proceduto con una schedatura puntuale degli archi,<br />
nella quale sono state indicate prescrizioni specifi che e la presenza<br />
di evenuali vincoli (defunti illustri), anche se la mancanza oggettiva di dati<br />
esaurienti non permette al momento di individuare risposte defi nitive, per<br />
le quali mancano ancora gli elenchi completi dei defunti “inamovibili” per<br />
motivi storici. Questi elenchi sono complessi per la molteplicità dei motivi di<br />
inclusione, e pertanto si è preferito imporre un nullaosta dell’Archivio Storico<br />
Comunale alla traslazione dei resti contenuti negli archi e nei loculi delle<br />
gallerie, che potrebbero a loro volta essere riusati per la creazione di ossari<br />
e cinerari di famiglia.<br />
Monumenti funebri e cenotafi potranno essere realizzati anche nelle aree<br />
libere all’interno del cimitero, anche nei “giardini della memoria”, concepiti<br />
come aree verdi arredate per la sosta e la meditazione, che potranno essere<br />
destinate alle sepolture eccezionali di artisti e/o altri personaggi illustri e<br />
benemeriti, anche in campi tematici.<br />
Per facilitare la comprensione del ruolo dei personaggi illustri richiamati dal<br />
cimitero, sono state estratte da fonti bibliografi che (E. <strong>La</strong>sagni) le schede<br />
biografi che dei principali defunti e degli artisti che hanno realizzato i monumenti<br />
funebri e hanno quindi contribuito all’arricchimento del cimitero con le<br />
loro opere.<br />
11
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
<strong>La</strong> costruzione e la valorizzazione delle architetture<br />
<strong>La</strong> consultazione dei documenti di archivio già schedati per la redazione del<br />
sistema informativo, integrati dai capitolati di appalto e dalle descrizioni di<br />
cantiere, ha fornito molte informazioni importanti per la conoscenza delle<br />
architetture, con particolare riferimento ai materiali murari, alle tecnologie<br />
costruttive, alle caratteristiche materiche dei materiali di rivestimento e le<br />
relative lavorazioni di fi nitura, oltre alla composizione d’impasto delle malte<br />
di intonaci ed elementi ornamentali.<br />
Questa documentazione trova un rifl esso e possibili integrazioni nella manualistica<br />
contemporanea alle fabbriche, e quindi testimonia in modo puntuale<br />
l’applicazione delle innovazioni che interessano la pratica costruttiva<br />
tra la seconda metà dell’800 e i primi decenni del ‘900, quando si affacciano<br />
nuove tecniche e nuovi materiali, destinati ad affermarsi nei decenni successivi,<br />
sui quali la pratica del restauro è meno sviluppata rispetto alle fabbriche<br />
dei secoli precedenti.<br />
Integrate da un glossario riferito alle tecniche e agli strumenti di lavorazione<br />
dei materiali più frequenti, le informazioni ricavate dalla documentazione<br />
dei lavori costruttivi sono state raccolte in un allegato di riferimento tecnico<br />
per i futuri interventi di restauro dell’Ottagono, che potrebbe rivelarsi utile<br />
anche a supporto di altri interventi di restauro architettonico di edifi ci ottonovecenteschi.<br />
Tale documentazione, che risulta ampia ed esauriente soprattutto per le tre<br />
gallerie, è stata il supporto sul quale sono state stilate le norme tecniche<br />
riferite agli interventi architettonici sulle architetture principali, per le quali<br />
sono sempre prescritti procedimenti di restauro scientifi co.<br />
I documenti relativi alla costruzione costituiscono quindi la base scientifi ca<br />
dei futuri interventi di restauro e aiutano a capire anche il quadro del dissesto.<br />
Nella redazione del Piano Particolareggiato, essi sono stati valutati nell’ottica<br />
della conservazione del bene, per inquadrare quanto necessario alla<br />
sua valorizzazione attraverso il ripristino della originale qualità materica.<br />
In sede di redazione del PPO si è posta particolare attenzione al confronto<br />
complessivo di quanto emerso dalla documentazione d’archivio con i risultati<br />
dei rilievi tematici condotti per l’individuazione e la localizzazione speditiva<br />
delle principali patologie di degrado, degli affi oramenti di decorazioni pittoriche<br />
e fi niture cromatiche diverse da quelle attuali, e dei dissesti strutturali.<br />
Nella redazione complessiva del lavoro, sono stati considerati anche gli esiti<br />
di rilievi condotti sulla galleria Sud-est per la quale sono state eseguite verifi -<br />
che con strumento topografi co delle strutture murarie della galleria Sud-Est,<br />
fi nalizzate a verifi care le cause del dissesto degli arconi della cupola e delle<br />
absidi, e i rilievi a campione eseguiti a scala di dettaglio su alcuni archi del<br />
portico. Questi ultimi hanno messo in risalto l’esistenza di fuori piombo e<br />
abbassamenti importanti che meriterebbero successivi approfondimenti.<br />
<strong>La</strong> attenzione maggiore è stata riservata allo studio al portico dell’Ottagono,<br />
che come nucleo primitivo del cimitero, ne costituisce il cuore non solo simbolico.<br />
Letture tematiche intrecciate sono state confrontate con le differenti<br />
informazioni deducibili dai rilievi qualitativi degli elementi ornamental e gli<br />
interventi documentati; queste sono state utili a ricostruire per quanto possibile<br />
l’immagine originale delle parti comuni (esterni e arconi strutturali) e<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
l’eventuale evidenza di allestimenti diversi sotto quelli attuali.<br />
Numerosi sono stati infatti gli interventi costruttivi all’interno degli archi,<br />
spesso come conseguenza di passaggio di utenza (diffi cile stabilire se è<br />
ancora possibile parlare di “proprietà”).<br />
A differenza di quanto accade nelle gallerie, dove la qualità architettonica<br />
(se non lo stato di conservazione) delle diverse unità è abbastanza omogeneo<br />
con quello generale di settore, nel portico interventi più frequenti di<br />
ammodernamento hanno prodotto numerosi casi trasformazioni importanti<br />
con soluzioni formali molto distanti (e in alcuni casi discutibili) dall’immagine<br />
storica del portico, al cui interno dominano soluzioni stilistiche neoclassiche,<br />
eclettiche e liberty. In altri casi, decorazioni pregevoli versano in cattivo stato<br />
di manutenzione e se ne rischia la perdita.<br />
Per questo motivo il portico è stato oggetto di una schedatura puntuale,<br />
che ha riportato elementi di pregio, elementi incongrui, tracce di decorazioni<br />
precedenti, caratteristiche materiche e formali delle botole di accesso alle<br />
cripte, qualità dei pavimenti, ecc. al fi ne di determinare categorie di intervento<br />
specifi che alle singole unità, che si presentano molto diverse le une dalle<br />
altre, e che in alcuni casi pur essendo in buono stato di manutenzione, non<br />
si integrano nell’immagine generale del monumento.<br />
Il rilievo delle botole e dei pavimenti ha permesso di individuare gli archi nei<br />
quali sono presenti elementi riconducibili all’immagine originaria, che però<br />
almeno per quanto riguarda la dimensione delle botole, sono inadeguati all’uso<br />
e pertanto non è ipotizzabile il ripristino delle dimensioni primitive di<br />
quelli che sembrano essere stati trasformati. Per quanto possibile, si è ritenuto<br />
al contrario di consentire l’allargamento di quelle aperture che non presentano<br />
particolari elementi di pregio, o quando sia possibile l’integrazione<br />
della lastra tombale in una nuova botola più grande.<br />
Poco resta dei pavimenti originali, che in origine dovevano essere in prevalenza<br />
quasi sicuramente in ammattonato o piastrelle laterizie, ma la cui<br />
sostituzione inizia forse prima dell’inizio del ‘900, quando vengono adottati<br />
i pavimenti in cemento colorato (bianco/nero) e poi (intorno agli anni ’30)<br />
quelli in cemento stampato e rigato, che sono quelli preponderanti. Anche<br />
se non sono belli, questi pavimenti presentano però l’indubbio vantaggio di<br />
non essere scivolosi e quindi possono essere considerati confacenti alla<br />
normativa attuale.<br />
<strong>La</strong> restituzione planimetrica delle tracce pittoriche ha messo in risalto la presenza<br />
di decorazioni cromatiche a fascie giallo/rosso nella maggior parte<br />
degli arconi trasversali ed esterni delle campate, riprese anche nelle decorazioni<br />
a tempera di alcuni archi con il fondo dipinto.<br />
Tali decorazioni sembrano essere il risultato dell’immagine tardo-ottocentesca<br />
del cimitero, dopo il completamento della costruzione degli archi (gli<br />
ultimi fatti sono quelli dei lati diagonali).<br />
Di seguito sono sintetizzate le informazioni di interesse generale relative<br />
alle caratteristiche costruttive e alle fonti documentarie dei singoli settori<br />
architettonici.<br />
I risultati degli studi preliminari condotti sui singoli settori non sono stati considerati<br />
solo nell’ottica della conservazione, ma anche pensando ai possibili<br />
strumenti di promozione qualitativa del monumento, che richiede un approccio<br />
progettuale ed interventi di restauro importanti.<br />
In particolare, per quanto riguarda il portico, il confronto tra lo stato conservativo,<br />
la qualità architettonica e le caratteristiche di concessione delle<br />
tumulazioni negli archi comunali ha evidenziato la disponibilità potenziale di<br />
spazi di sepoltura nella parte più pregiata del cimitero.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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I campi erbosi e il verde<br />
<strong>La</strong> valorizzazione del cimitero monumentale non può prescindere dalla riqualifi<br />
cazione generale degli spazi aperti, costituiti dai percorsi, dagli spazi<br />
verdi interstiziali nei campi di tumulazione e dai campi di inumazione, oggi<br />
quasi nascosti dalle edicole.<br />
Questa riqualifi cazione è legata a diversi fattori:<br />
una maggiore cura ed integrazione delle essenze vegetali, per le quali è<br />
stata redatto un rilievo che ha fornito indicazioni relative ad interventi di completamento<br />
e riqualifi cazione;<br />
la ristrutturazione dei percorsi con nuove pavimentazioni più consone all’ambiente,<br />
che prevedano anche integrazioni segnaletiche per i non vedenti<br />
e arredi per la sosta e l’inserimento di una segnaletica di orientamento e<br />
segnalazione, oltre a sistemi e impianti per la sicurezza del visitatori (allarmi,<br />
illuminazione, videosorveglianza);<br />
creazione unitaria e progettuale di spazi di verde piccoli arredi e attrezzature<br />
per la sosta, la meditazione, eventualmente la preghiera e la dispersione<br />
delle ceneri, indicati come “Giardini della memoria” questi si integrano nel<br />
disegno generale del cimitero offrendo un insieme di percorsi alternativi;<br />
individuazione di campi riservati (eventualmente utilizzabili come reparti<br />
speciali) per la inumazione di bambini e per la tumulazione/inumazione di<br />
cittadini illustri;<br />
diradamento in tempi lunghi del quadrante pieno del campo NE, imponendo<br />
a scadenza delle concessioni la ricostruzione di manufatti interrati, o incentivando<br />
il trasferimento in altro luogo dove è consentita la costruzione di<br />
edicole fuori terra<br />
sospensione dell’attuazione del disegno previsto per il quadrante “inclinato”<br />
del campo SW, con il trasferimento delle concessioni non ancora attuate e/o<br />
incentivando la ricostruzione in altra sede di quelle per le quali è prevista la<br />
sostituzione a decadenza della concessione;<br />
un più attento controllo della qualità costruttiva dei nuovi manufatti, sia per<br />
quanto riguarda la scelta dei materiali, che le loro dimensioni, privilegiando<br />
l’adozione di tipologie interrate o poco invasive, evitando comunque la saturazione<br />
dello spazio aperto<br />
una normativa rigorosa per quello che riguarda materiali di fi nitura e arredi<br />
esterni dei monumenti funebri privati.<br />
Il rilievo e la schedatura delle edicole illustra un interessante repertorio formale,<br />
dal quale emerge il ricorso preferenziale a materiali e lavorazioni ricorrenti,<br />
che offre grande ricchezza di riferimenti nell’uso del metallo e della<br />
pietra. In particolare la pietra artifi ciale, prefabbricata o realizzata in opera<br />
con cemento e graniglia, insieme alla fusione bronzea, costituisce il materiale<br />
principale ed è forse l’elemento tecnico-ornamentale di maggior interessante<br />
per lo studio della fi nitura esterna e dell’articolazione formale dei<br />
manufatti privati della prima metà del ‘900.<br />
Nel corso della schedatura architettonica dell’Ottagono monumentale è stato<br />
eseguito un rilievo del verde e delle pavimentazioni dei percorsi esterni,<br />
individuando sulla planimetria la posizione, le dimensioni e la specie delle<br />
alberature, degli arbusti e delle siepi esistenti all’interno e lungo il muro di<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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recinzione sul lato dell’ingresso principale. Esso ha riguardato il complesso<br />
degli elementi rilevabili, indipendentemente dalla presunta proprietà e quindi<br />
ha interessato anche le piantumazioni effettuate dai privati ‘a terra’ a corredo<br />
delle sepolture, con la sola esclusione delle piante esistenti in vaso o in<br />
fi oriera.<br />
All’interno dei campi dell’Ottagono sono infatti numerose le piante messe<br />
a dimora accanto alle sepolture di famiglia, in particolare alle spalle delle<br />
tombe o ai lati delle cappelle. Le essenze piantumate sono abbastanza variate,<br />
con una prevalenza di tuie, che contribuiscono a inverdire e ingentilire<br />
l’ambiente. Molte sono le tombe basse che dietro hanno una siepe di tre<br />
tuie, che chiudono il fondale tra le due cappelle che le fi ancheggiano. Poiché<br />
cappelle e tombe sono alternate in doppia fi la, gli alberi della fi la interna<br />
costituiscono una piacevole barriera verde intorno al campo centrale dove<br />
si trovano le sepolture comuni. Questa barriera è attualmente discontinua,<br />
ma se ne potrebbe prevedere il completamento come cortina perimetrale<br />
dei Giardini della memoria.<br />
Il progetto ottocentesco del cimitero non indicava la presenza di alberature,<br />
anche se il primo regolamento cimiteriale emanato da Maria Luigia all’epoca<br />
dell’istituzione della nuova struttura, prevedeva la possibilità di piantumazione<br />
di alberi, facendo esplicito riferimento alla necessità di privilegiare essenze<br />
a sviluppo piramidale, come i cipressi.<br />
Oggi nell’Ottagono si osserva la presenza di conifere di varia specie: pini,<br />
abeti rossi e anche qualche cedro posto d evidenziare gli angoli del perimetro.<br />
All’esterno, il muro orientale è coperto da tratti di siepe, con cespugli altenati<br />
di pyrachanta e di un altro arbusto della famiglia del biancospino, mentre<br />
all’interno vi sono siepi di martello che orlano i campi erbosi.<br />
Il verde appare concepito come un ‘arredo’ solamente all’ingresso, dove esistono<br />
alcuni cipressini di recente impianto che creano una corona ai due lati<br />
del viale, e all’incrocio centrale, dove lo slargo ottagonale è fi ancheggiato da<br />
tuie e cipressi talvolta con le chiome un po’ malandate. In origine è possibile<br />
che queste piante fossero alternate con un criterio, ma in seguito quelle<br />
morte non sono state sostituite o sono state cambiate le essenze.<br />
In generale la presenza del verde non è rilevante, né dal punto di vista formale,<br />
né per la qualità delle essenze e degli esemplari, che paiono essere<br />
state messe a dimora senza mai seguire un progetto veramente unitario che<br />
riguardasse l’intera struttura.<br />
Così oggi è diffi cile leggere un ‘disegno’ organico nel verde attualmente esistente,<br />
fatta eccezione per porzioni molto limitate, all’ingresso e all’incrocio<br />
dei due viali principali, fi ancheggiati da pini, tuje e qualche abete. Alle altre<br />
estremità dei viali ci sono alcuni cedri, grandi ma non imponenti, disposti<br />
secondo una simmetria incompleta, che lascia intendere che qualche albero<br />
sia stato tolto.<br />
Nel suo complesso l’arredo vegetale esistente nella parte monumentale del<br />
<strong>Cimitero</strong> della <strong>Villetta</strong> non evidenzia una chiara volontà progettuale, anche<br />
se esistono alcuni elementi di regolarità nelle piantumazioni, che potrebbero<br />
essere riprese reintegrando o completandone le esigue tracce residue.<br />
Un aspetto di degrado che interessa in modo indiretto il verde, riguarda l’abitudine<br />
di alcuni visitatori di nutrire i numerosi gatti che popolano il cimitero,<br />
lasciando loro contenitori di cibo nascosti tra le piante.<br />
Tra le essenze presenti, quelle ritenute più idonee per la progettazione delle<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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aree verdi interne al cimitero sono le diverse varietà sempreverdi di tuye e<br />
cipressi e le siepi di bosso, ma a causa della specifi cità del tema, che richiede<br />
comunque un approccio specialistico, non si ritiene opportuno fi ssare<br />
limiti progettuali.<br />
I viali principali, in origine erano inghiaiati, inseguito sono stati asfaltati e dovrebbero<br />
essere ripristinati nel materiale originale, o con altro da concordare<br />
con la soprintendenza; per i percorsi minori è previsto l’uso di altri materiali<br />
come il calcestre, la pietra, e il cemento. A lato dei viali dovrebbero essere<br />
completate le siepi di bosso, che in alcuni punti sono malandate.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Conclusioni<br />
Gli studi preliminari condotti per la redazione del piano hanno evidenziato<br />
come in generale i settori costruiti del cimitero presentino una notevole qualità<br />
architettonica, alla quale non sempre corrisponde una suffi ciente qualità<br />
conservativa, mentre dove è stata lasciata mano “libera” ad interventi puntuali<br />
(manufatti privati nei campi e ristrutturazione degli archi) sono presenti<br />
molte situazioni non consone al luogo, per effetto di una scarsa attenzione<br />
formale nella scelta dei materiali e spesso per una naturale tendenza ad<br />
“apparire” attraverso la realizzazione di manufatti di dimensioni sempre più<br />
grandi, che tendono a soffocare lo spazio.<br />
In sintesi, il PPO si articola quindi in due componenti distinte, entrambe fi nalizzate<br />
ad una riqualifi cazione generale del monumento basata soprattutto<br />
sull’attuazione di interventi costruttivi pianifi cati ma non ancora progettati<br />
nel dettaglio.<br />
<strong>La</strong> prima, di carattere pianifi catorio, consiste in indicazioni e prescrizione di<br />
carattere normativo sugli usi compatibili e le modalità di intervento previste<br />
sulle diverse componenti architettoniche del cimitero e nella promozione di<br />
interventi puntuali di ristrutturazione urbanistica che dovrebbero interessare<br />
i due campi di tumulazione nei quali la costruzione è avvenuta in modo<br />
incongruo rispetto al contesto ambientale (SW - 1 e NE – 3). L’attuazione<br />
completa di tale intento può avvenire quindi solo in tempi lunghi per la necessità<br />
di attendere la decadenza delle concessioni senza annullare contratti<br />
in essere, e poter imporre la loro ricollocazione o riconfi gurazione.<br />
<strong>La</strong> seconda riguarda alcune previsioni progettuali di massima che interessano<br />
la riqualifi cazione del verde e la previsione gli spazi aperti dei campi<br />
di inumazione per la creazione di spazi verdi caratterizzati, che dovrebbero<br />
contribuire a creare spazi gradevoli per la sosta, concepiti come “giardini<br />
della memoria” destinabili solo marginalmente alla sepoltura. Questa componente<br />
più architettonica si completa nella sua attuazione nella realizzazione<br />
di manufatti privati negli spazi individuali a margine delle aree verdi, che<br />
oltre alla sosta possono offrire percorsi alternativi ai visitatori del cimitero.<br />
Invece di cristallizzare la situazione attuale impedendo la realizzazione di<br />
nuovi manufatti, si è quindi preferito individuare meccanismi mirati ad innescare<br />
una tendenza virtuosa al restauro e consolidamento delle architetture<br />
principali e alla manutenzione delle unità di pertinenza privata, per<br />
promuovere il recupero dell’immagine originaria con interventi di restauro<br />
delle parti storiche e la valorizzazione delle altre architetture con interventi di<br />
ristrutturazione consoni al decoro generale. Inoltre si ipotizza che la disponibilità<br />
di spazi per la realizzazione di nuovi manufatti privati, possa innescare<br />
il processo di riconversione dei due quadranti meno qualifi cati, grazie alla<br />
possibilità di permettere lo spostamento del volume esistente e/o il ridimensionamento<br />
futuro di alcune delle edicole ivi costruite, con il mantenimento<br />
dei soli oggetti meno invasivi e di maggiore qualità architettonica. Per i manufatti<br />
previsti ma non ancora realizzati, potrebbe invece essere concordato<br />
preliminarmente il trasferimento della costruzione in posizione idonea, evitando<br />
di perseverare in scelte che si sono rivelate poco fortunate.<br />
L’individuazione di spazi edifi cabili (con indicazioni tipologiche e materiche<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Introduzione<br />
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restrittive) è esuberante rispetto alle necessità di ricollocazione dei manufatti<br />
di cui sopra, quindi prevede la possibilità di realizzare nuovi manufatti<br />
(preferibilmente di pregio formale ed ingombro ridotto) nella zona di maggior<br />
pregio del cimitero, con evidenti vantaggi economici.<br />
Parte del ricavato dalla cessione dei diritti di costruzione potrebbe infatti<br />
essere utilizzato per il fi nanziamento della realizzazione dei “giardini della<br />
memoria”.<br />
Le analisi tematiche condotte sugli archi dell’Ottagono, che costituisce la<br />
parte più signifi cativa dell’intero complesso e pertanto esige un intervento<br />
accurato di consolidamento e restauro, non hanno prodotto solo indicazioni<br />
relative alle modalità di intervento idonee al recupero architettonico, ma<br />
hanno permesso di riconoscere le soluzioni decorative e materiche delle<br />
“parti connettive” del portico del cimitero ottocentesco, che potrebbero essere<br />
restituite alla loro immagine precedente attraverso il ripristino delle decorazioni<br />
degli arconi e dei colori originali delle volte non decorate.<br />
Più diffi cile riconoscere l’originalità dei pavimenti per riproporne un’immagine<br />
unitaria, poichè nella maggior parte dei casi essi sono storicizzati, pur<br />
non essendo originali.<br />
Un aspetto interessante emerso dalla schedatura degli archi di proprietà comunale<br />
riguarda la possibilità di rendere disponibili quelli dedicati a tumulazioni<br />
a tempo ormai decadute, riservando all’uso pubblico quelli concentrati<br />
nel lato sud (12 archi) che è quasi interamente di proprietà comunale, e cedendo<br />
a confraternite o enti morali l’uso di quelli distribuiti lungo gli altri lati.<br />
Anche senza contare quelli di maggior pregio architettonico, che potrebbero<br />
essere conservati dal Comune, ne potrebbero esser alienati almeno una<br />
dozzina, provvedendo preliminarmente alla riduzione e al trasferimento dei<br />
resti che attualmente vi sono tumulati e delle rispettive lapidi.<br />
Questo potrebbe contribuire al fi nanziamento degli interventi di valorizzazione<br />
del portico, sia per l’utilizzo dei diritti nel restauro di altre arcate comunali,<br />
che per gli interventi di riallestimento e restauro effettuati direttamente ad<br />
opera dei nuovi concessionari.<br />
Nel suo complesso, il Piano Particolareggiato si confi gura quindi come un<br />
insieme di norme di previsione per una gestione d’uso futura fi nalizzata salvaguardia<br />
e generale del manufatto architettonico, che trova conclusione in<br />
alcune proposte progettuali di massima che intendono valorizzare l’immagine<br />
del monumento attraverso usi nuovi e alternativi e una gestione produttiva<br />
delle sue strutture.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
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L’OTTAGONO (PORTICO)<br />
L’Ottagono è la parte primitiva del cimitero.<br />
L’impianto originale risulta delimitato da un recinto a pianta quadrata<br />
all’esterno e ottagonale all’interno.<br />
L’edifi cio, la cui costruzione fu iniziata nel 1817, era costituito da un porticato<br />
perimetrale di 156 campate coperte a vela. Le campate sono defi nite da<br />
pilastri dorici molto stilizzati con archi a tutto sesto, esse erano destinate<br />
alle confraternite religiose e laiche, alle casate nobiliari della città e in parte<br />
di proprietà comunale per la vendita in perpetuo o a tempo dei singoli avelli.<br />
l campi erbosi all’interno dovevano invece essere destinati alle sepolture<br />
comuni, mentre lungo i viali si dovevano erigere i monumenti a memoria dei<br />
cittadini illustri.<br />
I settori angolari, fi sicamente separati e accessibili solo dall’esterno, erano<br />
destinati agli acattolici (S-W), ai carcerati e alla famiglia del boia (N-W), ai<br />
bambini non battezzati (N-E) e all’ossario (S-E).<br />
<strong>La</strong> realizzazione degli archi da parte dei privati e del comune stesso<br />
procedette con una certa lentezza, e fu completata dopo il 1860.<br />
Le arcate, dotate di una cripta per la tumulazione delle salme, furono costruite<br />
direttamente dai proprietari secondo uno schema architettonico comune,<br />
mentre la decorazione interna, soggetta all’autorizzazione di un’apposita<br />
commissione, era libera; l’unico vincolo regolamentato riguardava il<br />
mantenimento del libero passaggio lungo il porticato. Nonostante una<br />
sostanziale libertà di allestimento, sotto i tinteggi recenti riemergono tracce<br />
che permettono di leggere una precedente decorazione comune del telaio<br />
strutturale del portico, con le ghiere degli archi dipinte a fasce gialle e rosse.<br />
Anche nelle volte riaffi ora un colore comune, rosa/rosso. L’allestimento degli<br />
archi, molti dei quali in origine erano decorati con pitture a tempera, era<br />
libero anche per quanto riguarda le pavimentazioni, che ancora oggi sono<br />
disomogenee nei materiali di rivestimento: mattoni, cemento, marmiglia,<br />
marmi. In origine la maggior parte dei pavimenti doveva essere in mattoni<br />
disposti di piatto con bordature a coltello e cornici in pietra intorno alle botole<br />
quadrate delle cripte.<br />
Osservazioni al rilievo materico - individuazione dei caratteri originari<br />
Lo studio generale condotto sul sistema cimiteriale del Comune di Parma,<br />
congiuntamente all’indagine precedentemente svolta per l’individuazione<br />
delle sue parti storiche e monumentali con particolare riferimento alla<br />
<strong>Villetta</strong>, ha portato ad individuare nell’Ottagono porticato, che costituisce il<br />
nucleo primitivo del polo cimiteriale più importante, il riferimento principale<br />
dell’intero sistema. Esso infatti costituisce ancora un fulcro funzionale e il<br />
modello architettonico delle strutture minori.<br />
<strong>La</strong> parte storico-monumentale della <strong>Villetta</strong>, come precedentemente,<br />
illustrato risulta costituita da un insieme di settori unitari morfologicamente<br />
e tipologicamente ben riconoscibili, che sono riconducibili alle differenti<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
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progressioni di crescita del cimitero stesso. Tra queste, l’Ottagono emerge<br />
come l’elemento centrale, il “cuore” vitale della ormai complessa struttura<br />
cimiteriale, che resta il passaggio obbligato per le altre parti del cimitero<br />
storico, al quale in seguito si è affi ancato il nuovo complesso di San<br />
Pellegrino, contiguo alla <strong>Villetta</strong> ma da esso formalmente autonomo.<br />
Essendo la parte primitiva, all’interno dell’intero sistema, l’Ottagono costituisce<br />
l’elemento nel quale è maggiore l’evidenza della stratifi cazione storica e il<br />
conseguente accumulo di oggetti della memoria, testimoni polivalenti delle<br />
persone, dei valori di riferimento della società e dell’evoluzione del gusto<br />
delle epoche passate e recenti.<br />
Tutto questo condiziona le forme architettonico-ornamentali e la stessa<br />
caratterizzazione di monumento-museo della memoria civica, che - come<br />
presupposto generale della piano - deve essere tutelata e valorizzata di<br />
pari passo con la conservazione e la riqualifi cazione fi sica delle strutture<br />
costruite, per molti decenni oggetto di una manutenzione poco attenta alla<br />
qualità degli interventi e soprattutto alle relazioni ambientali con il contesto,<br />
sia all’interno che all’esterno del cimitero.<br />
L’approccio all’Ottagono è quindi delicato, proprio a causa della complessità<br />
dell’intreccio tra i valori legati alla documentazione della memoria storica e<br />
la sovrapposizione di interventi sulle architetture, spesso documentati ma<br />
non sempre conguenti alla qualità architettonica del contesto.<br />
Questo rende particolarmente diffi coltosa e, in un certo senso problematica,<br />
la defi nizione e l’inquadramento normativo dei futuri interventi, anche senza<br />
arrivare alla defi nizione di un progetto di restauro che esula dalla fi nalità<br />
stretta del Piano.<br />
L’aspetto più delicato, e in un certo senso ambiguo, risulta correlato al<br />
signifi cato della parola conservazione.<br />
Il cimitero è per la sua stessa fi nalità funzionale, luogo di conservazione della<br />
memoria e questo avviene attraverso la posa in opera di piccoli monumenti<br />
o altri manufatti che per molto tempo hanno avuto anche un loro preciso<br />
valore formale, contribuendo all’accumulo di oggetti ornamentali ed artistici<br />
che caratterizza oggi tutti i cimiteri storici.<br />
In questo senso bisogna sottolineare come l’uso stesso che viene fatto<br />
del cimitero lo vincoli a subire innumerevoli e continui interventi di piccola<br />
trasformazione additiva, ma in un’oggetto ormai saturo questi tendano a<br />
diventare al tempo stesso sottrattivi nei confronti di quegli elementi dei quali<br />
si tende a perdere la memoria.<br />
<strong>La</strong> necessità di garantire il mantenimento funzionale della struttura, insieme<br />
alla conservazione della memoria impone quindi l’individuazione di limiti<br />
alla inevitabile rimozione dell’accumulo storico, cercando un ragionevole<br />
compromesso tra la conservazione formale e quella funzionale.<br />
<strong>La</strong> conservazione funzionale richiede una continua disponibilità di spazi,<br />
per quanto questi possano essere riservati e destinati a particolari settori di<br />
utenza, e quindi è la maggiore responsabile delle trasformazioni fi siche, che<br />
nel cimitero riguardano in massima parte gli elementi di rivestimento, fi nitura<br />
e arredo, ma entro certi limiti anche le strutture.<br />
Le trasformazioni funzionali, che all’interno del cimitero sono subordinate alla<br />
evoluzione delle normative e dei regolamenti di igiene, che sono all’origine<br />
stessa della rinascita moderna del cimitero, sono ancora il principale fattore<br />
capace di produrre modifi che rilevanti nelle strutture.<br />
<strong>La</strong> funzionalità continua a condizionare in modo importante non solo le<br />
strutture,per quanto riguarda le rispondenze normative, ma anche l’immagine:<br />
infatti un aspetto importante che emerge dallo studio dei documenti è il<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
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successivo cambiamento di titolarità delle singole unità, con conseguenti<br />
cambiamenti nell’allestimento generale dell’arco e della sua decorazione.<br />
Infi ne, un ultimo aspetto importante riguarda la qualità formale intrinseca degli<br />
interventi passati, spesso legati a soluzioni costruttive non particolarmente<br />
ricercate o a materiali di scarso pregio, ma ormai storicizzati, che spesso<br />
hanno sostituito i precedenti assecondando quelle trasformazioni del gusto<br />
così ben documentate dagli elementi di arredo, ornamento e fi nitura, in modo<br />
particolare le lapidi (o monumenti diversi), i rivestimenti, e infi ne i tinteggi e<br />
le decorazioni pittoriche del muro.<br />
<strong>La</strong> funzionalità risulta quindi strettamente connessa alla trasformazione,<br />
anche e soprattutto nella gestione ordinaria del manufatto, che prevede il<br />
successivo inserimento di nuovi elementi di memoria, dei quali la funzione<br />
stessa richiede la conservazione.<br />
Poiché, non si può conservare tutto senza rischiare il collasso del sistema la<br />
pianifi cazione deve defi nire ambiti operativi compromissori.<br />
Gli elementi più signifi cativi da prendere in considerazione per un ulteriore<br />
approfondimento per la funzionalità e la caratterizzazione ambientale<br />
dell’Ottagono paiono quindi:<br />
- la rispondenza normativa e il rifl esso degli adeguamenti sull’immagine<br />
generarale del cimitero, oggi questo appare legato in prevalenza alla<br />
dimensione delle aperture delle cripte e alla disposizione delle bare nelle<br />
stesse, oltre che alla scivolosità (e quindi pericolosità) dei pavimenti;<br />
- i rivestimenti, in particolare pavimenti e tinteggi, ovvero la fi nitura<br />
ornamentale delle singole unità del portico, che come conseguenza del<br />
progetto originario espresso dal primo regolamento, si sono caratterizzate<br />
in modo relativamente autonomo, ancorché inquadrati in un’organizzazione<br />
generale dell’architettura formalmente unitaria (il portico).<br />
- la relazione tra passaggi di titolarità e trasformazioni, quest’ultima<br />
infatti rientra nella logica dell’uso della struttura ed è uno degli elementi di<br />
stratifi cazione storica del cimitero e l’accumulo della memoria, legato alla<br />
saturazione del cimitero.<br />
Su queste basi è possibile trovare un compromesso tra conservazione e<br />
funzionalità e defi nire ambiti e limiti degli interventi compatibili.<br />
Tutti gli studi fi n ora condotti confermano che l’Ottagono si è trasformato poco<br />
nella struttura e molto nell’immagine legata al trattamento delle sue superfi ci.<br />
Non è quindi diffi cile defi nire i limiti all’intervento sulle strutture, e degli stessi<br />
interventi additivi che possono essere vincolati all’integrazione nell’esistente,<br />
ma al contrario non è facile individuare i termini della conservazione di<br />
quanto esistente e della riqualifi cazione generale dell’ambiente attraverso<br />
interventi di valorizzazione dell’architettura.<br />
Per assurdo, si può dire che del cimitero originario resta solo la struttura,<br />
anche se forse l’Ottagono non è mai stato come doveva essere.<br />
I documenti ci raccontano di un cimitero progettato come oggetto fi nito<br />
e realizzato poco per volta, in un arco di tempo piuttosto lungo, di oltre<br />
cinquant’anni, durante i quali si assiste a non poche trasformazioni sociali,<br />
politiche e stilistiche.<br />
Contemporaneamente al completamento della costruzione degli archi<br />
dell’Ottagono, si assiste alla sua principale trasformazione, destinata a<br />
renderlo elemento di snodo funzionale, con la progettazione delle due gallerie<br />
gemelle e l’apertura dei varchi di collegamento nelle campate centrali. Le<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
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stesse gallerie, costruite ad alcuni decenni di distanza l’una dall’altra, sono<br />
diverse (per le modifi che alla seconda) al progetto primitivo, per non parlare<br />
della progressiva saturazione dei campi di inumazione, che era prevista<br />
dall’indicazione di principio di destinare il terreno ai lati dei viali principali alla<br />
costruzione di monumenti individuali per i cittadini illustri e benemeriti, poi<br />
degenerata nella pratica di costruzione di tombe sempre più grosse sino a<br />
diventare edicole nei primi decenni del 900.<br />
<strong>La</strong> rispondenza normativa<br />
Le trasformazioni alle strutture legate alla prima crescita del cimitero, sono<br />
accompagnate da numerosi interventi di manutenzione straordinaria ai<br />
tetti che non sembrano aver lasciato segni importanti, che si aggiungono<br />
all’adeguamento funzionale dei passaggi di accesso alle cripte, con il<br />
frequente raddoppio della superfi cie dell’apertura, talvolta associato al<br />
rifacimento della volta con un solettone di cemento armato per aumentare<br />
la capacità delle cripte.<br />
Inevitabilmente l’allargamento delle botole ha comportato il rifacimento dei<br />
pavimenti e la sostituzione delle lastre di chiusura.<br />
Oggi la dimensione di queste aperture costituisce il principale intralcio<br />
alla funzionalità, e quindi rappresenta un nodo importante da risolvere.<br />
L’immissione di bare attraverso aperture più piccole della proiezione<br />
orizzontale della bara stessa, infatti implica problemi operativi nella gestione<br />
ordinaria, che non sono solo legati al rispetto delle norme di sicurezza del<br />
lavoro, ma anche alla praticità e alla riduzione della manodopera richiesta<br />
per la tumulazione di bare di dimensioni maggiori. Il vano minimo per<br />
l’introduzione in orizzontale dovrebbe misurare almeno 210 per 70.<br />
Nella maggior parte delle cripte la botola, che originariamente sembra essere<br />
stata di circa 80 x 80 (misure della pietra, alle quali deve essere sottratto<br />
l’appoggio di circa 5 cm. per parte) misura 90 x 180. Un paio arrivano a 100<br />
cm di larghezza o a 200 di lunghezza.<br />
Oggi quindi nessuna apertura ha queste caratteristiche per permettere<br />
l’immissione delle bare di piatto, come sarebbe richiesto in attuazione della<br />
legge 626, ma per quelle cripte che hanno conservato l’apertura piccola,<br />
l’introduzione di bare standard appare quasi impossibile.<br />
<strong>La</strong> richiesta di una deroga con l’adozione di procedure adeguate, come<br />
suggerirebbe il desiderio di conservazione, non sembra una soluzione<br />
soddisfacente per la funzionalità, che richiede al contrario di agevolare la<br />
pratica d’uso.<br />
Si ritiene quindi opportuno cercare l’allungamento delle aperture nella<br />
maggioranza dei casi, limitando la deroga procedurale a quelle cripte che<br />
hanno pietre tombali particolarmente pregevoli. In alcuni casi l’adeguamento<br />
potrebbe comunque essere concesso integrando la pietra con elementi<br />
aggiuntivi.<br />
Nei pochi casi in cui di decidesse di vincolare il mantenimento dell’apertura<br />
primitiva, la cripta potrebbe essere usata solo come ossario o/o cinerario.<br />
Il problema di adeguamento delle aperture risulta quindi strettamente<br />
connesso al mantenimento/rifacimento dei pavimenti.<br />
Le botole che sembrano essere rimaste inalterate sono quelle delle arcate<br />
27 (foto 1), 75 (Barborini, foto 3), 85 (Meli Lupi) 111 (Costa, foto 2), 113<br />
(Rossi, foto 4), 24 (Cantelli, foto 5). <strong>La</strong> prima, la terza e la quarta sono<br />
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Relazione tecnica/ Settori<br />
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uguali, in pietra grigia con cornici uguali, a spigoli smussati e giunti sulle<br />
diagonali e sembrano offrire l’esempio di riferimento del progetto originario,<br />
altre non hanno cornice, o presentano una tipologia analoga al modello di<br />
riferimento realizzata con materiali più ricchi. Una sola (arco 66, famiglia<br />
Gramignola) presenta dimensioni ancora minori, ma potrebbe essere stata<br />
ridotta in seguito, con il rifacimento dei pavimenti.<br />
L’allargamento delle aperture sembra essere iniziato molto presto e non<br />
foto 1-2-3-4<br />
Botole di accesso alle cripte sotterranee negli archi 27, 111, 75, 113; la prima e l’ultima sono inserite in pavimenti ammattonati in<br />
modo similare.<br />
è escluso che gli ultimi archi siano stati realizzati fi n dall’origine con uno<br />
standard diverso, come documenta la pietra doppia in biancone della famiglia<br />
Carraglia, arco 127, datata 1859, con cornici in marmo rosa (foto 7).<br />
Pochi sono gli altri casi di lastre tombali di fattura più ricercata, scolpite<br />
(famiglia Crescini, arco 71, foto 6) o ornate da elementi metallici (famiglia<br />
Croci, foto 8 e Pia Unione Uffi cianti). Queste ultime risultano stilisticamente<br />
legate all’allestimento ornamentale dominante dell’arcata e in alcuni casi sono<br />
ben integrate nel disegno di pavimenti di marmo realizzati probabilmente nei<br />
primi decenni del secolo scorso, e pertanto potrebbero essere conservate.<br />
L’arco 128, dal quale si accede al chiostro Padre Lino, ha una botola doppia<br />
in cemento con cornice policroma in rilievo a listelli di marmo rosa e rosso<br />
(foto 9).<br />
<strong>La</strong> botola di chiusura è un elemento integrante del pavimento. In alcuni<br />
casi la chiusura risulta risolta come elemento emergente (in effetti si tratta<br />
del segno della sepoltura, la porta della casa eterna materializzata dalla<br />
cripta) ma in altri casi la chiusura tende ad essere neutra, dissimulandosi<br />
per quanto possibile nel pavimento. Moltissime sono le botole in cemento<br />
lisciato, e queste misurano quasi sempre 90 x 180.<br />
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Relazione tecnica/ Settori<br />
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foto 5-6<br />
Pavimento in mattonelle di cotto e botola di accesso alla cripta dell’arco 24 e particolare della botola incisa<br />
in marmo rosa dell’arco 71.<br />
I pavimenti<br />
L’allargamento delle aperture comporta un intervento sulle pavimentazioni,<br />
che sono un altro degli elementi importanti per la connotazione generale<br />
dell’Ottagono.<br />
I pavimenti attuali non sono omogenei né per materiale né per epoca di<br />
realizzazione, e in genere non presentano pregio particolare. Il materiale<br />
dominante è il cemento, accompagnato dal cotto e dal marmo. Nessuno ha<br />
pavimenti veramente belli. Non sempre ci sono bordature in corrispondenza<br />
degli archi di delimitazione delle campate, ma in genere è evidente il confi ne<br />
di pertinenza a metà pilastro. Il materiale della bordatura, anche quando è<br />
diverso, risulta sempre condizionato da quello del pavimento, con alcune<br />
associazioni obbligate, come il cemento lisciato bianco o grigio chiaro in<br />
associazione alle mattonelle cementizie a dama bianco/nera.<br />
Circa due terzi risultano coperti con piastrelle di cemento stampato a quadri<br />
rigati, in genere posati in diagonale con bordature diritte, più raramente<br />
posati diritti e senza bordature. Questi pavimenti, decisamente brutti,<br />
caratterizzano con particolare regolarità il lato della galleria Sud-Est, nel<br />
quale durante gli anni venti sono state aperte cappelle e corridoi di avelli.<br />
È possibile che il pavimento sia stato rifatto in quell’occasione, il materiale<br />
sembra compatibile con il periodo.<br />
Pochissimi sono infatti i pavimenti e le botole ascrivibili alla facies originale<br />
dell’Ottagono.<br />
I documenti testimoniano la pavimentazione in ammattonato dei viali interni,<br />
ma non prestano particolare attenzione alle pavimentazioni degli archi che,<br />
per il regolamento emanato da Maria Luigia alla fondazione del cimitero<br />
erano di libera fi nitura, come l’ornamento dei singoli archi.<br />
L’unico vincolo riguardava la necessità di matenere libero il transito e quindi<br />
il divieto di chiudere l’arco con cancelli o catene. Solo in un caso la presenza<br />
di quattro basi di marmo lascia intendere , fermata, di chiudere l’arco al<br />
passaggio degli estranei.<br />
Il fatto che nella seconda metà dell’ottocento siano stati ammattonati i<br />
viali non signifi ca che così fosse anche il pavimento di tutti gli archi, né e<br />
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Relazione tecnica/ Settori<br />
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necessario credere che tutti avessero pavimenti simili. In pochissimi archi il<br />
pavimento attuale sembra essere ancora quello primitivo, ma nella stragrande<br />
maggioranza esso è stato e rifatto, spesso insieme all’allargamento del<br />
varco della cripta. talvolta il rifacimento contemporaneo di archi contigui è<br />
riconducibile ad altri interventi, come l’apertura dei varchi delle gallerie, o ad<br />
una medesima proprietà.<br />
Cinque sono gli archi che conservano pavimenti in laterizio dolce; tre sono<br />
pavimentati in mattoni, due in pianelle quadrate ed in entrambe le soluzioni<br />
la campata risulta defi nita da bordature in mattoni a coltello di larghezza<br />
corrispondente alla metà pilastro, ovvero un mattone.<br />
I due archi con le pianelle (il 5 e il 24, appartenenti rispettivamente alle<br />
famiglie Pavarani e Cantelli) si trovano nel lato dell’ingresso, che fu il primo<br />
ad essere costruito. I tre ammattonati, coi mattoni disposti di piatto testaavanti,<br />
sono invece nei due lati obliqui meridionali e sul fondo a sinistra<br />
dell’oratorio. Due di questi, 27 e 113 (foto 11) hanno ancora la botola piccola<br />
(circa 80 cm di lato) in pietra grigia con cornici uguali ad angoli smussati. Lo<br />
stesso tipo di cornice si ritrova in alcune altre tra le poche botole che non<br />
sono state allargate e in altre di grande dimensione.<br />
Nell’arco 133 la botola, che è doppia, ha una bordatura in mattoni di piatto,<br />
che da una parte sono stati tagliati, forse per un successivo allargamento<br />
della botola.<br />
Un unico arco ha il pavimento a seminata palladiana verde con bordature<br />
gialle (107, famiglia Gambara, originariamente appartenuto ai Sanvitale,<br />
foto 12); un altro ha un pavimento in cemento colorato con una dama di<br />
piastrelle bianco/nero bordate altenate in positivo/negativo intorno ad una<br />
botola bordata di marmo (52, famiglia Zileri , foto 13).<br />
Più numerosi sono gli archi con vecchi pavimenti in piastrelle di cemento<br />
colorato bianco e nero a dama; in genere questi risultano accorpati a<br />
gruppetti per i quali sono documentati lavori o proprietà comuni alla fi ne<br />
dell’800 (121-123-125, allestiti nel 1890 dalla Congregazione della beata<br />
Vergine del Fiore) (142 -144 -146, che furono ristrutturati nel 1875 insieme<br />
ad altri del Sodalizio della santissima Annunziata), o all’inizio del 900 (78 –<br />
80 – 82, dove è stata aperta la galleria nord, completata nel 1905, foto 10).<br />
foto 7-8-9<br />
Botole di accesso alle cripte sotterranee negli archi 127, 94, 128; sono le più signifi cative tra quelle arricchite da motivi ornamentali<br />
dell’intero Ottagono.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
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Questi ultimi conservano una bordatura di mattoni a coltello.<br />
Anche le arcate, 20 (famiglia Le Brun), 6 e 8 hanno vecchi pavimenti<br />
in cemento colorato a dama, con bordatura in cemento lisciato chiaro,<br />
riconducibili ai primi anni del ‘900, gli ultimi due, di proprietà comunale,<br />
sembrano essere stati fatti insieme.<br />
Cinque archi (104, famiglia Ortalli; 102, famiglia Bulloni-Serra; 94, famiglia<br />
Croci; 90, famiglia Nazzani; 36, famiglia Rossi di San Polo) hanno pavimenti,<br />
in marmo di Carrara bianco e grigio, a dama, tozzetti o con un disegno<br />
grande a fasce e cornici, forse risalenti agli anni ‘20-’30 .Tutti questi pavimenti<br />
risultano ben integrati nell’allestimento ornamentale dell’arco e pertanto si<br />
ritiene giusta la loro conservazione.<br />
In alcuni casi il rifacimento dei pavimenti è riferibile all’accorpamento di archi<br />
foto 10-11<br />
Pavimento in cemento colorato a dama (arco 78/80) con bordatura di mattoni a coltello; pavimento in mattoni (arco 113) con<br />
bordatura di mattoni a coltello.<br />
alla disponibilità da parte di confraternite religiose o laiche, come quelli della<br />
curia (a sinistra dell’oratorio), della Pia Unione Uffi cianti (lato nord-ovest). I<br />
pavimenti di rifacimento più recente sono in cotto ferrigno tipo Impruneta,<br />
più o meno rustico, con bordature a listello, come si osserva nei due archi<br />
dell’Università e in molti della curia o di congregazioni religiose.<br />
Cemento a scacchi ‘cioccolata’ nella galleria Sud-Est, successivi agli<br />
interventi degli anni ‘20/’30.<br />
L’arco di ingresso è pavimentato in lastre di granito.<br />
Come previsione generale, si ritiene che siano pochi i pavimenti da<br />
assoggettare a vincolo di mantenimento, mentre la maggior parte potrebbero<br />
essere rifatti secondo prescrizioni comuni, ma non vincolate, in modo da<br />
mantenere quella discrezionalità che era stata prevista dal progetto originario.<br />
Si potrebbe quindi defi nire una rosa di materiali e di tipologie di posa,<br />
imponendo la realizzazione di bordature anche negli archi che attualmente<br />
ne sono sprovvisti, che in genere sono quelli con le pavimentazioni più<br />
incongrue: beola, porfi do, cemento stampato a quadri o righe.<br />
Si ritiene che l’intervento sui pavimenti potrebbe dare un contributo<br />
importante alla riqualifi cazione dell’immagine generale del cimitero, limitando<br />
il rifacimento a quelli privi di pregio, che sono la maggioranza. Importante<br />
sarebbe il ripristino delle bordature, per le quali dovrebbero essere privilegiati<br />
il mattone a coltello e il cemento lisciato.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
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foto 12-13<br />
Pavimento a palladiana (arco 107) e mattonelle in cemento colorato (arco 52)<br />
Il colore, l’arredo e gli ornamenti pittorici<br />
Come i pavimenti sono strettamente correlati agli interventi di adeguamento<br />
delle aperture, fondamentali per il mantenimento della funzione, anche la<br />
presenza di elementi di arredo, decorazioni pittoriche e lapidi risulta connessa<br />
e condizionata dalla consuetudine legata all’uso, di ricordare i defunti<br />
attraverso elementi costruiti. Questo porta alla progressiva copertura del<br />
muro di fondo, secondo modalità e logiche che in genere sono condizionate<br />
dalla concezione generale dell’arco.<br />
In genere quelli di uso collettivo di proprietà comunale o di uso riservato<br />
associazioni diverse, sono caratterizzati dalla presenza di singole lapidi più<br />
o meno allineate, ma molto diverse tra loro, mentre quelli appartenenti a<br />
congregazioni religiose o confraternite sono spesso uniformi o integrate in<br />
un unico rivestimento marmoreo della parete di fondo.<br />
Più diversifi cata la soluzione degli archi di uso privato.<br />
Talvolta questi presentano un monumento funebre più o meno complesso<br />
(dalla semplice lapide iscritta al sarcofago) al centro della parete di fondo,<br />
dedicati ad un particolare membro della famiglia proprietaria, attorno al<br />
quale sono stati aggiunti oggetti successivi. Il monumento principale,<br />
quando c’è, è quasi sempre di gusto neoclassico, in marmo e in alcuni casi<br />
si integra con una decorazione pittorica a tempera, quasi sempre a carattere<br />
architettonico.<br />
foto 14-15<br />
Tracce di colore rosso nella volta a vela dell’arco 17, decorazione dell’arcone e del pilastro tra<br />
la campata d’angolo e l’arco 27.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
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Le decorazioni pittoriche, quando sono documentate, risultano eseguite<br />
nella seconda metà dell’800, tra il 1861 e il 1880. Nello stesso periodo<br />
vengono realizzate anche decorazioni di altro tipo, come monumenti di<br />
gusto neoclassico e rivestimenti marmorei della parete di fondo, sovrastata<br />
da una lunetta dipinta.<br />
In alcuni casi al centro dell’arco esterno sono stati eretti sarcofagi con sculture,<br />
di fattura pregevole (arco 77, 81, 152, 102, 44) o cippi commemorativi (87,<br />
Paolo Toschi).<br />
Il confronto tra il registro delle arcate, sul quale è indicata la prima proprietà<br />
con altri documenti di archivio evidenzia un frequente cambio di possesso,<br />
per la cessione di archi comunali o il passaggio (forse indiretto o per<br />
successione) tra privati. Un esempio è l’arco 69, originariamente attribuito<br />
al comune “per uomini a tempo” (1852), poi ceduto alla famiglia Sanvitale<br />
(1868) e infi ne alla famiglia Gambara nel 1878, dopo che i Sanvitale avevano<br />
acquistato una cappella nella Galleria sud (1977).<br />
Ovviamente il passaggio di proprietà comportava la sostituzione degli<br />
elementi di riconoscimento gentilizio, e quindi l’arredo dell’arco e/o la sua<br />
decorazione pittorica, non necessariamente estendendo l’intervento al<br />
rifacimento del pavimento, normalmente più anonimo.<br />
Numerose sono le tracce di decorazioni diverse al di sotto di rivestimenti o<br />
lapidi (foto 14) o nelle pareti, come nell’arco 92, di proprietà comunale oggi<br />
come in origine, che aveva un portale dipinto, del quale resta solo la parte<br />
superiore.<br />
Spesso la presenza di ornamenti dipinti, ottocenteschi o libery, interessa<br />
anche la volta e in alcuni casi (arco 27) riprende un elemento ornamentale<br />
ricorrente negli archi trasversali e nei pilastri di tutto il cimitero: fasce<br />
alternate gialle e rosse con venature più scure, che sembrano essere state<br />
una sorta di canovaccio comune che caratterizzava gli elementi di sostegno<br />
e separazione delle campate (foto 16-17). È probabile che questa soluzione<br />
pittorica risalga ad un periodo successivo alla costruzione degli ultimi archi<br />
foto 16-17<br />
sfondato architettonico dipinto che riprende il motivo a fasce nell’arco 154, lunette e arcone decorato negli archi 146 e 144.<br />
(1873).<br />
In alcuni casi sotto differenti strati di colore, si intravedono rosoni dipinti o<br />
cornici e fi nti costoloni (foto 22).<br />
Anche gli archi di proprietà comunale avevano una loro decorazione, tanto<br />
che nel 1862 viene ordinato di tinteggiare 8 archi, ornati con lo stemma<br />
comunale (archi 15, 19, 21, 23, 25, 45, 77, 81). Nello stesso intervento di<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
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manutanzione è stata tinteggiata la volta d’ingresso con cornicioni e ‘ornati<br />
nel mezzo’. Nello stesso documento sono riportate indicazioni riguardo alla<br />
fi nitura dei cornicioni della struttura del porticato che risultano tinteggiate di<br />
color macigno.<br />
Una perizia del 1861, per la costruzione di tre nuovi archi (archi 45, 47, 49),<br />
riporta che l’esterno dell’arco era dipinto a semplici bugne, la presenza di una<br />
decorazione a bugnato potrebbe trovare conferma con analisi startigrafi che<br />
del rivestimento.<br />
Il ripristino dell’apparato pittorico e del colore originario delle volte, nelle<br />
quali emerge un substrato rosa/rosso (foto 14) potrebbe contribuire a<br />
conferire una maggior unitarietà all’insieme, ma comporterebbe un cambio<br />
di immagine molto forte, perché i colori dominanti erano piuttosto carichi.<br />
Più diffi cile individuare il colore originale del muro esterno, che in qualche<br />
punto denuncia tracce rosso/rosa e dell’esterno del portico, verso i campi<br />
di inumazione (forse arancio/rosa), più volte tinteggiati, per i quali sono<br />
necessari saggi stratigrafi ci.<br />
Una decorazione unitaria, della quale restano numerose tracce sembra<br />
quindi aver interessato l’intelaiatura strutturale degli archi, mentre per<br />
individuare il colore originario delle superfi ci esterne (soprattutto all’interno<br />
del cimitero) sono necessari saggi stratigrafi ci sulle pareti. Solo sul lato dove<br />
si trovano gli archi della Pia Legione Offi cianti, realizzati nel 1867, non ci<br />
sono tracce di decorazioni.<br />
<strong>La</strong> ricerca e il ripristino delle colorazioni e delle decorazioni delle “parti<br />
comuni” (esterni e partiture strutturali) potrebbe essere importante per<br />
ridare unitarietà all’insieme, svincolando dall’intervento le pareti di fondo<br />
delle arcate, per le quali non è mai esistita una fi nitura obbligata, ma che è<br />
possibile che in assenza di decorazioni avessero un colore comune.<br />
Le relazioni tra proprietà e trasformazioni, l’accumulo della memoria<br />
I documenti, come accennato, documentano frequenti cambi di titolarità<br />
degli archi, ma non sono pochi quelli che sono sempre rimasti nelle stesse<br />
mani.<br />
In particolare dall’esame degli spostamenti delle proprietà si osserva come<br />
la presenza degli archi in uso ai religiosi, in origine a destra dell’ingresso, si<br />
sia spostata ai due lati dell’oratorio, mentre la Pia Unione Uffi cianti detiene<br />
quasi l’intero lato nord-ovest. I suoi archi sono ben riconoscibili per la fi nitura<br />
comune di pavimenti, botole, pareti e lunette dipinte e sono tra gli ultimi ad<br />
essere stati costruiti (foto 20).<br />
Poiché il passaggio di possesso comporta l’inserimento di elementi di<br />
riconoscibilità, e quindi in generale un riallestimento dell’arco, questo<br />
costituisce un elemento delicato da affrontare in sede di pianifi cazione, per<br />
evitare o comunque controllare la dispersione della memoria.<br />
Bisogna anche tenere conto del titolo di permanenza delle salme e del loro<br />
eventuale ruolo storico. Molti sono negli archi i defunti dei quali le lapidi<br />
ricordano i meriti civici, scientifi ci, artistici o politici, ma anche i caduti per<br />
l’indipendenza della Nazione, i morti nei moti del 1848 (arco 56 richiesto<br />
dal Presidente della società dei Reduci delle Patrie Battaglie nel1881, di<br />
proprietà comunale) e l’arco 56 della Federazione del Nastro Azzurro<br />
(decorati al valor militare). Diventa quindi importante individuare un elenco<br />
di salme e lapidi inamovibili per il loro valore storico, distinguendole da<br />
quelle per le quali il ricordo si perde nella comune pietas, ma che potrebbero<br />
essere ridotti o traslati per lasciare spazio a nuove salme.<br />
29
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Quest’ultimo fatto sembra essere di grande importanza per limitare il<br />
rischio, evidenziato in altri cimiteri, di una progressiva perdita fruizione ed<br />
eccessiva musealizzazione del cuore monumentale del cimitero, a causa<br />
dell’allentamento delle relazioni tra i defunti e la popolazione, che ha bisogno<br />
del mantenimento della funzione attiva (nuove tumulazioni anche nella parte<br />
pantheonizzata del cimitero).<br />
<strong>La</strong> presenza di 70 archi privati e 40 ad uso della chiesa (congregazioni,<br />
confraternite, curia) dovrebbe limitare il rischio, ma il Comune potrebbe<br />
contribuire, concedendo un uso riservato delle sue cripte, ai cittadini<br />
benemeriti o a consorterie di vario genere.<br />
Questo potrebbe comportare la necessità di riposizionare le lapidi o altri<br />
elementi, all’interno dei pilastri o in un nuovo lapidario.<br />
Degrado dei materiali e delle strutture<br />
Le cause generali di degrado, rilevate nella parte monumentale del cimitero<br />
della villetta, possono distinguersi in intrinseche ed estrinseche. Le prime<br />
dovute al sito, a difetti di progettazione, ai problemi di cantiere, le seconde<br />
legate ai fattori esterni naturali come, per esempio, l’umidità e gli agenti<br />
atmosferici.<br />
I meccanismi di degrado intrinsechi individuati sono:<br />
- la scelta del luogo, particolarmente ricco d’acqua,la falda acquifera è<br />
alta, e al momento dell’edifi cazione attorno era presente un sistema di<br />
canalizzazioni che portava acqua ad un antico mulino.<br />
- la progettazione incompleta (non comprendeva fi n dall’inizio gli ampliamenti<br />
realizzati),<br />
- la realizzazione in tempi diversi, a causa di problemi gestionali si sono<br />
realizzati inizialmente il recinto,l’ingresso e pochi archi, inoltre la costruzione<br />
degli altri archi è avvenuta senza soluzione di continuità<br />
I meccanismi di degrado estrinsechi legati all’umidità si possono riassumere<br />
in due punti:<br />
- risalita capillare<br />
- infi ltrazioni (per mancato convogliamento delle acque piovane)<br />
a questi fenomeni si accompagnano, alcuni secondari come la crescita di<br />
micro organismi vegetali.<br />
Il fenomeno della capillarità è il principale responsabile della risalita dal<br />
sottosuolo dell’acqua proveniente dalla falda freatica. (<strong>La</strong> capillarità consiste<br />
nella capacità delle pareti interne delle microcavità del materiale di esercitare<br />
attrazione nei confronti delle molecole d’acqua, consentendone il movimento<br />
all’interno del muro. Questo fenomeno è possibile in tutte le direzioni, nel<br />
caso di risalita, è in grado di opporsi, alla stessa forza di gravità)<br />
L’umidità di risalita si distribuisce lungo l’intero spessore e la sua altezza<br />
tende sensibilmente a diminuire in prossimità delle superfi ci esterne,<br />
soprattutto in corrispondenza delle zone maggiormente ventilate.<br />
<strong>La</strong> risalita d’acqua dal sottosuolo implica il trasporto all’interno del muro di<br />
sali la cui natura igroscopica incrementa il fenomeno.<br />
Gli effetti delle infi ltrazioni sono analoghi quelli della risalita per capillarità:<br />
- presenza di macchie,<br />
- crescita di microrganismi<br />
- danneggiamenti provocati da gelività e cristallizzazione.<br />
A questi fattori di degrado evidente presenti nella muratura dell’ottagono se<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
ne aggiungono altri non calcolati, come gli eventi metereologici eccezionali<br />
(importanti nevicate), fattori geologici (i numerosi terremoti subiti),fenomeni<br />
di inquinamento naturali (gas naturali) e artifi ciali (trasporti a motore,riscald<br />
amento,attività industriale), infi ne il fenomeno delle vibrazioni al passaggio<br />
dei mezzi lungo la strada che si avvertono sulle strutture fi no a 50 m di<br />
distanza.<br />
Inoltre ai fattori di degrado chimico (carbonatazione, solfatazione,ossidazion<br />
e, argillifi cazione) che modifi cano la composizione profonda del materiale, si<br />
aggiungono quelli di tipo fi sico (sollecitazioni da carico,dilatazione termica,<br />
gelività,cristallizzazione,erosione alveolare).<br />
Tutto questo si manifesta con il distacco degli intonaci e il degrado delle<br />
murature, soprattutto nei mesi invernali in condizioni di gelo e disgelo.<br />
Oltre al degrado dell’apparato murario esiste anche un fenomeno di degrado<br />
dei rivestimenti marmorei(lapidi)<br />
Il rilievo dello stato conservativo del Portico, ha messo in evidenza i principali<br />
problemi statici del colonnato ottagonale e di alcuni edifi ci ad esso collegati,<br />
che costituiscono la parte monumentale del complesso architettonico. In<br />
particolare sono stati osservati l’ottagono e le gallerie nord e sud est. Si è<br />
quindi cercato quello di raccogliere dati e informazioni che permettessero<br />
di produrre ipotesi credibili, atte a giustifi care l’attuale stato fessurativo,<br />
attraverso il confronto tra quanto riportato dai documenti che interessano la<br />
costruzione e quanto evidenziato dai soppralluoghi.<br />
Le lesioni e le deformazioni rilevate riguardano sia l’apparato murario<br />
che quello del rivestimento marmoreo di alcune arcate, oltre alla<br />
presenza generalmente diffusa di lapidi, molte delle quali evidenziano<br />
preoccupantidistacchi dal muro. Infatti, oltre a considerazioni inerenti alla<br />
difesa del patrimonio architettonico, sono da tenere presenti anche alcuni<br />
aspetti della sicurezza di chi ci lavora e di chi frequenta i luoghi.<br />
Alla luce dei documenti trovati negli archivi, si può confermare che:<br />
- la costruzione del portico sia avvenuta successivamente a quella del<br />
recinto perimetrale;<br />
- l’edifi cazione dei portici non è avvenuta durante il medesimo cantiere ma<br />
lungo un arco di tempo di circa cinquant’anni;<br />
- le indicazioni per realizzare ogni singolo arco fossero uguali per tutti<br />
(ASC/1860/B5/disposizioni per la costruzione degli archi)<br />
Le date signifi cative della costruzione del portico possono essere così<br />
riassunte:<br />
foto 18-19<br />
decorazioni pittoriche liberty nella volta dell’arco 104, famiglia Ortalli-<strong>La</strong>urent, sotto le quali si<br />
riconosce una coloritura diversa; nel 1868 l’arco apparteneva aduna congregazione di dame<br />
eretta presso la chiesa di San Sepolcro .<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
- 1819-1823 Costruzione dell’ottagono murario di recinzione;<br />
- 1876 Rimangono da terminare 6 archi ASC/1895/B1111/CULTO;<br />
- 1898-1905 Costruzione galleria nord ASC/1817/B543/disposizione sovrana<br />
sullo stabilimento di un cimitero per la città di Parma(lettera di Cocconcelli);<br />
Il dissesto che interessa l’edifi cio dell’ottagono, proprio per la natura<br />
meccanica dei fenomeni, implica una connessione tra l’alterazione del<br />
sistema costruttivo e quella della consistenza architettonica ovvero tra i<br />
cinematismi e i fenomeni di degrado sopracitati.<br />
L’analisi diretta delle strutture è avvenuta tramite l’individuazione del quadro<br />
fessurativo. Questo passaggio risulta essere indispensabile e funzionale ad<br />
un eventuale progetto di restauro.<br />
I dissesti più evidenti sono quelli dei muri in elevazione e delle volte.<br />
Dal punto di vista statico le volte si possono considerare composte da una<br />
serie di archi collocati in maniera diversa a seconda della loro conformazione,<br />
quindi i meccanismi di rottura hanno forti analogie con quelle degli archi.<br />
<strong>La</strong> struttura ad arco ideale consente la trasmissione dei carichi tramite a<br />
cosiddetta “funicolare dei carichi” che passa per il nocciolo d’inerzia della<br />
sezione resistente, tale da produrre solo sforzi di compressione all’interno<br />
dei singoli conci. All’imposta, il pilastro riceve una spinta che si compone<br />
di una parte verticale e una orizzontale (su queste componenti di spinta<br />
si basa il principio di rottura dell’arco detto di “cernierizzazione”) questo<br />
comportamento fa si che possa avvenire il ribaltamento del piedritto per<br />
incapacità di sopportare la spinta dell’arco.<br />
In ripetuti sopralluoghi sono stati eseguiti rilievi diretti e strumentali per il<br />
dimensionamento geometrico dei fuoripiombo e degli abbassamenti, rilievi<br />
a campione di tre cripte per ricostruire il dimensionamento generale delle<br />
strutture murarie interrate, integrati da rilievi fotografi ci del portico e del<br />
sottotetto. Nel loro complesso i rilievi hanno permesso di restituire sulla<br />
planimetria dell’Ottagono lo stato complessivo del quadro fessurativo del<br />
portico e delle due gallerie più recenti, sul quale si possono formulare<br />
alcune prime ipotesi di movimento la cui verifi ca richiede studi e analisi più<br />
approfondite.<br />
Lo stato attuale delle murature, in particolare delle superfi ci voltate presenta<br />
in modo diffuso delle lesioni che coinvolgono sia gli archi dell’ottagono si la<br />
galleria sud-est e quella nord.<br />
In molti casi i normali interventi di stuccatura con malte cementizie non sono<br />
suffi cienti a sanare i problemi che si ripropongono dopo poco tempo. L’unita<br />
è costituita si adalla volta superiore sia dalla cripta ove sono contenute le<br />
bare. Il solaio della delle cripte è costituito da una volta a botte. Si sono<br />
rilevati numerosi avvallamenti concavi nel pavimento legati ad un dissesto<br />
della volta della cripta, questo problema insieme a quelli citati determina una<br />
scarsa sicurezza per i frequentatori del cimitero.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Le conclusioni di questa prima indagine:<br />
1- i lati dell’ottagono hanno un movimento che determina fessurazioni<br />
importanti in corrispondenza degli angoli.<br />
2- stiamo assistendo probabilmente ad un fenomeno di apertura degli archi<br />
a causa di una rotazione opposta e non sempre contemporanea del muro<br />
di cinta e del colonnato lungo un asse del piano d’appoggio.<br />
<strong>La</strong> restituzione evidenzia:<br />
- i lati dell’ottagono hanno un movimento che determina fessurazioni<br />
importanti in corrispondenza degli angoli;<br />
foto 20-21-22<br />
lunetta e volta dipinta negli archi della Pia Unione Uffi cianti, rivestimento marmoreo dell’arco<br />
90, tracce del costolone dipinto su volta e del rivestimento marmoreo della lunetta dell’arco<br />
130 (famiglia Mauri) .<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
- fenomeno di apertura degli archi a causa di una rotazione opposta e non<br />
sempre contemporanea del muro di cinta e del colonnato lungo un asse del<br />
piano d’appoggio;<br />
- presenza di catene al di sopra di alcuni archi che non aiuta il comportamento<br />
degli stessi;<br />
- presenza di acqua nelle murature causa scatenante dei fenomeni di<br />
degrado matrici;<br />
- presenza di infi ltrazioni dal tetto;<br />
- presenza di importanti fessurazioni nella galleria sud est e nord;<br />
- presenza di dissesti di alcune volte delle cripte<br />
In mancanza di indagini geologiche e di un monitoraggio delle strutture,<br />
non si possono fornire risposte esaustive dei cinematismi della struttura.<br />
L’indagine qualitativa permette però la formulazione di alcune ipotesi sulle<br />
cause che hanno determinato e che determinano il quadro fessurativo:<br />
- la discontinuità del cantiere ha sicuramente impedito di creare degli<br />
ammorsamenti suffi cienti a mantenere le strutture solidali;<br />
- la tipologia dei lavori per la formazione di ogni arco ha interessato sempre<br />
le fondazioni del muro di cinta;<br />
- il lungo sviluppo del portico senza giunti ( di dilatazione) non permette un<br />
comportamento indipendente delle varie parti del colonnato;<br />
- la presenza in passato di un sistema di canalizzazioni non rassicura sulla<br />
quota della falda acquifera il cui livello varia con le stagioni determinando<br />
aumenti e diminuzioni di volume del terreno.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
INGRESSO<br />
Descrizione generale e architettura<br />
L’ingresso dell’ottagono è costituito da un portale rialzato di ispirazione egizia<br />
in laterizio sagramato, che immette in un atrio di tre arcate con volte a<br />
vela, realizzato tra il 1817 e il 1821, quando fu costruito il portone, sotto la<br />
direzione dell’Ing. Domenico Ferrari, su progetto di Giuseppe Cocconcelli.<br />
L’ingresso fu ristrutturato nel 1905 dall’Arch. Villa, con l’aggiunta dei due<br />
avancorpi laterali a torretta, che dovevano contenere la guardiola del custode<br />
e i servizi igienici.<br />
Nel 1980 vennero eseguiti ulteriori lavori di restauro.<br />
Il portale rialzato è di ispirazione egizia, in laterizio. Gli avancorpi costruiti in<br />
epoca più tarda presentano ornati in calcestruzzo di ispirazione liberty.<br />
foto 23 - l’ingresso nel progetto del 1905<br />
Documentazione archivistica di progetto<br />
I documenti relativi all’ingresso del cimitero sono riassunti nel regesto dei<br />
documenti consultati in relazione alla schedatura architettonica dell’Ottagono<br />
Monumentale.<br />
Essi hanno permesso di datare la realizzazione e i successivi interventi che<br />
hanno interessato i manufatto.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Caratteristiche della costruzione<br />
<strong>La</strong> costruzione è sviluppata su un unico livello, con elementi portanti in muratura<br />
comune: in mattoni per il sopralzo e in rottura con mattoni nuovi.<br />
Gli orizzontamenti voltati e gli archi sono in muratura nuova e calcestruzzo<br />
in calce. Il soffi tto degli avancorpi è costituito da travi in ferro (in numero di<br />
15).<br />
<strong>La</strong> copertura è in coppi, mentre gli avancorpi hanno una struttura di travi<br />
in ferro e cantieni nuovi e usati, con copertura in tegole marsigliesi, con<br />
copertura in cemento sopra l’attico. Le docce e i tubi sono previsti in ferro<br />
zincato<br />
foto 24-25 - ingresso e guardiola<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
<strong>La</strong> pavimentazione è in cemento con ghiaia e ciottoli sottostanti, in mattoni<br />
nuovi con ghiaia sottostante e in accoltellato. Il marciapiede è previsto in<br />
cemento con cordolo.<br />
Gli elementi ornamentali in calcestruzzo sono costituiti da: un cornicione<br />
sagomato, cornici doppie sagomate, mezzi circoli sporgenti formanti ornato,<br />
ghirlande in cemento, capitelli e basi per piastrini.<br />
L’intonaco degli interni è in calce e in cemento comune, alcune decorazioni<br />
sono fatte in cemento lucido (detto anche stuccato). <strong>La</strong> protezione esterna<br />
è in intonaco sagramato (frattato) e intonaco giallo-Parma.<br />
Secondo i documenti del collaudo del 4/3/1903 risulta che per il freddo l’intonaco<br />
frattato era in parte caduto. Altre rifi niture sono fatte con la tecnica<br />
della granitura con sabbia.<br />
Nei documenti di Capitolato sono specifi cati alcuni interventi di tinteggi a<br />
colla, ossia con l’aggiunta di additivi.<br />
Stato conservativo<br />
L’edifi cio è stato posto sotto tutela, gli interventi rientreranno nella categoria<br />
di restauro scientifi co e dovranno perciò essere preceduti da indagini e stratigrafi<br />
e per individuare le essenze originarie dei materiali.<br />
<strong>La</strong> struttura si presenta in buone condizioni di conservazione.<br />
In un ipotesi di intervento si proporrebbe la riapertura delle fi nestre ad arco<br />
degli avancorpi, ora tamponate, per riportare l’edifi cio alla condizione originaria.<br />
foto 26-27<br />
elementi architettonici e decorativi degli avancorpi laterali l’ingresso principale<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
ORATORIO DI SAN GREGORIO MAGNO<br />
Descrizione generale e architettura<br />
<strong>La</strong> cappella del cimitero della <strong>Villetta</strong>, fatta costruire nel 1819 su progetto di<br />
Giuseppe Cocconcelli, è collocata nel lato ovest dell’ottagono monumentale,<br />
in asse con l’ingresso principale.<br />
L’edifi cio a pianta quadrata con vano centrale ottagonale è di chiaro stile<br />
neoclassico, con portico esastilo con colonne doriche e timpano.<br />
Il progetto della cappella del cimitero, con disegni autografi di Giuseppe<br />
Cocconcelli, risale al 1819, ma l’edifi cio fu consacrato nel 1823 con dedicazione<br />
a San Gregorio Magno.<br />
All’interno è conservata una pala d’altare dipinta da Giorgio Schrerer (1823),<br />
raffi gurante San Gregorio.<br />
L’edifi cio è una chiesa neoclassica a pianta quadrata con il vano centrale<br />
foto 28-29<br />
l’Oratorio nel progetto originale<br />
ottagonale, preceduta da un portico dorico tetrastilo con colonne intonacate<br />
con base e abaco in marmo biancone, disposta su un basamento rialzato<br />
con pavimento in piastrelle di cemento, in cattive condizioni.<br />
Il pavimento interno invece ha una palladiana di marmo a due colori, grigio-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
verde e giallo, con cornice perimetrale e passatoia centrale.<br />
L’esterno, intonacato e tinteggiato di giallo-arancio, non presenta elementi<br />
ornamentali a parte il colonnato che regge il timpano del portico.<br />
Gli interni sono abbastanza spogli.<br />
Il vano principale, ottagonale ha volta a padiglione in mattoni, il tetto ha<br />
capriate lignee. Il manto esterno è in coppi, negli addossati sul retro in<br />
tegole.<br />
Nel 1926 è stato aggiunto un coro a terminazione poligonale, su progetto<br />
dell’Ing. Vitali Mazza.<br />
Documentazione archivistica di progetto<br />
I documenti relativi alla realizzazione dell’Oratorio sono riassunti nel regesto<br />
dei documenti consultati in relazione alla schedatura architettonica dell’Ottagono<br />
Monumentale.<br />
Essi hanno permesso di datare le fasi della realizzazione e dei successivi<br />
interventi.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
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Caratteristiche della costruzione<br />
<strong>La</strong> parte più consistente della documentazione ritrovata in archivio riguarda<br />
l’ampliamento, nel 1926, del coro dell’oratorio. Tale ampliamento ha comportato<br />
la demolizione del muro Ovest, per permettere l’inserimento della<br />
nuova porzione di edifi cio.<br />
Nel Capitolato speciale d’appalto viene riportata la descrizione delle tipologie<br />
costruttive e dei materiali utilizzati.<br />
Le fondazioni nuove sono in calcestruzzo formato con mc 0,800 di ghiaia,<br />
mc 0,400 di sabbia e kg 135 di calce comune<br />
Le murature sono in mattoni nuovi, mentre le volte di quarto che completano<br />
il coro sono in stuoie ed intonaco civile, tipologia molto utilizzata nei primi<br />
anni del ‘900.<br />
<strong>La</strong> malta è composta da 150kg di calce idraulica e da mc 0,35 di sabbia.<br />
<strong>La</strong> copertura ha un’orditura principale di putrelle in ferro e capriate lignee<br />
che sorreggono il manto in coppi. Gli addossati sul retro hanno copertura<br />
in tegole.<br />
<strong>La</strong> pavimentazione del coro è in mattoni nuovi.<br />
I fregi e le decorazioni sono costituite da un cornicione sagomato e cornici<br />
doppie.<br />
Un documento della Commissione Edilizia del 13 luglio 1926 esprime parere<br />
favorevole all’approvazione del progetto di costruzione del coro, “…a condizione<br />
però che l’apertura d’accesso al coro sia costruita in arco anziché<br />
ad architravee conseguentemente anche la copertura del coro sia a spicchi<br />
di volta ”, questo porta a dedurre che il primo progetto presentato dall’Ing.<br />
Mazza non avesse le stesse caratteristiche di quello poi effettivamente realizzato.<br />
foto 30-31 L’Oratorio<br />
Stato conservativo<br />
L’edifi cio è stato posto sotto tutela, gli interventi saranno di restauro scientifi -<br />
co, preceduti da indagini per individuare le essenze originarie dei materiali.<br />
L’edifi cio si trova in un discreto stato di conservazione.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
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GALLERIA SUD<br />
foto 32-33 Ingresso e braccio interno della Galleria Sud<br />
Descrizione generale e architettura<br />
Nel 1875 si iniziò a considerare la possibilità di ampliare il cimitero della<br />
<strong>Villetta</strong> e si pensò all’edifi cazione di due gallerie coperte a pianta cruciforme<br />
per una capacità totale di 4040 posti, una posta a Sud e una a Nord dell’ottagono<br />
monumentale.<br />
Nel 1876 venne emanato l’avviso pubblico per l’appalto dei lavori di ampliamento<br />
e successivamente riportati i disegni di progetto e ampliamento.<br />
Il Capitolato d’appalto venne stipulato nel 1880 per i lavori in muratura per la<br />
continuazione e il compimento della Galleria<br />
Il disegno del cancello d’ingresso alla galleria è opera dell’Ing. Bergamaschi.<br />
Nel 1884 viene indetto un concorso per la realizzazione dell’ottagono alla<br />
crociera dei bracci, di cui sono riportati i disegni e il rendiconto dei lavori<br />
eseguiti.<br />
I lavori si protraggono fi no al 1898 quando si eseguono le aperture per il<br />
passaggio di persone dal campo principale a quello attorno alla galleria.<br />
Altri lavori vengono effettuati nel 1923, quando vengono aperti dei vani nel<br />
pavimento per illuminare e areare i sotterranei.<br />
<strong>La</strong> galleria ospita in alcune cappelle le spoglie di personaggi illustri della<br />
città: Giacomo Tommasini, Giordano Cavestro, Giovanni Battesimi, Neri Filippo.<br />
Nei quadri sono sepolti Campanili Italo, Arisi Enrico, Pietro Cocconi e<br />
Girolamo Magnani.<br />
<strong>La</strong> galleria sud venne disegnata dall’Ing. Sante Bergamaschi nel 1875, con<br />
un progetto che prevedeva la realizzazione di due strutture gemelle di forme<br />
neoclassiche. Si tratta di una galleria a croce latina con bracci absidali,<br />
articolata su due livelli: quello superiore costituito da un piano rialzato, con<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
cappelle gentilizie lungo i fi anchi e sulle tre testate libere e quello inferiore<br />
da un seminterrato con avelli a sepoltura frontale.<br />
I lavori furono appaltati nel 1876 e i lavori di costruzione si protrassero per<br />
diversi anni, nonostante la vendita delle cappelle iniziò da subito e il collocamento<br />
dei cadaveri ebbe inizio solo nel 1878.. Nella documentazione del<br />
1890 sono riportati i rendiconto dei lavori.<br />
Nel 1880 viene presentata la relazione di stima per i lavori in muratura da<br />
effettuarsi a compimento della galleria, i cui scavi di fondazione erano stati<br />
iniziati l’anno precedente. L’appalto viene vinto dall’imprenditore Stefano<br />
Panizza, nello stesso anno viene presentato il Capitolato con la descrizione<br />
delle opere, la stima e le direttive di esecuzione dei lavori.<br />
Il cancello d’ingresso viene progettato da S. Bergamaschi nel 1881, mentre<br />
nel 1884 viene indetto un concorso per la realizzazione dell’ottagono alla<br />
crociera tra i bracci della nuova galleria, coperto con una volta a schifo ottagonale;<br />
di quello stesso anno risalgono alcuni disegni di dettaglio strutturale<br />
per la realizzazione della copertura.<br />
<strong>La</strong> struttura portante è costituita da murature di pietrame intervallate con<br />
laterizio, con spessore complessivi di quattro teste. Gli orizzontamenti sono<br />
orditi con volte ribassate, realizzate con laterizio posto in foglio ed irrigidite<br />
con archi rialzati ( i frenelli della volta di copertura) o con costolature ribassate.<br />
Il pavimento in mattoni accoltellati è quello del progetto originale.<br />
Nel 1891 vengono eseguiti alcuni lavori nella galleria sotterranea. Nel 1923<br />
vengono realizzate alcune aperture, ancora esistenti, nel pavimento per illuminare<br />
e areare i sotterranei, chiuse da griglie in ghisa molto ornate.<br />
Sempre all’inizio degli anni venti sono stati realizzati gli addossati intorno alla<br />
galleria. Alcuni tra questi sono corpi indipendenti aggregati lungo i fi anchi<br />
della galleria. Dal punto di vista strutturale questi copri di modeste dimensioni<br />
sono fondati a pochi decimetri dalla superfi cie e addossati all’edifi cio<br />
principale tramite morse murarie e tiranti metallici inseriti nei setti contigui.<br />
I corpi collegati alla galleria hanno visibilmente contribuito al dissesto delle<br />
volte.<br />
L’esterno era piantumato a cipressi, come riportato da un documento del<br />
1886, e attualmente vi sono abeti rossi.<br />
Documenti e progetto<br />
Di seguito é riportato il riassunto dei documenti consultati relativi alla realizzazione<br />
della Galleria Sud.<br />
Il regesto dei documenti d’Archivio ha permesso di datare la realizzazione e<br />
ricostruire la cronologia degli interventi che sono stati effettuati sull’edifi cio.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
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Caratteristiche della costruzione<br />
Il Capitolato di completamento dei lavori del 1880 descrive le opere comprese<br />
nell’appalto. Si prescrive l’elevazione dei muri perimetrali sopra i muri<br />
inferiori già costruiti a forma di croce, con uguale spessore per un’altezza<br />
di 30cm (pilastri 1/3 ciotti, 2/3 mattoni; muro ¾ ciotti e ¼ mattoni). Successivamente<br />
lo spessore è portato a 67cm per un’altezza di 5m (3/5 ciotti e<br />
2/5 mattoni), in modo da formare uno zoccolo interno alla galleria. Il muro<br />
continua per un’altezza di 4,90m con spessore 64cm, 62cm per le cappelle<br />
(2/3 ciotti e 1/3 mattoni). Da quel punto in poi, per un’altezza di 2,86m, i<br />
muri hanno spessore di 60cm (1/3 ciotti e 2/3 mattoni);, dopodichè fi no al<br />
tetto, per un’altezza di 1,96m, lo spessore è di 45cm e 60cm (1/3 ciotti e 2/3<br />
mattoni) in corrispondenza dei cavallotti.<br />
<strong>La</strong> muratura è costituita da ciottoli e mattoni di rivestimento, o da corsi passanti,<br />
dimensionati dalla D.L.. In tutti i casi gli angoli dei muri sono in mattoni<br />
per un’estensione di 45cm da entrambe le parti, con morse di quattro corpi<br />
in altezza e 30 cm di lunghezza.<br />
Le volte del sotterraneo sono costruite in mattoni in costa con uno spessore<br />
medio di 15cm (45cm all’imposta e 30cm fuori di essa). Nella volta sono praticati<br />
dei fori circolari di del diametro della galleria già esistente, formando<br />
un circolo concentrico di un mattone in costa al foro stesso. All’incrocio dei<br />
bracci il foro sè molto più ampio, a forma di ottagono. <strong>La</strong> volta all’incrocio<br />
sarà a base poligonale e a padiglione. I fori sono chiusi da inferriate in ghisa<br />
o ferro uguali alle esistenti.<br />
<strong>La</strong> copertura è a catinelle con cavalletti a due e tre falde, nelle absidi avrà<br />
superfi cie conica.<br />
Cantieri in pioppo della lunghezza di 3m e sezione 0,14x0,08;<br />
catinelle in pioppo di 0,07m di sezione e luce di 0,10m e disposti come i<br />
cantieri tra centro e centro alla distanza di 0,60m e tra loro inchiodati. Le<br />
capriate hanno le catene di 7,20m con sezione di 0,24x0,28m, i puntoni di<br />
0,26x0,26m di abete, il monaco di 0,20x0,26m di rovere. Le saette di abete<br />
hanno dimensione 0,20x0,20m.<br />
Gli sgocciolatoi vengono previsti in cotto sopra il tetto delle cappelle.<br />
<strong>La</strong> pavimentazione è in mattoni, disposti tra loro a rasta di pesce, provenienti<br />
dalla cava di S. Ilario d’Enza, con sottofondo in ghiaia di spessore 0,15m.<br />
44<br />
foto 34-35<br />
cappella Ballari e Zileri<br />
foto 36<br />
cappella Ballari
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
foto 37<br />
cappella Balestrieri<br />
foto 38-39<br />
cappella Sanvitale; addossato esterno<br />
foto 40<br />
cappella Tommasini<br />
Scale e gradini saranno in pietra delle cave di Lucerna<br />
Anche la tipologie e la provenienza dei materiali è minuziosamente descritta.<br />
<strong>La</strong> malta per la muratura comune è composta di due parti di sabbia del Parma<br />
e una parte di calce spenta del Baganza; per volte, archi, spalle: 2/5 di<br />
calce spenta e 3/5 di sabbia del Taro.<br />
I ciottoli sono di provenienza del torrente Parma della dimensione di<br />
0,15x0,20cm a 0,20x0,26cm<br />
Si prescrive che i mattoni delle volte siano tagliati e adattati secondo il raggio.<br />
Gli archi all’estradosso devono essere perfettamente concentrici all’intradosso,<br />
ma a riseghe si devono connettere col muro soprastante.<br />
Le volte avranno i mattoni disposti secondo il raggio di curvatura (adattati<br />
con la martellina).<br />
Stato conservativo<br />
L’edifi cio è stato posto sotto tutela, gli interventi saranno di restauro scientifi<br />
co, preceduti da indagini per individuare le essenze originarie dei materiali.<br />
Anche le cappelle interne sono tutelate e gli interventi devono conformarsi<br />
all’originale.<br />
Gli addossati esterni appartengono alla categoria di intervento di valorizzazione,<br />
in cui si prescrive per i rivestimenti interni l’uso di intonaco (previo<br />
saggio stratigrafi co), marmo opaco, pietra opaca e decorazioni pittoriche<br />
(previa approvazione della Sovrintendenza dei Beni architettonici e Monumentali).<br />
<strong>La</strong> scelta della pavimentazione sarà limitata alle seguenti essenze:<br />
cotto, cemento stampato, cemento bicromatico, marmo opaco.<br />
I quadri posti nei bracci di galleria potranno avere lapidi in materiale della<br />
tradizione: marmo bianco o grigio opaco, oppure ardesia.<br />
45
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
GALLERIA NORD<br />
Descrizione generale e architettura<br />
Pochi anni dopo l’edifi cazione della galleria Sud, iniziò la costruzione della<br />
Galleria a bracci posta a Nord dell’ottagono monumentale.<br />
Il cantiere è poco documentato, ma dai disegni originali di progetto è stato<br />
possibile verifi care la corrispondenza con il costruito.<br />
I primi documenti che esprimono la necessità di erigere una nuova Galleria<br />
nell’area a nord del cimitero risalgono al 1893 e vi sono già allegati alcuni<br />
disegni di progetto dell’edifi cio; nel 1897 venne redatto il Capitolato speciale<br />
d’appalto e risalgono al 1905 i primi documenti riguardanti le fasi di lavorazione<br />
del cantiere.<br />
Nel 1908 risulta un intervento di restauro e riparazione dei tetti della nuova<br />
Galleria.<br />
L’edifi cio è a croce latina su due livelli, con tamburo, cappelle e absidi, di<br />
stile prevalentemente eclettico. Le cappelle al suo interno presentano uno<br />
stile classicheggiante.<br />
Al suo interno sono conservate le spoglie di alcuni illustri cittadini: Testi<br />
<strong>La</strong>udadeo, Giovanni Inzani, Benassi Umberto, Tachioni Mansueto e l’artista<br />
Trombara.<br />
foto 42-43<br />
la galleria nord: vista esterna ed ingresso<br />
<strong>La</strong> galleria nord, progettata inizialmente insieme alla precedente, fu realizzata<br />
dallo stesso Sante Bergamaschi nel 1905, secondo un progetto datato<br />
1893.<br />
L’edifi cio realizzato ha un impianto molto simile a quello del primo progetto,<br />
con pianta a croce latina con tamburo, ma strutture murarie e forme differenti.<br />
In particolare il disegno neoclassico della galleria sud ha lasciato il posto<br />
ad una impostazione classicheggiante, ma eclettica, con volte a crociera<br />
a tutto sesto, senza archi trasversali. Ne deriva una spazialità interna ben<br />
diversa da quella della prima galleria.<br />
Nella crociera il tamburo rialzato nasconde una cupola ottagonale con arconi<br />
diagonali e unghie. I pavimenti sono in lastre di cemento lisciato.<br />
Nel 1908 furono necessari lavori di riparazione ai tetti.<br />
46<br />
foto 41<br />
la galleria nord nel progetto<br />
originale
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
foto 44-45-46<br />
cappelle Chiari, Varoli, Vitali-Mazza<br />
Dall’esterno della galleria sono accessibili alcune cappelle private; nel sotterraneo,<br />
accessibile da due scale a chiocchila in luserna è stato posto il<br />
sacrari o dei caduti di tutte le guerre, in marmo botticino con zoccolo di<br />
sepentino.<br />
Gli avelli dei muri esterni, accessibili dall’interno della galleria sono realizzati<br />
con elementi monolitici in pietra apparentemente murati a secco, mentre la<br />
struttura di copertura è sorretta da putrelle in ferro.<br />
Nel 1906, in una perizia dell’Uffi cio dell’Arte, sono riportati lavori di riparazioni<br />
ai tetti delle due gallerie, sia quella a Sud che la nuova galleria Nord. Nel<br />
documento si specifi ca il tipo di intervento: “Per la nuova galleria occorre di<br />
provvedere tegole meccaniche uguali a quelle esistenti. Alla vecchia galleria<br />
invece si usano tegole usuali, delle vecchie, fi nché ve ne sono e nuove<br />
ove occorre”. Nella documentazione sono allegati i conti spesa, l’elenco dei<br />
materiali e le ricevute dei fornitori.<br />
<strong>La</strong> galleria venne appaltata all’imprenditore Raffaello Francesconi nel 1897,<br />
con un importo complessivo degli oneri accessori a carico dell’appaltatore<br />
di 177.941 lire.<br />
Documentazione archivistica di progetto<br />
I documenti relativi alla realizzazione della Galleria Nord sono riassunti nel<br />
regesto dei documenti consultati in relazione alla schedatura architettonica<br />
dell’Ottagono Monumentale.<br />
Essi permettono di datare con precisione la realizzazione e di ricostruire la<br />
cronologia degli interventi che hanno interessato l’area sulla quale insiste<br />
l’edifi cio.<br />
Caratteristiche della costruzione<br />
<strong>La</strong> consultazione del Capitolato speciale d’appalto ha messo in luce le tipologie<br />
costruttive utilizzate nella costruzione della Galleria, specifi cando i<br />
singoli materiali, la loro provenienza e dimensione.<br />
Durante le indagini di rilievo sono state trovate tracce di decorazioni azzurre<br />
nella volta del braccio principale.<br />
<strong>La</strong> ricerca storica e le indagini effettuate sono state un indispensabile supporto<br />
per stabilire la tipologia di intervento di restauro scientifi co del manufatto.<br />
Il Capitolato descrive in modo chiaro i materiali delle strutture murarie e la<br />
loro posa in opera, da realizzare, per la muratura comune, in mattoni disposti<br />
in fi lari orizzontali alternanti le unioni di essi in modo che si trovino sopra<br />
uno stesso piano verticale. Viene indicato inoltre che l’impresa potrà utilizzare<br />
materiale vecchio e di poter sostituire a piacere la muratura in mattoni<br />
con quella in ciottoli. <strong>La</strong> muratura in ciottoli prevede l’inserimento di corsi<br />
passanti di mattoni in numero non minore di due.<br />
47
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Per le murature di volte, archi e piattabande si prescrive che i mattoni delle<br />
volte siano tagliati e adattati secondo il raggio. Gli archi all’estradosso con<br />
siano perfettamente concentrici all’intradosso, ma a riseghe si connetteranno<br />
col muro soprastante. Le volte all’imposta saranno non meno di 0,15m e<br />
per il resto 0,05m di spessore.<br />
I mattoni delle piattabande si adatteranno alla direzione del raggio e avranno<br />
la monta all’estradosso.<br />
<strong>La</strong> provenienza dei materiali è minuziosamente descritta nei primi articoli<br />
del documento: la malta per la muratura comune sarà composta di due parti<br />
sabbia del Taro e una parte di calce spenta del Baganza; per volte, archi,<br />
piattabande di 2/5 di calce spenta e 3/5 di sabbia del Taro.<br />
Il calcestruzzo ha composizione: ghiaia vagliata mc 0,80, calce idraulica Kg<br />
133, sabbia del Taro mc 0,40.<br />
I ciottoli sono di provenienza del torrente Parma della dimensione di<br />
0,15x0,20m a 0,20x0,26m.<br />
48
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
<strong>La</strong> pavimentazione in pianelle, mattoni e pianelloni viene specifi cata in cotto<br />
di provenienza delle fornaci di S. Ilario d’Enza. I pavimenti della galleria superiore<br />
sono composti di pianelloni in cotto di 0,24x0,24m levigati; mentre,<br />
nella galleria sotterranea, in mattoni frottati con ghiaia sottostante per un’altezza<br />
complessiva di 0,30m.<br />
Le porzioni di pavimento in marmo di Verona avranno lastre di 1,50x1,00m,<br />
della qualità detta Stilar dello Stoppegna spesso 0,06m, rifi nito levigato e<br />
pomiciato.<br />
I gradini delle scale sono in pietra delle cave di Lucerna spesse 0,05m e<br />
gradini in un pezzo solo di 1,40m a 3,90m e larghezza 0,34m. Le lastre appoggiano<br />
al sottopiano in mattoni.<br />
Il manto di copertura embriciato con uno strato di tavelle disposte sugli arcarecci<br />
in legno era in tegole curve (coppi). Il sistema costruttivo della struttura<br />
di copertura in legno di abete con travi squadrate rispecchia quanto indicato<br />
nei disegni di sezione del progetto conservato.<br />
<strong>La</strong> struttura della copertura in legno è composta da arcarecci in abete<br />
0,20x0,26m, distanti tra loro 2,00m, cantieri in pioppo 0,10x0,10m, luce<br />
0,45m, catinelle o correntizi di olmo 0,06x0,025m, luce 0,09m. <strong>La</strong> copertura<br />
è composta da cavalletti in abete ad un monaco della lunghezza di 7,50m<br />
e altri monachi sopra l’ottagono con puntoni e sottopuntoni della lunghezza<br />
di1,25x0,28x0,30m.<br />
Gli sgocciolatoi sono in cotto posti esternamente e aderenti all’inclinazione<br />
dei tetti.<br />
Docce e tubi sono in latta doppia, colorati a doppia mano. Complete di ornati<br />
da applicarsi al punto di giunzione dei tubi con le docce e nei risvolti sotto il<br />
cornicione e nel punto dove entrano nella muratura.<br />
I solai sono posti su travi di ferro doppio T di 7,30x0,20m, con luce di 1 metro<br />
e inseriti nel muro per una lunghezza di 0, 25m. Tra le travi è inserita una<br />
voltina in cotto con mattoni forati preformati. Si prescrive la stesura di minio<br />
di ferro a protezione delle travi.<br />
L’intradosso delle voltine sarà intonacata in modo omogeneo. All’estradosso<br />
verrà appoggiato un pavimento in pianelle, o pianelloni, frottati.<br />
Gli intonachi comuni sono prescritti con fi nitura levigata liscia con ferro apposito.<br />
Generale interno ed esterno con sabbia del Taro. Per l’intonaco in<br />
cemento l’arricciatura sarà fatta con calce del Baganza.<br />
Le fasce, le cornici, gli stipiti avranno ossatura in cotto fatta insieme ai muri e<br />
tirati a pulimento con calce e cemento, utilizzando la sagoma (modine).<br />
foto 47-48-49<br />
vista interna della galleria, degrado delle coperture voltate interne, modanature decorative delle colonne interne<br />
49
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Sia i coronamenti interni che esterni sono in cotto, tirati a pulimento con la<br />
sagoma (modine).<br />
Capitelli e basi delle colonne e delle lesene saranno in cotto, levigate, a<br />
taglio netto.<br />
Gli avelli in pietra di Lucerna sono previsti con lastre unite tra loro a dente di<br />
mortasa con cemento Portland di dimensioni 2,55x0,61m.<br />
Le lastre laterali, di fondo e di copertura saranno di 0,12m di spessore, così<br />
come quelle dell’apertura che saranno in marmo di Carrara. Le lastre di copertura,<br />
di fondo e divisorie saranno incastrate nel muro di 0,05m.<br />
Le rifi niture e i tinteggi sono effettuati con tre strati, uno bianco e due di tinta<br />
preparata con calce dolce molto grassa, spenta e colata almeno da 10 mesi,<br />
stemperata. E’ previsto il tinteggio anche di cornici e zoccoli. Le tinte sono<br />
prescritte con caratteristiche di suffi ciente densità.<br />
Le decorazioni in fi nto marmo venato di Carrara o di Verona, verrà effettuata,<br />
previa preparazione delle superfi cie da trattare, con l’applicazione di<br />
stucco lucido a strati, fi no allo spessore di 8mm.<br />
I cancelli e gli elementi in ferro sono indicati come simili al cancello della<br />
galleria Sud (due ante mobili con due piccole parti laterali fi sse), le grate<br />
che illuminano il sotterraneo avranno il diametro di 0,76m e spessore 0,15m<br />
come quelle della galleria Sud.<br />
Gli elementi in ferro verranno protetti con una mano di minio e due di color<br />
verde bronzo.<br />
A fi nitura delle superfi ci è prevista l’inverniciatura a olio e colori, eseguita a<br />
due riprese e nel caso di elementi in ferro si procederà prima alla stesura di<br />
minio di ferro.<br />
Stato conservativo<br />
L’edifi cio è stato posto sotto tutela, gli interventi saranno di restauro scientifi -<br />
co, preceduti da indagini per individuare le essenze originarie dei materiali.<br />
Gli addossati esterni appartengono alla categoria di intervento di valorizzazione,<br />
in cui si prescrive per i rivestimenti interni l’uso di intonaco (previo<br />
saggio stratigrafi co), marmo opaco, pietra opaca e decorazioni pittoriche<br />
(previa approvazione della Sovrintendenza dei Beni architettonici e Monumentali).<br />
<strong>La</strong> scelta della pavimentazione sarà limitata alle seguenti essenze:<br />
cotto, cemento stampato, cemento bicromatico, marmo opaco.<br />
I quadri posti nei bracci di galleria potranno avere lapidi in materiale della<br />
tradizione: marmo bianco o grigio opaco, oppure ardesia.<br />
Le strutture murarie non presentano segni evidenti di lesioni gravi.<br />
50
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
GALLERIA SUD-EST<br />
anno archivio fondo busta contenuto<br />
1817<br />
s.d.<br />
Archivio di Stato di<br />
Parma<br />
Archivio di Stato di<br />
Parma<br />
Descrizione generale e architettura<br />
<strong>La</strong> Galleria Sud-est è l’ultimo ampliamento direttamente connesso<br />
all’Ottagono monumentale della <strong>Villetta</strong> ed è un edifi cio realizzato tra il 1927<br />
e il 1931 per la tumulazione in avelli; insieme alle cappelle/corridoio che la<br />
fi ancheggiano, realizzate rispettivamente nel 1925 e 1928, essa si inserisce<br />
nel triangolo di risulta tra l’ottagono interno e la recinzione quadrata del<br />
cimitero ottocentesco, saturandolo quasi completamente. <strong>La</strong> galleria si<br />
trova quindi sulla sinistra guardando del fronte principale del cimitero, solo<br />
parzialmente integrata nella sua muraglia perimetrale.<br />
Il progetto, del quale sono conservati i disegni, è stato redatto dall’Uffi cio<br />
Tecnico Comunale, mentre i lavori sono stati appaltati dall’ing. Angelo Bay<br />
di Milano.<br />
<strong>La</strong> galleria, dotata di cripte absidali con scala e di una cripta centrale<br />
raggiungibile attraverso una botola, ha un impianto cruciforme con tre bracci<br />
a cannocchiale uguali tra loro e un tamburo ottagonale sulla crociera coperta<br />
da una cupola su pennacchi sferici. L’interno presenta elementi ornamentali<br />
di gusto eclettico con arredi liberty, l’esterno in muratura intonacata presenta<br />
elementi ornamentali, tardo liberty. Gli avelli, inseriti nelle specchiature tra<br />
i pilastri degli arconi che reggono le volte a botte delle navate, sono stati<br />
realizzati in calcestruzzo.<br />
I pavimenti sono in marmiglia di cemento con inserite griglie in ferro battuto<br />
di pregevole fattura che danno aria e luce ai vani ipogei.<br />
I documenti e il progetto<br />
I documenti relativi alla realizzazione della Galleria Sud sono riassunti nel<br />
regesto dei documenti consultati in relazione alla schedatura architettonica<br />
dell’Ottagono Monumentale.<br />
Essi permettono di datare con precisione la realizzazione e di ricostruire la<br />
cronologia degli interventi che hanno interessato l’area sulla quale insiste<br />
l’edifi cio e l’esistenza di alcune modifi che al progetto iniziale, che sembrano<br />
essere state determinate in corso d’opera dalla volontà di aumentare la<br />
capienza della struttura.<br />
Il contenuto dei documenti è riassunto nella scheda allegata:<br />
Governatorato di<br />
Parma<br />
Edilità dello Stato<br />
Busta 543 cimiteri<br />
Busta 5, p. 75 fascicolo<br />
10, sott. II<br />
51<br />
Nuovo cimitero della città di Parma: 3 planimetrie<br />
dell’orto della <strong>Villetta</strong> (con perizia); costruzione del<br />
cimitero; individuazione portici;<br />
Pianta del cimitero di Parma (muro perimetrale)<br />
con il progetto di raddrizzamento di un canale. Il<br />
disegno è di Galeotti, inchiostro su china (330x579)
1823<br />
1829<br />
1836<br />
1866<br />
1873<br />
1876<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Archivio di Stato di<br />
Parma<br />
Archivio di Stato di<br />
Parma<br />
Archivio di Stato di<br />
Parma<br />
Archivio Storico<br />
Comunale<br />
Archivio Storico<br />
Comunale<br />
Archivio Storico<br />
Comunale<br />
Edilità dello Stato<br />
Edilità dello Stato<br />
Governatorato di<br />
Parma<br />
busta 5 p. 71 fascicolo<br />
5, sott. I<br />
Busta 5 p. 75<br />
fascicolo10, sott. II<br />
Busta 1103<br />
<strong>La</strong>vori al pubblico Macello; gli allegati sono:1) un<br />
disegno di fontana e “la pianta del canale della<br />
<strong>Villetta</strong> per raddrizzamento” (450x299)<br />
Pianta del cimitero di Parma (muro perimetrale)<br />
con il progetto di raddrizzamento di un canale. Il<br />
disegno è di Galeotti, inchiostro su china (330x579)<br />
<strong>La</strong>vori da fare all’edifi cio comunitario di Parma<br />
detto mulino della <strong>Villetta</strong>: cottimo dei lavori e<br />
regolamenti<br />
carteggio 1861/91 B 124 Fabbriche diverse Sante Bergamaschi pianta del mulino della <strong>Villetta</strong><br />
carteggio 1861/91 B 332 culto<br />
1880 ASC carteggio 1861/91<br />
1882<br />
1885<br />
1864<br />
1866<br />
1885<br />
1886<br />
1913 ASC<br />
1925 ASC<br />
Archivio Storico<br />
Comunale<br />
Archivio Storico<br />
Comunale<br />
Archivio Storico<br />
Comunale<br />
Archivio Storico<br />
Comunale<br />
Archivio Storico<br />
Comunale<br />
Archivio Storico<br />
Comunale<br />
1861-1891 B 449 strade<br />
1861-1891<br />
1861-1891<br />
B 550 acque (296/303<br />
/304/305)<br />
B 620 (319/320/321)<br />
amm. comunale del<br />
mulino della <strong>Villetta</strong><br />
B 739 culto/amm.<br />
comunale<br />
Carta 478 (2 planimetrie) pianta dello stallone.<br />
(Pietro Bandini)<br />
Carta 698 (7mappe) allargamento e sistemazione<br />
viali, progetto per ampliamento del rettifi lo della<br />
strada comunale dalla Barriere Vittorio Emanuele<br />
al <strong>Cimitero</strong> della <strong>Villetta</strong>; disegno del ponte da<br />
costruirsi sul canale dirimpetto l’ingresso del<br />
cimitero (S.Bergamaschi) (prospetto pianta e<br />
spaccato).<br />
Planimetria terreni a Porta S. Francesco;<br />
spostamento del canale Cinghio (decreto regio)<br />
(12 mappe e disegni) (S.Bergamaschi) di due<br />
appezzamenti a nord del cimitero (proprietà Fulcini)<br />
su cui vengono evidenziate in rosso la rettifi cazioni<br />
del Canale Cinghio;<br />
Pianta del mulino della <strong>Villetta</strong><br />
Carta 406<br />
carteggio 1861/91 B 69 culto Fabbriche Mulino della <strong>Villetta</strong><br />
carteggio 1861/91 B 124 Fabbriche diverse Sante Bergamaschi pianta del mulino della <strong>Villetta</strong><br />
carteggio 1861/91<br />
B 739 culto/amm.<br />
comunale<br />
Carta 406<br />
cassetti Acque e strade Mulino <strong>Villetta</strong><br />
carteggio dal 1892/<br />
cassetti<br />
carteggio dal 1892/<br />
cassetti<br />
Culto I<br />
culto/cimitero<br />
52<br />
espropriazione Sig.Ligorio, ampliamento<br />
del cimitero mediante l’occupazione di un<br />
appezzamento di terreno facente parte della<br />
proprietà dei Ligorio; ampliamento portici nel<br />
recinto; adattamento dello stallone della villetta;<br />
acquisto di terreno occorrente con disegni n° 5;<br />
indicazione spese che sarebbero necessarie per la<br />
costruzione della nuova galleria nella parte sud.<br />
costruzione e disegni di cappelle; cappelle e<br />
portico sud-est (dia tav. I/ II/ III/ IV); appelle con<br />
disegno*** di progetto addossate al porticato sudest:<br />
pianta 1:100/1:50 (galleria sud, arcata 31, 33,<br />
35, 37, 39, 41, 43);
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
1928 ASC<br />
1931 ASC<br />
carteggio dal 1892/<br />
cassetti<br />
carteggio dal 1892/<br />
cassetti<br />
foto 50-51<br />
galleria sud-est: viste esterne, fronte strada<br />
culto/cimitero<br />
culto/cimitero<br />
53<br />
concessioni d’area; sistemazione cripta<br />
dell’arco comune n° 139; formazione avelli in<br />
un intercapedine esterna al portico sud-est;<br />
riparazione galleria nord.<br />
appalto con l’Ing. Angelo Bay per la costruzione<br />
di una nuova galleria ad avelli esternamente<br />
al porticato sud-est: sez. /prospetto; sez. e<br />
sotterraneo; piante e particolari; sez. long. lato<br />
ovest pianta, (scala 1:50)
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Gli edifi ci e le strutture preesistenti l’Ottagono, che ad eccezione della<br />
villa, chiamata in genere palazzetto, sono state tutte demolite prima della<br />
realizzazione della galleria. Queste costruzioni dono documentate da<br />
numerosi rilievi dell’epoca, che permettono di ricostruire con una certa<br />
approssimazione la loro posizione.<br />
L’approssimazione è dovuta all’esistenza di una discrepanza nel<br />
posizionamento del palazzetto, con un errore evidente, unica preesistenza<br />
residua oltre al recinto perimetrale dell’Ottagono, alle quali è possibile<br />
riferire la ricostruzione della posizione degli altri edifi ci, in particolare il<br />
canale col mulino e la peschiera, colmata per la realizzazione del lato sudest<br />
dell’ottagono, su cui insiste in parte anche il braccio meridionale della<br />
Galleria rilevata.<br />
<strong>La</strong> parte orientale della grande peschiera rettangolare dell’azienda agricola,<br />
che era parallela al lato meridionale dell’Ottagono, si trovava sotto la parte<br />
meridionale del lato sud-est del portico. <strong>La</strong> sua presenza interessa quindi gli<br />
archi n° xx, xx,::::, la galleria ad avelli meridionale e la parte occidentale del<br />
braccio meridionale della galleria.<br />
Non sono state ritrovate indicazioni circa il riempimento della peschiera e le<br />
sue caratteristiche costruttive.<br />
<strong>La</strong> posizione del canale che fronteggiava il camposanto, prima raddrizzato<br />
e poi deviato, non interessa invece il sedime degli edifi ci attuali, risultando<br />
posizionato sotto il piazzale antistante il cimitero (attuale parcheggio), sul<br />
ciglio stradale e suffi cientemente lontano.<br />
I principali avvenimenti che hanno interessato la trasformazione del sito<br />
sono:<br />
1823 – lavori di raddrizzamento al canale del Mulino della <strong>Villetta</strong><br />
1828 – disegni di progetto per il raddrizamento del canale<br />
1836 – interventi di riparazione al Mulino della <strong>Villetta</strong><br />
1880 – lavori di raddrizzamento al canale Cinghio<br />
1913 - Si parla un nuovo ampliamento con la costruzione di una galleria<br />
sull’alveo del canale Cinghio.<br />
1925 - Progetto per una nuova galleria con avelli al portico Sud-est.<br />
1928 - Formazione avelli nell’intercapedine esterna al portico Sud-est.<br />
1931 – Si concludono i lavori dell’ing. Angelo Bay per una nuova galleria<br />
Sud-est e gallerie ad avelli addossate al portico.<br />
1933 – <strong>La</strong> Galleria Sud-est viene danneggiata da una piena del Cinghio.<br />
<strong>La</strong> galleria, della quale si inizia a parlare nel 1913 e fu progettata dall’Uffi cio<br />
Tecnico Comunale, viene appaltata nel 1927 con un importo lavori<br />
complessivo degli oneri accessori a carico dell’appaltatore di 265.000 lire,<br />
dopo che nel 1925 era stata realizzata la prima delle due cappelle a corridoio,<br />
con avelli, che la fi ancheggiano (la seconda risulta costruita nel 1928).<br />
L’edifi cio risulta quindi “incastrato” tra questi altri due piccoli ampliamenti, che<br />
nell’insieme saturano il triangolo precedentemente destinato ad ossario.<br />
<strong>La</strong> ditta dell’ing. Angelo Bay di Milano si aggiudica l’asta, alla quale avevano<br />
54
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
foto 52-53-54<br />
sottotetto della galleria sud-est:<br />
viste interne e particolari costruttivi<br />
55
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
56<br />
foto 55-56-57-58<br />
sottotetto della galleria sud-est:<br />
viste interne e particolari costruttivi
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
foto 59-60-61-62<br />
sottotetto della galleria sud-est:<br />
viste interne e particolari costruttivi<br />
57
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
58<br />
foto 63-64-65<br />
sottotetto della galleria sud-est:<br />
viste interne e particolari costruttivi
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
foto 66-67-68-69<br />
copertura della galleria sud-est<br />
59
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
partecipato molte imprese locali, tra cui alcune “storiche” imprese locali<br />
(Buia Primo, Fratelli Manara, Florindo Bassi, Colla Savino) con un ribasso<br />
del 12,60% rispetto al Capitolato Speciale d’Appalto.<br />
L’edifi cio principale dovrebbe essere stato completato prima del 1931, quando<br />
fu archiviato il materiale di progetto, insiste su un’area precedentemente<br />
destinata ad ossario, già interessata dalla presenza di strutture di servizio<br />
dell’azienda agricola, che era delimitata verso la strada dal Canale del<br />
Cinghio, che muoveva il Mulino della <strong>Villetta</strong>.<br />
Il capitolato descrive in modo chiaro i materiali delle strutture murarie, da<br />
realizzare (su insindacabile giudizio della direzione lavori, in mattoni (28x14<br />
cm.) o bastonetti (24x11,5x7 cm.), disposti a due, tre e quattro teste, per<br />
spessori murari fi niti rispettivamente di:<br />
mattoni bastonetti<br />
2 teste 0,28 0,24<br />
3 teste 0,42 0,36<br />
4 teste 0,57 0,49<br />
Per i mattoni viene richiesta un aresistenza a compressione di 100 kg/cmq.<br />
Per il ferro delle armature viene richiesta una resistenza a trazione di 40<br />
kg/mmq.<br />
Per i pavimenti sono previste mattonelle in cemento, marmette e pietrini<br />
(cemento stampato a righe)<br />
Per le soglie e gli elementi lapidei erano previsti, a scelta della D.L. beola del<br />
Cardoso, gneiss di Lucerna o marmo di Carrara o di Verona.<br />
Sopra le aperture viene previsto l’inserimento di architravi in calcestruzzo<br />
armato o di piattabande o voltini in mattoni.<br />
<strong>La</strong> costruzione della volta della cupola semicircolare rialzata con lunette in<br />
corrispondenza delle fi nestre è prescritta come segue:<br />
- pennacchi in bastonetti con spessore a una testa,<br />
- soprastante anello di cemento armato<br />
- sino al giunto alle reni della cupola in mattoni “dello spessore di cm.<br />
28”,<br />
- successivo terzo in bastonetti “dello spessore di cm. 28”,<br />
- ultimo terzo, sino al cervello in bastonetti a una testa, con uno spessore<br />
di cm. 12.<br />
Le “volte reali” a botte semicircolari dei bracci della galleria, lunettate in<br />
corrispondenza delle fi nestre sono prescritte:<br />
- sino alle reni bastonetti nello spessore di 24 cm.,<br />
- il resto con bastonetti di testa nello spessore di cm. 12.<br />
Le “volte comuni” sono così prescritte:<br />
- sino alle reni bastonetti nello spessore di 12 cm.,<br />
- il resto con bastonetti in folio.<br />
I rinfi anchi sulle volte sono richiesti sino al livello dell’estradosso in chiace,<br />
realizzati in “buona muratura di calce idraulica in corrispondenza delle pareti<br />
superiori, e con calcestruzzo pel resto”.<br />
I solai, per i quali è previsto un sovraccarico accidentale uniforme di 250 kg/<br />
60
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
mq., sono prescritti in putrelle di ferro e laterizi forati (volterrane, spessore<br />
cm, 16), con copriferro o rivestimento trapezoidale di cemento, interasse<br />
90/100 cm., le putrelle dovevano essere colorate due volte (prima e dopo la<br />
messa in opera con minio di piombo e forate per l’applicazione dei tondini di<br />
armatura delle piattabande. Per luci superiori ai 5 metri è prevista la posa di<br />
tiranti trasversali infi lati nelle putrelle ogni 2,5 ml.<br />
Il riempimento sopra le volterrane doveva essere in carbonella o scoria di<br />
fornace leggera, impastata con malta magra.<br />
Le solette di cemento armato per la formazione degli avelli, di spessore 10<br />
cm. dovevano avere una portata di 200 kg/mq.; anche i setti verticali erano<br />
previsti di cemento armato, con riferimento al costo del ferro, ma non alla<br />
sua quantità.<br />
In fase di collaudo delle strutture di calcestruzzo viene prescritta un carico<br />
maggiorato del 30% rispetto a quello di calcolo, con una freccia massima<br />
pari a 1/1000 della luce, con una deformazione perfettamente elastica per<br />
i 2/3.<br />
<strong>La</strong> superfi cie esterna dei setti divisori degli avelli doveva essere completata<br />
con uno strato di cemento a marmaglia martellinato, si deduce che doveva<br />
restare a vista in questo modo.<br />
Sotto i pavimenti a terra è richiesto un sottofondo di ciotoli dello spasore di<br />
15/20 cm. con riempimento in ghiaia lavata.<br />
Sul piano di posa degli avelli, preparato con ciotoli, viene gettato uno strato di<br />
calcestruzzo di 7 cm. con sopra uno straterello di conglomerato di ghiaietta<br />
minuta (3 cm.), lisciato con intonaco di cemento tirato a rullo o a pennello.<br />
Il manto di copertura embriciato con uno strato di tavelle disposte sugli<br />
arcarecci in legno era in tegole curve (coppi). Il sistema costruttivo della<br />
struttura di copertura in legno di abete con travi squadrate rispecchia quanto<br />
indicato nei disegni di sezione del progetto conservato, nel quale si osserva<br />
la presenza di un piastrino di mattoni appoggiato sul cervello degli archi<br />
trasversali per reggere il trave di colmo, e le descrizioni del Capitolato<br />
Speciale d’Appalto (Fig. 10):<br />
- inclinazione delle falde 40/45%<br />
- colmi murati con malta color mattone<br />
- converse, gronde e pluviali in lamiera a doppia zincatura, parte inferiore<br />
dei pluviali in ghisa.<br />
Le acque di scarico erano convogliate in condotti di sezione 20x20 cm.<br />
realizzati in muratura di mattoni e malta idraulica, intonacati all’interno con<br />
malta cementizia, che raccoglievano anche le acque del cortile; tali condotti,<br />
muniti di pozzetti pure in mattoni, scaricavano nel canale vicino.<br />
Il marciapiede esterno in pietrino di cemento (mattonelle stampate) su<br />
sottofondo di calcestruzzo di malta idraulica con cordolo perimetrale di cm<br />
12x25.<br />
Gli intonaci comuni sono prescritti in malta di calce comune e idraulica,<br />
imbiancati con calce d’Istria mescolata con latte e colla. Dopo la stesura a<br />
pennello di una prima mano bianco schietto, ne venivano richieste due con<br />
l’aggiunta di pigmenti colorati, a scelta della direzione, con tonalità diversi<br />
sui diversi piani.<br />
Gli intonaci decorativi sono di cemento, eventualmente colorato in pasta<br />
nell’ultimo strato, lisciato col ferro. Gli intonaci degli zoccoli erano in malta<br />
61
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
di cemento Portland.<br />
Un articolo del capitolato è riservato alla descrizione della realizzazione<br />
delle decorazioni:<br />
- i cornicioni sagomati con ossatura in muratura, sottogocciolatoio e<br />
gocciolatoio con lastre di cemento armato, tirati a liscio con malta di<br />
cemento;<br />
- Cornici e fasce aggettanti costruite in muratura e tirate a pulimento con<br />
malta di cemento;<br />
- Stipiti e cornici di porte e fi nestre in cemento, lavorate in faccia vista<br />
con malta di cemento Portland e graniglia in volumi uguali, lisciati o<br />
martellinati a seconda dei casi, quelle sporgenti anche prefabbricate<br />
e collocate in opera con morsature e malta di cemento, quelle meno<br />
sporgenti realizzate con ossatura in mattoni o conglomerato cementizio,<br />
poi tirate a sagoma con malta di cemento lisciata<br />
- Le inferriate e i telai in ferro dovevano essere trattati due volte con minio<br />
di piombo e successivamente con due mani di olio di lino cotto con<br />
biacca e colore a scelta della DL.<br />
Al di là delle indicazioni costruttive descritte dai documenti contrattuali, che<br />
trovano un sostanziale riscontro nelle osservazioni di rilievo, anche i disegni<br />
conservati documentano una sostanziale corrispondenza tra il progetto e la<br />
realizzazione.<br />
Le strutture murarie infatti risultano perfettamente sovrapponibili, nelle loro<br />
dimensioni, e nell’organizzazione, al rilievo.<br />
Lo stesso confronto però evidenzia una variante, che sembra realizzata<br />
in corso d’opera, che non trova riscontro negli elaborati grafi ci, e che ha<br />
condizionato la soluzione formale dell’attacco del muro esterno, preesistente<br />
ma in parte eliminato rispetto a quanto previsto dal progetto e in seguito<br />
parzialmente ricostruito sul lato est avanzando con un piccolo allargamento<br />
verso la strada per realizzare un corridoio ai servizi igienici. Nel progetto<br />
il muro doveva interrompersi e innestarsi contro le tre absidi con raccordi<br />
curvilinei, con ogni probabilità rimanendo sotto il livello della gronda<br />
principale.<br />
L’aggiunta di alcuni avelli (complessivamente 60) mettendo di testa quelli<br />
previsti longitudinali ai fi anchi della parte stretta dei tre bracci ha indotto a<br />
modifi care l’innesto del muro di recinzione, realizzato con una piegatura a<br />
45°, che risulta più alto della superfi cie esterna degli avelli, coperti da una<br />
piccola falda inclinata con un suo cornicione più basso di quello principale<br />
(vedi foto e disegno).<br />
L’abbassamento di questo muro, sicuramente ricostruito, lascerebbe però in<br />
vista la copertura (e non solo quella) dei servizi igienici, e pertanto occorre<br />
trovare una soluzione diversa, magari arretrando lo spigolo a 45°.<br />
62
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
I MANUFATTI PRIVATI<br />
L’interno del nucleo storico primitivo è occupato da numerosi manufatti di<br />
epoca e stile diverso, che nel tempo hanno cancellato il riferimento pianifi -<br />
cato che aveva regolato l’insediamento delle prime edicole, che dovevano<br />
restare alternate a tombe basse. In questo modo alcuni quadranti sono stati<br />
completamente intasati da costruzioni che spesso non hanno alcun pregio<br />
formale.<br />
Numerose manufatti offrono invece un’interessante quanto variegata documentazione<br />
dell’opera degli artisti parmensi di fi ne ottocento e del primo<br />
novecento, come gli architetti Sante Bergamaschi, Moderanno Chiavelli,<br />
<strong>La</strong>mberto Cusani, Ettore Leoni, Mario Monguidi, Giuseppe Mancini, Ennio<br />
Mora, Camillo Uccelli.<br />
Le tombe più antiche visibili ancora oggi nel campo centrale risalgono al<br />
terzo decennio dell’ottocento ed erano disposte lungo i viali principali a delimitazione<br />
dei quattro settori destinati alle inumazioni comuni; il primo fu il<br />
monumento a Niccolò Paganini, disegnato dal Bergamaschi nel 1878.<br />
Agli inizi del Novecento iniziò la costruzione di monumenti destinati a sepolture<br />
di famiglia che in pochi decenni hanno trasformato i campi erbosi<br />
in aree eterogenee e densamente costruite. Il periodo di maggior intensità<br />
costruttiva da parte dei privati fu l’arco temporale tra il 1925 e il 1940, come<br />
risulta evidente anche dall’osservazione stilistica delle cappelle. È possibile<br />
che in questo periodo la concessione del terreno ai privati abbia fi nanziato la<br />
costruzione dell’ampliamento settentrionale, avvenuto all’incirca negli stessi<br />
anni. <strong>La</strong> qualità dell’architettura di queste cappelle funerarie sottolinea quindi<br />
la ‘qualità’ della vita del defunto anche dopo la morte. L’opulenza della<br />
cappella è un simbolo della qualità materiale, ma le ricchezze e le articolazioni<br />
dell’ornamento fanno riferimento alla qualità spirituale mediante la<br />
presenza di elementi religiosi.<br />
Il rilievo e lo studio architettonico delle cappelle, che ha interessato a campione<br />
anche quelle più recenti, permette di confrontare i riferimenti formali<br />
e i modelli tipologici degli elementi che ne caratterizzano l’articolazione,<br />
condizionati da una lunga tradizione che fa riferimento a culture e modelli<br />
formali diversi.<br />
Le tipologie ricorrenti, tutte derivate dall’architettura classica romana ed ellenistica,<br />
sono riconducibili al mausoleo, nelle forme di tomba a edicola,<br />
tomba a torre e colonna commemorativa.<br />
<strong>La</strong> tomba a edicola simboleggia una porta o una fi nestra cioè un “luogo<br />
di passaggio”; la tomba a torre e la colonna commemorativa celebrano il<br />
defunto in quanto tumuli monumentalizzati. <strong>La</strong> porta, il luogo del passaggio<br />
a nuova vita, è più grande nelle cappelle rispetto a quella delle case dei<br />
vivi, evidenziando simbolicamente il suo signifi cato spirituale, e diventa l’elemento<br />
dominante nell’edicola, viene mimetizzata nella tomba a torre e nella<br />
colonna commemorativa.<br />
A queste tipologie, rispondono numerose cappelle novecentesche e tra esse,<br />
signifi cative sono le cappelle Robuschi, Marchesi, Azzoni e Romanelli.<br />
Nella cappella Robuschi, la porta è sormontata da un frontone spezzato al<br />
centro che insieme al tetto, a quattro falde come quello di una vera casa,<br />
inquadra il sottostante passaggio; nel retro la composizione manifesta la<br />
fi nestra costituita da un piccolo timpano soprastante e da due lesene stilizzate.<br />
Nella cappella Marchesi a pianta quadrata, la porta è sormontata da<br />
una sorta di frontone che non si identifi ca con nessuna tipologia tradizionale:<br />
questo modo potrebbe ricondursi a quella rottura con la tradizione classica<br />
63
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
che apportò Michelangelo con il nome di manierismo e in base alla quale<br />
la facciata doveva essere l’estensione della scultura piuttosto che l’espressione<br />
della struttura. <strong>La</strong> tipologia della tomba a torre è individuabile in numerose<br />
cappelle e tra queste le più signifi cative sono le cappelle Azzoni,<br />
Romanelli e Zanzucchi; esse sono costituite da un basamento nel quale<br />
sono ospitate le sepolture, che culmina con una stele o con una statua.<br />
Come sono vari gli stili, altrettanto lo sono i materiali.<br />
Le tombe ottocentesche sono realizzate quasi esclusivamente in pietra grigia<br />
con ornamenti in bronzo e ferro battuto, piccole sculture in marmo bianco<br />
o mezzibusti in bronzo; in quelle successive e nelle cappelle dominano la<br />
pietra artifi ciale (graniglia di marmo e cemento bianco o grigio, il mattone, il<br />
travertino, i marmi levigati, con elementi ornamentali variati, come mosaici,<br />
pitture, sculture, cancelli in ferro battuto.<br />
Anche tra le realizzazioni moderne non mancano cappelle di pregio, alcune<br />
delle quali testimoniano una ricerca progettuale rivolta all’individuazione di<br />
nuovi modelli formali per il sepolcro familiare. Molte cappelle realizzate nel<br />
dopoguerra in forme clessicheggianti moderne sono ingentilite da ornamenti<br />
pittorici, scultorei, mosaici, terracotte.<br />
Altre dimostrano la diffi coltà di individuare soluzioni architettoniche innovative<br />
per realizzare manufatti commemorativi senza cadere nell’ostentazione<br />
del ricordo o della ricchezza.<br />
Nel complesso i manufatti esistenti nei campi erbosi furono un interessante<br />
vetrina dell’interpretazione locale dei fermenti artistici degli ultimi due secoli.<br />
EDICOLE<br />
NE<br />
Marchesi decò<br />
Milza,1932 liberty/eclettico<br />
Camillo Uccelli<br />
Romanini/ Medioli, 1926 decò<br />
Azzoni iberty/decò<br />
Bacigalupo Cremonini, 1923 neoromanico<br />
Bottego Ghiaini, 1954 liberty/decò<br />
Chiari, 1933 decò eclettico<br />
Ettore Leoni<br />
Corazza, 1925 neoromanico eclettico<br />
Ennio Mora<br />
Corazza, 1941 neoromanico<br />
Lisoni, eclettico<br />
Bottioni Magnani <strong>La</strong>urens, 1954 eclettico<br />
Ettore Leoni<br />
Mancini Stori,1917-1930 decò<br />
M. Monguidi, A. Marzaroli<br />
Mordacci, 1954 neoclassico<br />
Ennio Mora<br />
Oleari, 1942 moderno<br />
Ennio Mora<br />
Quintavalla Villa, 1946 neoclassico<br />
Americo Bonaconza<br />
Redenti, 1933-1953 neoclassico<br />
Ennio Mora<br />
Rizzoli, 1930 decò<br />
64
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Ettore Leoni<br />
Spaggiari, 1945 razionalista<br />
Mario Monguidi<br />
Spaggiari, 1933 decò<br />
Tanzi, 1939-41 neorococò/liberty<br />
Vietta, 1930 decò<br />
Ennio Mora<br />
Zanzucchi, liberty/decò<br />
Mario Monguidi<br />
Campanini, 1958 decò<br />
Moderanno Chiavelli;<br />
Foresti Grossi, 1949 moderno<br />
E. Ricci<br />
Zanichelli razionalista<br />
Amerigo Bonaconza<br />
Ghirardi, 1938 razionalista<br />
Manara<br />
Zasso classicista<br />
G. Zucchi<br />
NO<br />
Alessandrini, 1948 razionalista<br />
<strong>La</strong>dislao Bellini<br />
Caprioli, 1934 decò<br />
Moderanno Chiavelli<br />
Ceresini,1933 neoclassico<br />
Francesco Rivara (scultore)<br />
Colla, 1930 eclettico<br />
Ing, P. Colla/Emilio Trombara<br />
Fulgoni, eclettico<br />
Moderanno Chiavelli<br />
Giretti, 1956 moderno<br />
Ennio Mora<br />
Marchesi, decò<br />
Oleari, 1942 moderno<br />
Ennio Mora<br />
Romanini Medioli,1926/1950/1954 decò<br />
M. Vacca/E. Leoni/D. de Strobel<br />
Scotti, (?) neoclassico<br />
Ennio Mora<br />
Zanone, 1952 decò<br />
Ettore Leoni<br />
Borsari, (?) eclettico;<br />
Folli,1908, eclettico<br />
SE<br />
Baistrocchi, liberty<br />
Baistrocchi, 1946 razionalista<br />
Amerigo Bonaconza<br />
Barilla,1940 decò/eclettico<br />
Camillo Ucceli<br />
Capelli-Battaiella, 1947 razionalista<br />
Pelagatti<br />
65
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Contini, 1931 decò<br />
Ennio Mora<br />
Filigrana,1932 neoclassico<br />
Ennio Mora<br />
Ferrari, 1946 decò<br />
Ennio Mora<br />
Grassi,1958 decò<br />
Ennio Mora<br />
Grossi,1945 moderno<br />
Ennio Mora<br />
Guaita,1952 neoclassico<br />
Mario Monguidi<br />
Molinari,1929 neoclassico<br />
Mordacci Peracchi,1931 eclettico<br />
Ennio Mora<br />
Pizzetti/Braibanti1943/1949 moderno<br />
Mora/Chiavelli<br />
Poli,1929 neoclassico<br />
Ennio Mora<br />
Sorba, 1953 neoclassico<br />
Mario Monguidi<br />
Terzi, 1930 eclettico<br />
Zanichelli,1944 moderno<br />
A. Bonaconza<br />
SO<br />
Bormioli, neogotico<br />
Ettore Leoni<br />
Campanini, 1908/1919 eclettico/simbolista<br />
G.Mancini<br />
Colla,1930 eclettico<br />
P. Colla/E. Trombara<br />
Casalgrandi Cacciali razionalista<br />
Ennio Mora<br />
Dazzi,1939 decò<br />
Rizzoli,1931 Liberty<br />
Ettore Leoni<br />
Romanelli,1924 decò/eclettica<br />
M.Chiavelli/ E.Trombara<br />
Visconti,1933 decò<br />
Germanno Prussica<br />
Beccatelli,1908<br />
Emilio Trombara<br />
Leoni,1925 decò<br />
Ettore Leoni<br />
Calzolari, 1937 decò<br />
E. Calzolari<br />
Melioli, 1937 decò<br />
C. Ferrari<br />
Pesenti, 1947 razionalista<br />
<strong>La</strong>dislao Bellini<br />
66
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
TOMBE<br />
SE<br />
Cerutti, XX°. neoclassico<br />
Farina, 1948 razionalista<br />
L. Sassi<br />
Ferrari, 1945 decò<br />
Ennio Mora<br />
Frattini,1972 razionalista<br />
Giuseppe Benassi (scult.)<br />
Ragazzi/Rizzoli,1919-1930 decò<br />
Ennio Mora<br />
Visconti,1932 decò<br />
Cerutti, XX°ces. neoclassico<br />
Gardelli,1923 decò<br />
M. Monguidi<br />
Pozzi Donnino, 1947 razionalista<br />
G.Robuschi<br />
Zoni,1947 razionalista<br />
C.Ferrari<br />
SO<br />
Carpi, decò<br />
Mario Monguidi<br />
Melotti, XX°sec. liberty<br />
Pecchioni,1910 neoclassico<br />
A. Marzaioli (scult.)<br />
Grossi,1932/1945 decò/razional.<br />
Ennio Mora<br />
NE<br />
Ferrari, 1932/1946 decò<br />
Ennio Mora/Emilio Trombara<br />
Montali Schiaretti neoclassico<br />
Emilio Trombara (scult)<br />
Lucarini,1920 decò<br />
G. Macchiavello<br />
Pezzani Renzo, 1935 razionalista<br />
Manara razionalista<br />
geom. Oreste Bocchi<br />
NO<br />
Allegri, 1974 decò<br />
Amerigo Bonaconza<br />
Meli, 1947/1949/1950 razionalista<br />
Ettore Leoni<br />
Grossi,1945 razionalista<br />
Ennio Mora<br />
Alberelli,1916<br />
Arisi, 1916<br />
Bardiani<br />
Chiusi,1923 decò<br />
Urbano Fontana<br />
67
PIANO PARTICOLAREGGIATO OTTAGONO MONUMENTALE<br />
Relazione tecnica/ Settori<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Cloetta,1916 decò<br />
Ettore Leoni<br />
Emilia Bergonzi Fioruzzi<br />
Francesco Rivara<br />
Pizzetti,1943<br />
Ennio Mora<br />
Salvatori, 1931 neoclassico/liberty<br />
E.Trombara scult.<br />
Rivara,1952 razionalista<br />
Ennio Mora<br />
Violi,<br />
Sandri,<br />
Steiner<br />
Francesco Rivara<br />
Talignani, 1924<br />
Cova, 1919/1952<br />
68
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
DEFUNTI ILLUSTRI (biografi e)<br />
ARISI ENRICO<br />
Parma 10 luglio 1839-Roma 9 dicembre 1883<br />
Avvocato, soldato nell’esercito cisalpino, fu con Garibaldi nel 1859, nel 1866<br />
e nel 1867. Fu direttore de Il Presente e di Epoca sostenendo con la parola<br />
e con la penna la necessità dei miglioramenti di vita delle classi più umili.<br />
Ricoprì più volte la carica di consigliere comunale di Parma e quella di consigliere<br />
provinciale. Su posizioni progressiste vicine alla Sinistra di Cairoli e<br />
Depretis, fu eletto deputato nel 1878 per il Collegio di Casalmaggiore. Riottenne<br />
il mandato nel 1882 come candidato del Collegio di Parma.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Una sua biografi a è nel numero del 10 dicembre 1883 de Il Presente; cfr. anche A. Malatesta,<br />
Ministri, deputati, vol. I, 56; M. Giuffredi, Dopo il Risorgimento, ad indicem; T. Sarti, Rappresentanti<br />
legislature Regno, 1880, 118; S. Sapuppo Zanghi, <strong>La</strong> XV legislatura italiana, Roma, 1884;<br />
T. Sarti, Il Parlamento Subalpino e Italiano, due volumi, Roma, 1896 e 1898; G. Sitti, Il Risorgimento<br />
italiano, 1915, 43; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 68; Aurea Parma 1 1992, 22<br />
BAISTROCCHI ETTORE<br />
Mulazzo 7 luglio 1855-Salsomaggiore 8 aprile 1930<br />
Il suo nome è legato alla storia di Salsomaggiore e allo sviluppo della stazione<br />
termale in un senso fi lantropico, avendo dedicato la parte migliore della<br />
sua combattiva attività, insofferente di limitazioni o di tornaconti, a risolvere<br />
nella città un problema altamente umanitario di reintegrazione fi siologica e<br />
di profi lassi sociale. Figlio di un magistrato, compì a Parma gli studi, laureandosi<br />
nel 1878 in medicina. Dette subito prova, quale assistente all’Università<br />
di Parma del professor Inzani e insegnante di anatomia patologica, del suo<br />
ingegno e della sua forza d’intuizione a comprendere e risolvere problemi<br />
di alto interesse scientifi co, svolgendo indagini nuove su cervelli patologici,<br />
illustrando un nuovo ganglio linfatico del cuore e dando il proprio contributo<br />
agli studi di batteriologia negli Annali di studi medici, pubblicati a Parma. Nel<br />
1882 fondò la Società d’Igiene e due anni dopo, imperversando a Parma<br />
il colera, assunse la direzione del <strong>La</strong>zzaretto, prodigandosi assiduamente<br />
e con spirito di abnegazione nell’assistenza ai colpiti. Recatosi a Buenos<br />
Ayres, vi fondò il primo Museo di anatomia patologica, iniziandovi un corso<br />
di lezioni sulle autopsie, e cooperò alla creazione del grande Ospedale<br />
Italiano. Nel 1884 tornò in patria a riprendere nell’ateneo parmense il corso<br />
libero di anatomia patologica e l’anno seguente, succedendo a Edoardo<br />
Porro, della cui opera fu degno continuatore, fu assunto alla direzione dello<br />
Stabilimento vecchio di Salsomaggiore, cui dette un indirizzo sanitario assai<br />
moderno e avanzato. Iniziò infatti da allora un’intensa attività nell’ordinamento<br />
degli stabilimenti balneari, nei quali andò formandosi nel corso degli anni<br />
una così ricca esperienza da imporsi come uno dei più distinti idrologi delle<br />
acque termali, che egli trattò in profondi studi esposti a congressi nazionali<br />
e internazionali di medicina e di idrologia. Frutto concreto di tali studi fu la<br />
70
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Guida medica, elogiata tra gli altri da Murri, Pescarolo, Grocco e Majocchi,<br />
edita nel 1900 e compilata non già sulla falsariga di altre guide ma elaborata<br />
sopra una consistente serie di fatti clinici diligentemente osservati e di cure<br />
ponderatamente eseguite. Organo di tali indagini fu un bollettino stampato<br />
in quattro lingue, nel quale erano riferiti ed esaminati casi diversi guariti e<br />
non guariti con i vari trattamenti. Nelle terme salsesi egli fu l’innovatore dei<br />
metodi di cura e dei servizi igienici, dando notevole incremento alle inalazioni<br />
e alle irrigazioni preparate con soluzioni di acqua madre. Non meno<br />
solerte fu la sua opera come igienista idrologo nella difesa degli stabilimenti<br />
dalla minaccia di leggi e riforme che ne avrebbero minato l’importanza. Soprattutto<br />
merita lode la sua recisa opposizione all’esportazione delle acque<br />
salsoiodiche, facendo rilevare i danni derivanti dal trasporto e dagli usi non<br />
sempre adeguati che di queste si sarebbero potuti fare. Svolse grande attività<br />
in seno all’Associazione Italiana di Idrologia, presieduta susseguentemente<br />
da G.S. Vinaj, da Grocco e da Baccelli. A tutelare l’igiene della città<br />
e la salute dei bagnanti, si adoperò in tutti i modi, con spirito fi lantropico,<br />
per dimostrare alle locali autorità la necessità di costruire un padiglione per<br />
i contagiosi e per le varie disinfezioni, allo scopo di allontanare le malattie<br />
epidemiche. Così come si batté al Congresso medico di Napoli, nel 1900,<br />
per l’istituzione dei Sanatori antitubercolari provinciali. <strong>La</strong> sua attività e solerzia<br />
si esplicarono largamente anche nel campo della pubblica benefi cienza.<br />
Rese possibile l’uso delle acque salsoiodiche ai poveri e meno abbienti,<br />
fondando il Sanatorium, poi a lui intitolato, che diresse per venticinque anni.<br />
<strong>La</strong> creazione di questo istututo, inaugurato il 13 giugno 1897, gli costò lotte<br />
e fatica, ma infi ne egli lo realizzò: fu il primo istituto italiano del genere per<br />
i poveri, pietra militare nel campo della previdenza sociale e inizio di una<br />
nuova era nel settore dell’assistenza medica. Il Sanatorium divenne anche<br />
il primo centro studi di ricerche cliniche e di laboratorio. Nel 1907 il Baistrocchi<br />
fondò l’Asilo infantile Principe Umberto e Maria di Savoia, di cui fu<br />
per molti anni presidente. Quando l’Italia entrò nella guerra 1915-1918, fu il<br />
Baistrocchi a tenere un corso per infermiere, esigendo che estendessero la<br />
loro assistenza anche alle famiglie. Fu inoltre presidente della Croce Rossa<br />
Italiana, e nel dopoguerra promosse la costituzione di un comitato locale,<br />
assumendone la presidenza, per la cura dei bambini scrofolosi del Trentino.<br />
Quando si vollero onorare i caduti salsesi, egli presiedette il Comitato per<br />
la erezione del monumento ai Caduti, affi dandone l’esecuzione ad Alberto<br />
Bazzoni. Del contributo dato dal Baistrocchi all’idrologia, fa fede la serie di<br />
articoli da lui pubblicati: rubriche batteriologiche, altre di carattere fi sico-chimico,<br />
elettroscopiche, contenenti considerazioni sulla teoria degli elettroni e<br />
ioni. Più numerose sono le pubblicazioni sopra argomenti clinico-terapeutici:<br />
tra le principali, <strong>La</strong> disinfezione negli Stabilimenti balneari (1895), Della<br />
necessità di una legge che regoli l’autopsia medico-legale (1899), Guida<br />
medica dei bagni e delle inalazioni di Salsomaggiore (1900). <strong>La</strong>sciata nel<br />
1923 la direzione del Sanatorium, continuò a prestare la sua opera medico,<br />
rifi utando ogni onorario.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
B. Molossi, Dizionario Biografi co, 1957,14; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fi dentina,<br />
1961, 41-44; Gazzetta di Parma 12 maggio 1980, 3.<br />
BARILLA RICCARDO<br />
Parma 4 marzo 1880-Salsomaggiore 9 luglio 1947<br />
Nacque da Pietro e Giovanna Adorni. Frequentò le scuole fi no alla quarta<br />
71
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
elementare e successivamente cominciò ad aiutare il padre che possedeva<br />
nel centro di Parma, in via Vittorio Emanuele, un modesto negozio con annesso<br />
un piccolo forno per la fabbricazione e la vendita di pane e pasta; attività<br />
tradizionale della famiglia, che è presente con Ovidio fi n dal 1576 nell’arte<br />
bianca. <strong>La</strong> ristrettezza della produzione obbligò per diversi anni la<br />
famiglia a muoversi con estrema cautela. Un primo tentativo di allargare<br />
l’attività con l’acquisto di una seconda bottega, nel 1892, dovette essere<br />
abbandonato abbastanza rapidamente. Del resto in quel periodo il Barilla<br />
riuscì a operare solo grazie al credito concessogli dai fornitori. Nonostante<br />
tutte queste diffi coltà iniziali, e puntando sul fatto che gran parte della famiglia<br />
collaborava alla conduzione del forno e del negozio, a poco a poco la<br />
situazione migliorò. I mugnai cominciarono a offrire la loro farina con pagamenti<br />
più dilazionati che consentirono alla famiglia Barilla di operare qualche<br />
piccolo investimento. <strong>La</strong> lavorazione della pasta, prima effettuata a<br />
mano, venne resa più rapida ed effi ciente con l’adozione di un torchio di legno<br />
che consentiva una produzione giornaliera di circa trenta chili. Qualche<br />
tempo dopo questo macchinario, tutto sommato ancora artigianale, venne<br />
sostituito con un più moderno torchio in ghisa con la gramola, uno strumento<br />
per rassodare la pasta prodotto dalla locale industria meccanica Barbieri.<br />
In tal modo i livelli produttivi crebbero di colpo: dapprima a cento chili al<br />
giorno e poi, con la moltiplicazione di tali macchinari e con l’ausilio di cinque<br />
o sei operai, a venticinque quintali. Nei primi anni del Novecento tornò a<br />
collaborare con la famiglia il fratello del Barilla, Gualtiero, che fi no a quel<br />
momento aveva studiato in seminario, pronto a partire come missionario in<br />
Cina. In tal modo i due fratelli operarono una sorta di divisione del lavoro<br />
familiare: mentre il Barilla seguì da vicino la produzione, Gualtiero si occupò<br />
della vendita dei prodotti, effettuando anche qualche iniziale incursione in<br />
provincia di Parma e in seguito pure fuori. Il passaggio a una dimensione più<br />
propriamente industriale avvenne nel 1910, quando i Barilla presero in affi tto<br />
un fabbricato (che successivamente diventò di loro proprietà) situato sulla<br />
via Emilia e dotato di vasti magazzini. Lo stabilimento venne attrezzato con<br />
i più moderni macchinari e la produzione, una volta avviata, aumentò subito<br />
da trenta a cento quintali al giorno. Il fatto che tutto fosse stato acquistato<br />
contraendo un debito dimostra che la ditta aveva ormai raggiunto una tale<br />
affi dabilità, anche sul piano fi nanziario, che le aperture di credito nei suoi<br />
confronti potevano toccare cifre di una certa importanza. Fu tuttavia con la<br />
prima guerra mondiale che la ditta Gualtiero e Riccardo fratelli Barilla conobbe<br />
i primi importanti successi a livello nazionale. <strong>La</strong> produzione di pasta salì<br />
nel 1917 a trecento quintali al giorno, mentre nello stabilimento (che funzionava<br />
con motori elettrici con una potenza installata di quattrocento cavalli<br />
vapore) lavoravano circa duecento operai. Il che permise all’azienda di ottenere<br />
la dichiarazione di ausiliarità, grazie all’appoggio del ministro della<br />
Pubblica Istruzione Agostino Berenini, con tutti i vantaggi che teoricamente<br />
tale dispositivo comportava: forniture di farina più sicure, controllo maggiore<br />
sulla forza lavoro occupata, rapporti più continui con gli organi statali che<br />
dirigevano lo sforzo bellico e si occupavano della politica degli approvvigionamenti.<br />
In realtà anche la Barilla soffrì non poco delle restrizioni e delle<br />
lentezze con le quali il ministero competente effettuava le assegnazioni di<br />
grano. Inoltre i calmieri e i prezzi fi ssati centralmente, sia per la pasta destinata<br />
alle truppe, sia per quella posta in vendita alla popolazione civile, ridussero<br />
notevolmente gli utili di molte aziende del settore e in certi casi vennero<br />
pure registrate perdite di bilancio. Quest’ultimo non fu tuttavia il caso della<br />
Barilla, uscita dalla guerra con una maestranza di circa trecento persone.<br />
Alla morte del fratello Gualtiero, il Barilla rimase da solo alla testa dell’azien-<br />
72
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
da. Le tre sorelle, benché avessero diritto a una quota dell’eredità, non furono<br />
mai coinvolte attivamente nella gestione dell’impresa. Il contrario avvenne<br />
invece con la moglie del Barilla, Virginia, che lavorò sempre al fi anco del<br />
marito. <strong>La</strong> ditta non era evidentemente più una semplice bottega con un<br />
forno, tuttavia la mentalità del fornaio che vi lavora con i propri familiari resisteva<br />
tenacemente nel Barilla, spingendolo a occuparsi da vicino di tutte le<br />
fasi della lavorazione e della commercializzazione del prodotto, come se si<br />
trovasse ancora nel negozio paterno di via Vittorio Emanuele. È nel ventennio<br />
fascista che la Barilla compì un autentico salto di qualità, ponendosi tra<br />
le imprese di maggiore spicco di un settore in fase di espansione. I meriti<br />
personali del Barilla e dei suoi stretti collaboratori sono indubbi. Fu costante<br />
in lui l’esigenza di mantenere gli impianti al livello tecnologico più elevato<br />
possibile. Di qui i suoi continui viaggi in Germania a visionare e acquistare<br />
moderni macchinari per la sua fabbrica. <strong>La</strong> produzione di pasta venne differenziata<br />
con la fabbricazione di prodotti destinati a una ben determinata<br />
clientela (quelle paste che, secondo lo stesso Barilla, potevano defi nirsi di<br />
lusso), con il lancio delle pastine glutinate, particolarmente indicate per l’infanzia<br />
e con la creazione di una linea di prodotti con caratteristiche terapeutiche,<br />
le pastine glutinate, particolarmente indicate per l’infzia. Infi ne una<br />
buona organizzazione commerciale consentì all’azienda di coprire fi n da<br />
quegli anni praticamente l’intero territorio nazionale e di essere presente in<br />
tutte le colonie italiane. L’unico punto debole di una struttura per il resto all’avanguardia<br />
in Italia era la mancanza di indipendenza della ditta dai mugnai,<br />
dato che il Barilla non riuscì mai a dotarsi di quel mulino che lo avrebbe<br />
posto in una posizione di vantaggio rispetto alla concorrenza. Lo sviluppo e<br />
il potenziamento delle attività produttive della ditta (alla vigilia del secondo<br />
confl itto mondiale la produzione giornaliera di pasta toccò gli ottocento quintali,<br />
mentre le maestranze assommavano a circa ottocentocinquanta unità)<br />
non sarebbero tuttavia stati possibili senza l’intervento di fattori extraeconomici.<br />
Iscritto al Partito Nazionale Fascista e, secondo una fonte coeva, in<br />
ottimi rapporti con il segretario di questo, A. Starace (Archivio centrale dello<br />
Stato, Segreteria particolare del duce), il Barilla all’inizio degli anni Trenta<br />
cercò di trarne profi tto per la propria attività imprenditoriale. Dal 1932, con<br />
assidue donazioni di suoi prodotti (in particolare di notevoli quantità di pastina<br />
glutinata) agli asili dell’Opera nazionale maternità e infanzia e con offerte<br />
in denaro (nel 1933 mise a disposizione del Partito Nazionale Fascista<br />
10000 lire come contributo alla costruzione del palazzo del Littorio di Roma),<br />
egli seppe accattivarsi l’amicizia di Mussolini, che dal 1933 visitò assiduamente<br />
durante i suoi soggiorni romani. Questi contatti dovettere essere fruttuosi:<br />
il 24 maggio 1934 il Barilla fu insignito dell’onorifi cenza di grand’uffi -<br />
ciale del Regno e, verso la metà degli anni Trenta, la ditta Barilla poteva<br />
intrattenere rapporti di fornitura con numerosi enti statali e parastatali, ospedali,<br />
collegi e amministrazioni militari. Nel 1935 gli fu negata, tuttavia, la<br />
concessione per la fornitura del pane al presidio militare di Parma, da lui richiesta,<br />
adducendo come motivazione che in tal modo avrebbe contribuito<br />
a incrementare la disoccupazione nella provincia (tale rifi uto continuò negli<br />
anni successivi). Ciò testimonia la probabile esistenza di diffi coltà nei rapporti<br />
del Barilla con le autorità politiche locali. Lo proverebbero un comunicato<br />
dell’uffi cio stampa della federazione parmense del Partito Nazionale<br />
Fascista (pubblicato dal Corriere Emiliano del 28 giugno 1938), che lancia<br />
discredito su di lui, dando notizia dell’avvenuta restituzione alla fi glia e al<br />
genero del Barilla degli anelli nuziali, offerti alla patria in occasione del loro<br />
matrimonio, perché punzonati con il marchio di oro basso, e più ancora alcune<br />
valutazioni, tese a metterlo in cattiva luce a Roma, presenti in una in-<br />
73
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
formativa del fascio locale (Segreteria particolare del duce). In questa il Barilla<br />
viene dipinto come un padrone vecchia maniera, autoritario, inviso ai<br />
concittadini e poco disponibile ad accogliere gli interventi del partito nella<br />
gestione del suo stabilimento. Gli si imputa inoltre di mantenere livelli retributivi<br />
inferiori alla media del settore, di avere tra i suoi dipendenti una quota<br />
eccessiva di donne e fanciulli, addetti inoltre a lavorazioni non adatte alle<br />
loro capacità fi siche, di essere stato tra gli ultimi nel Parmense ad accordare<br />
la settimana lavorativa di quaranta ore (e di pretendere, anche dopo, che<br />
l’orario fosse protratto di fatto di un quarto d’ora senza il pagamento dello<br />
straordinario), di mantenere cattivi rapporti con il sindacato fascista e di non<br />
voler assumere nella sua fabbrica i membri della milizia. Queste accuse da<br />
un lato non ebbero negativi effetti pratici sull’attività del Barilla, che diradò sì<br />
le sue visite a palazzo Venezia, ma continuò a ottenere cariche e onori, divenendo<br />
membro del direttorio del Sindacato pastai, risieri e trebbiatori e<br />
ricevendo nel 1938 l’onorifi cenza di cavaliere del lavoro. Dall’altro non mostrano,<br />
sul piano storico, di avere eccessivo fondamento. I legami del Barilla<br />
con il regime (ancora nel 1941 risulta una sua sottoscrizione di 50000 lire in<br />
favore del Partito Nazionale Fascista) furono con molta probabilità motivati<br />
dalla necessità di ottenere appoggi politici per espandere l’attività dell’azienda<br />
(questo opportunismo spiegherebbe anche il cattivo stato dei suoi rapporti<br />
con le strutture fasciste locali). Lo confermerebbe tra l’altro la circostanza<br />
che, negli anni dell’occupazione tedesca, la sua casa fosse divenuta uno<br />
dei luoghi di rifugio per aderenti alla Resistenza. Inoltre, all’indomani della<br />
Liberazione, il nome del Barilla non fu mai inserito nelle liste di epurazione:<br />
questa appare come un’ulteriore conferma che negli anni di guerra i suoi<br />
rapporti con la popolazione cittadina, con gli operai della fabbrica e con le<br />
forze politiche antifasciste si erano andati evolvendo secondo linee di crescente<br />
sintonia (avvalora questa ipotesi anche una serie di testimonianze<br />
orali raccolte a Parma). Nell’immediato dopoguerra il Barilla si fece affi ancare<br />
e progressivamente sostituire alla guida dell’impresa dai fi gli Pietro e<br />
Gianni.<br />
FONTI E BIBL.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero delle Armi e Munizioni, b. 59;<br />
Segreteria particolare del duce, fasc. 509625; Roma, Federazione nazionale dei cavalieri del<br />
lavoro, Archivio storico, fasc. Barilla; Guida commerciale di Parma e provincia, XII 1925, 153, e<br />
XVI 1938, 237 s.; L. Cortellini, Parma. Industria e commercio, Parma, 1953, 71 s.; B. Molossi,<br />
Dizionario dei parmigiani grandi e piccini (dal 1900 a oggi), Parma, 1957, 17-18; G. Mondelli,<br />
Profi li delle aziende di Parma, in Parma economica giugno 1980, 42 s.; L. Segreto, in DBI,<br />
XXXIV, 1988, 255-257; Barilla: cento anni di pubblicità e comunicazione (a c. di. A. I. Ganapini<br />
e G. Gonizzi), Milano 1994; Cento anni di associazionismo, 1997, 390.<br />
BATTEI LUIGI<br />
Parma 10 luglio 1913-Parma 22 luglio 1954<br />
<strong>La</strong>ureato in legge, uffi ciale di complemento durante la seconda guerra mondiale,<br />
venne fatto prigioniero in Africa dagli Inglesi, e inviato in un campo di<br />
raccolta in India. A guerra fi nita, ritornò a Parma col fi sico ormai intaccato<br />
dal male che poi lo uccise a soli 41 anni. Nel 1949 sposò Anna Vanelli.<br />
Fu stretto e prezioso collaboratore del fratello Angelo nell’attività editoriale.<br />
Negli anni Cinquanta, il Battei, col fratello Angelo, diede nuovo impulso alla<br />
casa editrice fondata dal nonno Luigi. <strong>La</strong> necessità di intervenire subito per<br />
la salvezza e il potenziamento della casa editrice, imposero a lui e al fratello<br />
un duro tour de force. Inizialmente aiutati dal padre Antonio, essi presero a<br />
74
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
realizzare una nutrita serie di testi, dal valore indiscusso per l’importanza del<br />
contenuto e la pregevole realizzazione grafi ca. Pubblicò infatti opere di non<br />
comune valore artistico e culturale, quali <strong>La</strong> Storia di Parma di Ferdinando<br />
Bernini, Sott’il Torri di Alfredo Zerbini e il Catalogo della Mostra del libro raro<br />
a cura di Angelo Ciavarella. Pur essendo ormai lontani i grandi successi editoriali<br />
del nonno Luigi i due fratelli, con costanza, sagacia e spirito di sacrifi -<br />
cio, riordinarono la libreria di via Cavour, da sempre cenacolo di intellettuali,<br />
pianifi carono il lavoro editoriale e ripresero quello che la guerra aveva così<br />
violentemente interrotto. Quando almeno le prime diffi coltà sembravano superate,<br />
il Battei si ammalò gravemente e di lì a poco si spense.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Parma per l’Arte 1 1955, 47; Gazzetta di Parma 4 maggio 1993, 11; R. <strong>La</strong>sagni, Storia Casa<br />
Editrice Battei, 1995, 214.<br />
BECCARELLI LUIGI<br />
Borgo Taro 9 dicembre 1837-Vignale di Traversetolo 16 marzo 1908<br />
Nacque da Vincenzo e da Maria Brignoli. Il padre, fabbro, lo avviò agli studi<br />
ginnasiali, ma presto la penuria di mezzi lo costrinse ad abbandonare la<br />
scuola e a emigrare a Parma per imparare un mestiere. Qui, passato sotto<br />
la prestigiosa direzione dell’orologiaio di Corte (probabilmente Antonio Allodi,<br />
che sostituì il padre Ilario nella carica di Capo orologiaio a partire dal<br />
1831), il Beccarelli si appassionò allo studio delle tecniche meccaniche e<br />
all’evolversi degli stili dell’orologeria d’arredo (sia pure in stretta dipendenza<br />
da Parigi, a lungo seguita a Parma), e tanto si applicò da riuscire acostruire<br />
un orologio a grande soneria con le ore, i quarti e la ripetizione a scappamento<br />
come i cronometri di marina, provvisto di calendario perpetuo, coi<br />
giorni del mese e le settimane; con una terza sfera la quale, muovendosi in<br />
virtù d’una ruota che compie il suo giro in un anno, segnalava la differenza<br />
tra il tempo vero e quello dell’orologio, traducendo in atto meccanico le cosiddette<br />
tavole perpetue d’equazione. Di questo straordinario esemplare,<br />
peraltro ricordato solo da Lodovico Gambara e probabilmente ispirato alle<br />
pendole cosiddette astronomiche dei fratelli Frédéric ed Henri Courvoisier,<br />
di cui anche tra le suppellettili ducali delle regge parmensi esisteva un affascinante<br />
esempio (rintracciato da Chiara Briganti tra gli arredi passati al<br />
Quirinale), si è nel tempo perduta ogni traccia. Ancora dal Gambara viene la<br />
notizia che a ventidue anni (1859, quando l’ultima duchessa di Parma, Luisa<br />
Maria di Berry, reggente in nome del fi glio Roberto di Borbone, dopo l’assassinio<br />
del padre Carlo, il 9 giugno abbandonò il Ducato travolta dagli avvenimenti),<br />
il Beccarelli emigrò a Parigi, trattenendovisi per diciotto anni. Tuttavia,<br />
se diffi cilmente verifi cabile è la parrtenza da Parma nel 1859 e la<br />
permanenza a Parigi per quasi vent’anni, ancora più arduo è ipotizzare la<br />
data precisa del defi nitivo rientro in Italia (dal Gambara riferito al 1867), data<br />
l’ampia libertà di movimento e di spostamento fuori dei confi ni francesi, di<br />
cui il Beccarelli, per la sua stessa attività produttiva, dovette godere, e che i<br />
frequenti andirivieni con l’Italia (puntualmente registrati nel passaporto, conservato<br />
dagli eredi) non mancano di porre in ulteriore evidenza. Dai documenti<br />
conservati presso l’Archivio Storico del Comune di Traversetolo risulta<br />
comunque che Ernesto e Melania, fi gli del Beccarelli e della francese Léontine<br />
Bauret, nacquero entrambi a Parigi, rispettivamente il 30 aprile 1868 e<br />
il 16 aprile 1869, e che l’intera famiglia, cui si erano aggiunti Raffaele (Parigi,<br />
17 giugno 1871) e Annita (Vignale, 3 ottobre 1872) occupò il podere di Vignale<br />
tra il 1871 e il 1872, certifi cando però il proprio trasferimento in via<br />
uffi ciale solo il 1o luglio 1877. Certamente, quando il Beccarelli, ventiduen-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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ne, approdò nella capitale francese (probabilmente richiamatovi proprio dal<br />
fervore dell’attività orologiaia), la produzione di orologi da mensola e da<br />
viaggio, in cui il Beccarelli si specializzò al suo rientro in patria, era dello<br />
stesso ordine di grandezza, in termini monetari, di quella degli orologi da<br />
tasca svizzeri nel loro complesso. Le cosiddette pendules de Paris, da appoggiare<br />
su una mensola o su un mobile a muro, vivevano il momento più<br />
felice del loro prepotente (e duraturo) successo, e numerosi furono gli imprenditori<br />
(spesso anche inventori di geniali perfezionamenti) che tra il secondo<br />
e il terzo quarto del XIX secolo impiantarono opifi ci per la produzione<br />
di orologi: i fratelli Japy, eredi del grande Frédéric, fondatore della prima industria<br />
di orologi alla fi ne del XVIII secolo e ancora attivi nel 1867, o Samuel<br />
Marti & C.ie, fabbricante di movimenti del tipo Parigi, attivo a partire dal<br />
1840, per citare solo alcuni tra i numerossissimi esempi disponibili in uno<br />
scenario particolarmente affollato. Comunque, se pure le carte d’archivio<br />
non forniscano precise indicazioni sulla presenza del Beccarelli presso uno<br />
dei menzionati opifi ci (sebbene l’uso di giovarsi di marchi di fabbrica, punzonati<br />
sulla platina posteriore del movimento, che ricordano le medaglie ottenute<br />
in varie esposizioni, potrebbe ragionevolmente indurre a ipotizzare un<br />
legame privilegiato con l’industria degli Japy Frères), è indubbio che il soggiorno<br />
parigino e probabilmente la frequentazione di rinomati atelier, dove il<br />
Beccarelli poté avere agio di apprendere l’assemblaggio di movimenti e casse<br />
separate ma compatibili, dovette renderlo ben consapevole sia della<br />
complessa organizzazione delle grandi manifatture francesi (dove ogni singolo<br />
elemento decorativo e funzionale di una cassa d’orologio poteva essere<br />
separato dall’insieme e assemblato mediante viti e bulloni, così che ogni<br />
parte risultava essere il frutto di specializzazioni diverse a partire da un progetto<br />
iniziale) sia di come la produzione di statuette e gruppi plastici in bronzo,<br />
da inserire in pendole, fosse contigua a quella di elementi decorativi da<br />
impiegare autonomamente pour orner les tables, et les cheminée. Certamente<br />
dovette trovare assai congeniali tali orientamenti, al punto che, ormai<br />
consapevole delle proprie ben consolidate capacità, si risolse a impiantare<br />
un proprio stabilimento al n. 1 del Passage Brady in Faubourg Saint Martin:<br />
l’Horlogerie Bijouterie L. Beccarelli, come si legge sulla carta intestata di una<br />
lettera inviata a Parma il 1o gennaio 1876 all’avvocato Sicoré, curatore dei<br />
suoi interessi in Italia. Fin dal 1872 il Beccarelli, come egli stesso dichiara in<br />
una lettera del 15 dicembre 1875 al marchese Guido Dalla Rosa Prati sindaco<br />
di Parma, prese l’abitudine di compiere un viaggio a Parma, e non è azzardato<br />
pensare che proprio nel corso di questi frequenti andirivieni abbia<br />
avuto modo di acquistare da Pontoli, un ex carbonaro toscano, la villa di<br />
Vignale, più tardi ribattezzata Cronovilla, anticamente proprietà dei conti<br />
Arese-Borromeo e successivamente passata ai conti Nasalli. È certo, comunque,<br />
che questi frequenti soggiorni in Italia dovettere dare agio al Beccarelli<br />
di valutare la possibilità di un rientro defi nitivo in patria e del conseguente<br />
trasferimento del proprio opifi cio parigino in un’area che, sotto il<br />
profi lo industriale, sembrava offrire condizioni di lavoro particolarmente favorevoli,<br />
non presentando problemi di concorrenza e avendo disponibilità di<br />
forza occupazionale a basso costo, data la situazione di estrema miseria<br />
materiale e culturale della popolazione, nella città di Parma come nelle campagne.<br />
<strong>La</strong> già citata lettera al sindaco Dalla Rosa Prati è, in tal senso, illuminante:<br />
V.a S.a Ill.ma non apprenderà niente di nuovo dicendoLe che l’Italia<br />
(eccettuatone la Spagna) è la più grande nazione in Europa priva di fabbriche<br />
di Orologeria. È pure inutile ch’io mi adoperi per dimostarLe l’importanza<br />
e il vantaggio che ne ritraerebbe l’Italia dal non più essere per questi articoli,<br />
tributaria interamente delle nazioni estere. Ho ancor meno bisogno di<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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dimostrare a Lei, uomo pratico, l’interesse che ne risulterebbe per la Città<br />
che possederebbe una simile industria. Ma per condurre a buon fi ne quest’opera<br />
eminentemente patriottica, e che si può qualifi care di gigante, necessita<br />
un uomo della professione, e capace di un’abnegazione poco comune.<br />
Quanto alle conoscenze pratiche in orologeria mi sarà facile fornirne le<br />
prove. Quanto poi allo spirito di abnegazione, bisogna possederne una gran<br />
dose per abb andonare la mia casa di manifattura e commercio d’orologeria<br />
in Parigi, la quale mi permette di economizzare dalle venticinque alle trentamila<br />
lire ogni anno. Quindi non mi dissimulo che quest’opera patriottica è per<br />
me un vero sacrifi zio. Da quattro anni faccio un viaggio ogni estate aParma,<br />
e ogni volta arrivo coll’intenzione di cominciare l’impianto della progettata<br />
fabbrica; ma l’isolamento mi scoraggia. Buone parole ne trovo pertutto, appoggio<br />
di fatto, nessuno. In modo che metto in un piatto della bilancia il<br />
guadagno di Parigi, nell’altro le buone parole dei Parmigiani ed è sempre il<br />
primo che vince l’ultimo. Però quest’anno il vento sembra spirare più favorevole,<br />
e se V.S. Ill.ma è disposta come mi si accerta, ad appoggiare moralmente<br />
il mio progetto, e colla sua incontestabile infl uenza procurarmi un<br />
appoggio materiale dal Comune e dal Governo (che desidererei dividessero<br />
meco i sacrifi cii almeno in piccola parte), arriverei a dar cominciamento all’opera.<br />
<strong>La</strong> reazione della Giunta Municipale di Parma alla proposta del Beccarelli<br />
fu all’inizio alquanto tiepida, in considerazione soprattutto dell’appoggio<br />
materiale esplicitamente richiesto (concessione gratuita di un locale con<br />
motore idraulico, esonero dalle tasse comunali per tre anni, sussidio di lire<br />
diecimila), e solo in virtù dei buoni uffi ci del sindaco, che nella consapevolezza<br />
dei vantaggi che alla città sarebbero derivati dall’impiantarvi un’industria<br />
per l’Italia affatto nuova aveva già sollecitato, con lettera del 18 gennaio<br />
1876, il concorso economico della Cassa di Risparmio Parmense, e aveva<br />
individuato il locale adatto all’impianto dello stabilimento nell’Edifi cio del<br />
Santo Spirito al n. 31 dell’omonimo borgo, cui era annessa una caduta d’acqua<br />
che serviva un tempo al fi latoio Perinetti, si poté giungere a deliberare<br />
affermativamente in favore di un appoggio di massima. Nella successiva<br />
adunanza del 4 febbraio 1876, il Consiglio Municipale approvò a maggioranza<br />
la proposta della Giunta di aderire al progetto del Beccarelli. In effetti, la<br />
direzione della Cassa di Risparmio, pur deliberando, nella seduta del 7 febbraio<br />
1876, di non poter venire in soccorso all’imprenditore coll’elargizione<br />
di una somma, promise di usargli tutte le possibili agevolezze, ove egli chiedesse<br />
qualche sovvenzione. Pur deluso nelle proprie iniziali aspettative, il<br />
Beccarelli non dovette tuttavia perdersi d’animo e di buon grado si assoggettò<br />
a mutare l’iniziale progetto, volgendosi a più economiche<br />
pretese. Una lettera al sindaco di Parma dell’11 febbraio rende edotti dei<br />
nuovi termini della questione: il Beccarelli si obbliga a impiantare in Parma,<br />
entro l’anno 1876, una fabbrica di pendole per proprio conto sotto la speciale<br />
sua direzione e sorveglianza e a impiegarvi circa cento persone da aumentarsi<br />
man mano col progredire dell’industria. In cambio chiede che il<br />
comune gli conceda il godimento gratuito dell’edifi cio detto di Santo Spirito,<br />
coll’annesso diritto d’acqua e col carico del Comune del pagamento delle<br />
contribuzioni pei primi tre anni, e un premio in danaro di lire cinquemila da<br />
pagarsi attivata la fabbrica entro l’anno 1876. Chiede inoltre che la Cassa di<br />
Risparmi Parmense gli accordi un prestito di lire ventimila per dieci anni<br />
fruttifero nella ragione del 2,50% da garantirsi con ipoteca sui beni stabili di<br />
sua ragione, posti in Vignale di Traversetolo. Il prestito fu effettivamente<br />
concesso, come si desume dall’estratto del processo verbale dell’adunanza<br />
tenuta dal Comitato Amministrativo della Cassa il 14 febbraio 1876 e il Beccarelli<br />
non mancò di testimoniare la propria riconoscenza con un dono pre-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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stigioso per la Sala del Consiglio che Girolamo Magnani andava decorando<br />
e per la quale proprio in quell’anno furono deliberati, a successive riprese,<br />
numerosi lavori di arredo e abbellimento. È anzi probabile che il Beccarelli<br />
fornisse anche la meccanica per il grande orologio da parete (quasi certamente<br />
su disegno dello stesso Magnani, secondo l’indirizzo decorativo imperante,<br />
che legava l’oggetto d’arredo allo spazio architettonico elaborandone<br />
il progetto in modo unitario), con cassa in legno intagliato e dorato a<br />
motivi neoantichi di ghirlande, conchiglie e foglie d’acanto, in prezioso pendant<br />
con l’esuberante boiserie della sala. Il quadrante in marmo bianco, con<br />
le dodici placchette in smalto, a orlo irregolare su schema trapezoidale capovolto,<br />
ore in numeri romani in blu e lancette d’acciaio brunito a traforo, ripropone<br />
infatti uno schema assai consueto nella produzione del Beccarelli,<br />
peraltro non nuovo ad adattare i suoi movimenti a un contesto insolito. <strong>La</strong><br />
perdita del movimento originale non consente di spingersi oltre, ma il confronto<br />
con l’orologio presente nella Sala della Giunta del Palazzo Municipale<br />
di Traversetolo, con quadrante del tutto identico a quello della Sala Consiliare<br />
della Cassa fuorché nell’indicazione L. Beccarelli Vignale impressa a inchiostro<br />
nero sul marmo, incoraggia a pensare si possa riconoscervi la mano<br />
del Beccarelli, sebbene essa esplicitamente non appaia. Il catalogo delle<br />
opere d’arte della Cassa annovera anche un altro orologio (Inv. CRP 39898)<br />
riferibile alla produzione della manifattura Beccarelli, come esplicitamente<br />
attestano il marchio di fabbrica L. Beccarelli Parma inciso sul quadrante e un<br />
altro punzone che ricorda la medaglia ottenuta all’Esposizione Universale di<br />
Parigi del 1878. Riferimento cronologico che potrebbe anche assumersi<br />
come termine post quem per la datazione del delizioso orologio da mensola<br />
con cassa in tartaruga decorata con intarsi in avorio a girali d’acanto e motivi<br />
fl oreali, in linea con la moda per i mobili intarsiati tornata in auge in Italia<br />
fi n dagli anni Quaranta del XIX secolo grazie all’attività di intraprendenti botteghe<br />
artigiane. Le caratteristiche meccaniche del pezzo, con movimento<br />
tipo Parigi, non contribuiscono di per sé a una datazione precisa (in quanto<br />
si ritrovano pressoché costanti per un lungo arco di tempo), datazione che<br />
può tuttavia essere verosimilmente compresa tra il 1878 e il 1881, anno<br />
della fortunata partecipazione del Beccarelli all’Esposizione Nazionale Italiana<br />
di Milano e del conseguimento della medaglia d’oro, ricordata a partire<br />
dal 1882 in un nuovo punzone che andò a sostituire quello relativo alla medaglia<br />
di bronzo del 1878. L’inaugurazione dell’opifi cio avvenne il 29 aprile<br />
1877, come si desume dal verbale dell’adunanza della Giunta Municipale<br />
del 1o maggio. Il medesimo documento rende edotti sullo stato della fabbrica<br />
e sul suo ritmo di lavoro, al momento ancora piuttosto rallentato: Sono in<br />
luogo e funzionano tutte le macchine occorrenti: sono impiantati tutti i servigi,<br />
anche di doratura, di lavorazione di marmi etc. Il personale degli operai<br />
ha raggiunto il numero richiesto; si è già incominciato a lavorare per fabbricar<br />
pendole. <strong>La</strong> fabbrica quindi se non è giunta al suo massimo sviluppo,<br />
cosa che certamente non poteva pretendersi in pochi mesi, è però veramente<br />
in attività di esercizio. Ben presto l’attività dell’opifi cio divenne, come da<br />
parte di tutti si auspicava, assai intensa e ben qualifi cata, tanto che il piccolo<br />
campionario di orologi presentato nel 1878 all’Exposition Universelle di<br />
Parigi ottenne dal giurì la medaglia di bronzo. Fu il primo di una serie di prestigiosi<br />
riconoscimenti che seguirono con puntuale regolarità fi no allo scoccare<br />
del nuovo secolo: la medaglia d’oro all’Esposizione Nazionale Italiana<br />
di Milano nel 1881, ancora la medaglia d’oro all’Esposizione Generale Italiana<br />
di Torino nel 1884, il diploma d’onore e la medaglia d’argento all’Esposizione<br />
Industriale e Scientifi ca di Parma nel 1887, tre medaglie d’oro all’Esposizione<br />
Emiliana di Bologna nel 1888 e ancora la medaglia d’oro<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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all’Esposizione Fiorentina nel 1890, all’Esposizione Nazionale di Torino nel<br />
1898 e all’Exposition Universelle di Parigi nel 1900. Tuttavia, l’insuffi cienza<br />
della caduta d’acqua annessa all’opifi cio e, forse, qualche tensione con gli<br />
operai e particolarmente con gli apprendisti i quali prima ancora di essere<br />
capaci di lavoro profi cuo, pretendevano di essere largamente retribuiti, e<br />
non potendosi acconsentire, abbandonavano la fabbrica, dovettero suggerire<br />
al Beccarelli l’opportunità di trasferire l’opifi cio sul suo fondo di Vignale,<br />
dove avrebbe potuto utilizzare la forza motrice idraulica del Canale della<br />
Spelta e, al tempo stesso, sottrarre i suoi operai, e specialmente i teneri<br />
giovinetti, dalle distrazioni cittadine, e dai pericoli del vizio. <strong>La</strong> notizia del<br />
trasporto della fabbrica nel Comune di Traversetolo colpì sfavorevolmente i<br />
membri del Consiglio municipale che, riuniti in seduta straordinaria l’11 febbraio<br />
1881, lo giudicarono di grave danno per la città. Il Beccarelli, sollecitato<br />
a fornire spiegazioni in merito, non mancò di porre in evidenza, con malcelata<br />
amarezza, i numerosi ostacoli che malgrado il sacrifi cio d’ingentissime<br />
spese, impedivano di fatto il mantenimento dell’opifi cio in Parma. Per di più<br />
alcune disastrose circostanze avevano rallentato, quando non del tutto paralizzato,<br />
l’attività dello stabilimento: lo sciopero nel gennaio 1877 di tutti gli<br />
apprendisti i quali contavano dalli undici a’ quatordici anni d’età, perché volevano<br />
essere pagati!, il rifi uto della Presidenza degli Ospizi Civili di fornire<br />
manodopera femminile, per non parlare dell’ostracismo della stampa locale<br />
che avversava il Sindaco d’allora sostenitore del progetto e che aveva rivolto<br />
perciò i suoi strali anche contro il Beccarelli e la sua industria accogliendo<br />
nelle sue colonne lagnanze prive d’ogni giustizia. Alla Giunta non restò che<br />
prendere atto delle ragioni dell’imprenditore e nella seduta del 1o aprile<br />
1881 dichiarò di fatto cessata la fabbrica d’orologeria e diede contemporaneamente<br />
disposizione all’Uffi cio d’Arte per il recupero dei locali che il Beccarelli<br />
si impegnò a riconsegnare entro la fi ne di quello stesso mese. Tuttavia,<br />
è solo a partire dal 1882 che le carte dell’Archivio Storico del Comune di<br />
Traversetolo documentano l’inserimento del nome del Beccarelli, registrato<br />
come Fabb.e d’orologi, tra quelli degli Utenti Pesi e Misure soggetti alla verifi<br />
cazione periodica, mentre nulla si è ritrovato a carico dell’attività dello<br />
stabilimento nei mesi che vanno dal maggio al dicembre del 1881, durante i<br />
quali dovettero probabilmente cadere i lavori di adattamento del fabbricato<br />
originario della villa di Vignale, trasformata in un complesso di ben più ampie<br />
proporzioni, con opifi cio, edifi cio padronale per l’industriale e la sua famiglia<br />
e una sorta di falansterio destinato a ospirare gli operai, come documenta<br />
una rara incisione posta a corredo dell’intestazione a stampa, in capo al foglio<br />
di una lettera indirizzata dal Beccarelli al sindaco di Traversetolo. Dai<br />
documenti conservati nell’Archivio Storico Comunale si ha l’impressione che<br />
a Traversetolo il Beccarelli godesse di altissima considerazione. Una considerazione<br />
e un prestigio che i numerosi incarichi pubblici via via assunti<br />
dovettero nel tempo ulteriormente accreditare: membro del Consiglio Municipale<br />
fi n dal 1881, il Beccarelli risulta far parte della giunta nel 1885, e nel<br />
1887 fu nominato presidente della giunta del Comune di Traverúsetolo per<br />
la grande Esposizione Industriale e Scientifi ca tenutasi a Parma nell’agosto<br />
e nel settembre di quell’anno nei locali dell’ex Convento di San Paolo e nell’annesso<br />
giardino. Attorno al 1886 la produzione di pendole da muro di tipo<br />
standardizzato per gli uffi ci delle Ferrovie dello Stato e delle Poste, nonché<br />
di telemetri per la Marina, è concordemente menzionata dalla peraltro esigua<br />
bibliografi a sull’attività industriale del Beccarelli. Produzione che risulta<br />
ulteriormente accreditata sia dall’indicazione Fornitore delle Ferrovie e R.<br />
Telegrafi stampata sulla carta intestata dell’azienda, sia da una nota della<br />
Prefettura di Parma al sindaco di Traversetolo del 14 ottobre 1893, che ren-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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de edotti sul condono di una multa, precedentemente infl itta al Beccarelli,<br />
nel frattempo nominato Cavaliere della Corona d’Italia, dal Ministero delle<br />
Poste e Telegrafi per ritardo nella consegna degli orologi, in considerazione<br />
del fatto che esso era in parte dipeso da ulteriori miglioramenti richiesti. Il<br />
Beccarelli inoltrò nel 1901 al Ministero d’Agricoltura Industria e Commercio<br />
la richiesta di emissione di un decreto di privativa per un suo orologio notturno<br />
a grande suoneria e sveglia,<br />
testimonianza rivelatrice di un ritmo di lavoro assai serrato e competitivo.<br />
A partire dal 1896, il Beccarelli appare registrato nella Matricola degli<br />
esercenti del Comune di Parma non più soltanto come Fabb.e di pendole<br />
ma anche come Nolegg.re di trebbiatrici, e inoltre nel 1903 tentò anche la<br />
fabbricazione di due tipi di bicicletta, la Luxor e la Kelpis, che tuttavia abbandonò<br />
solo tre anni dopo. Richiamati dal fervore e dal prestigio dell’attività<br />
della Manifattura Italiana d’Orologeria giunsero alla Cronovilla molti giovani<br />
operai e apprendisti, non solo dal limitrofo abitato di Traversetolo ma da tutti<br />
i paesi della provincia, come si desume dalle Note degli operai appartenenti<br />
allo Stabilimento d’Orologeria Beccarelli Luigi, regolarmente presentate alla<br />
Prefettura di Parma insieme con la prescritta Denuncia annuale di esercizio<br />
a partire dal 1902, in ossequio alla legge 19 giugno 1902 n. 242 sul lavoro<br />
delle donne e dei fanciulli (che, in effetti, furono numerosi nello stabilimento:<br />
sui 46 operai registrati nel 1902, 9 avevano infatti meno di quindici anni e 13<br />
erano donne di età compresa tra i tredici e i trentacinque anni). Tra i tanti,<br />
dovette compiere il proprio apprendistato alla Cronovilla anche Giuseppe<br />
Baldi, modellista e fonditore, che secondo Valo Bianchi impiantò a Traversetolo<br />
per conto del Beccarelli un piccolo laboratorio per la fusione di bronzi<br />
artistici e la realizzazione di custodie per Pendole d’ogni genere prodotte<br />
nello stabilimento di Vignale, e sotto le cui direttive passarono, nel tempo,<br />
alcuni giovani artisti di grande talento: Renato Brozzi, Cornelio Ghiretti e<br />
Pietro Carnerini. L’azienda del Beccarelli si avviò a essere una delle maggiori<br />
e più qualifi cate non solo in Italia ma in tutta Europa (pare che i giurati<br />
dell’Exposition Universelle di Parigi del 1889 stentassero a credere che il<br />
campionario di orologi e sveglie tipo offi cier presentato provenisse da una<br />
sola fabbrica e, soprattutto, da una fabbrica italiana) e nel 1907, non senza<br />
orgoglio, il Beccarelli poté segnalare sulla propria carta intestata: Prima<br />
Manufattura Italiana d’Orologeria. Nel 1906, in occasione dell’Esposizione<br />
Internazionale di Milano, il Beccarelli inviò pendole e bronzi artistici d’une<br />
valeur artistique et commerciale fort grande, come sottolineò encomiasticamente<br />
la Revue Générale Industrielle di Parigi. Un incendio scoppiato nel<br />
padiglione dedicato alle Arti Decorative distrusse tutto il prezioso campionario<br />
ma non impedì che la manifattura di Vignale ottenesse dal giurì milanese<br />
il diploma d’onore e che la stampa nazionale e internazionale si occupasse<br />
del Beccarelli in termini entusiasticamente elogiativi. Giunti però al 1907, le<br />
notizie sull’attività dello stabilimento si fanno di colpo assai rare. Una latitanza<br />
che forse è già il segnale del precario stato di salute del Beccarelli, che<br />
morì settantenne l’anno successivo, lasciando sulle spalle della moglie tutto<br />
il peso dell’azienda.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Lettera di L. Beccarelli da Vignale di Traversetolo, 31 maggio 1882, in L’Arte Cronometrica 2<br />
1882, 76; Fabbriche di orologi a Pendolo, in Notizia sulle condizioni industriali della provincia di<br />
Parma, Roma, Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, 1890, 63; Exposition Universelle<br />
de Paris 1900. Manufacture Italienne d’Horlogerie et Bronzes Louis Beccarelli. A Messieurs<br />
les Jures des classes 96 et 97, Parma, 1900; J. Michel-Morot, <strong>La</strong> manufacture de bronze et<br />
horlogerie L. Beccarelli, in Revue Generale Industrielle 24 febbraio 1907, 142-143; L. Gambara,<br />
Villa già Ferrari-Beccarelli. (Cronovilla), in Le ville parmensi, Parma, <strong>La</strong> Nazionale, 1966,<br />
128-130; L. Sartorio, <strong>La</strong> fabbrica di arloj, in Gazzetta di Parma 7 maggio 1984, 3; Patria degli<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
orologi con la Cronovilla, in Gazzetta di Parma 2 agosto 1996, 21; Beccarelli Luigi, in Enciclopedia<br />
di Parma, 1998, 122; Gazzetta di Parma 15 giugno 1981, 3; A. Mavilla, in Almanacco<br />
Parmigiano 1996/1997, XXX-XLIV.<br />
BENASSI UMBERTO<br />
Parma 4 gennaio 1876-Genova 2 agosto 1925<br />
Nato a Parma da Aminta e da Maria Beatrice Pelizzi, vi fece gli studi secondari,<br />
recandosi poi nel 1894 a Pisa, dove compì gli studi universitari alla<br />
Scuola Normale. In quegli anni pisani il Benassi ebbe compagni di studio e<br />
di discussione G. Gentile, G. Lombardo Radice e G. Volpe. Maestri gli furono<br />
A. D’Ancona, E. Pais e, in particolar modo, Amedeo Crivellucci, al quale<br />
fi nì per legarsi saldamente. Del Crivellucci, la cultura ancora provinciale del<br />
Benassi subì immediatamente il fascino, accogliendone intera la lezione di<br />
serietà e di impegno scientifi co. Nella rivista fondata e diretta dallo stesso<br />
Crivellucci, Studi storici, egli pubblicò ventunenne, nel 1897, il suo primo<br />
saggio dedicato a una questione di cronistica parmense. Fin da questi primi<br />
anni di studio e di lavoro fi ssò chiaramente il suo entusiasmo erudito alle<br />
vicende storiche della città natia e subito impegnò tutte le sue forze nell’allestire<br />
i materiali per quella che doveva rimanere l’impresa più ambiziosa della<br />
sua professione di ricercatore: la Storia di Parma, continuazione della vecchia<br />
e celebre compilazione dell’Affò, portata innanzi dal Pezzana fi no alle<br />
soglie del secolo XVI. In cinque densi volumi, stampati a Parma tra il 1899<br />
e il 1906, il Benassi non arrivò a comprendere che il brevissimo periodo<br />
che va dal 1500 al 1534. Da un punto di vista interno, si tratta di una opera<br />
discontinua e assai poco omogenea, legata nei vari volumi alla maturazione<br />
e mutazione dello studioso: da un primo volume arido e annalistico, troppo<br />
scolasticamente legato ai vecchi modelli della storiografi a erudita locale,<br />
attraverso un secondo e un terzo più liberi e personali nell’impostazione<br />
e nella trattazione, si passa alggli ultimi due veramente buoni, nei quali il<br />
Benassi, liberatosi dell’impaccio giovanile e dominando più accortamente<br />
l’imponente materia erudita e la vastità della ricerca archivistica, riesce a<br />
uscire dallo spirito un po’ angusto della storia locale e a ricollegare le vicende<br />
dello Stato parmense ai movimenti e ai contrasti politici e ideali che fervevano<br />
sull’orizzonte europeo nella prima metà del Cinquecento. In generale,<br />
stupisce e impressiona nell’opera del benassi, ancora giovane, la maturità<br />
del mestiere e le conoscenze sterminate e di prima mano nei riguardi della<br />
materia trattata, per quanto ristrette all’ambito parmense. Ma vano sarebbe<br />
pretendere dal Benassi la capacità di un rievocatore felice ed effi cace, oltre<br />
la documentata cronaca degli avvenimenti storici. Gli nocque probabilmente<br />
l’essersi accinto a una tale impresa senza aver prima sperimentato ricostruzioni<br />
di più facile respiro. Finirono così per diventare gravi limiti gli stimoli<br />
stessi che lo avevano spinto all’opera, cioè il fascino troppo provincialmente<br />
sentito della storia locale e della secolare tradizione della sua Parma da<br />
un lato e dall’altro l’inclinazione polemica verso la storia come narrazione<br />
minuta e documentata di avvenimenti politici e diplomatici e il tentativo ambizioso<br />
di legarsi alla magistrale lezione muratoriana senza avere le capacità<br />
necessarie a rinnovarla e interpretarla in modo moderno. L’esistenza stessa<br />
del Benassi può testimoniare però dell’autenticità della sua vocazione storica,<br />
nutrita essenzialmente di amore per le tradizioni e le vicende locali e<br />
di severa dedizione alla ricerca documentaria. Professore di scuola media,<br />
dapprima a Porto Maurizio, poi a Parma dal 1905 come titolare di storia<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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nell’istituto tecnico, tenne quella cattedra per vent’anni, rifi utando incarichi<br />
più prestigiosi e ambiti, restio soprattutto ad allentare anche per poco i legami<br />
con la terra natia. Da questa ininterrotta vocazione di studioso locale<br />
sorsero via via i suoi numerosissimi contributi, caratterizzati tutti da grande<br />
attenzione di ricerca e da notevole ricchezza documentaria. Tralasciando i<br />
molti saggi che apparvero nel Bollettino Storico Piacentino e nell’Archivio<br />
Storico per le Province Parmensi tra il 1905 e il 1925, vanno almeno ricordati<br />
la Storia di Parma da Pier Luigi Farnese a Vittorio Emanuele III (Parma,<br />
1907), dove l’intento palesemente divulgativo permette più libera e spontanea<br />
espressione allo spirito e alla vena di rievocazione locale propri del<br />
Benassi, e il volume I del Codice diplomatico parmense del secolo IX (Parma,<br />
1910), saggio notevole per la sicura conoscenza da parte del Benassi<br />
della storia Parmense. E può non essere inutile alla comprensione della sua<br />
personalità ricordare anche una conferenza che egli tenne all’Università popolare<br />
di Parma nel marzo del 1915 e subito stampata in opuscolo, L’anima<br />
parmigiana di fronte alla guerra attraverso i secoli, dove, facendosi ingenuo<br />
partigiano dell’interventismo, egli conduce la sua inclinazione di storico locale<br />
ai limiti della retorica di un nazionalismo tutto risolto in bonario spirito di<br />
campanile. I risultati migliori e di gran lunga più maturi della indefessa attività<br />
di ricercatore del Benassi sono però raccolti nel lavoro, che egli condusse<br />
negli ultimi anni di vita, su Guglielmo Du Tillot. Un ministro riformatore del<br />
secolo XVIII, uno dei primi contributi seri alla storia dell’illuminismo italiano<br />
e del movimento riformatore. <strong>La</strong> lunga ricerca del Benassi, che uscì a puntate<br />
nell’Archivio Storico per le Province Parmensi tra il 1915 e il 1925 (voll.<br />
XV-XVI e XIX-XXV) e fu diffusa poi in estratti unitari, stavolta si sostanzia<br />
dei nuovi indirizzi storiografi ci, in particolare di quello economico-giuridico, e<br />
ritrova nella sempre imponenete mole del materiale erudito un ben distinto<br />
fi lo conduttore, rappresentato dalla corrente di rinnovamento politico e civile<br />
della piccola Parma settecentesca e impersonato dalla fi gura del Du Tillot.<br />
Il Benassi è così condotto dal suo stesso argomento al di fuori dello spirito<br />
provinciale cui era rimasto per l’innanzi legato, preso nel giro di problemi e<br />
dibattiti che gli aprirono un orizzonte europeo. L’opera prese posto in tutta<br />
una serie di studi che rinnovarono in quegli anni le prospettive della ricostruzione<br />
storica del Settecento italiano, quali offrirono lo Schipa, il Rota, il<br />
Natali e il Pugliese, e impostò una serie di problemi, come l’importanza e la<br />
diffusione europea della circolazione delle idee illuministiche, che rimasero<br />
fondamentali, da un punto di vista metodologico, nella posteriore ricerca storica<br />
sul secolo dei lumi. Nonostante che in due concorsi universitari, a Messina<br />
nel 1920 e a Catania nel 1921, fossero stati espressi giudizi lusinghieri<br />
sul suo conto, il Benassi non volle neppure tentare una strada per la quale<br />
non si sentiva portato: affezionatissimo alle sue cariche e incombenze locali<br />
ed erudite, segretario della Deputazione di Storia Patria di Parma dal 1909,<br />
della locale Accademia di Belle Arti e membro della Commissione Araldica,<br />
solo all’inizio del 1925 cedette alle insistenze degli amici chiedendo la libera<br />
docenza. Ma la morte lo colse nello stesso anno.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Recensioni e segnalazioni dei vari lavori del Benassi si trovano numerose nelle riviste di cultura<br />
del tempo , in particolare nell’Archivio Storico Italiano e nel Giornale Storico della Letteratura<br />
Italiana: per esempio G. Coggiola, recensione a Storia di Parma, in Studi Storici X 1901, 351-<br />
356, e XVI 1907, 103-108; G. Prato, Un ministro riformatore del secolo XVIII, in <strong>La</strong> Riforma<br />
Sociale XXXII 1925, 137-142, acuta disamina del lavoro del Benassi su Du Tillot. Cfr. inoltre la<br />
necrologia del Benassi scritta da A. Boselli nel Giornale Storico della Letteratura italiana XLIII<br />
1925, 421 s.; P. Egidi, In memoria, in Rivista Storica italiana XLII 1925, 335; P. Silva, Umberto<br />
Benassi, in Archivio Storico per le Province Parmensi, n.s., XXV 1925, XXIII-XL, che è il contributo<br />
più ampio, con larga bibliografi a della produzione storiografi ca del Benassi; W. Maturi, Gli<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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studi di storia moderna e contemporanea, in Cinquant’anni di vita intellettuale italiana, 1896-<br />
1846, Scritti in onore di B. Croce per il suo ottantesimo anniversario, Napoli, 1950, 231-233; B.<br />
Molossi, Dizionario biografi co, 1957, 24-25; G.F. Torcellan, in Dizionario biografi co degli Italiani,<br />
VIII, 1966, 177.<br />
BERZIOLI GIUSEPPE<br />
Zibello settembre 1803-Parma 31 luglio 1871<br />
Il Berzioli, sebbene privo delle necessarie cognizioni tecniche, cominciò da<br />
solo e per divertimento a fabbricare pianoforti nel paese natio. Riuscì a costruire<br />
in Zibello un pianoforte a tavolo che fu stimato buono dall’autorevole<br />
maestro Frondoni di Pieve Ottoville e da Verdi stesso. Nel suo Vocabolario<br />
topografi co il Molossi lo ricorda per l’esattezza ed il buon gusto con ch’egli<br />
lavora il legbame; ma molto più ancora per la sua abilità nel costruire pianoforti<br />
a varii registri, tali veramente da porre in dubbio se ci torni a preferirne<br />
di stranieri. Nel 1834 si decise a trasportare la sua industria a Parma nei<br />
locali della ex chiesa di Sant’Agostino nell’Oltretorrente. Dopo alcuni anni di<br />
lavoro, trasferì la fabbrica in Strada Santa Croce n. 81. Il 25 novembre 1845<br />
ottenne dal duca Carlo di Borbone il brevetto di privativa per tale genere<br />
d’industria. Verso il 1850 si unì col fratello Vitale, ma questi poi passò in società<br />
con un Ghirardi. Il 16 settembre 1854 il Berzioli fu nominato fabbricante<br />
di pianoforti al servizio della Corte di Parma e il 17 giugno 1857 fornitore del<br />
Ducale Teatro di Parma.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 27-28; Palazzi e casate di Parma, 1971, 105; Il mobile a<br />
Parma, 1983, 263.<br />
BORBONI PAOLA (<strong>Cimitero</strong> San Pellegrino)<br />
Golese 1 gennaio 1900-Bodio Lomnago 9 aprile 1995<br />
Figlia di Giuseppe, impresario lirico, e di Gemma Paris. Dopo aver recitato<br />
con A. De Sanctis (1916), con la Calò-Wnorowska (1918) e con Irma Gramatica<br />
(1920), fu primattrice di Armando Falconi (dal 1921 al 1929) in un<br />
repertorio per lo più leggero, che la vide interprete festeggiatissima e donna<br />
universalmente ammirata per giovinezza e bellezza (fece scalpore, nel<br />
1925, una sua procace apparizione a seno nudo in Alga marina di C. Veneziani).<br />
<strong>La</strong>sciato Falconi, formò compagnia con Ruggero Lupi e N. Pescatori,<br />
manifestando i primi segni di quell’evoluzione, nel senso di un’approfondita<br />
ricerca interpretativa e di un’insospettata inclinazione per i toni drammatici,<br />
che la portarono nel 1933-1934 a fi anco di Ruggeri. Nel 1934-1935 fu capocomica<br />
(con P. Carnabuci) ed ebbe modo di farsi valere in una delle sue<br />
prime interpretazioni pirandelliane, Come prima, meglio di prima. Nell’estate<br />
1935 formò compagnia con M. Giorda, col quale rimase anche nella stagione<br />
1935-1936, contrassegnata da due successi: Tovarich di Deval e <strong>La</strong> Milionaria<br />
di Shaw (Di Epifania, scrisse Simoni, la Borboni ha rappresentato<br />
con lucente amenità sia la caparbia sicumera che la veemenza. <strong>La</strong> sua è<br />
stata un’interpretazione di un ricco ed eccellente stile comico). Dopo una<br />
parentesi cinematografi ca, fu, nell’estate 1937, primattrice del Carro di Tespi<br />
n. 2, diretto da Giorda. Nel 1937-1938 formò compagnia con Cimara (anche<br />
tournée in Sudamerica) e nel 1938-1939 con Betrone (anche tournée in<br />
Africa Orientale Italiana). Nel febbraio 1940, col dichiarato proposito di met-<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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tere da parte la somma necessaria per formare una compagnia pirandelliana,<br />
s’indusse a partecipare a una rivista di Galdieri, Mani in tasca naso al<br />
vento, dove sfoggiò il brio a lei consueto. Dopo un ritorno a fi anco di Ruggeri<br />
(stagione 1940-1941) riuscì fi nalmente, nel 1942-1943, a dar vita alla Pirandelliana,<br />
con la quale conquistò pubblico e critica con due interpretazioni<br />
memorabili: Vestire gli ignudi e <strong>La</strong> Vita che ti diedi. Nell’autunno 1945, dopo<br />
la liberazione di Milano, formò con S. Randone una compagnia che rappresentò<br />
con particolare successo, per la regia di O. Costa, Vento notturno di<br />
Betti e Viaggio senza fi ne di O’Neill. Oltre che di due compagnie pirandelliane<br />
(nel 1946-1947 con L. Picasso, in occasione del decennale della morte<br />
dello scrittore, e nel 1947-1948) la Borboni fu in seguito primattrice della<br />
compagnia Città di Roma (autunno 1947: Così è se vi pare, Il <strong>La</strong>birinto di S.<br />
Pugliese), della compagnia dei Teatranti (primavera 1952: Donne brutte di<br />
A. Saitta) e del Piccolo Teatro della Città di Bari (1954-1955). In seguito<br />
preferì, alle formazioni stabili, le partecipazioni occasionali. Tra gli spettacoli<br />
nei quali la Borboni fi gurò (all’infuori delle compagnie già menzionate) si<br />
possono citare: <strong>La</strong> Casa sull’acqua di Betti (Teatro dell’Università di Roma,<br />
gennaio 1940), Un Gradino più giù di S. <strong>La</strong>ndi (Compagnia nazionale dei<br />
Gruppi Universitari Fascisti, primavera 1942), Come le foglie (Roma, Teatro<br />
Argentina, dicembre 1943), Il Suo cavallo, rivista (Roma, Teatro Valle, autunno<br />
1944), <strong>La</strong> Guardia al Reno di L. Hellman (Roma, Teatro Quirino, marzo<br />
1945), Il Teatro in fi amme di L. Chiarelli (Roma, Teatro Quirino, marzo<br />
1945), Oreste di Alfi eri (Roma, Teatro Quirino, inverno 1949), Pasqua di<br />
Strindberg (Milano, Teatro del Parco, primavera 1949), Le Allegre comari di<br />
Windsor (Nervi, estate 1949), Giulietta e Romeo (Verona, estate 1950), Le<br />
Corna di don Friolera di Valle Inclán (Napoli, estate 1951), Le Donne dell’uomo<br />
di G. Pistilli (Piccolo Teatro della Città di Roma, inverno 1954), <strong>La</strong> Morale<br />
della signora Dulska di G. Zapolska (Roma, Teatro Pirandello, primavera<br />
1954), L’anima buona di Sezuan di B. Brecht per la regia di G. Strehler<br />
(1958), Tutto è bene quel che fi nisce bene di Shakespeare (1964) e Nozze<br />
di sangue di F. Garcia Lorca (1965) per la regia di B. Menegatti, <strong>La</strong> professione<br />
della signora Warren di G.B. Shaw (1969), Tartufo di Molière per la<br />
regia di G. Bosetti (1979), Antigone di J. Anouilh (1982-1983), Così è se vi<br />
pare di Pirandello per la regia di F. Zeffi relli (1984-1985), il personaggio di<br />
Re Lear nell’omonima tragedia di Shakespeare (1985), Yerma di F. Garcia<br />
Lorca (1986-1987), Il sogno manifi co con C. Fracci (1987) e Il giocatore di<br />
Goldoni (1988). Dopo aver compiuto i novant’anni d’età, moltiplicò i suoi<br />
personaggi, lavorando ancora senza sosta. Interpretò Clitemnestra o del<br />
crimine tratto da Marguerite Yourcenar e Arsenico e vecchi merletti. Affrontò<br />
soprattutto testi nuovi e spesso diffi cili: Hystrio del poeta Mario Luzi e Savannah<br />
Bay del romanziere Marguerite Duras. Nel 1982 ricevette il premio<br />
Saint-Vincent e nel 1988 il premio Fiuggi. Donna e attrice tra le più personali,<br />
la Borboni, rispondendo alle sollecitazioni di un temperamento stravagante<br />
e tirannico, venne delineando la sua fi gura d’interprete attraverso un settantennale<br />
processo di maturazione e di ricerca. Insofferente d’ogni cliché,<br />
portata per natura all’accentuazione e alla sintesi, improntò la sua recitazione<br />
di attrice brillante a modernità di accenti, percorsi da limpide e coraggiose<br />
venature di grottesco. Al dramma si volse quasi per ribellione ai propri<br />
generosi istinti istrionici, ma solo in Pirandello trovò, per naturale e spontanea<br />
consonanza espressiva, l’autore in cui credere e per cui combattere. È<br />
diffi cile infatti non avvertire il nesso, curiosamente profondo, che legò la<br />
tecnica della Borboni, rivolta a un’originale, perpetua scoperta ritmica e basata<br />
su una dizione martellata, caustica, su una punteggiatura apparentemente<br />
alogica, ma discorsiva e mordente, della frase e del periodo, con la<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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forma sintattica e la particolare struttura della battuta pirandelliana. Ma le<br />
caratteristiche distintive della Borboni recarono tutte l’impronta dell’estro. <strong>La</strong><br />
voce, spesso scolorita e monotona, s’impennava in improvvisi sopracuti,<br />
così la mimica, sobria, si rompeva a un tratto in gesti colmi di vibrazione. In<br />
lei la ricerca della misura non escluse, paradossalmente, la sovrabbondanza<br />
e magari l’enfasi. Tali la pienezza e la cordialità dell’impegno, che da un<br />
rischio d’eccesso di presenza non andarono esenti neppure le sue interpretazioni<br />
più castigate. Nelle multiformi incarnazioni degli ultimi anni, caratteri<br />
shakespeariani, madri, fi gure di donne rassegnate o pugnaci, come nelle<br />
dizioni o rappresentazione di monologhi, la Borboni sembrò avere raggiunto<br />
un più sereno equilibrio espressivo, che ancora una volta, però, implicava il<br />
sottinteso di un’inquietudine e di una disponibilità ricca e ostinata. L’ininterrotta<br />
presenza sulle scene per oltre settant’anni la rese uno dei personaggi<br />
più signifi cativi del teatro italiano del XX secolo. <strong>La</strong> sua lunga stagione artistica<br />
fu quanto mai varia per tendenze e vicende: affrontò ogni tipo di repertorio,<br />
da quello tragico a quello leggero, con interpretazioni a volte di tipo<br />
tradizionale, altre volte sperimentali e innovative, distinguendosi sempre per<br />
la vivacità del temperamento e per la grande capacità espressiva, tali da<br />
consentirle di passare con magistrale duttilità dai toni più sorvegliati all’enfasi<br />
più appassionata. Fu famosa soprattutto per i monologhi, non di rado da<br />
lei stessa rielaborati con gli autori dei testi. Marginale fu la sua attività cinematografi<br />
ca. Esordì sullo schermo (cinema muto) nel 1917, alla Milano Films,<br />
in Jacopo Ortis di Angelo Giordana e G. Sterni. Nel 1919 interpretò, per<br />
l’Audax di Torino, Il Furto del sentimento. Tornata al cinema dopo un’assenza<br />
di quasi vent’anni, dal 1936 apparve in numerosi fi lm sonori, in parti spesso<br />
gustosamente caratterizzate: 1936, Lo Smemorato, 1937, Ho perduto<br />
mio marito, Vivere!, 1939, Ricchezza senza domani, 1941, Il Sogno di tutti,<br />
1942, Giorno di nozze, 1943, <strong>La</strong> Vita torna, Il Viaggio del signor Perrichon,<br />
L’Avventura di Annabella, Non canto più (ed. 1946), 1944, Le Sorelle Materassi,<br />
<strong>La</strong> Locandiera, 1946, Le Modelle di via Margutta, 1950, È più facile<br />
che un cammello…, 1951, Cavalcata d’eroi, 1952, Roma ore 11, 1953, Lulù,<br />
Ai margini della metropoli, I Vitelloni, Gelosia, Roman Holiday (Vacanze romane),<br />
Gli Uomini che mascalzoni!, 1954, Rosso e nero, Il Caso Maurizius,<br />
Amori di mezzo secolo, Il baco dell’aurora, Siamo ricchi e poveri, Terza liceo,<br />
1955, Casta diva, I cavalieri della regina, Mamma perdonami, Santarellina,<br />
1956, Mi permette, babbo?, 1961, L’oro di Roma, 1965, I complessi<br />
(episodio I complessi della schiava nubiana), Ménage all’italiana, 1967, Arabella,<br />
<strong>La</strong> ragazzola, 1968, Colpo grosso alla napoletana. A settantadue anni<br />
sposò il pittore Bruno Vilar, che ne aveva quaranta di meno. Ma nel 1979 un<br />
incidente stradale la rese vedova, costringendola da allora a camminare con<br />
le grucce: da allora recitò seduta o appoggiandosi alle grucce, con le quali<br />
gesticolava pure animatamente.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
M. Praga, Cronache teatrali, Milano, 1920-1928; M. Ramperti, Paola Borboni, in Scenario n. 3<br />
1940 ; E.F. Palmieri, Paola Borboni, in Scenario n. 6 1943; C. Pavolini, Pirandelliane, in Film<br />
26 giugno 1943; G. Pacuvio, Paola Borboni, in Teatro-Scenario n. 4 1954; G. Rocca, Teatro del<br />
mio tempo, Osimo, 1935; A. <strong>La</strong>nocita, Attrici e attori in pigiama, Milano, 1926; N. Leonelli, Attori,<br />
1940, 160-162; Enciclopedia spettacolo, II, 1955, 816-817; Filmlexicon, I, 1958, 778; G. Rondolino,<br />
Dizionario Cinema Italiano, 1969, 49; R. Campari, Parma e il cinema, 1986, 134; Grandi<br />
di Parma, 1991, 30-31; S. Andreotti Ravaglioli, in Enciclopedia Italiana Treccani, Appendice V,<br />
1992, 409-410; Gazzetta di Parma 10 aprile 1995, 1 e 6.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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BORGHESI GIOVANNI BATTISTA<br />
Parma 25 novembre 1790-Parma 11 dicembre 1846<br />
Figlio di Luigi e di Maria Fereoli, modesti commercianti. Lo Scarabelli Zunti<br />
raccolse dati documentari conservati nelle sue Memorie di Belle Arti parmigiane<br />
(Parma, Museo d’Antichità, ms. 108, ad vocem) ed è in base a questa<br />
fonte e allo Janelli che va ricostruita la carriera del Borghesi. Ebbe la prima<br />
educazione artistica nella città natale alla scuola di Biagio Martini. Quindi,<br />
in qualità di decoratore, si diede ad affrescare case di privati cittadini fi no a<br />
che, intorno al 1815, dipinse a Colorno, su una parete del palazzo ducale,<br />
un Omero che spiega l’Iliade (già distrutto ai tempi dello Scarabelli) e decorazioni<br />
sopra le porte e sulle volte di altre stanze, sotto la direzione di Pietro<br />
Smitt. Per la chiesa di Santa Margherita, sempre a Colorno, negli stessi<br />
anni dipinse la Madonna col Bambino e i santi Antonio da Padova, Andrea<br />
Avellino e Vincenzo Ferreri. Nel 1816 circa, per la chiesa di Santa Teresa<br />
a Parma (poi distrutta dai bombardamenti), oltre a restaurare i dipinti di S.<br />
Galeotti, dipinse due piccoli ovati con San Giovanni della Croce (forse quello<br />
nel Museo Stuard), una Madonna e la pala con Sacra Conversazione con<br />
San Giuseppe e Santa Teresa (poi nella chiesa dell’Immacolata Concezione,<br />
distrutta, e quindi nella nuova chiesa di Santo Spirito). L’anno seguente<br />
dipinse per l’annesso convento le Virtù teologali (ricordate nell’Inventario<br />
degli oggetti d’arte d’Italia, III, Provincia di Parma, Roma, 1934, p. 58: forse<br />
la piccola Carità nel Museo Lombardi è da collegare a questo gruppo) e<br />
Putti con emblemi. Nel 1821 dipinse per la chiesa di Sant’Ulderico un Sant’Antonio<br />
Abate e nel 1822 ebbe molto successo la grande pala ovale con la<br />
Santissima Trinità nell’oratorio della Trinità dei Rossi (descritta in Gazzetta<br />
di Parma, 18 giugno 1822; il disegno preparatorio risulta nell’Inventario del<br />
1934, conservato nella sala delle adunanze della Confraternita), tanto che<br />
valse al Borghesi un sussidio ducale con il quale partì per Roma nel 1823. A<br />
Roma restò due anni quasi sempre infermiccio (Scarabelli Zunti), ciò nonostante<br />
dipinse alcune scenografi e per il Teatro Argentina (Alessandri, 1937)<br />
e copiò i classici, mandando in patria questi lavori. A Perugia e a Firenze,<br />
dove si fermò a lungo sulla via del ritorno, oltre a copiare ancora i classici,<br />
riprese il Galileo del Suttermans (Maria Luigia d’Austria lasciò poi questa<br />
copia a suo zio, l’arciduca palatino). Di nuovo a Parma nel 1828, gli venne<br />
riconosciuta una preminenza indiscussa sulla locale cultura pittorica: fu<br />
eletto professore di pittura a fresco e quindi, nel 1830, di pittura in generale<br />
all’Accademia di Belle Arti. Gli fu commissionata la decorazione della volta<br />
del nuovo Teatro Ducale, dove raffi gurò a tempera i corifei dell’arte liricodrammatica,<br />
completando tale dichiarata rievocazione classica con il Trionfo<br />
di Minerva, dipinto sul celebratissimo sipario (1829, il bozzetto è conservato<br />
nel Museo Lombardi). Fu incaricato (1833-1834) da Maria Luigia, oltre che<br />
di decorare alcune sale, di riportare in luce gli affreschi nel Palazzo Ducale<br />
che erano stati coperti alla fi ne del secolo precedente per ordine del bigotto<br />
duca Ferdinando di Borbone (furono distrutti nel corso della seconda guerra<br />
mondiale). Restaurò (1836) il Parmigianino a Fontanellato, dipinse (1839-<br />
1841) il grande ritratto di Maria Luigia (descritto da M. Leoni in Gazzetta di<br />
Parma, 3 febbraio 1841; per i bozzetti cfr. Allegri Tassoni, 1952, e Copertini,<br />
1953, p. 38). L’Album de’ tentativi su Fogli linei d’invenzione del co. Stefano<br />
Sanvitale (1830) contiene tra l’altro una fi gura del Borghesi che potrebbe<br />
identifi carsi con un ritratto a olio di Maria Luigia. Il Borghesi morì dopo lunga<br />
malattia mentale. Delle numerose opere lasciate a Parma dal Borghesi<br />
sono stati strappati e recuperati gli affreschi di una casa successivamente<br />
abbattuta. In Sant’Andrea è la Madonna col Bambino e vari angeli, terminata<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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da G. Riccò nel 1842, nella Pinacoteca un Autoritratto, un mediocre Gruppo<br />
di putti (raffi gurano L’Astrologia, Ganimede, Leda, <strong>La</strong> fuga delle Vestali<br />
e Ettore trascinato dal cocchio di Achille) e, nei depositi, una lunetta con<br />
Madonna, Gesù Bambino e San Giovannino. Sullo scalone del Palazzo del<br />
Vescovado è visibile l’affresco con Sant’Ilario seduto tra due puttini (il disegno<br />
preparatorio è nella Galleria Stuard). Lo Scarabelli Zunti ricorda ben<br />
quattro dipinti del Borghesi raffi guranti Santa Filomena, dei quali uno per<br />
San Rocco (per la stessa chiesa dipinse anche un San Luigi Gonzaga e la<br />
Madonna in trono, il cui disegno preparatorio è nella Galleria Stuard), gli altri<br />
per San Sepolcro, per San Marcellino (forse la Sant’Agnese nella sacrestia<br />
di San Tommaso, che proviene da questa chiesa) e per la parrocchiale della<br />
Villa di Noceto (per altre opere in collezioni private, v. Allegri Tassoni, 1952,<br />
e Copertini). Nello sviluppo artistico del Borghesi è riscontrabile l’interesse<br />
autentico per quei canoni di equilibrio e di armonia che egli vedeva realizzati<br />
nel primo Cinquecento. Ciò si accompagna a un amore devoto e appassionato<br />
per la pittura di Raffaello e del Correggio sui quali ebbe ripetutamente<br />
a esercitarsi. Le copie e gli studi condotti sulle opere di questi maestri testimoniano<br />
l’avvenuta adesione agli intendimenti artistici che da Parma l’accademico<br />
Paolo Toschi andava impartendo con persuasiva autorità. Tuttavia è<br />
opportuno rilevare subito che, nonostante tale esplicita partenza, la strada<br />
del neoclassicismo non fu mai da lui percorsa fi no in fondo: su questa via il<br />
Borghesi venne a trovarsi piuttosto per spontanea propensione del gusto,<br />
cui fecero difetto talvolta il necessario rigore e una più avveduta coscienza<br />
stilistica.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Necrologio, in Gazzetta di Parma 19 dicembre 1846, n. 101; E. Scarabelli Zunti, Giambattista<br />
Borghesi, in Il Vendemmiatore, 30 dicembre 1846, 484-486; In morte del prof. Battista Borghesi,<br />
Parma, 1847; P. Martini, Intorno al sipario dipinto da G. Borghesi per il Reale Teatro di Parma,<br />
Parma, 1869; G.B. Janelli, Dizionario biografi co dei Parmigiani illustri, Genova, 1877, 73-76;<br />
U. Tarchiani, <strong>La</strong> mostra del ritratto italiano dalla fi ne del secolo XVI all’anno 1861 in Palazzo<br />
Vecchio a Firenze, in Rassegna d’Arte XI 1911, 89; A. Alessandri, Saggio aneddotico intorno<br />
al pittore Giambattista Borghesi, in Gazzetta di Parma 1 agosto 1921; A. Alessandri, <strong>La</strong> pittura<br />
teatrale di Giovanni Battista Borghesi e la fortuna del suo capolavoro, in Aurea Parma XXI<br />
1937, 202-208; A. Alessandri, L’infarinatura letteraria di Giambattista Borghesi e l’invenzione<br />
del suo sipario, in Aurea Parma XXIV 1940, 205-208; G. Allegri Tassoni, Mostra dell’Accademia<br />
(catalogo), Parma, 1952, ad Indicem; G. Monaco, Le lettere da Roma di F. Boudard a Pietro De<br />
<strong>La</strong>ma, in Archivio Storico per le Province Parmensi V 1953, 202, 226, 247, 253, 256, 263 s.,<br />
268; G. Copertini, Il bozzetto del ritratto di Maria Luigia del Borghesi, in Parma per l’Arte 1953,<br />
38; G. Copertini, Dipinti del Borghesi ricuperati e altri perduti, in Parma per l’Arte , 1953, 39; G.<br />
Copertini, Postilla Borghesiana, in Parma per l’Arte, 1953, 93; G. Copertini, Un disegno di G.<br />
Borghesi, in Parma per l’Arte 1961, 208; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, IV, 335; Enciclopedia<br />
Italiana, VII, 470 s.; A. Ottani, in Dizionario biografi co degli Italiani, XII, 1970, 648-649;<br />
Giambattista Borghesi, in Copertini, Pittura parmense dell’Ottocento, 1971, 19-23.<br />
BOTTEGO VITTORIO<br />
Parma 29 luglio 1860-Daga Roba 17 marzo 1897<br />
Nato da Agostino, medico condotto originario di Albareto, e da Maria Accinelli,<br />
genovese, trascorse la prima fanciullezza a Olmo di Gattatico, nel Reggiano,<br />
ove il padre aveva acquistato un fondo agricolo. Tornò quindi a Parma<br />
per seguire gli studi che interruppe alla prima classe del liceo.<br />
Preparatosi poi privatamente, superò l’esame d’ammissione all’Accademia<br />
Militare di Modena, frequentando successivamente la Scuola di Applicazione<br />
di Artigliera e Genio a Torino e la Scuola di Applicazione di Pinerolo,<br />
donde uscì con il grado di Tenente di artiglieria. Nel 1887, quando frequen-<br />
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tava il corso a Pinerolo, il Bottego ottenne di far parte del corpo speciale di<br />
uffi ciali destinato in Eritrea. Sbarcato a Massaua nel novembre, fu assegnato<br />
alla prima batteria del corpo speciale volontari, ma nel contempo si dedicò<br />
allo studio degli aspetti geografi ci e naturalistici del paese, raccogliendo oggetti<br />
e reperti di vario genere destinati alle collezioni del Museo di Storia<br />
Naturale di Parma. Nell’estate 1890 progettò un programma di esplorazione<br />
della Somalia interna, allora del tutto sconosciuta, verso la quale in quegli<br />
anni cominciava a rivolgersi l’interesse italiano, ottenendo l’appoggio del<br />
governatore dell’Eritrea, generale Gandolfi , e riuscendo a convincere dell’opportunità<br />
dell’impresa il presidente del consiglio Crispi e il presidente<br />
della Società Geografi ca Italiana, marchese Giacomo Doria. <strong>La</strong> caduta del<br />
governo Crispi e altre diffi coltà ne impedirono l’attuazione e allora il Bottego,<br />
che era tornato in Italia nel gennaio 1891, per suggerimento del Doria preparò<br />
un piano di esplorazione della Dancalia, regione costiera dell’Eritrea<br />
meridionale. Il 1o maggio 1891 il Bottego partì da Massaua ma dopo dieci<br />
giorni, quando aveva superato Arafali e si apprestava a raggiungere Hachelo,<br />
gli pervenne l’ordine di retrocedere e di rinviare la scorta. Si limitò perciò<br />
a percorrere con pochi uomini l’itinerario costiero Massaua-Assab, che nessun<br />
europeo aveva mai prima seguito. Del viaggio redasse un’accurata relazione<br />
dal titolo Nella terra dei Danakil: giornale di viaggio (in Bollettino<br />
della Società Geografi ca Italiana XXIX 1892, pp. 303-318 e 480-494). Di ritorno<br />
a Massaua da Assab, nel giugno 1891, ricevette l’ordine di rientrare in<br />
Italia, ove venne destinato a Firenze. Durante il soggiorno di circa un anno<br />
in questa città, mentre insisteva presso il Ministero degli Affari Esteri e la<br />
Società Geografi ca onde avere il necessario appoggio alla realizzazione del<br />
progetto per l’esplorazione del Giuba, approfondì i propri studi di astronomia,<br />
di botanica, di mineralogia e di tecnica fotografi ca. Frattanto il fallito<br />
tentativo del principe Ruspoli di raggiungere il Giuba rafforzò nel proprio intento<br />
il Bottego, che accettò di associare alla spedizione il capitano Matteo<br />
Grixoni, per ottenerne un apporto fi nanziario (15000 lire) necessario alla<br />
copertura delle spese. Nell’aprile 1892 la Società Geografi ca, ottenuto l’appoggio<br />
governativo, assunse la responsabilità dell’impresa. Tornato a Massaua<br />
a metà agosto e superate le diffi coltà frapposte dal governo britannico,<br />
il Bottego poté trasferire la spedizione a Berbera e da qui il 30 settembre<br />
1892 iniziare la penetrazione verso l’interno. Con relativa facilità raggiunse<br />
l’8 novembre Imi, sull’alto corso dell’Uebi Scebeli, ove sostò alcuni giorni. Il<br />
percorso ulteriore, in una zona impervia e sconosciuta, presentò molte diffi -<br />
coltà e si ebbero frequenti scaramucce e anche scontri di qualche gravità<br />
con gli indigeni della regione attraversata. Sul fi nire del 1892 la spedizione<br />
entrò nel bacino del Giuba, ma soltanto il 22 gennaio 1893 il Bottego poté<br />
raggiungere il corso principale del fi ume. Mentre il Bottego intendeva proseguire<br />
secondo il programma iniziale, risalendo il corso del fi ume sino a identifi<br />
carne la sorgente, il Grixoni, fi accato dagli stenti e timoroso dei pericoli,<br />
volle dirigersi verso la costa e il 14 febbraio pose in atto una grave defezione:<br />
discendendo lungo il corso del Daua, più a occidente, pervenne a Lugh,<br />
primo tra gli Europei. Rimasto con una sessantina di ascari, undici cammelli,<br />
cinque muli e quindici asini, il Bottego riprese il cammino il 23 febbraio,<br />
risalendo il Ganale Guddà (secondo la designazione data dagli indigeni all’alto<br />
corso del Giuba), del quale seguì, quando esso si triparte, il ramo centrale.<br />
<strong>La</strong> spedizione, molestata dagli assalti e dalle insidie degli Arsi-Sidama,<br />
nel cui territorio era penetrata, giunse al termine della valle del Ganale Guddà<br />
(a 2185 metri di altitudine), donde si poteva scorgere il corso delle acque<br />
che discendono dai monti Faches. Dopo aver tentato di proseguire ancora<br />
oltre, per scalare l’antistante catena montuosa, il Bottego il 23 marzo, di<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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fronte alla crescente ostilità degli Arsi-Sidama, decise di passare sulla riva<br />
destra del Ganale e di dirigersi in direzione sud verso il corso del Daua. Ma<br />
anche il raggiungimento di questa meta si rivelò impossibile e la spedizione,<br />
in condizioni ormai precarie, ritornò verso il Ganale Guddà e il 18 aprile<br />
giunse a Bululta. Dopo un nuovo tentativo di toccare il corso del Daua, reso<br />
vano dalla mancanza di viveri, riuscì a metà maggio a tornare sul corso del<br />
Giuba. Agli inizi di giugno intraprese la discesa lungo il corso del fi ume e,<br />
superata la confl uenza del Daua con il Giuba, giunse il 17 luglio alle porte di<br />
Lugh, importante centro commerciale. Dai capi locali, che non gli consentirono<br />
di penetrare nella città e gli intimarono di lasciare il territorio, il Bottego<br />
ottenne soltanto la consegna di due superstiti della seconda spedizione Ruspoli<br />
trattenuti prigionieri, il triestino Emilio Dal Seno e l’ingegnere svizzero<br />
Borchardt. A metà agosto la spedizione arrivò a Bardera e proseguì in direzione<br />
sud-est, lasciando la riva del Giuba, sino a raggiungere Brava, sulla<br />
costa somala, l’8 settembre 1893. Pochi giorni dopo, mentre il Bottego si<br />
recava a Zanzibar, la notizia della positiva conclusione dell’impresa, che<br />
dava soluzione a uno dei maggiori problemi ancora aperti della geografi a<br />
africana, giunse in Italia dissipando le diverse pessimistiche supposizioni<br />
sorte per l’assoluta mancanza di notizie, dopo quelle recate dal Grixoni. Da<br />
Massaua, ove ricondusse i superstiti della spedizione, il Bottego rientrò in<br />
Italia ai primi di novembre, accolto da festeggiamenti e onori. Mentre riordinava<br />
le note di viaggio e redigeva la relazione sistematica sull’impresa, edita<br />
con il titolo Il Giuba esplorato (Roma, 1895), egli sperò invano di essere<br />
designato, alla revoca della concessione alla Compagnia Filonardi, quale<br />
responsabile dell’amministrazione del territorio del Benadir per conto del<br />
governo italiano. Pensò allora di sfruttare la popolarità acquistata tentando<br />
la carriera politica e si presentò candidato nel collegio di Borgo Taro per la<br />
lista moderata, ma non ebbe successo (maggio 1895). Frattanto lo svolgimento<br />
e il risultato della sua spedizione sul Giuba divennero segno anche di<br />
critiche, di accuse e di polemiche (tra l’altro fu accusato di avere utilizzato<br />
nella relazione del viaggio, senza farne cenno, notizie raccolte su Lugh dal<br />
Dal Seno). Ma un nuovo problema geografi co acquistò preminenza: l’esplorazione<br />
della regione tra l’alto Giuba e il lago Rodolfo e il conseguente accertamento<br />
del corso del fi ume Omo. Il Bottego, spinto dal suo carattere irrequieto<br />
e ambizioso, si propose di realizzare questa nuova impresa, per la<br />
quale intorno alla metà del 1894 formulò un preciso programma, facendone<br />
rilevare ai dirigenti della Società Geografi ca Italiana e attraverso essi ai responsabili<br />
della politica estera nazionale, le prospettive commerciali e politiche,<br />
accanto a quelle di preciso interesse geografi co. Ottenuti nel maggio<br />
1895 l’appoggio del governo e il patrocinio della Società Geografi ca e precisato<br />
l’itinerario entro determinati limiti, il Bottego in luglio ritornò a Massaua<br />
per allestire la spedizione, che mosse da Brava il 12 ottobre. Ne fecero parte<br />
anche il tenente di vascello <strong>La</strong>mberto Vannutelli, incaricato delle determinazioni<br />
geografi che, il tenente di Fanteria Carlo Citerni, nipote del Bottego,<br />
per la tenuta del diario e per i rilievi fotografi ci, Maurizio Sacchi, per le rilevazioni<br />
naturalistiche, e il capitano Ugo Ferrandi, designato al comando della<br />
stazione commerciale che doveva essere impiantata a Lugh, dove la carovana,<br />
forte di 250 ascari, 120 cammelli e altre bestie da soma e da<br />
macello, giunse il 18 novembre, stabilendo i previsti accordi con i capi locali.<br />
Da Lugh ebbe inizio a fi ne dicembre la penetrazione verso l’interno. Tra<br />
febbraio e marzo 1896 il Bottego guidò con energia la marcia nella zona<br />
desertica tra il corso del Daua e Burgi, dove visitò la tomba del Ruspoli.<br />
Proseguendo oltre, la spedizione raggiunse il lago Pagadé, che il Bottego<br />
ribattezzò con il nome di Margherita in onore della regina, e da qui piegò<br />
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verso occidente, nel tentativo di eludere il pericolo di attacchi da parte dei<br />
presidi scioani, la cui ostilità e intraprendenza si erano accresciute nei riguardi<br />
degli Italiani dopo la battaglia di Adua, della quale si cercò invano di<br />
far giungere notizia al Bottego. Sotto l’incalzante minaccia abissina, il Bottego<br />
riuscì a raggiungere il 29 giugno le rive dell’Omo (a 6° 43’ di latitudine) e<br />
a discendere lungo il corso sconosciuto agli Europei. Tra la preoccupante<br />
ostilità delle tribù che abitavano le regioni attraversate, la spedizione giunse<br />
(31 agosto) alla foce del fi ume, accertandone l’immissione nel lago Rodolfo.<br />
Il Bottego decise allora di inviare alla costa l’ingente carico di avorio ricavato<br />
nel corso delle cacce e le raccolte naturalistiche, ponendo a capo della carovana<br />
il Sacchi, che morì nel corso del viaggio (7 febbraio 1897). Dopo aver<br />
effettuato, con il Vannutelli e parte degli uomini, una puntata sino al lago<br />
Stefania, il Bottego guidò i suoi uomini in una diffi cile esplorazione lungo le<br />
rive del lago Rodolfo, escludendo<br />
l’esistenza di un emissario. Il 10 dicembre la spedizione iniziò il cammino<br />
di ritorno, dirigendosi verso nord, per attraversare l’Etiopia, come previsto,<br />
ignorando la crisi sopravvenuta nei rapporti itali-etiopici. Superata la catena<br />
di spartiacque tra il bacino del lago Rodolfo e quello del Nilo, il gruppo raggiunse<br />
ai primi di gennaio del 1897 il ramo meridionale del fi ume Sobat e<br />
proseguì, tra insidie e agguati continui da parte degli indigeni, sino all’Upeno,<br />
ramo principale del Sobat. Inoltratisi in territorio abissino, furono bloccati<br />
a metà marzo dalle autorità locali, probabilmente per ordine dello stesso<br />
Negus, che si teneva al corrente dei movimenti della spedizione. Accampato<br />
con i suoi sopra l’isolato colle di Daga-Roba, nei pressi di Gidami, il Bottego<br />
tentò di aprirsi la strada con la forza, ma nello scontro con le soverchianti<br />
forze nemiche cadde colpito a morte, mentre i compagni Vannutelli e Citerni<br />
e gli altri pochi superstiti vennero fatti prigionieri.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Accanto al volume dello stesso Bottego sul viaggio al Giuba è da porre l’ampia relazione sulla<br />
seconda spedizione redatta dai superstiti Vannutelli e Citerni: L’Omo: viaggio di esplorazione<br />
nell’Africa orientale, Milano, 1899; R. De Benedetti, Vittorio Bottego e l’esplorazione del Giuba,<br />
Torino, 1929; R. de Benedetti, Vittorio Bottego e l’esplorazione dell’Omo, Torino, 1930; G.<br />
Narducci, Diario inedito di Vannutelli e Citerni, in Rivista delle Colonie XVII 1943, 123-126; A.<br />
<strong>La</strong>vagetto, <strong>La</strong> vita eroica del capitano Bottego, Milano, 1934 (che utilizza abbondante materiale<br />
inedito pur senza renderne conto con note critiche); P. Pedrotti, L’ultima spedizione del<br />
capitano Bottego, Rovereto, 1937; S. Campioni, I Giam Giam. Sulle orme di Vittorio Bottego,<br />
Parma, 1960; E. Cerulli, Parma e Vittorio Bottego, in Aurea Parma XLIV 1960, 135-144. Altre<br />
indicazioni bibliografi che e biografi che in Enciclopedia Italiana, VII, 585 s.; S. Zavatti, Dizionario<br />
generale degli esploratori, Milano, 1939, 61-62; S. Bono, in Dizionario biografi co degli Italiani,<br />
XIII, 1971, 426-429; P. Strobel, Museo Zoologico Eritreo Bottego in Parma, Guida, Parma,<br />
Luigi Battei, 1891; V. Bottego, Nella Terra dei Danakil. Giornale di viaggio, in Bollettino della<br />
Società Geografi ca Italiana 5 e 6 1892; I capitani Bottego e Grixoni sull’alto Giuba, in Bollettino<br />
della Società Africana d’Italia V-VI 1893; G. Dalla Vedova, <strong>La</strong> Spedizione Bottego - Relazione<br />
sommaria, in Bollettino della Società Geografi ca Italiana 8-9 1893; V. Bottego, Esplorazione<br />
del Giuba e suoi affl uenti, in Bollettino della Società Geografi ca Italiana 1894; V. Bottego, Il<br />
Giuba e i suoi affl uenti, in Bollettino della Sezione Fiorentina della Società Africana d’Italia<br />
1-2 1894; V. Bottego, Sull’esplorazione del Giuba e i suoi affl uenti, in Bollettino della Società<br />
Africana d’Italia 11-12 1894; <strong>La</strong> seconda spedizione Bottego, in L’Africa Italiana 25 agosto<br />
1895; V. Corradini, Vittorio Bottego e le sue esplorazioni africane, Parma, Grazioli, 1897; A.<br />
Turano, Per Vittorio Bottego, in Bollettino della Società Africana d’Italia 3 1897; L. Vannutelli<br />
e C. Citerni, Relazioni preliminari sui risultati geografi ci della seconda spedizione condotta<br />
dal cap. Bottego nell’Africa orientale, in Bollettino della Società Geografi ca Italiana 9 1897; L.<br />
Vannutelli e C. Citerni, <strong>La</strong> seconda spedizione Bottego nell’Africa Orientale, in Memorie della<br />
Società Geografi ca Italiana, VIII parte seconda, Roma, Stabilimento G. Civelli, 1898; L.F. De<br />
Magistris, <strong>La</strong> seconda spedizione Bottego, in Nuova Antologia 1899; L. Vannutelli, Intorno all’ultima<br />
spedizione Bottego, in Atti del Terzo Congresso Geografi co Italiano, Firenze, Tipografi a di<br />
M. Ricci, 1899; V. Bottego, L’esplorazione del Giuba. Viaggio di scoperta nel cuore dell’Africa,<br />
Roma, Società Editrice Nazionale, 1900; Ulteriori note illustrative sulla seconda Spedizione<br />
Bottego, in Bollettino della Società Geografi ca Italiana 12 1902; U. Ferrandi, Lugh. Empo-<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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rio commerciale sul Giuba. Seconda spedizione Bottego, Roma, Società Geografi ca Italiana,<br />
1903; A. Cugini, Commemorazione del capitano Vittorio Bottego, Parma, Tipografi a Operaia<br />
Adorni-Ugolotti & C., 1904; E. Ronna, In memoria di Vittorio Bottego, in Gazzetta di Parma 26<br />
agosto, 12 settembre, 16 settembre 1907; L’inaugurazione del monumento a Vittorio Bottego,<br />
in Gazzetta di Parma 27 settembre 1907; G. Ceccherelli, In memoria di un eroe, in L’Emilia<br />
5 ottobre, 6 ottobre e 13 ottobre 1907; E. Millosevich, Commemorazione di Vittorio Bottego<br />
letta a Parma il 26 settembre 1907, in Bollettino della Società Geografi ca Italiana 1907; Per<br />
l’inaugurazione del monumento a Vittorio Bottego. Discorsi, Parma, Tipografi a Rossi-Ubaldi,<br />
1907; A. Mori, L’opera di Vittorio Bottego, in Rivista Coloniale settembre 1907; F. Bassi, Vittorio<br />
Bottego, Roma, Tipografi a dell’Unione Editrice, 1920; G. Civinini, Un viaggio attraverso<br />
l’Abissinia sulle orme di Vittorio Bottego, Roma, Unione Editoriale d’Italia, 1928; S. Vesco (A.<br />
<strong>La</strong>vagetto), Vittorio Bottego. Le esplorazioni del Giuba e dell’Omo, in Rassegna Mensile 1928;<br />
A. Adorni, Due cimeli di Vittorio Bottego, in Aurea Parma 1 1930; R. Trevis, Sulle orme della<br />
seconda spedizione Bottego, in Rivista delle Colonie Italiane 1931; S. Vesco (A. <strong>La</strong>vagetto),<br />
Bottego giovane, in Il Ducato, numero unico, Parma, 1932; R. De Benedetti, Vittorio Bottego e<br />
l’esplorazione dell’Omo, Torino, Paravia, 1933; G. Vitali e M. David, Gesta italiche in Somalia<br />
(Seconda spedizione Bottego 1895-97), in Le grandi Esplorazioni per terra e per mare, Milano,<br />
Casa Editrice Sonzogno, 1933; P. Giudici, Maurizio Sacchi e la 2.a Spedizione Bottego, Pavia,<br />
Mario Ambaglio, 1935; A. Minardi, Vittorio Bottego e il Museo eritreo dell’Università di Parma,<br />
in Crisopoli 3 1935; G. Cenzato, Sosta alla casa di Bottego, in Corriere della Sera 25 giugno<br />
1936; E. De Agostini, Vittorio Bottego, in Italiani in Africa 9 maggio 1939; G. Ongaro, Il Museo<br />
Zoologico Eritreo Vittorio Bottego di Parma, in Gli annali dell’Africa italiana 2 1942; M. Sanguini,<br />
Vittorio Bottego esploratore del Giuba e dell’Omo, Torino, Paravia, 1946; L. <strong>La</strong>mbertini, Una<br />
tenera vicenda sentimentale di Vittorio Bottego. Musica proibita per Corinna e rullo di tam-tam<br />
per Batula, in Gazzetta di Parma 27 maggio 1960; J. Bocchialini, <strong>La</strong> fi gura di Vittorio Bottego<br />
nella storia e nella leggenda, in Gazzetta di Parma 2 luglio 1960; G. Torelli, Riapriamo la valigia<br />
del capitano Bottego, in Candido 17 luglio, 24 luglio, 31 luglio, 7 agosto, 14 agosto, 21 agosto<br />
1960; A. Barbieri, Parma onora Vittorio Bottego nel centenario della nascita, in Gazzetta di Parma<br />
24 luglio 1960; A. Sacchelli, Oggi si celebra il centenario della nascita di Vittorio Bottego, in<br />
Il Resto del Carlino 24 luglio 1960; Parma ha tributato degne onoranze a Vittorio Bottego nel<br />
centenario della nascita, in Gazzetta di Parma 25 luglio 1960; A. Sacchelli, <strong>La</strong> generosa fi gura<br />
di Bottego intravista da diari e documenti, in il Resto del Carlino 29 luglio 1960; Onoranze a<br />
Vittorio Bottego, Comune di Parma, Tipografi a STEP, 1961; W. Minestrini, Il Leone d’Africa.<br />
Vita di Vittorio Bottego, San <strong>La</strong>zzaro di Savena, Editrice Corbaccio, 1961; N. Maccini, Vittorio<br />
Bottego e la sua attività africanista, tesi di laurea, Facoltà di Lettere e Filosofi a dell’Università<br />
degli Studi di Bologna, anno accademico 1965-1966; P.G. Magri, Scopi Geografi ci e retroscena<br />
politici nella seconda spedizione Bottego, in Bollettino della Società Geografi ca Italiana 10-12<br />
1968; V.G. Rossi, Bottego l’esploratore guerriero, in Epoca 1969; M. Di Mito, Vittorio Bottego.<br />
Mistero insondabile di un uomo singolare, 1978; G. Cucchi, Vittorio Bottego capitano d’artiglieria,<br />
in Rivista Militare 5 1983; M. Bonati, Appunti inediti o poco noti su Vittorio Bottego e sul<br />
suo dissidio con Matteo Grixoni, in Aurea Parma III 1986 e 1987; A. Mascolo, Il piccolo Bottego<br />
mangiava lucertole sognando la sua Africa a San <strong>La</strong>zzaro, in Gazzetta di Parma 23 settembre<br />
1987; A. Mascolo, <strong>La</strong> spedizione Bottego ha conquistato il Daga Roba, in Gazzetta di Parma<br />
5 dicembre 1987; P. Amighetti, Bottego e l’Etiopia cent’anni dopo, in Trekking 21 e 22 1988;<br />
R. Milanesio, Sulle orme di Bottego, Cavallermaggiore, Gribaudo Editore, 1988; M. Bonati, Il<br />
dissidio tra Matteo Grixoni e Vittorio Bottego, in Miscellanea di storia delle esplorazioni, volume<br />
XIV, Genova, Bozzi Editore, 1988; M. Bonati, Dalla 2° spedizione Bottego: la prigionia di Citerni<br />
e Vannutelli, in Trekking 52 1991; M. Bonati, Lettere inedite di Vittorio Bottego in Trekking 83<br />
1995; R. De Benedetti, Vittorio Bottego. Avventure in terre d’Africa, in <strong>La</strong> Stampa 31 maggio<br />
1995; F. Pompily e C. Cavanna, <strong>La</strong> spedizione maremmana in Etiopia 100 anni dopo Vittorio<br />
Bottego, Grosseto, Scripta Manent Editrice, 1996; M. Bonati, Vittorio Bottego un ambizioso<br />
eroe in Africa, Parma, Silva, 1997.<br />
CAVESTRO GIORDANO<br />
Parma 30 novembre 1925-Bardi 4 maggio 1944<br />
Figlio di Adriano. Nel 1940, appena quindicenne, diede vita a un giornaletto<br />
clandestino antifascista. Comunista, dopo l’8 settembre 1943, obbligato<br />
ad arruolarsi nelle formazioni militari della Repubblica Sociale Italiana,<br />
dopo pochi giorni abbandonò il reparto e fu uno dei primi organizzatori del<br />
Fronte della gioventù e delle formazioni partigiane nel Parmense. Nel febbraio<br />
1944 partecipò alla costituzione del distaccamento Griffi th della 12a<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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Brigata Garibaldi. Catturato a Montagnana il 7 aprile 1944 con quasi tutto il<br />
distaccamento, il 14 dello stesso mese fu processato dal Tribunale militare<br />
di Parma e, con altri 34 partigiani, condannato a morte. Graziato in seguito<br />
alle proteste della popolazione, fu trattenuto come ostaggio, per essere poi<br />
fucilato nei pressi di Bardi a titolo di rappresaglia con altri quattro patrioti:<br />
Raimondo Pelinghelli, Vito Salmi, Nello Venturini ed Erasmo Venusti. Poche<br />
ore prima della fucilazione scrisse ai compagni: Voi sapete il compito che vi<br />
tocca. Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo<br />
alla fi ne di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un<br />
grosso mostro che vuol fare più vittime possibile. Se vivrete tocca a voi rifare<br />
questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme<br />
così buone e le ragazze così care. Fu decorato di medaglia d’oro al valor<br />
militare, con la seguente motivazione: Giovane entusiasta combattente, si<br />
distingueva più volte in azioni particolarmente importanti. Catturato dal nemico<br />
ed essendosi rifi utato di fare qualsiasi rivelazione sulla propria formazione,<br />
veniva condannato alla pena capitale. Appresa la sentenza, trovava<br />
modo di far pervenire ai compagni di lotta un fi ero appello d’incitamento.<br />
Affrontava il plotone di esecuzione con impavida fermezza. Puro esempio di<br />
elevato senso del dovere e di puro eroismo.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
B. Molossi, Dizionario biografi co, 1957, 46; Decorati al valore, 1964, 81; G. Carolei, Medaglie<br />
d’oro, 1965, II, 438-439; Enciclopedia della Resistenza e dell’antifascismo, I, 1968, 506.<br />
COCCONI PIETRO<br />
Parma 26 dicembre 1821-Ozzano Taro 5 giugno 1883<br />
Figlio di un calzolaio, con grandi sacrifi ci si laureò (1841) in medicina presso<br />
l’Università di Parma e divenne segretario di Giacomo Tommasini, scienziato<br />
e patriota di primo piano. Rappresentò nei collegi I e II la città di Parma al<br />
Parlamento nazionale per cinque legislature, dal 1865 al 1882. Nel 1847 fu<br />
nominato coadiutore al segretario del Protomedicato Uberto Antonio Bettoli,<br />
che era a quel tempo molto avanti con gli anni, e durò in tale carica fi no al<br />
dicembre 1852, quando dovette precipitosamente fuggire dal Ducato per<br />
la scoperta di un’associazione mazziniana, di cui faceva parte. <strong>La</strong> sua destituzione<br />
venne annunciata con un decreto del duca Carlo di Borbone nel<br />
maggio 1853, in cui è detto che, considerando che il Dott. Cocconi nei primi<br />
di dicembre del 1852 si è allontanato dal proprio uffi cio e dallo Stato, senza<br />
averne chiesta ed ottenuta la necessaria permissione, e che l’assenza di lui<br />
dura anche di presente, si provvede alla sua sostituzione con il dottore Claudio<br />
Cordero. Il Cocconi visse vari anni profugo a Torino (dove esercitò con<br />
successo la professione di medico), rimanendo sempre in contatto con i patrioti<br />
parmigiani e partecipando, secondo le deposizioni rese alla polizia parmense<br />
da alcuni congiurati, all’organizzazione di attentati d’ispirazione mazziniana<br />
negli anni precedenti il 1859. A Torino il Cocconi si prodigò a favore<br />
degli altri esuli parmigiani, fu eletto Presidente del Comitato per soccorrere<br />
l’emigrazione polacca e nel 1859 fu incaricato di preparare la difesa della<br />
città minacciata dall’avanzata austriaca. Nel 1848 servì nella Guardia Nazionale<br />
col grado di capitano e, dopo Custoza, seguì (7 agosto) in Piemonte il<br />
colonnello Berchet, comandante la Guardia Nazionale di Parma, rientrando<br />
in Patria l’anno successivo a causa di una grave malattia polmonare. Nel<br />
1859 fu candidato all’elezione dei rappresentanti per l’Assemblea del Popolo<br />
delle Province Parmensi (la cosiddetta Costituente Parmense), ma non<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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riuscì eletto. Giornalista di un certo valore, promosse la pubblicazione del<br />
giornale Il Presente e militò come deputato nella sinistra costituzionale, su<br />
posizioni moderate. In Parlamento ebbe molte cariche, fece parte di importanti<br />
commissioni, fu Presidente del settimo uffi cio e Segretario dell’uffi cio di<br />
presidenza della Camera. Poco eloquente, venne defi nito dalla Gazzetta di<br />
Parma, il muto di Montecitorio. Il Presente nacque nel 1867 e visse fi no al<br />
1889. Grazie al giornale, il Cocconi diede voce ai mazziniani, ai garibaldini,<br />
ai progressisti, ai radicali e a tutti quei gruppi che potrebbero genericamente<br />
essere qualifi cati di sinistra, ignorati dalla Gazzetta di Parma (bastione<br />
liberale e moderato) e dalla stampa di regime. Nonostante l’impronta democratica,<br />
però, Il Presente non si aprì mai alle nascenti formazioni socialiste.<br />
Alla scuola del Cocconi e del suo quotidiano si formarono quei giovani, un<br />
tempo mazziniani, poi progressisti, trasformisti e radicali, che dominarono<br />
la scena politica della Parma di fi ne Ottocento: primo tra tutti Gian Lorenzo<br />
Basetti, notabile della Val d’Enza, a lungo arbitro della politica provinciale.<br />
Iscrizioni in memoria del Cocconi si trovano nel cimitero di Parma e nella<br />
casa ove nacque.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
E. Michel, in Dizionario del Risorgimento Nazionale, Milano, 2, 1932, 714; T. Sarti, Il Parlamento<br />
subalpino e italiano, Roma, 1896-1898; T. Sarti, Rappresentanti legislature Regno, 1880,<br />
272; S. Sapuppo Zanghi, <strong>La</strong> XV legislatura italiana, Roma, 1884; F. Ercole, Uomini Politici,<br />
1941, 364; U.A. Pini, Medici nel Risorgimento, 1960, 4; M. Caroselli, <strong>La</strong> storia di Parma, 1980,<br />
93-94; T. Marcheselli, in Gazzetta di Parma 30 novembre 1983; Aurea Parma 1 1992, 22; L. Alfi<br />
eri, Parma, la vita e gli amori, 1993, 244, 245; G.B. Janelli, Dizionario biografi co dei parmigiani<br />
illustri o benemeriti nelle scienze, nelle lettere e nelle arti o per altra guisa notevoli. Appendice<br />
II, Parma, Ferrari e Pellegrini, 1884, 13-19, che riporta il discorso funebre pronunciato da G.<br />
Mariotti; Pel XX anniversario della società di Mutuo Soccorso Pietro Cocconi, Parma, Bianchi<br />
e Schianchi, 1907; P. Marchetti, In memorie di Pietro Cocconi, in L’Emilia 28 aprile 1907; G.<br />
Sitti, Parma nel nome delle sue strade, Parma, Fresching, 1929, 62-63; A. Malatesta, Ministri,<br />
deputati e senatori dal 1848 al 1922, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1940, vol. I, 265; M.<br />
Giuffredi, Dopo il Risorgimento, ad Indicem.<br />
CAMPANINI CLEOFONTE<br />
Parma 1 settembre 1860-Chicago 19 dicembre 1919<br />
Nacque da Francesco, fabbro, e da Anna Rosa Alessandri. A tredici anni<br />
iniziò gli studi musicali alla scuola del Carmine di Parma, come convittore<br />
interno. Vi rimase cinque anni, studiando violino con C. Ferrarini, e contrappunto<br />
e composizione con G. Dacci. <strong>La</strong>sciò, tuttavia, la scuola prima<br />
di aver terminato gli studi, insofferente dei sistemi pedagogici in essa impiegati.<br />
Continuò privatamente lo studio del violino e della composizione<br />
con il Ferrarini, che, resosi conto del suo talento eccezionale, ebbe per lui<br />
particolare predilezione. Nel 1878 esordì come violinista, rivelandosi ottimo<br />
interprete delle musiche di Corelli, Tartini, Beethoven, Vieuxtemps e di Henryk<br />
Wieniawski. Suonò come violino di spalla nelle orchestre di F.A. Faccio,<br />
L. Mancinelli, E. Usiglio e tenne concerti alla Società del quartetto di Parma.<br />
Affermatosi rapidamente, fu scritturato non ancora ventenne a Vienna, poi<br />
a Berlino e a Londra, dove, al Covent Garden Theatre, eseguì numerosi<br />
concerti con vivo successo. A vent’anni il Campanini decise di abbandonare<br />
la carriera violinistica per quella direttoriale e nell’estate 1880, approfi ttando<br />
di un’assenza del maestro, si fece scritturare al Teatro Reinach di Parma,<br />
dove diresse L’ultima notte di carnevale o <strong>La</strong> notte di carnevale di N. Cialdi.<br />
Il suo vero esordio come direttore d’orchestra avvenne il 16 settembre 1882<br />
al Teatro Regio parmense: in quell’occasione diresse l’opera Carmen, nella<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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quale la parte di don José era interpretata dal fratello, il tenore Italo, e da altri<br />
rinomati artisti. L’opera ebbe vivissimo successo e il suo fare disinvolto, la<br />
sua battuta franca e decisa e senza la minima ombra di incertezza e il buon<br />
senso con cui coloriva la musica furono molto elogiati dal critico della Gazzetta<br />
di Parma del 21 settembre 1882. Nel 1884 il Campanini fu scelto per<br />
dirigere alla prima Esposizione internazionale torinese, superando, con la<br />
sua orchestra composta da elementi parmigiani (nella quale fi gurava anche<br />
Arturo Toscanini come violoncello di fi la), quelle dirette da G. Martucci, F.A.<br />
Mancinelli, C. Pedrotti e L. Faccio. In seguito, scritturato all’estero, compì<br />
tournée negli Stati Uniti e nell’America del Sud. Diresse, inoltre, in Europa<br />
nei maggiori teatri (Liceo di Barcellona, Real di Madrid) e ancora in America<br />
al Colón di Buenos Aires. Nel 1890 sposò il soprano Eva Tetrazzini, che<br />
interpretò numerose opere da lui dirette, tra le quali Fedora di U. Giordano,<br />
rappresentata al Teatro Regio di Parma nel 1902. In quello stesso anno, il<br />
6 novembre, il Campanini ottenne un caloroso successo dirigendo la prima<br />
esecuzione di Adriana Lecouvreur di F. Cilea al Teatro Lirico di Milano. Fu<br />
quindi scritturato per tre anni alla Scala di Milano, dove diresse in prima<br />
esecuzione le opere Siberia di U. Giordano, il 19 dicembre 1903, e Madama<br />
Butterfl y di Puccini il 17 novembre 1904: la prima rappresentazione dell’opera<br />
fu male accolta dal pubblico e dalla critica, ma solo tredici mesi più tardi,<br />
quando lo stesso Campanini la diresse al Teatro Grande di Brescia, riscosse<br />
un caloroso successo. Delle numerose opere che il Campanini diresse alla<br />
Scala tra il 1903 e il 1905 ebbero un successo particolare Wally, Lorelei, Le<br />
Nozze di Figaro (interpretata da C. Ferrari, G. Russ e G. De Luca), Freischutz<br />
e L’Oro del Reno. Nel 1905 diede improvvisamente le dimissioni dal Teatro<br />
alla Scala in seguito a un diverbio con alcuni componenti dell’orchestra<br />
che gli erano ostili. Il Campanini diresse inoltre, al Covent Garden di Londra<br />
nel 1904, una memorabile esecuzione della Manon Lescaut di Puccini, interpretata<br />
da Caruso e da A. Giachetti, alla presenza dello stesso autore,<br />
e il 29 maggio 1911 la prima rappresentazione della Fanciulla del West. In<br />
Italia fece conoscere al pubblico napoletano il Falstaff di Verdi e i wagneriani<br />
Maestri Cantori. Nel 1913, per celebrare il centenario della nascita di<br />
Giuseppe Verdi, diresse a Parma un ciclo di opere verdiane che includeva<br />
Nabucco, Un ballo in maschera, Aida, Falstaff, Don Carlos e anche il Requiem.<br />
Nello stesso anno acquistò dal Comune di Parma il Teatro Reinach<br />
e nel 1914 ne affi dò la gestione al nipote Lohengrin Italo, fi glio del fratello<br />
Italo, che la tenne fi no al 1921. Con la ricca mecenate americana Edith Mac<br />
Cormick, inoltre, istituì presso il conservatorio locale un concorso per opere<br />
nuove di giovani compositori, il cui premio, di 20000 lire, venne assegnato<br />
nel 1914 a Erica di G. Pennacchio e nel 1917 alla Figlia del re di A. Lualdi<br />
(entrambe le opere furono eseguite al Teatro Reinach). Istituì inoltre, sempre<br />
a Parma, un concorso per giovani cantanti che rivelò al pubblico Beniamino<br />
Gigli. Il Campanini trascorse gli ultimi anni a Chicago come direttore artistico<br />
della Chicago Opera Association. A Chicago ebbe agiatezza, fortuna, onori<br />
e l’ammirazione entusiasta dei suoi molteplici ammiratori. Dopo la proclamazione<br />
della pace, nel 1918, percorse le vie di Chicago con l’orchestra e<br />
i cori tra l’entusiasmo della folla. A Chicago morì prima di poter tornare in<br />
patria, come sarebbe stato suo desiderio. <strong>La</strong> sua salma ebbe onoranze imponenti<br />
e fu esposta nel Teatro Auditorium parato a lutto. Fu poi trasportata<br />
a Parma e inumata al cimitero della <strong>Villetta</strong> nel monumento erettogli dalla<br />
vedova e dal nipote Lohengrin Italo Campanini. Dotato di una personalità<br />
spiccatissima, di un talento autentico e di notevole versatilità, non deluse<br />
mai le aspettative del pubblico e della critica che fi n dal suo esordio gli aveva<br />
predetto una brillante carriera. Tra le sue interpretazioni più signifi cative<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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vanno ricordate, oltre a quelle già citate, la Luisa di G. Charpentier e Pelléas<br />
et Melisande di C. Debussy.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Necrologio, in Gazzetta di Parma 22 dicembre 1919; P.E. Ferrari, Spettacoli drammatico-musicali<br />
e coreografi ci in Parma dall’anno 1628 all’anno 1883, Parma, 1884, 319; M. Ferrarini,<br />
Parma teatrale ottocentesca, Parma, 1946, ad Indicem; A. De Angelis, Dizionario dei musicisti,<br />
Roma, 1928, 113 s.; G. Graziosi, Cleofonte Campanini, in Enciclopedia dello Spettacolo, II,<br />
Roma, 1954, coll. 1589 s.; B. Molossi, Dizionario biografi co, 1957, 38-39; <strong>La</strong> musica, Dizionario,<br />
I, Torino, 1968, 334; C. Gabanizza, in Dizionario biografi co degli Italiani, XVII, 1974,<br />
418-419.<br />
CAMPANINI ITALO<br />
Parma 30 giugno 1845-Corcagnano 22 novembre 1896<br />
Fratello del direttore d’orchestra Cleofonte, nacque da Francesco, fabbro<br />
ferraio, e da Anna Rosa Alessandri. Pur lavorando nell’offi cina del padre,<br />
studiò musica sotto la guida di Griffi ni alla Reale Scuola di Musica di Parma.<br />
Secondo il Pariset, giovanissimo avrebbe combattuto con Garibaldi in Sicilia.<br />
Nel 1863 esordì al Teatro Regio di Parma nel ruolo di Oloferno Vitellozzo<br />
nella Lucrezia Borgia di G. Donizetti, cantando quindi nella Sonnambula<br />
di V. Bellini, dove sostenne la parte del notaio. Nel 1865 si aggregò a una<br />
troupe italiana in Russia, che girò a lungo fi nché l’impresario V. Sermattei lo<br />
scritturò al Teatro di Odessa, dove gli fu affi dato il ruolo di primo tenore nei<br />
Lombardi e nel Trovatore verdiani. In Russia rimase tre anni svolgendo intensa<br />
attività artistica, quindi tornò in Italia e perfezionò ulteriormente la sua<br />
tecnica vocale sotto la guida di F. <strong>La</strong>mperti a Milano. Scritturato al Teatro alla<br />
Scala di Milano per la stagione 1870-1871, il Campanini vi interpretò il Faust<br />
di C. Gounod, il Don Giovanni di Mozart, la Lucrezia Borgia di Donizetti e, in<br />
seguito al successo ottenuto, ottenne una scrittura al Comunale di Bologna<br />
dove interpretò Faust (1° ottobre 1871) e Lohengrin di Wagner (1° novembre<br />
1871), nella prima esecuzione italiana diretta da A. Mariani, contribuendo<br />
con la sua interpretazione al caloroso consenso col quale l’opera venne<br />
accolta tanto dal pubblico quanto dalla critica più autorevole e qualifi cata,<br />
giunta a Bologna da ogni parte d’Italia e d’Europa, richiamata dal singolare<br />
evento. Tra gli altri H.v. Bülow si dichiarò entusiasta del Campanini, primo e<br />
per vari anni ineguagliabile Lohengrin italiano (Trezzini). Successivamente,<br />
però, il 10 marzo 1873, quando il Lohengrin venne rappresentato alla Scala,<br />
le reazioni del pubblico furono negative (cfr. Depanis, pag. 150: Campanini<br />
venne evocato al proscenio per separare l’approvazione dell’artista dalla<br />
disapprovazione della musica). Specializzato in questo ruolo, il Campanini<br />
riottenne eguale successo a Torino il 14 marzo 1877 (nel riferire sull’esito il<br />
Depanis lo defi nisce un superbo cavaliere del cigno, sobrio, corretto, alieno<br />
da sdilinquimenti e dalle esagerazioni, pag. 140). Il Campanini si distinse<br />
nell’opera Mefi stofele di Boito, anch’essa caduta alla prima esecuzione scaligera<br />
e da lui portata a un successo trionfale quando fu nuovamente rappresentata<br />
al Teatro Comunale di Bologna il 4 ottobre 1875, presente l’autore.<br />
Nel dicembre 1872 il Campanini interpretò alla Scala il Ruy Blas di F. Marchetti,<br />
che divenne uno dei suoi cavalli di battaglia e che portò sulle scene<br />
dell’Apollo di Roma nella stagione 1875-1876, del Regio di Torino nel 1877<br />
e a Parma nel 1879, in uno spettacolo da lui stesso allestito per benefi cenza<br />
il 7 settembre, quando venne inaugurato il monumento al Parmigianino. In<br />
quegli anni il Campanini fu anche scritturato all’estero e cantò nel 1872 al<br />
Drury <strong>La</strong>ne Theatre di Londra in Lucrezia Borgia e in Lucia di <strong>La</strong>mmermoor<br />
e al Metropolitan di New York, scritturato fi no al 1822, nel Faust, Aida, Trovatore<br />
e Lohengrin. Il 16 settembre 1882 allestì a sue spese al Regio di<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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Parma la Carmen di G. Bizet, che, diretta con successo dal fratello Cleofonte<br />
appena esordiente, fu da lui interpretata nel ruolo di don José. <strong>La</strong> critica<br />
lodò ancora una volta il suo talento scenico e interpretativo, effi cace tanto<br />
nei canti chiari ed aperti, come colle sapienti modulazioni della sua voce dal<br />
timbro simpatico, soave, toccante (Gazzetta di Parma 21 settembre 1882).<br />
Pochi giorni più tardi, il 28 settembre, egli allestì e interpretò il Trovatore, ancora<br />
una volta sotto la direzione del fratello, mandando il pubblico in delirio<br />
con la romanza del terzo atto Amor sublime amore, eseguita con bella voce<br />
e magistero perfetto di cantante e d’artista (Gazzetta di Parma 29 settembre<br />
1882). Nel 1883 interpretò il Faust, inaugurando con questa opera la stagione<br />
del Metropolitan di New York, ma questo fu uno dei suoi ultimi successi.<br />
Nel 1884 infatti la sua voce cominciò a dar segni di stanchezza e nel 1886,<br />
nell’interpretazione del Mefi stofele al San Carlo di Napoli, il Campanini venne<br />
fi schiato. Negli anni seguenti continuò a calcare le scene, concludendo<br />
la carriera nel 1894 all’Albert Hall di Londra con la Dannazione di Faust di<br />
Berlioz. Dotato di una voce notevole per il timbro e il volume, seppe conquistare<br />
le platee anche per lo stile delle sue interpretazioni, misurato, elegante<br />
e, al tempo stesso, ricco di intensità espressiva.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Gazzetta di Parma 21 e 29 settembre 1882; P.E. Ferrari, Spettacoli drammatico-musicali e<br />
coreografi ci in Parma dall’anno 1628 all’anno 1883, Parma, 1884, 146-312 passim; Almanacco<br />
Italiano 1898, 367; C. Pariset, Dizionario biografi co dei Parmigiani illustri, Parma, 1905, 21 s.;<br />
G. Depanis, I concerti popolari e il teatro Regio di Torino, II, Torino, 1914-1915, 140, 150; M.<br />
Ferrarini, Parma teatrale ottocentesca, Parma, 1946, ad Indicem; L. Trezzini, Due secoli di vita<br />
musicale. Storia del Teatro Comunale di Bologna, Bologna, 1966, I, 14, 16, 18, 123, II, 98 s.,<br />
103; R. Celletti, Campanini Italo, in Enciclopedia dello Spettacolo, II, Roma, 1954, coll. 1590<br />
s.; <strong>La</strong> musica, Dizionario, I, Torino, 1968, 333 s.; C. Gabanizza, in Dizionario biografi co degli<br />
Italiani, XVII, 1974, 419-420.<br />
CANTELLI GIROLAMO<br />
Parma 22 giugno 1815-Parma 7 dicembre 1884<br />
Nacque da Lodovico, conte di Rubbiano, e da Luigia dei marchesi Rizzini di<br />
Mantova. Educato inizialmente nel Collegio dei nobili, il Cantelli approfondì<br />
la sua preparazione giuridica che gli fruttò, compiuti i vent’anni, un impiego<br />
nel quale non tardò a segnalarsi. Quando l’Anzianato, nella riunione del 17<br />
aprile 1838, deliberò di distribuire medaglie fatte coniare in onore di Maria<br />
Luigia d’Austria dal Comune di Parma, nella categoria impiegati di Corte che<br />
meritino particolare riguardo, si trova il Cantelli. Dallo stesso Consiglio degli<br />
anziani egli venne creato, il 19 maggio 1839, revisore dei conti, carica confermatagli<br />
il 19 maggio dell’anno successivo e il 15 marzo 1841. A partire da<br />
questa data il Cantelli divenne sindaco di quartiere, fi nché gli Anziani, il 21<br />
gennaio 1845, dovettero sostituirlo perché era divenuto Podestà di Parma.<br />
Erano gli ultimi anni del regno di Maria Luigia, vedova di Napoleone Bonaparte,<br />
che seppe farsi accettare dai sudditi contemperando con saggezza la<br />
dipendenza da Vienna e il sincero desiderio di migliorare le condizioni del<br />
Ducato, in particolare della capitale. Anche il matrimonio di Albertina, fi glia di<br />
Maria Luigia e del Neipperg, con il conte Luigi Sanvitale (ottobre 1833), appartenente<br />
a una delle migliori famiglie di Parma, contribuì a rinsaldare i<br />
rapporti tra la Duchessa e i suoi sudditi. Ma la generale commozione che<br />
percorse l’intera penisola dopo i primi atti di governo di papa Pio IX raggiunse<br />
anche il piccolo Ducato padano: a Parma, nel giugno 1847, si verifi carono<br />
incidenti di una certa entità tra i dimostranti e le truppe austriache di<br />
stanza nel Ducato. Maria Luigia, che era solita trascorrere a Schönbrunn i<br />
mesi estivi, si trovava in Austria ospite del fratello Ferdinando, salito sul tro-<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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no imperiale nel 1835, e della cognata Maria Anna di Savoja, e da lei si recò<br />
il Cantelli per informarla e per protestare contro l’intervento delle truppe imperiali.<br />
Questa presa di posizione, che rispecchiava peraltro lo stato d’animo<br />
di larghissima parte dell’opinione pubblica parmense, costò la carica al Cantelli,<br />
sostituito di fatto (come scrive A. Moscati) durante una sua non richiesta<br />
licenza da un commissario straordinario, mentre egli si ritirava, sdegnoso, a<br />
vivere a Mantova. L’aggravarsi delle condizioni di salute di Maria Luigia (che<br />
morì a Parma il 17 dicembre 1847) spinse l’elemento liberale a invitare il<br />
Cantelli a rientrare in città per esercitarvi le funzioni di podestà, prima dell’arrivo<br />
di Carlo Ludovico di Borbone, già re di Etruria, poi duca di Lucca e<br />
quindi, col nome di Carlo II, duca di Parma. Ma il nuovo Duca era strettamente<br />
legato all’Austria, con la quale strinse il 24 dicembre 1847 una convenzione<br />
militare. Questo atteggiamento fi loaustriaco comportò una politica<br />
più autoritaria all’interno, con l’esclusione dei liberali, per moderati che fossero<br />
(e tra questi era certamente il Cantelli), da ogni carica. Cadde perciò<br />
nel vuoto il consiglio del marchese di Soragna, rappresentante sardo a Parma<br />
agli inizi del 1848, di formare un ministero liberale capeggiato dal Cantelli.<br />
Il 14 febbraio, anzi, in applicazione della convenzione militare del 24<br />
dicembre 1847 già ricordata, truppe austriache entrarono a Parma. Poche<br />
settimane dopo, però, l’eco dell’insurrezione viennese e di quelle italiane<br />
indusse Carlo di Borbone a nominare, il 20 marzo 1848, una reggenza (formata<br />
da Luigi Sanvitale, Ferdinando Maestri, Pietro Gioja, Pietro Pellegrini<br />
e il Cantelli) alla quale fu trasferito il Supremo Potere con la facoltà di dare<br />
quelle istituzioni e provvedimenti che nell’attuale condizione delle cose crederà<br />
necessari. Qualche giorno più tardi, il 24 marzo, il Duca stimolò addirittura<br />
la reggenza ad accelerare i lavori per la stesura di una carta costituzionale.<br />
Il 29 marzo furono pubblicate, in diciassette articoli, le basi<br />
fondamentali della costituzione, mentre il Duca, lo stesso giorno, dichiarò<br />
solennemente di rimettere a Carlo Alberto di Savoja, a Pio IX e Leopoldo II<br />
di Toscana i destini del suo Stato. Il Cantelli, insieme con gli altri membri<br />
della reggenza, presentò le dimissioni. Ma l’11 aprile l’Anzianato di Parma<br />
nominò un governo provvisorio composto dal Cantelli e dagli altri membri<br />
della reggenza dimissionaria, ai quali vennero aggiunti Giuseppe Bandini e<br />
Giovanni Carletti. Fu tale governo provvisorio a indire, l’8 maggio 1848, un<br />
plebiscito che, su 39904 votanti, diede 37451 voti per l’annessione al Regno<br />
sardo. Ma le alterne vicende della guerra riportarono gli Austriaci a Parma<br />
(18 agosto) con un governo provvisorio militare retto dal comandante del IV<br />
corpo d’armata, conte di Thurn. Nei convulsi avvenimenti parmensi della<br />
primavera del 1849 il Cantelli non ebbe, almeno uffi cialmente, alcuna parte.<br />
A restaurazione avvenuta (il 18 maggio Carlo di Borbone aveva ripreso possesso<br />
del Ducato) il Cantelli, in esilio a Genova, fu sottoposto a inchiesta<br />
giudiziaria per l’uso fatto del denaro pubblico durante il governo provvisorio.<br />
A conclusione dell’inchiesta, i beni del Cantelli, al pari di quelli dei componenti<br />
la reggenza e il governo provvisorio, vennero posti sotto sequestro,<br />
oltre che per rappresaglia politica, anche per sopperire alle spese militari<br />
che il Duca intendeva affrontare. Dopo la morte di Carlo di Borbone (1854)<br />
il sequestro venne abrogato. Il Cantelli, rientrato a Parma qualche tempo<br />
dopo, nell’impossibilità di svolgere qualsiasi attività politica o amministrativa,<br />
cooperò, tra l’altro, alla creazione di un istituto bancario cittadino allo scopo<br />
di fornire un più largo credito alle attività economiche del Ducato e facilitare<br />
i traffi ci con gli altri Stati della penisola. I contatti con il governo di Torino<br />
avvennero, soprattutto, mediante il Massari: è a quest’ultimo che il Cantelli<br />
chiese il 14 agosto 1856, da Genova, di inserire in alcuni dei più accreditati<br />
giornali del Piemonte un articolo che rispondesse alle accuse lanciate con-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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tro i cittadini di Parma dalla stampa austriaca e dal foglio uffi ciale parmense.<br />
<strong>La</strong> collocazione politica del Cantelli si presenta in questi anni, e tale rimase<br />
anche successivamente, di rigida chiusura nei confronti dei governi restaurati<br />
e dei reazionari da un lato e dello sciocco e infame partito mazziniano<br />
dall’altro (come egli lo defi nisce in una lettera del 10 luglio 1857 al Massari<br />
dopo i fatti di Genova). Sembrarono pericolosi al Cantelli, allora e negli anni<br />
immediatamente successivi, anche gli ex repubblicani convertiti all’unitarismo<br />
monarchico. Nella primavera del 1859, a esempio, il Cantelli si mostrò<br />
allarmato per i contatti che Filippo Linati, onestissimo e italianissimo (come<br />
scrive il 29 marzo al Massari), non repubblicano né cieco di mente, aveva<br />
con elementi già repubblicani, divenuti favorevoli all’annessione al Regno<br />
sardo, ma illusi sulla possibilità di un movimento in Parma, ritenuto improbabilissimo<br />
se non impossibile. Il Cantelli diede invece la sua opera al comitato<br />
per i soccorsi ai volontari (tra i quali il suo primogenito) che andarono a<br />
prendere servizio nell’esercito piemontese. <strong>La</strong> situazione politica di Parma,<br />
confusa nel maggio del 1859 per l’alternarsi di una Commissione di governo,<br />
creata dalla reggente Luisa Maria di Borbone, e di una Giunta provvisoria<br />
nominata dal Comitato nazionale cittadino, si chiarì con la partenza della<br />
Reggente il 9 giugno. Per otto giorni il Cantelli presiedette una Commissione<br />
di governo, nominata dal Municipio e incaricata di reggere il paese fi nché vi<br />
giunse il 17 giugno l’incaricato di Vittorio Emanuele di Savoja, Diodato Pallieri.<br />
Nelle elezioni del 4 settembre 1859 per l’Assemblea, dei rappresentanti<br />
del popolo delle Province parmensi il Cantelli fu eletto dal terzo collegio di<br />
Parma (136 voti su 438 in prima votazione, 214 su 324 in seconda). Il 9<br />
settembre divenne, con 37 voti su 52, presidente della stessa Assemblea e<br />
ne diresse i lavori in modo decoroso e imparziale, come suonò l’unanime<br />
voto di ringraziamento dell’Asúsemúblea il 15 dello stesso mese, allorché i<br />
suoi lavori vennero prorogati contemporaneamente alla partenza per Torino<br />
della delegazione incaricata di portare a Vittorio Emanuele di Savoja il voto<br />
delle popolazioni del Ducato. Lo stesso giorno il Cantelli fu designato a guidare<br />
la deputazione incaricata di portare a Napoleone III un indirizzo di ringraziamento,<br />
composta di Pietro Torrigiani e di Ranuzio Anguissola. Il Farini,<br />
che non aveva approvato l’iniziativa (Je ne comprend pas raison de ton voyage<br />
à Paris, scrisse al Cantelli il 26 ottobre), lo inviò presso Ricasoli per<br />
coordinare un’azione comune per la preparazione dei plebisciti. Il 25 marzo<br />
1860 il Cantelli fu eletto deputato nel secondo collegio di Parma, contro Ausonio<br />
Franchi, e vi fu riconfermato nelle elezioni dell’anno successivo, per<br />
l’VIII legislatura, durante la quale fu anche questore nella prima sessione<br />
(18 febbraio 1861-21 maggio 1863) e vicepresidente nella seconda (25<br />
maggio 1863-7 settembre 1865). Nel 1861 venne affi dato al Cantelli l’incarico<br />
di commissario civile presso il luogotenente del re nelle Province napoletane<br />
(regio decreto 14 luglio 1861), proprio mentre il Cialdini iniziava la sua<br />
politica di collaborazione con tutte le forze liberali, comprese quelle democratiche,<br />
verso le quali i moderati conservarono, invece, un atteggiamento<br />
sospettoso se non ostile. Un dissenso tra i due non tardò a manifestarsi sul<br />
problema dell’ordine pubblico cui si aggiunse il contrasto tra il Cantelli e M.<br />
Pironti sui tempi dell’unifi cazione (continuo incubo di Cantelli, come Pironti<br />
scrive al Mancini il 2 agosto 1861, citazione in Scirocco, 312). Si trattò, in<br />
realtà, di divergenze profonde che rifl ettevano dissensi tra il governo centrale<br />
e la luogotenenza e tra lo stesso Ricasoli e il Cialdini, che a metà agosto<br />
giunse a rassegnare le dimissioni. <strong>La</strong> crisi, per il momento, venne superata<br />
ma il Cantelli fu sostituito (regio decreto 25 agosto 1861) da Giovanni<br />
Visone, intendente generale di Piacenza, che seppe agire con maggior<br />
tatto, facendo tesoro dell’esperienza del suo predecessore (A. Scirocco,<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
265). Su questa breve missione a Napoli, giudicata favorevolmente da Petruccelli<br />
della Gattina e negativamente oltre che dal Cialdini stesso, com’era<br />
naturale, anche da D. Pantaleoni, il Cantelli scrisse al Massari da Parma il<br />
27 ottobre del 1861: Non ti parlerò della Luogotenenza: parce sepultis! Dirò<br />
solo che se la mia dimissione ha in qualche modo contribuito ad affrettarne<br />
la morte, non sarà stata affatto inutile la mia andata a Napoli! In un momento<br />
particolarmente delicato, si era alla vigilia della Convenzione di settembre,<br />
il Cantelli assunse la carica di prefetto di Firenze (7 settembre 1864). Il<br />
giudizio del Cantelli sui Fiorentini fu indubbiamente severo (non muove da<br />
un amore sviscerato per Firenze, scrive G. Spadolini, Firenze capitale, Firenze,<br />
1967, 201): egli auspicò la fi ne più rapida dell’autonomia amministrativa<br />
toscana, in linea del resto con i suoi precedenti atteggiamenti. Scendendo<br />
alle tendenze, allo spirito morale di questa popolazione (scrive in un<br />
rapporto del 5 gennaio 1865 al ministro dell’Interno, cfr. Spadolini, 203-206)<br />
trovasi ragione per desiderare un sensibile miglioramento. Causa principale<br />
la poca energia, o meglio la forza d’inerzia che distingue il popolo toscano<br />
ed in ispecie il fi orentino; d’onde l’oziosità, la mendacità, il mal costume in<br />
larga scala. In quanto a politica, essa è qui, come tutt’altro debolmente sentita.<br />
Non esito ad affermare che non esiste un vero e forte partito politico.<br />
Chiamerò forte il più numeroso, e questo è certamente quello che accetta<br />
l’attuale ordine di cose. Ma il Cantelli seppe cogliere il malcontento per il<br />
vertiginoso aumento dei fi tti, e intese l’importanza di distinguere la Sinistra<br />
legalitaria e possibilista della Sinistra intransigente e mazziniana. Si occupò<br />
delle prediche trascinanti di padre Alessandro Gavazzi, della creazione di<br />
una associazione per la tutela e lo svolgimento dei diritti costituzionali in<br />
antitesi con le società democratiche di tendenza repubblicana, ma anche<br />
delle trame reazionarie, della nascita del Fiammifero, di netta tendenza<br />
granduchista, come la Bandiera del Popolo. Ciò che il Cantelli temette maggiormente<br />
fu la collusione delle estreme, il tentativo reazionario di servirsi<br />
della protesta operaia (era appena sorta a Firenze un’associazione tra i tipografi<br />
per difendere il livello salariale e preparare uno sciopero), l’azione dei<br />
predicatori quaresimali che toccarono spesso problemi di natura strettamente<br />
politica, con l’aiuto, come si legge nel rapporto dell’8 aprile 1865, di celesti<br />
apparizioni. L’8 ottobre 1865 il Cantelli venne nominato senatore (categorie<br />
II, III e XXI). Due anni più tardi Luigi Federico Menabrea, nel primo ministero<br />
che presiedette (27 ottobre 1867-5 gennaio 1868), gli affi dò il dicastero dei<br />
<strong>La</strong>vori Pubblici e, fi no al 18 novembre 1867, l’interim dell’Istruzione Pubblica.<br />
Ma egli continuò a dirigere la prefettura di Firenze fi no al 3 novembre<br />
1867 (il giorno di Mentana) quando vi fu inviato come reggente il consigliere<br />
delegato Francesco Constantin de Magny (soltanto il 13 febbraio 1868 Firenze<br />
ebbe un prefetto titolare nella persona di Massimo Cordero di Montezemolo,<br />
già prefetto di Napoli). Perciò il governo Rattazzi dimissionario, per<br />
bocca di alcuni suoi membri, tentò poi di far ricadere su di lui la responsabilità<br />
del mancato intervento nei confronti dei volontari e dello stesso Garibaldi<br />
che si dirigevano verso lo Stato pontifi cio. Nel secondo ministero Menabrea<br />
(5 gennaio 1858-13 maggio 1869) il Cantelli conservò il dicastero dei<br />
<strong>La</strong>vori Pubblici fi no al 23 ottobre 1868, quando gli venne affi dato il ministero<br />
dell’Interno, di cui aveva avuto l’interim dal 10 settembre dopo le dimissioni<br />
di Carlo Cadorna causate dalla mancata approvazione dei suoi progetti di<br />
riforma dell’amministrazione centrale e provinciale. Nel 1872 il Cantelli divenne<br />
consigliere di Stato. Il 1° ottobre di quell’anno Antonio Scialoia, che<br />
dal 5 agosto 1872 resse il dicastero dell’Istruzione Pubblica del ministero<br />
<strong>La</strong>nza (14 dicembre 1869-10 luglio 1873), lo nominò presidente della Commissione<br />
d’inchiesta sull’istruzione secondaria maschile e femminile. Il de-<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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creto del 29 settembre 1872, in 6 articoli, che ordina un’inchiesta sugli istituti<br />
di istruzione secondaria maschile e femminile sia che appartengano al<br />
governo, a corpi morali o a privati, sia che costituiscano fondazioni speciali<br />
destinate all’insegnamento ed all’educazione (art. I), stabilisce che l’inchiesta<br />
sarebbe stata fatta per mezzo di interrogatori scritti, elenchi di domande<br />
formulate dalla commissione, interrogazioni orali, lettere circolari alle autorità<br />
scolastiche, visite a istituti. I 77 quesiti, inviati anche a privati cittadini ma<br />
solo per mezzo del consiglio scolastico o del sindaco, vennero pubblicati in<br />
opuscolo (Commissione d’inchiesta sulla istruzione secondaria maschile e<br />
femminile. Quesiti, Roma-Firenze, 1872) che contiene anche dei fogli bianchi<br />
intercalati tra gli stampati per consentire la risposta. L’11 gennaio 1873 il<br />
Cantelli venne eletto vicepresidente del Senato, ma conservò la carica solo<br />
per pochi mesi perché il Minghetti gli affi dò, nell’ultimo ministero della Destra<br />
(10 luglio 1873-25 marzo 1876), il dicastero dell’Interno (dal 6 febbraio 1874<br />
ebbe anche l’interim delle Finanze). Fu indubbiamente questa la pagina della<br />
vita politica del Cantelli oggetto di più aspre censure e sulla quale si sono<br />
alternati i più contrastanti giudizi. Non soltanto gli internazionalisti, ma anche<br />
i repubblicani e i radicali, che con i primi non ebbero alcun obiettivo politico<br />
comune, furono fatti segno (come scrive A. Galante Garrone) a una stolida<br />
persecuzione, culminata nell’arresto a villa Ruffi , nei pressi di Rimini, di ventotto<br />
personalità repubblicane, tra le quali A. Saffi e A. Fortis, intervenute a<br />
una riunione organizzata dalla Consociazione delle società popolari di Romagna<br />
per stringere accordi in vista delle elezioni dell’8 novembre 1874. Il<br />
provvedimento (che si rivelò un grosso errore politico, come dimostrarono<br />
l’immediata reazione dell’opinione pubblica e la successiva generale assoluzione<br />
degli imputati da parte della magistratura) pare sia stato opera più<br />
che del Cantelli, assente, del segretario generale L. Gerra. Però (come scrive<br />
A. Moscati, p. 48), la non breve durata della detenzione e la ulteriore<br />
permanenza nell’uffi cio del Segretario generale ancora per diversi mesi, apparivano<br />
come la tacita approvazione da parte del ministro dell’operato di<br />
chi lo aveva, per eccesso di zelo, non encomiabilmente sostituito. Tanto più<br />
che il 5 dicembre 1874 fu presentato alla Camera dal Cantelli, di concerto<br />
con il ministro di Grazia, Giustizia e Culti, Vigliani, un progetto di legge su<br />
Provvedimenti straordinari di pubblica sicurezza che miravano (secondo le<br />
parole del Cantelli) soltanto ad aggiungere forza alla legge ordinaria per<br />
virtù di mezzi appropriati a circostanze straordinarie di tempo e di luogo, ma<br />
in realtà diedero ai prefetti, sottoprefetti e questori dei poteri pericolosamente<br />
vasti e incontrollabili, quali l’arresto preventivo di persone sospette di far<br />
parte di associazioni miranti a offendere le persone o le proprietà, le visite e<br />
le perquisizioni domiciliari in qualunque tempo e dovunque il prefetto, il sottoprefetto<br />
ed il questore abbiano motivo di ritenere che si trovino persone,<br />
armi ed oggetti attinenti alle associazioni predette, il domicilio coatto da uno<br />
a cinque anni per decreto del ministro dell’Interno sulla proposta del prefetto,<br />
inteso il parere di una Giunta locale presieduta dal prefetto stesso e<br />
composta del presidente e del procuratore del Re del tribunale del capoluogo<br />
della provincia e del comandante dei reali carabinieri della provincia medesima.<br />
Bisogna aggiungere, però, che misure così palesemente illiberali<br />
(la durata di due anni confermava del resto la loro eccezionalità) nacquero<br />
in un contesto di gravi tensioni politico-sociali (tentativi mazziniani, moti contadini,<br />
attività di nuclei internazionalisti) nel quale giocò un ruolo determinante<br />
la grave crisi economica iniziatasi con la grande depressione del 1873. <strong>La</strong><br />
caduta della Destra non placò gli avversari del Cantelli, attaccato, peraltro<br />
incautamente, in Senato dal Nicotera, nuovo ministro dell’Interno, non soltanto<br />
per la sua politica autoritaria, per gli illeciti interventi nelle elezioni e per<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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i fi nanziamenti accordati ad alcuni giornali, ma anche per un preteso atteggiamento<br />
servile nei confronti di Luisa Maria di Berry. Negli ultimi anni il<br />
Cantelli, uscito ormai dalla vita politica attiva, ritornò, con esemplare modestia<br />
e senso del dovere civico, a partecipare alla vita amministrativa della<br />
sua città come assessore comunale e più tardi come presidente del consiglio<br />
provinciale di Parma.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Carte ministero Pubblica Istruzione, Personale, Archivio centrale dello Stato, Roma, fascicolo<br />
Girolamo Cantelli; Roma, Museo centrale del Risorgimento: lettere del Cantelli a G. Massari,<br />
(b. 810/843, 1-22), a L.C. Farini (b. CLV/78), a G. Medici (volume 13, n. 8), a P.S. Mancini (b.<br />
608/1, 3), a vari prefetti (b. 391/1, 31, 33, 54, 56), lettere al Cantelli di L.C. Farini (b. CXLII, 7/2,<br />
12; b. CXLIII, 6/20, 11/8), del prefetto di Lecce (b. 391, 1/9, 10, 12, 19, 53), di Andromaca Bertoldi<br />
(b. 286, 25/3), di Giuseppe Sanfi lippo (b. 338, 2/1); Parma, Archivio comunale, sezione III,<br />
Comune moderno, serie 34, Consiglio degli Anziani, Registro delle consulte (anni 1822-1856),<br />
Gridario cittadino (1845, volume n. 176); Le assemblee del Risorgimento, Roma, 1911, I, 591-<br />
767; Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legislature VII-XIV, ad Indices; G. Massari, Diario<br />
dalle cento voci 1858-1860, a cura di E. Morelli, Bologna, 1959, 168, 178, 271, 351, 371 s., 380,<br />
395 s., 425, 437; Carteggi risorgimentali del fondo Luigi Rava, I, Inventario delle carte Farini,<br />
a cura di G. Cortesi, prefazione di A. Torre, Ravenna, 1960, 108, 199; Gli archivi dei governi<br />
provvisori e straordinari 1859-1861, I, Lombardia, Province parmensi e province modenesi.<br />
Inventario, Roma, 1961, 105-113. Cenni biografi ci sul Cantelli: G. Adorni, Del conte Girolamo<br />
Cantelli, Assisi, 1876; E. Casa, Commemorazione del conte senatore Girolamo Cantelli letta<br />
addì 23 settembre 1888, Parma, 1888; G. Sarini, Girolamo Cantelli e i suoi tempi, Parma, 1888;<br />
M.N. Bonini, Inaugurazione del busto in marmo dell’illustre cittadino conte Girolamo Cantelli,<br />
Parma, 1888; A. Pariset, Dizionario biografi co dei Parmigiani illustri, Parma, 1905, 22-26; R.<br />
De Cesare, Roma e lo Stato del papa, II, Roma, 1907, 322, 331; T. Sarti, I rappresentanti del<br />
Piemonte e dell’Italia nelle tredici legislature del Regno, Roma, 1880, 219; A. Moscati, I ministri<br />
del Regno d’Italia, III, Da Mentana alla caduta della Destra, Napoli, 1960, 38-60; Dizionario del<br />
Risorgimento nazionale, II, 521 s. Sull’azione svola dal Cantelli nel 1848 a Parma cfr.: G. Sforza,<br />
Carlo II di Borbone e la rivoluzione di Parma del 1848, in Nuova Antologia 1 agosto 1895,<br />
345 ss.; G. Sforza, Carlo II di Borbone e la Suprema Reggenza di Parma, in Nuova Antologia<br />
1 novembre 1896, 111-143; I° dicembre 1896, 508-532; G.P. Clerici, <strong>La</strong> Suprema Reggenza<br />
e il Governo provvisorio di Parma nel 1848, in Archivio Storico per le Province Parmensi, n.s.,<br />
XVI 1916, 1- 103, in particolare 7, 9 s., 14, 18, 21, 24, 43; G. Drei, Carlo II di Borbone e la<br />
rivoluzione del 1848 a Parma, in Rassegna Storica del Risorgimento XXI 1934, 259-280; sul<br />
1859 e i plebisciti cfr. C. Pecorella, I governi provvisori parmensi (1831, 1848, 1859), Parma,<br />
1959, oltre l’introduzione di E. Falconi nel volume Gli archivi dei governi provvisori e straordinari<br />
1859-1861, 101-125; sull’azione svolta dal Cantelli a Napoli presso la luogotenenza cfr. F. Della<br />
Peruta, Contributo alla storia della questione meridionale. Cinque lettere inedite di D. Pantaleoni,<br />
1861, in Società VI 1950, 69-94; A. Scirocco, Governo e paese nel Mezzogiorno nella crisi<br />
dell’unifi cazione (1860-1861), Milano, 1963, 262 s., 265, 276, 312; sul Cantelli prefetto di Firenze<br />
cfr. G. Spadolini, Firenze capitale, Firenze, 1967, 57 s., 75, 78, 93, 97, 99, 106, 113, 133 s.,<br />
138 s., 143-145, 148-150, 201-206; sulla successiva attività politica del Cantelli qualche cenno<br />
è in I. Bonomi, <strong>La</strong> politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto, 1870-1918, Torino, 1966, 33,<br />
44, 87, e in F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, I, Le premesse,<br />
Bari, 1951, 441. Sull’episodio di villa Ruffi (sul quale è da ricordare l’opuscolo pubblicato da A.<br />
Saffi , <strong>La</strong> Consociazione romagnola e gli arresti di Villa Ruffi , edito nel 1875 a Forlì e poi inserito<br />
nei Ricordi e scritti di A. Saffi pubblicati per cura del municipio di Forlì, XI, 1872-1886, Firenze,<br />
1903, 71-146) cfr. A. Berselli, Gli arresti di Villa Ruffi . Contributo alla storia del mazzinianesimo,<br />
Milano, 1956. Un giudizio sul Cantelli ministro dell’Interno, nel contesto della crisi economicosociale<br />
e politica del 1873-1874, è in A. Galante Garrone, I radicali in Italia (1849-1925), Milano,<br />
1973, 133 s., 140, 155; G. Talamo, in Dizionario biografi co degli Italiani, XVIII, 1975, 247-252.<br />
CAVAGNARI ALFONSO<br />
Parma 10 novembre 1831-Reggio Emilia 18 settembre 1881<br />
Nacque da Alessandro e da Giovanna De Fey. Fece i suoi primi studi (che<br />
furono soprattutto di carattere letterario) col conte Filippo Linati. Si laureò<br />
poi in giurisprudenza ed esercitò l’avvocatura come patrocinatore in cause<br />
civili e criminali, formandosi una numerosa e scelta clientela. Nel 1855<br />
sposò Palmina Sicoré. Luigi Carlo Farini, assunta nel 1859 la dittatura de-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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gli Stati Parmensi, propose al Cavagnari una cattedra universitaria, ma fu<br />
soltanto il 16 ottobre 1861 che egli fu nominato professore straordinario di<br />
diritto costituzionale. Da tale insegnamento passò nel 1873 a quello di diritto<br />
e procedura penale e contemporaneamente fu incaricato di svolgere il<br />
diritto commerciale, insegnamento che sostenne fi no al 1879. Quattro anni<br />
prima (1875) il Cavagnari era stato promosso professore ordinario di diritto<br />
e procedura penale. Furono frequentissime e importanti le cause che da<br />
ogni parte d’Italia gli vennero affi date e che lo portarono in tutti i principali<br />
tribunali del Regno. Il suo parere legale fu richiesto da principi stranieri ed<br />
ebbe onorifi cenze e distinzioni dal governo portoghese e da diversi Stati<br />
americani. L’insigne giureconsulto Pasquale Stanislao Mancini, avendo ricevuto<br />
una sua Memorie di commenti al Codice Penale, lo fregiò della croce<br />
di Commendatore della Corona d’Italia. Fu Presidente del Consiglio dell’Ordine<br />
degli avvocati di Parma e membro del Consiglio superiore di Pubblica<br />
Istruzione. Nel 1865 entrò a far parte del Consiglio municipale di Parma e,<br />
rieletto più volte, vi rimase fi nché visse. Nell’anno stesso della sua prima<br />
elezione fu nominato membro della Giunta e resse l’uffi cio di Sindaco dal<br />
novembre 1866 al 1° ottobre dell’anno successivo. Fu Sindaco effettivo dal<br />
dicembre 1870 all’aprile del 1874. In quell’anno si dimise di fronte all’opposizione<br />
non solo della Sinistra, che era in minoranza, ma anche di una parte<br />
della Destra, capitanata dall’onorevole Ferdinando Paini. Fu il Cavagnari<br />
che per primo fece deliberare (nell’aprile 1874) i lavori di difesa al torrente<br />
Parma, di cui però il Consiglio rinviò l’esecuzione. Nello stesso anno, durante<br />
i tumulti popolari del 18 aprile per il prezzo del pane (che aveva raggiunto<br />
il prezzo di 57 centesimi il chilo), ricondusse alla calma con un generoso<br />
discorso. Ma le severe censure che esso sollevò nel Consiglio comunale,<br />
che ridusse inoltre la somma da lui proposta a favore del Comitato di Provvidenza,<br />
lo determinarono alle dimissioni. Ma nel settembre 1880 fu nuovamente<br />
rieletto Sindaco di Parma. In questo ruolo, fece sì che il Teatro Regio<br />
rimanesse aperto nel Carnevale e ne aumentò i fi nanziamenti da 15 a 30<br />
mila lire, inoltre provvide a far lastricare la Piazza maggiore, rinnovare quella<br />
della Steccata ed eseguire il monumento al Parmigianino, ridurre il prezzo<br />
dell’illuminazione a gas e illuminare di notte l’orologio della torre della Piazza<br />
maggiore. Per dieci anni sedette nel Consiglio provinciale, dapprima in<br />
rappresentanza di Traversetolo, poi di Parma. Nel maggio del 1880 fu chiamato<br />
dal voto dei suoi concittadini a rappresentare il collegio sud di Parma al<br />
Parlamento nazionale. Alla Camera si schierò con l’opposizione di destra e,<br />
nella seduta del 10 luglio 1880, negò il proprio voto all’abolizione incondizionata<br />
e totale della tassa sul macinato. Si dedicò anche alla letteratura e alla<br />
musica: dettò drammi per musica, brevi componimenti drammatici e canzoni<br />
di stile classico. Scrisse i libretti per due opere musicate da Giovanni Rossi:<br />
Elena da Taranto, melodramma serio in tre atti (libretto edito a Parma,<br />
Stocchi, 1852), e Giovanni Giscala, melodramma tragico (Parma, Stocchi,<br />
1855), e le parole del coro Preghiera alla Vergine (1880) e della melodia<br />
per canto e pianoforte <strong>La</strong> rosa bianca. Fu inoltre l’autore dell’opuscolo Brevi<br />
notizie sull’origine e sui progressi del Conservatorio detto del Carmine, oggi<br />
Regio Istituto di musica in Parma (Parma, Adorni, 1875). Compose anche<br />
alcune musiche, di cui si conoscono due composizioni per banda: Fantasia<br />
in sol minore e Isminda, valzer in mibemolle maggiore. Nel 1875, assieme<br />
a Stefano Sanvitale, Parmenio Bettoli, Giulio Cesare Ferrarini e Stanislao<br />
Ficcarelli, fondò la Società del Quartetto di Parma. Scrisse inoltre il romanzo<br />
storico <strong>La</strong> Fata di Montechiarugolo. Assunse infi ne la presidenza della<br />
Scuola Musicale di Parma.<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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FONTI E BIBL.:<br />
G.B. Janelli, Dizionario biografi co dei Parmigiani, 1880, 64 e 185-187; T. Sarti, Rappresentanti<br />
legislature Regno, 1880, 924; S. Sapuppo Zanghi, <strong>La</strong> XV legislatura italiana, Roma, 1884; T.<br />
Sarti, Il Parlamento Subalpino e Italiano, due volumi, Roma, 1896 e 1898; A. Malatesta, Ministri,<br />
deputati, senatori, 1940, I, 229; Gazzetta di Parma 9 dicembre 1920, 1-2; Aurea Parma 6<br />
1922, 327-328; C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 49; Banda della Guardia Nazionale, 1993,<br />
91.<br />
CHIARI ITALINA<br />
Collecchio 21 maggio 1870-Parma 22 dicembre 1958<br />
Figlia di una maestra e del segretario comunale, fu nominata maestra provvisoria<br />
a Collecchio appena diciannovenne, il 26 settembre 1889. Partecipò<br />
alla prima guerra mondiale come crocerossina. Il battesimo del fuoco fu<br />
terribile e nelle settimane trascorse nel piccolo ospedale a ridosso delle trincee,<br />
sul Carso, la Chiari rivelò le sue doti di umanità, dedizione e fermezza.<br />
Sul campo ricevette promozioni dalla Croce Rossa, assunse incarichi di alta<br />
responsabilità e conobbe Cesare Battisti e Fabio Filzi. Dopo Vittorio Veneto,<br />
tornò a Collecchio e riprese l’insegnamento. In seguito, due guerre la videro<br />
ancora in prima linea: quella d’Africa e il secondo confl itto mondiale. Fu la<br />
donna più decorata d’Italia: fu infatti insignita delle mostrine di quindici campagne<br />
militari, una medaglia d’oro, due d’argento, due croci di guerra e varie<br />
di bronzo. Ebbe anche l’onore di conversare alcuni minuti con il re Vittorio<br />
Emanuele di Savoja.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Gazzetta di Parma 23 dicembre 1958, 4; U. Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di<br />
Parma 25 gennaio 1960, 3.<br />
COCCHI FRANCESCO<br />
Copermio 1 febbraio 1769-Parma 6 novembre 1838<br />
Figlio di Antonio e di Cristina Amadasi. Iniziati gli studi a Colorno, li proseguì<br />
a Parma avendo come insegnante Luigi Bolla. <strong>La</strong>ureatosi in giurisprudenza<br />
a ventidue anni, fu chiamato ben presto a insegnare fi losofi a nel Collegio <strong>La</strong>latta<br />
di Parma. Nel 1796 fu sostituto del Bolla come avvocato fi scale e lettore<br />
di diritto romano nell’Università di Parma. Nel 1797 ebbe l’incarico di lettore<br />
dei primi sedici libri delle Pandette all’Università di Parma. Nel 1805 sposò la<br />
parmigiana Anna Ortalli, dalla quale ebbe dodici fi gli. Rifi utata un’importante<br />
carica propostagli dal ministro Ventura (1801), preferì offrire gratuitamente<br />
la propria profonda esperienza alle opere benefi che e all’amministrazione<br />
pubblica. Grandi infatti furono i benefi ci da lui arrecati al Comune, al patrimonio<br />
dello Stato, all’Ordine costantiniano e alla Casa ducale. Sotto il<br />
governo francese gli vennero conferite nel 1813 le cattedre di legislazione<br />
criminale e di processura civile e criminale nell’Accademia di Parma. Nel<br />
1814 venne confermato dal ministro Magawly professore di procedura civile.<br />
Contemporaneamente alla carriera universitaria intraprese quella forense,<br />
patrocinando prevalentemente cause civili. Mantenne tra l’altro per moltissimi<br />
anni le funzioni di capo del Collegio degli avvocati. I suoi suggerimenti<br />
persuasero la duchessa Maria Luigia d’Austria a far sì che il Collegio degli<br />
avvocati riacquistasse l’antico prestigio. L’11 dicembre 1820 fu nominato<br />
cavaliere dell’Ordine costantiniano di cui, nel 1835, fu nominato commenda-<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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tore. Ricoprì inoltre importanti cariche amministrative e giudiziarie. Nel 1820<br />
fu nominato Consigliere di Stato ordinario, quindi Presidente del Tribunale<br />
supremo di revisione, per arrivare poi nel 1831 alla Presidenza dell’Interno.<br />
Come Presidente dell’Interno, fu ascritto al Consiglio intimo delle Conferenze<br />
straordinarie. Nel 1830 venne pure nominato Priore della facoltà legale,<br />
nell’esercizio della quale incombenza diede l’assenso a che cinque compagnie<br />
delle truppe austriache occupassero alcuni locali vuoti dell’Università<br />
di Parma nel corso dei moti del 1831. Il Cocchi viene considerato e defi nito<br />
come magna pars tra i compilatori del codice di procedura. Durante il corso<br />
delle lezioni tenute all’Università di Parma dopo l’entrata in vigore del<br />
codice di procedura civile, redasse gli appunti per le Lezioni di processura<br />
civile. Ulteriore testimonianza della sua attività didattica è pervenuta colle<br />
Osservazioni sulla processura civile (cfr. Biblioteca Comunale di Piacenza,<br />
ms. Comunale 54, Lezioni di diritto, p. IV), relative alle disposizioni preliminari<br />
del codice di procedura e alla procedura ordinaria. Il Cocchi lasciò<br />
testimonianza della sua intensa attività forense mediante la pubblicazione<br />
di numerose arringhe: Discorso recitato nel giorno 21 maggio 1807 a sostegno<br />
delle ragioni del signor Francesco Guglielmo Levacher nella sua causa<br />
pendente nanti il tribunale di prima istanza sedente in Parma (Parma, 1807),<br />
Osservazioni sopra il discorso pronunciato al tribunale di prima istanza di<br />
Parma nel giorno 21 maggio 1807 a difesa del pupillo Levacher (Parma,<br />
1807), Discorso tenuto il giorno 31 marzo 1808 in difesa dei signori Carpintero,<br />
Adorni e Bianchi nella loro causa pendente nanti il Tribunale di prima<br />
istanza sedente in Parma (Parma, 1808), Osservazioni sopra l’allegazione<br />
di fatto e di diritto stampata a difesa de’ signori interessati nel Canaletto<br />
di Sala (Parma, 1808), Ragioni del signor consigliere Francesco Schizzati<br />
nella causa pendente tra lui e il signor marchese Ercole Calcagnini innanzi<br />
al Tribunale Civile e Criminale di prima istanza della città di Ferrara (Parma,<br />
1818, scritta in collaborazione coll’avvocato Giuseppe Bertani), Ragioni di<br />
fatto e di diritto per le sorelle marchese Boscoli nella causa contro il Conservatorio<br />
delle Oblate in Parma e lo Spedale di Colorno (Parma, 1823). Sono<br />
assai numerose le sue allegazioni, a stampa o manoscritte, giacenti nelle<br />
varie biblioteche, spesso catalogate in modo sommario. Preparò i principi<br />
per l’istituzione dell’insegnamento teorico-pratico delle scienze agrarie,<br />
economia e statistica. Vagheggiò l’idea di restaurare e coordinare in un solo<br />
codice le disgregate leggi e gli ordini di pubblica amministrazione.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Istituto Storico dell’Università di Parma, Note statistiche del personale universitario 1818, tomo<br />
492, 25; G.B. Niccolosi, Intorno alla vita del commendatore Francesco Cocchi, Parma, 1845;<br />
G. Mariotti, L’Università di Parma e i moti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi<br />
1933, 91; F. Rizzi, Professori, 107; G.B. Janelli, Dizionario biografi co dei Parmigiani, 1877,<br />
117-118; E. Michel, in Dizionario Risorgimento, 2, 1932, 713; F. Ercole, Uomini Politici, 1941,<br />
363; Palazzi e casate di Parma, 1971, 151; Studi Parmensi, XXXI, 1982, 219-222; G. Marchi,<br />
Figure del Ducato, 1991, 76.<br />
CONFORTI GUIDO MARIA<br />
Casalora di Ravadese 30 marzo 1865-Parma 5 novembre 1931<br />
Nato, ottavo di dieci fi gli, da Rinaldo e Antonia Adorni, di ottimi sentimenti<br />
cristiani e di condizioni economiche abbastanza agiate, il Conforti fu un ragazzo<br />
vispo e allegro, anche se di costituzione fi sica non buona. Data la viva<br />
intelligenza, il padre sperò di farne il futuro conduttore dell’azienda agricola<br />
e per questo, nel 1872, lo inviò a Parma, ospite delle sorelle Maini, perché<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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frequentasse gli insegnamenti dei Fratelli delle Scuole Cristiane (1872-<br />
1876). A otto anni il Conforti ricevette la cresima e a dieci fece la prima comunione.<br />
Manifestata l’intenzione di entrare in seminario, trovò una certa<br />
opposizione nel padre, che vide frustrati i suoi progetti, ma la diffi coltà fu<br />
superata e nel novembre 1876 egli poté entrare in seminario. Il Conforti si<br />
mise in luce sia nella pietà sia nello studio, cattivandosi la simpatia dei superiori<br />
e dei compagni. A diciassette anni cominciò a essere soggetto ad<br />
attacchi di epilessia e di sonnambulismo, fenomeno che si protrasse per<br />
sette anni. Questa menomazione fi sica costituì un grave intralcio per la permanenza<br />
in seminario e per l’ordinazione sacerdotale: il rettore Andrea Ferrari<br />
ebbe però fi ducia nel Conforti e gli fece continuare gli studi, ma il vescovo<br />
non volle ordinarlo insieme ai suoi compagni di classe. Avendo fi nito gli<br />
studi, il Conforti fu nominato vicerettore e insegnante in prima ginnasio<br />
(1887-1894). Improvvisamente le crisi epilettiche cessarono e così il vescovo<br />
Miotti, il 22 settembre 1888, lo ordinò sacerdote. Rimase ancora come<br />
vicerettore e professore in seminario tra la generale stima dei seminaristi e<br />
dei superiori, ma nel frattempo esercitò il ministero nelle parrocchie di Parma,<br />
sia nel confessionale sia nella predicazione. Rifi utò di succedere al Ferrari<br />
(vescovo a Guastalla e Como e arcivescovo e cardinale a Milano) quale<br />
rettore del seminario maggiore di Parma (1891). Fu poi prorettore del seminario<br />
e canonico del Duomo (1892), membro consigliere della locale Accademia<br />
fi losofi ca di San Tommaso d’Aquino (1892), direttore diocesano della<br />
Pia Opera della Propagazione della Fede (1893), delegato ad instar vicarii<br />
generalis di monsignor Magani a Parma (8 gennaio 1895), provicario generale<br />
(23 febbraio 1895) e Cameriere d’onore di papa Leone XIII (16 dicembre<br />
1896). Conseguita la laurea in teologia (4 marzo 1896) e nominato vicario<br />
generale della Diocesi di Parma (7 marzo 1896), fu aggregato al Collegio<br />
teologico di Parma (23 marzo 1896) di cui fu dichiarato dottore (27 marzo<br />
1896). Presidente del tribunale ecclesiastico speciale per la stampa (15 settembre<br />
1896), ottenne da Roma il rescritto di sanazione per le manomorte<br />
di famiglia (29 novembre 1897). Fu inoltre arcidiacono della Cattedrale (28<br />
gennaio 1898), socio corrispondente della Società cattolica italiana per gli<br />
studi scientifi ci di Pisa, con diploma a fi rma di G. Toniolo (31 luglio 1900),<br />
protonotario apostolico (12 dicembre 1900) e priore dell’Almo Collegio Teologico<br />
di Parma (1902). Il Conforti va però soprattutto ricordato per aver<br />
realizzato un progetto per allora arditissimo: fondare un istituto con lo scopo<br />
di formare giovani missionari per evangelizzare le terre degli infedeli. Il disegno<br />
non incontrò il favore del vescovo Miotti, ma il Conforti non si perse di<br />
animo e interpellò nel 1894 il cardinale prefetto di Propaganda Fide. <strong>La</strong> risposta<br />
incoraggiante lo spinse a rompere gli ultimi indugi e così il 1° novembre<br />
1895 egli poté aprire in Parma (Borgo del Leon d’Oro) una casa con<br />
quattordici alunni per la formazione di missionari. Con l’eredità paterna e<br />
con offerte riuscì a comprare il terreno: nacque così una nuova Congregazione<br />
religiosa, denominata, dall’apostolo delle Indie Francesco Saverio,<br />
Pia Società Saveriana. Un primo regolamento venne approvato dal vescovo<br />
diocesano nel 1898. Successivamente le costituzioni ricevettero dal Conforti<br />
una formulazione defi nitiva nella quale egli si avvalse anche dell’esperienza<br />
personale. Tentò una lotteria nazionale (1898-1900), fondò l’Opera di<br />
cooperazione detta Apostolato di fede e civiltà (29 giugno-2 luglio 1899), che<br />
durò sino al primo dopoguerra e servì a dare la testata del bollettino mensile<br />
omonimo, che è la rivista dei Saveriani di Parma. Presiedette il processo<br />
apostolico per la causa di beatifi cazione del venerabile Antonio Criminali,<br />
protomartire dei Gesuiti nell’India del secolo XVI (1901). Le costituzioni saveriane<br />
vennero approvate in via provvisoria da Roma nel 1906 e, defi nitiva-<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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mente, il 20 novembre 1920. L’aumentato numero degli allievi rese ben presto<br />
necessaria una nuova sede, trovata, non senza diffi coltà, nella zona di<br />
Piazza d’Armi. Nel 1899 partirono i due primi missionari per la Cina ove, in<br />
seguito, la Congregazione sviluppò maggiormente la sua attività. <strong>La</strong> dotò di<br />
quattro case fi liali a Vicenza, a Jesi, a Vallo di Lucania e nel Cremonese e di<br />
due circoscrizioni missionarie nel Honan (Cina). Favorì gli aspetti sociali<br />
della formazione culturale dei Saveriani, fondando un museo etnologico,<br />
avviandoli a corsi di medicina e consentendo che realizzassero fi lm. Riuscì<br />
a porre la prefettura apostolica dell’Honan occidentale sotto il protettorato<br />
italiano, sottraendola a quello francese (1906). Il 22 maggio 1902 il Conforti<br />
fu eletto da papa Leone XIII arcivescovo di Ravenna, ove fece ingresso nel<br />
gennaio del 1903. Nel frattempo emise i voti religiosi. Nell’ambiente ravennate,<br />
ove la propaganda anticlericale era molto viva, trovò notevoli ostacoli.<br />
Una grave forma di insonnia, inoltre, lo costrinse dopo appena un anno di<br />
esemplare ministero a rinunziare alla diocesi (ne restò amministratore apostolico<br />
dal 12 novembre 1904 al 15 giugno 1905). Traslato alla Chiesa Titolare<br />
Arcivescovile di Stauropoli, ritornò nel suo Istituto e ben presto la salute<br />
rifi orì. Il 24 settembre 1907 fu nominato vescovo coadiutore di Parma con<br />
diritto di successione e il 12 dicembre, morto il vescovo Magani, prese la<br />
direzione della diocesi. Pur continuando a vigilare premurosamente sullo<br />
sviluppo della Congregazione da lui fondata, svolse con zelo incredibile il<br />
ministero episcopale. In venticinque anni di episcopato compì cinque volte<br />
la visita pastorale nelle trecento e più parrocchie della Diocesi. In tali occasioni<br />
predicò e confessò senza sosta alcuna. Tenne due congressi eucaristici<br />
(1912 e 1924), un congresso mariano (1925), due sinodi diocesani (1914<br />
e 1930). Esercitò un’opera intensa di carità durante il primo confl itto mondiale,<br />
ottenendone un pubblico riconoscimento: fu nominato dal re Vittorio<br />
Emanuele di Savoja grande uffi ciale dell’Ordine dei Santi Maurizio e <strong>La</strong>zzaro.<br />
Nel 1928 compì un viaggio in Cina (vicariato apostolico di Cheng-Chow)<br />
per visitare le missioni saveriane in notevole sviluppo. Poté visitare le sue<br />
Missioni della Cina dal 29 settembre al 28 dicembre 1928: dalle fatiche di<br />
questo lungo viaggio tornò a Parma fortemente scosso. Il 1° aprile 1929<br />
pose la prima pietra del Seminario nuovo di Viale Solferino. I lavori, iniziati<br />
nel giugno del 1929, ebbero un brusco arresto nel 1930, a causa anche del<br />
fallimento di alcuni Istituti bancari cittadini. In Italia diede grande impulso al<br />
risveglio di una coscienza missionaria suscitando nei seminari e nel clero<br />
una maggiore conoscenza del problema. Per questo diede grande sviluppo<br />
all’Unione Missionaria del Clero, della quale fu presidente per vari anni. A<br />
seguito di un incontro col padre Paolo Manna del PIME (1916), diede vita<br />
all’Unione missionaria del clero, rappresentandone gli estremi al Papa per<br />
l’approvazione (25 febbraio-27 aprile 1916), istituendola subito nella sua<br />
Diocesi (10 aprile 1917), dove diede convegno a delegazioni qualifi cate (12<br />
giugno 1918), e diventandone primo presidente nazionale (31 agosto 1918).<br />
Fondò periodici diocesani, ricostituì associazioni del clero diocesano, formò<br />
una scuola magistrale di catechismo (1914), rinnovò o costruì ex novo varie<br />
chiese e favorì in tutti i modi l’Azione Cattolica cui dedicò uno dei suoi ultimi<br />
documenti pastorali (3-8 gugno 1931). Una delle sue più vive preoccupazioni<br />
come vescovo fu l’insegnamento catechistico, giacché ritenne che la decadenza<br />
religiosa, manifestatasi anche nel Parmense, fosse da attribuirsi<br />
all’ignoranza delle verità di fede. Per la riconquista della società alla religione<br />
sostenne e incrementò l’apostolato dei laici, pur sempre sotto il controllo<br />
della gerarchia. Assai attento all’evoluzione della società italiana, incoraggiò<br />
le attività sociali dei cattolici e, pur mantenendo sempre ben ferma la distinzione<br />
tra Chiesa e politica, favorì l’impegno politico dei cattolici e guardò con<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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favore alla nascita del Partito Popolare Italiano. Nei confronti del fascismo il<br />
suo atteggiamento fu dettato da preoccupazione per il bene spirituale della<br />
Diocesi. Se da una parte incoraggiò i fedeli a compiere i loro doveri civici,<br />
dall’altra non esitò a denunziare pubblicamente le violenze inqualifi cabili ai<br />
danni del clero, tra il 1922 e il 1924. Durante lo sciopero generale antifascista<br />
dell’agosto del 1922 svolse opera di mediazione e di pace, dando un<br />
contributo rilevante alla pacifi cazione degli animi. <strong>La</strong> snervante e ininterrotta<br />
operosità ebbe ragione del suo fi sico a sessantasei anni: morì in seguito a<br />
emorragia cerebrale. <strong>La</strong> salma, tumulata nel Duomo di Parma, nella cappella<br />
di Sant’Agata, il 9 novembre 1931, fu oggetto di ricognizione il 3 maggio<br />
1942. Traslata nella cappella della casa-madre dei Saveriani in Parma, ebbe<br />
un’altra sistemazione in loco il 27 agosto 1959. Il 10 marzo 1941 monsignor<br />
Evasio Colli, suo immediato successore, costituì il Tribunale per il Processo<br />
informativo sulle virtù del Conforti. Il 29 maggio 1959 fu introdotta la causa<br />
di beatifi cazione presso la Sacra Congregazione dei Riti. Il processo di beatifi<br />
cazione fi nì con la dichiarazione dell’eroicità delle virtù l’11 febbraio 1982.<br />
Il Conforti fu poi effettivamente dichiarato beato il 17 marzo 1996.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Civiltà cattolica 82 1931, 474 s.; F. Binaghi, in Osservatore Romano 5 novembre 1941; G. Bonardi,<br />
in Osservatore Romano 8 novembre 1941; Enciclopedia Ecclesiastica, II, 1944, 281; V.C.<br />
Vanzini, Padre di missionari, Parma, 1941; Dizionario Ecclesiastico, I, 1953, 702; Allocuzioni<br />
di Sua Eminenza monsignor Guido Maria Conforti, Tientsin, 1934; G. Bonardi, in Enciclopedia<br />
Cattolica, IV, 1950, 256-257; B. Molossi, Dizionario biografi co, 1957, 52; I. Dall’Aglio, Seminari<br />
di Parma, 1958, 172-174; G.D. Gordini, in Biblioteca Sanctorum, IV, 144; L. Grazzi, in Dizionario<br />
Istituti di Perfezione, II, 1975, 1439-1442; Lecchini, Suor Maria Eletta, 1984, 7-8; Gazzetta di<br />
Parma 12 gennaio 1984, 9; E. Ferro, in Dizionario Storico del Movimento cattolico, III/1, 1984,<br />
249-250; A. Marocchi, Il vescovo Colli e i duri anni di guerra, in Gazzetta di Parma 10 luglio<br />
1979, 3; A. Marocchi, Monsignor Evasio Colli, 1987, 69-70; Grandi di Parma, 1991, 42; Cinquant’anni<br />
di vita: 1895-1945, Parma, 1945; V.C. Vanzin, Il padre dei Saveriani, Parma, 1956;<br />
G. Barsotti, Più vivo dei vivi. Aspetti e momenti della vita di monsignor Conforti, Roma, 1970;<br />
W. Birello, Il sacerdozio negli insegnamenti e nella vita di Guido Maria Conforti, Parma, 1962.<br />
I tre volumi del Processo Informativo (1945), Suppletivo (1952) e Apostolico (1960) risultano<br />
dai Sommari e dalle Animadversiones presso la Sacra Congregazione per le Cause dei Santi;<br />
l’opuscolo Itinerario alla gloria (curato da D. Barsotti, 1956) e i Dati anagrafi ci del servo di Dio<br />
Guido Maria Conforti (curato da F. Teodori in Anagrafe Saveriana, Parma, 1961) ne precisano<br />
gli estremi. Tra gli inediti: una biografi a del Conforti, che S. Volta scrisse nel 1941 (dattiloscritto);<br />
L. Grazzi, Bio-bibliografi a dei Saveriani: 1895-1945, vol. I-II, 1946; L. Grazzi, Conversazioni<br />
Saveriane, 1947; i 29 volumi dell’epistolario e scritti vari del Conforti; Il Fondatore e le<br />
Costituzioni. Raccolta di documenti a uso dei pp. Capitolari, a cura di F. Teodori, 2 vol., 1966<br />
(ciclostilato); dell’Epistolario del Conforti, costituito di 14 voll. dattiloscritti conservati nell’Archivio<br />
Saveriano presso la Direzione generale dell’Istituto a Roma, erano stati pubblicati al 1984<br />
5 voll.: Lettere a L. Calza; Lettere ai Saveriani 1 e 2; Lettere e discorsi sull’U.M.C.; Lettere e<br />
documenti sulle Piccole Figlie. Nel medesimo archivio giacciono 9 voll. dattiloscritti di Omelie,<br />
Discorsi, Ritiri e Panegirici, 1 vol. dattiloscritto di Diari e 1 vol. dattiloscritto di Testimonianze sul<br />
Servo di Dio Guido Maria Conforti 1931-46. Alcune lettere del Conforti a G. Micheli sono state<br />
pubblicate in Dall’intransigenza al governo. Carteggi G. Micheli 1891-1926, Brescia, 1978. Una<br />
buona fonte è costituita dalle annate 1909-1931 del periodico della Curia di Parma, L’eco. Le<br />
Edizioni ISME hanno pubblicato alcuni volumi e opuscoli contenenti il pensiero del Conforti:<br />
Ricordi e Propositi, 1933, <strong>La</strong> Parola del Padre, 1937, <strong>La</strong> Parola del Fondatore, 1966. Confronta<br />
inoltre: G. Bonardi, Guido Maria Conforti, Parma, 1936; R. Cioni, Un grande vescovo italiano<br />
Guido Maria Conforti, Parma, 1944; V.C. Vanzin, Un pastore due greggi, Parma, 1950; G.<br />
Barsotti, Il Servo di Dio Guido Maria Conforti, Parma, 1953; L. Ballarin, L’anima missionaria di<br />
Guido Maria Conforti, Parma, 1962; F. Botti, Monsignor Guido Maria Conforti, Parma, 1965; A.<br />
Dagnino, Dottrina spirituale di monsignor Guido Maria Conforti, Milano, 1966; C. Pelosi, Note<br />
e appunti sul Movimento Cattolico a Parma, Parma, 1967; P. Bonardi, Settant’anni fa, Parma,<br />
1970; S. Baroncini, Monsignor Guido Maria Conforti nel 1° periodo dell’episcopato a Parma<br />
1907-1915, Tesi di <strong>La</strong>urea - Università di Roma, 1979; A. Luca, Sono tutti miei fi gli, Bologna,<br />
1980; Guido Maria Conforti un grande vescovo italiano, Emi, Bologna, 1982; R. Longoni, in<br />
Gazzetta di Parma 16 marzo 1996, 8; P. Bonardi-E. Dall’Olio, A Parma e nel mondo, 1996, 13-<br />
30 (con ampia bibliografi a).<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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COSTAMEZZANA MARCELLO<br />
Parma 16 ottobre 1812-Parma 17 ottobre 1874<br />
<strong>La</strong>ureato in legge, divenne vice podestà di Parma nel 1845 e accompagnò il<br />
podestà Cantelli nel viaggio a Vienna del 1847. In qualità di sindaco governò<br />
il Municipio dal 20 marzo 1848 al 17 marzo 1849, cioè durante la rivoluzione,<br />
la prima unione al Regno Sardo (proclamata il 25 maggio) e la prima occupazione<br />
austriaca (avvenuta il 26 agosto 1848). Il 14 marzo 1849, essendo<br />
partiti gli Austriaci, il Municipio assunse il Governo della città e il 17 marzo il<br />
popolo volle che egli lasciasse l’uffi cio di sindaco, a cui fu nominato Antonio<br />
Bertani. Il Costamezzana fu dunque il primo sindaco di Parma in regime<br />
sabaudo. Partecipò ai rivolgimenti liberali del 1848 e 1859. Fu tra i cittadini<br />
notabili aggregati al Consiglio degli Anziani l’8 giugno 1959. Fu assessore<br />
e deputato provinciale. Fu deputato per il collegio di Borgo Taro all’Assemblea<br />
del Risorgimento del popolo di Parma e Piacenza il 7 novembre 1859.<br />
Fu deputato di Parma sud nella VII legislatura (1860), di Parma nord nella<br />
VIII (1864, sostituendo Cantelli), IX e X legislatura. Fu ancora sindaco di<br />
Parma dal 1860 al 1864, anni in cui si cominciò a progettare l’aggregazione<br />
dei comuni contermini, poi ripresa dal senatore Mariotti. Fu per molti anni<br />
consigliere comunale (dal 1859) e presidente del Consiglio Provinciale di<br />
Parma (1865-1874) e il 6 novembre 1873 fu nominato senatore del Regno.<br />
Alla Camera appartenne sempre allo schieramento di destra.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
T. Sarti, Rappresentanti legislature Regno, 1880, 292-293; T. Sarti, Il Parlamento Subalpino<br />
e Italiano, 2 volumi, Roma, 1896, 1898; Malatesta, Ministri, deputati, senatori, 1940, I, 293;<br />
Gazzetta di Parma 9 dicembre 1920, 1-2; Gazzetta di Parma 27 dicembre 1920, 1-2; Gazzetta<br />
di Parma 18 febbraio 1921, 1; Senatori parmigiani, in Gazzetta di Parma 16 ottobre 1924, 3;<br />
Assemblee del Risorgimento, Roma, 1911; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 396; Gazzetta di<br />
Parma 12 gennaio 1962, 4.<br />
FERRARI GIACOMO<br />
<strong>La</strong>nghirano 5 novembre 1887-Bosco di Corniglio 22 agosto 1974<br />
Nacque da Ottavio e da Adele Venturini in una agiata famiglia borghese, tra<br />
le più note nella zona. Il padre fu a capo del mazzinianesimo intransigente<br />
nel Parmense, garibaldino a Mentana e nel 1874 tra gli arrestati di villa Ruffi .<br />
Anche gli zii paterni Giacomo e Italo avevano militato nelle fi le repubblicane<br />
e garibaldine. Il Ferrari fu dunque educato in un ambiente familiare intriso di<br />
valori patriottici e aperto alle correnti culturali e politiche progressiste. Ben<br />
presto maturò un interesse nei confronti del socialismo scientifi co e nel 1902,<br />
a soli quindici anni, aderì al partito socialista. Dopo aver compiuto a Parma<br />
gli studi liceali e il biennio di matematica, si trasferì a Torino per frequentare<br />
il politecnico. Nel dicembre del 1912 conseguì la laurea in ingegneria industriale<br />
e partì subito alla volta della Puglia per intraprendere il suo primo<br />
lavoro presso i cantieri dell’acquedotto. Prese parte alla prima guerra mondiale<br />
come tenente d’artiglieria, trascorrendo un anno in trincea, e nel 1919<br />
venne trasferito a Bologna, dove si trovò ad assistere all’eccidio di palazzo<br />
d’Accursio. Congedato nel 1920, il Ferrari fece ritorno a Parma, trovando<br />
lavoro presso il Consorzio delle cooperative, che aveva sede in Borgo delle<br />
Grazie presso la Camera del <strong>La</strong>voro sindacalista. Qui ebbe modo di conoscere<br />
alcuni esponenti del sindacalismo rivoluzionario, come M. Bianchi ed<br />
E. Rossoni, ma questi contatti non incrinarono la sua adesione alla corrente<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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riformista del Partito Socialista Italiano, in rappresentanza del quale il Ferrari<br />
nel 1920 venne eletto al Consiglio provinciale. Nell’agosto del 1922 prese<br />
parte alla difesa dell’Oltretorrente contro le squadre fasciste di Italo Balbo<br />
e fu per questo defi nito dai suoi avversari l’ingegnere delle barricate. Dopo<br />
l’avvento del fascismo e anche dopo le leggi eccezionali il Ferrari proseguì,<br />
nei modi imposti dalle circostanze, l’attività politica. Nel 1931 la polizia scoprì<br />
i suoi contatti con alcuni esponenti del gruppo di Giustizia e Libertà e lo<br />
sottopose a una stretta vigilanza. Il 13 dicembre, per sottrarsi all’arresto, il<br />
Ferrari espatriò in Francia con la famiglia e andò a stabilirsi a Tolosa, dove<br />
c’era un attivo e numeroso gruppo di esuli socialisti. Egli mantenne altresì<br />
un costante collegamento con gli ambienti del fuoruscitismo italiano a Parigi<br />
e nel 1935 rientrò per un breve periodo a <strong>La</strong>nghirano per ristabilire i rapporti<br />
con gli oppositori del fascismo rimasti in Italia. Fece quindi ritorno in Francia,<br />
per rimpatriare defi nitivamente alla fi ne del 1936. Per quanto la sua condotta<br />
non desse luogo ad alcun rilievo da parte delle autorità di polizia, il Ferrari<br />
svolse, tra il 1938 e il 1942, un paziente lavoro per riallacciare i contatti con<br />
gli antifascisti locali di diverse correnti politiche, ma soprattutto stabilì stretti<br />
rapporti con un folto gruppo di comunisti, tra i quali D. Gorreri, L. Porcari, G.<br />
Isola, U. Ilariuzzi e V. Barbieri. Si occupò anche del Soccorso rosso, raccogliendo<br />
fondi per aiutare le famiglie dei condannati al carcere o al confi no.<br />
Nel 1942 aderì al Partito comunista, che gli era sembrato profondere il maggiore<br />
impegno nella lotta antifascista. Dal 1939 era iscritto a questo partito<br />
anche il fi glio venticinquenne del Ferrari, Brunetto, medico, che con il padre<br />
condivise l’attività cospirativa e poi la partecipazione alla guerra partigiana.<br />
Sempre nel 1942 il Ferrari venne richiamato alle armi e inviato a Milano, in<br />
servizio presso lo stabilimento Innocenti, adibito alla produzione di proiettili.<br />
Dopo il 25 luglio 1943 collaborò con i militanti comunisti milanesi nel tessere<br />
le fi la dell’organizzazione clandestina locale. Rientrato a Parma, nella notte<br />
dell’8 settembre, mentre le truppe tedesche si apprestavano a entrare in<br />
città, prese parte alla riunione di villa Braga, nella quale furono gettate le<br />
basi per organizzare la resistenza. Sotto le mentite spoglie di ricercatore<br />
di possibili giacimenti minerari da sfruttare, gli venne affi dato il compito di<br />
perlustrare le zone di montagna per disegnare la mappa delle basi operative<br />
della futura guerriglia. Il 15 ottobre il Ferrari partecipò presso lo studio di<br />
G. Micheli alla costituzione del Comitato di liberazione nazionale di Parma,<br />
mentre il fi glio Brunetto radunava i primi partigiani nella zona di Bosco di<br />
Corniglio. In seno al Comitato di liberazione nazionale il Ferrari e il Porcari,<br />
che rappresentavano il Partito comunista, sostennero l’opportunità di<br />
sferrare un attacco immediato ai nazifascisti, incontrando l’opposizione dei<br />
socialisti, azionisti, repubblicani e democristiani, che ritenevano prematuro il<br />
ricorso alle armi. L’oggettiva necessità di rispondere alle iniziative del nemico<br />
contribuì a far superare i contrasti e il Ferrari fu chiamato ad assumere un<br />
ruolo importante, come membro del triumvirato militare, nell’impostazione<br />
della lotta armata. Il 17 ottobre 1944, nel corso di un attacco tedesco alla<br />
sede del comando unico partigiano del Parmense, caddero uccisi il comandante<br />
Giacomo di Crollalanza e altri cinque capi partigiani. Si dovette pertanto<br />
procedere alla ricostituzione del comando e nel nuovo assetto, defi nito<br />
il 24 ottobre, il Ferrari venne nominato comandante unico per la zona dell’Ovest-Cisa.<br />
Neanche un mese dopo il Ferrari, che aveva assunto il nome<br />
di battaglia di Arta, venne provato nei suoi affetti più cari: il 20 novembre il<br />
fi glio Brunetto, vice commissario politico della XLVII Brigata Garibaldi, fu<br />
ucciso in combattimento a Ponte di Lugagnano. Per il ruolo avuto nella lotta<br />
partigiana il Ferrari fu nominato dopo la Liberazione prefetto di Parma e<br />
ricoprì tale carica fi no all’aprile 1946. Il 2 giugno di quell’anno venne eletto<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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deputato all’Assemblea costituente con 21565 voti di preferenza. Il 13 luglio<br />
fu chiamato a far parte del secondo governo De Gasperi come ministro dei<br />
Trasporti e mantenne l’incarico anche nel terzo governo De Gasperi fi no al<br />
31 maggio 1947. Si trovò a fronteggiare il problema della ricostruzione della<br />
rete ferroviaria nazionale gravemente danneggiata dalla guerra, dimostrando<br />
di possedere in questo e in altri settori d’intervento doti non comuni di<br />
competenza tecnica e chiarezza negli indirizzi programmatici. Fu per questo<br />
apprezzato da De Gasperi, che, al momento di costituire il suo quarto governo<br />
senza la partecipazione dei comunisti, avrebbe voluto valersi ancora della<br />
collaborazione del Ferrari come tecnico indipendente. Il 18 aprile 1948 il<br />
Ferrari venne eletto al Senato per il collegio di Parma, riportando 52367 voti,<br />
ma tre anni dopo fu chiamato a ricoprire la massima carica nell’amministrazione<br />
della sua città. Dall’ottobre 1951 al febbraio 1963 fu sindaco di Parma,<br />
dando un contributo notevole alla sua ricostruzione ed espansione. Nel corso<br />
degli undici anni del suo incarico vennero costruite strade per decine di<br />
chilometri, abitazioni ed edifi ci scolastici, il quartiere Bocchi, venne creato il<br />
Museo Glauco Lombardi, ebbero impulso i servizi pubblici e furono ampliate<br />
le aree verdi a uso dei cittadini. Il 28 aprile 1963 il Ferrari tornò a sedere in<br />
Senato risultando eletto, sempre nel collegio di Parma, con 51537 voti. Nelle<br />
successive elezioni del 19 maggio 1968 fu riconfermato con 61048 voti, ma<br />
nel 1970 rinunciò al mandato parlamentare dimettendosi per ragioni di salute.<br />
Tornato nella sua città, dov’era molto popolare e stimato, ricoprì incarichi<br />
nell’associazionismo partigiano, diresse il Consorzio di lavoro e produzione<br />
della provincia di Parma, si impegnò per la costruzione dell’autostrada della<br />
Cisa e fu il primo presidente dell’Istituto di studi verdiani.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Necrologio in Parma famosa, Parma, 1974; Gazzetta di Parma 23 e 25 agosto 1974; L’Unità<br />
23 agosto 1974; Roma, Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 2018, fasc.<br />
96258; F. Cipriani, Guerra partigiana, Parma, 1947, ad Indicem; L. Leris, Dal carcere fascista<br />
alla lotta armata, Parma, 1964, 6, 28 s., 33, 97; R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana,<br />
Torino, 1970, ad Indicem; P. Savani, Antifascismo e guerra di liberazione a Parma, Parma,<br />
1972, 12, 28, 58, 100, 115, 157, 164, 228, 236; L. Porcari, Così si resisteva, Parma, 1974, 8,<br />
161, 164n, 188, 194n, 200n; L’Emilia Romagna nella guerra di liberazione, I, L. Bergonzini, <strong>La</strong><br />
lotta armata, II, P. Amberghi, Partiti politici e CLN, Bari, 1975, ad Indices; D. Gorreri, Parma ’43.<br />
Un popolo in armi per conquistarsi la libertà, Parma, 1975, 70, 136, 191, 203 s., 217 s., 226,<br />
230, 268; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, IV-V, Torino, 1976, ad Indices; Giacomo<br />
Ferrari «Arta», a cura di C. Melli, Parma, 1985; M. Giuffredi, Lettere di Giacomo Ferrari e<br />
dei suoi familiari (1907-1921), in Storia e Documenti I 1989, 169 ss.; I deputati alla Costituente,<br />
Torino, 1946, ad vocem; I deputati e senatori del quinto Parlamento repubblicano, Roma, 1969,<br />
ad vocem; Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, II, ad vocem; Dizionario biografi<br />
co del movimento operaio italiano, a cura di F. Andreucci-T. Detti, II, ad vocem; Il Parlamento<br />
italiano. Storia parlamentare e politica dell’Italia 1861-1988, XIV, ad vocem; G. Sircana, in Dizionario<br />
biografi co degli Italiani, XLVI, 1996, 582-583.<br />
INZANI GIOVANNI<br />
Parma 2 agosto 1827-Sant’Ilario d’Enza 8 marzo 1902<br />
Non si hanno notizie dei suoi studi nelle scuole medie.Quando entrò nelle<br />
aule universitarie, l’astro di Giovanni Rossi, di cui l’Inzani fu studente, era al<br />
tramonto. In quegli anni gli studi anatomici, guidati dallo Scarpa, dal Cotugno<br />
e poi dal Panizza, avevano ancora un’importanza di prim’ordine per le<br />
discipline mediche poiché le altre branche della medicina non avevano ancora<br />
raggiunto lo sviluppo che raggiunsero più tardi.Reggeva la scuola di<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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Anatomia in Parma il Pasquali, a cui successe il Cipelli: vi si insegnava, oltre<br />
l’anatomia, la fi siologia e la medicina legale.L’Inzani ebbe dal Pasquali e dal<br />
Cipelli i primi insegnamenti.Si laureò in Medicina a ventuno anni, in quel<br />
1848 noto per i movimenti insurrezionali che prepararono l’unità d’Italia e<br />
per la guerra tra l’Austria e il Piemonte.L’Inzani, assieme a Lodovico Jung,<br />
Porcelli, Annibale Maschi e Giovanni Rustici, prese parte nel 1849, come<br />
Luogotenente medico, alla battaglia di Novara.In seguito alla sconfi tta, la<br />
legione dei volontari venne sciolta e l’Inzani tornò a Parma ove trovò l’Università<br />
chiusa per ordine ducale.Emigrò prima a Firenze, poi si trasferì a<br />
Parigi presso il chirurgo A. Velpeau e gli istologi A. Nelaton e Robin, da cui<br />
apprese la tecnica del microscopio e le nozioni che formarono poi il substrato<br />
di quegli studi e di quelle ricerche che crearono principalmente la sua<br />
fama nel campo scientifi co.Ritornato a Parma, ottenne (1853) anche la laurea<br />
in chirurgia, che era data separatamente da quella di medicina, e con<br />
tale titolo potè occupare nello stesso anno il posto di assistente presso il<br />
Gherardi, successo al Rossi nella Clinica Chirurgica, e non molto dopo<br />
(1854) ebbe l’incarico delle dissezioni anatomiche.Nel 1855 riapparve a<br />
Parma il colera con tale violenza da seminare nella città la desolazione e la<br />
morte.Il colera infi erì specialmente nell’Oltretorrente, si intensifi cò nei due<br />
mesi di luglio e agosto e si estinse totalmente nel dicembre, dopo aver colpito<br />
1378 individui con 1015 morti, in prevalenza donne.Durante l’epidemia<br />
(e poi ancora in quelle del 1873 e 1884) a capo dei medici parmigiani che<br />
prestarono la loro opera vi fu l’Inzani. Instancabile, fu presente giorno e notte<br />
all’Ospedale e nelle infermerie improvvisate nel Palazzo del giardino e nel<br />
convento di SanCristoforo, per la cura dei contagiati, per le autopsie che<br />
eseguì sistematicamente e per le indagini scientifi che microscopiche. Contrariamente<br />
alle opinioni che si avevano allora del colera, l’Inzani, basandosi<br />
sull’osservazione clinica e sul reperto anatomico fatto sul cadavere, affermò<br />
che il colera non è una infi ammazione e che non si deve combattere ma<br />
favorire il periodo di reazione perché ciò rappresenta la difesa naturale dell’organismo.Ciò<br />
rese di pubblica ragione in una lettera pubblicata sulla Gazzetta<br />
di Parma il 14 agosto 1855 e nell’anno successivo consegnò le sue<br />
osservazioni al professor Caggiati, il quale pubblicò in proposito un opuscolo<br />
dal titolo Lezione sul Colera. In quella circostanza l’Inzani ebbe la medaglia<br />
d’oro per la sua instancabile opera risanatrice e di ricerca.Nel 1858 fu<br />
nominato Chirurgo primario della Seconda Divisione dell’Ospedale di Parma.<br />
Nel frattempo, non avendo la Corte di Vienna accettato le condizioni del<br />
disarmo proposte dal Piemonte, fu nuovamente dichiarata la guerra e le<br />
truppe austriache nel pomeriggio del 29 aprile 1859 varcarono il Ticino.Vittorio<br />
Emanuele di Savoja, con un proclama diretto non solo ai suoi sudditi<br />
ma a tutti gli Italiani, dichiarò di prendere le armi a difesa del suo Stato, ma<br />
anche dell’onore e del nome italiano, confi dando nel valore dei suoi soldati<br />
e nell’alleanza con la Francia. Agli alleati si unì Garibaldi con la brigata dei<br />
Cacciatori delle Alpi. <strong>La</strong> coorte parmigiana che prese parte a quella guerra<br />
fu di oltre 2000 volontari.L’Inzani fu ancora una volta presente e prese parte<br />
attiva non solo durante l’azione ma specialmente dopo la battaglia di San<br />
Martino prodigandosi giorno e notte a medicare e operare feriti nell’Ospedale<br />
di Desenzano, del quale era stato fatto Direttore.Cessata la guerra, ritornò<br />
agli studi prediletti.Venne nominato professore di Anatomia umana (1859) e,<br />
oltre ad adempiere ai suoi obblighi come Chirurgo dell’Ospedale, diede inizio<br />
a quella serie di studi che lo affermarono anche nel campo della scienza<br />
pura.Lo attestano le numerose preparazioni anatomiche che fi gurano nel<br />
Museo dell’Istituto e il magnifi co Atlante d’Anatomia, pubblicato col concorso<br />
dell’artista Corsini. Dove però il nome dell’Inzani si affermò fu negli studi e<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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scoperte di fi ne anatomia microscopica: si ricordano quello pubblicato insieme<br />
al Lemoigne sull’origine e sull’andamento dei fasci nervosi nel cervello e<br />
quello pubblicato negli Annali Universitari di Medicina insieme al Lussana<br />
sulla innervazione dello stomaco, sui nervi del gusto e sull’ulcera gastrica.<br />
Gli studi sulle terminazioni nervose, sulle mucose dei seni frontali e mascellari,<br />
fatte a mezzo del cloruro d’oro, costituirono lavori di tale importanza da<br />
essere citati anche nelle successive e più importanti opere di Anatomia.Nel<br />
1864 l’Inzani cedette la direzione della scuola di Anatomia e Fisiologia al<br />
Cavallina e, ritiratosi nell’Ospedale, vi fondò l’insegnamento dell’Anatomia<br />
Patologica, che tenne fi no al 1897.<strong>La</strong> ricerca scientifi ca, che negli anni precedenti<br />
aveva assorbito tutta la sua attività, venne quasi a cessare: l’Ospedale<br />
lo occupò completamente perché le operazioni, le necroscopie, le lezioni<br />
e in seguito la Direzione dell’Ospedale (1875) gli impedirono di<br />
accudire alle indagini scientifi che.In quel periodo l’Inzani dovette inoltre<br />
provvedere alla formazione di un museo di Anatomia Patologica: museo che<br />
è ricco di esemplari rari, raccolti e descritti con tale cura da poter servire,<br />
oltre che per l’insegnamento, alle indagini degli studiosi.Con la dichiarazione<br />
della guerra del 1866 si costituì in Parma un Comitato sanitario in base<br />
alla Convenzione di Ginevra, alla quale avevano aderito Italia, Francia, Inghilterra,<br />
Belgio, Prussia e Spagna.Fu presieduto da Salvatore Riva e si<br />
resse colle oblazioni in denaro e in oggetti dati dai cittadini e dai comuni<br />
della Provincia. Questo Comitato intensifi cò la sua propaganda con istruzioni<br />
e opuscoli, tra i quali i Souvenirs de Solferino di Henry Dumont e la Charité<br />
sur les camps de bataille, edito da un giornale belga, che dimostravano<br />
la sensibile diminuzione della mortalità in battaglia dopo l’organizzazione<br />
della Sanità.Il Comitato organizzò una squadra sanitaria permanente e attrezzata,<br />
a capo della quale furono l’Inzani e Giovanni Bezzi (capitani), gli<br />
uffi ciali medici Giuseppe Bissoni, Ugo Ughi e Adrasto Malvisi, nonché gli<br />
infermieri, il farmacista Antonio Gibertini e Giovanni Vergani, amministratore.<strong>La</strong><br />
squadra si mise in marcia il 2 luglio ma non potè prendere parte all’azione<br />
per la cessazione delle ostilità.Rientrò in Parma il 16 agosto successivo.<br />
In seguito l’Inzani pubblicò qualche osservazione di carattere clinico<br />
sulla chelotomia per ernie strozzate, sugli ascessi da congestione della colonna,<br />
sull’uretra a colonne e sui tumori fi brosi dell’utero.Si occupò anche, in<br />
qualità di direttore, dell’ammodernamento dell’Ospedale. Difatti l’introduzione<br />
della medicazione antisettica, già portata in clinica dal Bassini nel 1879,<br />
la sterilizzazione degli strumenti e del materiale, l’isolamento degli ammalati<br />
contagiosi, compresi i tubercolosi, l’assegnazione di sanitari a speciali<br />
mansioni e l’apertura di un ambulatorio per il pubblico, furono oggetto di riforme<br />
da lui compiute.Nel 1890 fu candidato dei moderati ma non venne<br />
eletto. Negli ultimi anni rifi utò una cattedra all’Università di Pavia e la Clinica<br />
Chirurgica a Bologna (dopo la morte del Rizzoli), per quanto vive fossero le<br />
insistenze dei suoi amici Calori, Magni e Piazza.Diventò due volte Preside<br />
della Facoltà di Medicina dell’Università di Parma.I colleghi delle altre università<br />
lo elessero nel 1881membro del Consiglio Superiore della Pubblica<br />
Istruzione.Ricevette diverse onorifi cenze, tra cui quella di Cavaliere della<br />
Corona d’Italia.Le sue pubblicazioni più importanti sono: Compendio di anatomia<br />
descrittiva (Parma, 1864), Ricerche sulle terminazioni nervose (Parma,<br />
1869), Intorno alla scoperta del fascio uncinato (in Archivio italiano per<br />
le Malattie nervose I 1893).<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Enciclopedia Italiana, XIX, 1933, 432; Aurea Parma 6 1940, 188-195; B.Molossi, Dizionario<br />
biografi co, 1957, 83; U.A.Pini, Medici nel Risorgimento, 1960, 6; Grandi di Parma, 1991, 63.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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LAURENT LODOVICO<br />
Parma 1800/1831<br />
Fratello di Antonio. Fu giudice del Tribunale di commercio (1811-1812) e<br />
membro della Commissione per discutere i cambiamenti fatti al Progetto<br />
del Codice Civile, compilato dalla Commissione legislativa di Parma (1817).<br />
Durante i moti del 1831 fu membro del consesso civico e in relazione con la<br />
famiglia Melloni. Al ristabilirsi del Governo di Maria Luigia d’Austria fu nominato<br />
rappresentante della ferma mista in luogo del conte di Castagnola.Fu<br />
sottoposto ai precetti di visita e sorveglianza.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Tavola alfabetica de’ cognomi e de’ nomi de’ magistrati, 410; O. Masnovo, Patrioti del 1831, in<br />
Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 177; L.Farinelli, Il carteggio Zani, in Archivio<br />
Storico per le Province Parmensi 1986, 363.<br />
LEONI ETTORE<br />
Parma 8 agosto 1886-Parma 30 maggio 1968<br />
Nacque da Antonio e Teresa Luccini. Il padre, marmista e titolare di una<br />
ditta di lavorazione di marmi e pietre con sede in via Linati a Parma, lavorò<br />
spesso con il Leoni, soprattutto nella realizzazione di cappelle e monumenti<br />
funerari, di motivi decorativi plastici, di sculture e di pannellature di rivestimento.<br />
Il monumento funebre Cloetta e la cappella di famiglia sono un<br />
esempio di questa collaborazione. Quest’ultima, defraudata nell’estate del<br />
1992 dei leoni laterali all’ingresso sovrastati da colonnine e braceri di bronzo<br />
realizzati dallo scultore Renato Brozzi, rappresenta una delle costruzioni<br />
funerarie più interessanti nell’impiego di diversi materiali come il marmo<br />
rosa delle lastre di rivestimento dei quattro fronti e dei leoni, il marmo verde<br />
cipollino delle colonnine, l’arenaria del basamento e dei gradini di accesso,<br />
la pasta di vetro colorata delle decorazioni a rombi dell’ingresso e dei due<br />
volti, di Sant’Antonio e di Santa Teresa, contenuti nei timpani dei fronti laterali.<br />
Si deve supporre che in molte altre realizzazioni il Leoni e il padre lavorassero<br />
insieme: forse a Villa Leoni (1909) e a Villa Adele (1924), situate<br />
vicinissime alla ditta Leoni, così come a palazzo Quirici e palazzo Basetti,<br />
dove insieme a elementi decorativi plastici in cemento lavorato coesistono<br />
quelli in pietra scolpita. Qualche anno dopo il diploma in architettura (1907),<br />
fu chiamato a realizzare palazzo Marchesi (1913), all’angolo di via Melloni e<br />
via Garibaldi. Studiò a fondo e fece suo il prototipo di casa parigina della<br />
seconda metà del XIX secolo fi gurante nella notissima raccolta di disegni<br />
Tableaux de Paris dell’editore Texier (1853). I suoi quattro piani sono sottolineati<br />
all’esterno, in misura diversa a seconda dell’altezza, da salde cornici,<br />
eleganti balconi, timpani triangolari e semicircolari. Elementi architettonici i<br />
quali, assieme agli eleganti affreschi di <strong>La</strong>tino Barilli nella superfi cie a forma<br />
di pettine compresa tra le due ultime cornici, danno all’edifi cio quell’impronta<br />
di ricercatezza tanto cara ai ceti abbienti del primo Novecento. In sommità,<br />
inseriti nella copertura, si allineano dieci abbaini, che costituiscono un’altra<br />
nota di originalità nel contesto strutturale dell’edifi cio. <strong>La</strong> carriera felicemente<br />
iniziata dal Leoni venne subito interrotta, come per altri suoi colleghi, dal<br />
primo confl itto mondiale, al quale partecipò come uffi ciale di cavalleria, pagando<br />
un pesante tributo: la mutilazione della mano sinistra. Ripresa l’attivi-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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ta nell’immediato dopoguerra, il Leoni trovò a Parma il terreno ideale per<br />
esplicare una vastissima attività costruttiva in tutti i settori, attività che lo<br />
impegnò sino alla vecchiaia. In un decennio di intenso lavoro costruì la Banca<br />
Agraria (1920-1923), lo stabilimento della vetreria Bormioli (1921), il campo<br />
sportivo Tardini (1922), la parte della Ghiaia lungo viale Mariotti (1927),<br />
casa Corradi (1927), alla fi ne di via Cavour, casa Quirici (1928), all’inizio di<br />
via Parmigianino, palazzo Chiari (1928), in piazzale dei Servi, e palazzo<br />
Serventi (1930), in Via della Repubblica. Dello Stadio Tardini esistono almeno<br />
tre versioni, prima del regolare rilascio della concessione, che risale all’11<br />
luglio 1923. <strong>La</strong> Commissione d’Ornato, in seduta 6 aprile e 1° giugno 1923,<br />
si espresse favorevolmente sulle varianti al progetto (fogli del 4 aprile e 31<br />
maggio 1923), che il Leoni apportò in considerazione dei pareri negativi rilasciati<br />
dalla stessa, in occasione delle prime due versioni. Le motivazioni,<br />
contenute nella relazione del 2 marzo 1923, che mossero la commissione a<br />
richiedere tali modifi che, furono legate essenzialmente al concetto dell’unità<br />
di stile: si accettarono le fi ancate laterali e la cancellata ma non il fronte<br />
centrale né le modanature dei fi anchi e dell’ingresso, che il Leoni, con temperamento<br />
e genialità artistica, avrebbe dovuto ripensare per metterle in<br />
armonia col carattere moderno dei pilastri laterali. Nella prima versione l’arco<br />
a tutto sesto dell’ingresso era sovastato da uno pseudo timpano tronco<br />
con riquadrature laterali, nei pilastri binati laterali mancavano i palloni da<br />
gioco ripetuti su tutta l’altezza, divenuti poi dei simbolici cerchi nella versione<br />
defi nitiva, e i pilastri portabandiera erano semplici parallelepipedi, senza i<br />
cordami o ghirlande realizzati. Anche la seconda soluzione, peraltro già molto<br />
vicina a quella costruita, non fu accettata: la commissione confi dò che la<br />
genialità del Leoni gli suggerisca all’atto pratico una migliore soluzione per<br />
le modanature di coronamento e per il fi anco, in armonia ai due piloni laterali.<br />
Sia nella prima che nella seconda soluzione erano già previsti i basamenti<br />
laterali all’ingresso, sui quali si sarebbero dovute collocare le quattro<br />
statue di atleti, così come i giocatori di football dipinti sugli spigoli del sottocornicione<br />
degli spogliatoi. Non vennero realizzate nè le prime nè i secondi.<br />
Progettando questo eterogeneo insieme di edifi ci, il Leoni restò sempre fedele<br />
al gusto del tempo, abbandonando quando era possibile le schematizzazioni<br />
e i modelli di derivazione classica e dando libero sfogo alla sua fervida<br />
fantasia. Ognuna di queste costruzioni si inserisce con chiarezza e<br />
coerenza nell’ambiente preesistente, perchè il Leoni seppe sfuggire alla tentazione<br />
di monumentalizzare e quindi isolare la propria opera creando violenti<br />
contrasti con l’architettura circostante. Se nell’ingresso del Tardini, concepito<br />
come arco trionfale sormontato da otto pinnacoli portabandiera, si<br />
ritrovano gli spunti della tematica Liberty, nella casa Corradi le pareti liscie<br />
danno respiro alle masse murarie sovrabbondanti di motivi decorativi che si<br />
affacciano sull’incrocio di via Cavour, via Melloni e via Parmigianino. <strong>La</strong> vecchia<br />
Ghiaia, devastata dall’abbattimento delle Beccherie (1928), ritrovò una<br />
sua misura e un suo contenuto nel riassetto proposto dal Leoni, la cui sostanziale<br />
validità non è diminuita dalla povertà del materiale impiegato (il<br />
cemento martellato), soprattutto nei collegamenti verticali, che con minimo<br />
ingombro superano il dislivello di sei metri tra il piano dei negozi e quello<br />
stradale. Per un architetto che si era già qualifi cato nella risoluzione di complessi<br />
problemi nel centro storico e che per naturale inclinazione tendeva ad<br />
affrontare temi di notevole impegno, la progettazione di case unifamiliari non<br />
rappresentò certo un motivo di grande interesse. Ma la moda, la prospettiva<br />
di vantaggi speculativi e la mentalità dalla società post-bellica degli anni<br />
Venti richiesero un prodotto qualifi cato dal nome del costruttore e il Leoni<br />
era ormai ampiamente affermato. I numerosi committenti lo costrinsero per<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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molti anni a un’intensa attività in questo settore, in cui egli lavorò con spirito<br />
di assoluta libertà formale e senza soggezioni stilistiche, a eccezione degli<br />
immancabili richiami fl oreali. Si ricordano, tra le altre, villa Barilli (1913), all’inizio<br />
di via delle Fonderie, villa Leoni (1913), in viale Martiri della Libertà,<br />
villa Figna (1916), in via Palestro, villa Salvini (1919), in viale Solferino, villa<br />
Artoni o Adele (1924), in viale Martiri della Libertà, villa Chiari (1930), in via<br />
Emilia Est, villa Gelmini (1934), in viale Partigiani d’Italia, villa Maghenzani<br />
(1946), a San Pancrazio, villa Bormioli (1946), a San Leonardo, villa Boni<br />
(1947), in via P.M. Rossi, villa Alessandrini (1925), a Sant’Andrea Bagni,<br />
villa Rossi (1923), villa Roffi (1932), villa Zecca (1932), a Soragna, villa Medioli<br />
(1946), a San Martino Sinzano, e villa Alinovi (1946), a Sala Baganza.<br />
Costruita a fi anco di casa Battioni, situata sull’angolo tra il viale Berenini e<br />
via Palestro e collegata a questa tramite una nuova cancellata in ferro battuto<br />
e con motivi fi tomorfi , villa Battioni ha chiari riferimenti stilistici all’arte<br />
nuova ed eleganti soluzioni formali, che bene si adattano alla tipologia della<br />
villa urbana. Molto meno ricca doveva essere in origine, così almeno pare<br />
abbozzata negli elaborati di progetto, la decorazione del sottogronda, ma<br />
semplicemente composta da fi gure geometriche romboidali, forse pensate<br />
in tessere di ceramica, come nel caso della vicina casa d’angolo, e intervallate<br />
da volute dipinte. I parapetti della scala di ingresso e del balcone del<br />
primo piano ripetevano lo stesso motivo decorativo della cancellata esterna.<br />
Al 12 dicembre 1912 risalgono le tavole di rilievo e di progetto di Palazzo<br />
Marchesi, presentate all’Uffi co d’Arte del Comune di Parma per l’ottenimento<br />
della concessione a eseguire i lavori di rettifi lo su via Melloni. Progettato<br />
come riattamento e alzamento di due unità edilizie preesistenti e costruito a<br />
partire dall’anno successivo, il palazzo trova riferimento nella matrice tipologica<br />
a blocco residenziale di fi ne Ottocento, con l’aggiunta di un tema estraneo<br />
al contesto parmigiano, quello degli abbaini. <strong>La</strong> particolare collocazione<br />
tra le due strade, pose problemi riguardanti la soluzione d’angolo, la defi nizione<br />
di una testata a conclusione della cortina edilizia prevalentemente a<br />
schiera su via Garibaldi e in particolare la risoluzione compositiva dei fronti<br />
esterni. Il Leoni risolse l’angolo a smusso tondo inserendo un balcone, avente<br />
funzione di cerniera tra i due prospetti e di partizione orizzontale.Ripartì la<br />
facciata in tre parti, quella di base, il piano nobile e la parte terminale, composta<br />
da due piani e da un marcato cornicione retto da elementi a mensola,<br />
che riprese a Palazzo Quirici (1919) in borgo del Parmigianino.Ai dipinti murali<br />
dell’ultimo livello, così come appaiono sulle tavole di progetto, dove fi gure<br />
accoppiate e ghirlande si ripetono alternandosi a festoni tra le fi nestre, si<br />
sostituì, in fase di realizzazione, una rappresentazione unitaria, continua<br />
anche attorno ai vani delle fi nestre.Attribuita a <strong>La</strong>tino Barilli, pare tuttavia<br />
opera di più autori, date le evidenti differenze tra le masse colorate di via<br />
Melloni e quelle di via Garibaldi.Nei<br />
primi mesi del 1913 partirono i lavori di sovralzo e sistemazioni dei tre fronti<br />
di Villa Barilli, in cui le infl uenze secessioniste si legano alla matrice vernacolare.Anche<br />
qui il Leoni fu affi ancato dal pittore <strong>La</strong>tino Barilli, proprietario<br />
della villa, nella realizzazione dei bellissimi guerrieri dipinti in facciata. Anche<br />
in questo caso vi è incongruenza tra il progetto decorativo e la sua realizzazione.<br />
Le opere degli anni Venti raccolgono in parte le esperienze fatte<br />
nella progettazione delle ville urbane, nella ripresa di motivi secessionisti e,<br />
in parte, quelle fatte sui palazzi esistenti nel centro cittadino, nella vicinanza<br />
ai registri stilistici ottocenteschi associati a infl ussi di gusto novecentesco e<br />
accademico. Molto interessante dovette essere Villa Saccani, con serra per<br />
aranceria e fl oricoltura (1921), confi nante con Villa Leoni e laboratorio della<br />
ditta: le riquadrature tra i vani delle fi nestre, distinte dalla restante superfi cie<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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solo mediante un diverso trattamento dell’intonaco, le paraste laterali alle fi -<br />
nestre, le tessere decorative della fascia marcapiano tra il primo e il secondo<br />
livello, gli pseudo capitelli del portone di ingresso, che diventano porta vasi,<br />
a ricordo degli incastri volumetrici già sperimentati sul fronte principale della<br />
cappella Leoni, sono una prova evidente della ripresa di motivi nuovi. <strong>La</strong><br />
serra e l’aranceria furono collocate in un unico edifi cio a pianta rettangolare,<br />
sul retro della villa: al piano terra i due ambienti laterali all’ingresso furono<br />
destinatai a fl oricoltura e un unico vano, che occupava tutta la lunghezza<br />
del fabbricato, fu adibito ad aranceria. Il corpo scala laterale conduceva<br />
al primo piano attraverso un piccolo terrazzo. Palazzo Basetti e Palazzo<br />
quirici (1924) rappresentano invece la ripresa di elementi della tradizione<br />
ottocentesca. Il secondo progetto è datato al 30 aprile 1919 ma la richiesta<br />
di concessione risale al 1924: trabeazioni, chiavi di volta, bugnati e mètope<br />
sono elementi che costituiscono la facciata, di cui esiste una versione con<br />
ingresso centrato e una con ingresso laterale. In collaborazione con Gino<br />
Robuschi, il progetto per casa Capra su viale Campanini, riprende l’impianto<br />
planimetrico del villino urbano con corridoio in asse con l’ingresso centrale<br />
e di distribuzione alla scala e alle stanze laterali. <strong>La</strong> facciata ricorda casa<br />
Levrieri, progettata da Albertelli in viale dei Mille n. 138, che doveva sorgere<br />
sullo stesso lotto dove venne più tardi realizzato il progetto di Camillo Uccelli,<br />
ma ricorda anche villa Fietta di Tomasi e Gipperich. Le tavole di progetto<br />
che dettagliatamente descrivono Villa Artoni sono datate al 19 maggio<br />
1924. Le soluzioni decorative tardo-eclettiche esterne coesistono insieme<br />
a soluzioni spaziali e distributive interne ormai tipiche della villa urbana del<br />
primo Novecento: per esempio l’opus incertum del piano terra, le lesene<br />
e il bugnato del primo piano, le mensole del sottocornicione, insieme alle<br />
diversifi cate cornici e archi ricurvi delle fi nestre e alle colonne con capitelli<br />
corinzi, su cui appoggia il terrazzo semicircolare di facciata, sono contrapposti<br />
agli spazi interni che si distribuiscono attorno allo scalone centrale<br />
con lucernaio in metallo e vetro. Villa sambataro a Fontanellato, realizzata<br />
nel 1925 con la collaborazione del geometra Pastorini, è collocata in via<br />
al Priorato, vicino alle scuole pubbliche progettate dall’architetto Fortunato<br />
Morestori. Riprende la stessa distribuzione in pianta di casa Capra a Parma,<br />
pur con alcune varianti nei due laterali accessi al giardino. I fronti ricordano<br />
Villa Saccani, nel trattamento diversifi cato delle superfi ci riquadrate al primo<br />
piano, e in parte Villa Battioni, nel corpo aggettante di facciata. <strong>La</strong> lunga<br />
attività del Leoni nella costruzione di ville e villette nell’arco di oltre un trentennio<br />
permette di cogliere i caratteri salienti della sua architettura, che, pur<br />
adeguandosi al mutare dei tempi, porta sempre il segno di una coerenza<br />
fondamentale e l’impronta di una feconda fantasia, che rappresentò in ogni<br />
tempo la sua dote peculiare. Se villa Barilli fu progettata nel rispetto della più<br />
castigata linearità secondo gli schemi di Ernesto Basile, villa Leoni, costruita<br />
nello stesso anno, presenta un più profondo linguaggio decorativo, ispirato<br />
a certi motivi proposti daOlbrich nel momento più coerente della Seccessione<br />
viennese. Nel settore funerario le opere fi rmate dal Leoni al cimitero <strong>La</strong><br />
<strong>Villetta</strong> di Parma sono tra le poche che contribuiscono a dare un signifi cato<br />
alla disarmonia del complesso. Sono le cappelle delle famiglie Leoni (1920),<br />
Bormioli (1924), Romanini (1929), Chiari (1934) e Tanzi (1939). In provincia<br />
sono da ricordare le cappelle Bettati (1948) e Azzali (1949), a Marore,<br />
Crescini (1950), a Fontanellato, Magnani (1952) a Roccabianca, e Medioli<br />
(1953), a Valera. Confrontandole con gli altri edifi ci realizzati dal Leoni, si<br />
colgono i vari aspetti della sua versatilità professionale, che fu tanto grande<br />
da permettergli di invadere il campo di pertinenza degli ingegneri, a quel<br />
tempo rigidamente chiuso. Il Leoni fu il primo architetto di Parma che, con-<br />
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sapevole della sua preparazione, non accettò limiti alla sua azione di progettista.<br />
Sotto questo aspetto sono da ricordare il complesso industriale Caselli<br />
(1925), in via Emilia Est, il mulino Figna (1927), a Valera, lo stabilimento<br />
Cavazzini (1946), in viale Fratti, palazzo Gelmini (1950-1957), in piazzale<br />
Santa Croce, le offi cine Gelmini (1950-1960), in via Ferrari, le succursali<br />
della Banca Agraria a Fontanellato e a Soragna (1920-1923), la sistemazione<br />
di viale Verdi (1932) e l’ampliamento dell’orfanotrofi o femminile Meli-Lupi<br />
(1933), a Soragna, il complesso colonico Chiari (1944-1945), a Madregolo,<br />
e lo stabilimento Alinovi (1944), a Sala Baganza.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
G.Capelli, Architetti del primo Novecento, 1975, 153-156; Gli anni del Liberty, 1993, 107-108.<br />
BORSARI LODOVICO<br />
Parma 9 settembre 1858-Sant’Andrea Bagni 1939<br />
Figlio di Ferdinando e Maria Teresa Fantelli. Forte dell’esperienza maturata<br />
nel suo negozio di barbiere in via Cavour a Parma che gli consentì di<br />
comprendere l’interesse del cliente per i prodotti profumieri da lui preparati,<br />
seppe avviare una vera e propria industria degli estratti e dei profumi confezionati<br />
in fl aconi appositamente realizzati dalle vetrerie Bormioli. I successi<br />
conseguiti sia sul mercato nazionale che estero spinsero il Borsari nel 1934<br />
a costruire un nuovo stabilimento in via Trento nella prima periferia cittadina<br />
di Parma. Si deve a lui il recupero e il rilancio sul mercato internazionale del<br />
profumo di Corte Violetta di Parma.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Cento anni di associazionismo, 1997, 3<br />
MAGNANI GIROLAMO<br />
Borgo San Donnino 22 aprile 1815-Parma 24 settembre 1889<br />
Nacque da Giovanni Battista e Luigia Botti. Mentre i primi moti risorgimentali<br />
scuotevano gli Stati italiani, il Magnani, orfano di padre ad appena 9 anni,<br />
si trasferì con la madre e la sorella Serafi na a Parma in via Santa Croce 103.<br />
Già alcuni anni prima (1829) aveva iniziato a frequentare, grazie a una borsa<br />
di studio messagli a disposizione da alcuni cittadini benestanti di Borgo<br />
San Donnino, l’Accademia di Belle Arti di Parma, diretta da Paolo Toschi.<br />
Iscritto alla scuola di paesaggio di Giuseppe Boccaccio e di prospettiva di<br />
Giacomo Giacopelli, terminò il corso di studi nel 1833.A soli vent’anni il Magnani<br />
ricevette l’incarico, dallo stesso Toschi, di decorare alcune Sale della<br />
Rocchetta destinate a conservare i capolavori del Correggio.Qui l’impronta<br />
pittorica è ancora accademica ma squisitamente raffi nata: i medaglioni monocromi<br />
simili a cammei imitano bassorilievi e cornici di sapore rinascimentale.Il<br />
Magnani era evidentemente consapevole di dover creare decori che<br />
non distogliessero l’occhio del visitatore dall’alta pittura del Correggio. Sono<br />
degli stessi anni i lavori alla biblioteca e al bagno personale di Maria Luigia<br />
d’Austria, ma anche la tela, conservata presso la Prefettura di Belluno e<br />
datata 1839, che ritrae una passeggiata sullo sfondo di Parma.Interessante<br />
è il confronto di questa veduta con quanto il Magnani rappresentò in alcuni<br />
ambienti a villa Bocchi di Pieve Ottoville e con alcune scenografi e.Sembra<br />
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che in quel periodo si parlasse già molto del Magnani, tanto da fargli avere<br />
in breve tempo un incarico per dipinture al teatro di Guastalla, in occasione<br />
della sua riapertura.È riconoscibile la sua mano nelle fasce decorate che<br />
racchiudono i dipinti del soffi tto della platea.Si nota qui lo stesso motivo che<br />
già aveva applicato nella biblioteca personale di Maria Luigia d’Austria: cornici<br />
varie e monocrome, ancora molto scolastiche, evidenziate dal chiaroscuro,<br />
magnifi camente dipinte, tanto da sembrare veri bassorilievi.Nella sua<br />
pittura erano ancora assenti tutti quegli inserti volutamente ricchi, carichi,<br />
dorati, che, nella piena maturità, lo contraddistinsero per il modo elegante e<br />
sfarzoso di decorare i teatri.Del lavoro a Guastalla da notizia il giornale Il<br />
Facchino del 22 ottobre 1842: l’inaugurazione sarebbe avvenuta il giorno<br />
della fi era di Santa Caterina (25novembre) con l’opera Lucia di <strong>La</strong>mmermoor<br />
di Gaetano Donizetti.Del Magnani, come conferma la locandina, sono<br />
le scene occorrenti allo Spettacolo d’invenzione e dipinte: il suo primo impegno<br />
come scenografo. Da allora in poi le scene del Magnani furono sempre<br />
più richieste.Egli passò in continuazione da pittore a decoratore e da progettista<br />
del decoro a scenografo, mentre il suo eclettismo si sviluppò e si evolvette.L’opera<br />
lirica gli diede la possibilità di crescere, con il superamento del<br />
momento più propriamente giovanile, in quella fase che, anche se ancora<br />
accademica, gli permise nel frattempo di farsi conoscere per le sue qualità<br />
e doti artistiche.Solo più tardi l’infl uenza del romanticismo lo portò verso<br />
selve scure con lontani paesaggi sullo sfondo, oppure ricostruzioni di architetture<br />
in stili diversi rappresentate sullo stesso supporto, con sapiente maestria,<br />
come fossero città ideali.Le sue scene, dove alla verità oggettiva tipica<br />
del neoclassicismo, è sostituita la soggettività, sono dense di suggestive<br />
reinterpretazioni di palazzi gotici, di interni romani foschi e aerei allo stesso<br />
tempo, di templi pagani, tutti ambienti dove sentimenti personalissimi si<br />
scontravano con nuove esigenze socio-politiche, donando allo spettatore il<br />
senso dell’intimo quotidiano inserito nella ben più vasta azione della storia.<br />
Temi allora diffusi erano quelli riconducibili a uno spirito patriottico, sia tratti<br />
dal presente che dal passato, che sembravano avere relazione con la situazione<br />
del momento.Nel 1844 l’impresario Musi incaricò il Magnani di dipingere<br />
le scene per l’opera Il bravo di Saverio Mercadante.Il melodramma,<br />
che doveva essere rappresentato al Teatro Ducale di Parma, non fu mai<br />
messo in scena.Nello stesso anno preparò le tele per l’Ernani di Verdi in<br />
collaborazione con Giuseppe Giorgi, piacentino. Nel 1847 si trova il Magnani<br />
a Pieve Ottoville, in casa Bocchi, dove affrescò alcune stanze.Interessante<br />
è notare come il Magnani fosse ancora condizionato da schemi accademici:<br />
la pittura dal vero, che ritrae il paese e la piazza con passanti, è reale,<br />
come reale è la fi gura miniaturizzata di Antonio Marchi, proprietario di Villa<br />
Bocchi.Come si nota anche nella veduta di Parma di qualche anno prima,<br />
ciò che sono architettura e personaggi risulta reale ed esaustivo, anche se<br />
già traspare l’inizio di un mutamento che approdò, nella scenografi a, a quelle<br />
tele permeate di romanticismo che ben si conoscono.Altro confronto si<br />
può fare con un acquerello su carta fi rmato e datato sempre 1847 dove viene<br />
riprodotta la piazza grande di Borgo San Donnino, con la veduta del Palazzo<br />
Comunale prima dei restauri dal Magnani stesso diretti nella seconda<br />
metà dell’Ottocento.Ancora i maestri Boccaccio e Giacopelli condizionano il<br />
Magnani: paesaggio realistico e prospettiva di maniera hanno il sopravvento<br />
sulla personale espressione stilistica.Nei dipinti di casa Bocchi, il Magnani è<br />
già in ogni caso maestro nel creare scene fantastiche e immaginarie, come<br />
nella decorazione di un corridoio dove vengono rappresentati una rupe, un<br />
castello e un tempio.Si veda la somiglianza del maniero qui dipinto con quello<br />
di Torrechiara: per giungere a paesaggi immaginari il Magnani parte da<br />
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presupposti reali.È questo un aspetto della sua arte presente anche in seguito,<br />
ma stemperato da un eclettismo dominante, quasi il Magnani si basasse<br />
sul ricordo, forse anche solo sull’idea, di quanto voleva rappresentare.Quando<br />
questo modo di dipingere fu pienamente acquisito, si determinò<br />
la completa maturità del Magnani, che fece delle sue opere luoghi dove chi<br />
guarda può perdersi rincorrendo personali emozioni.Unico preludio a tutto<br />
ciò sono gli alberi, le frasche e le selve: elementi paesaggistici che non hanno<br />
schemi preconcetti e che sempre il Magnani trasporta sulle tele in modo<br />
scenografi co, vivo ed evanescente allo stesso tempo, giocando su toni di<br />
chiaro-scuri.Nel 1848, mentre si spegnevano le ondate rivoluzionarie, il Magnani,<br />
il 28luglio, venne nominato professore dell’Accademia di Parma,<br />
maestro d’ornato, modellato e dipinto, con lo stipendio di mille lire.È di quel<br />
periodo il vero inizio della sua carriera scenografi ca, cominciando dalla partecipazione<br />
alla messa in scena dei Masnadieri di Giuseppe Verdi per il<br />
Teatro Ducale di Parma (22 febbraio 1848).Degli anni tra il 1844 e il 1850<br />
sono, a esempio, le scene per Nabucodonosor di Verdi (1846), <strong>La</strong> fi glia del<br />
reggimento di Donizetti (1846), I masnadieri (1847-1848), Macbeth (1849-<br />
1850) e I Lombardi alla prima crociata (1849-1850), sempre di Verdi.Tutte le<br />
suddette tele vennero realizzate in collaborazione con Giacomo Giacopelli.<br />
All’inizio del nuovo decennio si trova il Magnani impegnato a dipingere fondali<br />
per il Teatro Regio di Parma in collaborazione con altri, essendo consuetudine<br />
distribuire i lavori di scenografi a secondo le attitudini personali.Ma<br />
un forte malcontento si andava creando tra i dipendenti-artisti, che, offuscati<br />
probabilmente dalla bravura del Magnani, temevano di non vedere rinnovati<br />
i loro contratti.È anche vero che il Magnani, così come non si piegò alle<br />
norme che imponevano la preparazione di bozzetti (anche per questo, così<br />
poco rimane delle sue opere), mal si adeguò a dividere con altri il proprio<br />
lavoro, ritenendo diffi cile poter defi nire quali fossero le tele da aggiudicarsi<br />
al pittore di paese e quali di mezza maniera.Diventò improrogabile nominare<br />
un unico pittore-scenografo: la Commissione Amministrativa del Teatro diede<br />
a ciò parere favorevole nel 1852 e il posto di pittore direttore e scenografo<br />
fu assegnato al Magnani il 15 marzo 1853.Carlo di Borbone intanto decise<br />
di far restaurare il Regio e, per ordine sovrano e a spese dello Stato, il Magnani<br />
con il direttore del Reale Museo e Sovrintendente del suddetto Teatro,<br />
Michele Lopez, iniziò un viaggio che durò tre mesi per visitare le maggiori<br />
sale europee.I due tennero contatti, durante l’assenza dallo Stato, con l’allora<br />
Ministro delle Finanze, proponendo soluzioni diverse per il teatro parmigiano,<br />
dove già erano iniziati i lavori di sgombero in vista delle nuove opere<br />
da realizzare all’interno.Si sa così di una relazione fatta durante una sosta a<br />
Venezia (27 aprile), seguita da lettere da Vienna e Berlino nel maggio e da<br />
Londra nel mese successivo.Il Magnani e Lopez presero inoltre contatti con<br />
la Compagnia del gaz di Lione e fecero certamente ricerche per l’ideazione<br />
della messa in scena del Profeta, non tralasciando di occuparsi dei lavori al<br />
Regio, che nel frattempo proseguivano celermente.Le tappe del Magnani a<br />
Parigi, Vienna, Dresda e Berlino non poterono non lasciare il segno nel suo<br />
modo di intendere l’edifi cio-teatro e quanto in esso veniva rappresentato.Fu<br />
anche da questo viaggio, infatti, a contatto con le più recenti innovazioni e<br />
con le sale più prestigiose dell’epoca, che nel Magnani maturarono quelle<br />
idee poi sviluppate nelle decorazioni di platee e palchi, ma anche, probabilmente,<br />
di saloni di rappresentanza pubblici e privati.Il teatro di Parma, costruito<br />
nel 1821 per volere di Maria Luigia d’Austria su progetto di Nicola<br />
Bettoli era stato inaugurato nel 1829.Non più consono allo splendore della<br />
città, andava per forza rinnovato: simbolo di potere e di capacità del Duca,<br />
non poteva che rifl ettere la sua munifi cenza.Il Magnani vi lavorò in collabo-<br />
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razione con gli architetti Pier Luigi Montecchini e Luigi Bettoli: fu suo il compito<br />
di intervenire sulle decorazioni neoclassiche ritenute ormai superate e<br />
poco sfarzose.Il Magnani inserì fregi a stucco e cartapesta, dorati, che arricchiscono<br />
il tempio del melodramma facendolo<br />
sembrare una grande bomboniera. Così il soffi tto, dipinto dal Borghesi, venne<br />
incorniciato da una fascia purpurea, in tono con il colore delle tappezzerie,<br />
e da un grande fregio dorato.Decorazioni a rilievo, sempre dorate, scandiscono<br />
gli ordini dei palchi e si ripetono lungo tutte le fasce orizzontali con<br />
modulo continuo, mentre cornici inserite nelle tende degli stessi danno particolare<br />
rigidità al tessuto rendendo il tutto paragonabile a una piccola quinta<br />
visibile dalla platea.Numerosi furono gli artigiani, tra cui Mastellari, che collaborarono<br />
con il Magnani. Il Teatro di Parma, ormai sfavillante, venne inaugurato,<br />
dopo i restauri, il 28 dicembre 1853 con l’opera Il profeta di Mayerbeer<br />
e le scenografi e del Magnani.Delle tele per questa opera e delle altre<br />
del periodo restano alcune riproduzioni di Fortunato <strong>La</strong>sagna e Luigi Marchesi,<br />
litografate da Alberto Pasini e Nicola Benoist.È dello stesso anno la<br />
sostituzione del comodino del Bertolotti con uno del Magnani.Il 21 aprile<br />
1851 un violento incendio distrusse il teatro di Reggio Emilia.Un mese dopo,<br />
la Comunità deliberò di costruirne uno nuovo, affi dandone la progettazione<br />
all’architetto Cesare Costa.A questi si affi ancò, più tardi, il Magnani.I lavori,<br />
per lui, iniziarono nell’aprile 1856.Esattamente un anno dopo, il 21 aprile<br />
1857, lo stabile venne inaugurato con il Victor Pisani di Achille Peri e scene<br />
del Magnani, in collaborazione con Romolo Liverani e Alessandro Prampolini<br />
(il connubio con quest’ultimo proseguì nella preparazione delle scenografi<br />
e per il Simon Boccanegra).Ma la serata della prima non convinse: nessun<br />
artista, dal compositore al realizzatore del sipario, si salvò dalle critiche,<br />
eccetto l’architetto Costa.Nel gennaio del 1857 la commissione Teatrale di<br />
Piacenza, con Decreto Governativo del giorno 7, chiamò da Parma l’architetto<br />
Paolo Gazzola e il Magnani per i restauri del Teatro Municipale.Questo,<br />
voluto da una società di cittadini e sorto ai primi dell’Ottocento su disegno di<br />
Lotario Tomba, aveva già subito opere di riammodernamento, ma i lavori più<br />
importanti furono intrapresi in quell’anno: ampliamento degli atri, rifacimento<br />
del tetto, creazione della sala caffè, sostituzione dell’illuminazione a olio e<br />
candele con quella a gas. Al Magnani venne chiesto un progetto decorativo<br />
dei vari ambienti: suoi sono i lavori alla volta della platea (con le fi gure in<br />
chiaro-scuro), i disegni degli ornati dei palchi, della doratura, degli stucchi<br />
(pur se eseguiti da manodopera locale).Anche il Mastellari ebbe parte in<br />
questa opera di restauro: suo è il progetto per il macchinismo del palco scenico.<strong>La</strong><br />
sera di Santo Stefano dell’anno seguente il Municipale di Piacenza<br />
riaprì: il Magnani collaborò anche alla messa in scena della stagione (tre<br />
opere e un ballo). <strong>La</strong> sua vocazione di scenografo non era sopita, ma solo<br />
temporaneamente accantonata per seguire quella di decoratore-pittore.Furono<br />
quelli anni di grande impegno: più volte il Lopez lo richiamò ai suoi<br />
doveri e più volte, per la stagione lirica al Regio, furono recuperate scene già<br />
dipinte in precedenza.Si andò intanto instaurando una sempre più stretta<br />
collaborazione con Giuseppe Verdi, al quale lo legò un amichevole rapporto.<br />
Nel frattempo a Borgo San Donnino fervevano i lavori per la costruzione del<br />
Municipale, la cui facciata in stile neoclassico cela un interno dove la sobrietà<br />
dell’atrio prosegue nella ricchezza di tappezzerie e stucchi rosso e oro<br />
della sala e nella sfarzosità di decori e arredi del ridotto.Non mancò anche<br />
qui l’opera del Magnani, sempre legato alla sua terra: membro della Commissione<br />
Amministrativa del Teatro, il suo contributo ai lavori proseguì ben<br />
oltre l’inaugurazione del 26 ottobre 1861: ancora dieci anni dopo sono registrati<br />
onorari a lui dovuti per 6 scene nuove occorse per decorare lo spetta-<br />
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colo d’opera in musica nell’autunno.Tra il 1861 e il 1871 l’attività del Magnani<br />
proseguì in diverse direzioni: fu chiamato al teatro di Brescia, dove<br />
diresse i restauri e allestì scenografi e, fu vincitore, con l’architetto Cipolla e<br />
Cecrope Barilli, di un concorso che lo portò a dipingere alcune sale del palazzo<br />
della Banca Nazionale di Firenze, decorò l’arco trionfale eretto in occasione<br />
della visita a Parma di Vittorio Emanuele di Savoja, affrescò l’aula<br />
delle udienze della Corte d’Appello e il muro Sud del secondo cortile di palazzo<br />
Marchi.Qui il Magnani, forse in quegli anni o forse più tardi, lavorò<br />
anche sugli stucchi settecenteschi del soffi tto di una sala al primo piano,<br />
dando colore ai putti e dipingendo tralci e paesaggi boschivi all’interno delle<br />
cornici, con un risultato di gradevole effetto.Del Magnani sembrano inoltre le<br />
decorazioni di altre due stanze, più piccole, sempre al piano nobile del palazzo.I<br />
colori, resi scuri dagli anni, hanno perduto la tipica vivacità, ma lo<br />
stile è indubbiamente quello del Magnani, anche se l’insieme appare più<br />
come una sperimentazione di accostamenti cromatici che una vera opera di<br />
decorazione pittorica.Anche per le affrescature del castello di Montechiarugolo,<br />
una sala a piano terra, una dipintura di un paramento murario del primo<br />
cortile (di cui rimangono minime tracce purpuree) e una serie di decorazioni<br />
neogotiche sulla parte esterna delle fi nestre, di cui una sola<br />
conservata, è sconosciuta la data di esecuzione.Certamente in seguito all’acquisto<br />
del maniero da parte della famiglia Marchi, a cui fu sempre legato<br />
da profonda amicizia.Mentre il Magnani lavorava alle scene di Rigoletto, Un<br />
ballo in maschera e Norma, Verdi curava Aida, che, una volta rappresentata<br />
in prima mondiale a Il Cairo, venne portata a Milano: solo il Magnani poteva,<br />
con le sue capacità, accontentare il maestro per l’allestimento.Fu lo stesso<br />
musicista a insistere presso Ricordi, affi nché venisse assunto il Magnani.<br />
L’8 febbraio 1872 il sipario si aprì sulle sue scenografi e.Dai bozzetti delle<br />
tele conservati nell’archivio di casa Ricordi traspare una ricostruzione dell’Egitto<br />
che è l’Oriente sognato, dove il Nilo, rischiarato dalla Luna, scorre<br />
silenzioso tra i palmizi, dove fuochi su tripodi illuminano le colonne lotiformi<br />
del tempio di Vulcano, dove statue colossali, bassorilievi, architravi, in un<br />
gioco di luci e ombre, rendono dense di aspettative le sale del palazzo.L’atmosfera<br />
non è creata dalla ricostruzione archeologica, pur studiata: è piuttosto<br />
quest’ultima che viene messa al servizio dell’emozione.Tra il 1871 e il<br />
1872 il Magnani preparò anche le scene per <strong>La</strong> forza del destino e Der Freischutz<br />
di Weber, nonché quelle per Polliuto e Macbeth. Ma l’impegno maggiore<br />
fu ancora per Aida, che venne rappresentata al Regio di Parma, con<br />
qualche ritocco alla scenografi a, il 20aprile 1872. Ma già altre commissioni<br />
lo attendevano: diresse le operazioni di restauro al palazzo comunale di<br />
Borgo San Donnino, la cui facciata ebbe le fi nestre del piano superiore trasformate<br />
in bifore e la fi tta merlatura, e lavorò ad alcune scene per rappresentazioni<br />
da tenersi a Milano, Padova, Parma e forse Napoli.Il 1873 si chiuse<br />
per il Magnani con due nuovi successi: una tournée americana e<br />
l’incarico per i decori ad alcune sale del Quirinale. L’invito negli Stati Uniti,<br />
fattogli dagli impresari Emanuele Muzio e Max Strakosch, venne dal Magnani<br />
disatteso, ma le sue scene, spedite via mare, contribuirono a rendere la<br />
prima americana di Aida indimenticabile.A New York come a Filadelfi a, Saint<br />
Louis e Chicago, il successo del melodramma fu completo.Al Quirinale intanto,<br />
sul soffi tto del salone delle feste, affrescato da Cecrope Barilli con il<br />
trionfo dell’Italia, il Magnani si impegnò in un decoro elegante e raffi nato che<br />
racchiude, con vista prospettica dal basso verso l’alto, l’affresco centrale.<br />
L’abbondanza degli ori e degli stucchi dipinti è, questa volta, ritmicamente<br />
cadenzata da conchiglie e fi ori, fi nti cammei ovali e, più all’interno, ad avvolgere<br />
il dipinto del Barilli, una balaustra proiettata quasi all’infi nito evidenzia<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
una profondità irreale, sostenuta in questo intento da fi ori e tralci che, ripiegandosi<br />
verso il basso, illudono l’occhio dell’osservatore.Oltre il salone delle<br />
feste, il Magnani e Barilli manifestarono la loro arte nel Gabinetto del Re e<br />
nell’atrio vetrato della palazzina di via Salaria.Tornato a Parma, al Magnani<br />
venne affi dato l’incarico di decorare la Sala Consiliare della Cassa di Risparmio.L’ambiente,<br />
interamente affrescato su tutti i lati, spicca per la bellezza<br />
della volta dipinta a padiglione ribassato.Anche qui amorini, fi ori, medaglioni<br />
e conchiglie, si moltiplicano incorniciando i quattro trapezi con tempere di<br />
paesaggi che rappresentano le quattro stagioni, soggetto già proposto, anche<br />
se in modo più scenografi co, nel castello di Bargone. I dipinti sembrano<br />
quasi non appartenere alla stessa superfi cie, ma divengono inserti, fi ancheggiati<br />
da fasce decorate e, agli angoli della sala, da fi nte nicchie con<br />
statue allegoriche messe in grande evidenza dalla profondità del chiaro-scuro.Alle<br />
pareti il Magnani si ripeté con motivi che richiamano il soffi tto, non<br />
dimenticandosi di evidenziare bordi e fi nti bassorilievi con listelli e cornici<br />
dorate.Anche l’arredamento fu disegnato dal Magnani.L’insieme del tutto è<br />
molto gradevole.Le tappezzerie sono di colore rosso, quel colore che ritorna<br />
in ogni teatro restaurato dal Magnani e che è fi lo conduttore della sua arte.<br />
Nonostante il Magnani avesse raggiunto la sua maturità, la sua fama avesse<br />
valicato i confi ni europei e potesse ormai vivere dei successi raccolti, ancora<br />
la fantasia e la voglia di fare lo incalzarono: decorò un piccolo teatro giardino<br />
a fi anco del Reinach, come già aveva fatto per il diurno presso Porta San<br />
Michele trent’anni prima, per proporvi spettacoli estivi, restaurò l’abside del<br />
Duomo di Borgo San Donnino e tra il 1881 e il 1882 dipinse la cappella Cantelli<br />
della Cattedrale di Parma, forse unico esempio rimasto dei suoi lavori in<br />
edifi ci di culto.Anche la sua vocazione<br />
scenografi ca non fu affi evolita dal tempo: in quegli anni preparò nuove tele<br />
per Macbeth, Polliuto, l’Africana e Salvator Rosa, mentre quelle per Simon<br />
Boccanegra da rappresentarsi alla Scala, pure ideate da lui, furono realizzate<br />
da altri.E nel 1887 portò a Parma Otello; fu il suo ultimo lavoro come scenografo.Già<br />
a Milano, la prima, non era stata sua, ma i suoi fondali, anche<br />
questa volta, dopo quasi quindici anni dalla prima esperienza, andarono negli<br />
Stati Uniti.Il successo, determinato dalla forza lirica dell’opera, dalla sua<br />
profondità, dall’attesa del pubblico (l’ultima opera di Verdi era stata Aida) e<br />
dalle scene del Magnani, fu ancora una volta completo.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
G.Pindemonte, Componimenti teatrali con un discorso sul teatro italiano, Milano, 1827;<br />
A.Stocchi (L.Molossi), Diario del Teatro Ducale di Parma 1829-1845, Parma, 1846; M.Ferrarini,<br />
Dei teatri San Giovanni e Campanini e di altri teatri minori parmensi nel sec.XIX, in Aurea Parma<br />
XXX 1946; Il teatro grande di Brescia, 1893-1957, a cura di M.Marioli, Brescia, 1957; L.Galli,<br />
Il teatro Comunitativo di Piacenza, memoria storica, Piacenza, 1858; <strong>La</strong> Cassa di Risparmio<br />
di Parma, 1860-1952, Parma, 1952; M.Bellocchi, Il teatro municipale di Reggio Emilia, Reggio<br />
Emilia 1962; Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica, diretto da P.Portoghesi,<br />
Roma, 1968; G.Copertini, <strong>La</strong> pittura parmense dell’800, a cura di G.Allegri Tassoni, Milano,<br />
1971; P.Martini, <strong>La</strong> publica Pinacoteca di Parma, Parma, 1872; Dizionario Enciclopedico dei<br />
pittori e degli incisori italiani, Torino, 1975; G.B.Janelli, Dizionario biografi co dei parmigiani illustri,<br />
Genova, 1877; A.Rondani, Gli ultimi scomparsi, in Natale e Capodanno del Corriere<br />
di Parma, Parma, 1892; A.Pariset, Dizionario biografi co dei parmigiani illustri e benemeriti,<br />
Parma, 1905; G.Mordini, Il convitto nazionale Maria Luigia in Parma, Parma, 1909; E.Papi, Il<br />
teatro municipale di Piacenza 1804-1912, Piacenza, 1912; A.Balsamo, Il teatro municipale e le<br />
sue vicende, in Strenna Piacentina, Piacenza, 1924; Il teatro Reinach Parma dal 1871 al 1921;<br />
C.Alcari, Il Teatro Regio di Parma nella sua storia dal 1883 al 1929, Parma, 1929; V.Mariani,<br />
Storia della scenografi a italiana, Firenze, 1930; M.Ferrarini, Parma teatrale ottocentesca, Parma,<br />
1946; G.Allegri Tassoni, Una gloria della scenografi a parmense, in Aurea Parma XXXII<br />
1948; D.Soresina, ad vocem Magnani Girolamo, in Enciclopedia diocesana fi dentina, I personaggi,<br />
vol.I, Fidenza, 1961; N.Musini, Il teatro Girolamo Magnani di Fidenza e la sua storia nel<br />
centenario della sua inaugurazione 1861-1961, Fidenza, 1961; L.B.Alberti, De re aedifi catoria,<br />
a cura di G.Orlandi e P.Portoghesi, Milano, 1966; E.Riccomini, Tre paesaggi parmensi ritrovati,<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
in Aurea Parma I-II 1966; F.Mancini, Critica d’Arte, 93-100 1968; I teatri di Parma dal Farnese<br />
al Regio, a cura di Ivo Allodi; L. Gambara, M. Pellegri, M.De Grazia, Palazzi di Parma, Parma,<br />
1971; G.Ricci, Teatri d’Italia, Milano, 1971; A.Pinelli, I teatri e lo spazio dello spettacolo dal<br />
teatro umanistico al teatro dell’opera, Firenze, 1973; R.Tassi, Magnani Bocchi de Strobel tre<br />
pittori di Parma tra Ottocento e Novecento, Parma, 1974; G.Capacchi, Castelli della collina<br />
parmigiana, Parma, 1977; F.da Mareto, Chiese e conventi di Parma, Parma, 1978; Parma la<br />
città storica, a cura di V.Banzola, Parma, 1978; N.Pevsner, J.Fleming, H.Honour, Dizionario di<br />
architettura, a cura di R. Pedio e V.Gregotti, Torino, 1981; L.Farinelli, P.P.Mendogli, Guida di<br />
Parma, Parma 1981; A.Aimi, A.Copelli, Storia di Fidenza.Dalle origini ai giorni nostri, Parma,<br />
1982; I teatri storici in Emilia Romana, a cura di S.M. Bondoni, Bologna, 1982; M.Pellegri, Il<br />
museo Glauco Lombardi, Parma, 1984; G.Cirillo, G.Godi, Guida artistica del parmense, Parma,<br />
1984; In forma di festa, catalogo della mostra a cura di M.Pigozzi, Reggio Emilia, 1985;<br />
F.Fiorini, All’ombra di un castello.Montechiarugolo attraverso i secoli, Parma, 1985; C.Gallico,<br />
Le capitali della musica. Parma, Milano, 1985; N.Pevsner, Storia e caratteri degli edifi ci, a cura<br />
di A.M.Ippolito, Roma, 1986; Dietro il sipario, a cura di V.Cervetti, Parma, 1986; Arte a Fidenza.<br />
Dipinti e disegni delle collezioni comunali, catalogo della mostra, Fidenza, 1987; F. Silva, Tradizione<br />
ed insolito: gli allestimenti scenografi ci nell’Ottocento al teatro Regio di Parma, in Parma<br />
nell’Arte 1988; Il teatro di Girolamo Magnani scenografo di Verdi, a cura di M.Bonatti Bacchini e<br />
M. Ponzi, Fidenza, 1989; L.Allegri, Teatro e spettacolo nel medioevo, Bari, 1990; C.Meldolesi,<br />
F.Taviani, Teatro e spettacolo nel primo ottocento, Bari, 1991; R.Cristofori, Inventario dell’archivio<br />
storico del Reatro Regio 1816-1859, Parma, 1992; R.Alonge, Teatro e spettacolo nel<br />
secondo Ottocento, Bari, 1993; Fidenza, collana Comuni d’Italia, Milano, 1994; Le stagioni del<br />
teatro: le sedi storiche dello spettacolo in Emilia Romagna, a cura di L.Bortolotti, Bologna 1995;<br />
O.Jesurum, Girolamo Magnani e la sala del Consilio della Cassa di Risparmio 1875-1876,<br />
Parma, 1996; Girolamo Magnani e la Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio 1875-1876,<br />
a cura di U.Delsante, G.Gonizzi, Parma, 1996; Almanacco parmigiano.Vagabondi del pensiero<br />
e dell’arte 1996-1997, Parma, 1997; Archivio Storico per le Province Parmensi 1996, 209-233.<br />
MASSARI STEFANO<br />
Cortile San Martino 18 marzo 1815-Cortile San Martino 14 agosto 1886<br />
Figlio di Giambattista, segretario comunale di Collecchio. Quando era ragazzo<br />
faceva ogni giorno a piedi la strada da Collecchio a Parma per andare<br />
a scuola. A costo di notevoli sacrifi ci conseguì la laurea in legge.Esercitò<br />
l’avvocatura e per tre anni fu nominato consulente per gli affari degli indigenti<br />
e per un anno per gli affari dei pubblici stabilimenti. Sotto la dominazione<br />
borbonica, si distinse per la fermezza di carattere e per il patriottismo.<br />
<strong>La</strong>sciò poi la professione di avvocato per entrare nella magistratura. Andò<br />
pretore il 23 maggio 1846 a Soragna, nel 1847 a Traversetolo, nel 1848<br />
a Busseto, nel 1849 a Pontremoli e nel 1850 a <strong>La</strong>nghirano.Il 20 gennaio<br />
1851 fu nominato Vice Procuratore Regio nel Tribunale Civile e Criminale<br />
di Piacenza e nel 1854 passò in quello di Parma, dove, due anni dopo,<br />
fu promosso Procuratore.Il 30 giugno 1855 passò quale Vice Procuratore<br />
presso la Corte Regia, vi divenne consigliere il 10 ottobre 1856 e quindi consigliere<br />
nella Corte Suprema di Revisione il 1°novembre 1859.In quell’anno<br />
(decreto del 23 giugno del Governatore Pallieri) fu delegato a operare la<br />
riunione della provincia di Pontremoli staccatasi dallo Stato Parmense e a<br />
reggere l’Intendenza della provincia stessa.Con decreto 31 agosto 1859 del<br />
dittatore Farini, fu nominato Intendente generale della provincia di Parma<br />
e con quello del 20 settembre dello stesso anno ebbe la carica di Direttore<br />
del Dicastero dell’Interno dell’Amministrazione degli Stati Parmensi.Il 25<br />
gennaio 1860, riunite le Provincie Parmensi a quelle di Bologna e Modena,<br />
il Massari, che aveva accettato le varie cariche amministrative (rinunciando<br />
agli stipendi relativi) con la condizione di appartenere sempre all’ordine giudiziario,<br />
venne chiamato alla Corte Regia Suprema di Revisione diParma, in<br />
qualità di ottavo consigliere.Il Massari ebbe anche l’incarico di coadiuvare la<br />
Procura Generale, incarico adempiuto per tutto l’anno 1860, essendo stato il<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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titolare (Niccolosi) chiamato dal Governo a far parte delle commissioni legislative<br />
istituite in Torino.Il 17 dicembre 1860 divenne consigliere nella Corte<br />
d’Appello diParma e nel 1874 Presidente di Sezione in quella di Casale.Nel<br />
1876 fu nominato consigliere alla Corte di Cassazione in Roma e il 21 aprile<br />
1878 Presidente di Sezione della Corte d’Appello di Roma, conservando<br />
grado e titolo di consigliere di Corte di Cassazione.L’8 maggio 1879 fu eletto<br />
Primo Presidente della Corte d’Appello di Ancona.Su sua richiesta, il 22<br />
gennaio 1882 fu trasferito a Parma.In quella occasione, Zanardelli, ministro<br />
di Grazia e Giustizia, gli scrisse un biglietto nel quale tra l’altro dice: per la<br />
sua specchiatissima illibatezza ho pegno sicuro non essere argomento di<br />
nessun inconveniente o sospetto l’essere Ella stessa di Parma. Fu eletto<br />
alla Camera dei Deputati del Parlamento italiano nella decima legislatura.<br />
Sedette al centro-destra ma passò a sinistra il giorno che si volle introdurre<br />
la tassa sul macinato e la regìa dei tabacchi. Fu abbastanza assiduo ai lavori<br />
parlamentari e qualche volta parlò autorevolmente di questioni giuridiche.<br />
Non volle ripresentarsi candidato nella successiva legislatura.Più volte fu<br />
nominato consigliere municipale e provinciale di Parma.Famosa fu la lotta<br />
che il Massari sostenne, essendo Primo Presidente della Corte di Ancona,<br />
contro la magistratura inquirente che voleva invadere il campo dei collegi<br />
giudicanti, quasi per ridurli macchines à sentences, come scrisse Pellegrino<br />
Rossi. Alcune sue sentenze in materia d’acque (a Casale), in questioni di<br />
diritto fi nanziario e amministrativo (a Roma) e in questioni di diritto comune<br />
(ad Ancona e a Parma) rimasero a lungo esempi insuperati.Il Massari<br />
godette la stima e l’amicizia degli uomini più illustri del tempo: Auriti, Eula,<br />
Zanardelli, Mancini, Sella, Piroli, Agnelli, Bonasi,Orsini, Cabella, Boccardo,<br />
Bianchi.Fece parte, con l’Auriti e il Bonasi, del Collegio Arbitrale che decise<br />
una grave questione tra il Governo della reggenza tunisina e il conte Bartolozzi<br />
De Vandoni. Cavaliere e uffi ciale, fu commendatore di più ordini (tra i<br />
quali quello del Bey di Tunisi).<br />
FONTI E BIBL.: T.Sarti, Rappresentanti legislature Regno, 1880, 541; Gazzetta Piemontese 18<br />
agosto 1886; Secolo 19 e 20 agosto 1886; Gazzetta di Parma 16 agosto 1886; Il Presente 16<br />
agosto 1886; Brunialti, Annuario Biografi co Universale, 1887, 129-130; T.Sarti, Il Parlamento<br />
Subalpino e Italiano, due volumi, Roma, 1896 e 1898; A.Malatesta, Ministri, Deputati, Senatori,<br />
1941, II, 171; A. Pariset, Dizionario biografi co, 1905, 65-68; U.Delsante, Dizionario Collecchiesi,<br />
in Gazzetta di Parma 15 febbraio 1960, 3.<br />
MAUPAS ALPINOLO ILDEBRANDO UMBERTO<br />
Spalato 30 agosto 1866-Parma 14 maggio 1924<br />
Nacque da Giovanni e Rosa Marini.Il nonno Sebastiano, francese, ai primi<br />
del XIX secolo con le truppe di Napoleone Bonaparte si recò come medico<br />
in Dalmazia, dove sposò una spalatina, rimanendovi per sempre.Uno<br />
dei fi gli di Sebastiano, Giovanni, andò a Padova per ragioni di studio e vi<br />
conobbe l’attrice Rosa Marini di Avezzano, che diventò poi sua moglie. Dal<br />
matrimonio nacquero dieci fi gli, l’ultimo dei quali fu il Maupas, che fece i<br />
suoi studi elementari e ginnasiali a Spalato, poi a Zara, dove si trasferì nel<br />
1879 tutta la sua famiglia. Il 30 settembre 1882 vestì l’abito francescano nel<br />
convento di Capodistria della provincia di San Girolamo in Dalmazia, prendendo<br />
il nome di Pietro.Dopo il liceo e il noviziato, dimorò nel convento di<br />
Kosljun fi no al marzo 1885, quando fu dimesso dall’Ordine perché accusato<br />
d’insubordinazione dopo essere stato più volte ripreso per aver suonato,<br />
in compagnia di un professo di nome Raimondo, un pianoforte in orari non<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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consentiti. In seguito, per qualche tempo, fece servizio nelle guardie di fi -<br />
nanza ma, convinto di avere la vocazione religiosa, chiese di poter rientrare<br />
nell’Ordine.Il ministro dell’Ordine, Luigi Canali da Parma, lo riammise (1888)<br />
e lo inviò nella provincia di Toscana per ripetere il noviziato nel convento di<br />
Fucecchio.Alla nuova vestizione religiosa il Maupas prese il nome di Lino.<br />
Dopo la professione, emessa il 16 gennaio 1889, fu mandato a Colleviti,<br />
presso Pescia, per continuare gli studi.Considerato adatto per le missioni<br />
di Albania, venne assegnato il 16 maggio 1889, ancora chierico, a Scutari,<br />
dove nel gennaio 1890 ricevette gli ordini minori dall’arcivescovo Pasquale<br />
Guerini. Ma a causa di una malattia agli occhi, nel giugno 1890 dovette<br />
rientrare in Italia.I medici gli consigliarono di non ritornare in Albania perché<br />
quel clima poteva mettergli in pericolo la vista, per cui chiese di rimanere<br />
nella provincia di Bologna.Nel convento di Santa Maria delle Grazie presso<br />
Rimini si preparò al sacerdozio (vi ricevette nel settembre e novembre gli<br />
ordini maggiori da monsignor Chiaruzzi) e il 30 novembre 1890 fu ordinato<br />
sacerdote a Forlì dal vescovo Domenico Svampa.Celebrò la sua prima messa<br />
l’8 dicembre 1890. Dopo l’ordinazione sacerdotale fu destinato a Rimini,<br />
fu a Parma una prima volta nel 1891 per pochi mesi, poi nel 1892 trasferito<br />
a Cortemaggiore e infi ne il 18 giugno 1893 a Parma, dove rimase fi no alla<br />
morte.A Parma fu cappellano nella parrocchia della Santissima Annunziata<br />
(1895-1909), poi cappellano delle carceri (1900) e successivamente, come<br />
direttore spirituale dei corrigendi, del riformatorio <strong>La</strong>mbruschini (1910).Nel<br />
1901 il Maupas ricevette la cittadinanza italiana. Durante il trentennio della<br />
sua attività a Parma, il Maupas divenne l’esempio luminoso della carità<br />
cristiana, che esercitò verso tutti: poveri, ammalati, abbandonati, carcerati<br />
e infelici. Nel 1909 si presentò dinanzi alla Corte d’Assise di Lucca ove si<br />
giudicava un gruppo di parmigiani imprigionati per rivolta politica in conseguenza<br />
dello sciopero agrario dell’anno precedente: il Maupas rese una<br />
testimonianza magistrale, che valse la libertà a tutti. Durante la settimana<br />
rossa del giugno 1914, esercitò energica azione moderatrice, riuscendo a<br />
impedire irruzioni nelle chiese e condanne di arrestati. All’entrata dell’Italia in<br />
guerra (1915) il Maupas venne reclutato come cappellano militare per prestare<br />
servizio su un treno ospedale, ma su domanda fu rimandato a Parma.<br />
<strong>La</strong> morte lo colse nel pastifi cio Barilla, dove si era recato per raccomandare<br />
un disoccupato.Già nella vita molti lo ammirarono come nuovo San Francesco.Tutta<br />
la città accompagnò al cimitero le sue spoglie mortali, anche in<br />
seguito visitate e venerate dai suoi devoti.Nel sepolcro dei Frati Minori fu<br />
posta una statua di bronzo e un’altra simile fu collocata (novembre 1947) nel<br />
chiostro a lui dedicato entro il cimitero. Una terza statua dedicata al Maupas<br />
fu eretta nel 1999 in piazzale Bertozzi. Alla memoria del Maupas fu decretata<br />
dal ministero di Grazia e Giustizia (ottobre 1936) la medaglia d’oro con<br />
diploma di primo grado al merito della redenzione sociale.Il 25 luglio 1942 fu<br />
iniziato presso la Curia vescovile di Parma il processo informativo sulle virtù<br />
e miracoli del Maupas e il 22 luglio 1948 ebbe termine.Gli atti processuali<br />
vennero trasmessi alla Santa Congregazione dei Riti: il processo per la sua<br />
beatifi cazione fu aperto a Roma il 23 ottobre 1948.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
G.Ansaldo, Il ministro della buona vita, Milano, 1950; G.Giovanardi, Il servo di Dio p.Lino Maupas<br />
O.F.M., apostolo della carità in Parma, in Studi Francescani 22 1950, 45-59, 156-191;<br />
T.Cavalli, Lino Maupas, Bologna, 1954; M.Finzi, Un cappellano delle carceri che ho conosciuto,<br />
p. Lino Maupas, Firenze, 1955; P.Rossi, L’amico dei poveri, Parma, 1978; Mondrone, I santi<br />
ci sono ancora, V, 90-113; Beaudoin, Index processuum beatifi cationis, 262; Aurea Parma 3<br />
1941, 109-111; C.Cambi, Un francescano, p. Lino Maupas, Parma, 1924; G.C.Guzzo, Padre<br />
Lino da Parma, Alba, 1943; L.Di Stolfi , in Enciclopedia Cattolica, VII, 1951, 1390; E.Bevilacqua,<br />
I fi oretti di frate Lino da Parma, Torino, 1926, 1931; I.Felici, Tra i lupi, Pisa, 1933; Breve biogra-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
fi a del padre Lino da Parma francescano, apostolo della carità, a cura della vicepostulazione,<br />
Modena, 1944; Enciclopedia Ecclesiastica, V, 1952, 813; Dizionario Ecclesiastico, II, 1955,<br />
697; B.Molossi, Dizionario biografi co, 1957, 97-98; Parma Economica 2 1969, 48-53; Parma.<br />
Vicende e protagonisti, 1978, III, 143-145; R.Lecchini, Suor Maria Eletta, 1984, 7; B.Pandzic,<br />
Bibliotheca Sanctorum, AppendiceI, 1987, 877; A.Grassi-L. Sartorio, <strong>La</strong>dro di anime e di pane,<br />
Parma, 1989; Grandi di Parma, 1991, 79-80; Parma Club 1 1994, 65-70; Padre Lino e il suo<br />
tempo, Parma, 1994.<br />
MELLONI MACEDONIO GIOACCHINO LEONE<br />
Parma 11 aprile 1798-Portici 12 agosto 1854<br />
Secondo dei quattro fi gli del ricco commerciante Antonio e della francese<br />
Rosalie Jabalot, il Melloni frequentò nella città natale le scuole secondarie<br />
umanistiche, seguì corsi di musica e pittura (all’Accademia di Belle Arti di<br />
Parma, dove nel giugno 1818 meritò il primo premio per il disegno di nudo)<br />
e si dedicò a studi naturalistici (sotto la guida di Antonio Lombardini), per i<br />
quali ebbe particolare inclinazione.Nel 1819, recatosi a Parigi col proposito<br />
di specializzarsi nell’arte dell’incisore (sue opere sono conservate nella Pinacoteca<br />
di Parma e nel Gabinetto di disegni e stampe di Dresda), si iscrisse<br />
invece ai corsi universitari di scienze fi siche e matematiche.Ritornò a<br />
Parma nel 1824 e nell’ottobre vi fu nominato professore sostituto alla cattedra<br />
di fi sica teorico-pratica dell’Università.Nel 1827 ne divenne effettivo, per<br />
la morte del titolare Sgagnoni, e assunse la direzione del gabinetto di fi sica.<br />
Il Melloni entrò in relazione con L.Nobili, fi sico salito già in fama europea,<br />
che lo consigliò e lo incoraggiò.Nel 1829 gli comunicò la costruzione del<br />
proprio termomoltiplicatore, costituito da una pila termoelettrica collegata al<br />
suo galvanometro.Il Melloni ebbe allora l’idea di adattare la pila allo studio<br />
del calore raggiante e, dopo attento esame sperimantale, la trasformò nel<br />
tipo parallelepipedo con rifl ettore tronco-conico, divenuto ben noto per tutto<br />
il secolo XIX come pila Melloni, di eccezionale sensibilità e prontezza.Col<br />
nuovo termomoltiplicatore intraprese subito, in collaborazione con Nobili, le<br />
prime ricerche sul calore raggiante, presto interrotte per le vicende politiche<br />
in cui entrambi gli scienziati si trovarono implicati, poi proseguite e pubblicate<br />
a Parigi nel 1831.Il 15 novembre1830, infatti, nella sua prolusione al corso<br />
di fi sica nell’Università di Parma, il Melloni lodò il comportamento degli studenti<br />
parigini nei moti rivoluzionari del luglio precedente e incitò i propri allievi<br />
a imitarli.Fu portato in trionfo dai giovani ma il giorno successivo fu destituito<br />
ed esiliato.Riparò a Parigi ma il 16 febbraio del 1831 tornò a Parma,<br />
chiamato come membro del governo provvisorio, costituitosi in seguito alla<br />
sommossa popolare.Alla testa degli studenti, il 17 febbraio si recò all’Università<br />
a piantarvi la bandiera tricolore e il 18 vi tornò ad accompagnare gli<br />
studenti, provvisti di armi, ad addestrarsi nel loro maneggio. Fu tra coloro<br />
che vollero la creazione di un battaglione di bersaglieri italiani e di un reggimento<br />
d’infanteria di linea italiano, i quali si dovevano unire, sotto il comando<br />
del generale barone Carlo Zucchi, coi volontari di Modena e di Bologna.<br />
All’arrivo delle truppe austriache a Parma il 13 marzo del 1831, il Melloni<br />
riuscì a fuggire e si rifugiò nuovamente a Parigi, dove l’appoggio di J.F.Arago<br />
gli procurò la nomina di professore di fi sica nel collegio di Dôle, una cittadina<br />
del Giura francese.Vi rimase alcuni mesi, poi, per l’impossibilità di condurvi<br />
ricerche, si trasferì a Ginevra, accolto nel laboratorio di A.De <strong>La</strong> Rive.Tornò<br />
nuovamente a Parigi nel 1832 e vi rimase, come studioso privato, sino al<br />
1837.Fu il periodo più fecondo della sua carriera scientifi ca, durante il quale<br />
condusse fondamentali ricerche sul calore raggiante.Sull’argomento erano<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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grandi l’oscurità e la confusione d’idee tra i fi sici del tempo.Le brillanti ricerche<br />
condotte nel 1800 dall’astronomo F.W.Herschel, che anticiparono molti<br />
risultati ottenuti dal Melloni, erano state dimenticate, anche perché lo stesso<br />
Herschel ne diede due successive interpretazioni tra loro contraddittorie.<strong>La</strong><br />
pila termoelettrica fu uno strumento rivoluzionario per la ripresa degli studi<br />
sul calore raggiante: la sua sensibilità e la sua prontezza erano enormemente<br />
superiori a quelle dei termometri a liquido usati dai predecessori e consentivano<br />
di sostituire le estese sorgenti di calore ad alta temperatura con<br />
sorgenti di piccole dimensioni a temperatura anche modesta (lampade a<br />
stoppino, fi amme d’alcool, recipienti con acqua calda, lamine di rame riscaldate).<br />
Tutte le operazioni sperimentali erano inoltre rese facili ed esatte da<br />
un dispositivo (descritto nel 1835 e detto poi banco di Melloni), costituito da<br />
una sbarra graduata sulla quale erano montati la sorgente di calore, gli<br />
schermi, le sostanze di sperimentazione e da un braccio girevole che portava<br />
la pila.Il Melloni cominciò con un’estesa serie di esperimenti sull’assorbimento<br />
di calore da parte delle più varie sostanze, diafane, opache, colorate,<br />
tagliate in lastre di uguale spessore.Ottenne risultati inattesi: corpi opachi<br />
per la luce che risultavano trasparenti per il calore e viceversa sostanze<br />
trasparenti per la luce che erano poco permeabili al calore.Il salgemma, per<br />
esempio, opaco per la luce, era trasparente per il calore, l’allume, trasparente<br />
per la luce, era opaco per il calore.Chiamò i primi corpi diatermanie i secondi<br />
atermani, vocaboli rimasti nella scienza nonostante le critiche fi lologiche<br />
cui furono soggetti.Con l’uso di sorgenti di calore diverse il Melloni<br />
scoprì un nuovo fatto inatteso: le sostanze sperimentate assorbivano più o<br />
meno il calore secondo il tipo di sorgente che lo produceva.Il vetro, per<br />
esempio, assorbe il calore irradiato dall’acqua bollente ma trasmette in parte<br />
quello di una lampada a olio.I due calori, pertanto, non sono identici.IlMelloni<br />
interpretò il fenomeno con l’ipotesi che le sorgenti di calore raggiante<br />
emanino qualità diverse di radiazioni, tutte però capaci di riscaldare i corpi.<br />
A questo proposito rimase celebre la delicatissima esperienza con la quale<br />
il Melloni dimostrò nel 1845 che la luce lunare produce calore, mentre aveva<br />
già dimostrato in collaborazione con Nobili che la luce di fosforescenza produce<br />
calore.Questi fenomeni, tra molti altri, furono invocati da H.L.von Helmholtz<br />
nel 1847per giustifi care la conservazione dell’energia.L’analogia con<br />
le radiazioni luminose e un ulteriore approfondimento teorico e sperimentale<br />
del fenomeno lo condussero a ritenere che esiste uno spettro di rifrazione<br />
del calore analogo allo spettro di rifrazione della luce.Per la verifi ca sperimentale<br />
dell’ipotesi il Melloni si trovò in una posizione fortunatissima, avendo<br />
scoperto la diatermaneità del salgemma.Pensò perciò di produrre lo<br />
spettro della luce solare mediante un prisma di salgemma e verifi cò che le<br />
radiazioni infrarosse si estendevano per un’ampiezza circa doppia di quella<br />
che aveva osservato Herschel sperimentando con prismi di vetro.Coi prismi<br />
di salgemma il Melloni analizzò allora altre sorgenti di calore, confermando<br />
l’esistenza di spettri del calore irraggiato.Il sensibilissimo termomoltiplicatore<br />
e il banco gli consentirono di verifi care con molta maggiore semplicità di<br />
quanto avessero fatto i predecessori, e quindi in forma più suggestiva, le<br />
leggi fondamentali del calore raggiante, analoghe a quelle dell’ottica geometrica,<br />
come la rifl essione, la rifrazione e la polarizzazione.<strong>La</strong> variazione dell’intensità<br />
del calore raggiante inversamente al quadrato della distanza fu da<br />
lui verifi cata in modo semplice e originale, rimasto classico: rivolse l’asse del<br />
rifl ettore della pila termoelettrica normalmente a una parete radiante e constatò<br />
che l’intensità della corrente elettrica nel galvanometro collegato non<br />
variava con la distanza della pila dalla parete, il che bastava, per semplici<br />
considerazioni geometriche, per stabilire la validità dell’inversa dei quadrati.<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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Meritori furono anche i suoi studi sui poteri emissivi e assorbenti dei corpi:<br />
dimostrò che tanto il potere emissivo quanto il potere assorbente variano<br />
con la natura del corpo e con la qualità della radiazione, a eccezione del<br />
nerofumo il quale assorbe tutte le radiazioni che lo investono, indipendentemente<br />
dalla loro lunghezza d’onda.Il Melloni avviò in tal modo lo studio del<br />
corpo nero, che sarà proseguito per tutto il secolo.Dimostrò ancora che l’assorbimento<br />
di calore dipende dallo spessore del corpo in esame e non è<br />
un’azione di superfi cie, come si era creduto.Il Melloni sottopose al giudizio<br />
dell’Académie des Sciences di Parigi le precedenti ricerche.L’Académie deputò<br />
al loro esame una commissione che si trovò subito in grave imbarazzo,<br />
sia perché non si sapeva quanto affi damento si potesse fare sul nuovo strumento<br />
adoperato dal Melloni, sia perché i risultati da lui ottenuti erano in disaccordo<br />
con le idee allora correnti, sia infi ne perché era usato il linguaggio<br />
della teoria ondulatoria della luce, non ancora generalmente accettata.<strong>La</strong><br />
commissione, pertanto, andò per le lunghe, esasperando l’impazienza del<br />
Melloni, il quale decise alla fi ne di non curarsi più del giudizio sollecitato e di<br />
pubblicare i propri lavori.L’accoglienza ricevuta dagli scritti del Melloni fu<br />
eccezionalmente lusinghiera.M.Faraday fece oggetto di lezioni alla Royal<br />
Institution di Londra i lavori del Melloni e nel 1834 ne rifece gli esperimenti<br />
principali davanti alla Royal Society, la quale, ammirata dei risultati, conferì<br />
al Melloni la Rumford Medal.Fu un riconoscimento decisivo per la fortuna<br />
dei lavori del Melloni.Nel 1835 egli inviò all’Académie del Sciences di Parigi<br />
una nuova memoria, al cui esame fu deputata una nuova commissione,<br />
composta da S.D.Poisson, Arago e J.B. Biot.<strong>La</strong> commissione, e in particolare<br />
il relatore Biot, prese in esame tutto il precedente lavoro del Melloni, ne<br />
discusse gli apparecchi e i procedimenti, gli chiese di ripetere in sua presenza<br />
le esperienze, gli propose nuovi problemi, che sottopose al calcolo, constatando<br />
l’accordo tra risultati sperimentali e previsioni teoriche.Dopo mesi<br />
di lavoro, presentò una lunga relazione (di 140 pagine), pubblicata nel 1839<br />
nelle memorie dell’Académie, che mise in evidenza le novità e l’importanza<br />
delle scoperte del Melloni e diede parere favorevole alla pubblicazione della<br />
memoria da lui presentata (pubblicazione che invece non avvenne, per ragioni<br />
ignote).Con la relazione di Biot, il Melloni salì a fama internazionale,<br />
onde piovvero le nomine a membro di molte Accademie (Parigi, Berlino,<br />
Pietroburgo, Stoccolma, del Vaticano). Sebbene gli fossero state offerte sistemazioni<br />
accademiche in Francia, il Melloni desiderava rientrare in Italia.<br />
Ne ottenne il permesso nel 1837 per l’interessamento di Arago e di A.von<br />
Humboldt presso il pricipe di Metternich, che a sua volta intercedette presso<br />
la duchessa di Parma Maria Luigia d’Austria. Nel 1839, su segnalazione di<br />
Arago, fu chiamato dal re di Napoli a dirigere il Conservatorio di arti e mestieri<br />
e il gabinetto di meteorologia. Il Melloni si stabilì defi nitivamente a Napoli,<br />
dove nel 1843 sposò l’inglese Augusta Brugnel Philipson, dalla quale<br />
ebbe tre fi glie e un fi glio morto di pochi mesi. Alla quasi totalità dei fi sici del<br />
tempo la natura del calore raggiante sembrò molto diversa dalla natura della<br />
luce.Anche il Melloni aderì a questa concezione dominante, perchè, per<br />
esempio, il salgemma assorbe le radiazioni luminose ma si fa attraversare<br />
dal calore raggiante.Perciò, secondo il Melloni, luce e calore sono effetti<br />
prodotti direttamente da cause differenti (in Annales de chimie et de physique<br />
VIII 1835, 421).Tuttavia, molti altri fenomeni sembravano accomunare<br />
le due cause, onde il Melloni fu indotto a ristudiare il problema aggredendolo<br />
con un’estesa sperimentazione del seguente tipo: una lastrina di allume,<br />
posta sul cammino della radiazione emessa da una lampada, assorbe tutte<br />
le radiazioni calorifi che ma il fascio luminoso che ne emerge attraversa i<br />
vetri trasparenti senza una diminuzione sensibile della sua intensità lumino-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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sa e della sua capacità calorifi ca. Ogni distinzione tra i due effetti della luce,<br />
illuminare e riscaldare, è scomparso. Cade, pertanto, ogni ragione contro<br />
l’identità delle cause che producono l’effetto luminoso e l’effetto calorifi co.<br />
Oggetto di queste ricerche fu una fondamentale Memoria sull’uguaglianza di<br />
costituzione dei raggi di qualunque maniera, vibrati dal sole e dalle sorgenti<br />
luminose e calorifi che, pubblicata nel 1842 nei Rendiconti dell’Accademia<br />
delle Scienze di Napoli. In essa il Melloni sostiene che calore raggiante, luce<br />
e raggi chimici (cioè ultravioletti) sono radiazioni analoghe che differiscono<br />
soltanto nella lunghezza d’onda, accettando la tesi di Ampère del 1832, che<br />
egli stesso aveva combattuto. Nel 1847 fondò l’Osservatorio vesuviano, di<br />
cui assunse la direzione. Verso la fi ne del 1849, sospettato, per i suoi precedenti<br />
politici, di avere favorito i moti rivoluzionari del 1848, ai quali invece era<br />
rimasto estraneo, fu destituito dalle sue cariche. Si ritirò a vita privata nella<br />
sua villa della Moretta a Portici e si dedicò prevalentemente a mandare a<br />
effetto il progetto che aveva in animo da qualche anno, di rielaborare i suoi<br />
studi sparsi in un’opera organica, ormai classica: <strong>La</strong> thermochrose ou la<br />
coloration calorifi que, pubblicata a Napoli nel 1850, in francese, meglio capito<br />
dell’italiano dagli scienziati del tempo. Il titolo sintetizza il concetto fondamentale<br />
ispiratore dell’opera: l’assorbimento selettivo e la varia rifrangibilità<br />
delle radiazioni caloriche consentono di parlare, in via d’immagine, di un<br />
colore del calore o termocrosi. In altri termini, le radiazioni invisibili sono<br />
esattamente della stessa natura delle radiazioni visibili e obbediscono alle<br />
stesse leggi.Proprio questo concetto fondamentale rese superfl uo il neologismo<br />
usato nel titolo dell’opera, caduto pertanto presto in disuso, sebbene<br />
viva ancora in alcuni derivati (termocroico, leucocroico). A lui si debbono<br />
pure alcuni studi sull’induzione magnetica e importanti ricerche meteorologiche<br />
e geofi siche, sulla rugiada, sugli igrometri, sull’irraggiamento del suolo,<br />
sull’origine dei venti in relazione con la situazione barica e infi ne sulle proprietà<br />
magnetiche delle rocce. Il Melloni si spense durante l’epidemia di colera.<br />
Gli furono conferiti molti titoli di appartenenza a ordini quali la Legion<br />
d’onore francese, l’Ordine di Toscana, il Mauriziano e l’Ordine dell’Aquila<br />
nera.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
G.Polvani, G.Todesco, Opere di Macedonio Melloni, I, Bologna, 1954; I.Guareschi, Nuove notizie<br />
storiche sulla vita e sulle opere di Macedonio Melloni, in Memorie della Reale Accademia<br />
delle Scienze diTorino, II, 1, 1909, 59; J.Jamin, <strong>La</strong> physique depuis les recherches d’Herschel.<br />
Melloni et ses travaux sur la chaleur raynnante, in Revue des deux mondes VIII 1854, 1108;<br />
I. Cantù, Italia scientifi ca, 1844, 297; A.Nobile, Elogio storico di Macedonio Melloni, Napoli,<br />
Nobile, 1855; F.Napoli, Macedonio Melloni.Sua Vita e sue scoperte, in Rivista contemporanea<br />
VIII 1856, 245-270; L.Zini, Degli studi di Macedonio Melloni, prolusione letta a Parma<br />
l’11 novembre 1861, Parma, tip.Ferrari, 1861; A.Del Prato, Macedonio Melloni nei moti del<br />
1831 in Parma, Parma, tip. riunite Donati, 1909; Aurea Parma 4 1927, 149-161; A. De la Rive,<br />
Macedonio Melloni, nella Bibliothéque Universelle, 1854; M.Lupo Gentile, Macedonio Melloni<br />
esule e patriota parmigiano, in Italia 1 1913, 4-8; Catalogo generale della Libreria Italiana dall’anno<br />
1847 a tutto il 1899.Indice per materia, Milano, Associazione tip. libraria italiana, 1915,<br />
392; E.Michel, in Dizionario Risorgimento, 3, 1933, 564-565; Enciclopedia italiana, XXII, 1934,<br />
814; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 286; A.Civarella, in Aurea Parma 3 1954, 132-139; Oettinger,<br />
Moniteur d.dates, 1867; U.Thieme-F.Becker, Künstler-Lexikon, XXIV, 1930; C. Ricci,<br />
<strong>La</strong> R.GalleriadiParma, 1896; A.M.Comanducci, Dizionario dei pittori, 1972, 1979; M.Gliozzi, in<br />
Scienziati e Tecnologi, 1976, II, 371-373; Dizionario Bompiani autori, 1987, 1465; A.V. Marchi,<br />
Figure del Ducato, 1991, 198; Grandi di Parma, 1991, 81-82.<br />
MIGLIAVACCA AUGUSTO<br />
Parma 18 gennaio 1838-Parma 11 maggio 1901<br />
Cieco fi n dalla nascita, all’età di sette anni si diede a studiare il violino, per-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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fezionandosi sempre più fi no a raggiungere un virtuosismo ineguagliabile<br />
che gli valse più tardi l’appellativo di Paganini dei suonatori ambulanti (d’ormeville).<br />
<strong>La</strong> sua invalidità e le ristrettezze della famiglia lo costrinsero a un<br />
continuo vagabondaggio.Poiché possedeva una discreta voce, cominciò ad<br />
accompagnare con il canto il suono del violino.Per molti anni il Migliavacca<br />
trascinò la sua cupa disperazione e il suo genuino talento di artista da una<br />
città all’altra.Da giovane fece una tournée nei locali pubblici del Piemonte<br />
e poi, per diverso tempo, accompagnato da un suonatore di chitarra (e più<br />
tardi, per quindici anni, dal violinista Giuseppe Ferrari e dal violoncellista<br />
Bartolomeo marchesi), si aggirò per vie, piazze e cortili di Parma, dinanzi<br />
al vecchio Caffè Marchesi, negli atri degli alberghi Concordia e Croce<br />
Bianca, nelle fi ere e nelle sagre dei paesi della provincia.Ovunque trovò<br />
applausi, consensi ed elogi. Compositore dotato di piacevole vena, il Migliavacca<br />
scrisse e diede alle stampe una marcia (Un addio alla brigata<br />
Ancona), una mazurka (Flora), una polka (Gli ultimi giorni di Carnevale),<br />
valzer (Luce dell’anima, L’usignolo, Gentil pensiero, <strong>La</strong> pace del cuore) e fu<br />
l’autore della nota mazurka variata che porta il suo nome.Per la proprietà di<br />
questa composizione, che il fi glio del Migliavacca vendette per pochi soldi<br />
e che fruttò rilevantissimi diritti d’autore, si accese nel 1928 una lunga vertenza<br />
giudiziaria tra le case editrici musicali Carboni di Parma e Zanibon di<br />
Padova, che fu poi transatta. Di lui parlò, con parole di vivissimo encomio,<br />
il poeta e agente teatrale Carlo d’Ormeville e, venticinque anni dopo la sua<br />
morte, Bruno Barilli lo immortalò in un sanguigno e potente ritratto che è una<br />
delle pagine più belle del Paese del melodramma.Sotto i portici del cimitero<br />
della <strong>Villetta</strong> in Parma il Del Prato gli eresse un busto con dedica di Carlo<br />
Carraglia: MDCCCXXXVIII-MDCCCCI alla memoria del cieco violinista ambulante<br />
Augusto Migliavacca originale, caratteristico, famoso per la maestria<br />
di mano poderosa per soavità d’ineffabile sentimento.All’interprete ed esecutore<br />
insuperabile delle armoniche melodie divine glorie speciali al genio<br />
d’Italia.All’Autore della luce dell’anima dell’usignolo che per quarant’anni li<br />
fece esultare travolgendoli nell’estasi dell’ideale.I suoi concittadini ammiratori<br />
riconoscenti a perpetuo ricordo riverenti posero.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
A. Pariset, Dizionario biografi co, 1905, 69; C.Schmidl, Dizionario universale musicisti, 3, 1938,<br />
534; M. Ferrarini, Parma teatrale ottocentesca, 1947, 219; B.Molossi, Dizionario biografi co,<br />
1957, 101-102; G.N.Vetro, Il giovane Toscanini, 1982, 42; T.Marcheselli, in Gazzetta di Parma<br />
20 agosto 1985; Grandi di Parma, 1991, 84.<br />
NICCOLO’ PAGANINI<br />
Nato a Genova, quarto di sei fi gli, da una famiglia originaria di Carro (SP),<br />
il padre Antonio faceva imballaggi al porto ed era appassionato di musica.<br />
Assieme alla madre Teresa Bocciardo abitavano in Vico Fosse del Colle<br />
poi rinominato Passo di Gatta Mora, non più esistente perché demolito nel<br />
1970.<br />
Fin dalla più giovane età Niccolò apprese dal padre, a furia di botte e costrizioni,<br />
le prime nozioni di musica sul mandolino, e in seguito nel 1792 fu indirizzato<br />
allo studio del violino presso un tale Giovanni Cervetto (o Servetto);<br />
2 anni dopo studia con Giacomo Costa.<br />
Si dice che il padre, dilettante di violino, lo costringesse a stare ore ed ore in<br />
cantina a studiare musica.<br />
All’età di 12 anni il giovane Niccolò si faceva ascoltare nelle chiese di Ge-<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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nova, e per poter pagare un miglior maestro di violino nel 1795 il padre<br />
gli fece dare un concerto. Questa accademia fu data a proprio esclusivo<br />
benefi cio presso il teatro di Sant’Agostino, eseguendo le sue 14 variazioni<br />
sull’aria piemontese “<strong>La</strong> Carmagnola”, per chitarra e violino. Nel 1796 il<br />
padre lo condusse a Parma per un’audizione dal maestro Alessandro Rolla<br />
che ascoltatolo lo indirizzò dal contrappuntista Gasparo Ghiretti a prendere<br />
lezioni di composizione.<br />
I commercianti Livron e Hamelin ottennero il permesso di edifi care un teatro<br />
a Livorno. Per la sua inaugurazione nel 1802, Livron invita Paganini facendogli<br />
dono di un violino, il Guarnieri del Gesù del 1742.<br />
Questo strumento fu il violino più amato da Paganini, che lo chiamava il “mio<br />
cannone violino”. Fu da lui lasciato per testamento alla città di Genova dove<br />
tuttora viene utilizzato in occasioni speciali, ma solamente da violinisti che<br />
abbiano ottenuto precedentemente il permesso in base alle loro capacità.<br />
Diede concerti nell’Italia Settentrionale e in Toscana. Raggiunta una portentosa<br />
abilità, ritornò in Toscana, ove ottenne le più clamorose accoglienze.<br />
Nel 1801, all’età di 19 anni, interruppe la propria attività di concertista, forse<br />
per amore di una ricca signora e si dedicò all’agricoltura e allo studio della<br />
chitarra.<br />
In breve tempo diventò virtuoso anche di chitarra e scrisse molte sonate,<br />
variazioni, e concerti non pubblicati; insoddisfatto, si mise a scrivere sonate<br />
per violino e chitarra, trii, quartetti in unione agli strumenti ad arco.<br />
Paganini scriveva per chitarra a sei corde, strumento che in quel periodo<br />
soppiantò la chitarra “spagnola” a nove corde (quattro doppie e una singola<br />
nella parte alta detta cantino), il che spiega il suo estro negli scoppiettanti<br />
pizzicati sul violino.<br />
Alla fi ne del 1804, all’età di 22 anni, riapparve a Genova, ma tornò a Lucca<br />
l’anno successivo dove accettò il posto di primo violino solista alla corte<br />
della principessa Elisa (detta Marianna) Baciocchi, sorella di Napoleone.<br />
Quando la corte si trasferì a Firenze nel 1809, Paganini la seguì ma per un<br />
banale incidente se ne allontanò e non volle più tornarvi, malgrado i numerosi<br />
inviti.<br />
A Torino è la volta di un’altra parente di Napoleone, Paolina Borghese che<br />
nel castello di Stupinigi, quando lo sente suonare, se lo porta in un paesino<br />
delle Alpi dove consumano il loro ardente e fugace amoretto. Poi <strong>La</strong>uretta,<br />
Tadea Pratolongo, Marina Banti, Caterina Banchieri. Seguono avventure<br />
con ragazze di taverna, con perdite notevoli al gioco, probabilmente, dato le<br />
compagnie che frequentava, contro bari di professione e con disavventure<br />
giudiziarie. In questo periodo contrae verosimilmente la malattia luetica. Ciò<br />
che contribuisce a rendere la sua fi gura enigmatica, alle quale i posteri poi,<br />
cercando di riabilitarlo, diedero un’impronta romantica.<br />
Ad una visione psicologica moderna, i suoi alti e bassi d’umore, la sua avarizia<br />
ripugnante alternata a momenti di estrema generosità e fi lantropia, la<br />
sua ingenua sincerità alternata a furbeschi calcoli interessati, o il carattere a<br />
volte giudicato simpatico, altre isterico, i giorni di studio esasperato e snervante,<br />
seguiti da giorni di ozio più profondo, non sono altro che la conferma<br />
di un’alterazione dell’umore in senso depressivo, con punte maniacali.<br />
Il genio di Paganini riesce a trasformare anche la malattia più insana, come<br />
questa, in musica, nella quale la malattia perde la sua capacità distruttiva<br />
e viene sublimata, lasciando stupefatti e attoniti gli spettatori. Questa può<br />
essere la probabile spiegazione scientifi ca di quello che i contemporanei<br />
giudicavano come qualcosa di demoniaco.<br />
Nella sua vita, Paganini percorse l’Italia tre volte, facendosi applaudire in numerose<br />
città. <strong>La</strong> prima di queste fu Milano, dove era particolarmente amato,<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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nel 1813, a 31 anni; il 29 ottobre, al Teatro Carcano, i critici lo acclamarono<br />
primo violinista al mondo. Qui nel giro di diversi anni diede 37 concerti, in<br />
parte alla Scala e in parte al Carcano.<br />
Nel marzo 1816 trionfò nella sfi da lanciatagli da Ch. <strong>La</strong>font e due anni dopo<br />
ripeté il trionfo in confronto con Lipinski. Strinse amicizia con Rossini e con<br />
Louis Spohr.<br />
Nell’aprile del 1819, a 37 anni suonò a Roma, suscitando una tale impressione<br />
che il principe Klemens von Metternich lo invitò a Vienna, ma le condizioni<br />
di salute, fi n da allora precarie, gli impedirono di accettare.<br />
Andò al Sud, a Palermo, dove nel 1825, vide la luce Achille, il fi glio avuto con<br />
una cantante Antonia Bianchi conosciuta a Como l’anno precedente. Paganini<br />
volle così bene a questo fi glio illegittimo che per averlo, molti anni dopo<br />
la separazione con Antonia, dovette acquistarlo per 2000 scudi dalla madre<br />
e poi farselo riconoscere, manipolando le sue conoscenze altolocate.<br />
Nel 1828 fi nalmente andò a Vienna, dove le lodi ai suoi concerti furono unanimi.<br />
L’Imperatore Francesco I lo nominò suo virtuoso di camera.<br />
Dopo aver dato 14 concerti a Vienna, si recò a Praga dove sorsero aspre<br />
discussioni sul suo valore.<br />
Tra il gennaio 1829 e il febbraio 1831 Paganini percorre in lungo e in largo<br />
la Germania esibendosi in numerosissimi concerti, tutti accuratamente registrati<br />
nella celebre Agenda Rossa e nel Libro Mastro dei Conti. Nel 1829<br />
visita anche la Polonia in occasione dell’Incoronazione dello Zar Nicola I a<br />
re di Polonia (24 maggio 1829).<br />
Nel 1831 arrivò fi nalmente a Parigi, la città della musica dell’epoca dove<br />
ogni musicista veniva realmente consacrato alla fama europea.<br />
Compose anche dal 1817 al 1830 sei concerti per violino e orchestra (famosissimo<br />
il fi nale del secondo detto <strong>La</strong> Campanella); ritornato a Genova<br />
nel 1834, una sonata per la grande viola variazioni su temi di Süssmayr e<br />
Rossini, serenate, notturni, tarantelle.<br />
Il 1834 segna l’inizio dei sintomi più eclatanti di una malattia polmonare<br />
all’epoca non diagnosticata, segnata da accessi di tosse incoercibile, che<br />
duravano anche un’ora, che gli impedivano di dare concerti, che lo spossavano<br />
in maniera debilitante, per la quale furono interpellati almeno venti fra i<br />
medici più famosi d’Europa ma che nessuno riuscì a curare nè a migliorare<br />
minimamente.<br />
Il dottor Sito Borda, pensionato dell’Ateneo di Pavia, fi nalmente pose la diagnosi<br />
di tubercolosi ma pretendeva di curarlo con latte d’asina. Solo in seguito<br />
propose medicamenti mercuriali e sedativi della tosse dell’epoca, con<br />
pochi risultati e grossi effetti collaterali.<br />
Questa diagnosi, ad un esame posteriore moderno, risulta errata, perché il<br />
fi glio Achille non si ammalò mai di tubercolosi, malgrado lo stretto contatto<br />
con la tosse del padre; i disturbi alla gola si presentarono molto tempo prima<br />
che insorgesse la laringite vera e propria; la necrosi dell’osso mascellare<br />
depone più verosimilmente per una gomma luetica che non per una tubercolosi.<br />
Comunque la reazione di Paganini alla malattia fu molto dignitosa e<br />
composta. Malgrado non avesse una buona opinione dei medici, dato che<br />
non erano riusciti a curarlo, si rivolgeva sempre con fi ducia a qualcun altro,<br />
sperando di trovare un medico che potesse aiutarlo. Nonostante la diffi coltà<br />
in cui si trovava, non si abbandonò mai alla disperazione e bisogna riconoscere<br />
che in questi estremi frangenti dimostrò una gran forza d’animo.<br />
Perciò, le manifestazioni maniaco depressive della giovinezza sembrano<br />
essere dovute più alle nottate insonni di quei tempi che ad una malattia<br />
psichiatrica endogena.<br />
Avendo verosimilmente una gomma luetica laringea, dagli sforzi della tosse<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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non poteva più parlare e diventò completamente afono. Gli faceva da interprete<br />
il fi glioletto Achille di 15 anni, che si era abituato a leggere le parole<br />
sulle sue labbra e, quando anche questo non fu più possibile, si mise a<br />
scrivere su biglietti che, rimasti, sono stati sottoposti ad esame grafologico.<br />
Da questo si può dedurre che il rapporto fra Niccolò e Achille fu buono, tanto<br />
che Achille, diventato adulto, cercò di dare continuità all’opera del padre,<br />
continuando a riordinare e a pubblicare le opere del padre; la sua venerazione<br />
si nota al punto che perfi no i nipoti, che non avevano conosciuto il nonno<br />
Niccolò, capiscono e riconoscono l’importanza del nonno, ossia Achille<br />
riesce a tramandargli il lavoro del padre, al punto che i suoi fi gli, quando<br />
muore, venuti in possesso dell’intera opera paganiniana, decideranno di regalarla<br />
allo Stato, e solo dopo un rifi uto metteranno l’opera all’asta.<br />
PEZZANI RENZO<br />
Parma 4 giugno 1898-Castiglione Torinese 14 luglio 1951<br />
Figlio di Secondo, artigiano del ferro, e di Clementina Dodi. L’ambiente in cui<br />
visse la fanciullezza, di schietto sapore popolare, intessuto di dure fatiche,<br />
di slanci passionali e di solidarietà, rivive nelle pagine della sua poesia dialettale.<br />
Se la sua cultura si formò sulle pagine più dense della poesia pascoliana,<br />
senza ignorare Novaro e Moretti, per non dire papini e Manzoni, la sua<br />
ispirazione più genuina guardò, più che alla cultura strettamente letteraria,<br />
ai mutevoli orizzonti di una realtà osservata nel cuore della sua terra. Nel<br />
1915 si arruolò volontario come ardito lancia-fi amme allo scoppio della prima<br />
guerra mondiale. All’entusiasmo patriottico dei primi mesi, subentrò ben<br />
presto una valutazione critica delle cose, con dubbi, scontentezze e ripensamenti.<br />
Infi ne un’amara reazione lo portò a una intensa e tormentosa crisi<br />
spirituale, acuita, nel 1918, dallo sconforto seguito alla morte del padre e<br />
della sorella minore Elsa. Ritornato defi nitivamente alla vita civile, riprese gli<br />
studi (Istituto tecnico e Istituto magistrale) e nel 1919 aderì al socialismo e<br />
al sindacalismo di De Ambris. Nel 1920 fece l’esordio letterario con la pubblicazione<br />
della raccolta di liriche Ombre, con derivazioni stranamente composite<br />
di stilemi futuristico-crepuscolari e qualche pennellata dannunziana.<br />
In Parma, frequentò il Caffè Marchesi di via Garibaldi, luogo di convegno e<br />
di discussioni degli appassionati di lettere e arti, e iniziò l’attività giornalistica:<br />
collaborò a <strong>La</strong> Difesa Artistica (arte, letteratura e teatro, 1921-1923), di<br />
cui divenne direttore nel 1922 e che nel febbraio del 1923 accolse in appendice<br />
Rovente (diretto da Pietro Illari, futurista). Il Pezzani affi ancò a <strong>La</strong> Difesa<br />
artistica una propria casa editrice (ETO) per stampare in proprio la rivista<br />
e pubblicare volumi di poesia e prosa. Sempre nel 1922 compilò il manifesto<br />
Per una religione immanente del Bene, e iniziò l’insegnamento nella scuola<br />
elementare P. Cocconi. Del 1923 è l’abbozzo del mito Le seti di Baussa, rimasto<br />
inedito e introvabile. Nello stesso anno pubblicò il primo lavoro destinato<br />
ai ragazzi: Il sogno di un piccolo re (fi aba in versi, Parma, Fresching) e<br />
fi nì di stampare la raccolta di liriche Artigli (ETO) con coloriture futuriste e<br />
dannunziane. Del 1924 è la breve e presto delusa adesione al fascismo del<br />
Pezzani. Ritornò poi a collaborare attivamente a giornali e fogli di propaganda<br />
politica e di lotta sindacale, particolarmente a Gioventù sindacalista e<br />
L’Internazionale, cui diede la sua adesione fi n dal 1922. In aperto dissenso<br />
col fascismo ormai imperante, subì persecuzioni politiche. Infi ne, amareggiato<br />
e disilluso della vita politica attiva, trovò ospitalità nel monastero di San<br />
Giovanni Evangelista di Parma. I colloqui con l’abate Caronti lo ricondussero<br />
alla pratica religiosa e a studi liturgici. Il Pezzani, più tardi, così esprime<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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quelle esperienze vissute tra il 1920 e il 1924: Partecipò alle battaglie politiche.<br />
Se ne ritrasse con anima nuova e cattolica. Nel maggio 1924 fondò <strong>La</strong><br />
Grande Orma (1924-1925, mensile di religione, lettere e arti), che riporta,<br />
nel 2° numero, la nuova professione di fede del Pezzani. Nel 1925 compose<br />
una Leggenda di San Francesco, rimasta inedita e poi smarrita. Nello stesso<br />
anno il Pezzani subì il forzato allontanamento dalla scuola e la forzata sospensione<br />
de <strong>La</strong> Grande Orma, e collaborò a Battaglie magistrali (periodico<br />
di interessi magistrali della provincia di Parma). Nel 1926 si trasferì a Torino,<br />
dove lavorò alla Società Editrice Internazionale. Pubblicò la raccolta di liriche<br />
<strong>La</strong> rondine sotto l’arco (S.E.I.) e iniziò una multiforme attività giornalistica.<br />
Sempre nel 1926 pubblicò <strong>La</strong> stella verde, romanzo fi abesco, presso la<br />
S.E.I. Nel 1927 compose i primi versi dialettali, Al stizz (Scuola tipografi ca<br />
San Benigno Canavese – S.E.I., rimasti in bozze), destinati alle scuole di<br />
Parma, notevoli come inizio di un interessante settore della produzione poetica<br />
del Pezzani. Inoltre iniziò l’attività di traduttore (racconti e romanzi). Nella<br />
primavera 1928 fondò la casa editrice Le Muse, con il proposito di lasciare<br />
l’uffi cio della S.E.I. (un distacco che avvenne effettivamente soltanto nel<br />
1941) e dedicarsi interamente ad attività editoriali in proprio. <strong>La</strong> prima sede<br />
fu a Torino (via Cirié 14), poi a Parma (strada Cairoli 17). L’attività de Le<br />
Muse durò poco più di un anno e mezzo: se ne ricorda il titolo d’una collana<br />
(Trovatori del tempo nuovo) e pochissimi volumi, nonostante un’ampia programmazione.<br />
Nel 1930 collaborò alla rivista Boccadoro, di cui in seguito<br />
divenne direttore. Pubblicò la raccolta di liriche L’usignolo nel claustro (Alpes,<br />
Milano), i Racconti del coprifuoco (Artigianelli, Pavia) e il romanzo per<br />
ragazzi Corcontento (S.E.I.). Nel 1933 pubblicò Angeli verdi (S.E.I.), canzoniere<br />
degli alberi, e Sole Solicello (<strong>La</strong> Scuola), raccolta di liriche. Del 1935 è<br />
Credere (S.E.I.), racconti cui fu assegnato il premio Pallanza. Compose inoltre<br />
opere in versi e in prosa a ritmo incalzante: <strong>La</strong> casa del padre (Ancora,<br />
Milano), racconto, L’apostolo dell’illusione (Artigianelli, Pavia), romanzo, Il<br />
viatico nella tempesta (Tip. Editrice Commerciale, Vicenza), racconto, e Belverde<br />
(S.E.I.), canzonette. Nel 1936 uscì Cantabile (Gambino, Torino), liriche<br />
nelle quali lo scavo più profondo dell’esperienza umana si realizza in<br />
una espressione ormai personale e robusta. Nel 1937 pubblicò Ruggine<br />
(S.E.I.), fi abe che segnarono l’affermazione del Pezzani quale prosatore per<br />
ragazzi. Due anni dopo pubblicò Il fuoco dei poveri (<strong>La</strong> Scuola), liriche. Sempre<br />
nel 1939, presso <strong>La</strong> Giovane Montagna di Parma, uscì il canzoniere<br />
dialettale Bornisi, matura rivelazione del Pezzani poeta dialettale e nuova<br />
stagione di un dolce stil nuovo per la poesia parmigiana in vernacolo. Nel<br />
1940 fu richiamato alle armi. Dopo qualche mese di servizio, trascorso senza<br />
alcun entusiasmo né giustifi cazione ideale, venne congedato e ritornò a<br />
Torino. Il distacco defi nitivo dalla S.E.I. avvenne nel 1941. Iniziò allora l’attività<br />
editoriale autonoma con le edizioni de Il Verdone (1942-1945). Nel 1943<br />
pubblicò <strong>La</strong> prigione illuminata (Il Verdone), con prefazione polemicamente<br />
antiermetica e con rifacimento di alcuni testi de <strong>La</strong> rondine sotto l’arco<br />
(1926). Sempre all’insegna de Il Verdone uscì il dittico Gesù Giuseppe Maria<br />
e Il fanciullo di Galilea, nonché la fi aba Il re artigiano. Presso la S.E.I. pubblicò<br />
una raccolta di bozzetti, <strong>La</strong> stirpe prediletta, e infi ne fece uscire un<br />
nuovo canzoniere parmigiano, Tarabacli (Il Verdone). L’anno seguente pubblicò<br />
la grande fi aba Re Ombra (Il Verdone). Al 1945 data l’attività partigiana<br />
e antifascista, a Torino e dintorni, del Pezzani. Nello stesso anno vi fu il fallimento<br />
della casa editrice Il Verdone. Il Pezzani aderì al Partito Comunista<br />
Italiano e collaborò con il quotidiano uffi ciale del partito, L’Unità. Nel 1946<br />
volle pubblicare in edizione propria il suo Foco Vivo (corso di letture per la<br />
classi elementari: cinque volumi illustrati, già usciti in 1° edizione nel 1943<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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presso la S.E.I.), progettò una nuova rivista per Parma (Novissima Parma),<br />
che giunse a essere quasi pronta ma che si arrestò alle bozze del primo<br />
numero, e fondò una nuova casa editrice, le Edizioni Palatine (1946-1950).<br />
Del 1948 sono Angelo di fuoco (Edizioni Palatine) e Boschetto (poi ripreso<br />
nella defi nitiva raccolta Innocenza, del 1950), ma una bufera economica si<br />
abbatté sulle Edizioni Palatine, mentre in Pezzani si aggravavano i disturbi<br />
diabetici. L’anno seguente pubblicò <strong>La</strong> Bagaronna, novella dialettale in versi<br />
(Edizioni Palatine) e I mesi dell’anno, <strong>La</strong> cusen’na pramzana, Il specialitè ‘d<br />
Parma (poesie dialettali, in Giallo e blu, Tip. Donati). Del 1950 sono Innocenza<br />
(S.E.I.), raccolta di liriche, e Oc Luster (a cura della biblioteca del Consolato<br />
Parmense), terzo canzoniere dialettale parmigiano. I due volumi, nei rispettivi<br />
campi, segnano la vetta della poesia del Pezzani.<br />
contemporaneamente uscirono, presso Paravia, le liriche Odor di cose buone<br />
e, presso la S.E.I., il romanzo l’orchidea nera. Il Pezzani patì però in quel<br />
periodo nuovi gravi disastri fi nanziari nel campo dell’attività editoriale. Nel<br />
1951 pubblicò la raccolta di liriche Poesie a due voci, in collaborazione con<br />
Giuseppe Colli (Ceam, Avezzano), e scrisse la commedia Al marches Popò.<br />
Le sue ultimissime cose furono l’Inno a Parma, musicato da Ildebrando Pizzetti,<br />
e un centinaio di versetti dettati per i coristi di Parma. sommerso dai<br />
debiti, il Pezzani venne sepolto sotto le azioni giudiziarie che il fi sco e i creditori<br />
fecero precipitare sui suoi beni immobili. Morì stroncato da coma diabetico,<br />
quando ormai si apprestava a traslocare dalla sua villa nella casa del<br />
parroco di Castiglione. Pochi mesi dopo la morte del Pezzani, vide la luce<br />
Frate Luca e le noci (S.E.I., Torino), deliziosa favoletta in versi. Nel 1963, a<br />
cura di Ubaldo e Giovanna Ciabatti (edizione fuori commercio) vennero pubblicate<br />
sette poesie lasciate dal Pezzani tra i suoi scritti inediti. Il 28 novembre<br />
1953 i resti mortali del Pezzani vennero traslati dal piccolo cimitero di<br />
castiglione Torinese alla <strong>Villetta</strong> di Parma, con grande partecipazione di tutta<br />
la cittadinanza. <strong>La</strong> poesia del Pezzani nasce da una singolare biografi a di<br />
irregolare e di inadattabile, e si svolge su un registro tra il grottesco e il macabro,<br />
nella descrizione di una Parma piccolo borghese, cupa, gretta e chiusa.<br />
Pateticamente dolorosa, lungo un discorso che unisce alla nostalgia<br />
dell’infanzia il senso della vita fallita, questa poesia è sempre tragica, desolata,<br />
disperata, anche negli abbandoni più accorati, segnando esiti di indimenticabile<br />
forza e commozione.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Renzo Pezzani nella vita nell’arte nel ricordo (a cura del Cenacolo degli amici di Renzo Pezzani),<br />
Parma, 1952; I. Scaramucci, Renzo Pezzani, Le Monnier, s.d. (probabilmente 1955); J.<br />
Bocchialini, Frammenti e ricordi parmensi, Battei, Parma, 1960; J. Bocchialini, Frammenti di<br />
storia, di arte e di vita parmense, <strong>La</strong> Nazionale, Parma, 1962; J. Bocchialini, Memorie e fi gure<br />
parmensi, <strong>La</strong> Nazionale, Parma, 1964; P. ferretti, <strong>La</strong> vita e l’opera di Renzo Pezzani (tesi di laurea,<br />
università Cattolica del Sacro Cuore, Milano); b. Guareschi, <strong>La</strong> poesia giovanile di Renzo<br />
Pezzani (tesi di laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 1970-1971); M. Delsante,<br />
Renzo Pezzani (tesi di laurea, Università di Bologna, 1959-1960; una copia è depositata nella<br />
biblioteca del Seminario Minore di Parma); G. Marchi, Renzo Pezzani editore, Battei, Parma,<br />
1985; in Aurea Parma sono numerose pagine critiche, dalla prima produzione poetica del Pezzani<br />
fi no a quella più recente; in Gazzetta di Parma sono note puntuali a ogni pubblicazione del<br />
Pezzani e sintesi di lettura del 1951 in poi; G. Marchetti, <strong>La</strong> petite capitale, Parma, 1979, 171-<br />
179; Renzo Pezzani, in Gazzetta di Parma 15 ottobre 1971; G. Capelli, Umanità e arte di Renzo<br />
Pezzani, in Parma economica 8 1972, 23-30; M. Gaj, <strong>La</strong> voce di Renzo Pezzani nella poesia del<br />
suo tempo, in Aurea Parma 1972, 110-126; F. Squarcia, Pezzani, in Aurea Parma 1951, 151-<br />
161; M. Gaj, Poesie d’oggi: Ungaretti, Montale, Pezzani, Bergamo, 1950; A. De Caro, Un poeta<br />
fedele al suo stile: Renzo Pezzani, in <strong>La</strong> Fiera Letteraria 9 dicembre 1951; P. Bargellini, Canto<br />
alle rondini, Vallecchi, 1953; A. Galletti, Il Novecento, in Storia letteraria d’Italia, Vallardi, Milano,<br />
1967 (3a ediz., 4a ristampa), 527 e 564; G. Fanciulli, Pezzani Poeta, ne L’indice d’oro, n. 9<br />
settembre 1951; C. betocchi, Poesia di Pezzani, ne Il Frontespizio, fi renze, novembre 1951; G.<br />
Ravegnani, Renzo Pezzani, ne <strong>La</strong> Fiera Letteraria 15 gennaio 1927; R. Fantini, Un’ora con le<br />
Muse: <strong>La</strong> rondine sotto l’arco di Renzo Pezzani, in Vita Nuova 29 gennaio 1927; R. Fantini, Libri<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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di poesia e di musica, in Vita Nuova 22 agosto 1931; F. Casnati, Renzo Pezzani, ne Il Popolo<br />
di Milano 28 settembre 1951; C. Villani, Un poeta del XX secolo: Renzo Pezzani, in Convivium<br />
n.2 1935; O. castellino, Un poeta parmigiano a Torino, in Torino n. 3 1951; P. Bargellini, I Crepuscolari,<br />
ne L’indice d’oro n. 5, 1955; G. Zoppi, Un Poeta: Renzo Pezzani, in Giornale del popolo,<br />
Bergamo, 29 settembre 1933; L. Tonelli, <strong>La</strong> musa e i tempi, ne Il Resto del Carlino 27 febbraio<br />
1927; F. Palazzi, Pezzani, in L’Italia che scrive marzo 1927; G. Colli, Ricordo Renzo Pezzani, in<br />
Torino n. 10, 1951; G. Colli, Pezzani poeta fedele, ne <strong>La</strong> Gazzetta del Popolo 15 luglio 1951; A.<br />
Biancotti, Ricordo di Renzo Pezzani, ne Il Giornale Letterario 25 luglio 1951; I. Audino <strong>La</strong>una,<br />
Poesie e mondo poetico di Renzo Pezzani, ne Il solitario n. 21 1951; G. Fanciulli e E. Monaci,<br />
<strong>La</strong> letteratura per l’infanzia, Torino, 1937, 272 e 273; A. Codignola, Pedagogisti, 1939, 337; B.<br />
Molossi, Dizionario biografi co, 1957, 118-119; P.P. Pasolini, Introduzione a Poesia dialettale del<br />
Novecento, Parma, 1952; Dizionario UTET, IX, 1959, 1086; G. Colli, in sodalizio luglio-agosto<br />
1951; R. Fantini, in Avvenire d’Italia 27 luglio 1951 e 15 luglio 952; I. Petrolini, in Aurea Parma<br />
XXVI 1952; G. Sardo, in Popolo 1 agosto 1952; Dizionario Enciclopedico letteratura italiana, 4,<br />
1967, 351; Parma economica 8 1972, 23-30; I. Domino, in Due donne e dieci uomini, Firenze,<br />
All’insegna del libro, 1938; A. Gr., in <strong>La</strong> Stampa 28 febbraio 1951; Dizionario letteratura italiana<br />
contemporanea, 1973, 591-592; M. Dall’Acqua, Terza pagina della Gazzetta, 1978, 307; M.<br />
Caroselli, <strong>La</strong> storia di Parma, 1980, 99; V. Sani, in Gazzetta di Parma 14 luglio 1981, 3; T.<br />
Marcheselli, in Gazzetta di Parma 15 febbraio 1984; R. Pezzani, Opera omnia, 1988, 491-501;<br />
Grandi di Parma, 1991, 90; dizionario letteratura Novecento, 1992, 421; Al Pont ad Mez 1998<br />
(numero monografi co di 144 pagine dedicato interamente al Pezzani).<br />
PIGORINI PIETRO<br />
Mariano di Marore 7 marzo 1833-Parma 17 ottobre 1891<br />
Passò i primi anni di vita aiutando nel lavoro il padre mugnaio. Nel 1852,<br />
grazie all’aiuto di alcuni benefattori che lo fecero studiare, si laureò in scienze<br />
matematiche, poi andò a Parigi dove prese la libera docenza. A soli ventiquattro<br />
anni il Pigorini fu professore di astronomia nonché direttore dell’osservatorio<br />
astronomico di Parma. Dopo aver visitato nel 1858 (inviatovi dal<br />
Governo) i principali osservatori in francia e Inghilterra, portò un notevole<br />
impulso scientifi co nella propria città. Dal 1864 al 1868 occupò la cattedra di<br />
calcolo differenziale e integrale, mentre nel 1873 ebbe la nomina di ordinario<br />
di fi sica, raccogliendo l’eredità di Macedonio Melloni. Le onorifi cenze per il<br />
Pigorini non tardarono a venire: fu membro della Società astronomica di<br />
heidelberg, membro corrispondente dell’Accademia delle scienze di Lione<br />
e, con decreto del 27 marzo 1877, venne nominato cavaliere della Corona<br />
d’Italia. Per quattro anni consecutivi il Pigorini fu Rettore dell’Università di<br />
Parma. Sedette due volte nel Consiglio municipale di Parma e appartenne<br />
al Consiglio di amministrazione dell’Orfanotrofi o Vittorio Emanuele. Tra gli<br />
scritti del Pigorini, vanno ricordati gli Studi fi sici negli ultimi tempi.<br />
Fonti e Bibl.:<br />
A.Pariset, Dizionario biografi co, 1905, 87-88; Grandi di Parma, 1991, 23.<br />
PIZZETTI ILDEBRANDO<br />
Parma 20 settembre 1880-Roma 13 febbraio 1968<br />
Studiò pianoforte col padre Odoardo, pianista e professore di teoria della<br />
Scuola musicale di Reggio Emilia, dove il Pizzetti visse i primi anni di vita,<br />
dimostrando prestissimo una grande passione per il teatro. Frequentò il ginnasio<br />
e nel 1895 entrò nel Conservatorio di Parma. Vi studiò per sei anni<br />
armonia e contrappunto con Telesforo Righi e approfondì la conoscenza del<br />
canto gregoriano e della musica vocale e strumentale dei secoli XV e XVI<br />
attraverso l’insegnamento di Giovanni tebaldini, direttore dell’istituto. Dopo<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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aver esercitato l’insegnamento privato e svolto per due stagioni (1901-1902)<br />
l’attività di maestro sostituto di C. Campanini e A. Conti al Teatro Regio di<br />
Parma, ottenne la cattedra di composizione al Conservatorio della città<br />
(1907). Frattanto, dopo vari tentativi (Romeo e giulietta, Lena, Mazeppa,<br />
Aeneas) di accostarsi a shakespeare, Byron, Corneille, Pu?skin e Ovidio,<br />
scrisse la musica di scena per <strong>La</strong> Nave di D’Annunzio e nel 1908 esordi con<br />
questa opera al Teatro Argentina di Roma, dando inizio a un lungo periodo<br />
di amicizia e collaborazione con il poeta, che lo battezzò Ildebrando da Parma.<br />
Nello stesso anno divenne professore di armonia e contrappunto nell’Istituto<br />
Musicale L. Cherubini di Firenze, che diresse dal 1917 al 1924.<br />
Questa città infl uì con la sua atmosfera culturale sulla formazione del Pizzetti,<br />
che vi fondò con E. Consolo la Società degli Amici della Musica e con G.<br />
Bastianelli la pubblicazione periodica Dissonanze, organo della musica contemporanea<br />
in Italia, e frequentò la cerchia di bastianelli, Papini, Soffi ci,<br />
Salvemini, Prezzolini e De Robertis, raccolti intorno al periodico <strong>La</strong> Voce.<br />
Dal 1924 al 1936 diresse il conservatorio di Milano, svolgendo pure attività<br />
di direttore di concerti e di opere proprie. Dopo aver compiuto una tournée<br />
in America (1929), dove tra l’altro presentò al metropolitan Fra Gherardo, nel<br />
1936 succedette a Respighi come titolare della cattedra di perfezionamento<br />
in composizione all’Accademia di Santa Cecilia in Roma, che tenne fi no al<br />
1958. Fu presidente dell’Accademia dal 1948 al 1951. Accademico d’Italia<br />
dal 1939, nel 1931 vinse il premio Mussolini per la musica, nel 1950 vinse il<br />
Premio Italia con l’opera radiofonica Ifi genia e nel 1958 ebbe il premio internazionale<br />
Feltrinelli. Svolse attività di critico musicale sul Secolo di Milano<br />
(1910), sulla Tribuna di Roma (1937), sulla Nazione di Firenze e su vari<br />
periodici e riviste musicali. Se la vita del Pizzetti infl uì sulla sua produzione<br />
artistica e sui suoi orientamenti, ciò avvenne certamente in misura minore di<br />
quanto non avvenga per la maggior parte dei musicisti. Infatti il Pizzetti scelse<br />
per sé una vita normale, tutta dedita alle sue multiformi attività di compositore,<br />
scrittore, organizzatore e direttore di musica. Una cosa non gli mancò<br />
mai: una cerchia di amicizie che gli consentì di esprimere le sue non comuni<br />
doti di conversatore, di dibattere i problemi vivi della cultura e, soprattutto, di<br />
passare dal momento teoretico a quello realizzativo. <strong>La</strong> sua non fu una vita<br />
da salotto, ma di cenacolo sì. Certe sue inclinazioni verso l’Arcadia non<br />
sono, dunque, il frutto di un credo estetico, bensì di una naturale predisposizione<br />
a discutere e a elaborare le sue pur personalissime idee nel crogiolo<br />
del dibattito collettivo. In questo senso il Pizzetti fu l’esatto opposto del musicista<br />
puro, severamente impegnato soltanto nella sua opera di compositore,<br />
cui tutti gli altri interessi facevano al massimo da corona. Si ricorda di lui<br />
una conferenza su Dante, e non sulla musicalità o sulla musicabilità di Dante,<br />
bensì proprio sulla sua opera di poeta: tutto ciò che porta all’approfondimento<br />
della conoscenza dell’uomo è fondamentale per un musicista, tanto<br />
più se si tratta di un musicista, come il Pizzetti fu, essenzialmente di teatro.<br />
Nel periodo in cui il Pizzetti si affacciò alla vita culturale, la cultura italiana<br />
stava vivendo una profonda crisi di trasformazione. <strong>La</strong> cultura del XIX secolo<br />
non era andata molto al di là di un impegno politico inteso in primo luogo<br />
come impegno di scoperta di un’identità culturale nazionale e di proclamazione<br />
di un patriottismo e di un’apertura sociale che non uscirono dalla genericità.<br />
Le grandi trasformazioni economiche e strutturali in atto esigevano<br />
una presa di posizione assai più analitica sui rapporti sociali concreti e nello<br />
stesso tempo travolgevano antichi modelli e valori senza che ne apparissero<br />
dei nuovi di una qualche consistenza e durata. <strong>La</strong> stessa retorica, unica<br />
fonte di certezze, fu sottoposta alla pressione di contenuti mai prima considerati<br />
che imposero forme adeguate assolutamente nuove. Fu l’epoca degli<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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-ismi e delle poetiche premesse al concreto poetare. Solo gli operisti sembrarono<br />
sfuggire al contagio di questa rimessa in discussione di tutto, ma fu<br />
illusione di breve durata: anche il rapporto tra il melodramma e il suo pubblico<br />
si fece precario, soprattutto diventò sempre meno possibile fare musica<br />
buona per tutti. <strong>La</strong> giovinezza del Pizzetti trascorse appunto nel periodo in<br />
cui gli stessi protagonisti della stagione verista andavano affannosamente e<br />
disordinatamente alla ricerca di nuovi soggetti, di nuove tecniche, di un ampliamento<br />
e di un affi namento del linguaggio. Il divorzio tra musica e cultura<br />
stava per tramontare: le capacità trasformistiche del melodramma mostrarono<br />
chiaramente di avere dei limiti e la cultura, perdendo le sue certezze,<br />
dovette dimettere la boria accademica che spesso l’aveva tenuta lontana<br />
dalla coscienza nazionale. Il clima era adatto alla discussione e il temperamento<br />
personale del Pizzetti fece il resto. Trascorsi gli anni di Parma nella<br />
lettura di testi teatrali (fatto comune a tutti i musicisti italiani), il Pizzetti fu<br />
nominato professore al Cherubini di Firenze. Fu subito a contatto con D’Annunzio,<br />
allora fi esolano d’elezione, con Giannotto Bastianelli e, poco a poco,<br />
con tutti gli intellettuali che facevano capo alla rivista <strong>La</strong> Voce. Per inciso, a<br />
Firenze fondò la Società degli Amici della Musica ed esercitò l’attività di critico<br />
della Nazione, nonché di corrispondente del Secolo di Milano. Più tardi,<br />
in epoca fascista, i dibattiti culturali si smorzarono e allora l’attività teorica<br />
del Pizzetti si limitò a quella di critico (<strong>La</strong> tribuna), nonché di saggista sulle<br />
riviste specializzate. Il Pizzetti manifestò la vocazione a fare il presidente<br />
(Accademia di Santa Cecilia, società italiana autori editori), ma ciò fu dovuto<br />
al fatto che, a qualunque istituzione partecipasse, egli vi svolse effettivamente<br />
attività e non si limitò a intendere la sua partecipazione come un fatto<br />
puramente onorifi co. Si tenne sempre al corrente della produzione musicale<br />
contemporanea. Anzi, il suo scritto giovanile Musicisti contemporanei (1914),<br />
pur contenendo lacune d’informazione dovute al fatto che è diffi cile prendere<br />
visione di un’opera musicale prima che sia trascorso qualche anno dalla<br />
prima esecuzione, costituisce un panorama assai ricco e, quel che più conta,<br />
insolitamente imparziale per un’opera uscita dalla penna di uno che era<br />
sulla breccia. Come formazione culturale il Pizzetti appartenne senz’altro<br />
alla generazione dell’Ottanta, eppure non si riscontra, nei suoi scritti, quel<br />
livore antiromantico che caratterizza le prese di posizione dei suoi colleghi:<br />
anzi la sua valutazione dell’opera italiana ottocentesca e perfi no verista, è<br />
serena, magari discutibile ma certamente coerente con le sue idee. Il suo<br />
essere personaggio emergente per mezzo secolo nella vita musicale italiana<br />
costituisce, a conti fatti, il suo massimo contributo alla storia della musica.<br />
Immediatamente dopo la sua scomparsa i suoi lavori praticamente<br />
scomparvero dai cartelloni dei teatri e dai programmi dei concerti. Il fatto è<br />
generale: la generazione precedente quella in attività non è suffi cientemente<br />
antica per essere storicizzata e non è suffi cientemente moderna per mantenere<br />
l’attualità. Però dall’eclissi rossiniana si salvò Il Barbiere di Siviglia,<br />
da quella mascagnana la Cavalleria rusticana, da quella di Respighi Le fontane<br />
di Roma. Probabilmente la ragione di questo fatto sta nella caratteristica<br />
dell’opera pizzettiana di non essere stata sogetta ad alti e bassi ma, a<br />
parte le opere di apprendistato, di aver mantenuto tutta uniformemente un<br />
alto livello. Non esiste, forse, il lavoro che emerge, che presenta punte di<br />
genialità prorompente e irripetibile. Ma ciò era estraneo al carattere del Pizzetti.<br />
Basti pensare al suo primo modello ideale: il canto gregoriano. Nel<br />
canto gregoriano la singola sfumatura, lo stilema ritmico o melodico e l’improvvisazione<br />
del momento non hanno mai valore prevaricante: è il tutto che<br />
conta e compito della singola parte è di costruire il tutto e di armonizzare con<br />
esso. Il canto gregoriano non ha momenti di stanca o momenti di accensio-<br />
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ne che non siano giustifi cati dall’economia generale. L’opera del Pizzetti ha<br />
appunto questo carattere del prevalere della globalità sul particolare. Ciò<br />
non signifi ca che il particolare non sia accuratamente studiato, non abbia<br />
valore intrinseco, ma solo che esso non soverchia mai la concezione generale<br />
dell’opera. L’ascolto musicale non è generalmente rivolto alla globalità<br />
dell’opera e la sua tensione non è continua: stimolata dal particolare emergente,<br />
poi via via si rilassa in attesa di un’altra fonte di richiamo. Forse a<br />
questo fu dovuta la temporanea eclissi dell’opera pizzettiana. <strong>La</strong> carriera<br />
teatrale del Pizzetti si aprì con D’Annunzio e, se si fa eccezione per L’assassinio<br />
nella cattedrale, Il calzare d’argento e Clitennestra, si chiuse con D’Annunzio.<br />
Vennero dapprima le musiche di scena per <strong>La</strong> nave, che rivelarono<br />
il valore del Pizzetti al pubblico e al poeta, poi seguì un progetto per la riduzione<br />
a melodramma della Fedra di Euripide. Il Pizzetti era in grado di scrivere<br />
i libretti da sé e anzi, quando lo fece, ne trasse giovamento la corrispondenza<br />
tra parola<br />
e musica. Ma a quell’epoca (1909) la soggezione del giovane Pizzetti nei<br />
confronti del Vate affermato fu tale che, quando il poeta, cui il progetto e il<br />
libretto erano stati sottoposti, disse che avrebbe provveduto egli stesso alla<br />
stesura del libretto, il Pizzetti non solo non osò rifi utare ma se ne sentì lusingato.<br />
I versi, già di per sé musicali, di D’Annunzio erano una camicia di forza<br />
per qualsiasi musicista, tanto più se non aveva il coraggio di pretenderne<br />
l’assoggettamento alle proprie esigenze: ne sapeva qualcosa Mascagni, reduce<br />
dalla tormentata composizione della dannunziana Parisina. <strong>La</strong> soluzione<br />
fornita al problema dal Pizzetti consiste in un declamato melodico che<br />
differisce da quello mascagnano solamente per una maggior pacatezza e<br />
apollineità ereditata dal canto gregoriano. Anche la coralità è meno decorativa,<br />
più essenziale e a volte costituisce il senso profondo del dramma più<br />
ancora del comportamento scenico e vocale dei singoli: eredità, questa, della<br />
classicità greca da cui l’opera è desunta, ma anche prodotto originale<br />
della sensibilità pizzettiana. Dopo Fedra il Pizzetti rimase, nella concezione<br />
formale del teatro, un dannunziano, però i versi dell’immaginifi co gli andavano<br />
stretti e, consapevole ormai del proprio valore, provvide da solo ai libretti<br />
delle proprie opere. Per D’Annunzio compose ancora le musiche per <strong>La</strong><br />
Pisanella (ma sono musiche di scena) e <strong>La</strong> sinfonia del fuoco per Cabiria.<br />
Bisogna fare un salto di quasi quarant’anni per ritrovare, nel catalogo dell’opera<br />
pizzettiana, un dramma dannunziano musicato, dall’alto di una semisecolare<br />
esperienza e senza l’ingombrante presenza dell’autore, dal Pizzetti:<br />
<strong>La</strong> fi glia di Iorio. l’allontanamento dal D’Annunzio non fu, tuttavia, dovuto<br />
soltanto a motivi contingenti relativi al bisogno, da parte del Pizzetti, di disporre<br />
di una maggiore fl essibilità del libretto. Come bussole per orientarsi<br />
in un mondo in fase di radicale trasformazione, contenuti-valori permanenti<br />
e resistenti al mutare delle forme di organizzazione del mondo, il Pizzetti<br />
scoprì in sé due cose fondamentali: la classicità nella forma (e questa D’Annunzio<br />
poteva fornirgliela) e l’amore, un amore universale di chiara derivazione<br />
religiosa (a questo proposito poeta e musicista si trovarono su sponde<br />
opposte). Il tema dell’amore è il fi lo conduttore che congiunge tra loro opere<br />
pizzettiane anche assai diverse per argomento e tematica contingente: da<br />
Dèbora e Jaéle allo Straniero, a Orsèolo, a L’oro, a Vanna Lupa, alla radiofonica<br />
Ifi genia, a Cagliostro e, fi nalmente, all’Assassinio nella Cattedrale,<br />
nel quale i tormenti delle opere precedenti sembrano comporsi in una superiore<br />
purifi cazione. Il numero e il valore delle composizioni corali (naturalmente<br />
si citano di preferenza le composizioni di più ampie dimensioni, come<br />
il Requiem, ma forse si trovano pagine ancora più pregnanti e partecipate in<br />
certe piccole composizioni, come Cade la sera) comprovano l’importanza<br />
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che questo genere musicale ebbe per il Pizzetti. <strong>La</strong> musica strumentale del<br />
Pizzetti, oltre a quella destinata in qualche modo alla scena, concilia la perfetta<br />
strumentalità alla sua sensibilità drammatica, che dovunque cerca il<br />
canto. Esemplari sono, a questo proposito, non solo i Canti della stagione<br />
alta per pianoforte e orchestra ma anche composizioni apparentemente<br />
meno adattabili al continuo melologo, come la bella Sonata per violino e<br />
pianoforte. Non si può chiudere un discorso sul Pizzetti senza citare il suo<br />
prezioso e copioso contributo all’arricchimento del repertorio della lirica vocale<br />
italiana. Fu sepolto nel cimitero della <strong>Villetta</strong> di Parma. Il Pizzetti fu autore<br />
delle seguenti composizioni: opere teatrali, Il Cid (A. Beggi; non rappresentata<br />
e distrutta, 1902), Fedra (libretto proprio, da D’Annunzio, Milano,<br />
1915), Dèbora e Jaéle (proprio; ivi, 1922), Fra gherardo (Milano, 1928), Lo<br />
straniero (Roma, 1930), Orséolo (Firenze, 1935) L’oro (Milano, 1947), Vanna<br />
Lupa (Firenze, 1949), Ifi genia, tragedia musicale radiofonica (libretto proprio<br />
e di A. Perrini; RAI, 1950; in teatro, Firenze, 1951), Cagliostro (RAI,<br />
1952; in teatro, Milano, 1953), <strong>La</strong> fi glia di Iorio (libretto proprio, da D’Annunzio;<br />
Napoli, 1954), L’assassinio nella cattedrale (libretto proprio, da T. S.<br />
Eliot; milano, 1958), Il calzare d’argento (R bacchelli; Milano, 1961), Clitennestra<br />
Milano, 1965), Rondò veneziano, azione coreografi ca (caramba; Milano,<br />
1931); musiche di scena: <strong>La</strong> Nave, 2 pezzi (D’Annunzio; Roma, 1908),<br />
<strong>La</strong> pisanella (D’Annunzio; Parigi 1913; come azione coreografi ca, Roma,<br />
1955), <strong>La</strong> sacra rappresentazione d’Abram e d’Isaac (F. Belcari; Firenze,<br />
1917; 2ª versione ampliata, 1926), agamennone (Eschilo; Siracusa, 1931),<br />
Le Trachinie (Sofocle, Siracusa, 1933), <strong>La</strong> rappresentazione di S. Uliva (C.<br />
d’Errico, da anonimo del secolo XVI; Firenze, 1933), Edipo a Colono (sofocle;<br />
Siracusa, 1936), Le feste delle Panatenee (Paestum, 1936), Come vi<br />
piace (Shakespeare; Firenze, 1938), <strong>La</strong> lunga notte di Medea (C. Alvaro;<br />
Milano, 1949), Il Campiello (Goldoni; Venezia, 1957); musiche per fi lm: Cabiria<br />
di G. Pastrone (1914), Scipione l’Africano di C. Gallone (1937), I promessi<br />
sposi di M. camerini (1941), Il mulino del Po di A. <strong>La</strong>ttuada (1949), per<br />
orchestra: Sinfonia in la (1940), Extase, intermezzo (1898), Il sonno di Giulietta,<br />
(1899), Ouverture per l’Edipo a Colono (1901), 3 preludi sinfonici per<br />
l’Edipo Re (1904), Ouverture per una farsa tragica (1911), <strong>La</strong> Pisanella, suite<br />
dalle musiche di scena (1913), Sinfonia del fuoco, per Cabiria (1914),<br />
Danze per l’Aminta del Tasso (1914), Concerto dell’estate (1928), Rondò<br />
veneziano (1929), Canzone di beni perduti (1950), preludio a un altro giorno<br />
(1951); per strumento solista e orchestra: Poema emiliano per violino (1913),<br />
Canti della stagione alta, concerto per pianoforte (1930), Concerto in do per<br />
violoncello (1934), Concerto in la per violino (1945), Aria (Augurio nuziale)<br />
per violini all’unisono (1958), Concerto in mi bem. per arpa (1960); musica<br />
vocale con orchestra: Canto di guerra per coro (1899), Canzone a maggio<br />
per solo e coro (1901), Scena lirica da Le ruine di braunia (R. Salustri, 1901),<br />
Messa a 4 voci e archi (sine Credo, 1902), 2 Liriche drammatiche napoletane<br />
per tenore (versione anche per pianoforte, 1916-1918), L’ultima caccia di<br />
S. uberto per coro (versione anche senza coro, 1929), Epithalamium per<br />
soprano tenore e baritono, coro e piccola orchestra (dai Carmina di Catullo,<br />
1939), Oritur Sol et occidit, cantata per baritono (1943), Cantico di Gloria:<br />
attollite portas (dai Salmi) per 3 cori, 24 fi ati, 2 pianoforti e percussioni (1948)<br />
Vanitas vanita-tum, cantata per soli, coro maschile (1958), Vocalizzo per<br />
mezzosoprano (1960), Filiae Jerusalem, adjuro vos, piccola cantata d’amore<br />
per soprano, coro femminile e orchestra (1966); inoltre: 3 Canzoni (Donna<br />
lombarda, <strong>La</strong> prigioniera, <strong>La</strong> pesca dell’anello) per soprano e quartetto o<br />
orchestra d’archi (1926); 2 Poesie d’Ungaretti (<strong>La</strong> Pietà, Trasfi gurazione)<br />
per baritono, violino, viola, violoncello e pianoforte (1953); musica da came-<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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ra: 2 quartetti (in la, 1906, in re: 1933); Trio con pianoforte (1901, distrutto),<br />
Trio con pianoforte in 1a (1925); sonata per violino e pianoforte (1901, distrutta),<br />
Sonata in la per violino e pianoforte (1919), Sonata in fa per violoncello<br />
e pianoforte (1921), Aria in re per violino e pianoforte (1906), Colloquio,<br />
per violino e pianoforte (1949); 3 Canti (versione per violino e pianoforte e<br />
per violoncello e pianoforte, 1924); per pianoforte: Sogno (1898), Foglio<br />
d’album (1906), Poemetto Romantico (1909), Da un autunno già lontano, 3<br />
pezzi (1911), Sonata 1942 (1942), Canti di ricordanza, variazioni su un tema<br />
di Fra Gherardo (1943), cori, 3 Cori sacri (Ave Maria a 3 v., Tantum ergo a 3<br />
voci maschili, Tenebrae factae sunt a 6 v.; 1897), 2 Canzoni (Per un morto a<br />
4 voci maschili, <strong>La</strong> rondine a 6 voci, 1913), Canto d’amore a 4 voci maschili<br />
(1914), <strong>La</strong>mento con tenore (Shelley, 1920), Messa di Requiem per 4-12<br />
solisti (1922), De Profundis a 7 voci (1938), 3 Composizioni corali (Cade la<br />
sera, D’Annunzio; Ululate, quia prope est dies Domini, Isaia; Recordare,<br />
Domine, Geremia; 1942-1943), 2 Composizioni corali a 6 voci (1961), Cantico<br />
di gloria per coro misto, 2 cori maschili e 22 strumenti (1968); liriche: 3<br />
liriche (I. Cocconi: Vigilia nuziale, Remember, Incontro di marzo; 1904), Sera<br />
d’inverno (M. Silvani, 1906), I pastori (D’Annunzio, 1908), <strong>La</strong> madre al fi glio<br />
lontano (R. Pantini, 1910), Erotica (D’Annunzio, 1912) S. Basilio (poesia<br />
popolare greca, 1912), Il Clefta prigione (1912), Passeggiata (G. Papini,<br />
1915), 2 liriche drammatiche napoletane (S. Di Giacomo, 1916-1918), 3 Sonetti<br />
del Petrarca (<strong>La</strong> vita fugge, Quel rosignuol, Levommi il mio pensier;<br />
1922), Altre 5 liriche (Adjuro vos, fi liae jerusalem, Oscuro è il ciel, Augurio,<br />
Mirologio per un bambino, Canzone per ballo; 1932-1933) E il mio dolor io<br />
canto (J. Bocchialini, 1940), 3 liriche (Bebro e il suo cavallo, poesia popolare<br />
greca; Vorrei voler, Signor, quel ch’io non voglio, Michelangelo; In questa<br />
notte carica di stelle, M. Dazzi; 1944), 3 Canti d’amore (1956-1959). Inoltre<br />
eseguì revisioni e trascrizioni di sonate per violino di F. M. Veracini e di madrigali<br />
di C. Gesualdo di Venosa. Il Pizzetti fu inoltre autore dei seguenti<br />
scritti: <strong>La</strong> musica dei Greci (Roma, 1914), Musicisti contemporanei (Milano,<br />
1914), Intermezzi critici (Firenze, 1921), <strong>La</strong> musica italiana dell’Ottocento (in<br />
L’Italia e gli Italiani del sec. XIX, Firenze, 1930), Paganini (Torino, 1940),<br />
Musica e dramma (Roma, 1945); <strong>La</strong> musica italiana dell’ottocento (Torino,<br />
1947), commemorazione di G. Puccini nel primo centenario della nascita<br />
(Milano, 1959). Inoltre scrisse articoli e saggi vari in Rivista Musicale Italiana,<br />
pianoforte, Rassegna Musicale, Pegaso, Marzocco, <strong>La</strong> Voce, <strong>La</strong> Scala<br />
(fra cui, Ildebrando Pizzetti si confi da, 1949).<br />
Fonti e Bibl.:<br />
A. della Corte, Ildebrando Pizzetti e la Fedra in Rivista d’Italia 1915; G. Barini, Fedra di Gabriele<br />
D’Annunzio e Ildebrando Piezzetti, in Nuova Antologia 1915; D. Sincero, <strong>La</strong> première di Fedra<br />
alla Scala, in Rivista Musicale Italiana 1915; R. Fondi, Ildebrando Pizzetti e il dramma musicale<br />
italiano di oggi, Roma 1919; G.M. Gatti, Le liriche di Ildebrando Pizzetti, in Rivista Musicale<br />
Italiana 1919; M. Castelnuovo-Tedesco, <strong>La</strong> pisanella di Ildebrando Pizzetti, in Critica Musicale<br />
1919; F.B. Pratella, Due avvenimenti musicali: Fedra di Ildebrando Pizzetti, in L’evoluzione<br />
della musica dal 1910 al 1917, Milano, 1919; Il Pianoforte, numero speciale dedicato al Pizzetti,<br />
1921; R. Giani, Note marginali agli Intermezzi Critici di Ildebrando Pizzetti, in Rivista Musicale<br />
Italiana 1921; G.M. Gatti, Debora e Jaele di Ildebrando Pizzetti: guida attraverso il poema e<br />
la musica, Milano, 1922; G. Barini, Debora e Jaele dramma di Ildebrando Pizzetti, in Nuova<br />
Antologia 1923; L. Pagano, Debora e Jaele di Ildebrando Pizzetti, in Rivista Musicale Italiana<br />
1923; G.M. Gatti, L’opera drammatica di Pizzetti, in Il Pianoforte 1926; M. Pilati, Fra Gherardo<br />
di Ildebrando Pizzetti, Milano, 1928; F. Brusa, Fra Gherardo di Ildebrando Pizzetti, in Rivista<br />
Musicale Italiana 1928; M. Rinaldi, L’arte di Ildebrando pizzetti, e Lo Straniero, Roma, 1930;<br />
A. Bonaccorsi, Lo Straniero di Ildebrando Pizzetti, in Rivista Musicale Italiana 1931; M. Rinaldi,<br />
Ildebrando Pizzetti, poeta, in Musica.d’Oggi 1932; G. Tebaldini, Ildebrando Pizzetti nelle<br />
memorie, Parma, 1931; A. Damerini, Verdi e Pizzetti, in Parma a Ildebrando pizzetti, Parma,<br />
1932; G.M. Gatti, Ildebrando Pizzetti, Torino, 1934; M. Rinaldi, Una profetica esaltazione dannunziana<br />
sull’arte di Ildebrando Pizzetti, in Rivista Nazionale di Musica 1934; M. Pilati, l’orséolo<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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di Ildebrando Pizzetti: guida attraverso il dramma e la musica, Milano, 1935; G. Gavazzeni, Tre<br />
studi su Pizzetti, Como, 1937; M. Rinaldi, Il valore della Fedra di D’Annunzio nel dramma di<br />
Pizzetti, Roma, 1937; G. Ponz De Leon, Il dramma lirico nell’arte di Ildebrando Pizzetti, in Rivista<br />
Musicale Italiana 1939; L. Tomelleri, Fedra: D’Annunzio e Pizzetti, in 1939; L. Tomelleri, <strong>La</strong><br />
pisanelle ou la mort parfumée: D’Annunzio e Pizzetti, Rivista Musicale Italiana 1939; Rassegna<br />
Musicale, numero speciale dedicato a Pizzetti, 1940; M. Rinaldi, L’Epithalamium di Ildebrando<br />
Pizzetti, in Musica d’Oggi 1940; G. Gavazzeni, <strong>La</strong> sinfonia di Pizzetti, Musica d’Oggi 1941; S.<br />
Pugliatti, Il dramma musicale nella poetica di Ildebrando Pizzetti, in Rassegna Musicale 1941;<br />
M. Castelnuovo-Tedesco, Ildebrando Pizzetti, in The Book Of Modern Composers, a cura di<br />
D. Ewen, New York, 1942; V. del Gaizo, Considerazioni sull’Orseolo di Ildebrando Pizzetti, in<br />
Musica d’Oggi 1942; G. Gavazzeni, Brano di un commento all’Orseolo di Pizzetti, in Rassegna<br />
Musicale 1943; M. Rinaldi, Lo straniero di Ildebrando Pizzetti, Firenze, 1943; M.Rinaldi,<br />
Ildebrando Pizzetti musicista italiano, in All’ombra dell’Augusteo, Roma, 1944; G. Gavazzeni,<br />
L’oro di Pizzetti: guida musicale, Milano, 1946; Firenze a Ildebrando Pizzetti, con articoli V.<br />
Bucchi, A. Damerini, L. Dallapiccola, G. De Roberti, G. Papini e altri Firenze, 1947; G. Barblan,<br />
L’oro l’ultima opera di Pizzetti alla Scala, in Rivista Musicale Italiana 1947; G. Gavazzeni, Tre<br />
recenti pagine corali di Pizzetti, in Rassegna Musicale, 1947; G.Gavazzeni, Pizzetti e i vociani,<br />
in <strong>La</strong> Scala 1950; R. Bondi, I cori di Pizzetti, in <strong>La</strong> musica contemporanea, Roma, 1952; G.<br />
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Commenti alla Debora e Jaele di Pizzetti, in <strong>La</strong> musica e il Teatro, Pisa, 1954; G. Gavazzeni, Il<br />
75° compleanno di Pizzetti, in Ricordiana 1955; M. Mila, Ascoltando <strong>La</strong> fi glia di Iorio di Pizzetti,<br />
in Rassegna Musicale 1955; G. Pannain, <strong>La</strong> fi glia di Iorio di D’Annunzio e Pizzetti, in Rivista<br />
Musicale Italiana 1955; G. gavazzeni, Altri studi pizzettiani, Bergamo, 1956; E. Calabria, Ildebrando<br />
Pizzetti, Bergamo, 1956; <strong>La</strong> città dannunziana a Ildebrando Pizzetti: saggi e note, a<br />
cura di M. la Morgia, pescara, 1958; M. Mila, L’assassinio nella cattedrale, in cronache musicali<br />
1955-1959, Torino, 1959; M.Mila, L’Ifi genia di Pizzetti, in cronache musicali 1955-1959, Torino,<br />
1959; M.Mila, <strong>La</strong> messa di Pizzetti, in cronache musicali 1955-1959, Torino, 1959; A. Damerini,<br />
Omaggio a Pizzetti nel suo 80° anno, in Musica d’Oggi 1960; L. Rèpaci, Ildebrando Pizzetti, in<br />
Compagni di strada, Roma, 1960; A. Porter, Coventry and London: Murder in the Cathedral,<br />
in MT 1962; P. Santi, Il mondo della Debora, in Rassegna Musicale 1962; F. D’Amico, I due<br />
Ildebrandi, in I casi della musica, Milano, 1962; M. la Morgia, Linearità e Lirismo in alcune opere<br />
di Pizzetti, in Rassegna Muscale Curci, 1963; D. Dé Paoli, Gabriele D’Annunzio, <strong>La</strong> musica e<br />
i musicisti, in Nel centenario di G. D’Annunzio, a cura di D. Dé Paoli e altri, Torino, 1963; L’Approdo<br />
Musicale, numero speciale dedicato a Pizzetti, 1966; E. Paratore, Introduzione a <strong>La</strong> fi glia<br />
di Iorio di Pizzetti, in Studi dannunziani, 1966; G. Gavazzeni, Pizzetti dopo la morte, in Nuova<br />
Rivista Musicale Italiana 1968; G. Pannain, Ricordo di Ildebrando Pizzetti, in Rassegna Musicale<br />
Curci, 1968; Uno scritto inedito ed alcune lettere a Gaetano Cesari, a cura di P. Petrobelli,<br />
in Rivista Italiana della Musica 1968; A. Gentilucci, Guida all’ascolto della musica contemporanea,<br />
Milano, 1969; G.P. Minardi, Ildebrando Pizzetti <strong>La</strong> giovinezza, Parma, 1980; Ildebrando<br />
Pizzetti: Cronologia e bibliografi a, a cura di B. Pizzetti, Parma, 1980; G.M. Gatti, e C.G. Waterhouse,<br />
in Grove; G. Gavazzeni, Tre studi su Pizzetti, Como, 1938; I. Pizzetti, Milano, 1954;<br />
M. Mila, Ascoltando <strong>La</strong> fi glia di Iorio di Pizzetti, in <strong>La</strong> Rassegna Musicale 2-4 1962; L. Ronga,<br />
Arte e umanità di I. Pizzetti, in Dafne a Prato d’Arno ed altri piaceri musicali, Napoli 1974; G.<br />
Petrocchi, in Enciclopedia Italiana, XXVII 1935, 466 e Appendice 1979, 806-807; H. prunières,<br />
Ildebrando Pizzetti, in Nouvelle revue d’Italie, luglio 1920; L. Parigi, Pizzetti, in Il momento<br />
musicale Italiano, Firenze 1921; G. Bastianelli, ildebrando Pizzetti, in Convegno marzo-aprile<br />
1921; G. Bastianelli, <strong>La</strong> crisi musicale Europea, Pistoia, 1922; A Guzzo, Pizzetti, in Regno 30<br />
maggio 1925; M. Pilati, Fra Gherardo di Ildebrando Pizzetti, in Bollettino bibliografi co Musicale<br />
1928; L. Pagano, Debora e Jaele di Ildebrando Pizzetti in <strong>La</strong> fi onda di Davide, Torino, 1928;<br />
M. Rinaldi, L’arte di ildebrando Pizzetti e Lo Straniero, Roma, 1931; G. nataletti, Ildebrando<br />
Pizzetti, in Quadrivio 26 agosto 1934; G. Gavazzeni, Idea sulla poesia per musica, in Rassegna<br />
Musicale 1935; G. Gavazzeni, L’Abraham e Isaac di Pizzetti, in Musica d’oggi dicembre 1937;<br />
G. Gavazzeni, <strong>La</strong> musica di scena di Pizzetti, in RID settembre-novembre 1940; G. Pannain, Le<br />
musiche e di Pizzetti e di Debussy per la Pisanella e il Martirio di S. Sebastiano, in Scena aprile<br />
1938; numero speciale della Rassegna dorica dedicato a Pizzetti settembre 1940; Enciclopedia<br />
dello spettacolo, VIII, 1961, 208-212; Parma Economica 8 1968, 34-38; Dizionario Ricordi,<br />
1976, 516-517; M. Dall’Acqua, Terza pagina della Gazzetta, 1978, 308-309; G.P. Minardi, in<br />
Parma, Vicende e protagonisti, 1978, III, 77; Teatro Regio 8 1980, 75-76; Dizionario letteratura<br />
Novecento, 1992, 431; C. Parmentola, in dizionario dei Musicisti Utet, 1988, VI, 40-42.<br />
POZZI DONNINO<br />
Fontanellato 5 ottobre 1894-Parma 1946<br />
<strong>La</strong> spontanea e genuina attitudine all’uso dei colori si manifestò nel Pozzi<br />
sin da fanciullo, ma, trasferendosi da Fontanellato a Parma con la madre,<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
due sorelle e un fratello, dovette imparare un mestiere per aiutare la famiglia.<br />
Nel tempo libero attinse dagli acquerelli e dai pastelli i suoi sogni, che<br />
estrinsecò con pitture paesaggistiche cariche di accorata poesia. Riuscì a<br />
iscriversi all’Accademia di belle arti di Parma nel 1917 (fu allievo di Daniele<br />
de Strobel), ma, causa il carattere introverso o forse per sua stessa volontà,<br />
non frequentò assiduamente l’ambiente accademico. Rifuggì la mondanità<br />
e durante tutta la vita rimase distaccato dal mondo che lo circondava e dai<br />
movimenti artistici contemporanei, forse troppo lontani dal suo sentire. Conoscitore<br />
profondo della tecnica dell’affresco e padronissimo del mestiere,<br />
fu chiamato a collaborare col Casanova per l’esecuzione di alcuni affreschi<br />
nella Basilica del Santo a Padova. Nel 1928 si recò a Parigi e in seguito<br />
fi ssò la sua residenza a Milano ove rimase fi no al 1940. Ritornato a Parma<br />
durante la guerra, morì a 52 anni, nel pieno rigoglio delle forze artistiche e<br />
creative. <strong>La</strong>sciò una numerosa, seppure discontinua, produzione, con opere<br />
sparse in Italia e all’estero. Si dedicò con intensa vena lirica e densa gamma<br />
cromatica alla pittura di paesaggio e soprattutto alla natura morta, genere<br />
che predilesse e in cui riprese lo stile della cultura francese, da Courbet a<br />
Cézanne. Meno felice nel ritratto e nella fi gura, le grandi tele della chiesa<br />
di San Vitale a Parma attestano però una mano vigorosa e una sensibilità<br />
non comune, specialmente nella dosatura dei colori. Espose al IV, V e VI<br />
Premio Ussi di Firenze del 1924, 1929 e 1934. Alla Galleria d’Arte Moderna<br />
di Milano esiste la sua opera Pesche. Il Pozzi considerò il colore come l’elemento<br />
primario che permetteva di esprimere le varie sensazioni poetiche<br />
dello spirito e concepì il quadro come vibrazione di colori e dopo averla<br />
colta cerca di impossessarsi della forma: è come se, con le pennellate, il<br />
colore, espandendosi, desse corpo alla forma. L’animo poetico e semplice<br />
del Pozzi trovò esempi nella natura per la bellezza e la svariata gamma di<br />
colori e anche in maestri quali il Correggio, Raffaello, Tiziano, Leonardo e<br />
Tiepolo. Non rinnegò il passato per aderire con la sua pittura al dinamismo<br />
della vita moderna: la vitalità, nelle sue opere, è rappresentata dalla sintesi<br />
visiva colore-forma che accompagna tutta la sua produzione artistica. Tele<br />
rappresentanti rivelazioni di miti e sogni pagani si alternano a ritratti composti<br />
ed essenziali, dipinti a pastello e olio. Il tema bucolico-amoroso venne dal<br />
Pozzi sviluppato decorando una scala del Palazzo Tanzi. Nelle sue opere<br />
<strong>La</strong> Penitente, S. Cecilia e <strong>La</strong> Deposizione (nella chiesa di Santa Cristina a<br />
Parma) è evidente l’infl uenza dei classici riguardo al soggetto sacro e il suo<br />
modernismo nella funzione decorativa. Dai caratteri somatici dei volti, particolarmente<br />
in quello di Maria Maddalena, e nel taglio di capelli e basette<br />
anni Venti del personaggio che volge la schiena ai fedeli, si intuisce la data<br />
di inizio secolo. Molti dei suoi quadri appartengono a privati. Delle nature<br />
morte del Pozzi (l’agenzia di assicurazioni Ina Assitalia allestì a Parma nel<br />
1997 una mostra con creazioni tarde del Pozzi: 1930-1944). <strong>La</strong> natura morta<br />
fu consona al temperamento del Pozzi: la pacatezza del soggetto è affi ne<br />
al suo modo di vivere silenzioso e discreto, i colori e le forme sono carichi<br />
di vitalità, di gioia e di pienezza. Iris e margherite (1940) è un inno alla primavera,<br />
le tinte sono tenui ma allo stesso tempo vive e luminose, Le peonie<br />
(1930), calde e carnose nel vaso azzurro di ceramica, e ancora composizione<br />
di funghi, Anatra su vaso con melograno (1932) e Composizioni di frutta<br />
(1930-1940): in tutte queste opere si nota una cura dei particolari, un gioco<br />
di ombre e penombre che vivifi ca i soggetti dei quadri, trasparenza dei vasi<br />
e lucentezza delle maioliche. Tutto ciò su uno sfondo scuro che fa risaltare<br />
gli oggetti in primo piano.<br />
Fonti e Bibl.:<br />
B. Molossi, Dizionario biografi co, 1957, 125; A.M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori e<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
incisori italiani moderni, vol. III, Milano, 1973, 2558; Dizionario Bolaffi Pittori, IX, 1975, 204; F.<br />
De Leonardis, in Gazzetta di Parma 22 aprile 1997, inserto, 4.<br />
REGALIA FILIPPO<br />
Parma 14 novembre 1775-post 1852<br />
Figlio di Giovanni. Entrò nel 1800 al servizio del duca di Parma, Ferdinando<br />
di Borbone, col grado di Sottotenente nel corpo del genio. Passò nel 1805<br />
al servizio della Francia come Aggiunto al comandante del genio a Parma<br />
e fece le campagne del 1809 in Italia, Austria e Ungheria come Tenente<br />
dello Stato maggiore del genio e quelle dal 1810 al 1818 come Capitano<br />
degli zappatori e di Stato maggiore. Combatté a Raab nel 1809 rimanendovi<br />
ferito e a Cattaro ove cadde prigioniero degli Inglesi. Nominato nel 1814<br />
Conservatore delle fortifi cazioni e poco dopo Capitano ispettore del genio<br />
e artiglieria nel Ducato di Parma, nel 1831, all’inizio dei moti rivoluzionari,<br />
ebbe il grado di Maggiore. Compromessosi per i suoi sentimenti nazionali,<br />
fu cancellato dai ruoli, perdendo il grado e il diritto di portare la divisa. Li<br />
riebbe non prima del 1834, ma soltanto dalla Suprema reggenza dello Stato<br />
del 1848 fu chiamato a servizio in piena attività come Maggiore incaricato<br />
del genio, dell’artiglieria e dei pionieri. Salì poco dopo al grado di Tenente<br />
colonnello. <strong>La</strong> reazione del 1849 gli tolse nuovamente i gradi, ma dopo pochi<br />
mesi gli furono restituiti. Quando nel 1852 fu posto in ritiro, ebbe ancora<br />
la promozione a Colonnello onorario, col titolo di Ispettore del genio e di<br />
artiglieria.<br />
FONTI E BIBL.: C. Di Palma, Parma durante gli avvenimenti del 1848-1849, in Bollettino Uffi -<br />
cio Storico Comando Stato Maggiore 1 aprile 1930, 16; E. Loevison, Gli Uffi ciali Napoleonici<br />
Parmensi, Parma, Tipografi a Parmense, 1930, 31; E. Loevison, in Dizionario Risorgimento, 4,<br />
1937, 39; A. Del Prato, L’anno 1831, 1919, XXIII; E. Loevison, Uffi ciali, 1930, 31.<br />
ROSSI GIOVANNI<br />
Sarzana 3 aprile 1801-Parma 24 maggio 1853<br />
Figlio quartogenito di Giambattista e di Elisabetta Luciardi, entrambi di famiglia<br />
patrizia. Compiuti i primi studi nella città nativa, entrò a dodici anni nel<br />
Liceo ivi eretto dal Governo Francese. Passò poi in quello del Seminario<br />
dove si approfondì nella rettorica e nel latino, che coltivò anche successivamente<br />
insieme al francese, e si dedicò particolarmente alle matematiche.<br />
Fin da fanciullo mise straordinario interesse nel sezionare gli animali per<br />
apprendere natura, forma e disposizione degli organi interni. Tra i tredici<br />
e i diciassette anni, conobbe il chirurgo pisano Puccianti, che gli mostrò<br />
le dissezioni nei cadaveri umani, gli diede in lettura libri di anatomia e chirurgia<br />
e lo chiamò con sé nel curare ferite ed eseguire operazioni. Entrò,<br />
studente di medicina e chirurgia, all’Università di Pisa (1818) dove diede<br />
così evidenti prove del suo amore allo studio e della sua preparazione che<br />
il Vaccà Berlinghieri, compiuto appena il primo anno scolastico, lo ammise<br />
come praticante all’Ospedale e assistente al dissettore anatomico, posto<br />
che il Rossi tenne fi no a quando si laureò in medicina e chirurgia (1822).<br />
Appena laureato, il Vaccà Berlinghieri lo volle suo assistente di clinica chirurgica,<br />
per cui il Rossi si fermò a Pisa ancora un anno, durante il quale si<br />
esercitò specialmente in ostetricia. <strong>La</strong>sciata Pisa (1823), si recò a Firenze,<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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poi a Pavia, a Milano e da ultimo a Bologna. In questo suo passaggio da<br />
un’università all’altra, ebbe modo di conoscere e seguire lezioni dei sommi<br />
maestri di quel tempo, tra i quali Giuntini, Panizza, Cairoli, Palletta, Nespoli,<br />
Uccelli, Bongioanni, Tommasini e il famoso Scarpa. Sul fi nire del 1824 il<br />
Rossi si trasferì a Parma, ove strinse amicizia con Luigi Frank, archiatra<br />
alla Corte dell’arciduchessa Maria Luigia d’Austria, al quale pare dovuta in<br />
modo particolare la decisione presa dal Rossi di fermarsi defi nitivamente<br />
a Parma. Essendosi manifestata (1825) nei soldati del Reggimento Maria<br />
Luigia una gravissima epidemia di oftalmia di forma nuova e sconosciuta<br />
ai medici locali, che infi eriva con esiti fatali, il Rossi, che ebbe occasione di<br />
visitare tali ammalati, la riconobbe per una oftalmia purulenta egiziana contagiosa,<br />
da lui osservata a Livorno e Pisa poco prima (1822). Destando tale<br />
suo parere non poca incredulità nei colleghi, mentre veniva affi data alla sua<br />
direzione una sala oftalmica, dove poté curare ventisei ammalati guarendoli<br />
tutti senza postumi (con l’eccezione di uno solo che rimase con lieve alterazione<br />
dell’occhio), il Governo chiamò il Vaccà Berlinghieri, il quale confermò<br />
la natura della malattia che le truppe francesi reduci dall’Egitto avevano<br />
importato in Europa e approvò completamente il metodo di cura del Rossi.<br />
Fatto, con sovrano decreto, cittadino di Parma (1827), il Rossi diede opera<br />
a fornire la Scuola di Anatomia normale e patologica e quella di fi siologia di<br />
preparati a scopo didattico, dei quali mancavano completamente, donando<br />
ferri e pezzi di chirurgia patologica da lui stesso predisposti, accontentandosi<br />
del modesto titolo di preparatore. Come chirurgo si guadagnò sempre<br />
più larga fama, ottenendo con le sue operazioni insperate guarigioni. Con<br />
una pubblicazione sull’allacciatura delle grosse arterie degli arti (1824) intervenne<br />
nella discussione, allora vivace, tra i due celebri chirurghi Vaccà<br />
Berlinghieri e Scarpa, a cui fece seguire l’opuscolo sulla comunicazione dei<br />
vasi linfatici con le vene (1825) e successivamente la storia di una cistotomia.<br />
Accademie italiane e straniere lo vollero annoverare tra i loro soci e gli<br />
tributarono lodi. Nominato (1829) assistente alla cattedra di Chirurgia dell’Università<br />
e alla Clinica chirurgica superiore dell’Ospedale Civile di Parma,<br />
fu supplente all’anatomia e fi siologia (1832), consigliere al protomedicato e,<br />
con sovrano diploma, nominato chirurgo consulente di Corte e della Casa<br />
Ducale (1832). Ebbe poi la cattedra di terapia chirurgica (1836), il titolo di<br />
professore emerito di anatomia e fi siologia e titolo e stipendio di chirurgo<br />
primario della duchessa Maria Luigia (1837). Nel 1842 fu nominato Presidente<br />
della commissione direttiva dello stabilimento termale di Tabiano e nel<br />
1844 ispettore sanitario degli ospedali di Parma. Nell’insegnamento portò<br />
nuovi metodi, basati particolarmente sulla necessità che lo studente debba<br />
seguire lo studio del malato, cosicché i suoi corsi erano seguiti col maggiore<br />
interesse e profi tto e la scolaresca molto numerosa aveva per lui, anche<br />
per i suoi modi affabili, il più vivo affetto (Freschi; Omodei). <strong>La</strong> sua valentìa<br />
come operatore fu provata dall’ardimento, straordinario per quel tempo,<br />
col quale seppe affrontare e superare per primo o tra i primi, operazioni<br />
inusitate: per primo a Parma eseguì la esofagotomia (1831), l’allacciatura<br />
simultanea della carotide primitiva e della succlavia col metodo di Bradorf<br />
per aneurisma dell’arteria innominata e la cistotomia, che gli acquistarono<br />
la fama di primo tra i chirurghi del tempo in Italia. Nel 1838 sposò Gaetana<br />
Tommasini. Nei congressi di chirurgia di Firenze (1841), di Milano (1844) e<br />
di Genova (1847) il Rossi fu sempre al centro dell’attenzione per le novità<br />
introdotte. Insignito dalla duchessa della Croce di Cavaliere dell’ordine Costantiniano<br />
(1839) e nominato suo privato Consigliere e Ispettore generale<br />
di sanità negli ospedali di Parma, consacrò la sua attività ad arricchire la<br />
Clinica di ogni più moderno mezzo di insegnamento. Il Rossi predispose il<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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disegno di un teatro chirurgico, dimostrando la necessità di provvederlo di<br />
un completo armamentario, che il Governo allestì col concorso privato della<br />
Sovrana, che diede cinquemila lire. Volle costituita a favore delle sue cliniche<br />
una biblioteca medica, donando egli stesso 1400 volumi, e altrettanti ne<br />
donò la Duchessa facendo acquistare a sue spese la biblioteca di Stefano<br />
Mistrali e assicurando alla nuova istituzione un’annua dotazione. Il Rossi<br />
fece parte delle accademie medico-chirurgiche di Livorno, Perugia, Torino,<br />
Bologna e Vienna e di quella di scienze naturali e mediche di Bruxelles. Nel<br />
1848 il Rossi fu privato dal Governo provvisorio rivoluzionario del titolo di<br />
Ispettore di sanità. Ammalatosi di bronchite, che diede forse inizio a una forma<br />
polmonare lenta, di probabile natura tubercolare, complicatasi con una<br />
forma meningea, il Rossi non si riprese più, fi no al decesso. Venne sepolto<br />
nel cimitero di Parma con iscrizione dettata da Pietro Giordani.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
I. Cantù, Italia scientifi ca, 1844, III, 88-90; G. Battelli, in Crisopoli 4 1934, 310-312; M. Varanini,<br />
Salsomaggiore, 1939, 101-105; G.B. Janelli, Dizionario biografi co dei parmigiani illustri, Genova,<br />
1877, 344-348; Aurea Parma 1/2 1962, 34; Malacoda 10 1987, 72; A.V. Marchi, Figure del<br />
Ducato, 1991, 216; I. Ferrari, in Gazzetta di Parma 9 marzo 1992, 5.<br />
SANTI FERNANDO<br />
Cornocchio di Golese 13 novembre 1902-Parma 15 settembre 1969<br />
Il padre, ferroviere, rimase vedovo pochi anni dopo la nascita del Santi e<br />
solo con molti sacrifi ci riuscì ad avviarlo al conseguimento della licenza tecnica.<br />
Rievocando le ristrettezze economiche sopportate come perseguitato<br />
politico durante i primi anni del fascismo, il Santi così descrisse nel 1965 il<br />
suo ambiente di origine: Quella nuda povertà era per me cosa naturale. Mio<br />
padre l’aveva ereditata da suo padre. Di mia madre non dico. I suoi erano<br />
braccianti della Bassa verso il Po, gialli di secolare polenta sotto la scorza<br />
nera dell’aria e del sole. A quindici anni, nel 1917, si iscrisse al Partito Socialista<br />
Italiano (incominciai iscrivendomi agli adulti perché il circolo giovanile<br />
non esisteva più, prima assottigliato e poi disperso dalle chiamate alle armi<br />
per la guerra) e nella lotta contro la guerra si formò alla scuola dei socialisti<br />
riformisti parmensi (G. Albertelli, G. Ghidini, G. Faraboli e B. Riguzzi), che<br />
lasciò un’impronta duratura sulla sua concezione politica: ne assorbì quel<br />
gradualismo rivoluzionario (come egli stesso l’avrebbe più tardi chiamato)<br />
che era tipico del riformismo padano di quegli anni e che non perdeva mai<br />
di vista i valori dell’autonomia di classe e dell’iniziativa delle masse. Con la<br />
fi ne della guerra e la ricostituzione del movimento giovanile, il Santi divenne<br />
segretario della federazione parmense della Federazione Italiana Giovanile<br />
Socialista (1921), entrando a far parte del Comitato centrale di quest’ultima.<br />
Vicesegretario della Camera del <strong>La</strong>voro di Parma (1920, a fi anco di A. Simonini)<br />
e collaboratore del suo settimanale L’Idea, incorse più volte in denunce<br />
per eccitamento all’odio di classe. Nello schieramento interno del Partito<br />
Socialista Italiano rimase però attestato su posizioni moderate: nell’ottobre<br />
del 1921 partecipò ai lavori del XVIII Congresso del Partito Socialista Italiano<br />
portandovi il saluto della Federazione Italiana Giovanile Socialista, la<br />
quale, dopo la scissione di Livorno (in cui la grande maggioranza dei giovani<br />
passò al Partito Comunista Italiano), aveva ricostituito le proprie fi le per<br />
opera di una minoranza che, affermò il Santi, riteneva allora e ritiene oggi<br />
ancora fermamente che il Partito Socialista Italiano sia il partito della classe<br />
operaia, il partito della lotta di classe. Un anno dopo, al Congresso di Roma<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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che sancì la nuova scissione del Partito Socialista Italiano, aderì al Partito<br />
Socialista Unitario. Dopo aver partecipato alla resistenza contro le squadre<br />
fasciste di Balbo sulle barricate di Parma, si impiegò nel 1924 come redattore<br />
del quotidiano democratico e riformista cittadino Il Piccolo, diretto da T.<br />
Masotti. All’indomani del delitto Matteotti, lasciò Parma per Torino, dove le<br />
fonti di polizia lo segnalano per breve tempo segretario del locale sindacato<br />
tranvieri. Durante la sua permanenza nel capoluogo piemontese fu arrestato<br />
insieme a G. Saragat, ma poco dopo rilasciato. Alla fi ne del 1924 si trasferì<br />
a Milano, dove fu (1925) l’ultimo segretario della federazione provinciale del<br />
Partito Socialista Unitario prima della sua soppressione. In occasione dei<br />
funerali di A. Kuliscioff fu aggredito e percosso dagli squadristi. Dopo le leggi<br />
eccezionali, il Santi riuscì per qualche tempo a mantenere contatti con<br />
altri gruppi socialisti disseminati nel paese, approfi ttando della sua professione<br />
di viaggiatore di commercio che gli consentiva di spostarsi di città in<br />
città senza destare sospetti. In collegamento con G. Faravelli e A. Greppi,<br />
del Partito socialista dei <strong>La</strong>voratori Italiani, e con R. Fiorio, del Partito Socialista<br />
Italiano, lavorò per superare gli strascichi della scissione del 1922 e ricostituire<br />
l’unità delle disperse forze socialiste rimaste in Italia. Con l’insuccesso<br />
di questi tentativi, anche il Santi fu inghiottito nel lungo e silenzioso<br />
esilio interno della maggior parte dei quadri dirigenti socialisti. Fermato ancora<br />
a Foligno nel novembre del 1934 e subito rilasciato, nel febbraio del<br />
1936 fu radiato dal novero dei sovversivi. Alla fi ne del 1941 riannodò in<br />
modo più regolare i contatti mai del tutto interrotti con i vecchi compagni e<br />
con Greppi e R. Veratti partecipò alle riunioni che si tennero in casa di Ivan<br />
Matteo lombardo e F. <strong>La</strong>mi Starnuti in vista della riorganizzazione del Partito<br />
Socialista Italiano. Nell’estate del 1943 partecipò alla ricostituzione del Partito<br />
Socialista, risultante dalla fusione del Partito Socialista Italiano con il<br />
movimento di Unità Proletaria, ma dopo l’8 settembre fu costretto a riparare<br />
in Svizzera. A Lugano assunse la carica di segretario del Comitato per l’assistenza<br />
ai profughi politici italiani. Nel settembre del 1944 raggiunse l’Ossola<br />
libera e di lì riuscì a passare clandestinamente in Italia, dove partecipò<br />
alla lotta per la liberazione di Milano e fu tra i redattori del primo numero<br />
dell’Avanti! legale. Segretario della Camera del <strong>La</strong>voro di Milano subito dopo<br />
il 25 aprile, nel 1947 assunse, in sostituzione di O. Lizzardi, la carica di segretario<br />
generale aggiunto della Confederazione generale Italiana del <strong>La</strong>voro<br />
a fi anco di G. di vittorio. Da quel momento la sua vicenda biografi ca si<br />
identifi ca in modo completo con la storia della maggiore confederazione sindacale<br />
italiana: deputato al Parlamento per la circoscrizione di Parma dal<br />
1948 al 1968, membro della direzione del Partito Socialista Italiano dal gennaio<br />
1948 al maggio 1949 e poi ancora dal gennaio 1951 all’ottobre 1968,<br />
membro dell’esecutivo della Federazione Sindacale mondiale e del consiglio<br />
di amministrazione dell’uffi cio Internazionale del <strong>La</strong>voro, il Santi dedicò<br />
però la parte di gran lunga prevalente delle sue energie alla direzione della<br />
confederazione Generale Italiana del <strong>La</strong>voro. Tutto il suo discorso sindacale<br />
e politico dopo la fi ne della guerra è in fondo legato, come ha notato V. Foa,<br />
all’aggiornamento, in qualche modo, dei valori democratici e socialisti della<br />
tradizione padana, nelle nuove condizioni di un capitalismo industrializzato<br />
e organizzato. Anche negli anni più duri della guerra fredda si batté per affermare<br />
una concezione della democrazia sindacale che assorbiva la parte<br />
più vitale della tradizione riformista: per una democrazia cioè non formale<br />
ma fondata sulla consapevolezza delle masse, sulla loro iniziativa creatrice,<br />
sulla loro piena partecipazione alla formazione delle scelte collettive quali<br />
mezzi per valorizzare, in termini di azione e di lotta, l’immenso patrimonio di<br />
energie potenziali del proletariato (barbadoro). Sull’attuazione coerente del<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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metodo democratico e sulla rivendicazione della capacità del sindacato di<br />
elaborare autonomamente una sua linea rivendicativa e riformatrice, nel fermo<br />
rifi uto di ogni discriminante ideologica e di ogni ipotesi di subordinazione<br />
dell’organizzazione di classe a istanze a essa estranee, il Santi fondò la sua<br />
concezione dell’unità sindacale. Strenuo difensore del suo mantenimento di<br />
fronte alle prime minacce di scissione (a lui, oltre che a Di Vittorio, si deve il<br />
tentativo di compromesso con la corrente cristiana noto come modus vivendi,<br />
che ritardò di qualche mese l’uscita di questa dalla confederazione Generale<br />
Italiana del <strong>La</strong>voro), anche dopo la rottura del 1948 non rinunciò mai<br />
a battersi per la ricomposizione. Il richiamo al riformismo padano è ben presente<br />
anche nella concezione che il Santi mostrò di avere delle riforme di<br />
struttura, quale traspare a esempio dalla relazione da lui svolta al Congresso<br />
Nazionale della Confederazione Generale Italiana del lavoro a Genova<br />
(1949), quando fu lanciata l’iniziativa del Piano del <strong>La</strong>voro: una concezione<br />
dinamica, che rifi utava di isolare le conquiste graduali di nuovi rapporti di<br />
lavoro e di vita delle masse dall’obiettivo della trasformazione socialista. Ma<br />
il saldo legame con la tradizione che aveva improntato la sua formazione di<br />
dilettante e di dirigente non impedì al Santi di avvertire con singolare lucidità<br />
l’emergere di esigenze e di problemi nuovi: così fu tra i primi a cogliere i limiti<br />
della strategia sindacale centralizzata che era prevalsa fi no alla metà<br />
degli anni Cinquanta e nella relazione al Congresso Confederale di Roma<br />
(1955) si sforzò di defi nire un rapporto soddisfacente ed equilibrato tra la<br />
generalizzazione delle lotte da un lato e l’articolazione delle rivendicazioni in<br />
modo rispondente a un processo di sviluppo sempre più differenziato dall’altro.<br />
nell’ultimo periodo della sua attività il Santi fu chiamato a confrontarsi<br />
con i problemi posti dalla necessità di defi nire una coerente posizione del<br />
sindacato di fronte al discorso della programmazione: problemi resi per lui<br />
più delicati dall’ingresso del partito cui apparteneva, il Partito Socialista Italiano,<br />
nel governo di centro-sinistra. Rivendicando l’esigenza di una politica<br />
di piano che non si presentasse come pura e semplice razionalizzazione<br />
delle scelte capitalistiche, bensì come affermazione della priorità della scelta<br />
pubblica e delle riforme di struttura, rifi utò sempre ogni artifi ciosa contrapposizione<br />
tra salari e investimenti e ogni condizionamento della dinamica<br />
rivendicativa. Al VI Congresso Nazionale della Confederazione generale Italiana<br />
del <strong>La</strong>voro (Bologna, 1965) il Santi annunciò la propria irrevocabile<br />
decisione di ritirarsi, per ragioni di salute, dalla segreteria. Nel suo discorso,<br />
tutto proiettato nella prospettiva, che da anni non era sembrata così vicina,<br />
dell’unità sindacale, uscì in un’affermazione che rifl etteva nel modo più chiaro<br />
il senso della sua milizia di dirigente operaio e socialista: <strong>La</strong> più grande<br />
soddisfazione sarebbe quella di poter avere la certezza che un bracciante,<br />
un operaio, un lavoratore solo, nel corso di questi diciotto anni, abbia detto<br />
per una volta sola di me: è uno dei nostri, di lui ci possiamo fi dare. Trascorse<br />
gli ultimi anni della sua vita sempre più appartato dalla vita politica attiva, in<br />
una posizione di riserbo critico verso molte scelte del Partito Socialista<br />
Italiano, e principalmente verso quella dell’unifi cazione con il Partito Socialista<br />
Democratico Italiano, che sul piano sindacale sembrò comportare il rilancio<br />
della prospettiva, da lui sempre risolutamente respinta, del sindacato<br />
socialista.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
prefazione di V. Foa e introduzione di I. Barbadoro a L’ora dell’unità. Scritti e discorsi di Fernando<br />
Santi, Firenze, 1969; Critica sociale 5 ottobre 1969, 557-558; S. Turone, Storia del sindacato<br />
in Italia (1943-1969), Bari, 1973, ad indicem; A. Forbice, I socialisti e il sindacato, Milano, 1969,<br />
ad indicem; I congressi della CGIL, I-VII, Roma, 1949-1966; Dizionario storico politico, 1971,<br />
1146; A. Agosti, in Movimento operaio italiano, IV, 1978, 507-510; P. Tomasi, in Gazzetta di<br />
Parma 15 settembre 1988, 3; P. Tomasi, in Gazzetta di Parma 16 settembre 1990, 3; Grandi di<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Parma, 1991, 102-103.<br />
SILVANI MARIO<br />
Parma 1 settembre 1884-Parma 20 maggio 1913<br />
Iniziò gli studi classici ma dopo il ginnasio, per quanto avesse una forte e<br />
geniale tendenza agli studi letterari, si diede decisamente alla musica, suo<br />
antico sogno, e conseguì nel 1908 il diploma di magistero in composizione a<br />
pieni voti nel Regio Conservatorio di Parma. È da notare il fatto che il Silvani,<br />
ancora così giovane e pur legato alla solenne tradizione della musica italiana,<br />
tese l’orecchio con interesse e curiosità a quanto avveniva in Europa in<br />
quegli anni e al movimento di rinnovamento che faceva capo a Giannotto<br />
Bastianelli nell’ambito della rivista <strong>La</strong> Voce. Scrisse una sonata per violino<br />
e pianoforte, un poema sinfonico al dramma di Maeterlinck, Monna Vanna,<br />
una messa di requiem, un notturno per violino e piano e il poema sinfonico<br />
Dafne e Cloe, ispirato al dramma pastorale di Longo Sofi sta. Diresse per la<br />
prima volta in Italia le Danze di Debussy per arpa ed archi. Il Silvani coltivò<br />
pure la poesia. Alcune sue liriche ebbero il posto d’onore nella Gazzetta del<br />
Popolo di Torino, e un suo volume di versi, Lux et umbra (Parma, 1907),<br />
ebbe il plauso della critica italiana. In un suo romanzo inedito, Episodi della<br />
vita di un’artista, con prefazione di Ildebrando Pizzetti, e in alcune sue novelle<br />
si dimostrò pure ottimo prosatore. Il Silvani iniziò con Pizzetti la stesura<br />
del libretto ippolito, tratto dalla tragedia di Euripide, quando pizzetti<br />
venne in contatto con Gabriele d’annunzio che gli propose un altro dramma<br />
sul medesimo soggetto, proposta alla quale pizzetti aderì, abbandonando<br />
il progetto già avviato col Silvani. Negli anni attorno al 1910 collaborò con<br />
critiche musicali alla Gazzetta di Parma e alla rivista. Scrisse <strong>La</strong> samaritana,<br />
che divenne il lavoro di maggior successo di Arnaldo Furlotti. <strong>La</strong> sua lirica<br />
Sera d’inverno fu musicata da Pizzetti (1908) e da Gastone Zuccoli (Trieste,<br />
Schmidl, 1938). Il 18 e 19 maggio 1912, in un concerto vocale e strumentale<br />
tenuto al Teatro Reinach di Parma, diresse una sua lirica per soprano<br />
e orchestra , L’alba di aprile, eseguita dalla marchesa Clementina Paveri<br />
Fontana. Per quel che riguarda la direzione, il suo nome è legato alla prima<br />
esecuzione in Italia delle Danze di Debussy per arpa e archi. Ingegno pronto<br />
e versatile, combatté strenuamente con un indipendente e battagliero settimanale<br />
d’arte, Medusa (che il Silvani fondò e diresse dal 30 luglio 1911 al 18<br />
maggio 1912), in difesa dell’arte. Morì a soli 28 anni a causa di una infezione<br />
di tifo. Fu commemorato nella sala del Ridotto del teatro Regio di Parma dal<br />
poeta Ildebrando cocconi e con una esecuzione di musica del Silvani stesso.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
C. Alcari, Parma nella musica, 1931, 184-185; B. Molossi, Dizionario biografi co, 1957, 140;<br />
Gazzetta di Parma 14 aprile 1975, 3; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.<br />
SONCINI GIUSEPPE<br />
Parma 21 febbraio 1820-Felino 14 marzo 1888<br />
Figlio di Vincenzo e Marianna Mori. Medico, esercitò la sua professione a<br />
Parma. Convinto repubblicano, prese parte nel 1849 alla difesa di Roma<br />
contro i Francesi. Nel maggio 1860 si unì ai Mille, ma a Talamone se ne<br />
distaccò per seguire la piccola colonna comandata dallo Zambianchi nella<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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diversione contro lo Stato pontifi cio. Fallito quel tentativo, raggiunse Garibaldi<br />
in Sicilia colla spedizione Corte e seguì, come medico, tutta la campagna<br />
nell’italia meridionale, prodigandosi nell’assistenza dei feriti e degli ammalati.<br />
Poi tornò a esercitare la sua professione, ma nel 1866 militò ancora una<br />
volta nelle schiere garibaldine e combatté nel Trentino.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Parma a Garibaldi, Parma, Battei, 1893; G.Pittaluga, <strong>La</strong> Diversione, Note garibaldine sulla<br />
campagna del 1860, Roma, Casa editrice Italiana, 1904, 200; F.Dalla Valle, I nostri Morti, Parma,<br />
Donati, 1907; G.Sitti, Il Risorgimento italiano nelle epigrafi parmensi, Parma, Offi cine Grafi<br />
che Fresching, 1915, 421; L.Giuffrè, I medici nell’epopea garibaldina del 1860, Palermo, Casa<br />
editrice A.Trimaschi, 1933, 37; E.Michel, in Dizionario Risorgimento, 4, 1937, 316; F. Ercole,<br />
Uomini politici, 1942, 194; U.A. Pini, Medici nel Risorgimento, 1960, 10.<br />
STROBEL PEREGRIN<br />
Milano 22 agosto 1821-Vignale di Traversetolo 8 giugno 1895<br />
<strong>La</strong> famiglia Strobel è una nobile famiglia tirolese originaria di Rattenberg e<br />
Innsbruck, rappresentata in gran parte da funzionari austriaci. Lo Strobel<br />
nacque, quale quarto fi glio di otto fratelli e sorelle, a Palazzo Marino, la sede<br />
nel Lombardo-Veneto della Casa Imperiale Asburgica, ove il padre, Michael<br />
von Strobl zu Haustatt und Schwannefeld, era stato trasferito dal Tirolo con<br />
la carica di cassiere imperiale dell’Arciduca Rainer. Michael Strobl, che tra<br />
l’altro fu uffi ciale degli Schützen di Andreas Hofer e combatté contro i Franco-italo-bavaresi<br />
nella Compagnia del conte Welsberg, fu cancelliere a Bolzano<br />
e, nel periodo di Milano, consigliere amministrativo dell’Arciduchessa<br />
di parma Maria Luigia d’austria. Il nome di Peregrin gli fu imposto alla nascita<br />
in quanto suo padrino fu Peregrin von Menz, alto funzionario artistico,<br />
amico del padre. <strong>La</strong> madre era Elisabeth von Webern, di nobile famiglia tirolese<br />
e zia del grande compositore Anton von Webern. A Milano, tra Palazzo<br />
Marino, San Fedele e la Villa Reale si muoveva una multiforme società mitteleuropea,<br />
che andava dalla famiglia Asburgo, a Radetzky, a Carl Mozart<br />
(fi glio del compositore), al conte Firmian, al conte del Tirolo Mohr, al Manzoni<br />
e alla buona borghesia lombarda. In questo ambiente poliglotta e mitteleuropeo<br />
crebbe e si sviluppò la fanciullezza dello Strobel. Come era obbligo<br />
per tutti i fi gli dei Tirolesi, anche lo Strobel frequentò il rinomato ginnasio a<br />
Merano, con ottimi risultati. Durante questo periodo si concretizzò la sua<br />
passione per le scienze naturali, che erano assai diffuse presso la Corte di<br />
Vienna grazie al duca Leopoldo e a suo fi glio Francesco stefano e al famoso<br />
Naturalienkabinett. Lo Strobel ebbe come guida e maestro ideale nelle<br />
scienze naturali lo zio Leonhard Liebener di Innsbruck, noto naturalista, e il<br />
grande esploratore Alexander von Humboldt, amico di famiglia. Già nel<br />
1832, a soli dieci anni, lo Strobel divenne Socio della Zoologisch-Botanische<br />
Verein zu Wien. Dopo la maturità, frequentò le università di Innsbruck e Pavia,<br />
per laurearsi dapprima in giurisprudenza (1842) e più tardi in scienze<br />
naturali. L’Università di Pavia era allora un’università austriaca molto attiva,<br />
in cui si muoveva un ambiente progressista-liberale, in parte legato alla<br />
Chiesa Evangelica. A quest’ultima appartenne anche lo Strobel, che giunse<br />
a diventare curato e fu, in seguito, uno dei fondatori della comunità evangelica<br />
parmense. Fu inoltre socio fondatore della Società della Cremazione a<br />
Milano, i cui membri erano di provenienza mitteleuropea. Lo Strobel rimase<br />
alunno di concetto presso la Delegazione Imperiale del Governo Austriaco<br />
dal 1845 al 1847, indi, per un decennio, fu Coadiutore dell’Imperial Regia<br />
Biblioteca di Pavia. Nel contempo divenne Socio Corrispondente dell’Acca-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
demia degli Agiati in Rovereto, la più antica Accademia del Tirolo, fondata<br />
dall’imperatrice Maria Teresa. Le sue prime osservazioni scientifi che furono:<br />
Delle Conchiglie nei dintorni di Innsbruck (1843-1844), Notizie malacostatiche<br />
sul Trentino (1851) e Beitrag zu Mollusken Fauna von Tyrol, quest’ultimo<br />
lavoro scritto insieme al fratello Joseph. Nel 1853, a Pavia, fondò a sue<br />
spese il primo Giornale di Malacologia in lingua italiana, che accoglieva corrispondenze<br />
da tutta Europa, tra cui zeitschrift fur Malakozoologie di Menke<br />
und Pfeiffer, K. u. K. Akademie der wissenschaften Wien e Journal de conchyliogie.<br />
Il giornale rimase in vita due anni, pubblicando tra l’altro sedici<br />
note redatte dallo Strobel e numerose notizie bibliografi che. A soli trentatrè<br />
anni era già noto nel mondo scientifi co internazionale, tanto da essere membro<br />
della Naturforschende Gesellschaft in Halle an der Saale, dell’accademia<br />
Imperiale Leopoldinae Carolinae naturae curiosorum in Breslau, dell’Akademie<br />
nordische Alterhumsforscher in Kopenhagen, del-l’akademie<br />
Deutscher Naturfoscher und Artze in Innsbruck, della Società Malacologica<br />
Italiana, dell’Ateneo di Bergamo, della Società Italiana di Scienze Naturali e<br />
Miembro Corresponsal Academie Nacional de Ciencias Buenos Aires e<br />
Miembro de Sociedad Farmaceutica Argentina. Fu inoltre socio onorario di<br />
molte associazioni naturalistiche e alpinistiche, oltre che di fondazioni a scopo<br />
sociale ed educativo, come il Collegio Maria Luigia di Parma. Fu anche<br />
iscritto alla massoneria. Nel 1857 venne chiamato alle scuole facoltative di<br />
Piacenza, come professore di storia naturale. Nel 1858 fu tra i soci fondatori<br />
della Società Italiana di Scienze Naturali di Milano. Nel 1859 a Parma, ove<br />
già il padre Michael era stato consigliere dell’Arciduchessa Maria Luigia<br />
d’Austria, gli venne offerta la prima cattedra universitaria. Ebbe la nomina a<br />
professore di Storia Naturale presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche<br />
e Naturali dell’università di Parma (Decreto dittatoriale del 6 dicembre<br />
1859). Nel 1863 fu nominato professore di Mineralogia, Geologia e zoologia<br />
e Direttore del Gabinetto di Storia naturale presso l’Università di Parma (Decreto<br />
sovrano del 19 gennaio 1863). Si innamorò di molte donne, non sempre<br />
ricambiato. Questa irrequietezza sentimentale lo portò spesso a desiderare<br />
grandi viaggi e a congedarsi da città e paesi. Verso la fi ne del 1864<br />
lasciò l’università di Parma per trasferirsi in Argentina: su invito del rettore<br />
dell’Università di Buenos Aires, Juan Maria Gutierrez, e del suo caro amico,<br />
il noto scrittore e medico Paolo mantegazza, accettò infatti di contribuire alla<br />
fondazione e allo sviluppo della facoltà di Scienze Naturali. Il soggiorno in<br />
Argentina, terra in gran parte sconosciuta, signifi cò per lo Strobel, oltre che<br />
realizzare il sogno di giovinezza di conoscere il Nuovo Mondo, una grande<br />
occasione per le sue ricerche scientifi che. Durante il viaggio dall’Europa all’america<br />
si fermò nell’isola di San Vincenzo, una delle maggiori del Capo<br />
Verde, ove gli parve di riscontrare delle analogie con le terremare che aveva<br />
iniziato a studiare in Emilia. Pubblicò queste osservazioni a Parigi nel 1865.<br />
Nei circa due anni di permanenza in Sud America allargò la sua attività a<br />
molti campi della ricerca naturalistica partecipando a spedizioni che lo portarono<br />
fi no in Patagonia e nella terra del Fuego. È interessante notare che<br />
nel corso di queste esplorazioni fu tra i più entusiasti naturalisti a servirsi<br />
della fotografi a, che era al suo inizio. L’apparecchio fotografi co si rivelò subito<br />
il giusto supporto operativo, che permise ai naturalisti di acquisire documentazione<br />
più precisa del disegno e si rivelò di particolare utilità per l’Antropologia<br />
e l’Etnologia. Essa offriva, tra l’altro, il vantaggio di poter inviare le<br />
immagini rapidamente ai diversi colleghi. Dall’Argentina, lo Strobel invitò il<br />
suo amico e collega del Tirolo, il padre francescano naturalista Vinzenz Gredler,<br />
ad andare a insegnare all’Università di Buenos Aires. Non riuscì tuttavia<br />
a realizzare quel desiderato binomio scientifi co. Nella sua prima lezione<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
all’università di Buenos Aires parlò di Darwin: un tema che divideva e univa<br />
studenti e ricercatori. Della Patagonia, come scrisse nei suoi libri sull’argentina<br />
(1865-1867 e 1869) lo affascinarono le montagne, che gli ricordavano<br />
quelle del Tirolo. Gli amici naturalisti di Buenos Aires, avendo scoperto un<br />
lago al 48° parallelo sud, in Patagonia, lo intitolarono <strong>La</strong>go Strobel in suo<br />
onore. <strong>La</strong> morte del padre Michael nel Tirolo lo costrinse tuttavia a fare ritorno<br />
in Europa per affrontare, quale più anziano dei fratelli, la successione del<br />
Fidecommesso della famiglia Strobel a Innsbruck. Prima di lasciare Buenos<br />
Aires costituì la Fondazione Peregrino Strobel, il cui fi ne era quello di assegnare<br />
una borsa di studio per i più meritevoli tra gli studenti della Facoltà di<br />
Scienze Naturali (Il Presente 26 dicembre 1881). Infi ne ritornò defi nitivamente<br />
a Parma attorno al 1868, dopo aver peregrinato per le diverse città<br />
europee. All’Università di Parma gli venne assegnata la cattedra di Geologia.<br />
Nel 1871 fu nominato Direttore della Scuola di Farmacia del-l’università<br />
di Parma per il triennio 1871-1872/1873 - 1874 (Decreto sovrano del 22<br />
novembre 1871). Conseguì poi la laurea in Scienze Naturali presso l’Università<br />
di Parma (10 marzo 1872). Nel 1874, fu dispensato, dietro sua richiesta<br />
e per motivi di salute, dall’insegnamento della Zoologia, affi dato al professore<br />
di Anatomia Comparata (Dispaccio ministeriale del 29 ottobre 1874). Nel<br />
1875 fondò, insieme a Gaetano Chierici e al suo vecchio allievo, Luigi Pigorini,<br />
il Bullettino di Paletnologia Italiana. Nello stesso anno, a Pisa, fu tra i<br />
fondatori della Società Malacologica Italiana. Fu anche Direttore del Museo<br />
di Storia Naturale di Parma e come tale collaborò alla stesura delle notissime<br />
guide di viaggio in lingua tedesca di Karl Baedeker (Leipzig), specialmente<br />
per la guida Ober-Italien. Nel 1878 fu nominato Preside della Facoltà<br />
di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’università di Parma per il<br />
triennio 1878-1879/1880-1881 e a tale carica fu poi rieletto per il triennio<br />
1890-1891/1892-1893. Nel 1891 fu eletto all’unanimità Rettore dell’Università<br />
di Parma per il triennio 1891-1892/1893-1894 (Decreto sovrano del 2<br />
luglio 1891), carica a cui rinunciò dopo il primo anno per motivi di salute. Nel<br />
1894 donò al Museo di Storia Naturale dell’Università di Parma una ricca e<br />
preziosa Collezione di Conchiglie extramarine da lui raccolte ed illustrate,<br />
nonché i suoi libri di Storia Naturale (Verbale dell’Adunanza del Consiglio di<br />
Facoltà di Scienze del 15 aprile 1894). A uno stato di salute apparentemente<br />
debole (soffrì di una ipertrofi a al cuore, sindrome che gli permise ugualmente<br />
di fare viaggi avventurosi), contrappose un’intelligenza vivacissima e<br />
una forte memoria. Oltre a conoscere le lingue antiche, greco e latino, parlava<br />
perfettamente tedesco, italiano, francese, inglese e spagnolo e possedeva<br />
alcune nozioni di ungherese e di turco. Lo Strobel fu autore di almeno<br />
195 pubblicazioni,<br />
scritte in cinque lingue: di particolare importanza sono i suoi scritti sulle<br />
terremare e quelli sulla malacologia, gli studi relativi alla distribuzione geografi<br />
co-fi sica dei molluschi terrestri e d’acqua dolce dell’Alta Italia e inoltre<br />
le indagini di paleo-zoologia relative ai resti faunistici nei depositi preistorici<br />
d’Italia. Tra i suoi meriti va anche annoverato quello di aver fondato una<br />
pubblicistica periodica di scienze naturali in lingua italiana. Lo Strobel intraprese<br />
studi naturalistici, antropologici, archeologici ed etnologici. Tra i suoi<br />
allievi più noti vi furono Luigi Pigorini e Omboni, tra i colleghi a lui più vicini<br />
il viennese G. Jan di Milano e l’astronomo e fi sico Pietro Pigorini, già rettore<br />
dell’università di Parma. <strong>La</strong> sua attività di ricerca costituì un ponte tra l’Europa<br />
e il Nuovo Mondo, come ben si può leggere presso il vecchio Rettorato<br />
dell’Università di Parma, sotto il monumento che gli Argentini gli dedicarono<br />
nel 1899. Il suo motto, come missionario della cultura, fu Wo du bist, musst<br />
du deine Pfl icht tun (ovunque tu ti venga a trovare, devi fare il tuo dovere).<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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L’epoca in cui lo Strobel visse era il tempo dei grandi sviluppi delle scienze<br />
naturali e della tecnica, che risvegliò molte speranze, portando a credere<br />
che la cooperazione delle Scienze potesse signifi care anche intese politiche<br />
di pace. Molti dei naturalisti aderirono ai movimenti pacifi sti e questa fu<br />
anche la scelta dello Strobel, che ebbe contatti, anche attraverso la cugina<br />
Maria Strobel di Innsbruck, con il movimento dell’austriaca Berta von Suttner,<br />
premio Nobel per la Pace. Seguì anche attentamente le conferenze di<br />
Londra di Henry Richard sulla International Reduction of Armaments, del<br />
1879. Lo Strobel, uomo attento agli avvenimenti del suo tempo, percepì<br />
perfettamente l’ondata di liberalismo che andava addensandosi su tutta la<br />
Mitteleuropa e che sfociò con le ribellioni del 1848 e prese lo spunto di essere<br />
nato a Milano per opporsi alla restaurazione austriaca nel Lombardo-Veneto.<br />
Espresse in suo ermetico diario il tormento di queste e di altre scelte,<br />
come quando, nel 1883, dovette andare a rappresentare la città di Parma al<br />
Parlamento a Roma, prendendo una decisione che comportò grossi contrasti<br />
in seno alla famiglia Strobel, che si trovava in Austria. Egli affermò spesso<br />
di non avere una patria, se non la bandiera delle sue ricerche scientifi che.<br />
Alla Camera prese posto all’estrema sinistra. un’altra nota che può chiarire<br />
il carattere dello Strobel nella sua vita di spirito indipendente e insofferente<br />
è il discorso pubblico che pronunciò all’inaugurazione dell’anno accademico<br />
1891-1892 in qualità di Rettore Magnifi co dell’Università di Parma. In esso,<br />
esprimendo una visione molto avanzata delle riforme sociali e scolastiche,<br />
suscitò grande scandalo, al punto che dovette difendersi da numerosi attacchi<br />
reazionari. Tra l’altro, fu anche promotore e sostenitore dell’abolizione<br />
dello studio del greco nei licei. Lo Strobel sposò, ormai cinquantenne,<br />
la giovane Adelinda Valdagni, appartenente a una nobile famiglia trentina,<br />
rappresentata da medici e farmacisti. Ebbero due fi gli, di cui il secondo,<br />
Daniele, divenne un famoso pittore. Lo Strobel morì per sindrome cardiaca.<br />
Fu cremato e sepolto in un loculo monumentale nel cimitero dell’università<br />
di Parma. Fu una cara amica di famiglia, Caterina Pigorini Beri, a pubblicare<br />
sulla Gazzetta di Parma (15 giugno 1895) una sua commossa commemorazione,<br />
ricordandolo alle autorità e ai cittadini di Parma. Nello Strobel si<br />
condensarono ampiamente le due culture, tedesca e italiana, anche se convissero<br />
con molta diffi coltà: razionalmente e fi losofi camente appartenne alla<br />
cultura tedesca mitteleuropea, sentimentalmente fu legato alla letteratura<br />
italiana della sua epoca e appassionato a quel mito dell’Arcadia intesa come<br />
immagine ideale che i viaggiatori nordici avevano della natura mediterranea<br />
e della riscoperta del mondo antico.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
A. De Gubernatis, Dizionario biografi co scrittori, 1879, 968; S. Sapuppo Zanghi, <strong>La</strong> XV legislatura<br />
italiana, Roma, 1884; T. Sarti, Il Parlamento Subalpino e Italiano, due volumi, Roma, 1896<br />
e 1898; A. Malatesta, Ministri, 1941, 162; Aurea Parma 2 1987, 132-135; T. Marcheselli, Strade<br />
di Parma, III, 1990, 110; F. Pariset, Per il prof. pellegrino Strobel, in Per l’Arte 7 1895, 183; L.<br />
Jung, Prof. Cav. Nob. Pellegrino de Strobel, in Annali dell’università di Parma, 1896, 93-96; I.<br />
giuffrida, Pellegrino Strobel e i suoi corrispondenti, in Aurea Parma LXXI 1987, 131-157, che<br />
riporta l’elenco degli scritti di Strobel; Aurea Parma 1 1992, 22; Le terremare, 1994, 61-66;<br />
Gazzetta di Parma 28 ottobre 1995, 12.<br />
TESTI LAUDADEO<br />
Parma 21 giugno 1857-Parma 7 maggio 1924<br />
Fu storico reputatissimo, critico di arte accorto e severo, giornalista e pole-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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mista assai vivace. Fu Direttore della Pinacoteca di Parma, Sovrintendente<br />
ai monumenti per le province di Parma, Piacenza, Modena e Reggio e insegnante<br />
di storia dell’arte all’Istituto di Belle Arti di Parma, tenendo con onore<br />
la cattedra che era stata di Alberto Róndani. <strong>La</strong>sciò un’infi nità di studi sulla<br />
storia dell’arte e di saggi storico-critici sui più celebrati monumenti e dipinti<br />
della città di Parma. Il primo saggio critico del Testi risale al 1902, l’ultimo<br />
al 1924, dopo ventidue anni di attività che consentirono di pubblicare una<br />
serie di opere che fanno parte della storia dell’arte, non soltanto regionale.<br />
Morto quando era ancora nel pieno possesso delle proprie forze fi siche e<br />
intellettuali, lasciò inediti e incompiuti studi di grande importanza artistica:<br />
la Storia della pittura veneziana, la tetralogia storico-critica dei quattro principali<br />
monumenti di Parma, la Cupola del Correggio nel Duomo di Parma<br />
e infi ne il capolavoro della fi orente maturità, il Correggio. Per l’interessamento<br />
di studiosi, di ammiratori e di amici, alcune delle sue più importanti<br />
opere manoscritte uscirono più tardi alla luce. Così si dica del volume su<br />
San Giovanni Evangelista di Parma, di quello sulla Cupola del Correggio<br />
e del volume sul Correggio. Estrapolando dal variatissimo repertorio della<br />
saggistica testiana, che va dai testi monografi ci sull’architettura ravennate,<br />
milanese e piacentina, alla pittura di Vittore Carpaccio, Girolamo Mazzola<br />
(quattro volumi), sottolineati da un rinnovato successo editoriale s’impongono<br />
all’ammirazione degli studiosi Parma (1905), Il Battistero di Parma (in<br />
lingua francese, 1916), Santa Maria della Steccata (1922) e <strong>La</strong> Cattedrale<br />
di Parma (1934). Tutti rievocano i grandi avvenimenti costruttivi e le maggiori<br />
testimonianze artistiche che impreziosiscono il tessuto urbano della città<br />
di Parma. L’analisi descrittiva coinvolge in un serrato e lucido commento<br />
l’attività degli architetti e degli artisti dei vari periodi storici, sottolineandone,<br />
con inediti richiami, il contributo offerto all’evoluzione dell’arte italiana. Il prestigio<br />
dell’edizione postuma de <strong>La</strong> Cattedrale di Parma (Istituto d’arti grafi -<br />
che, Bergamo) è accentuato dalla magistrale recensione a fi rma di Armando<br />
Ottaviano Quintavalle in Crisopoli (luglio-agosto 1934), che riesamina con<br />
grande padronanza il testo, rilevandone alcune discutibili semplifi cazioni ma<br />
lodandone il contenuto. Come molte persone di successo, il Testi non ebbe<br />
vita facile e i suoi rapporti pubblici non furono idilliaci. <strong>La</strong> sua fi era e infl essibile<br />
combattività di scrittore e giornalista fomentarono, come ricordò Giovanni<br />
Copertini, tenaci rancori, più tardi mitigati e affi evoliti, dando luogo via<br />
via a una sincera ammirazione per l’uomo e per lo studioso. Il giorno delle<br />
esequie venne ricordato da Giovanni Mariotti, suo amico e ammiratore (il<br />
testo è riprodotto in Archivio Storico per le Province Parmensi 1924, 33-38).<br />
Spirito analitico, lavorò sulla base di una accuratissima preparazione storico-archivistica.<br />
L’esame stilistico, termine del lavoro fi lologico, fu dal Testi<br />
impostato sul criterio delle derivazioni formali con acuto senso dello sviluppo<br />
del linguaggio pittorico. In esso si ritrova un contenutismo garbato, effetto<br />
dell’analisi (l’attenzione è rivolta alla cosa rappresentata e all’argomento<br />
preferito dall’artista come per fornire un’indicazione sul gusto dell’artista e<br />
dagli argomenti prescelti inferirne lo stato d’animo). Il Testi credette a una<br />
specie di sviluppo autonomo di qualità artistiche (la prospettiva, lo scorciare),<br />
ma sempre temperatamente e colla capacità di distinguere il punto dove<br />
l’astratta qualità pittorica si vuota di vigore creativo e subentra l’esercizio<br />
tecnicistico. Uomo coltissimo, non specialista, il Testi sentì l’infl uenza della<br />
scuola di Vienna: ammiratore del Burckhardt, ne riecheggiò qua e là i giudizi.<br />
Se non giunse al lapidario giudizio critico e alla formula riassuntiva, la<br />
bellezza gli si manifesta sotto specie di valori pittorici: luci, ombre, bagliori<br />
chiaroscuri, intensità di toni, spazi interminati dove l’occhio e la mente possono<br />
vagare e perdersi nell’infi nito pittorico. Egregiamente seppe cogliere<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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il carattere umano-terreno di un pittore a lui prediletto, il Correggio. Dalla<br />
sottile penetrazione ermeneutica, frutto di intuito e di studio, escono brillanti<br />
defi nizioni psicologiche, come d’altra parte rientra in essa la conoscenza<br />
dei limiti esteriori entro i quali si è prodotta l’opera artistica (ciò che non<br />
scaturisce dal cuore del soggetto e si deve probabilmente a necessità di<br />
superfi cie). Vi è tuttavia un lato negativo nella critica del Testi: la sua volontà<br />
di giudizio, la discriminazione cioè del bello dal brutto, sostenuta dagli ideali<br />
della fi nitezza fi gurativa, del pregiudizio antibarocco e dello schema disegnativo<br />
classico-accademico. Comunque il Testi riuscì bene a congiungere<br />
l’informazione precisa e gelosa dello studioso di cose locali colla grande<br />
visione dello storico: in ciò si deve vedere una delle ragioni non ultime di<br />
quella asprezza polemica che gli fruttò molti nemici.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
G.Battelli, Le baptistère de Parme, son histoire, son architecture, ses sculptures, ses peintures,<br />
par <strong>La</strong>udadeo Testi, in Archivio Storico Italiano 2 1916, 211-218; G.Fiocco, <strong>La</strong>udadeo<br />
Testi, Storia della pittura veneziana, II: Il divenire, in Nuovo Archivio Veneto 29 1915, 471-479;<br />
G.Giovannoni, <strong>La</strong>udadeo Testi, Santa Maria della Steccata di Parma, in Architettura e Arti Decorative<br />
VI 1921-1922; G.Gronau, Venturi e Testi, Origini della pittura veneziana, in Archivio<br />
Storico Italiano 43 1909, 386-408; G.Mariotti, Necrologia di <strong>La</strong>udadeo Testi, in Archivio Storico<br />
per le Province Parmensi 24 1924, 33-37 (riportato in Aurea Parma luglio agosto 1924);<br />
A.Medin, <strong>La</strong>udadeo Testi, <strong>La</strong> storia della pittura veneziana, 1, in Nuovo Archivio Veneto 18<br />
1909, 334-339; L.Venturi, <strong>La</strong>udadeo Testi, Storia della pittura veneziana, I: Le origini, in L’Arte<br />
1905, 80-88; L.Venturi, <strong>La</strong>udadeo Testi, <strong>La</strong> storia della pittura veneziana, in L’Arte 1909, 12; S.<br />
Lodovici, Critici d’arte, 1942, 351-352; B. Molossi, Dizionario biografi co, 1957, 146; G.Capelli,<br />
Uno storico dimenticato, in Gazzetta di Parma 23 marzo 1999, 15.<br />
TOMMASINI GIACOMO ANTONIO<br />
Parma 2 luglio 1768-Parma 26 novembre 1846<br />
Figlio di Giambattista, modesto medico, e Santa Menegalli. A Parma, dopo<br />
un’accurata formazione classica, si iscrisse all’Università nella facoltà medica<br />
alla scuola del Torrigiani, condiscepolo del Rubini e del Rasori. Sentì<br />
profondamente l’infl uenza del Girardi, che chiamò l’ottimo mio precettore, e<br />
pure del Camuti. <strong>La</strong>ureatosi nel 1789 appena ventenne, si distinse come<br />
medico all’Ospedale parmense e per interessamento del Torrigiani fu inviato<br />
dal Governo a perfezionarsi nelle Università di Pavia, Padova, Bologna,<br />
Pisa e Torino osservando quanto vi si sperimentava sulla scorta dell’orientamento<br />
metafi sico e della pratica medica europea. Il che lo portò in Francia e<br />
in Inghilterra. Cominciò con l’incarico di sostituto del Cortesi nella cattedra di<br />
medicina pratica (1792) dichiarando però S.A.R. che il suddetto non abbia<br />
titolo per ora, né privilegi, né onorifi cenza di professore, né tampoco diritto<br />
di succedere alla cattedra suddetta venendo vacante, volendo S.A.R. riserbarsi<br />
di contemplare il merito a misura della sua assiduità, zelo e diligenza<br />
nell’esercizio del suo incarico. Fu poi professore di fi siologia e patologia<br />
(1794) e tenne le sue lezioni con grande soddisfazione di tutti, così da meritarsi<br />
(1797) un aumento di stipendiodi lire mille soddisfatta S.A.R. della<br />
esattezza con cui il suddetto dottore Giacomo Tommasini si presta all’adempimento<br />
dei propri doveri al disimpegno della Cattedra. Tenne veramente<br />
con molto onore quella cattedra per diversi anni (1815) e le lezioni che pubblicò<br />
gli diedero subito un posto preminente per l’effi cacia dell’insegnamento<br />
e per le teorie illustrate, basate sul metodo induttivo. Nel 1798 sposò Antonietta<br />
Ferroni. Quando sotto l’Impero Francese l’Università di Parma, che<br />
pure si era guadagnata una fama invidiabile, dovette subire l’ordine di soppressione,<br />
la città di Parma diede al Tommasini, insieme al conte Filippo<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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Linati e al banchiere e medico Serventi, l’incarico di recarsi a Genova, ove<br />
si trovava l’Imperatore, per ottenere una revoca della disposizione che privava<br />
la cittadinanza del suo Studio. Fu specialmente il Tommasini che si<br />
adoperò con particolare eloquenza e sincerità di linguaggio così da ottenere<br />
l’intento a vantaggio della sua città e particolare stima presso il Governo<br />
Napoleonico, durante il quale ebbe poi numerose cariche: membro del Consiglio<br />
di Sanità pubblica, Ispettore generale della Pubblica Istruzione, Segretario<br />
al Consiglio del Dipartimento del Taro e per due volte inviato a Napoleone<br />
Bonaparte per ottenere speciali concessioni a favore della città di<br />
Parma. Dell’ambasceria del Tommasini a Genova presso Napoleone Bonaparte<br />
per salvare l’Università di Parma dalla decretata abolizione è data dal<br />
Sighinolfi una particolareggiata narrazione (L. Sighinolfi , Il pensiero e l’opera<br />
della Società Medico Chirurgica di Bologna nel Risorgimento italiano, L.<br />
Cappelli editore, Bologna, 1924, 10). Il Tommasini fu uno dei primi soci corrispondenti<br />
della appena sorta Società Medica di Bologna, a far parte della<br />
quale fu chiamato nel 1805. Già prima di questa sua nomina, da Bologna<br />
vennero fatti (1803) presso di lui i primi approcci per indurlo a passare a<br />
quella Università, dove effettivamente, dopo lunghe incertezze e non poche<br />
trattative, si trasferì a succedere ad Antonio Testa nell’insegnamento di Clinica<br />
medica, inaugurando il suo corso (dicembre 1815) colla prolusione della<br />
necessità di unire in medicina la fi losofi a alle osservazioni. Col Tommasini<br />
a Bologna cominciò e si svolse un nuovo periodo nella storia della medicina<br />
italiana. Agli ideali politici di unità corrispose l’indirizzo nuovo della medicina,<br />
che, liberandosi dall’infl uenza straniera, proclamò il diritto storico e tradizionale<br />
della propria esistenza e si preparò a combattere per la propria libertà<br />
e indipendenza. Un radicale cambiamento si operò nei medici romagnoli e<br />
soprattutto bolognesi intorno al modo di vedere, di studiare e di curare le<br />
malattie, dopo che il Tommasini ebbe la direzione della Clinica Medica di<br />
Bologna, dalla quale affermò la necessità del metodo sperimentale, a cui si<br />
informava tutta la tradizione fi losofi ca italiana, e andò raccogliendo e ordinando<br />
i criteri a cui doveva informarsi la dottrina italiana per evitare gli errori<br />
del passato e del presente. Col titolo di Nuova Dottrina Medica Italiana<br />
vide la luce (1819) un giornale battagliero, che dei concetti del Tommasini fu<br />
l’esponente, dimostrandone l’origine dall’armonica fusione e sintesi di teorie<br />
e constatazioni dovute per la maggior parte a medici e scienziati italiani che<br />
avevano risollevato le gloriose tradizioni della scuola italiana al principio del<br />
XIX secolo. Della corrente contraria alle idee del tommasini si fece capo più<br />
o meno palese Maurizio Bufalini di Cesena, giovane colto e d’ingegno, che<br />
studiò a Bologna sotto la guida del Testa, del quale fu anche assistente, e<br />
che nel 1814, dopo la morte del maestro, mentre il tommasini non si decideva<br />
a prenderne il posto, fu interinalmente supplente alla cattedra vacante.<br />
Ciò forse fece sorgere in lui l’idea di una defi nitiva successione, nella speranza<br />
che il tommasini rinunciasse al trasferimento, e forse la perdita della<br />
cattedra desiderata poté esercitare la sua infl uenza nel gioco degli avvenimenti:<br />
certo la campagna da lui condotta fu di una acredine e irruenza da far<br />
pensare più a personale inimicizia che a divergenze di idee. Nel luglio 1828<br />
il Tommasini, con altri due professori di Bologna (uno dei quali, l’Orioli, strenuo<br />
difensore della nuova dottrina medica italiana), accusato di appartenere<br />
a società segrete e far parte di sètte contro il Governo, fu invitato a dimettersi<br />
dalla cattedra. Tutti e tre chiesero di essere processati. Poterono così dimostrare<br />
la loro innocenza e furono lasciati ai loro posti. L’Orioli ottenne<br />
anche una soddisfazione morale che fu negata al Tommasini, che non seppe<br />
darsene pace. <strong>La</strong>sciò allora Bologna per tornare a Parma durante la<br />
malattia del Neipperg e vi rimase. <strong>La</strong> sua successione alla cattedra di Bolo-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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gna, quando il tommasini la rinunciò, non fu assegnata al Bufalini, malgrado<br />
le sue aspirazioni e i passi fatti per ottenerla presso il cardinale oppizzoni,<br />
arcicancelliere dell’Università Pontifi cia, ma gli fu preferito G.B. Cornelli, da<br />
quasi quindici anni supplente del Tommasini e suo fedele seguace e continuatore.<br />
Insediatosi all’Università di Parma (1829) per lo stesso insegnamento,<br />
il Tommasini ebbe anche la carica di Protomedico dello Stato, di<br />
medico consulente della sovrana regnante Maria Luigia d’Austria e Consigliere<br />
intimo, coll’annuo emolumento di 10 mila franchi. <strong>La</strong> fama della sua<br />
valentia lo fece medico ricercato e chiamato anche lontano da Parma: fu a<br />
Pesaro a curarvi Carolina d’Inghilterra, che molto lo apprezzò anche in seguito<br />
per le sue doti di mente e di cuore, e fu chiamato anche al capezzale<br />
di madama Letizia, madre di napoleone Bonaparte. Si recò a Parigi, Londra<br />
ed Edimburgo e ovunque fu accolto festosamente e con ammirazione per la<br />
sua dottrina, che per oltre quindici anni seguitò a diffondere dalla cattedra<br />
parmense. Facondo, arguto e piacevole parlatore, fu elegante scrittore sia<br />
in italiano che in latino. Venne insignito di parecchie onorifi cenze, tra le quali<br />
la Legion d’Onore e l’Ordine Costantiniano, decorato della medaglia d’oro<br />
per i benemeriti della salute pubblica e fu membro di numerose società italiane<br />
e straniere. Al principio dell’ultimo anno di vita (1846) il Tommasini<br />
prese l’iniziativa, inoltrandrone proposta a E. Salati, consigliere di Stato e<br />
presidente dell’Interno, di un progetto caldeggiato dai più distinti medici chirurgi<br />
di costituire un’Accademia di Scienze mediche e naturali sul tipo di<br />
quella esistente nel 1804 e durante la quale fu pubblicato il Giornale che<br />
fece tanto onore al paese e sollecitando la Sovrana approvazione. Il Salati<br />
trasmise la proposta (3 marzo 1846) al Magistrato degli Studi per eventuali<br />
osservazioni e ne ebbe la risposta che nulla di meglio per le adunanze di<br />
tale associazione vi era dell’edifi cio universitario. Ma la pratica non procedette<br />
abbastanza sollecitamente perché Tommasini potesse vederla giungere<br />
a soluzione: colpito da acutissima pneumonite, morì a 78 anni di età.<br />
<strong>La</strong> morte di Tommasini fu annunciata da tutti i giornali della penisola con<br />
espressioni di omaggio e di venerazione. Pubblicò numerose opere scientifi<br />
che e fu uno dei principali redattori del Giornale Medico Chirurgico, che si<br />
stampò a Parma tra il 1806 e il 1813. Tra le opere più importanti, vanno ricordate:<br />
Prospectus animalis vitae (1794), Institutiones Pshysiologiae et<br />
Pathologiae (1794), Storia ragionata di un diabete (Parma, 1794), Quanto<br />
infl uisce il cuore sulla circolazione del sangue (Parma, 1794), Lezioni critiche<br />
di Fisiologia e Patologia (Parma, 1802), Sulla febbre di Livorno del 1804.<br />
Sulla febbre gialla americana e sulle malattie di genere analogo. Ricerche<br />
patologiche (Parma, 1805), Sulla necessità di unire in medicina la fi losofi a<br />
all’osservazione (bologna, 1817), Della nuova dottrina medica italiana (in<br />
Opere complete, Bologna, 1835, volume VI), Della dignità della Medicina in<br />
Italia (Bologna, 1823), Sull’insegnamento Medico-Clinico dell’Inghilterra e<br />
dell’Italia (in Opere, Bologna, 1836, volume VII), Discorsi tre pronunciati in<br />
occasione del riaprimento delle sue lezioni nella R. Università di Parma (Bologna,<br />
1837), Della infi ammazione e delle febbri continue (in Opere, Bologna,<br />
1837, volume X) e Raccolta completa delle opere mediche di giacomo<br />
Tommasini (volumi I-X, Bologna, 1833-1837).<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Aurea Parma 5-6 1912, 32-34; I. Cantù, L’Italia scientifi ca contemporanea, Notizie sugli Italiani<br />
ai primi cinque congressi, Milano, 1844, III, 142-146; E. Bonetti, Biografi a di G. Tommasini, Milano,<br />
1847; G. Perini, <strong>La</strong> mente di G. Tommasini, Commemorazione, Milano, 1847; E. Michel,<br />
in Dizionario Risorgimento, 4, 1937, 449; M. Varanini, Salsomaggiore, 1939, 91-96; G. Bracchi,<br />
G. tommasini, Parma, 1847; A. Corradi, G. Tommasini fi siologo, Milano, 1881; Castiglioni,<br />
Storia della medicina, Milano, 1929; E.Bertarelli, G.Tommasini, in Aurea Parma 1912, 31-35;<br />
A.Palmerini, G. Tommasini, in Enciclopedia Treccani, Roma, 1937, XXXIII, 1012; E.Benassi,<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
L’Università di Parma durante la dominazione francese, in Archivio Storico per le Province<br />
parmensi V 1940, 55-89; G. tommasini nel centenario della morte, Milano, 1946; G. Berti,<br />
atteggiamenti del pensiero nei Ducati di Parma e Piacenza, 1962, II, 517-518; Gazzetta di<br />
Parma 16 giugno 1980, 3; M.Leoni, In morte di G. Tommasini, Parma, 1846; G.A. Giacomini,<br />
Cenni biografi ci, Venezia, 1847; M.G.Levi, Cenni biografi ci intorno a G. Tommasini di Parma, II<br />
edizione, Venezia, 1855; Storia del giornalismo, VIII, 1980, 656; Grandi di Parma, 1991, 107;<br />
A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 230.<br />
TOSCHI PAOLO STANISLAO FRANCESCO<br />
Parma 6 giugno 1788-Parma 30 luglio 1854<br />
Nato da Luigi, cassiere delle Poste del Ducato, e Anna Maria Brest. Il Toschi<br />
cominciò giovanissimo a studiare pittura sotto la guida di Biagio Martini,<br />
professore dell’Accademia di Parma, ottenendo già nel 1805, in un concorso<br />
di nudo di quell’Istituto, elogi per un disegno presentato. Contemporaneamente<br />
alla pittura, fece pratica d’incisione nella scuola del francese Francois<br />
Simon Ravenet e nel 1807 fondò, assieme a Tommaso Gasparotti, antonio<br />
Isac e Vincenzo Raggio (ai quali si aggiunse un anno più tardi Claudio Linati),<br />
la Società parmense degli incisori all’acquerello. <strong>La</strong> Società durò solo<br />
fi no al 1809. Su disegni di Biagio Martini (spesso tratti da opere del parmigianino<br />
o del Poussin), i giovani incisori riprodussero all’acquatinta soggetti<br />
sacri, scene classiche e realistiche (appartengono a quel periodo alcune<br />
Sacre famiglie, il Baccanale, <strong>La</strong> Morte di Lucrezia, Gismunda che beve il<br />
veleno, Diogene in cerca della donna, Vecchia che si scalda). Nel 1809 il<br />
Toschi, in seguito a disgrazie di famiglia, decise di abbandonare defi nitivamente<br />
la pittura e dedicarsi all’incisione, che riteneva di maggiore rendita.<br />
Gli amici, che riconoscevano in lui singolari doti di disegnatore e di potenziale<br />
pittore, cercarono in ogni modo di dissuaderlo e più di tutti il Linati che<br />
chiese anche l’intervento del precettore Caderini perché cercasse con la<br />
sua autorità di far recedere il Toschi dalle sue decisioni: Sarebbe peccato<br />
che il suo talento si perdesse in materiale lavoro, e che uno che può essere<br />
pittore, scelga di farsi servitore alla pittura. Egli è un poco di avidità di denaro,<br />
che gli fa parer fi orita quella carriera arida e scabrosa; ma l’oro splende<br />
da lunge e per toccarlo si pone talvolta in un cammino, che per lunghezza fa<br />
cadere a mezzo. Ma il Toschi, sicuro della sua scelta e desideroso di dare<br />
alla propria cultura un più ampio respiro, decise di andare a Parigi, città che<br />
il trionfo dell’epopea imperiale aveva reso centro vitale di ogni attività artistica<br />
europea. Finanziato da quell’ottimo Lucio Bolla che chiamerò sempre<br />
mio unico amico e secondo padre, e in compagnia dell’amico fraterno e futuro<br />
cognato Antonio Isac, nel 1809 partì fi nalmente per Parigi. sistematosi<br />
in un primo tempo presso il pittore Michele Rigo in Rue de Hanovre e in<br />
seguito all’Hotel de Mailly in Rue de l’Université n. 45, cominciò a frequentare<br />
lo studio d’incisione all’acquaforte del fi ammingo Oortmann e soprattutto<br />
quello di bulino del Bervic, al quale il Bolla lo aveva particolarmente raccomandato.<br />
Sotto la guida del Bervic, al quale riconobbe tutta l’arte del<br />
bulino, siccome all’olandese Oortmann ciò che concerne la preparazione<br />
all’acquaforte, cominciò a perfezionarsi nel disegno (ottenendo già nel 1810<br />
il 1° premio triennale) esercitandosi soprattutto in neoclassiche riproduzioni<br />
di statue antiche e nella imitazione di alcuni ritratti del Sei-Settecento francese.<br />
Appartengono a questo periodo alcune incisioni che furono esposte<br />
nel 1811 a Parma in occasione della exposition des objets d’art et d’industrie<br />
du département du Taro, riproducenti Pallade, Marte e i ritratti di Bossuet,<br />
Mazzarino, Colbert e Fleury. Inserendosi subito nell’ambiente artistico parigino,<br />
strinse amicizia con Gérard e i suoi più intimi, dei quali anche in segui-<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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to riconobbe l’infl uenza sulla sua formazione culturale. Ma soprattutto rivolse<br />
la sua attenzione e il suo studio ai capolavori del Rinascimento italiano<br />
raccolti in quel tempo nei Musei Napoleonici: Ma oltre ogni dire accendevami<br />
lo spirito e avvezzami al vero bello il meditar continuo e lo studiare nelle<br />
sublimi opere italiane che erano a que’ giorni sulla Senna. Dopo il crollo<br />
dell’impero napoleonico, quando l’imperatore d’Austria incaricò il conservatore<br />
della Galleria di Vienna di recuperare le opere d’arte degli Stati austriaci<br />
e del Ducato parmense portate a Parigi da Napoleone Bonaparte, il Governo<br />
di Parma incaricò il Toschi, unica persona che, per sapere, prudenza<br />
ed energia potesse condurre a buon effetto il negozio, di riceverne la consegna.<br />
In collaborazione col conte Stefano Sanvitale e col console Giuseppe<br />
Poggi, incaricato d’affari del Ducato di Parma, rintracciò molte opere, tra le<br />
quali anche la Madonna del S. Girolamo del Correggio, che riuscì a far tornare<br />
a Parma nel 1816. Il Poggi, relazionando da Parigi il ministro Magawly<br />
sul recupero e la spedizione dei quadri, dice tra l’altro: Mi credo in dovere di<br />
raccomandare al favore di V. E. il Signor Toschi nostro, che ha meritato dalla<br />
patria esponendosi ancora allo sdegno de’ suoi confratelli nell’arte, ch’egli<br />
coltiva con onore anche di Parma. Nel 1817 ricevette il diploma di accademico<br />
d’onore dell’Accademia di Belle Arti di Parma. Nello stesso anno gli<br />
venne dato dal Bervic l’incarico di collaborare assieme al Gérard e al Fragonard<br />
alle illustrazioni dell’importante edizione di Os Lusiadas del Camões,<br />
curata dal Souza Boltho, incidendo ex novo la vignetta del canto VII e revisionando<br />
tutte le altre pur compiute da valenti e rinomati incisori. Incaricato<br />
dal console del Ducato di Parma a Parigi, Giuseppe Poggi, di sbrigare diversi<br />
affari pel servizio del Governo, pieno di merito e carico di onorifi ci lavori,<br />
tornò a Parma nel 1819, portando con sé le lastre già iniziate dello Spasimo<br />
di Sicilia da Raffaello e della Entrata di Enrico IV dal Gérard, oltre che la<br />
commissione di terminare l’intaglio del Testamento di Eudamida dal Poussin,<br />
iniziato dal Bervic. Sposatosi lo stesso anno con Maria Rigo, fi glia del<br />
banchiere Bartolomeo, divenne socio del cognato Isac della Scuola d’incisione<br />
da questi fondata nel 1814, che prese il nome di Studio Isac-Toschi.<br />
<strong>La</strong> scuola, divenuta in poco tempo famosa e frequentata da studenti provenienti<br />
da ogni parte d’Europa, venne in seguito inserita come sezione d’insegnamento<br />
nell’Accademia di Belle Arti. Con Decreto sovrano del 18 novembre<br />
1820 venne nominato da Maria Luigia d’Austria direttore della<br />
Galleria e delle Scuole dell’Accademia di Parma, al posto di Francesco Calboli<br />
Paolucci. Da quel momento in poi il Toschi resse (tranne un breve periodo<br />
nel 1848, di sospensione per ragioni politiche) le sorti artistiche della città.<br />
In meno di dieci anni, in collaborazione con l’architetto Bettoli, al quale fu<br />
unito da uno stesso ideale neoclassico di composta e misurata eleganza,<br />
cambiò la fi sionomia architettonica della città, sovrintendendo ai progetti (e<br />
a volte modifi candoli) e alle esecuzioni di questi, proponendo nuove opere<br />
di interesse pubblico e imponendo artisti da lui considerati meritevoli. Nel<br />
1821 il Toschi venne incaricato da Maria Luigia d’Austria di studiare, assieme<br />
all’architetto Bettoli, l’ampliamento delle Scuole dell’Accademia e quello<br />
della Galleria, che da tempo si era rivelata inadeguata al patrimonio artistico<br />
della città. nell’aprile del 1821, in seguito alla sollecitazione sovrana, il Toschi<br />
inviò al barone Ferdinando Cornacchia il progetto d’ampliamento, perché<br />
lo sottoponesse al giudizio sovrano. Ottenuta da Maria Luigia d’Austria<br />
l’approvazione, iniziarono lo stesso anno i lavori, che si protrassero fi no al<br />
1825. L’Accademia venne ampliata e riunita in un unico edifi cio, usufruendo<br />
di un grande magazzino della tipografi a ducale, di stanze attigue al teatro<br />
Farnese e di un appartamento lasciato libero da Biagio Martini, mentre la<br />
Galleria si arricchì di un grande salone ricavato dal Teatrino di Corte, unito<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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alla sala preesistente per mezzo di una stanza elittica creata ex novo, dove<br />
vennero poste quattro colonne corinzie. <strong>La</strong> costruzione, l’ornato e il riordinamento<br />
della Galleria vennero progettati dal Toschi, secondo quanto egli<br />
stesso afferma, mentre il Bettoli diresse l’esecuzione dei lavori. L’inaugurazione<br />
avvenne solennemente il 10 luglio 1825 e il 14 luglio dello stesso anno<br />
il Toschi ricevette da Maria Luigia d’Austria la croce di cavaliere. contemporaneamente<br />
ai lavori di ampliamento dell’accademia e della Galleria, nel<br />
1821 Maria Luigia d’Austria incaricò il Toschi di sovrintendere alla costruzione<br />
del nuovo Teatro ducale progettato dal Bettoli, affi dandogli in modo particolare<br />
la parte decorativa. Durante la costruzione del nuovo teatro, allorquando<br />
dovrassi intraprendere qualche lavoro d’ornato, è mia intenzione<br />
che si senta prima il parere della Commissione d’ornato, presieduta dal prof.<br />
Dir. Toschi, alla quale verrà pure ammesso l’arch. Gazola. Il Toschi progettò<br />
tutte le decorazioni in rilievo dell’edifi cio: quelle dell’atrio, della platea, della<br />
bocca d’opera, della Galleria e di gran parte dell’arredamento. Suggerì i<br />
motivi ornamentali per gli affreschi della volta e del sipario ottenendo, dopo<br />
molte polemiche, che venissero affi dati ad artisti locali. Dovetti immaginare<br />
tutto l’insieme della decorazione, e per la parte ornativa, causa l’insuffi cienza<br />
de’ pittori, mi vidi costretto ad inventare e disegnare in grande come ora<br />
si vedono, tutti gli ornati in tante grandi carte a ciò preparate, e poi sorvegliarne<br />
l’esecuzione. Nonostante l’impegno per i lavori del Teatro (che, iniziati<br />
nel 1821, terminarono nel 1829), il Toschi non trascurò in quel periodo<br />
la sua attività d’incisore. Nel 1826 portò a termine la lastra dell’Ingresso<br />
dell’Enrico IV da un dipinto del Gérard e nel settembre dello stesso anno si<br />
recò a Parigi per presentare, assieme al pittore francese, la stampa al re<br />
Carlo X al quale era dedicata. l’avvenimento, di grande rilievo nell’ambiente<br />
artistico francese, venne così commentato da un noto giornale parigino: Un<br />
artista che la Francia può dir suo, perché formato alla scuola del Bervic e<br />
perché ha scelto dei quadri francesi, il Sig. Toschi si è ora provato a prenderne<br />
dall’Italia, dalla Francia e dall’Inghilterra varie maniere diverse per usarne<br />
nella entrata dell’Enrico IV del Gérard il Sig. Toschi ha saputo ad un capolavoro<br />
aggiungere un capolavoro. Noi ci rallegriamo col Sig. Gérard e facciamo<br />
voti onde il Sig. Toschi impieghi il suo ingegno<br />
formato e coltivato in Francia a qualche nuovo capolavoro della scuola francese.<br />
Carlo X, in segno di apprezzamento per l’incisione particolarmente<br />
gradita, gli inviò in dono una tabacchiera d’oro ornata delle sue cifre in diamanti.<br />
Nel marzo 1827 il Toschi perdette la fi glia di sedici mesi, Marianna<br />
Teresa, per un fulmineo attacco di petto. Nello stesso anno si aggravarono<br />
le condizioni di salute del cognato Isac, che venne dal Toschi assistito moralmente<br />
e materialmente con affetto più che fraterno. All’inizio del 1828, in<br />
seguito alla sua morte, che lo addolorò profondamente (l’ottimo mio amico e<br />
dilettissimo cognato ha terminato i suoi giorni, perì da angelo come visse),<br />
per aiutare la famiglia che si trovava in ristrettezze economiche (e sulla quale<br />
continuò a vegliare anche in seguito come un padre, pensando agli studi<br />
e alla sistemazione dei fi gli, aiutandoli a risolvere complessi problemi legali)<br />
chiese e ottenne di prendere il suo posto di professore d’intaglio all’Accademia<br />
di Belle Arti per versarne lo stipendio alla vedova. Nel 1828 riuscì a far<br />
comprare dal Governo la famosa Collezione Ortalli (composta di sessantamila<br />
incisioni di grande valore, conservata alla Biblioteca Palatina di Parma),<br />
che da lui acquistata nel 1827 per evitare che la lentezza delle trattative e<br />
l’indecisione del Governo potessero compromettere l’affare e che la preziosa<br />
raccolta venisse venduta all’estero, venne ceduta dal Toschi allo Stato<br />
per la stessa cifra da lui pagata. Nell’aprile del 1828 ricevette, in segno di<br />
stima, un anello dal Re di Sassonia, venne insignito della Legion d’onore da<br />
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neipperg e venne nominato Cavaliere d’onore del Re di Francia (dal quale<br />
gli venne pure commissionata poco dopo l’incisione della sua incoronazione)<br />
e socio del Reale Istituto di Francia. Alla vigilia dei moti del 1831, nonostante<br />
importanti affari richiedessero la sua presenza a Firenze, il Toschi<br />
preferì rimanere a Parma per partecipare attivamente alle vicende politiche:<br />
fece parte della Deputazione del Comune che il 13 febbraio chiese a Maria<br />
Luigia d’Austria l’armamento della Guardia Nazionale e fu membro del Consiglio<br />
Civico fi no al ristabilimento del Governo Ducale. Al ritorno di Maria<br />
Luigia d’Austria dal breve esilio piacentino, il Toschi, sospettato di carbonarismo<br />
fi n dal 1823 e ormai politicamente molto esposto, venne tenuto sotto<br />
assiduo controllo della Polizia, che non gli perdonò l’attiva partecipazione ai<br />
moti insurrezionali. Nell’aprile del 1831 chiese un permesso per recarsi a<br />
Firenze, che, sotto il governo mite e tollerante di Leopoldo II, oltre che centro<br />
culturale vivace e stimolante, rappresentava il rifugio ideale di tutti gli esuli e<br />
perseguitati politici. Alla fi ne del mese, prima di partire per la Toscana dove<br />
il Bartolini, amico di vecchia data, gli offrì calorosamente ospitalità, scrisse<br />
al Presidente dell’Interno: Prima d’allontanarmi da Parma, in momenti in cui<br />
la malignità cerca di profi ttare delle attuali vicende per iscagliare i suoi dardi<br />
anche contro quelli che non ha mai potuto attaccare ed al solo fi ne che il mio<br />
silenzio non venga mal interpretato reputo mio dovere dichiarare che durante<br />
tutto il tempo della passata insurrezione io non ho fatto cosa alcuna che<br />
a me non sia sembrata un obbligo di buon cittadino e d’uomo d’onore e della<br />
quale io non possa dare pienamente ragione. Tornato a Parma, e ancora<br />
amareggiato per le recenti vicende, meditò, per un certo periodo, di trasferirsi<br />
defi nitivamente a Firenze o a Parigi, città a lui ugualmente care. Nell’agosto<br />
dello stesso anno presentò le dimissioni da Presidente e Professore<br />
dell’Accademia di Belle Arti, che vennero probabilmente rifi utate, perché<br />
dopo questa data il Toschi continuò a occupare il suo posto e a svolgere,<br />
anche se saltuariamente, le sue mansioni. Fino alla fi ne del 1831, infatti, fu<br />
costretto all’immobilità per una noiosa malattia dalla quale si rimise lentamente:<br />
Debbo avere molto riguardo e penso al modo di ripararmi i piedi<br />
dall’umido e dal freddo. Sono perciò a pregarti di mandarmi gli stivali fattimi<br />
dal Ronchetti col sughero nelle piante. Nel 1832 il Toschi fu quasi sempre<br />
fuori Parma, per lo più a Firenze dove di recò più volte per assistere alla tiratura<br />
dello Spasimo di Sicilia (terminato quell’anno) e a Roma. Solo all’inizio<br />
del 1833 riprese la sua normale attività. Ma il vigile e costante controllo<br />
della Polizia gli procurò una forte tensione nervosa che si tradusse spesso<br />
in una violenza verbale in lui insolita. In una lettera del 20 maggio 1833,<br />
strapazza sarcasticamente il direttore della Polizia di Parma, Odoardo Sartorio<br />
(che, odiato dai cittadini, venne assassinato il 19 gennaio 1834) perché<br />
aveva fatto sequestrare l’innocuo opuscoletto (che da tempo circolava autorizzato<br />
a Milano) del Giordani sullo Spasimo di Sicilia: Io debbo supporre<br />
che ciò provenga da’ suoi impiegati perché non posso credere che Ella si<br />
voglia dare il ridicolo di controllare la Polizia di Milano. Il vessare i buoni<br />
cittadini che vanno per le vie regolari pel solo piacere di far sentire il proprio<br />
potere è il vero carattere del vile impiegatuzzo ignorante e a che serve rompere<br />
gli stivali domandando per ogni ragazzata che arriva una dichiarazione<br />
in iscritto che a nulla giova? Nello stesso periodo inviò al podestà Le Brun<br />
una lettera fortemente polemica perché aveva destinato la sua casa ad alloggio<br />
militare per un Capitano con ordinanza a cavallo. Questa disposizione,<br />
che per il Toschi ebbe sapore di punizione e di controllo, lo amareggiò<br />
profondamente, convinto come era di aver ampiamente compiuto il suo dovere<br />
civico verso il pubblico interesse, ospitando in casa sua da sempre e<br />
senza ricompensa la scuola d’incisione facente parte dell’accademia di Bel-<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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le Arti. Nonostante il fi ero sdegno per i sospettosi controlli di cui si sentì ingiustamente<br />
oggetto, il Toschi non aveva, politicamente, la coscienza tranquilla.<br />
Dovendosi, nell’ottobre del 1833, recare a Milano per lavoro, chiese<br />
in via amichevole al Capo della Polizia se dall’anno scorso in qua fosse insorto<br />
qualche ostacolo al mio entrare nel Regno lombardo. Nessuno al certo<br />
meglio di Lei lo può sapere. In questi tempi più che mai, si deve credere<br />
tutto possibile. E ancora nel giugno del 1834, dovendosi di nuovo recare a<br />
Milano, si informò perché avendo sentito che nuovi rigori sono stati messi ai<br />
confi ni lombardi per lasciar passare le persone che sin qui non erano soggette<br />
che ad essere visitate, io sarei a pregarla di voler verifi care presso la<br />
Polizia di Milano se nulla di nuovo vi sia sul mio conto trattandosi di materia<br />
che un rapporto d’un malevolo basta a rendere sospetto non si può mai essere<br />
sicuri. Nel settembre del 1834 gli venne commissionato da Roberto<br />
D’Azeglio, direttore della Galleria e dei Musei di Torino, il ritratto di Carlo alberto<br />
re di Sardegna (che già nel 1832 gli aveva inviato, in segno di stima,<br />
una scatola d’oro con le sue iniziali), che avrebbe dovuto servire come frontespizio<br />
alla Illustrazione della Reale Galleria, le cui incisioni vennero pure<br />
affi date al Toschi e alla sua Scuola. I lavori si protrassero fi no al 1846, ma<br />
ancora nel 1850 il Toschi avanzava grossi crediti dagli editori di questa povera<br />
opera che è stata il bersaglio dei bricconi. Nell’ottobre del 1836, al ritorno<br />
da un lungo soggiorno a Roma, venne nominato socio dell’Accademia di<br />
Ravenna e di quella di Durazzo. Nel marzo del 1837 accettò di collaborare<br />
alla Strenna Letterario-Artistica che il tipografo Santo Bravetta pubblicò l’anno<br />
successivo, nella quale si raccolsero articoli inediti dei migliori letterati<br />
italiani viventi e composizioni originali di noti artisti italiani incisi nelle principali<br />
scuole. Il Toschi, assicurando da parte sua un disegno poi inciso dal<br />
Dalcò, si prestò per ottenere la collaborazione dei più noti artisti contemporanei<br />
riuscendo a far aderire all’iniziativa anche l’Hayez, il Giordani e Massimo<br />
D’Azeglio. Lo stesso anno iniziarono i lavori per le illustrazioni della Reale<br />
Galleria Pitti, commissionata al Toschi e alla sua Scuola dal granduca<br />
Leopoldo II di Toscana, il cui ritratto inciso dal Toschi nel 1833 servì come<br />
antiporta della pubblicazione. I lavori si protrassero con alterne vicende e<br />
polemiche fi no al 1842. L’opera, pubblicata dal Regio Calcografo Luigi Bardi<br />
(editore fi orentino di gran parte delle incisioni del Toschi), procurò al Toschi,<br />
nel 1841, la decorazione del Granduca di Toscana, dell’Ordine del merito di<br />
San Giuseppe. Sempre nel 1837 il Toschi fece da intermediario per risolvere<br />
la lunga polemica tra Maria Luigia d’Austria e il Bartolini, per la costruzione<br />
del monumento a Neipperg, che minacciava di divenire irreparabile per il<br />
comportamento e le pretese dello scultore che sembravano troppo esose.<br />
nell’agosto del 1838 il Toschi riuscì a ottenere da Maria Luigia d’Austria l’approvazione<br />
per un ulteriore ampliamento della Galleria, che, nonostante la<br />
ristrutturazione terminata nel 1825, si era da tempo dimostrata insuffi ciente.<br />
Già nel 1835, in occasione dell’acquisto della Collezione Sanvitale da parte<br />
dello Stato (che ne dilatò macroscopicamente il patrimonio artistico), il Toschi<br />
aveva esposto un progetto per un ulteriore riassetto della Galleria, nel<br />
quale venne considerata, per meglio valorizzarli, una diversa collocazione<br />
dei quadri del Correggio. Nel maggio del 1839, ottenuto da Maria Luigia<br />
d’Austria il fi nanziamento per la riproduzione di gran parte delle opere del<br />
Correggio in Parma (gli affreschi di San Giovanni, del Duomo, della Camera<br />
di San Paolo, la Madonna della Scala, l’Incoronata, l’Annunciazione, la Madonna<br />
del S. Girolamo, la Madonna della Scodella) e i quattro affreschi del<br />
Parmigianino sugli archi delle due cappelle della chiesa di San Giovanni,<br />
iniziò, in collaborazione con gli allievi, i lavori per le incisioni, che si protrassero<br />
fi no dopo la sua morte. Nel maggio del 1845 venne nominato dal re di<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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Francia Luigi Filippo,<br />
Uffi ciale del Regio Istituto di Francia. Nell’agosto dello stesso anno, per<br />
iniziativa dell’Accademia di Belle Arti di Monaco, venne organizzata in quella<br />
città un’esposizione delle incisioni del Toschi. Contemporaneamente ai<br />
lavori per la riproduzione delle opere del Correggio e del parmigianino, il<br />
Toschi lavorò intensamente anche alle lastre della Pietà del Canova, che,<br />
quasi ultimata nel novembre del 1845, venne per diverse ragioni pubblicata<br />
solo nel 1853, e soprattutto a quella del Testamento d’eudamida del Poussin,<br />
che, iniziata dal Bervic quando il Toschi era ancora a Parigi, era rimasta<br />
interrotta per lungo tempo. Nel 1847, a lastra quasi ultimata, il Toschi decise<br />
di andare a Parigi per darle il colpo di grazia, cogliendo così l’occasione per<br />
recarsi anche a Londra, dove gli editori Colnaghi avevano organizzato<br />
un’esposizione delle sue riproduzioni degli affreschi del Correggio e del Parmigianino,<br />
che ebbe grande successo di pubblico e di critica. Alla morte di<br />
Maria Luigia d’Austria, avvenuta il 17 dicembre 1847, il suo successore Carlo<br />
di Borbone, appoggiato da una camarilla conservatrice e duchista (alla<br />
quale il Toschi venne ingiustamente sospettato di appartenere), iniziò una<br />
impopolare politica reazionaria e austriacante che portò all’insurrezione della<br />
città il 20 marzo 1848. Già nel gennaio del 1848 il Toschi dice: Notre nouveau<br />
Duc me parait être Antidiluvien e, preoccupato per le sorti della città e<br />
dell’Italia, scrive agli amici inglesi Colnaghi: Les evenements du monde marchent<br />
à vapeur. Dieu veuille la paix. Quant à vous anglais, vous n’avez rien<br />
a craindre, parce que vous étes inattaquables; mais nous, que deviendrons<br />
nous? <strong>La</strong> rapida soluzione della rivolta, sedata per le promesse di Carlo di<br />
Borbone di una Costituzione e per la nomina di una Reggenza di fi ducia<br />
della popolazione, interpretata come tradimento della causa d’Italia, venne<br />
violentemente criticata dalla stampa italiana. Il Toschi, membro dell’Anzianato<br />
come indipendente liberale, inviò il 15 aprile 1848 a Roberto D’Azeglio<br />
un chiaro e oggettivo resoconto degli avvenimenti che, pubblicato nel Risorgimento,<br />
chiarisce e riabilita la posizione della città verso la causa d’Italia e<br />
verso il Piemonte. Nell’agosto del 1848, dopo il deludente armistizio di Salasco,<br />
il Toschi si rifugiò prudentemente a Torino con la famiglia, facendo ritorno<br />
a Parma nell’ottobre successivo, quando le truppe austriache avevano di<br />
nuovo occupato la città e dissanguato le sue fi nanze: <strong>La</strong> nourriture que nous<br />
devons, contre toute justice, fournir aux troupes autrichiennes met nos fi -<br />
nances dans un état pitoyable. Nous esperons toujours que le puissances<br />
mediatrices aient pitie de nous, mais nos esperances sont toujours deluées.<br />
Nonostante l’avversione per il nuovo regime, la convivenza con le truppe<br />
occupanti fu per il Toschi sopportabile: Qui noi siamo abbastanza tranquilli<br />
grazie alla rettitudine e buon senso del governatore militare austriaco e alla<br />
ottima condotta della nostra guardia nazionale, ma l’incertezza della nostra<br />
sorte futura ci tiene inquieti. Dopo l’abdicazione di Carlo di Borbone, il Ducato<br />
passò al fi glio Carlo, che, entrato a Parma il 29 maggio 1849, iniziò, con<br />
l’aiuto delle guarnigioni austriache, una feroce reazione che coinvolse anche<br />
il Toschi. Già alla vigilia dell’arrivo del Duca circolarono voci allarmistiche<br />
sul conto del Toschi. L’11 maggio di quell’anno rassicurò gli amici Colnaghi<br />
(ai quali erano giunte indiscrezioni dall’ambiente londinese di Carlo di<br />
Borbone) sull’infondatezza della notizia di una sua fuga da Parma. Il 12 ottobre<br />
dello stesso anno il Toschi, da diversi mesi immobilizzato da una dolorosissima<br />
malattia reumatica, ricevette una secca lettera di destituzione dalla<br />
carica di direttore dell’Accademia di Belle Arti, motivata dalla sua cattiva<br />
condotta politica. Profondamente addolorato da questa decisione che sentì<br />
ingiusta e inspiegabile, il Toschi reagì con grande dignità ed equilibrio. Nella<br />
lettera di risposta del 24 ottobre successivo, inviata al presidente del dipar-<br />
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Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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timento di Grazia e Giustizia e Buongoverno, limitandosi a prendere atto<br />
della decisione, data la sua condizione di salute che non gli permetteva di<br />
scrivere una lettera con quella calma e dignità che convengono alla mia<br />
posizione sociale, domandò che gli venissero chiariti i motivi di quella destituzione,<br />
tanto più inspiegabile per lui vilipeso da quasi tutto il giornalismo<br />
italiano e da alcuni del mio stesso paese come duchista e retrogrado per<br />
aver sostenute le ragioni di Carlo II. Ristabilitosi dalla lunga malattia, il 22<br />
novembre scrisse al Presidente di Grazia e Giustizia una fi era e dignitosa<br />
autodifesa, sintetizzando il suo comportamento politico dal marzo del 1848<br />
in poi: Prima dell’arrivo di S.A.R. ne’ suoi Stati ero accusato di tenere in mia<br />
casa una Camarilla Duchista, e scrivevano su tutti i muri delle strade occhio<br />
alla Camarilla Toschi e avevano messo il mio nome nella lista delle persone<br />
da arrestare, e se le truppe piemontesi stavano un giorno di più a Parma, mi<br />
toccava andare in Castello con Soragna, Ferrari, etc. Né aveva mai perso<br />
occasione di far rifl ettere i cittadini che il Duca Carlo II non era stato vinto dai<br />
Parmigiani, che egli spontaneamente aveva fatto cessare il fuoco, mentre<br />
aveva tutti i mezzi in mano di smantellare la città, che si era disarmato ed<br />
aveva armato i cittadini, concedendo loro nello stesso tempo delle istituzioni<br />
liberali al di là di quello che avevano fatto gli altri principi riformatori, e che<br />
quindi era una slealtà dopo di aver accettato con entusiasmo queste sue<br />
concessioni, servirsi di quelle stesse armi contro di lui. Questi stessi miei<br />
sentimenti erano pur quelli della stragrande maggioranza della parte educata<br />
della città ma rimasi solo e ne ebbi in ricompensa, come ognun sa, la<br />
maledizione di tutto il giornalismo italiano. Io non ho mai cessato di professare<br />
queste massime unitamente a quella della convenienza per l’Italia e<br />
specialmente per noi, di rimanere in Stati separati, e ciò oltre alle ragioni<br />
tante volte esposte da accreditati uomini di Stato, per l’antipatia che il mio<br />
lungo soggiorno in Francia mi ha ispirato pei grandi centri di dominazione:<br />
ma dopo la scandalosa defezione di Piacenza, la impolitica accettazione di<br />
quella città per parte del Piemonte, e l’abbandono nel quale gli altri sovrani<br />
avevano lasciato il nostro Duca, la quasi totalità degli avveduti e onesti cittadini<br />
credettero che per noi non vi fosse altro modo di sfuggire una crisi<br />
repubblicana, che ci veniva minacciata dai nostri anarchisti uniti a fomentatori<br />
forestieri, che nell’unirci anche noi al Piemonte dopo l’unione al Piemonte<br />
io altro non ho fatto che ciò che fecero tutti i galantuomini per ottenere<br />
l’ordine e la quiete. Nell’Anzianato io sono sempre stato coi più moderati. Io<br />
mi recai a Torino colla mia famiglia alla vigilia dell’entrata delle truppe austriache<br />
nel Ducato cedendo al timore generale che i Croati potessero usare<br />
delle violenze verso i cittadini. Avendo passata la mia gioventù in Francia<br />
mentre succedevano i grandi sconvolgimenti politici, ho cominciato per tempo<br />
a preferire ai popolari i Governi forti, qualunque ne sia la forma, purché<br />
abbiano i mezzi di far eseguire le leggi e proteggere la giustizia. Nonostante<br />
la chiarezza e la sincerità della lettera, Carlo di Borbone rimase insensibile<br />
e fermo nella sua decisione, né il Toschi si abbassò a ulteriori giustifi cazioni<br />
non compatibili con la propria dignità: quant à moi il est impossible que je<br />
commette des bassezzes pour le ramener. De nous deux, c’est plutôt lui qui<br />
a perdre, que moi. Molti personaggi infl uenti cercarono di intercedere per lui:<br />
l’intervento più autorevole e certo determinante fu quello del principe consorte<br />
Alberto d’Inghilterra, grazie al quale il 31 luglio 1850 il Toschi venne<br />
riammesso in carica. Preoccupato di sistemare i migliori allievi della sua<br />
Scuola, divenuta ormai famosa e prestigiosa, nel settembre del 1850, dopo<br />
una lunga polemica che lo costrinse ad assumere un atteggiamento ostile<br />
verso l’incisore Michele Bisi, suo amico, riuscì a far ottenere al Raimondi il<br />
posto di professore d’intaglio all’Accademia di Belle Arti di Milano e al Costa,<br />
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nel 1851, quello di professore di Calcografi a all’Accademia di Belle Arti di<br />
Venezia. Nel 1852, completamente riabilitato, venne nominato da Carlo di<br />
Borbone membro della Commissione onoraria di censura per i libri e per le<br />
stampe e incaricato di organizzare un nuovo corso d’insegnamento all’Accademia<br />
sullo stile Anglo-Sassone. Nello stesso anno ottenne dalla madre di<br />
Carlo di Borbone, Maria Teresa di Savoja, l’autorizzazione di dedicarle l’incisione<br />
della Pietà del Canova, terminata da alcuni anni e non ancora pubblicata.<br />
<strong>La</strong> stampa, edita nel 1853, piacque molto a Maria Teresa di Savoja<br />
che, in segno di stima, inviò in dono al Toschi un gioiello. Alla fi ne del 1852<br />
terminò l’incisione del Cristo sorretto da due angeli, che, commissionatogli<br />
da lord Mauley, proprietario del quadro, venne più tardi pubblicata in Inghilterra.<br />
Nel 1853 lavorò intensamente alla Madonna del S. Girolamo, que je<br />
voudrais ce fut le testament de ma vie artistique, e al ritratto del Bervic che,<br />
iniziato trent’anni addietro, era da venticinque anni rimasto interrotto. Colpito<br />
da un attacco apopletico, il Toschi morì a 66 anni. L’attività dell’incisore non<br />
può far tacere di quella pittorica oltre, ovviamente, i dati disegnativi che preludono<br />
alla traduzione su rame dei soggetti. A questo proposito, più dei carboncini<br />
e degli acquerelli di paesaggio come Nel bosco (Parma, Banca del<br />
Monte) e Mulino abbandonato (Parma, Museo Lombardi), sono signifi cativi<br />
gli squisiti ritratti, soprattutto quelli della fi glia: Ritratto della fi glia (Parma,<br />
collezione Medioli).<br />
FONTI E BIBL.:<br />
Paolo Toschi, Copialettere, anni 1820-1854, Parma, Accademia di Belle Arti; Paolo Toschi,<br />
Copialettere, anni 1824-1854, voll. 5, Parma, Museo Lombardi; P.Giordani, Del quadro di Raffaello,<br />
detto lo Spasimo e dell’intaglio in rame fattone dal cav. Toschi, Milano, 1833; G.Beretta,<br />
<strong>La</strong> Madonna così detta del Velo, dipinta da Raffaello e incisa da Longhi e Toschi, in Racoglitore<br />
Italiano e Straniero, rivista mensuale europea di Scienze, Lettere, Belle Arti, Bibliografi a e Varietà<br />
aprile 1835, 608; F.Ambrosoli, Tutti gli affreschi del Correggio e quattro del Pamigianino<br />
intagliati in rame da Paolo Toschi e dalla Sua Scuola, in Il Saggiatore 1844, n. 3; F.Ambrosoli,<br />
<strong>La</strong> deposizione dalla croce dipinta a fresco dal Ricciarelli (detto comunemente Daniello da<br />
Volterra), ed ora intagliata in rame dal cav. Paolo Toschi, in Giornale dell’I.R.Istituto Lombardo<br />
di Scienze, Lettere ed Arti e Biblioteca Italiana 1845; P.Martini, Intorno a Paolo Toschi, Parma,<br />
1854; G.P.Clerici, Paolo Toschi e Pietro Giordani, in Nuova Antologia 1914, 1-8; G.P.Clerici,<br />
Paolo Toschi e Massimo D’Azeglio, in Nuova Antologia 1915, 1-12; G.P.Clerici, Paolo Toschi<br />
e Roberto D’Azeglio, in Rivista d’Italia 1916, 839-855; G.P.Clerici, Il Pezzana, il Toschi, il Cicognara,<br />
il gioco dei Tarocchi e un quadretto del Mantegna, Firenze, 1917; A.Barilli, Recensione<br />
a Graziano Paolo Clerici: Il Pezzana, Il Toschi, Il Cicognara, in Gazzetta di Parma 14<br />
novembre 1917; G.Lombardi, L’amicizia di due grandi artisti: Paolo Toschi e Lorenzo Bartolini,<br />
in Aurea Parma 1920, 197-201; G.Lombardi, <strong>La</strong> desituzione di Paolo Toschi, in Aurea Parma<br />
1927, 1-6; V.Paltrinieri, Paolo Toschi, il principe degli incisori italiani, in Resto del Carlino 9<br />
novembre 1927; A.Alessandri, Gli scolari cremonesi nella celebre scuola di Paolo Toschi in<br />
Parma, in <strong>La</strong> Rivista di Cremona e delle sue Province luglio 1928; G.Copertini, Contributo<br />
alla storia dell’incisione italiana. <strong>La</strong> mostra di Paolo Toschi, in Emporium febbraio 1928, 78-<br />
89; C.Frenzel, Pietro T. neueste Kupferblätter nach Correggios u. Parmeggianos Fresken in<br />
Parma, in Berliner Kstblatt 1928; G.Lombardi, Patriottismo di un grande artista (Paolo Toschi<br />
nel 1831), in Archivio Storico per le Province Parmensi 1932, 1-8; E.Fiori, Il Correggio e il Parmigianino<br />
nella interpretazione toschiana, in Aurea Parma 1935, 29-31; G.Lombardi, Disegni di<br />
Paolo Toschi per la decorazione del teatro Regio, in Aurea Parma 1937, 9-12; D.Fagioli, Paolo<br />
Toschi e la sua scuola d’incisione in Parma, tesi di laurea, Milano, Università Cattolica del SacroCuore,<br />
anno accademico 1941-1942; J.A.Symonds, Toschi e la sua arte, in Aurea Parma<br />
1954, 164-166; G.Allegri Tassoni, Paolo Toschi direttore della Galleria, in Aurea Parma 1955,<br />
19-26; R.Catellani, Giambattista Callegari amico ed emulo di Toschi, in Gazzetta di Parma 5<br />
settembre 1955; G.Capelli, Paolo Toschi grande incisore, pittore e architetto, in Gazzetta di<br />
Parma 7 giugno 1968; P.Martini-G.Capacchi, L’arte dell’incisione in Parma, Parma, 1969 (a p.<br />
83, G.Capacchi dà notizia della pubblicazione di un album delle incisioni del Toschi riproducenti<br />
opere del Correggio, edita a Boston alla fi ne dell’Ottocento); A.Mavilla, Paolo Toschi e lo studio<br />
d’incisione, in Maria Luigia Donna e Sovrana, catalogo della mostra, Parma, 1992, 131-145;<br />
Dizionario Risorgimento, 4, 1937, 465; P. Martini, Memoria sulla Scuola d’incisione parmense,<br />
Parma, 1873; Memorie artistiche, raccolte da E. Scarabelli-Zunti, ms. presso il Museo di Parma;<br />
Enciclopedia Italiana, XXXIV, 1937, 106; G. Copertini, Pittura dell’Ottocento, 1971, 14-16;<br />
G. Copertini, Pittori dell’Ottocento, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1954, 133-146;<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Parma Economica 4 1968, 35-40; G. Ferrario, Le classiche stampe, Milano, 1836, 344, 356;<br />
Giornale del Commercio 22, 1841 (A.M. Izunnia); Nagler, Künstlerlex, 1849, XIX; Giordani,<br />
Sugli affreschi del Correggio, Milano, 1858, VI, 106, 122; Niccolosi, Opuscoli, Parma, 1859,<br />
10, 21, 23 e s.; C. Masini, Del movimento artistico in Bologna, Bologna, 1867, 31; N. Ferri,<br />
Catalogo delle stampe degli Uffi zi, Firenze, 1881, n. 473; Le Blanc, Manuel de l’amat. d’est.,<br />
Parigi, 1890, IV, 49 e seg.; Béraldi, Les graveurs du XIX siècle, 1892, XII; A. Melani, Nell’arte<br />
e nella vita, Milano, 1904, 275, 282, 290; L. Callari, Storia dell’arte contemporanea italiana,<br />
Roma, 1909; Il Resto del Carlino 9 novembre 1923 (V. Paltrinieri); G. Lombardi, Mostra di<br />
Paolo Toschi, Parma, 1927; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexicon, 1939, XXXIII; L. Servolini,<br />
Dizionario illustrato incisori italiani moderrni e contemporanei, Milano, 1955; A.M. Comanducci,<br />
Dizionario dei pittori, 1974, 3306; L. Cicognara, Memorie spettanti ala storia della calcografi a,<br />
Prato, 1831; J. Lecomte, Parme sous Marie-Louise, Paris, 1845; P. Giordani, Tutti gli affreschi<br />
del Correggio in Parma e quattro del parmigianino disegnati ed intagliati in rame da Paolo<br />
Toschi e dalla sua scuola, Parma, 1846; P. Martini, Intorno a Paolo Toschi, Parma, 1862; P.<br />
Martini, L’arte dell’incisione in Parma, Parma, 1873; G.P. Clerici, Paolo Toschi o dell’incisione<br />
in Parma, Parma, 1873; G.P. Clerici, Antologia toschiana, Roma, 1924; L. Reau, Histoire de<br />
l’expansion de l’art francais. Le monde latin, Paris, 1933; G.Lombardi, Disegni di Paolo Toschi<br />
per la decorazione del Teatro Regio, in Aurea Parma 1937; G. Lombardi, Mostra di acquarelli,<br />
disegni e stampe di Paolo Toschi, Parma, 1947; G. Allegri Tassoni, Mostra dell’Accademia parmense,<br />
catalogo, Parma, 1952; G. Copertini, <strong>La</strong> pittura e l’incisione a Parma durante il ducato<br />
di Maria Luigia, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1954; A. Ghidini, Il Correggio nelle<br />
incisioni di Paolo Toschi, Correggio, 1964; G. Copertini, <strong>La</strong> pittura parmense dell’800, Milano,<br />
1971; P. Medioli Masotti, Paolo Toschi, Parma, 1973; G.L. Marini, in Dizionario Bolaffi Pittori, XI,<br />
1976, 137-138; Disegni antichi, 1988, 95; G. Capelli, in Gazzetta di Parma 9 novembre 1988,<br />
21; T. Coghi Ruggiero, Fortuna di Paolo Toschi, in Archivio Storico per le Province Parmensi<br />
1988, 411-417; G. Capelli, Il Teatro Farnese, 1990, 165; A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991,<br />
290; Grandi di Parma, 1991, 113; P. Medioli Masotti, in Gazzetta di Parma 2 marzo 1992, 5;<br />
Aurea Parma 3 1993, 245-246.<br />
TROMBARA EMILIO<br />
Parma 13 giugno 1875-Parma 20 gennaio 1934<br />
Figlio dell’architetto Carlo. Fu scultore dotato di una spiccata inclinazione<br />
naturale per la modellazione, non ampiamente sviluppata nell’arco di una<br />
vita breve, in gran parte spesa nella città natale, dove lasciò il segno di un<br />
talento tardivamente e solo episodicamente riconosciuto. L’alunnato artistico<br />
e culturale del Trombara si svolse nell’ultimo decennio del XIX secolo.<br />
Iniziò e fi nì didatticamente nell’Istituto di Belle Arti di Parma, dove Cecrope<br />
Barilli teneva la cattedra di fi gura e Agostino Ferrarini quella di scultura. Da<br />
quegli insegnamenti il Trombara, incostante nella frequenza, trasse sicuramente<br />
nozioni fondamentali per poter operare in proprio, rifuggendo istintivamente<br />
dal metodo che la scuola imponeva. Per questo non raggiunse la<br />
meta del diploma. Fu attratto da Firenze, dove, lavorando col Garella, studiò<br />
dal vivo ciò che la sua indole ribelle gli permetteva di osservare nella piena<br />
libertà delle scelte. Altri centri di interesse, altri luoghi e paesi entrarono nel<br />
pellegrinaggio conoscitivo del Trombara, che alla fi ne approdò alla città natale,<br />
dedicandosi intensamente alla scultura in tutte le sue molteplici applicazioni.<br />
A Parma tanti altri stimoli pervennero al Trombara, a contatto degli<br />
artefi ci attivi nel secolo in cui era nato, quando la scultura fu chiamata a<br />
soddisfare le esigenze di tanti committenti pubblici e privati, per esaltare<br />
eventi storici vicini e lontani, illustrare le gesta di personaggi mitologici, celebrare<br />
le imprese guerresche e arricchire di allegorie le tombe dei cimiteri.<br />
Tra i tanti, Canova, Bartolini, Marocchetti, Vela, Duprè, Grandi, Cecioni, Gemito<br />
e Rosso entrarono nell’ottica culturale del Trombara e molte opere di<br />
quegli artefi ci costituirono motivo di meditazione e di rifl essione nel momento<br />
delle scelte in cui prendevano forma le sue sculture. Infatti, appena diciannovenne<br />
(1894), modellò le morbide carni di un fanciullo dormiente,<br />
Ismaele, riproponendo lo stesso soggetto di Giovanni Strazza, sotto la suggestione<br />
del realismo di Adriano Cecioni e di Cristoforo Marzaroli, a lui più<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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vicino, che ai fanciulli dedicarono opere improntate a quella freschezza naturale<br />
e gioiosa, suggerita da spontanei atteggiamenti infantili. Dieci anni<br />
dopo (1904) l’operosità del Trombara si rifl etté fuori dai limiti della provincia<br />
e fu principalmente rivolta all’insegnamento al Centro di scultura di Pietrasanta,<br />
in veste di direttore. <strong>La</strong> nostalgia di Parma lo riportò in patria, dove,<br />
nel calore di una famiglia appena formata, riprese l’attività più consona al<br />
suo temperamento e alle sue autentiche capacità creative. Un primo successo<br />
uffi ciale di rilievo il Trombara lo ottenne in Inghilterra nel 1910, quando<br />
la commissione dell’International Exhibition di Londra lo premiò con la<br />
massima attestazione: la medaglia d’oro. Presentò un soggetto carico di<br />
patos, intitolato Resurgam, che coglie l’immagine dolente di Cristo, con palpitante<br />
verismo, nell’attimo della morte. Nella quiete domestica, ormai totalmente<br />
padrone dei propri mezzi, il Trombara affrontò quei soggetti tanto cari<br />
ai suoi colleghi di rinomanza nazionale e anche europea attivi nella seconda<br />
metà dell’Ottocento, modellando con sicurezza e libero da ogni soggezione<br />
le statue a tutto tondo di Maria Stuarda e Messalina, personaggi antitetici<br />
anche se vittime di uno stesso, tragico destino. Uguale impegnò mostrò il<br />
Trombara nella realizzazione dei busti raffi guranti le glorie letterarie italiane,<br />
del mondo latino e della Grecia antica, che vennero allineati su supporti<br />
marmorei lungo le pareti della Galleria dei poeti, nella rocca di Soragna,<br />
mentre la chiesa parrocchiale del paese si arricchì degli splendidi bassorilievi<br />
di una originalissima Via Crucis e il carcere di San Francesco a Parma del<br />
busto di Padre Lino. Il soggetto della Via Crucis fu trattato dal Trombara in<br />
altre due versioni: nella chiesa di Sant’Antonio e di Sant’Uldarico, a dimostrazione<br />
dell’interesse suscitato da quest’opera, tipologicamente diversa<br />
dalle precedenti, nell’ambiente ecclesiastico cittadino. Le formelle in terracotta<br />
dipinta documentano la versatilità del Trombara nell’affrontare il non<br />
facile accostamento cromatico al bassorilievo che, nella chiesa di Sant’Antonio,<br />
risulta fortemente evidenziato da sottoquadri che ne esaltano lo spessore<br />
plastico. Di altro segno sono le stazioni di Sant’Uldarico, improntate a<br />
un più acuto verismo, sostenuto da una più intensa sottolineatura cromatica.<br />
L’attività del Trombara spaziò, dunque, in tutte le direzioni e non fu condizionata<br />
da timori di nessun genere, anche quando affrontò un tipo di scultura<br />
ritenuta minore. Non a caso modellò con genuino spirito reclamistico l’immagine<br />
sbarazzina del pastaio per la Barilla. Non sarà inutile ricordare che nel<br />
primo ventennio del Novecento fu presente a Parma Ettore Ximenes, autore<br />
delle sculture celebrative dei monumenti a Vittorio Bottego (1907) e a Giuseppe<br />
Verdi (1913-1920), opere che assunsero un pregevole carattere architettonico<br />
e urbanistico e che impegnarono le nuove leve della scultura<br />
parmigiana. Rapporti di reciproca stima esistettero tra il più noto artista palermitano<br />
e il Trombara e fu proprio Ximenes che gli affi dò nel 1907 l’incarico<br />
dei restauri delle sculture del Teatro Farnese, con particolare riferimento alle<br />
statue equestri poste sopra gli arconi che affi ancano il boccascena. <strong>La</strong> versatilità<br />
del Trombara si coglie nella sua evolutiva progressione intorno agli<br />
anni Venti ed è particolarmente rintracciabile nelle seguenti opere: bassorilievi<br />
dell’altare posto nella cappella Zilieri ad Arola, altare dedicato a San<br />
Giuseppe nella chiesa di Fontanellato, targa ai Caduti nella chiesa di Monticelli,<br />
capitelli e bassorilievi nella chiesa di Basilicanova e targhe ricordo nell’Istituto<br />
salesiano e nell’acquedotto di Bacedasco sopra. Da ricordare a<br />
Parma, per l’esemplare originalità compositiva ed esecutiva, la fontana in<br />
bronzo posta all’ingresso del palazzo Ducale (poi demolita) e quella in cemento,<br />
forse precedentemente realizzata, ubicata nel cortiletto di accesso<br />
del palazzo Lusignani e i fonti battesimali di San Quintino (poi trasferito nella<br />
chiesa di Santa Maria Maddalena), di San Sepolcro e di San Benedetto.<br />
167
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Questa serie di interventi plastici portati a compimento tra la provincia e la<br />
città anticipano una nuova stagione operativa incentrata sulla realizzazione<br />
di soggetti di carattere religioso e cimiteriale attraverso i quali emerge il talento<br />
più propriamente scultoreo del Trombara. Già nel primo quindicennio<br />
del XX secolo sono da ricordare i bronzi che ornano la freddezza marmorea<br />
delle sepolture del cimitero della <strong>Villetta</strong> di Parma e la scultura in pietra (tomba<br />
Salvadori) raffi gurante una fanciulla dormiente, ove solo un bocciolo di<br />
rose tenuto in grembo addolcisce il ricordo di una vita spenta. Sia pure nel<br />
diverso atteggiamento di questa fi gura, viene spontaneo l’accostamento a<br />
quella del Grandi intitolata Tumulo recente. Si profi lò intanto per il Trombara<br />
il momento si affrontare soggetti di più alto profi lo, come a esempio la scelta<br />
di un più ampio impegno per la scultura a un tutto tondo, che implicò anche<br />
diffi coltà di maggiore arditezza dimensionale rispetto a opere precedenti. Fu<br />
la volta del grappolo umano sovrastante la cappella Romanelli, fusione staticamente<br />
complessa, che nel ritmato slancio compositivo delle fi gure raccorda<br />
elementi fl oreali e naturalistici in modo da formare una spirale ascendente<br />
verso il cielo. <strong>La</strong> base è arricchita dalla presenza di carnosi angioletti<br />
recanti i simboli della gloria, della cultura e della musica. Al vertice, in atto di<br />
spiccare il volo, si erge una fi gura alata in sembianze femminili che sostiene,<br />
in un tenero abbraccio, il corpo inanimato di chi si accinge a raggiungere il<br />
cielo. Vario e nobilmente raffi gurato è il corredo dei bronzetti che affi ancano<br />
la cappella. Tra questi, l’immagine di San Michele che uccide il serpente<br />
simbolo del male e la donna con le brocche d’acqua simboleggianti i fi umi<br />
dell’Inferno dantesco. Sempre nel campo delle raffi gurazioni simboliche è<br />
da segnalare la solida fi gura alata seduta su un blocco marmoreo della tomba<br />
Giordani-Mancini (arco 81 del cimitero della <strong>Villetta</strong> di Parma), atteggiamento<br />
anticipato dallo Ximenes nella sua Rinascita, opera che risente, contrariamente<br />
a quella del Trombara, di languidi infl ussi accademici. Realistico<br />
e sodo è il modellato trombariano, quasi un calco dal vero, con qualche<br />
punta di teatralità nel gesto delle mani, una delle quali è bilanciata da una<br />
clessidra. Il Trombara affi dò la sua sottile osservazione a un classicismo<br />
moderatamente interpretato, ansioso di raggiungere se non uno stile proprio,<br />
un nuovo traguardo che lo assicuri di possedere un modo personalissimo<br />
di intendere la scultura. Non molto dissimile dalla precedente è la slanciata<br />
fi gura femminile che spicca sotto l’arco 46 sulla tomba<br />
gnecchi-Schianchi (1919-1920; cimitero della <strong>Villetta</strong> di Parma), sia pure<br />
nella diversità dell’atteggiamento, in questo caso caratterizzato da un più<br />
solenne atteggiamento formale. Il volto segnato dalla tristezza, la folta capigliatura<br />
sciolta dietro le spalle, il busto eretto, un seno nudo, l’ampio arco<br />
della braccia sostenente una ghirlanda di rose, denunciano una chiara tendenza<br />
stilistica di gusto libertiggiante. All’inizio degli anni Venti (1922-1924)<br />
la chiesa di San Sepolcro si arricchì di un suo fonte battesimale. Il Trombara<br />
lo realizzò in bronzo dotando l’elegante struttura architettonica di fi gurazioni<br />
liturgiche nel bacile dell’acqua santa e di tralci, foglie e fi ori nel basamento<br />
cilindrico, sostenuto da un appoggio a pianta poligonale. Una statuetta del<br />
Battista domina il vertice della composizione. Ammirato negli ambienti ecclesiastici,<br />
il fonte battesimale di San Sepolcro venne riprodotto in calco e<br />
collocato nelle chiese di sant’antonio e San Benedetto. Una serie di piccole<br />
sculture è enucleabile dal contesto<br />
architettonico della tomba Chierici (1917) dove ricompare, insieme a volti<br />
giovanili congiunti da un bacio, il volto dolente del Cristo, copia ricavata da<br />
quella presentata sette anni prima alla mostra di Londra. Di piccolo formato<br />
sono anche i bassorilievi della tomba Manicardi-Chiari, dove i coniugi sono<br />
rappresentati in medaglioni di particolare raffi natezza plastica. L’infaticabile<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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attività del Trombara si manifestò compiutamente negli anni della piena maturità<br />
sotto le arcate funerarie della <strong>Villetta</strong>, dove lasciò il segno forte della<br />
sua passione di artista. <strong>La</strong> schematica semplicità dell’impianto architettonico<br />
del cimitero luigino, con le sue arcate modulari fu ravvivata dal Trombara<br />
in alcuni punti privilegiati, con l’eleganza e l’arditezza di felici schemi<br />
compositivi, e così pure si può dire della plastica che adorna pareti e vani<br />
nel raccolto silenzio delle cappelle. <strong>La</strong> fantasia del Trombara si sbizzarrì<br />
nella varietà di tante composizioni che sottolineano il grado di conoscenza<br />
al quale pervenne nell’interpretazione sottile e acuta dei testi sacri. Nella<br />
cappella Colla, dalla piccola cupola vibrante di rifl essi dorati, a guardia del<br />
portale d’ingresso è posto un militaresco San Michele, armato di tutto punto,<br />
ben diverso, nella sua giovanile baldanza, da quello che in altra veste è posto<br />
all’esterno della cappella Romanelli. Altri riferimenti simbolici variamente<br />
espressi arricchiscono lo spazio interno, come la Santa Cecilia che porta il<br />
lume, le urne decorate con grifi alati, il medaglione con l’effi ge della Medusa,<br />
la fi gura incappucciata che allude al trionfo della morte corporale quando<br />
le tenebre oscurarono l’universo dopo il peccato originale. E infi ne l’ampia<br />
composizione con l’aviatore morente in primo piano, col busto del corpo<br />
inanimato proteso in avanti sullo sfondo di un aereo abbattuto, segno della<br />
tragedia da poco consumata. <strong>La</strong> profondità della scena è messa in evidenza<br />
dalla cesellata immagine alata che trasporta in cielo l’eroe caduto.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
G. Copertini, Artisti parmigiani, 1927, 279; P.P. Mendogni, in Gazzetta di Parma 22 settembre<br />
1978, 12; P.P. Mendogni, Sant’Antonio Abate, 1979, 81-82; Malacoda 63 1995, 13-21; G. Capelli,<br />
in Gazzetta di Parma 3 gennaio 1996, 5.<br />
VERNIZZI RENATO<br />
Parma 1 luglio 1904-Milano 18 gennaio 1972<br />
Nato in Borgo Santa Caterina nell’oltretorrente quando i primi sussulti del Futurismo<br />
ponevano la premessa della rivoluzione artistica italiana, trovò nella<br />
bottega del padre ettore, decoratore, se non una fonte d’ispirazione, almeno<br />
gli strumenti più idonei per sfogare i primi impulsi istintivi per la pittura, verso<br />
la quale il Vernizzi si sentì attratto sin dalla prima infanzia. Ebbe a insegnanti<br />
prima Icilio Bianchi, rappresentante di una tradizione locale tutt’altro che<br />
disprezzabile, poi Paolo Baratta, titolare della cattedra di fi gura all’istituto di<br />
Belle Arti, che il Vernizzi frequentò sino al diploma (1922). Per alcuni anni<br />
eseguì lavori di decorazione murale per la bottega paterna. I primissimi lavori<br />
pittorici del vernizzi ricalcano gli schemi della ventata novecentista, ma<br />
tale solitaria e segreta esperienza non andò oltre un timido tentativo sperimentale<br />
subito dimenticato e che per il Vernizzi assunse il signifi cato di un<br />
peccato di gioventù. Per non chiudersi nel pericoloso isolamento offertogli<br />
dalla nativa città di provincia, il Vernizzi affrontò il rischio di un trasferimento<br />
irto di incognite e di diffi coltà, prima di tutto di ordine fi nanziario. Attratto dalla<br />
grande città centro di molti interessi e caposaldo di fermenti intellettuali, il<br />
Vernizzi si trasferì defi nitivamente a Milano (1930), per intraprendere, dopo<br />
saltuari contatti con l’accademia di Brera, una carriera artistica sempre più<br />
defi nita e coerente al trascorrere del tempo. Si unì nei primi tempi ai chiaristi<br />
che, come Del Bon e Lilloni, proponevano una pittura trasparente e commossa,<br />
lontana (se non contrapposta) dalla severità del cosiddetto Novecento<br />
italiano. Ma più di tutti infl uì sulla sua formazione l’arte di Renoir e soprattutto<br />
di Monet, del quale ammirava la sapienza cromatica, la variatissima<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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gamma della tavolozza, il calcolato dosaggio dei toni sottomessi al dominio<br />
dei bianchi e dei neri. Esordì come illustratore di libri e riviste. Per molti anni<br />
collaborò alla Lettura diretta da Emilio Radius, poi da Renato Simoni e da<br />
Filippo Sacchi. <strong>La</strong>vorò per Quadrivio, per la rivista femminile Dea e per altri<br />
periodici e quotidiani. Si impose (1935) alla critica nazionale con una mostra<br />
personale alla Galleria Gian Ferrari di Milano. Già da quel momento si delinearono<br />
i caratteri fondamentali della sua produzione: lo stile sciolto, sicuro,<br />
basato sull’essenzialità del segno e l’immediatezza dei toni, si accompagna<br />
al mondo poetico della sua ispirazione. I modelli preferiti e sempre rievocati<br />
sono le donne, i bambini e i paesaggi dalle prospettive profonde en plen air,<br />
dove la luce crea e dissolve misteriose immagini di una realtà trasfi gurata.<br />
Fece mostre personali in molte città italiane: le principali a Milano nel 1938,<br />
1945, 1949, 1950, 1958 e 1964, a Roma nel 1955, a Parma nel 1956 e a<br />
Firenze nel 1961. A torino allestì una mostra antologica nel 1965. partecipò<br />
nel 1951, con un gruppo di opere, alla Mostra Nazionale degli Artisti d’Italia,<br />
che raccolse per qualche anno il meglio della pittura italiana. Espose alle<br />
Biennali di Venezia e di Milano, alle Quadriennali di Roma, alle edizioni del<br />
Premio Fiorino a Firenze e a tutte le mostre nazionali di maggior rilievo. Il<br />
vernizzi si affermò autorevolmente intorno 1938 e si presentò alla ribalta<br />
nazionale nel 1941, quando, vincendo il Primo premio Bergamo, entrò nel<br />
giro delle fi rme della pittura italiana. Fu quella la tappa più signifi cativa della<br />
vita artistica del Vernizzi, che trovò numerosi consensi critici. Agli inizi del<br />
1943 il Vernizzi, seguendo il pellegrinaggio degli sfollati, si trasferì con la<br />
famiglia a Sissa e qualche tempo dopo a Torricella, sulle sponde del Po,<br />
dove rimase sino alla Liberazione. Amò subito quei luoghi intrisi di luce e di<br />
malinconia e nel lungo soggiorno obbligato trovò i modelli più congeniali al<br />
suo temperamento. Numerosi disegni e tele di quegli anni diffi cili qualifi cano<br />
una delle più feconde stagioni della sua carriera. Giunto alla maturità, il Vernizzi<br />
si rivelò con una pittura intimamente personale, risultante da un sottile<br />
lavoro selettivo, che nel segno di una estrosa originalità collega idealmente<br />
i risultati rivoluzionari del primo quarto di secolo con l’incanto delle più pure<br />
reminiscenze classiche. Il Vernizzi venne a dissacrare con la sua impronta<br />
sottilmente verista il tempio entro il quale offi ciavano i grandi ministri del<br />
culto astrattista, informale, metafi sico e di tutte le altre ramifi cazioni che fruttifi<br />
carono con alterna fortuna tra la prima e la seconda guerra mondiale.<br />
<strong>La</strong> modernità del Vernizzi, disprezzata, ignorata, derisa o esaltata, non si<br />
piegò mai alle insidie e agli allettamenti del mercato e col passare degli anni<br />
assunse contorni sempre più defi niti e coerenti. Negli ultimi tempi anche<br />
la scelta del grande formato delle tele dimostrò perentoriamente l’altissimo<br />
vertice raggiunto dalla sua fantasia creativa e la padronanza assoluta dei<br />
mezzi pittorici. Nella profondità degli scorci luminosi, tra architetture vegetali<br />
e orti traboccanti di fi ori e di foglie, la fi gura umana torna a dominare in<br />
dimensioni reali la scena magistralmente costruita e articolata. È straordinario<br />
notare come il Vernizzi seppe produrre con sorprendente continuità<br />
un notevole numero di opere ispirandosi alla vita che gli scorreva intorno<br />
serena, prima della malattia della moglie, entro i limiti conclusi del giardino<br />
avvolgente la sua casa in viale Marche a milano. I numerosi ritratti della<br />
moglie Maria teresa e dei fi gli sono motivi ricorrenti che sembrano scandire<br />
con evidenti passaggi segnati dall’impronta del tempo la sua luminosa parabola<br />
di artista. Nell’ultima mostra antologica alla galleria Cortina di Milano<br />
(1970), che rappresentò per il Vernizzi un inconsapevole commiato dal folto<br />
pubblico, comparvero opere di dimensioni sorprendenti, dove le vibrazioni<br />
luminose non sono che un lontano ricordo del chiarismo dei primi tempi e la<br />
luce fascia le cose con un nuovo palpito tonale. Espose inoltre una serigrafi a<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Defunti illustri<br />
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e due litografi e alla Prima Triennale dell’Incisione in Milano (1969). Sue opere<br />
fi gurano in molte raccolte private, nelle Gallerie d’Arte Moderna di Firenze<br />
e di Parma e nelle raccolte d’arte del Comune di Milano. Per molti anni fu<br />
titolare della cattedra di Figura all’Istituto d’Arte di Parma.<br />
FONTI E BIBL.:<br />
G. Trasanna Catalogo della personale alla Galleria Vivaio, Milano, 1942; D. Montanari, in Glauco<br />
gennaio-aprile 1946; D. Bonardi, in Araldo dell’Arte 30 aprile 1946; G.F. Usellini, in Lettura<br />
marzo 1946; L.B., in Giornale dell’Arte 7 febbraio 1947; A. Cruciani, in Unità 11 maggio 1947; A.<br />
Cruciani, in Numero-Pittura maggio-giugno 1947; Enciclopedia Pittura Italiana, III, 1950, 2520-<br />
2521; L.Borghese, Renato Vernizzi, Milano, 1954; F.Sacchi, Renato Vernizzi, Milano; Arte incisione<br />
a Parma, 1969, 68; Parma nell’arte 1 1972, 97; Parma economica 9 1972, 32; E. Radius,<br />
Vernizzi, Milano, 1970; A. Sala, L’Eden di Vernizzi, Verona, 1970; A.M.Comanducci, Dizionario<br />
dei pittori, 1974, 3416; L. Carame-C. Pirovano, galleria d’Arte moderna. Opere del Novecento,<br />
catalogo, milano, 1975; Dizionario Bolaffi pittori, XI, 1976, 303; Parma. Vicende e protagonisti,<br />
1978, III, 32; Dizionario artisti italiani XX secolo, 1979, 366-367; Dizionario guida pittori, 1981,<br />
140; G. capelli, in Gazzetta di Parma 17 gennaio 1982, 3; G. Capelli, in Parma nell’arte 1982,<br />
103-108; Renato Vernizzi, Parma, 1984.<br />
171
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
ARCHITETTI (biografi e)<br />
COCCONCELLI GIUSEPPE<br />
Parma 1740-1819<br />
Capostipite della dinastia di ingegneri e topografi che ebbe in Antonio il suo<br />
culmine, sotto la Restaurazione si sa solo che lavorò a lungo per la Congregazione<br />
dei Cavamenti di Parma, lasciando un prezioso archivio che<br />
documenta la sua attività. Nel 1763 fu assunto come ingegnere in qualità<br />
di coadiutore al perito Antonio Gherri nell’Uffi zio de’ Cavamenti coll’annuo<br />
assegno di zecchini 36. Capitano e ingegnere idraulico, risulta già attivo nel<br />
1765, anno in cui realizzò la Pianta dei cavi sotterranei di Parma. Il Cocconcelli<br />
nel 1768 fu inserito nella Congregazione dei Cavamenti come vice-perito<br />
di Gherri. Già in questo ruolo ebbe modo di dimostrare più volte quel rigore<br />
tecnico-scientifi co che lo portò ad assumere incarichi sempre più rilevanti<br />
e responsabilità in vari settori della vita cittadina di Parma. Restò perito dei<br />
Cavamenti fi no allo scioglimento della Congregazione a opera dei Francesi,<br />
i quali tuttavia continuarono a fare riferimento alla sua persona per lungo<br />
tempo. Nel periodo francese disegnò, con il fi glio Ferdinando, la Carta compendiata<br />
degli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla e prestò le sue capacità<br />
per il rilievo e la misurazione degli edifi ci conventuali soppressi della città<br />
di Parma, eseguendo una serie di disegni che dovevano costituire la base<br />
per la progettazione di nuovi edifi ci: quelli di Sant’Agostino, di Santa Maria<br />
della Neve, di Santa Cristina e di Santa Maria del Carmine. Nei primi anni<br />
della Restaurazione si occupò dell’adattamento a Ospedale dei Pazzi del<br />
complesso conventuale di San Francesco di Paola e dei Mulini bassi. Fece<br />
anche un progetto di facciata per il nuovo edifi cio dell’Ospizio di Maternità<br />
(1819), che doveva insistere sull’antica chiesa e convento delle Cappuccine<br />
vecchie di Santa Maria della Neve. Fu defi nito primus inter idraulicos, geometras<br />
atque architectos e fu progettista tra l’altro del Ponte San Giovanni a<br />
Colorno (1793) e del cimitero della <strong>Villetta</strong> di Parma (1817).<br />
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Archivio Comunale di Parma, in Archivio Storico per le Province Parmensi<br />
1914, 14; P. Zanlari, Tra rilievo e progetto, 1985, 97; Enciclopedia di Parma, 1998, 241-<br />
242.<br />
BERGAMASCHI MARCO SANTE<br />
Parma 2 maggio 1827-Parma 3 maggio 1902<br />
A ventidue anni fu Perito Geometra aspirante nel Genio Civile di Parma. Nel<br />
1860 venne insignito dal dittatore Farini del titolo e delle attibuzioni di Ingegnere<br />
civile. Nel settembre del 1869 ebbe la nomina di Ingegnere nell’Uffi zio<br />
d’Arte del Comune di Parma e nel 1873 pervenne al grado di Ingegnere<br />
Capo del Comune. Tra i suoi principali lavori, sono degni di menzione la<br />
sistemazione di piazza Garibaldi, il ponte Caprazucca e la sistemazione del<br />
piazzale del Duomo, i pennelli lungo i torrenti Parma e Baganza e il ponte di<br />
Circonvallazione: lavori tutti di singolare perizia.<br />
172
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
FONTI E BIBL.: A. Pariset, Dizionario biografi co, 1905, 7-8; B. Molossi, Dizionario biografi co,<br />
1957, 27.<br />
CHIAVELLI MODERANNO<br />
Fontanellato 16 giugno 1869-Parma 5 ottobre 1962<br />
Iniziò, portatovi da singolare predilezione, gli studi musicali, che dovette bruscamente<br />
interrompere per una caduta che gli lasciò una permanente menomazione<br />
nella mano destra. Entusiasta per le cose dell’arte e dotato di<br />
una indomita volontà, riuscì allora ad addestrare la mano sinistra al disegno<br />
e si iscrisse all’Istituto di Belle Arti di Parma (1885). <strong>La</strong> sua passione per il<br />
disegno lo rese talmente noto nell’ambiente della scuola artistica che, ancora<br />
prima del diploma, l’architetto Pancrazio Soncini lo volle nel suo studio<br />
come disegnatore. A ventiquattro anni si diplomò a pieni voti nel corso di<br />
disegno architettonico (1893), di cui era titolare Enrico Bartoli. Dopo il diploma<br />
il Chiavelli esercitò l’insegnamento di geometria descrittiva e architettura<br />
presso la scuola serale annessa all’Istituto di Belle Arti (1894-1913) e prestò<br />
contemporaneamente servizio come impiegato straordinario nell’Uffi cio Tecnico<br />
del Comune di Parma (1894). Collaborò così a vari progetti di edifi ci<br />
pubblici: la scuola elementare Pietro Cocconi (1898), all’angolo di Via Cocconcelli<br />
e Strada del Quartiere, con l’ingegnere Raffaele Villa, e il Macello<br />
Pubblico, con gli ingegneri Giorgio Alessi Canosio e Gino Fornari. Nel 1904<br />
eseguì, in collaborazione con l’ingegnere Guido Albertelli, la facciata dell’Albergo<br />
Croce Bianca (in Piazza della Steccata, distrutto dai bombardamenti<br />
nella seconda guerra mondiale). Rimasto solo alla conduzione dell’Uffi cio<br />
tecnico, coadiuvato soltanto dal geometra Baroni, non si lasciò sfuggire la<br />
grande occasione, da tempo attesa, di poter imporre in piena autonomia le<br />
proprie idee, eseguendo il progetto del Palazzo delle Poste. Questo incarico<br />
gli fu affi dato sotto il sindaco Giovanni Mariotti e il Chiavelli (che lavorò alla<br />
progettazione assieme all’architetto Olindo Tomasi) seppe impostarlo e risolverlo<br />
magistralmente, ideando un nitido blocco con un ampio spazio interno<br />
in comunicazione sia con Via Pisacane che con Via Melloni. <strong>La</strong> facciata<br />
principale su Via Pisacane, nel suo variato intreccio di richiami<br />
classicheggianti, portati sul piano decorativo a un icastico espressionismo<br />
fl oreale fi ne a se stesso, qualifi ca stilisticamente l’esterno dell’edifi cio. Il cornicione<br />
a dentelli, le numerose cornici, le paraste con capitello, la trifora<br />
centrale, posta su un lungo balcone, e le bifore ai lati dimostrano la volontà<br />
del Chiavelli di restare fedele ai richiami dell’eclettismo e della ventata umbertina,<br />
pur nell’affi orare del gusto Liberty. Ma la sovrabbondanza dei rilievi<br />
plastici che impreziosiscono l’edifi cio non rompe l’ampio respiro dell’armonico<br />
e ben calibrato volume, che trae la sua confi gurazione planivolumetrica<br />
da precise considerazioni di carattere urbanistico. L’ampio salone interno, le<br />
cui caratteristiche principali sono la copertura a vetrata e la suddivisione<br />
verticale delle pareti, ricorda molto da vicino l’atrio dell’Hotel Corso di Milano<br />
(1903-1905), progettato dagli architetti Cattaneo e Santamaria. Il complesso,<br />
la cui realizzazione richiese cinque anni (1905-1909), testimonia l’interesse<br />
e l’utilità di una progettazione totale, resa possibile dalla stretta collaborazione<br />
del Chiavelli con artisti di notevole valore: Cleomene Marini<br />
(decorazione pittorica del salone), Alessandro Marzaroli (decorazione plastica<br />
del salone), Paolo Baratta (fi gure allegoriche del vestibolo su Via Melloni)<br />
e Riccardo Del Prato (rilievi plastici della facciata principale). L’opera ebbe<br />
molti ammiratori e anche parecchi denigratori, che la stigmatizzarono per la<br />
ridondanza del suo apparato decorativo. Questa prima esperienza impor-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
tante mise le ali all’entusiasmo del Chiavelli, che con la costruzione di quell’edifi<br />
cio entrò a far parte del novero dei più prestigiosi costruttori parmigiani.<br />
Subito dopo il Chiavelli eseguì alcuni lavori sul lato orientale del Palazzo del<br />
Comune, uniformandone la facciata appesantita da infelici aggiunte. Maturò<br />
intanto la nomina del Chiavelli ad architetto capo-sezione dell’Uffi cio Tecnico,<br />
un premio da lui lungamente atteso (aveva prestato la propria opera per<br />
quindici anni senza alcuna qualifi ca specifi ca). <strong>La</strong> promozione arrivò nel<br />
1913, anno in cui l’amministrazione civica rinnovò i suoi quadri del personale.<br />
Il Chiavelli, dimostrandosi funzionario di prim’ordine, organizzò un uffi cio<br />
progetti che nulla ebbe da spartire con quelli tradizionali e retrogradi dell’Italia<br />
umbertina: il Chiavelli tenne saldamente in pugno per un ventennio le<br />
principali attività edilizie di Parma, vigilando con scrupolo sulle licenze di<br />
costruzione e imponendo con fermezza il rispetto dei regolamenti. Si erano<br />
ormai spente le polemiche sul Palazzo delle Poste quando il Chiavelli elaborò<br />
il progetto dell’imponente edifi cio delle Scuole Tecniche (1914), affacciato<br />
sul lungo Parma Maria Luigia. Concepito come monoblocco pluripiano secondo<br />
la più castigata logica costruttiva, l’edifi cio è caratterizzato dalla fi tta<br />
trama delle fi nestre e dalle fascie marcapiano e s’impone per la sobria chiarezza<br />
della ritmica struttura. L’opera fu ultimata solo dieci anni dopo (1924),<br />
per la carenza di materiali del periodo bellico e post-bellico. Venne invece<br />
portato a compimento il ripristino dell’antico palazzo Gherardi (1915), in Via<br />
Farini, trasformato in Istituto Tecnico. Nessun motivo ornamentale e nessuna<br />
arbitraria aggiunta fu inserita nell’originario contesto architettonico. Dopo<br />
una lunga parentesi bellica, il Chiavelli progettò e diresse dei lavori di restauro<br />
sul lato ovest della Pilotta (1922), dove ha sede l’Istituto di Belle Arti,<br />
e disegnò la fronte su Viale Mariotti della nuova ala dell’edifi cio, occupata<br />
dal Museo Nazionale d’Antichità, sistemandone inoltre la scala e provvedendo<br />
al riassetto dei vari locali e a una razionale disposizione dei reperti<br />
archeologici. In quest’ultimo lavoro egli proporzionò con esattezza la lunga<br />
facciata, in armonia con la vicina mole centrale dell’edifi cio, senza l’ausilio di<br />
elementi decorativi se non con l’uso del mattone faccia a vista. Dimostrò<br />
così che il decorativismo di cui si era servito in precedenza non condizionava<br />
la sua opera di costruttore. In concomitanza con questo lavoro il Chiavelli<br />
affrontò il restauro e la sistemazione interna di alcune parti del Convento<br />
benedettino di San Paolo (1922) e disegnò la facciata del palazzo dell’Azienda<br />
Municipalizzata Pubblici Servizi (1923), nel rispetto rigoroso di linee classiche,<br />
in armonia da un lato con palazzo Marchesi, dall’altro con l’antico<br />
campanile. Nel 1930 provvide ai restauri del Palazzo del Giardino e ai lavori<br />
di trasformazione in un unico vano delle due salette a nord dell’atrio del<br />
Teatro Regio, modifi candone il sistema di copertura. Nello stesso periodo<br />
portò a compimento il già iniziato edifi cio progettato dall’ingegnere Enrico<br />
Tognetti in collaborazione con l’ingegnere Bruno Cornelli per gli Istituti Biologici<br />
dell’Università, ma poi sede dell’avviamento professionale Pietro Giordani,<br />
e disegnò la lapide marmorea murata nella facciata, con la dedica ai<br />
Caduti dettata da Arnaldo Barilli (1931). Queste opere diedero grande notorietà<br />
al Chiavelli, soprattutto nell’ambito della committenza privata. In questo<br />
senso, tra gli edifi ci a uso abitativo che maggiormente testimoniano un’intensa<br />
attività progettuale, sono sicuramente villa Romanelli in Viale Martiri<br />
della Libertà (gennaio 1909), casa Tirelli in Via Emilia Est (gennaio 1909), il<br />
rifacimento della facciata di casa Valesi in Via D’Azeglio (luglio 1911), la sistemazione<br />
e il sovralzo di casa Chiapponi (maggio 1911), palazzo Piazza<br />
in Via XXII luglio, con Olindo Tomasi, con decorazioni pittoriche al piano<br />
terra (1912), villa Masini a Barriera Farini (maggio 1916), palazzo Giovannacci<br />
per il costruttore Zanchi, sempre in collaborazione con Tomasi, presso<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
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Barriera Repubblica (1918), il rifacimento di palazzo Tosi in Borgo Giacomo<br />
Tommasini (1920) e forse casa Battioni, realizzata sempre per il costruttore<br />
Zanchi, il cui progetto inoltrato all’Uffi cio d’Arte è tuttavia a fi rma dell’architetto<br />
Faraboschi. Gli anni dal 1909 al 1920 rappresentarono infatti il periodo<br />
più intenso della sua attività professionale e coincisero anche con il periodo<br />
più fertile della produzione architettonica del primo Novecento. Gli anni successivi<br />
lo videro impegnato in numerose opere pubbliche, in particolare in<br />
alcuni restauri, rifacimenti e riattamenti di facciata. Nel campo funerario<br />
sono da segnalare le cappelle Leoncini, Fulgoni, Caprioli, Romanelli e il<br />
monumento Marchelli. In provincia costruì la facciata, la cupola e il campanile<br />
delle chiese di Felegara e di Calestano ed eseguì altre opere minori a<br />
San Pancrazio, Collecchio, Fontevivo, Monticelli Terme, Sant’Ilario di Baganza,<br />
Sant’Ilario d’Enza, Polesine Parmense, Terenzo e Selva del Bocchetto.<br />
Dimesso dal servizio a 64 anni per raggiunti limiti di età (1933), il<br />
Chiavelli si ritirò dalla professione attiva, pur continuando sino a tarda età a<br />
produrre disegni e progetti di varia natura, che lo portarono a realizzare alcune<br />
case economiche nel 1936, in Via Emilia Est e in Via <strong>La</strong>nghirano, e nel<br />
1938, in Via Milazzo e in Via Imbriani. Fu socio effettivo dell’Accademia Parmense<br />
di Belle Arti di Parma.<br />
FONTI E BIBL.: G. Copertini, Artisti parmigiani, 1927, 282; Parma nell’Arte 3 1963, 240-241; G.<br />
Capelli, Architetti del primo Novecento, 1975, 81-85; Gli anni del Liberty, 1993, 94.<br />
CUSANI LAMBERTO<br />
Parma 9 dicembre 1877-Parma 8 febbraio 1966<br />
Ultimo discendente maschile di un’antica famiglia aristocratica, nacque dai<br />
marchesi Luigi e Palmira Sassi. Gli illustri e facoltosi genitori non posero<br />
ostacoli alla vocazione del Cusani, il quale, a più allettanti carriere, preferì il<br />
lavoro di architetto. Dopo aver frequentato la Scuola Tecnica nel 1894, fu<br />
allievo dell’Accademia di Belle Arti di Parma, negli anni in cui era direttore<br />
Cecrope Barilli e professori Edoardo Collamarini, Giuseppe Mancini e Mario<br />
Soncini. Degli anni 1897-1898 sono la facciata di chiesa in stile ogivale, una<br />
cappella per cimitero, un progetto per museo di antichità greche e quattro<br />
riproduzioni ad acquerello dal gesso, disegni riproducenti drappi, candelabri,<br />
stemmi con grifoni e diverse esercitazioni di prospettiva, di fi gura e teoria<br />
delle ombre e cartoline illustranti scene religiose per la Casa Editrice Battei<br />
di Parma. Da queste opere senza dubbio esce una preparazione accademica<br />
di tipo ottocentesco, formata sui manuali dell’architettura gotica e rinascimentale<br />
e sul rilievo di monumenti antichi, che costituì un costante referente<br />
anche nelle opere. Nel 1897-1898 frequentò il biennio speciale di ornato,<br />
riportando il premio di 1° grado e conseguendo il diploma di licenza. Tra il<br />
1899 e il 1903 seguì il corso speciale triennale di architettura riportando<br />
negli studi annuali e nelle prove fi nali tre premi di 1° grado, conseguendo il<br />
diploma di licenza e nel 4° anno (1904) quello di professore di disegno architettonico.<br />
Iniziò giovanissimo a lavorare, con la supervisione di Cecrope<br />
Barilli, alla decorazione pittorica del soffi tto del Caffè Marchesi in Piazza<br />
Garibaldi. Vi realizzò decorazioni ad olio con quattordici particolari o medaglie<br />
in fi gura, lesene nelle pareti della sala, un candelabro ornato, decorazione<br />
a tempera del plafone del locale del banco su carta, secondo le perfette<br />
regole artistiche e data fi nite colla verniciatura. L’opera, dopo l’intervento del<br />
1909, realizzato insieme a De Strobel e Baratta, si rovinò presto per i fumi<br />
delle stufe e fu poi demolita. Dotato di un fi sico eccezionale, che gli permise<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
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di lavorare per tutta la vita in condizioni ottimali, il Cusani iniziò la professione<br />
affrontando impegnativi lavori di restauro architettonico, attività che gli fu<br />
particolarmente congeniale. Nel 1904 assunse i lavori di restauro della facciata<br />
quattrocentesca della chiesa di San Benedetto in Parma, importante<br />
opera di Bernardino Zaccagni. Subito dopo (1907), fu chiamato a progettare<br />
e sovraintendere un vasto piano di risanamento e restauro conservativo del<br />
castello e del centro storico di Gabiano Monferrato, borgo medioevale in<br />
provincia di Alessandria sorto nel VII secolo. Un lavoro di gran mole, spazialmente<br />
e temporalmente impegnativo, che, attraverso varie riprese, durò oltre<br />
un trentennio. Contattato dall’amministratore della tenuta, l’ingegnere<br />
Egidio Pecchioni, per una consulenza tecnica sul crollo del torrione principale,<br />
il Cusani lavorò a questo progetto dal 1907 al 1940, occupandosi prima<br />
della ricostruzione della torre e del ripristino delle facciate e, successivamente,<br />
dei cortili e degli accessi alle stanze, dei magazzini e casa dell’agente,<br />
della costruzione di una nuova cappella neogotica, per passare infi ne allo<br />
studio degli interni. Le intenzioni dei committenti furono estremamente chiare<br />
fi n dall’inizio, tanto da condizionare fortemente le soluzioni proposte dal<br />
Cusani. <strong>La</strong> torre venne ricostruita tra il 1911 e il 1912, più alta di 2,50 metri,<br />
poiché verso la strada e verso il paese sarebbe risultata troppo tozza. Il dislivello<br />
tra il secondo piano del castello e quello del torrione fu risolto con un<br />
ascensore, azionato ad acqua, che dal piano del giardino si innalzasse fi no<br />
al terrazzo merlato. Per esigenze estetiche, il rialzo della torre comportò<br />
anche l’innalzamento del loggiato delle trifore. Per le facciate il Cusani propose<br />
la soluzione con fi nestre ogivali, in parte rinvenute sotto l’intonaco.<br />
Nonostante le richieste della committenza, egli tuttavia non abbandonò il<br />
criterio di indagare storicamente le trasformazioni per una ricostruzione fi lologica<br />
degli eventi (riuscì infatti a trovare alcune stampe del castello prima<br />
del crollo, corredate da un interessante saggio storico), nonché il metodo di<br />
studio analogico, che gli permise di ritrovare gli elementi tipici del castello<br />
feudale e di riproporli, qui, in una sintesi. In effetti si trattò di una vera progettazione<br />
totale di una vita passata, nella quale maestranze e artisti chiamati<br />
a ricrearla si calarono profondamenta, al punto che, secondo un’espressione<br />
molto cara al Cusani, loro stessi diventavano a poco a poco medievali.<br />
Molti gli artigiani, quasi tutti del luogo o di Genova, e gli artisti parmigiani che<br />
vi lavorarono e diversifi cate le competenze, fi no alla realizzazione dell’oggettistica,<br />
attentamente studiata sulla base di alcuni reperti conservati presso<br />
il Museo Medievale di Torino, delle stoffe e dei cascami di seta, provenienti<br />
da Milano, elmi, armi, corazze e vetrerie di Venezia. A <strong>La</strong>tino Barilli fu<br />
commissionato di affrescare la sala della Cavalcata, la sala da pranzo, la<br />
scala, gli stemmi sulle fi nestre e la Madonna del tabernacolo della palizzata<br />
esterna. A Rossi fu commissionato di scolpire sulla fontana del cortile altorilievi<br />
raffi guranti la vendemmia. Pozzi dipinse la Madonna a encausto nell’ingresso<br />
principale al castello. Il progetto per i giardini, il labirinto verde, la<br />
fontana e il pozzo, il progetto per il fumoir, la biblioteca, i camini, i mobili e le<br />
posaterie, traducono appieno la volontà del Cusani, di arredare con serietà<br />
e senso d’arte, con tutti gli elementi tipici e consoni allo stile del castello<br />
medievale. Nell’occasione il Cusani pose pure mano al radicale restauro<br />
dell’antica borgata, abbarbicata ai piedi dell’imponente maniero, ottenendone<br />
straordinari risultati. In questa nobile dimora della famiglia dei Durazzo-<br />
Pallavicino lavorò, sempre dietro esplicito invito del Cusani, anche l’artista<br />
parmigiano Tito Peretti. Le scelte del Cusani per Gabiano Monferrato sono<br />
le stesse che lo mossero nel progetto per il Castello di Tizzano (1913-1914),<br />
acquistato dall’amico scultore Ettore Ximenes, e in quello per la Rocca di<br />
Castelguelfo. Analoga meticolosità nello studio e nella ricerca storica si ritro-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
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va nel progetto, del 1907, per il palazzo dell’Università di Parma. In occasione<br />
dei Congressi Scientifi ci, restaurò, scomponendolo e ricostruendolo, il<br />
soffi tto cassettonato seicentesco del salone Bottego, in varie parti degradato.<br />
Nell’atrio, fatto i debiti saggi, ritrovò le colonne in pietra, ricoperte di muratura<br />
di mattoni. Disegnò i bozzetti per i mascheroni e le cariatidi del salone,<br />
il lampadario dell’aula magna, il portale esterno e il cancello d’ingresso<br />
al Salone dal lato del corridoio, la bandiera dell’Università, con la raffi gurazione<br />
di Minerva, realizzata dalla ditta Gafforelli di Milano, e il fanale in ferro<br />
battuto in stile 1600, realizzato dalla ditta Mazzucotelli di Milano. Fece restaurare<br />
mobili antichi e realizzare, su proprio disegno, altri arredi, i banchi,<br />
gli stemmi e l’epigrafe in onore del professor Ulisse Aldrovandi. Per queste<br />
opere il Cusani venne nominato Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.<br />
Tra il 1909 e il 1916 fu impegnato nel restauro della chiesa di Santa Maria<br />
della Steccata, per la quale fece restaurare e collocare antichi stalli provenienti<br />
dalla chiesa di San Pantaleone di Poviglio, eseguì lavori nei sotterranei<br />
e alle coperture, applicando un sistema a scossaline di piombo ripreso<br />
più tardi al Castello di Gabiano, e progettò nuovi serramenti per la cupola.<br />
Tra il 1908 e il 1916 intervenne nella chiesa di Vicofertile (1910), di Santa<br />
Maria del Carmine a Parma (1910-1913) e di Santa Croce a Fontanellato. I<br />
tre interventi mirarono a riportare l’edifi cio all’antico splendore. A Vicofertile<br />
demolì le cappelle neogotiche, ricostruì la piccola abside a sud-est, dopo<br />
aver demolito la sagrestia, riaprì una porta a sud e integrò la muratura perduta.<br />
All’interno abbassò il piano di calpestìo per portare alla luce i pilastri<br />
cruciformi e, ritrovate durante i lavori di scavo le tracce della chiesa preesistente,<br />
le fece risaltare sul pavimento. Dopo i restauri il Cusani venne nominato<br />
membro della Commissione Tutrice e Conservatrice dei Monumenti di<br />
Parma, su proposta di <strong>La</strong>udedeo Testi. Un perfetto ripristino dello stile fu<br />
l’intervento di Santa Maria del Carmine. All’esterno riaprì le fi nestre gotiche<br />
ritrovate sotto l’intonaco, dopo aver chiuso quelle rettangolari, e, in facciata,<br />
riportò alla luce i tre rosoni. Dal Consiglio dell’Opera parrocchiale della chiesa<br />
di Santa Croce di Fontanellato ottenne l’incarico di restaurare la chiesa di<br />
Santa Croce e l’oratorio Bragadini o del Santissimo Crocefi sso (12 gennaio<br />
1913). Coerentemente con la sua stessa asserzione di voler far parlare l’edifi<br />
cio, in facciata riportò alla luce le tracce di quella precedente al XV secolo.<br />
Ma, in nome dell’unità dello stile prescelto, demolì l’ingresso timpanato neoclassico<br />
del fronte nord e, dove mancava ogni traccia materiale (come le<br />
basi delle colonne, il portale verso la Rocca e le decorazioni del rosone di<br />
facciata), ricostruì i primi per analogia con quelli dell’abbazia di Fontevivo e<br />
le altre a imitazione di quelle esistenti nella chiesa di Santa Cecilia a Parma.<br />
Il nuovo fonte battesimale prese ispirazione da quello del Battistero di Parma<br />
e il portale principale da quello sul fi anco della chiesa di San Francesco<br />
a Piacenza. I lavori terminarono nel 1916. A Fontanellato il Cusani si era già<br />
distinto nel concorso per il restauro dell’oratorio della Beata Vergine, nonché<br />
per i bozzetti delle decorazioni della sala da pranzo della Rocca di Fontanellato<br />
dei conti Sanvitale, eseguite dal pittore Antonelli. Il progetto per il santuario<br />
risale al 1912, ma i lavori si protrassero per molto tempo, date le<br />
scarse risorse economiche dell’Ordine Domenicano: consistette nella progettazione<br />
in stile michelangiolesco, secondo un’espressione di padre Mazzetti,<br />
o cinquecentesco, secondo le intenzioni del Cusani. Il Cusani fu poi<br />
nominato, su proposta della facoltà di scienze di Roma, assistente presso il<br />
biennio di ingegneria dell’Università di Parma con l’incarico dell’insegnamento<br />
di Elementi di Architettura (1910). Incarico quest’ultimo che declinò<br />
poi volontariamente alla ritirata di Caporetto (1918), rinunciado così all’esonero<br />
militare riservato ai docenti universitari. Nel frattempo il Cusani portò a<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
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termine altre notevoli opere di restauro nella chiesa di San Giovanni Evangelista.<br />
In occasione della Mostra regionale ed etnografi ca di Roma (1911),<br />
il Cusani allestì con meticolosa precisione una riproduzione in grandezza<br />
naturale della Camera d’Oro del castello di Torrechiara. Affi nché l’arredamento<br />
fi sso e mobile fosse esatto in tutti i dettagli, chiamò a collaborare,<br />
com’era sua abitudine, i più noti artisti di Parma: Amedeo Bocchi e Daniele<br />
De Strobel per la copia degli affreschi, Cornelio Ghiretti, Renato Brozzi e<br />
Emilio Trombara per i calchi delle formelle e degli stucchi e abili artigiani<br />
come Dall’Argine e Gialdini per i mobili e Arcari per i ferri battuti. Il Cusani<br />
sorvegliò e diresse ogni cosa, anche la più minuta, di quel prezioso arredamento,<br />
curando la stessa tessitura delle stoffe (Ferrari di Milano), l’esecuzione<br />
dei ricami (contesse Calvi) e le raffi nate miniature dell’Uffi zio della Vergine<br />
(Luisa Botteri). L’opera, giudicata la più importante della mostra, si<br />
impose all’ammirazione del pubblico e della critica romana. Poco dopo il<br />
Cusani affrontò una serie di lavori di vario contenuto architettonico: la costruzione<br />
in stile della facciata marmorea del santuario di Fontanellato<br />
(1912), la costruzione del campanile di Sant’Ilario d’Enza, del sepolcro del<br />
vescovo Conforti nel palazzo delle Missioni Saveriane, delle cappelle funerarie<br />
per le famiglie Monici, Moruzzi e Cusani, della cappella votiva nel Duomo<br />
di Parma, che ricorda i caduti del primo confl itto mondiale, di una chiesa<br />
a Genova, lavori di ripristino nelle chiese romaniche coeve di Santa Croce<br />
in Parma e di Fornovo Taro e, più tardi, nella pieve di Berceto. Nel primo di<br />
questi lavori, il Cusani trasformò la modesta struttra preesistente con una<br />
ricostruzione che si riallaccia al tardo Rinascimento e al Barocco, tentando<br />
così di rievocare la grandiosità degli edifi ci religiosi romani. Seguirono altri<br />
restauri ad alcune parti della chiesa parrocchiale di <strong>La</strong>nghirano. Se l’attività<br />
del Cusani si fosse limitata a quella sin qui ricordata, consistente soprattutto<br />
in lavori di conservazione di opere d’arte e in costruzioni di carattere e contenuto<br />
strettamente religioso, essa darebbe di lui un’immagine deformata e<br />
non strettamente fedele alla sua autentica personalità. Ma negli anni seguenti<br />
egli affrontò tre notevoli progetti, che rivelano con evidenza una versatilità<br />
di rilievo nel campo dell’architettura eclettica e talvolta schiettamente<br />
modernista: il Supercinema Orfeo (1913), il monumento a Verdi (1913-1920)<br />
e quello alla Vittoria (1928). Queste tre opere misero in luce i reali valori<br />
della visione costruttiva del Cusani, fi nalmente chiamato a risolvere problemi<br />
di profondo signifi cato architettonico e urbanistico. Il cinema Orfeo, uno<br />
dei primi costruiti a Parma, opera tutta interna e di semplice e chiara concezione<br />
planimetrica, fornito di un’ampia balconata servita da uno scalone monumentale,<br />
portava ancora i segni del decorativismo fl oreale, ormai altrove<br />
languente. Sopravvissuto sino alle soglie degli anni Cinquanta, fu infi ne demolito<br />
e sostituito con una più vasta sala di proiezione. Era stato da poco<br />
inaugurato a Parma il monumeto a Bottego (1907), opera di Ettore Ximenes,<br />
quando il Cusani si mise all’opera per ideare un mausoleo che esaltasse<br />
degnamente Giuseppe Verdi, il genio più popolare della terra parmense.<br />
Dopo meticolosi studi, elaborò un impegnativo progetto, che prevedeva<br />
un’ampia esedra, scandita dal ritmo di possenti pilastrature e interrotta a<br />
metà da un arco trionfale sormontato da una quadriga leonina. Al centro<br />
sarebbe sorta un’ara, ingentilita da un altorilievo in bronzo. Abbozzata l’idea<br />
sul piano costruttivo, venne affrontato e risolto il problema urbanistico, quasi<br />
a voler smentire le accuse rivolte contro il monumentalismo fi ne a se stesso:<br />
il complesso sarebbe sorto su un vasto piazzale alberato al limite della città.<br />
I lavori iniziarono con fervore, in un momento in cui la passione per la musica<br />
verdiana e il ricordo del grande compositore erano commisti a palpiti di<br />
schietto patriottismo. <strong>La</strong> prima guerra mondiale interruppe per molti anni i<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
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lavori, che ripresero con entusiasmo a confl itto concluso. Nel cantiere si innalzarono<br />
nuovamente le impalcature, ma per ridurre le spese venne abbandonata<br />
l’idea di impiegare materiali ricchi, come il marmo e il granito, e<br />
si ripiegò sull’uso del cemento martellato, anche nelle fasce e nei particolari<br />
decorativi. <strong>La</strong> quadriga leonina venne plasmata in gesso dagli scultori A.<br />
Balestrieri (Gloria e putti), Ernesto Vighi, Alessandro Marzaroli e Guglielmo<br />
Cacciani (leoni). Le statue in cemento vennero modellate dagli studenti dell’Istituto<br />
di Belle Arti. L’altorilievo fu egregiamente scolpito da Ettore Ximenes.<br />
Il monumento a Verdi fu inaugurato il 22 novembre 1920. Ma l’emiciclo<br />
verdiano, nato in una zona che stentava a urbanizzarsi, si trovò isolato e si<br />
avviò alla decadenza ancor prima di essere scalfi to dalle bombe del secondo<br />
confl itto mondiale (1944). Il dopoguerra fece il resto: la distruzione del<br />
monumento fu decisa nella generale concordia cittadina, e le timide e isolate<br />
voci che si alzarono in sua difesa non trovarono consensi. Alcune delle<br />
statue dei personaggi verdiani, staccate dai loro basamenti, furono collocate<br />
all’interno del cinema Arena del Sole di Roccabianca, altre furono addirittura<br />
scaraventate nel torrente Parma. Il monumento alla Vittoria, magistralmente<br />
ambientato nella prospettiva di Viale Toschi, è formato da un’altissima colonna<br />
coronata da un capitello composito, poggiante su un solido basamento<br />
con bassorilievi di gusto classico e sorreggente una statua bronzea raffi -<br />
gurante una donna alata. <strong>La</strong> possente struttura della fi gura femminile, che è<br />
opera di Ettore Ximenes, fedele collaboratore del Cusani, sembra librarsi nel<br />
cielo in un’illusione di volo. È questa l’unica rimasta delle tre più importanti<br />
opere realizzate dal Cusani. Anche nel Palazzo del Governatore di Piazza<br />
Garibaldi in Parma c’è una traccia dell’attività del Cusani: a bassi negozi con<br />
ingressi dalle più strane forme sostituì, con armonica proporzione, grandi<br />
aperture a tutto sesto, in seguito imitate, sino al completamento dell’edifi cio.<br />
Successivi al 1920 sono i progetti per la chiesa parrocchiale di Bratto a Pontremoli,<br />
ricostruzione di una chiesa medievale preesistente, che diventò<br />
l’abside di quella nuova, la chiesa dedicata alla Madonna della Guardia sul<br />
Passo della Cisa, la casa Littoria di Arenzano, unico progetto di stile modernista,<br />
forse perché ritenuto il più adatto a esprimere tale tipologia, e l’orfanatrofi<br />
o di Fontanellato, che impegnò il Cusani fi no a pochi anni prima della<br />
morte. Nel vasto orizzonte della produzione architettonica del Cusani si individuano<br />
chiaramente tendenze, caratteri e fonti di ispirazione che ripropongono,<br />
sotto lo stimolo del passato, un discorso a volte decisamente eclettico,<br />
altre volte limpidamente classicheggiante e di rado castigatamente<br />
modernista. In lui la tradizione fu sempre presente: come ebbe a dire Giovanni<br />
Copertini, il Romanico-Gotico e il Rinascimento Romano attestano<br />
che egli ha saputo rivivere le forme di un passato glorioso con spirito calmo<br />
e sereno, permeato di equilibrio, di armonia e soprattutto di aristocratico<br />
buon gusto. Solo in casi eccezionali il Cusani abbandonò il rigore compositivo<br />
basato sui modelli classici, come nella costruzione di una serra fl oreale<br />
nel parco di una villa della riviera di Ponente, dove dimostrò un’insospettata<br />
e feconda vena modernista. <strong>La</strong> costruzione consta di un lungo rettangolo in<br />
muratura, movimentato da lievi sporgenze e rientranze, su cui si impianta la<br />
volta vetrata di chiusura. Al centro domina la mole di un corpo ottagonale,<br />
sormontato da una cupola con lanterna che riproduce esattamente la struttura<br />
sottostante. I ferri battuti che coronano le dorsali della copertura e la<br />
cupola, forse realizzati a Parma dai maestri del ferro Azzoni e Parmigiani,<br />
offrono un esempio tra i più pregevoli dello stile Liberty al tramonto. Le onorifi<br />
cenze che il Cusani, come uomo e come architetto, ebbe in vita documentano<br />
il prestigio di cui egli godette tra i suoi contemporanei: architetto del<br />
Tempio di San Giovanni per quindici anni, commendatore dell’Ordine ponti-<br />
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Relazione tecnica/ Architetti<br />
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fi cio di San Gregorio Magno (6 ottobre 1962), cavaliere dei Santi Maurizio e<br />
<strong>La</strong>zzaro, commendatore della Corona d’Italia.<br />
FONTI E BIBL.: R. Allegri, in Parma nell’Arte 2/3 1966, 82-85; G. Capelli, Architetti del primo<br />
Novecento, 1975, 103-107; Gli anni del Liberty, 1993, 97-99.<br />
LEONI ETTORE<br />
Parma 8 agosto 1886-Parma 30 maggio 1968<br />
Nacque da Antonio e Teresa Luccini. Il padre, marmista e titolare di una<br />
ditta di lavorazione di marmi e pietre con sede in via Linati a Parma, lavorò<br />
spesso con il Leoni, soprattutto nella realizzazione di cappelle e monumenti<br />
funerari, di motivi decorativi plastici, di sculture e di pannellature di rivestimento.<br />
Il monumento funebre Cloetta e la cappella di famiglia sono un<br />
esempio di questa collaborazione. Quest’ultima, defraudata nell’estate del<br />
1992 dei leoni laterali all’ingresso sovrastati da colonnine e braceri di bronzo<br />
realizzati dallo scultore Renato Brozzi, rappresenta una delle costruzioni<br />
funerarie più interessanti nell’impiego di diversi materiali come il marmo<br />
rosa delle lastre di rivestimento dei quattro fronti e dei leoni, il marmo verde<br />
cipollino delle colonnine, l’arenaria del basamento e dei gradini di accesso,<br />
la pasta di vetro colorata delle decorazioni a rombi dell’ingresso e dei due<br />
volti, di Sant’Antonio e di Santa Teresa, contenuti nei timpani dei fronti laterali.<br />
Si deve supporre che in molte altre realizzazioni il Leoni e il padre lavorassero<br />
insieme: forse a Villa Leoni (1909) e a Villa Adele (1924), situate<br />
vicinissime alla ditta Leoni, così come a palazzo Quirici e palazzo Basetti,<br />
dove insieme a elementi decorativi plastici in cemento lavorato coesistono<br />
quelli in pietra scolpita. Qualche anno dopo il diploma in architettura (1907),<br />
fu chiamato a realizzare palazzo Marchesi (1913), all’angolo di via Melloni e<br />
via Garibaldi. Studiò a fondo e fece suo il prototipo di casa parigina della<br />
seconda metà del XIX secolo fi gurante nella notissima raccolta di disegni<br />
Tableaux de Paris dell’editore Texier (1853). I suoi quattro piani sono sottolineati<br />
all’esterno, in misura diversa a seconda dell’altezza, da salde cornici,<br />
eleganti balconi, timpani triangolari e semicircolari. Elementi architettonici i<br />
quali, assieme agli eleganti affreschi di <strong>La</strong>tino Barilli nella superfi cie a forma<br />
di pettine compresa tra le due ultime cornici, danno all’edifi cio quell’impronta<br />
di ricercatezza tanto cara ai ceti abbienti del primo Novecento. In sommità,<br />
inseriti nella copertura, si allineano dieci abbaini, che costituiscono un’altra<br />
nota di originalità nel contesto strutturale dell’edifi cio. <strong>La</strong> carriera felicemente<br />
iniziata dal Leoni venne subito interrotta, come per altri suoi colleghi, dal<br />
primo confl itto mondiale, al quale partecipò come uffi ciale di cavalleria, pagando<br />
un pesante tributo: la mutilazione della mano sinistra. Ripresa l’attivita<br />
nell’immediato dopoguerra, il Leoni trovò a Parma il terreno ideale per<br />
esplicare una vastissima attività costruttiva in tutti i settori, attività che lo<br />
impegnò sino alla vecchiaia. In un decennio di intenso lavoro costruì la Banca<br />
Agraria (1920-1923), lo stabilimento della vetreria Bormioli (1921), il campo<br />
sportivo Tardini (1922), la parte della Ghiaia lungo viale Mariotti (1927),<br />
casa Corradi (1927), alla fi ne di via Cavour, casa Quirici (1928), all’inizio di<br />
via Parmigianino, palazzo Chiari (1928), in piazzale dei Servi, e palazzo<br />
Serventi (1930), in Via della Repubblica. Dello Stadio Tardini esistono almeno<br />
tre versioni, prima del regolare rilascio della concessione, che risale all’11<br />
luglio 1923. <strong>La</strong> Commissione d’Ornato, in seduta 6 aprile e 1° giugno 1923,<br />
si espresse favorevolmente sulle varianti al progetto (fogli del 4 aprile e 31<br />
maggio 1923), che il Leoni apportò in considerazione dei pareri negativi rilasciati<br />
dalla stessa, in occasione delle prime due versioni. Le motivazioni,<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
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contenute nella relazione del 2 marzo 1923, che mossero la commissione a<br />
richiedere tali modifi che, furono legate essenzialmente al concetto dell’unità<br />
di stile: si accettarono le fi ancate laterali e la cancellata ma non il fronte<br />
centrale né le modanature dei fi anchi e dell’ingresso, che il Leoni, con temperamento<br />
e genialità artistica, avrebbe dovuto ripensare per metterle in<br />
armonia col carattere moderno dei pilastri laterali. Nella prima versione l’arco<br />
a tutto sesto dell’ingresso era sovastato da uno pseudo timpano tronco<br />
con riquadrature laterali, nei pilastri binati laterali mancavano i palloni da<br />
gioco ripetuti su tutta l’altezza, divenuti poi dei simbolici cerchi nella versione<br />
defi nitiva, e i pilastri portabandiera erano semplici parallelepipedi, senza i<br />
cordami o ghirlande realizzati. Anche la seconda soluzione, peraltro già molto<br />
vicina a quella costruita, non fu accettata: la commissione confi dò che la<br />
genialità del Leoni gli suggerisca all’atto pratico una migliore soluzione per<br />
le modanature di coronamento e per il fi anco, in armonia ai due piloni laterali.<br />
Sia nella prima che nella seconda soluzione erano già previsti i basamenti<br />
laterali all’ingresso, sui quali si sarebbero dovute collocare le quattro<br />
statue di atleti, così come i giocatori di football dipinti sugli spigoli del sottocornicione<br />
degli spogliatoi. Non vennero realizzate né le prime né i secondi.<br />
Progettando questo eterogeneo insieme di edifi ci, il Leoni restò sempre fedele<br />
al gusto del tempo, abbandonando quando era possibile le schematizzazioni<br />
e i modelli di derivazione classica e dando libero sfogo alla sua fervida<br />
fantasia. Ognuna di queste costruzioni si inserisce con chiarezza e<br />
coerenza nell’ambiente preesistente, perchè il Leoni seppe sfuggire alla tentazione<br />
di monumentalizzare e quindi isolare la propria opera creando violenti<br />
contrasti con l’architettura circostante. Se nell’ingresso del Tardini, concepito<br />
come arco trionfale sormontato da otto pinnacoli portabandiera, si<br />
ritrovano gli spunti della tematica Liberty, nella casa Corradi le pareti liscie<br />
danno respiro alle masse murarie sovrabbondanti di motivi decorativi che si<br />
affacciano sull’incrocio di via Cavour, via Melloni e via Parmigianino. <strong>La</strong> vecchia<br />
Ghiaia, devastata dall’abbattimento delle Beccherie (1928), ritrovò una<br />
sua misura e un suo contenuto nel riassetto proposto dal Leoni, la cui sostanziale<br />
validità non è diminuita dalla povertà del materiale impiegato (il<br />
cemento martellato), soprattutto nei collegamenti verticali, che con minimo<br />
ingombro superano il dislivello di sei metri tra il piano dei negozi e quello<br />
stradale. Per un architetto che si era già qualifi cato nella risoluzione di complessi<br />
problemi nel centro storico e che per naturale inclinazione tendeva ad<br />
affrontare temi di notevole impegno, la progettazione di case unifamiliari non<br />
rappresentò certo un motivo di grande interesse. Ma la moda, la prospettiva<br />
di vantaggi speculativi e la mentalità dalla società post-bellica degli anni<br />
Venti richiesero un prodotto qualifi cato dal nome del costruttore e il Leoni<br />
era ormai ampiamente affermato. I numerosi committenti lo costrinsero per<br />
molti anni a un’intensa attività in questo settore, in cui egli lavorò con spirito<br />
di assoluta libertà formale e senza soggezioni stilistiche, a eccezione degli<br />
immancabili richiami fl oreali. Si ricordano, tra le altre, villa Barilli (1913), all’inizio<br />
di via delle Fonderie, villa Leoni (1913), in viale Martiri della Libertà,<br />
villa Figna (1916), in via Palestro, villa Salvini (1919), in viale Solferino, villa<br />
Artoni o Adele (1924), in viale Martiri della Libertà, villa Chiari (1930), in via<br />
Emilia Est, villa Gelmini (1934), in viale Partigiani d’Italia, villa Maghenzani<br />
(1946), a San Pancrazio, villa Bormioli (1946), a San Leonardo, villa Boni<br />
(1947), in via P.M. Rossi, villa Alessandrini (1925), a Sant’Andrea Bagni,<br />
villa Rossi (1923), villa Roffi (1932), villa Zecca (1932), a Soragna, villa Medioli<br />
(1946), a San Martino Sinzano, e villa Alinovi (1946), a Sala Baganza.<br />
Costruita a fi anco di casa Battioni, situata sull’angolo tra il viale Berenini e<br />
via Palestro e collegata a questa tramite una nuova cancellata in ferro bat-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
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tuto e con motivi fi tomorfi , villa Battioni ha chiari riferimenti stilistici all’arte<br />
nuova ed eleganti soluzioni formali, che bene si adattano alla tipologia della<br />
villa urbana. Molto meno ricca doveva essere in origine, così almeno pare<br />
abbozzata negli elaborati di progetto, la decorazione del sottogronda, ma<br />
semplicemente composta da fi gure geometriche romboidali, forse pensate<br />
in tessere di ceramica, come nel caso della vicina casa d’angolo, e intervallate<br />
da volute dipinte. I parapetti della scala di ingresso e del balcone del<br />
primo piano ripetevano lo stesso motivo decorativo della cancellata esterna.<br />
Al 12 dicembre 1912 risalgono le tavole di rilievo e di progetto di Palazzo<br />
Marchesi, presentate all’Uffi co d’Arte del Comune di Parma per l’ottenimento<br />
della concessione a eseguire i lavori di rettifi lo su via Melloni. Progettato<br />
come riattamento e alzamento di due unità edilizie preesistenti e costruito a<br />
partire dall’anno successivo, il palazzo trova riferimento nella matrice tipologica<br />
a blocco residenziale di fi ne Ottocento, con l’aggiunta di un tema estraneo<br />
al contesto parmigiano, quello degli abbaini. <strong>La</strong> particolare collocazione<br />
tra le due strade, pose problemi riguardanti la soluzione d’angolo, la defi nizione<br />
di una testata a conclusione della cortina edilizia prevalentemente a<br />
schiera su via Garibaldi e in particolare la risoluzione compositiva dei fronti<br />
esterni. Il Leoni risolse l’angolo a smusso tondo inserendo un balcone, avente<br />
funzione di cerniera tra i due prospetti e di partizione orizzontale.Ripartì la<br />
facciata in tre parti, quella di base, il piano nobile e la parte terminale, composta<br />
da due piani e da un marcato cornicione retto da elementi a mensola,<br />
che riprese a Palazzo Quirici (1919) in borgo del Parmigianino.Ai dipinti murali<br />
dell’ultimo livello, così come appaiono sulle tavole di progetto, dove fi gure<br />
accoppiate e ghirlande si ripetono alternandosi a festoni tra le fi nestre, si<br />
sostituì, in fase di realizzazione, una rappresentazione unitaria, continua<br />
anche attorno ai vani delle fi nestre.Attribuita a <strong>La</strong>tino Barilli, pare tuttavia<br />
opera di più autori, date le evidenti differenze tra le masse colorate di via<br />
Melloni e quelle di via Garibaldi.Nei<br />
primi mesi del 1913 partirono i lavori di sovralzo e sistemazioni dei tre fronti<br />
di Villa Barilli, in cui le infl uenze secessioniste si legano alla matrice vernacolare.Anche<br />
qui il Leoni fu affi ancato dal pittore <strong>La</strong>tino Barilli, proprietario<br />
della villa, nella realizzazione dei bellissimi guerrieri dipinti in facciata. Anche<br />
in questo caso vi è incongruenza tra il progetto decorativo e la sua realizzazione.<br />
Le opere degli anni Venti raccolgono in parte le esperienze fatte<br />
nella progettazione delle ville urbane, nella ripresa di motivi secessionisti e,<br />
in parte, quelle fatte sui palazzi esistenti nel centro cittadino, nella vicinanza<br />
ai registri stilistici ottocenteschi associati a infl ussi di gusto novecentesco e<br />
accademico. Molto interessante dovette essere Villa Saccani, con serra per<br />
aranceria e fl oricoltura (1921), confi nante con Villa Leoni e laboratorio della<br />
ditta: le riquadrature tra i vani delle fi nestre, distinte dalla restante superfi cie<br />
solo mediante un diverso trattamento dell’intonaco, le paraste laterali alle fi -<br />
nestre, le tessere decorative della fascia marcapiano tra il primo e il secondo<br />
livello, gli pseudo capitelli del portone di ingresso, che diventano porta vasi,<br />
a ricordo degli incastri volumetrici già sperimentati sul fronte principale della<br />
cappella Leoni, sono una prova evidente della ripresa di motivi nuovi. <strong>La</strong><br />
serra e l’aranceria furono collocate in un unico edifi cio a pianta rettangolare,<br />
sul retro della villa: al piano terra i due ambienti laterali all’ingresso furono<br />
destinatai a fl oricoltura e un unico vano, che occupava tutta la lunghezza<br />
del fabbricato, fu adibito ad aranceria. Il corpo scala laterale conduceva<br />
al primo piano attraverso un piccolo terrazzo. Palazzo Basetti e Palazzo<br />
quirici (1924) rappresentano invece la ripresa di elementi della tradizione<br />
ottocentesca. Il secondo progetto è datato al 30 aprile 1919 ma la richiesta<br />
di concessione risale al 1924: trabeazioni, chiavi di volta, bugnati e mètope<br />
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Relazione tecnica/ Architetti<br />
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sono elementi che costituiscono la facciata, di cui esiste una versione con<br />
ingresso centrato e una con ingresso laterale. In collaborazione con Gino<br />
Robuschi, il progetto per casa Capra su viale Campanini, riprende l’impianto<br />
planimetrico del villino urbano con corridoio in asse con l’ingresso centrale<br />
e di distribuzione alla scala e alle stanze laterali. <strong>La</strong> facciata ricorda casa<br />
Levrieri, progettata da Albertelli in viale dei Mille n. 138, che doveva sorgere<br />
sullo stesso lotto dove venne più tardi realizzato il progetto di Camillo Uccelli,<br />
ma ricorda anche villa Fietta di Tomasi e Gipperich. Le tavole di progetto<br />
che dettagliatamente descrivono Villa Artoni sono datate al 19 maggio<br />
1924. Le soluzioni decorative tardo-eclettiche esterne coesistono insieme<br />
a soluzioni spaziali e distributive interne ormai tipiche della villa urbana del<br />
primo Novecento: per esempio l’opus incertum del piano terra, le lesene<br />
e il bugnato del primo piano, le mensole del sottocornicione, insieme alle<br />
diversifi cate cornici e archi ricurvi delle fi nestre e alle colonne con capitelli<br />
corinzi, su cui appoggia il terrazzo semicircolare di facciata, sono contrapposti<br />
agli spazi interni che si distribuiscono attorno allo scalone centrale<br />
con lucernaio in metallo e vetro. Villa sambataro a Fontanellato, realizzata<br />
nel 1925 con la collaborazione del geometra Pastorini, è collocata in via<br />
al Priorato, vicino alle scuole pubbliche progettate dall’architetto Fortunato<br />
Morestori. Riprende la stessa distribuzione in pianta di casa Capra a Parma,<br />
pur con alcune varianti nei due laterali accessi al giardino. I fronti ricordano<br />
Villa Saccani, nel trattamento diversifi cato delle superfi ci riquadrate al primo<br />
piano, e in parte Villa Battioni, nel corpo aggettante di facciata. <strong>La</strong> lunga<br />
attività del Leoni nella costruzione di ville e villette nell’arco di oltre un trentennio<br />
permette di cogliere i caratteri salienti della sua architettura, che, pur<br />
adeguandosi al mutare dei tempi, porta sempre il segno di una coerenza<br />
fondamentale e l’impronta di una feconda fantasia, che rappresentò in ogni<br />
tempo la sua dote peculiare. Se villa Barilli fu progettata nel rispetto della più<br />
castigata linearità secondo gli schemi di Ernesto Basile, villa Leoni, costruita<br />
nello stesso anno, presenta un più profondo linguaggio decorativo, ispirato<br />
a certi motivi proposti daOlbrich nel momento più coerente della Seccessione<br />
viennese. Nel settore funerario le opere fi rmate dal Leoni al cimitero <strong>La</strong><br />
<strong>Villetta</strong> di Parma sono tra le poche che contribuiscono a dare un signifi cato<br />
alla disarmonia del complesso. Sono le cappelle delle famiglie Leoni (1920),<br />
Bormioli (1924), Romanini (1929), Chiari (1934) e Tanzi (1939). In provincia<br />
sono da ricordare le cappelle Bettati (1948) e Azzali (1949), a Marore,<br />
Crescini (1950), a Fontanellato, Magnani (1952) a Roccabianca, e Medioli<br />
(1953), a Valera. Confrontandole con gli altri edifi ci realizzati dal Leoni, si<br />
colgono i vari aspetti della sua versatilità professionale, che fu tanto grande<br />
da permettergli di invadere il campo di pertinenza degli ingegneri, a quel<br />
tempo rigidamente chiuso. Il Leoni fu il primo architetto di Parma che, consapevole<br />
della sua preparazione, non accettò limiti alla sua azione di progettista.<br />
Sotto questo aspetto sono da ricordare il complesso industriale Caselli<br />
(1925), in via Emilia Est, il mulino Figna (1927), a Valera, lo stabilimento<br />
Cavazzini (1946), in viale Fratti, palazzo Gelmini (1950-1957), in piazzale<br />
Santa Croce, le offi cine Gelmini (1950-1960), in via Ferrari, le succursali<br />
della Banca Agraria a Fontanellato e a Soragna (1920-1923), la sistemazione<br />
di viale Verdi (1932) e l’ampliamento dell’orfanotrofi o femminile Meli-Lupi<br />
(1933), a Soragna, il complesso colonico Chiari (1944-1945), a Madregolo,<br />
e lo stabilimento Alinovi (1944), a Sala Baganza.<br />
FONTI E BIBL.: G.Capelli,Architetti del primo Novecento, 1975, 153-156; Gli anni del Liberty,<br />
1993, 107-108.<br />
MANCINI GIAN GIUSEPPE<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Pietrasanta 26 aprile 1881-Milano o Parma 1954<br />
Nel 1902 si diplomò in disegno architettonico nell’Istituto di Belle Arti di<br />
Roma.Partecipò a vari concorsi d’architettura nazionali e internazionali (Palazzo<br />
della Pace dell’Aja), ottenendo premi e menzioni. Nel 1904 ottenne<br />
il pensionato artistico nazionale e premi in esposizioni a Parigi (1904), Milano<br />
(1906) e Roma (1911) e, tra altri, nel concorso per il monumento al<br />
fante sul San Michele.Dal 1912 insegnò nell’Istituto di Belle Arti di Parma.<br />
I suoi progetti architettonici degli anni Dieci, traendo spunto dalla lezione<br />
della Wagnerschule, si proiettano verso esiti di monumentalità fantastica di<br />
forte accentuazione scenografi ca.Dopo la prima guerra mondiale progettò e<br />
costruì per l’amico drammaturgo Sem Benelli la villa-castello di Zoagli, ove,<br />
attraverso l’esperienza delle sue prime composizioni esuberanti di fantasia<br />
ed eclettiche, l’arte del Manciniappare matura.Operò contemporaneamente<br />
in altri rami delle arti fi gurative e si ricordano le sue fantasiose scene per<br />
L’amore dei tre Re e per l’Excelsior alla Scala di Milano (1915).Nella scultura,<br />
è opera del Mancini la tomba monumentale per il maestro Campanini<br />
nel cimitero di Parma. Tra i suoi saggi nel campo dell’illustrazione del libro si<br />
ricordano <strong>La</strong> Festa del grano di F.Salvatori (1909) e Rosamunda di S.Benelli<br />
(1912), i cui disegni manifestano echi secessionisti.Nel 1930 fu chiamato a<br />
ricoprire la cattedra di composizione architettonica prima all’Accademia di<br />
Brera e poi nel Politecnico di Milano.<br />
FONTI E BIBL.: A.Gantier, Le salon, in Architecture 22, 1904; M.<strong>La</strong>go, G.Mancini, in <strong>La</strong> Tribuna<br />
9 dicembre 1909; L.<strong>La</strong>go, L’architettura di G.Mancini, Milano, 1909; Enciclopedia Italiana,<br />
Appendice I, 1938, 816; B.Molossi, Dizionario biografi co, 1957, 90; Dizionario degli Illustratori,<br />
1990, II, 32 e 41.<br />
MONGUIDI MARIO<br />
Corniglio 1896-Parma 18 agosto 1960<br />
Il Monguidi frequentò l’Istituto di Belle Arti di Parma, dove fu allievo di Giuseppe<br />
Mancini nella sezione di Architettura.Scoppiata la prima guerra mondiale,<br />
interruppe gli studi per arruolarsi come volontario (1915) e al fronte<br />
compì azioni belliche valorose, meritando una medaglia di bronzo e una<br />
croce al merito.Ritornò a Parma a guerra fi nita, dopo un lungo periodo di prigionia,<br />
e a venticinque anni conseguì brillantemente il diploma in Architettura<br />
(1921).L’attività del Monguidi trovò ben presto il suo centro di interesse: la<br />
realizzazione di opere celebrative.Nel 1923 costruì il monumento ai Caduti e<br />
il monumentale ingresso del cimitero di Vigatto e il monumento ai Caduti di<br />
Roncole di Busseto e nel 1926 il monumento ai Caduti di San Polo di Torrile.<br />
quest’ultima opera è costituita da quattro cuspidi che portano incisi i nomi<br />
dei caduti, quattro ali riunite da quattro spade o croci, ravvivate dall’effetto<br />
policromo del basamento e dei proiettili di bigio scuro di Zandobbio, dal<br />
marmo bianco e rosa delle ali, dal bronzo delle spade e dalle decorazioni a<br />
mosaico. Ma la grande occasione di realizzare un’opera di tale genere nel<br />
centro storico di Parma gli si presentò quando ebbe l’incarico di progettare il<br />
monumento a Filippo Corridoni (1925), in Piazza della Rocchetta.Il Monguidi<br />
si mise al lavoro con accesa passione e ne disegnò non solo la struttura<br />
ma anche tutti i particolari decorativi e la statua dell’eroe, per la quale si<br />
ispirò a una pagina del suo diario di guerra: ma se potrò, cadrò per andare<br />
più avanti.Nella ricca composizione i richiami al liberty, oltre alla statua<br />
bronzea plasmata da Alessandro Marzaroli, sono particolarmente evidenti<br />
nei lunghi altorilievi marmorei che coprono su quattro lati il fusto della colonna,<br />
fi nemente eseguiti in candido botticino e simboleggianti la Povertà,<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
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la Fede, l’Amore e la Vampa, e nel basamento stilizzato, ispirato alla forma<br />
di un calice in fi ore.Se si tiene conto delle preesistenze ambientali e dello<br />
spazio irregolare in leggera pendenza su cui sorge il monumento, risulta<br />
evidente che il Monguidi seppe risolvere egregiamente un diffi cile problema<br />
urbanistico. Il Monguidi diede il suo contributo anche al settore residenziale.<br />
Il suo miglior lavoro nel settore è villa Vitali (1924-1925), all’angolo di viale<br />
Toscanini e via al ponte Caprazucca, a Parma, in cui elementi medioevali si<br />
fondono con raffi nati motivi dell’ultima stagione secessionista. Interessante,<br />
nell’impianto planivolumetrico, la sciolta libertà distributiva delle masse<br />
murarie, ruotanti intorno alla torre centrale, concepita come belvedere aperto<br />
sul torrente. È da ricordre anche palazzo Alessandri (1940), in piazzale<br />
Boito, che, costruito sotto la suggestione dei modelli del Piacentini, ricalca<br />
gli schemi di un neoclassico di maniera, artifi ciosamente modernizzato. L’ultima<br />
sua opera fu la trasformazione della facciata della torre di San Paolo in<br />
monumento ai Caduti di Tutte le Guerre (1961), dove si mescolano a diversi<br />
livelli statue, pannelli, lapidi, medaglioni marmorei in marmo e in bronzo, con<br />
una distribuzione suggerita dalle incassature murarie dell’antico campanile.<br />
contemporaneamente alla realizzazione di queste opere maggiori, il Monguidi<br />
compì studi di architettura funeraria costruendo, nel cimitero di Parma,<br />
il cenotafi o ai Caduti della società di Mutuo Soccorso Pietro Cocconi (1922)<br />
e numerose edicole funerarie, come quelle per le famiglie Gardella (1923),<br />
Dall’Aglio-zanzucchi (1924), Merli, Pizzorni e Camorali (1954), e in provincia<br />
le cappelle Bo a traversetolo (1925) e Carrara-Verdi a Busseto (1930).In tutti<br />
questi lavori, ispirati di preferenza al movimento secessionista, il Monguidi,<br />
pur costretto a operare entro limiti angusti, mise in evidenza una fantasia<br />
esuberante, infl uenzando con la sua visione artistica anche i suoi collaboratori,<br />
incaricati della parte scultorea dei monumenti, come Cacciani e Brozzi.<br />
Del Monguidi rimangono anche numerosi disegni di progetti non realizzati,<br />
che documentano e mettono in evidenza un estroso e fecondo talento creativo.<br />
FONTI E BIBL.: G.Capelli, Architetti del primo Novecento, 1975, 175-176; Gli anni del Liberty,<br />
1993, 118.<br />
MORA ENNIO<br />
Parma 2 febbraio 1885-Parma 26 dicembre 1968<br />
Frequento l’Accademia di Belle Arti di Parma (allievo di Edoardo Collamarini)<br />
dal 1897 al 1907.Il Mora collezionò, ancora prima del diploma, una lunga<br />
serie di encomi da parte del direttore dell’Istituto di Belle Arti Cecrope Barilli.<br />
Suoi disegni furono mandati dall’istituto di Belle Arti di Parma a Roma presso<br />
il Ministero, in occasione dell’Esposizione di Bruxelles.Non si sa di quali<br />
opere si trattasse, ma quasi con certezza Edoardo Collamarini scelse quei<br />
lavori realizzati nel corso della formazione accademica, visto che all’appuntamento<br />
belga dovevano essere esposti, dopo accurata selezione, i disegni<br />
degli allievi degli Istituti di Belle Arti.Forse vennero esposte proprio quelle<br />
tavole curatissime che si trovano nell’archivio privato Mora e che riguardano<br />
il progetto per Palazzo ad uso serra del Concorso Rizzardi-Polini.Conseguì<br />
infi ne il titolo di professore di disegno architettonico.Prima di iniziare la professione,<br />
il Mora frequentò a Milano un corso presso la Società Scenografi<br />
del Teatro alla Scala (1906), dimostrando attitudine non comune in special<br />
modo per ciò che riguarda la parte architettonica e prospettica dell’arte scenografi<br />
ca, come ebbe a dichiarare il maestro del corso, Vittorio Rota, uno<br />
dei più prestigiosi artisti della scena.Il primo progetto fi rmato dal Mora ri-<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
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guardò un edifi cio conosciuto col nome di Palazzo Podestà (1908), situato<br />
all’angolo di via Cavour e borgo Angelo Mazza.Semidistrutto durante l’ultimo<br />
confl itto e in seguito demolito, presentava quei caratteri classicheggianti che<br />
nulla concedono alle tentazioni fl oreali.Sulla facciata dimensionata dal modulo<br />
delle fi nestre con timpano correva un balcone sorretto da mensole e a<br />
pian terreno si aprivano sulla strada quattro occhi di bottega.Per esattezza<br />
di volume sobrietà di motivi decorativi e chiarezza formale, l’edifi cio si integrava<br />
esemplarmente nell’arteria centrale di Parma. Portato a termine questo<br />
impegnativo e apprezzato lavoro, il Mora rielaborò palazzo Malpeli<br />
(1910), una costruzione cinque-seicentesca con cortile interno, posta di<br />
fronte all’edifi cio della Corte d’Assise.Sfruttati maggiormente gli spazi interni,<br />
l’esterno venne rivestito con timidi rilievi a stucco e riquadrature geometrizzate<br />
di gusto secessionnista, allineate lungo le fasce marcapiano sopra<br />
e sotto le altissime fi nestre abbinate.Nella realizzazione di villa Manfredi<br />
(1912), oltre i limiti orientali del centro storico, il Mora dimostrò un’aperta<br />
seppur meditata vocazione per l’Art Nouveau: un edifi cio strutturalmente<br />
sobrio, impreziosito da una scala d’ingresso e da un balcone con ringhiere<br />
in ferro battuto tra i più eleganti e i più caratteristici di tutto il repertorio Liberty,<br />
non soltanto nazionale.A questi elementi, svincolati da ogni rigore simmetrico,<br />
fanno da contrappunto decorativo i delicati rilievi plastici delle fi nestre.<br />
Nonostante il fortunato inizio dell’attività professionale, il Mora, incline per<br />
temperamento ai gesti decisi, affrontò nel 1912 un lungo viaggio in mare<br />
verso Buenos Aires, convinto di potersi affermare in quel lontano paese con<br />
la sola forza del suo ingegno.Le speranze non andarono deluse e, pur senza<br />
mezzi e senza appoggi, nel giro di pochi mesi ottenne un incarico importante:<br />
l’insegnamento della prospettiva nell’Istituto di Belle Arti della capitale<br />
argentina.Per il Mora, che già aveva fatto parlare di sé nelle riviste artistiche,<br />
si aprì una carriera densa di promesse.Oltre ad affermarsi nell’insegnamento,<br />
riuscì a progettare importanti edifi ci in diverse zone della città. Tenuto in<br />
grande considerazione, venne spesso invitato a presenziare a manifestazioni<br />
artistiche e culturali di alto livello.Intanto la vicenda politica europea precipitò<br />
improvvisamente con lo scoppio della prima guerrra mondiale.Il Mora,<br />
rimasto sempre idealmente legato alla sua patria, pur avendo un avvenire<br />
sicuro in Argentina, s’imbarcò sul primo piroscafo per l’Italia e, raggiuntala,<br />
corse ad arruolarsi.Ritornato nella città natale alla fi ne della guerra, il Mora,<br />
con volontà tenace accompagnata da una preparazione esemplare, riuscì a<br />
colmare il vuoto della lunga parentesi di inattività. Riprese il lavoro con rinnovato<br />
entusiasmo, riallacciando i rapporti professionali a lungo interrotti:<br />
costruì palazzo Amoretti (1920), in via Trento, e casa Peracchi (1920), in via<br />
Mazzini, e successivamente villa Rossi-Gasparri (1923), in viale Campanini.<br />
Si aprì proprio allora per Parma un decennio (1916-1926) di intensa attività<br />
edilizia, specialmente nel settore residenziale.I viali periferici, soprattutto<br />
quelli a sud della città, si andarono popolando di case unifamiliari, circondate<br />
da aree coltivate a giardino. Molte di queste portarono la fi rma del Mora:<br />
tra le altre, villa Rampini, in viale Solferino, villa Scotti e villa Razzaboni,<br />
sullo Stradone, portate a termine nel triennio 1919-1921.Queste costruzioni<br />
portano il segno di quella mentalità piccolo-borghese che richiedeva ai costruttori<br />
una casa, anche modesta, ma dominata dalla presenza di una torre,<br />
considerata, secondo la tradizione medioevale, elemento distintivo di classe.<br />
Da segnalare, anche per l’esistenza di almeno tre varianti di progetto, di<br />
cui la seconda attuata, la villa realizzata per il costruttore Masini, treapiazzale<br />
XXV aprile e viale Berenini.Le prime due versioni risalgono al febbraioaprile<br />
del 1916 e al maggio dello stesso anno. <strong>La</strong> terza versione risale all’aprile<br />
1919.<strong>La</strong> pianta esprime chiaramente l’impostazione della villa urbana<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
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di inizio Novecento, dove le stanze a spigoli smussati girano attorno alla hall<br />
sovrastata dal lucernaio e si interrompono per fare spazio a un corpo scala,<br />
a un giardino ritagliato e a una torretta.Sui prospetti i balconcini ricurvi, le<br />
bifore ad arco a sesto acuto, la trifora della torretta e i cartigli decorati dei<br />
sottogronda, il diverso trattamento delle superfi ci, a bugnato, a mattoni visti<br />
e a intonaco di cemento bocciardato, sono elementi tipici della villa urbana<br />
borghese.Villa Saccani riprende la stessa struttura compositiva dei fronti di<br />
casa Moraschi di Alfredo Porvinciali: stesse membrature a spigoli ricurvi e in<br />
altorilievo, che rigiravano con continuità attorno alle fi nestre, stessa diversità<br />
di trattamento delle superfi ci della facciata.Situata tra via Emilia est e via<br />
Bottesini, si sviluppava come lungo corpo rettangolare, dove l’andito distribuiva<br />
longitudinalmente le stanze della casa.<strong>La</strong> facciata era tripartita in una<br />
parte centrale più alta di un piano e in due laterali simmetriche.Al 1920 risale<br />
il progetto di Palazzo Zanchi, all’angolo di viale P.M.Rossi e via Emilia est,<br />
con pianta a L e corpo scala in angolo.Non si sa se realmente l’opera realizzata<br />
si debba attribuire al Mora oppure al Maffei, al Tomasi o al Chiavelli, dei<br />
quali si sono rinvenuti i rispettivi progetti per lo stesso lotto e commissionati<br />
dallo stesso costruttore Pietro Zanchi.Villa Soncini-Gabbi risale al 1923.<br />
Casa Trombini (1924), situata tra borgo <strong>La</strong>latta e via Salimbene, contiene<br />
elementi nuovi rispetto alle precedenti, come le decorazioni a graffi to della<br />
fascia marcapiano e sovrastanti le fi nestre del piano terra. Poco dopo il Mora<br />
ebbe l’incarico di studiare il progetto in stile del campanile della chiesa di<br />
Collecchio (1922).Il campanile sorse in un lungo arco di tempo, ispirato a<br />
quello del Duomo di Parma, come si rileva dai motivi decorativi, dalle riquadrature,<br />
dalle bifore e trifore, dalla balaustra terminale dominata da una guglia<br />
piramidale sormontata da una statua bronzea del Redentore. Nel 1923<br />
il Mora ottenne l’incarico di progettare il palazzo della Camera di Commercio,<br />
affi ancato, per la risoluzione dei problemi tecnici, dall’ingegnere Alfredo<br />
Provinciali.L’imponente blocco sorse in un punto vitale del centro storico:<br />
l’area delimitata da via Cavestro, via Università, piazzale Bernieri e la sede<br />
dell’UPIM, a pochi passi dalla chiesa romanica di Sant’Andrea e di fronte<br />
alla facciata barocca di San Rocco.Un grande atrio con colonne immette<br />
nella sala degli sportelli e, separata da questa, un’elegantissima scala a<br />
quattro rampe conduce ai piani superiori, dove si sviluppano, con razionale<br />
distribuzione, gli ambienti a uso di rappresentanza.All’esterno, nelle larghe<br />
facciate, vengono riproposti, con più ampio respiro e più minuto studio dei<br />
particolari, i vari elementi architettonici e decorativi già introdotti in palazzo<br />
Podestà.Grandi riquadrature rettangolari girano intorno all’edifi cio sotto la<br />
forte sporgenza del cornicione, che attenua con la sua ombra le tinte un<br />
tempo vivissime degli affreschi di Poolo Baratta, illustranti l’allegoria del<br />
commercio.Altri affreschi, opera di Daniele de Strobel e di Enrico Bonaretti,<br />
impreziosiscono le sale interne, assieme agli stucchi di Giuseppe Carmignani.In<br />
questo notevole complesso tutto si fonde e si lega con un equilibrato<br />
gioco di vuoti e di pieni e tale armonia di proporzioni, unita alla perfetta impostazione<br />
volumetrica, stabilisce un rapporto con la logica costruttiva e<br />
urbanistica degli edifi ci circostanti.Particolare interesse riveste il progetto,<br />
studiato poco dopo dal Mora, per la decorazione architettonica esterna laterale<br />
della chiesa di Sant’Alessandro, il quale fu scelto tra i tanti presentati in<br />
seguito a un pubblico concorso.Il progetto porta anche la fi rma di Atanasio<br />
Soldati: fu forse l’unico lavoro architettonico di questo artista, che attraverso<br />
l’astrattismo geometrico riuscì più tardi a raggiungere la celebrità.Alcuni<br />
anni dopo il Mora realizzò altre costruzioni di tipo residenziale, dalle quali già<br />
affi ora una certa sensibilità razionalista: palazzo Negri (1934), in borgo Paggeria,<br />
e palazzo Merli (1935), di fronte al cinema Orfeo. All’avvicinarsi degli<br />
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PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
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anni Quaranta, quando ormai gli architetti del primo Novecento cominciavano<br />
a essere considerati dei decadenti, il Mora accettò l’incarico di costruire<br />
palazzo Medioli (1938), la prima casa alta di Parma.L’edifi cio, coi suoi<br />
otto piani fuori terra, costituisce un blocco di notevole volume, che domina<br />
la sottostante piazza Ghiaia.contrariamente alle scelte di molti suoi colleghi,<br />
il Mora seppe coraggiosamente abbandonare le idee della prima giovinezza<br />
progettando un edifi cio in linea coi tempi, condizionati dall’uso di certi materiali<br />
imposti dal mercato autarchico e dal gusto del Novecentismo imperante.<br />
<strong>La</strong> mascheratura delle facciate con lastre di travertino romano intercalate da<br />
striscie di cotto novo si uniforma ai metodi costruttivi del tempo.Questo palazzo,<br />
più criticato che discusso, servì da modello, proprio come fatto estetico,<br />
a edifi ci di successiva realizzazione.<strong>La</strong> scelta del Mora fu irreversibile e<br />
le numerose costruzioni che seguirono sino agli anni Sessanta non ebbero<br />
più nulla in comune con quelle realizzate nel primo quarto di secolo.Particolare<br />
signifi cato rivestono le case popolari in via Milazzo (1938), palazzo<br />
Mantovani (1952), alla fi ne di via Garibaldi, e il condominio dei dipendenti<br />
della Cassa di Risparmio.Tra le opere minori del Mora vanno ricordate, a<br />
Parma le cappelle funerarie della famiglia <strong>La</strong>gazzi (1919), Corazza (1925),<br />
Carrega Bertolini (1931), Pizzetti Braibanti (1945), Ferri (1951), Mordacci<br />
(1954) e Scotti (1952), il monumento ai Caduti di Soragna (1923), casa Tarasconi<br />
a Sala Baganza (1925), villa Montagna a Collecchio, l’asilo infantile<br />
di Traversetolo (1960), una chiesa parrocchiale a Marina di Massa (1933),<br />
la chiesa del Sacro Cuore di Parma (1937), la Casa dello Studente e il progetto<br />
della Casa Littoria di C.Ciano a Neviano degli Arduini.Dopo la guerra,<br />
diverse sue opere del primo periodo di attività vennero demolite, cosicché,<br />
negli ultimi anni di vita, il Mora ebbe a temere di veder distrutta l’intera sua<br />
opera.<strong>La</strong>voratore di solidissima tempra, il Mora frequentò i cantieri sino agli<br />
ultimi mesi di vita.Si spense ottantatreenne, a pochi giorni di distanza dalla<br />
scomparsa della moglie, ancora laborioso e vitale e più che mai interessato<br />
ai problemi architettonici e urbanistici della sua città.I numerosi disegni<br />
conservati dalla famiglia documentano l’inesauribile fantasia del Mora, che,<br />
in virtù di una vasta cultura, seppe autorevolmente inserirsi, con intuito nuovo,<br />
nella corrente novecentista più avanzata.Il Mora, oltre all’architettura,<br />
coltivò sempre in parallelo la pittura.Cominciando a dedicarsi all’acquerello<br />
nei primissimi anni del XX secolo, cioè quando era poco più che un ragazzo,<br />
risentì soprattutto degli studi tecnici che andava compiendo.Così il suo<br />
primo acquerello fu uno Studio di scenografi a (1901), debitore, inevitabilmente,<br />
di quel gusto eclettico dai prevalenti connotati tardoromantici che in<br />
campo teatrale conobbe una lunga durata. L’opera rileva però anche una<br />
marcata propensione per l’aspetto architettonico, esibendo un ricco repertorio<br />
di strutture a volta, colonne e capitelli, mensole, balaustre, architravi e<br />
scalinate, quasi che l’intento del Mora fosse quello di dimostrare lo stato di<br />
avanzamento dei suoi studi.Negli anni successivi l’interesse per l’aspetto<br />
scenografi co non venne meno ma si modernizzò, contando non tanto sulle<br />
risorse del teatro quanto su quelle del cinema, la nuova arte che proprio in<br />
quel periodo compiva progressi decisi, conquistando il favore del pubblico<br />
e di certi intellettuali e sviluppando le proprie tecniche .L’Interno di Basilica<br />
del 1909 e l’Ingresso di Basilica con leoni stilofori del 1911 sembrano difatti<br />
essere collegati, nel loro impianto grandioso e per modalità delle visione,<br />
a scene di un fi lm. In particolare, nell’interno di Basilica la rievocazione del<br />
tempio ravennate, con l’incanto dei mosaici e degli intarsi marmorei, acquista<br />
sapore per la presenza di ministri del culto resi con un taglio appunto<br />
cinematografi co. Agganci con le soluzioni di certi fotografi dimostra invece lo<br />
splendido acquerello I leoni del Duomo, del 1905, in cui la solita precisione<br />
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Relazione tecnica/ Architetti<br />
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dei particolari architettonici si accompagna alla rievocazione di un momento<br />
nelle giornate della piazza del Duomo: il Mora offre un’inedita veduta di<br />
Parma nella fusione tra un emblema visivo della città e un tratto di fl agrante<br />
modernità, di suggestione liberty. L’opera più interessante è forse però <strong>La</strong><br />
cella campanaria del Duomo di Parma, del 1911. Qui il Mora rinuncia al gusto,<br />
che pure possedeva in misura rilevante, per le rievocazioni storiche, per<br />
privilegiare invece l’osservazione minuziosa dell’insolito ambiente e soprattutto<br />
degli ingranaggi delle campane, così complessi da legittimare la lettura<br />
del luogo, di fatto dominato da tecniche sapienti e antiche, come un antro<br />
un po’ piranesiano o alla Victor Hugo medievalista. Nei decenni successivi<br />
il Mora si dedicò soprattutto alla pratica architettonica. Ma in tarda età, almeno<br />
a partire dagli anni Cinquanta, ritornò a quella sua giovanile passione<br />
per l’acquerello, svincolandola, ancora una volta, dalle esigenze del suo mestiere.<br />
Non che fosse venuto meno l’interesse per l’architettura, ché anzi la<br />
maggior parte di queste opere tarde riproducono con bella evidenza edifi ci<br />
monumentali della città di Parma, anche gli stessi visti in differenti stagioni e<br />
condizioni di luce, con quella medesima attenzione per i particolari che aveva<br />
contraddistinto gli esordi.Colpiscono maggiormente, però, gli acquerelli<br />
ispirati al paesaggio, alla natura o anche a qualche veduta di anonimi scorci<br />
cittadini. È come se il Mora, dopo tanta familiarità con le opere dell’uomo,<br />
avesse sentito il bisogno di ritrovare un rapporto più diretto con le cose e di<br />
rifugiarsi nella pace della natura.Ecco, quindi, la Chiesa del Quartiere (1964),<br />
San Sepolcro (1967), il Campanile di Sant’Alessandro (1966) e Vicolo del<br />
Vescovado (1967).Nei paesaggi, invece, amò giocare di più sulle contrapposizioni<br />
di colore, come in quei Panni stesi del 1967 o nel Bosco (1965), dove<br />
le tessere cromatiche paiono mosaici illuminati dal sole.L’approdo del Mora<br />
giunse a un naturalismo quieto, con la luce che fi ltra attraverso la tessitura<br />
vegetativa degli alberi (Gianni Cavazzini), un naturalismo però mai banale<br />
e scontato. Il Mora ottantatreenne poté perfi no, nell’acquerello dal titolo Il<br />
ciliegio, rinunciare a una resa eccessivamente fotografi ca per esaltare la<br />
pura valenza decorativa, ai limiti dell’astrazione: un’altra, defi nitiva prova<br />
della freschezza e della modernità della sua ispirazione.<br />
FONTI E BIBL.: G.Capelli, Architetti del primo Novecento, 1975, 127-131; Gli anni del Liberty,<br />
1993, 120-122; Gazzetta di Parma 19 aprile 1997, 5, e 8 maggio 1997, 5.<br />
UCCELLI CAMILLO<br />
Parma 15 novembre 1874-1942<br />
Diplomato appena ventenne all’Istituto di Belle Arti di Parma (fu allievo di<br />
Edoardo Collamarini), formasse la sua cultura collegandosi ai presupposti<br />
del movimento romantico e fece la sua scelta stilistica orientandosi chiaramente<br />
verso il Neogotico. Nessun altro architetto parmigiano si sento attratto,<br />
se non sporadicamente, da tale corrente artistica e pertanto l’Uccelli rimase<br />
l’unico convinto interprete di questo revival di medioevo. Per quanto Å<br />
dato sapere, almeno due elementi fondamentali della sua formazione giovanile<br />
contribuiscono a chiarire la sua posizione artistica e culturale: un grande<br />
interesse per la civiltà inglese e una rigorosa fede cristiana, a cui si aggiunse<br />
una profonda ammirazione per i monumenti dell’arte romanica e gotica parmense.<br />
Il suo interesse fu rivolto, fi n dalla prima giovinezza, ai movimenti<br />
politici, artistici e sociali d’Oltremanica, cioè di quell’ area culturale dalla quale<br />
provenivano, riproposti in chiave romantica, i motivi della civiltà medioevale:<br />
fervore religioso, rispetto delle tradizioni e impegno morale, dei quali il<br />
189
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
Neogotico rappresentasse l’espressione artistica. Dopo aver analizzato e<br />
studiato criticamente le maggiori realizzazioni del Gotico europeo, confrontandole<br />
con quelle riproposte in tempi più recenti, l’Uccelli impostasse il suo<br />
modello costruttivo, non distratto ne ha infl uenzato dalle altre correnti stilistiche<br />
del tempo. Ma l’attività costruttiva dell’Uccelli non fu immediata e rimase<br />
per qualche tempo limitata a opere minori per la scarsa presa che ebbero le<br />
sue tendenze sulla clientela, orientata a scelte di ben altro contenuto stilistico,<br />
sempre attratta dagli schemi eclettici e dalle ultime vampate del Liberty.<br />
L’esordio professionale avvenne nel 1905 con due edifi ci di civile abitazione<br />
fuori barriera Garibaldi a Parma, casa Moruzzi e palazzo Marchi. Sempre<br />
per la proprietà Marchi progettasse nel 1909 con il fratello ingegnere Giovanni<br />
un’abitazione civile annessa all’ampliamento della fabbrica di cemento,<br />
fuori Barriera Bixio. Il 1910 lo vide impegnato in numerosi interventi, tra i<br />
quali un laboratorio industriale in via Mulini Bassi, il sovralzo di casa Balestra<br />
in borgo Poi, la decorazione esterna e l’ampliamento di alcune botteghe<br />
nel centro storico e soprattutto l’edifi cio di civile abitazione di Egidio Ferrari<br />
in via Spezia e il sovralzo e la sistemazione interna di casa Saccassi in borgo<br />
Parmigianino 5. L’interessante casa Bonini in via Trento venne progettata<br />
nel 1912. Negli anni successivi fi rmasse alcune tra le sue opere maggiori: il<br />
rifacimento della facciata della chiesa Evangelica in borgo Tommasini<br />
(1913), il Salone espositivo in borgo Santa Brigida (1915), il restauro della<br />
facciata di casa Calzolari in via Cavour (1915), di cui reinterpretasse l’apparato<br />
decorativo in chiave neorinascimentale, e la villa di Giovanni Marchi in<br />
via Solferino. Una lunga serie di interventi tra restauri e piccoli fabbricati<br />
produttivi lo videro impegnato negli anni tra il 1917 e il 1920, anno in cui<br />
realizzasse il sovralzo interno dello storico palazzo medievale di proprietà<br />
Tirelli in borgo San Vitale. Nei primi anni Venti si cimentasse in quello che<br />
era un tema obbligato per i progettisti locali e nazionali: il villino urbano.<br />
Villino Bertoni in via Spezia Å del 1921, coso anche in via Spezia Å villino<br />
Nicoli, progettato nel 1922, Villa Molinari e Bandini venne realizzata sull’area<br />
dell’ex Foro-Boario nei pressi della Stazione ferroviaria, casa Grossi<br />
del 1922 Å in viale dei Mille. Sempre nello stesso anno progetts sull’area di<br />
proprietl Biraghi, tra lo Stradone e via XXII Luglio, una villa urbana su due<br />
piani (il progetto non venne realizzato). Nel 1923 realizzasse palazzo Grassi<br />
in viale Solferino, edifi cio di grande pregio, in cui l’esercitazione stilistica<br />
raggiunge un notevole equilibrio compositivo, e palazzo Marchi su viale San<br />
Martino. Tra il 1925 e il 1931 realizzasse due edifi ci di civile abitazione in<br />
viale Tanara e in via Spezia, l’abitazione, con annesso magazzino, in via<br />
Guicciardini, nel lotto retrostante palazzo Grassi, villa Marchi su via Solferino<br />
(1929) e l’essiccatoio per la fabbrica Barilla su via Veneto (1930). Seguirono<br />
due opere minori, le cappelle Grassi (1927) e Milza (1928). In queste<br />
due opere Å chiaramente visibile il metodo operativo dell’Uccelli per quanto<br />
riguarda le scelte stilistiche, l’impiego dei materiali e la scrupolosa diligenza<br />
esecutiva. Ma la fortuna professionale dell’Uccelli iniziasse con un’opera<br />
lungamente attesa: l’edifi cazione della chiesa di San Leonardo (1928-1931).<br />
L’area per l’edifi cio era ai margini settentrionali della città di Parma, dove<br />
prima sorgeva una chiesa costruita dai monaci di San Martino dei Bocci.<br />
Mentre a Parma il Liberty aveva ormai esaurito tutto il suo repertorio espressivo<br />
e alcuni architetti proponevano le prime soluzioni razionali, l’Uccelli gettasse<br />
le fondamenta del costruendo edifi cio. <strong>La</strong> nuova chiesa, a tre navate,<br />
con l’asse in direzione Ovest-Est, affacciata sulla strada Parma-Colorno,<br />
mescola in pianta e in alzato elementi strutturali e decorativi gotici e bizantini.<br />
L’ampia facciata in mattone faccia a vista, movimentata dalla forte sporgenza<br />
di lesene, da decorazioni cementizie e da trifore dimensionate sul<br />
190
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica/ Architetti<br />
_______________________________________________________________________________________________________<br />
modulo delle navate, Å interrotta in basso dal profondo pronao, ingentilito da<br />
una serie di archi sorretti da esili colonne. Lo spazio interno a forma di anfi -<br />
teatro, monumentalizzato dal giro curvilineo delle colonne, evidenzia il tentativo<br />
di creare un’atmosfera spettacolarmente mistica. Mentre l’Uccelli stava<br />
ancora costruendo la chiesa, profondendovi tutte le sue energie, la curia<br />
parmense, soddisfatta dell’opera, gli affi dasse un nuovo impegnativo compito:<br />
il progetto del Seminario Vescovile Minore, da erigersi alla fi ne di viale<br />
Solferino su un’area di eccezionale vastità. L’Uccelli, guardando ai modelli<br />
claustrali cistercensi, impostasse il progetto su una struttura muraria sorgente<br />
intorno a uno spazio vuoto, percorsa all’interno da un porticato sostenuto<br />
da pilastri. Venne coso volutamente rievocata l’austera solennità delle<br />
abbazie medioevali e creato il luogo più idoneo per la meditazione e il raccoglimento.<br />
Nell’edifi cio sono ubicati, su tre piani, i numerosi locali: la cappella,<br />
il refettorio, le aule, le celle e i servizi. I motivi strutturali e ornamentali<br />
delle facciate, differenziati secondo l’importanza, sottolineati da cornici<br />
marcapiano in cemento e protetti da uno sporgente ed elaborato cornicione,<br />
formano uno svariato repertorio ma i richiami all’architettura ogivale spiccano<br />
e prevalgono su tutti gli altri. Una lunga striscia di pannellature con motivi<br />
geometrici in cemento corre lungo la parte superiore dell’edifi cio, interrotta<br />
da colonne binate sorreggenti le ampie falde del tetto. Con la<br />
realizzazione di quest’ opera il nome dell’Uccelli varcasse i confi ni della provincia,<br />
tanto che fu chiamato a costruire la chiesa di Castelnuovo Fogliani<br />
(1931-1933), in provincia di Piacenza, dovuta alla munifi cenza del pontefi ce<br />
Pio XI e del cardinale Nasalli Rocca. Nella facciata del tempio, di chiara<br />
ispirazione romanica, domina un grande arco, sottolineato dal degradare di<br />
eleganti strombature, con al centro un rosone marmoreo e al di sotto un<br />
ampio protiro a colonne, con basi e capitelli stilizzati. Maestoso e solenne Å<br />
l’interno, a tre navate, separate da colonne di marmo con altissimi zoccoli e<br />
capitelli in pietra bianca impreziositi da sculture. L’agile campanile, svettante<br />
sul lato destro dell’edifi cio, ripropone i motivi della facciata, ma la parte terminale,<br />
consistente in un tamburo prismatico sormontato da una piramide,<br />
Å di chiara derivazione gotica. Quasi contemporaneamente l’Uccelli realizzasse<br />
la chiesa parrocchiale di Bardi (1932), una costruzione di impianto<br />
romanico a tre navate, i cui portali in pietra bianca contrastano con la calda<br />
tonalità dei mattoni faccia a vista che formano la compatta tessitura della<br />
facciata. Pochi anni dopo sorse, di fronte al Seminario Minore, quasi a confrontarsi<br />
con esso, la solida villa Grassi (1935-1936), costituita da quattro<br />
corpi di fabbrica collegati tra loro. Le facciate, in cui si aprono ampie fi nestre<br />
a trifora giranti in sequenza quasi continua attorno all’edifi cio, richiamano i<br />
motivi stilistici cari all’Uccelli, con elementi decorativi marmorei che interrompono<br />
la continuità del mattone faccia a vista. Coso anche in una costruzione<br />
civile l’Uccelli ripropose la sua ideologia stilistica già sperimentata in<br />
edifi ci religiosi. Con questa realizzazione, che nulla concede ai moderni<br />
orientamenti dell’architettura, l’attività dell’Uccelli si pus considerare conclusa.<br />
FONTI E BIBL.: G.Capelli, Architetti del primo Novecento, 1975, 93-96; G.Capelli, in Gazzetta<br />
di Parma 28 maggio 1989, 3; Gli anni del Liberty, 1993, 142.<br />
191
MATERIALI E TECNOLOGIE COSTRUTTIVE<br />
Introduzione<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Il complesso del cimitero monumentale della <strong>Villetta</strong> risulta<br />
costituito da una serie di fabbriche di dimensione importante<br />
collegate tra loro senza soluzione di continuità, e di una grande<br />
quantità di piccoli manufatti che si sono raccolti all’interno dei<br />
campi.<br />
<strong>La</strong> realizzazione dei manufatti principali di carattere collettivo<br />
copre un arco temporale di circa un secolo, compreso tra il<br />
secondo decennio dell’ottocento, quando fu iniziata la costruzione<br />
dell’Ottagono, e la realizzazione della Galleria Sud-Est alla ne<br />
degli anni venti del secolo scorso, seguita a breve distanza<br />
dalla realizzazione della Galleria Perimetrale a nord, opera di<br />
Moderanno Chiavelli, che conclude la realizzazione della parte<br />
storica del cimitero.<br />
In parallelo, anche se sfalsata di alcuni decenni, procede la<br />
costruzione delle edicole e delle tombe che, alternando fasi di<br />
maggior attività ad altre di relativa stasi, si è protratta sino ai<br />
giorni nostri.<br />
Nella loro varietà tipologica, le architetture collettive del portico<br />
e delle gallerie presentano un campionario signi cativo delle<br />
risposte progettuali a esigenze ancora non completamente<br />
tipizzate nelle quali prevalgono riferimenti stilistici neoclassici<br />
ed eclettici scarsamente innovativi, mentre le edicole e le tombe<br />
offrono una più ricca e suggestiva varietà interpretativa delle<br />
suggestioni formali e simboliche che caratterizzano la ricerca<br />
architettonica in riferimento al monumento funerario.<br />
Particolarmente interessante però, non solo in relazione alla<br />
de nizione di una normativa di conservazione e tutela del<br />
patrimonio architettonico, appare l’articolazione delle tecniche<br />
costruttive e di lavorazione dei materiali, specchio fedele della<br />
ricerca tecnologica che caratterizza il periodo della costruzione<br />
nel quale si passa dalla tecnica muraria tradizionale, in laterizio,<br />
a strutture miste nelle quali compare l’uso del calcestruzzo<br />
armato, che nei primi decenni del ‘900 era imposto solo per le<br />
strutture delle sepolture ipogee.<br />
Anche gli archi del portico, costruiti sul modello di un progetto<br />
192
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
unitario dal punto di vista formale, ma realizzati tra il 1817 e<br />
il 1868, non sono identici dal punto di vista costruttivo, nella<br />
modalità di realizzazione delle volte a vela, irrigidite da archi<br />
trasversali che non hanno la stessa geometria e incatenate.<br />
Queste differenze costruttive sono state evidenziate da un<br />
sopralluogo nei sottotetti e dalla relativa documentazione<br />
fotogra ca, e potrebbero essere messe in relazione, con ulteriori<br />
rilievi, con le manifestazioni di dissesto nelle strutture voltate,<br />
che presentano distacchi e abbassamenti. Bisogna dire che i<br />
dissesti del portico, in generale, devono essere ricondotti anche<br />
continuità costruttiva delle strutture, sulle quali si sono in seguito<br />
attestate le gallerie, senza giunti tra le diverse architetture.<br />
Strutture murarie completamente in laterizio, con volte molto sottili<br />
come nella consuetudine ottocentesca, caratterizzano la prima<br />
delle due gallerie cruciformi progettate da Sante Bergamaschi<br />
alla metà dell’800 e costruita nei decenni successivi. <strong>La</strong> seconda,<br />
realizzata nei primi anni del ‘900 appare invece più innovativa: la<br />
struttura autoportante degli avelli costruiti nello spessore dei muri<br />
è realizzata in lastre monolitiche di pietra (biancone) incastrate a<br />
secco tra le cappelle in muratura, apparentemente controventate<br />
solo dal fondo e dalla piastra di chiusura. Le strutture superiori<br />
di copertura hanno volte a crociera in laterizio che scaricano<br />
sulle strutture murarie delle cappelle laterali che contengono i<br />
corpi degli avelli, mentre il tetto è realizzato con putrelle in ferro<br />
e travi lignee. Il comportamento statico di questa struttura mista<br />
appare più soddisfacente di quello della prima galleria e non si<br />
sono evidenziati dissesti evidenti (mentre l’altra ha già richiesto<br />
interventi di consolidamento importanti.<br />
Nella Galleria Sud-est l’uso del calcestruzzo debolmente armato<br />
per la realizzazione delle solette e delle partiture verticali degli<br />
avelli sostituisce e innova conferendo una maggiore continuità<br />
strutturale ai corpi di sepoltura inseriti tra le strutture murarie<br />
principali costituite da pilastri in muratura, le lastre lapidee<br />
monolitiche della galleria settentrionale: la pietra arti ciale si<br />
sostituisce alla pietra naturale nelle strutture semiportanti (o forse<br />
solo autoportanti) degli avelli, mentre travi armate in calcestruzzo<br />
contribuiscono al contenimento delle spinte delle volte in mattoni<br />
a spessore variabile e della cupola che sormonta la crociera.<br />
<strong>La</strong> Galleria Perimetrale, esterna alla parte monumentale, che<br />
conclude la realizzazione della parte storica, ha strutture di<br />
copertura in laterizio armato e travi in cemento armato.<br />
Le strutture del cimitero documentano quindi nelle loro tecniche<br />
costruttive l’evoluzione della tecnica muraria dalla struttura<br />
continua in laterizio a quella trilitica in calcestruzzo, ma in<br />
parallelo si assiste alla esaltazione dell’uso del cemento come<br />
materiale costruttivo degli elementi decorativi, delle niture e dei<br />
193
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
rivestimenti del muro, che caratterizza gli elementi ornamentali<br />
della Galleria e delle cappelle addossate al lato sud est del<br />
portico dell’ottagono e, in modo molto più ricco e articolato, una<br />
grande quantità di cappelle a edicola e di tombe monumentali<br />
realizzate nei primi decenni del 900.<br />
Nei campi interni di tumulazione, le diverse applicazioni del<br />
conglomerato cementizio alla realizzazione di rivestimenti<br />
murari ed elementi ornamentali e scultorei fanno della pietra<br />
arti ciale uno dei materiali principali e più signi cativi della<br />
caratterizzazione delle microarchitetture della <strong>Villetta</strong>, per il<br />
quale le tecniche di protezione, consolidamento e restauro sono<br />
ancora poco usate e relativamente poco conosciute.<br />
Per questo motivo si è ritenuto utile raccogliere una serie di<br />
indicazioni di massima relative alle tecniche di lavorazione<br />
presenti nei manufatti rilevati, alle patologie di degrado manifeste<br />
e agli interventi consigliati.<br />
194
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Le strutture architettoniche<br />
Tecniche costruttive / dissesti / modalità di intervento<br />
I documenti di cantiere relativi alla costruzione delle architetture<br />
che compongono il complesso monumentale del cimitero, e in<br />
particolare i capitolati d’appalto, descrivono in modo preciso<br />
le caratteristiche delle strutture murarie, i materiali e anche la<br />
composizione delle malte e degli intonaci.<br />
I rilievi e i riscontri sin qui effettuati testimoniano un’esecuzione<br />
abbastanza fedele tanto dei disegni di progetto che delle<br />
indicazioni riportate negli altri elaborati. Su questa base è quindi<br />
possibile ricostruire un quadro descrittivo delle principali tipologie<br />
strutturali e delle relative modalità di intervento, che devono<br />
essere intese come indicazioni di massima, dal momento che<br />
il presente Piano Particolareggiato costituisce uno strumento<br />
di inquadramento generale e non un progetto esecutivo di<br />
consolidamento e restauro, per il quale si ritengono necessari<br />
ulteriori approfondimenti di rilievo e veri che strutturali.<br />
I dissesti si manifestano con crepe nella struttura, deformazioni<br />
delle volte e abbassamenti consistenti all’imposta degli archi<br />
dovuti alla rotazione verso l’esterno dei pilastri di sostegno.<br />
Gli interventi di consolidamento per contrastare le spinte di archi<br />
e volte consistono nell’inserimento di catene, preferibilmente<br />
nella zona sottotetto per non modi care le visione d’insieme<br />
dell’edi cio. Per integrare i distacchi delle crepe si interviene con<br />
un operazione cuci-scuci per integrare le parti mancanti.<br />
Fondazioni e strutture ipogee<br />
<strong>La</strong> ricerca d’archivio ha permesso di risalire alla cronologia<br />
di costruzione del portico; è emerso che le cripte e gli archi<br />
sovrastanti sono stati costruiti successivamente al muro di cinta<br />
dell’ottagono, che presentava fondazioni ad una quota non<br />
suf ciente per poter costituire la parete esterna della camera<br />
mortuaria sottostante.<br />
Per costruire la camera mortuaria vengono costruite delle<br />
sottomurazioni alla fondazioni della cinta murari, per farli arrivare<br />
alla profondità necessaria.<br />
Le sottomurazioni sono in mattoni nuovi, a piccoli strati ed interrati<br />
nel terrapieno almeno 0,40m; quelli dei rinfranchi sono metà in<br />
ciottoli e l’altra metà in quadrelli collegati da buon cemento di<br />
calce e sabbia.<br />
Nei capitolati delle Gallerie Sud e Nord non sono riportate le<br />
195
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
descrizioni delle fondazioni, ma si può ipotizzare che siano della<br />
stessa tipologia del portico, quindi in ciottoli e malta di calce e<br />
sabbia.<br />
L’ampliamento dell’Oratorio, di più recente costruzione, presenta<br />
fondazioni in calcestruzzo formato con mc 0,800 di ghiaia, mc<br />
0,400 di sabbia e kg 135 di calce comune.<br />
Murature in elevazione<br />
<strong>La</strong> struttura muraria è costituita per le prime costruzioni, il<br />
portico, la Galleria Nord e la Galleria Sud, in corsi di pietra<br />
lavorata e mattoni. <strong>La</strong> Galleria Sud-Est, costruita in tempi più<br />
recenti, ha invece struttura portante in cemento e tamponamenti<br />
in laterizio.<br />
<strong>La</strong> tipologia costruttiva degli avelli in lastre di pietra di Lucerna<br />
incastrate tra loro è la stessa per le Gallerie Nord e Sud, mentre<br />
la Galleria Sud-Est ha avelli in lastre di cemento.<br />
laterizio e pietra assemblata: la Galleria Sud ha muri in<br />
elevazione costituiti da ciottoli e da mattoni di rivestimento,<br />
o da corsi passanti, dimensionati dalla D.L.. Gli angoli dei<br />
muri sono in mattoni per un’estensione di 45cm da entrambe<br />
le parti, con morse di quattro corpi in altezza e 30 cm di<br />
lunghezza.<br />
Anche la Galleria Nord ha muratura comune in mattoni<br />
disposti in lari orizzontali alternanti le unioni di essi. Viene<br />
indicato inoltre che l’impresa potrà utilizzare materiale vecchio<br />
e di poter sostituire a piacere la muratura in mattoni con quella<br />
in ciottoli. <strong>La</strong> muratura in ciottoli prevede l’inserimento di corsi<br />
passanti di mattoni in numero non minore di due.<br />
Gli avelli sono in pietra di Lucerna con lastre sbozzate unite tra<br />
loro a dente di mortasa con cemento Portland di dimensioni<br />
2,55x0,61m.<br />
Le lastre laterali, di fondo e di copertura hanno spessore di<br />
0,12m, così come quelle dell’apertura in marmo di Carrara. Le<br />
lastre di copertura, di fondo e divisorie sono incastrate per una<br />
lunghezza di 0,05m nel muro.<br />
laterizio e cemento armato: le strutture murarie della Galleria<br />
Sud-Est sono realizzate in cemento, con tamponamento<br />
di mattoni (28x14 cm.) o bastonetti (24x11,5x7 cm.),<br />
disposti a due, tre e quattro teste, per spessori murari niti<br />
rispettivamente di:<br />
mattoni bastonetti<br />
2 teste 0,28 0,24<br />
3 teste 0,42 0,36<br />
4 teste 0,57 0,49<br />
196<br />
Dettaglio dell’incastro delle lastre in<br />
pietra di Luserna della Galleria Nord.<br />
E’ possibile osservare la tipologia di<br />
taglio utilizzata per l’unione, ssata<br />
con cemento Portland.<br />
Interno degli avelli della Galleria Nord,<br />
le lastre in pietra sono appena sbozzate<br />
e unite tra loro da uno strato di<br />
cemento.
Dettaglio della volta della Galleria<br />
Sud-Est: sono ben visibili le lesioni<br />
causate dai cedimenti differenziali della<br />
struttura e i distacchi dell’intonaco.<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Per i mattoni viene richiesta un resistenza a compressione<br />
di 100 kg/cmq. Per il ferro delle armature viene richiesta una<br />
resistenza a trazione di 40kg/mq.<br />
Le solette di cemento armato per la formazione degli avelli, di<br />
spessore 10 cm, dovevano avere una portata di 200 kg/mq.; i<br />
setti verticali sono in cemento armato.<br />
In fase di collaudo delle strutture di calcestruzzo viene<br />
prescritto un carico maggiorato del 30% rispetto a quello di<br />
calcolo, con una freccia massima pari a 1/1000 della luce, con<br />
una deformazione perfettamente elastica per i 2/3.<br />
<strong>La</strong> super cie esterna dei setti divisori degli avelli doveva<br />
essere completata con uno strato di cemento a marmaglia<br />
martellinato ed è probabile che dovesse restare a vista.<br />
Volte<br />
Le volte dell’ottagono monumentale e delle Gallerie sono<br />
costruite in mattoni in costa e intonacate. <strong>La</strong> forma delle volte è<br />
varia: il portico presenta volte a vela, a botte e volte a padiglione<br />
poligonale a copertura dell’incrocio dei bracci di galleria.<br />
Dall’analisi dei documenti d’archivio è stato possibile determinare<br />
la cronologia di costruzione del portico, la costruzione delle<br />
volte non è contemporanea alla costruzione di cinta del muro;<br />
l’edi cazione dei portici non è avvenuta durante il medesimo<br />
cantiere ma lungo un arco di tempo di circa cinquant’anni. Per<br />
tutti gli archi, anche per i sof tti voltati che li coprivano erano<br />
previste medesime indicazioni di esecuzione.<br />
Un indagine nel sottotetto del portico ha permesso di individuare<br />
la tipologia di costruzione delle volte che presentano costolature<br />
in mattoni perpendicolari alle nervature della volta. questo tipo di<br />
irrigidimento della struttura ha provocato per schiacciamento la<br />
lesione delle volte sottostanti<br />
Gli archi sostengono una volta detta a vela alta dall’intradosso al<br />
pavimento 5,60m.<br />
<strong>La</strong> camera mortuaria sottostante gli archi è anch’essa coperta da<br />
una volta per un altezza di 2,75m, con una saetta di 0,75 m.<br />
Nella Galleria Sud le volte del sotterraneo sono costruite in<br />
mattoni in costa con uno spessore medio di 15cm (45cm<br />
all’imposta e 30cm fuori di essa). Nella volta sono praticati dei<br />
fori circolari, che formano un circolo concentrico di un mattone<br />
in costa al foro stesso. All’incrocio dei bracci il foro se molto<br />
più ampio, a forma di ottagono. <strong>La</strong> volta all’incrocio è a base<br />
poligonale e a padiglione.<br />
Per le murature di volte, archi della Galleria Nord si prescrive<br />
che i mattoni delle volte siano tagliati e adattati secondo il raggio.<br />
197
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Gli archi all’estradosso a riseghe si devono connettere col muro<br />
soprastante. Le volte all’imposta devono avere spessore minimo<br />
di 0,15m e per il resto 0,05m.<br />
I solai della galleria sono posti su travi di ferro doppio T di<br />
7,30x0,20m, con luce di 1 metro e inseriti nel muro per una<br />
lunghezza di 0, 25m. Tra le travi è inserita una voltina in cotto<br />
con mattoni forati preformati. L’intradosso delle voltine sarà<br />
intonacata in modo omogeneo.<br />
Per la Galleria Sud-Est la costruzione della volta della cupola<br />
semicircolare rialzata con lunette in corrispondenza delle nestre<br />
è prescritta con pennacchi in bastonetti con spessore a una<br />
testa, soprastante anello di cemento armato, giunto alle reni<br />
della cupola in mattoni dello spessore di cm 28, successivo terzo<br />
in bastonetti dello spessore di cm 28, ultimo terzo, sino al cervello<br />
in bastonetti a una testa, con uno spessore di cm 12.<br />
Le "volte reali" a botte semicircolari dei bracci della galleria,<br />
lunettate in corrispondenza delle nestre sono prescritte: sino<br />
alle reni bastonetti nello spessore di 24 cm, il resto con bastonetti<br />
di testa nello spessore di cm 12.<br />
Le "volte comuni" sono così prescritte: sino alle reni bastonetti<br />
nello spessore di 12 cm, il resto con bastonetti in folio. I rin anchi<br />
198<br />
Sopra. Cupola all’incrocio dei bracci<br />
della Galleria Sud-Est. A destra volta<br />
a vela nel portico ottagonale: sono<br />
visibili le lesioni i corrispondenza delle<br />
costolature all’estradosso, questo tipo<br />
di lesione è presente in quasi tutte le<br />
volte del portico.<br />
Sotto. Interno di una cappella privata<br />
nella Galleria Sud (sinistra); disposizione<br />
dei mattoni nella volta emersa<br />
a causa del distacco dell’intonaco dal<br />
supporto in laterizio.
Rilievi fotogra ci delle volte delle<br />
Gallerie Nord e Sud. Sono presenti<br />
evidenti degradi dell’intonaco causati<br />
dalla presenza di umidità (muffe e distacchi)<br />
e dalla errata manutenzione<br />
(presenza di materiale estraneo al<br />
supporto).<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
sulle volte sono richiesti sino al livello dell’estradosso in calce,<br />
realizzati in "buona muratura di calce idraulica in corrispondenza<br />
delle pareti superiori, e con calcestruzzo pel resto".<br />
Nell’Oratorio di San Gregorio le volte di quarto che completano il<br />
coro sono in stuoie ed intonaco civile.<br />
Coperture<br />
<strong>La</strong> copertura dei fabbricati dell’ottagono è in tegole curve<br />
poggianti su embrici. <strong>La</strong> struttura di sostegno è costituita da<br />
capriate lignee che sorreggono travi, puntoni e arcarecci.<br />
<strong>La</strong> copertura della Galleria Sud è a catinelle con cavalletti a due<br />
e tre falde, nelle absidi avrà super cie conica. Cantieri in pioppo<br />
della lunghezza di 3m e sezione 0,14x0,08; catinelle in pioppo<br />
di 0,07m di sezione e luce di 0,10m e disposti come i cantieri tra<br />
centro e centro alla distanza di 0,60m e tra loro inchiodati. Le<br />
capriate hanno le catene di 7,20m con sezione di 0,24x0,28m,<br />
i puntoni di 0,26x0,26m di abete, il monaco di 0,20x0,26m di<br />
199
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
rovere. Le saette di abete hanno dimensione 0,20x0,20m.<br />
<strong>La</strong> Galleria Nord presenta un manto di copertura embriciato con<br />
uno strato di tavelle disposte sugli arcarecci in legno era in tegole<br />
curve (coppi). Il sistema costruttivo della struttura di copertura in<br />
legno di abete con travi squadrate rispecchia quanto indicato nei<br />
disegni di sezione del progetto conservato.<br />
<strong>La</strong> struttura della copertura in legno è composta da arcarecci<br />
in abete 0,20x0,26m, distanti tra loro 2,00m, cantieri in<br />
pioppo 0,10x0,10m, luce 0,45m, catinelle o correntizi di olmo<br />
0,06x0,025m, luce 0,09m. <strong>La</strong> copertura è composta da cavalletti<br />
in abete ad un monaco della lunghezza di 7,50m e altri monachi<br />
sopra l’ottagono con puntoni e sottopuntoni della lunghezza<br />
di1,25x0,28x0,30m.<br />
Gli sgocciolatoi sono in cotto posti esternamente e aderenti<br />
all’inclinazione dei tetti.<br />
Docce e tubi sono in latta doppia, colorati a doppia mano.<br />
Complete di ornati da applicarsi al punto di giunzione dei tubi con<br />
le docce e nei risvolti sotto il cornicione e nel punto dove entrano<br />
nella muratura.<br />
<strong>La</strong> Galleria Sud-Est ha il manto di copertura embriciato con uno<br />
strato di tavelle disposte sugli arcarecci in legno era in tegole<br />
curve (coppi). Il sistema costruttivo della struttura di copertura in<br />
legno di abete con travi squadrate rispecchia quanto indicato nei<br />
disegni di sezione del progetto conservato, nel quale si osserva<br />
la presenza di un piastrino di mattoni appoggiato sul cervello<br />
degli archi trasversali per reggere il trave di colmo.<br />
200<br />
Rilievo fotogra co della zona sottotetto<br />
nella Galleria Sud-Est. E’ evidente<br />
la struttura portante in capriate lighee<br />
e puntoni d’angolo. Il manto di copertura<br />
è in coppi e sottocoppi pogianti<br />
su arcarecci in legno.
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Rivestimenti e fi niture ornamentali<br />
Materiali e tecniche di lavorazione / degrado / modalità di<br />
intervento<br />
Lo studio dei processi di deterioramento dei materiali è complesso,<br />
poiché essi includono eventi di varia natura (meccanici, sici,<br />
chimici, biologici) che pur essendo studiati uno alla volta per<br />
costruire modelli interpretativi semplici, nella realtà interferiscono<br />
continuamente tra di loro, determinando meccanismi complessi<br />
di dif cile veri ca sperimentale.<br />
Il deterioramento sico è legato alla penetrazione dell’acqua in<br />
pori e fratture, risucchiata dalla forza di capillarità. L’acqua può<br />
provenire dall’atmosfera o dall’interno della struttura. Eventi quali<br />
gelo/disgelo, sbalzi termici, piogge acide, ruscellamenti, perdite<br />
nelle strutture possono favorire questo tipo di degrado.<br />
Il deterioramento meccanico legato alla fragilità caratteristica<br />
della pietra, materiale duro ma incapace di deformazione<br />
plastica. lavorazione, pulitura, carichi e deformazioni.<br />
Il deterioramento chimico ef orescenze saline; subef orescenze<br />
saline, piogge acide (carbonatazione). Il deterioramento biologico<br />
piante superiori, microorganismi (alghe e licheni).<br />
Gli effetti sui materiali sono diversi cati a seconda del tipo di<br />
supporto e vanno analizzati nello speci co per individuare le<br />
cause e la modalità di intervento.<br />
Le fasi di intervento si distinguono in: pulitura, consolidamento e<br />
protezione.<br />
Pulitura<br />
<strong>La</strong> pulitura è l’operazione con cui vengono eliminate dal supporto<br />
tutte le sostanze estranee ad esso (incrostazioni, croste,<br />
macchie, ef orescenze e biodeteriogeni).<br />
<strong>La</strong> pulitura è un’operazione irreversibile e come tale va affrontata<br />
con tutte le precauzioni indispensabili per ottenere risultati<br />
ottimali.<br />
Una buona pulitura deve essere selettiva, rivolta solamente a ciò<br />
che in fase preliminare si è pensato di eliminare, deve essere<br />
lenta e graduale, controllabile in ogni fase dall’operatore.<br />
E’ importante che i metodi di pulitura siano delicati, evitando di<br />
creare dannose microfratture o abrasioni, non devono lasciare<br />
materiali residui e dannosi per la conservazione del manufatto.<br />
201
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Consolidamento<br />
Il consolidamento è un’operazione mirata a migliorare le<br />
caratteristiche di coesione di un supporto poroso, così come a<br />
incrementare l’adesione dello strato super ciale consolidato con<br />
la massa sottostante.<br />
Tendenzialmente, in seguito al trattamento consolidante la<br />
struttura dello stato decoeso viene modi cata in quanto la<br />
porosità del sistema viene più o meno profondamente occupata<br />
dalle molecole stesse del consolidante, che restituiranno alla<br />
struttura una certa tenacia e una maggiore resistenza all’ulteriore<br />
eccesso d’acqua, con conseguente decremento della tendenza<br />
al degrado chimico e strutturale.<br />
<strong>La</strong> caratteristiche di cui un consolidante deve essere dotato<br />
sono:<br />
- buone capacità di penetrazione in profondità all’interno<br />
del materiale decoeso;<br />
- distribuzione omogenea all’interno dello strato poroso,<br />
senza la formazione di lacune;<br />
- riduzione parziale, ma non completa della porosità,<br />
così che il supporto consolidato mantenga una buona<br />
permeabilità al vapore, all’acqua e ai solventi organici;<br />
- assenza di sottoprodotti dannosi per il materiale.<br />
Protezione<br />
Il trattamento protettivo ha lo scopo di ridurre la penetrazione<br />
d’acqua all’interno della struttura, ovvero di inibirne o rallentarne<br />
gli effetti di trasformazione chimica e sica che portano al<br />
degrado del substrato.<br />
Un buon protettivo deve quindi esercitare in generale un<br />
buon effetto idrorepellenteo, in alternativa, passivante, oltre a<br />
possedere alcuni requisiti fondamentali:<br />
- assenza di sottoprodotti dannosi al supporto;<br />
- stabilità all’azione della luce e all’azione degli inquinanti<br />
atmosferici;<br />
- permeabilità al vapore, all’acqua e ai solventi organici;<br />
Contrariamente al consolidante il protettivo non deve penetrare<br />
all’interno della porosità del supporto.<br />
202
Intonaci<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Negli interventi sul costruito si prendono come riferimento le<br />
indicazioni della manualistica storica. Le prescrizioni dei ricettari<br />
storici, relative agli impasti di calce e sabbia da usarsi negli<br />
intonaci, fanno riferimento alla qualità di calce da utilizzare e alla<br />
quantità e granulometria degli inerti da preferirsi per una malta<br />
da intonaco. <strong>La</strong> sabbia diventa infatti un elemento fondamentale<br />
per creare rivestimenti ‘puliti’ e senza crepe, dovute all’eccessivo<br />
ritiro del legante. In generale si consigliano sabbie piuttosto<br />
ni e setacciate la cui proporzione e granulometria varia nella<br />
successione di strati; più ruvida per i primi, molto ne con la<br />
consistenza quasi di polvere per gli ultimi.<br />
<strong>La</strong> stesura dell’intonaco avveniva per fasce orizzontali realizzate<br />
procedendo dalla alto verso il basso e prevedevano almeno tre<br />
strati di intonaco. L’ultimo strato, che prende il nome di scalbatura,<br />
veniva realizzato con un fratazzo di metallo.<br />
Particolari prescrizioni sono riportate per la tecnica dell’intonaco<br />
a nto marmo, che consiste nella colorazione dello stucco<br />
mediante pigmenti e costituisce l’elemento caratterizzante della<br />
tecnica dei rivestimenti a imitazione del marmo.<br />
<strong>La</strong> colorazione poteva avvenire nell’impasto oppure con<br />
l’applicazione dei colori sulla super cie già realizzata. Le fonti<br />
esaminate dedicano grande spazio soprattutto alla descrizione<br />
degli stucchi coloranti nella fase di amalgama. L’impasto per<br />
tale tipo di stucchi era formato da scagliola (chiamata anche<br />
mischia), ossia un impasto di gesso cotto con una soluzione di<br />
colla animale, mescolato a pigmenti e ad eventuali additivi. Le<br />
colle consigliate dalle fonti sono generalmente due: la colla di<br />
203<br />
I distacchi di interi strati di intonaco<br />
evidenziano i numerosi interventi di<br />
ripintura delle pareti dell’ottagono<br />
monumentale. Numerosi sono i rappezzi<br />
presenti in tutto il complesso.<br />
L’intonaco degradato viene per lo più<br />
riparato con interventi puntiformi che<br />
non permettono di risolvere la causa<br />
all’origine.
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Fiandra e la colla di pesce. Per entrambe si raccomanda di non<br />
usarle né troppo forti né troppo deboli, perché nel primo caso<br />
avrebbero allontanato troppo le particelle del gesso impedendo<br />
la formazione di un corpo compatto, e nel secondo non le<br />
“riunisce abbastanza”. In ogni caso è sempre l’esperienza o,<br />
come afferma Rondelet, “l’uso quello che fa conoscere il grado<br />
che conviene ad ogni specie di gesso”; e in ciò consisterebbe,<br />
secondo l’Autore, il preteso segreto di ogni stuccatore.<br />
Un’altra nitura spesso utilizzata è quella detta a “stucco lucido”.<br />
Gli impasti per gli intonaci a “stucco lucido” sono gli stessi dello<br />
stucco a imitazione del marmo e del marmorino, cambiano<br />
soltanto le metodologie esecutive e alcune niture super ciali<br />
atte a rendere la lucentezza del marmo oltre che imitarne le<br />
venature.<br />
A termine della stesura dell’intonaco decorativo si tinteggiava<br />
a olio la super cie. Lo strato di protezione consisteva in una<br />
pellicola ottenuta trattando la super cie con una dispersione<br />
di pigmenti in oli siccativi (tradizionalmente olio di lino o olio di<br />
noce), secondo modalità decisamente prossime a quelle proprie<br />
della pittura a olio.<br />
Gli interventi volti al restauro del manufatto, dovranno tenere<br />
in considerazione i metodi della tradizione e nell’ambito di<br />
un’analisi puntuale delle essenze, predisporre la miglior tipologia<br />
di intervento.<br />
Tinteggi<br />
I tinteggi dell’ottagono sono effettuati con tinte a calce<br />
pigmentate.<br />
<strong>La</strong> tinteggiatura a calce diluita con l’aggiunta di colore di<br />
qualsiasi specie; comprendente imprimitura con latte di calce<br />
(idoneamente diluita), uno o due strati successivi dati a pennello<br />
o a spruzzo (eseguita a macchina) a perfetta copertura. È<br />
possibile aggiungere del ssativo a base acrilica. Il tinteggio<br />
al latte di calce va diluito con sola acqua quanto basta per<br />
renderlo lavorabile come una comune pittura. Bagnare la<br />
muratura con acqua pulita, se il supporto è molto assorbente<br />
o molto stagionato; applicare la prima mano diluita circa il 50%<br />
con acqua pulita. Si procederà con l’applicazione della seconda<br />
mano a diluizione normale di pittura circa al 10-15% con acqua<br />
pulita. <strong>La</strong> coloritura dovrà essere eseguita con terre naturali<br />
coloranti. In caso di facciate molto esposte a forti aggressioni<br />
atmosferiche si consiglia l’applicazione di un idoneo protettivo<br />
idrorepellente traspirante.<br />
204
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Per la produzione di grasselli di calce si individuava una cava<br />
di carbonato di calcio oppure il letto di un ume dove poter<br />
raccogliere le pietre.<br />
Le pietre venivano cotte in fornaci a legna che raggiungendo<br />
temperature elevate (oltre 800 gradi) liberavano il carbonato<br />
di calcio dalla molecola di ossigeno, così i ciottoli perdevano<br />
molto peso; posti poi in buche si bagnavano abbondantemente<br />
con acqua (che evaporava subito) scatenando quella reazione<br />
chimica che dà la calce viva. <strong>La</strong>sciando riposare in queste<br />
buche la calce viva per almeno sei mesi la pasta perdeva la sua<br />
reattività trasformandosi in calce spenta, o grassello di calce.<br />
Per favorirne lo “spegnimento”, nei sei mesi successivi, si<br />
muoveva la pasta con una sorta di zappa. Il grassello veniva<br />
poi insaccato e portato nei cantieri per la lavorazione, impastato<br />
con sabbia o altri inerti per gli intonaci, o ulteriormente diluito<br />
con acqua per le varie tecniche di tinteggiatura e decorazione.<br />
In alcune tecniche di costruzione si utilizzava la calce viva,<br />
ottenendo così delle malte fortemente resistenti.<br />
I tinteggi potevano essere addittivati con cocciopesto (mattoni<br />
e coppi selezionati e frantumati), producendo una reazione<br />
idraulica che incrementa in tempi brevi le resistenze meccaniche<br />
e chimico siche.<br />
Decorazioni pittoriche<br />
<strong>La</strong> decorazione pittorica nell’architettura cimiteriale veniva<br />
utilizzata per decorare, ad imitazione dei materiali nobili quali<br />
la pietra e il marmo, basamenti, lesene, paraste ecc…. Le parti<br />
retrostanti presentavano tonalità più intense. Nelle gallerie<br />
perimetrali, le lunette erano spesso affrescate con scenogra e,<br />
o scene religiose, mentre altri archi presentavano nella parete<br />
sfondati prospettici.<br />
Porzioni di queste decorazioni sono rimaste e sono interessati da<br />
diverse tipologie di degrado. Il progressivo invecchiamento delle<br />
particelle di colore avviene in modo differenziato, a seconda della<br />
esposizione delle super ci agli agenti dilavanti: le parti più esposte<br />
assumono tonalità più scure, mentre le zone maggiormente<br />
riparate conservano più a lungo le tonalità iniziali.<br />
Il primo intervento deve essere volto a rimuovere le cause del<br />
deterioramento, successivamente si procede al restauro delle<br />
parti affrescate. Il ripristino della cromia delle fabbriche deve<br />
avvenire solo dopo un’accurata indagine volta a rintracciare nei<br />
documenti d’archivio, nelle foto d’epoca, elementi che avvalorino<br />
le scelte progettuali.<br />
205
Distacchi dell’intonaco nel portico e<br />
nelle cappelle private delle gallerie:<br />
l’umidità, le percolazioni d’acqua e i<br />
moti convettivi dell’aria hanno creato<br />
delle zone di condensa sulla super -<br />
cie dell’intonaco, portando a rigon amenti<br />
e al distacco dello stesso dal<br />
supporto murario, con conseguente<br />
caduta di materiale (a sinistra).<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
All’analisi storico-critica si deve valutare la necessità di eseguire<br />
rilievi stratigra ci a campione delle super ci, volti a recuperare<br />
tracce di precedenti coloriture. A questo proposito, soprattutto<br />
operando in un contesto monumentale, la scelta delle tinte che<br />
si intendono utilizzare dovranno essere sottoposte all’attenzione<br />
dei responsabili tecnici e artistici della Soprintendenza.<br />
I processi di degrado da temere per gli intonaci sono i seguenti:<br />
- il distacco dell’intonaco dal muro, provocato per lo più<br />
da una penetrazione di umidità dal rovescio (pioggia e umidità<br />
ascendente) e dalla sua evaporazione sotto l’intonaco;<br />
- la disgregazione super ciale, provocata dall’evaporazione<br />
di umidità vicino alla super cie dipinta;<br />
- il dilavamento causato dall’acqua di pioggia, battente o<br />
scorrente sulla super cie dall’affresco;<br />
- la formazione sulla super cie di colonie di alghe o<br />
licheni;<br />
Gli interventi di pulitura devono essere effettuati per mezzo<br />
di spazzole dolci, lavaggi con acqua pura,solventi a base di<br />
ammoniaca diluita. Per ridurre la probabilità di un attacco di<br />
alghe e licheni va considerata la possibilità di una difesa chimica<br />
(biocidi) i cui bene ci sono sicuramente accompagnati da rischi<br />
che oggi non siamo ancora in grado di valutare. L’adesione può<br />
essere ristabilita mediante l’iniezione di sostanze adesive tra<br />
intonaco e muro; inoltre è necessario stuccare qualsiasi fessura<br />
che permette la penetrazione dell’acqua verso l’interno. <strong>La</strong><br />
fase di consolidamento è completata con trattamenti protettivi<br />
super ciali altamente reversibili, come le resine acriliche.<br />
206
Degrado dell’intonaco: esfoliazioni e<br />
ribollamenti portano al distacco della<br />
pellicola pittorica; in altri casi ( in<br />
basso a sinistra) avviene il completo<br />
distacco dal supporto.<br />
In basso a destra è riportato un errato<br />
esempio di intervento di ‘rappezzo’<br />
dell’intonaco.<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Pietra naturale<br />
Le pietre naturali presentano varie tipologie di nitura. <strong>La</strong><br />
tecnica della pomiciatura rientra nel procedimento di levigatura,<br />
si procede al lavaggio, con acqua e pietra pomice, seguita<br />
dalla luci datura della super cie, prima con polvere di tripoli,<br />
207
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
carbone di legna e olio, poi con il solo olio. <strong>La</strong> granitura è invece<br />
una tecnica attraverso la quale si rende leggermente rugosa<br />
la super cie liscia di una pietra litogra ca. <strong>La</strong> granitura della<br />
pietra litogra ca si ottiene stro nando l’una contro l’altra due<br />
pietre della medesima qualità, tra le quali è stata sparsa sabbia<br />
nissima impregnata d’acqua.<br />
Nella conservazione e nel reintegro delle parti mancanti si deve<br />
considerare la speci ca lavorazione della pietra anche attraverso<br />
un’analisi delle fonti e della manualistica storica.<br />
<strong>La</strong> principale causa del degrado diffuso dei rivestimenti lapidei è<br />
l’inquinamento atmosferico, che deposita sulle super ci esposte<br />
una patina super ciale di non facile rimozione, costituita da<br />
particellato carbonioso e altre incrostazioni. L’elevata porosità<br />
della maggior parte dei materiali esterni e le particolari niture<br />
super ciali dei tanti e differenti paramenti lapidei concorrono<br />
alla sosta di questi depositi, che concorrono al degrado delle<br />
super ci.<br />
Le cause del degrado dei paramenti lapidei, sono molteplici e il<br />
degrado di un materiale lapideo deve sempre essere visto come<br />
la conseguenza di una sovrapposizione di fenomeni diversi: le<br />
forme di alterazione naturale delle rocce si sommano a cause<br />
esterne o accidentali.<br />
I paramenti lapidei, considerati un materiale durevole quando<br />
erano soggetti unicamente a cause di degrado naturale; con<br />
l’avvento dell’industrializzazione essi subiscono l’aggressione<br />
dell’inquinamento atmosferico che dà luogo ad un degrado<br />
chimico più veloce, anche con reazioni anche tra i diversi<br />
inquinanti e l’aumento della reattività dei singoli.<br />
Le caratteristiche di degrado possono essere riferite alle principali<br />
rocce utilizzate nell’architettura funeraria, costituite in gran parte<br />
208<br />
A volte il distacco dello strato più<br />
recente di intonaco a fatto riaf orare<br />
decorazioni precedenti (a sinistra).<br />
Nelle zone meno areate (la nicchia<br />
decorata a destra) sono presenti<br />
depositi salini dovuti all’evaporazione<br />
dell’acqua sulla super cie<br />
intonacata.
Elementi in pietra con degradi super<br />
ciali dovuti alla percolazione<br />
delle acque. Gli elementi in metalli in<br />
presenza di acqua formano colature<br />
di ossido idrato di ferro sulle super ci<br />
di appoggio.<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
da arenarie, marmi, travertini e granito.<br />
I fattori che in uenzano maggiormente il degrado chimico sono:<br />
- le condizioni ambientali (l’umidità relativa dell’aria favorisce<br />
la dissoluzione degli inquinanti gassosi e l’assorbimento per<br />
condensazione, da parte della struttura lapidea, della soluzione<br />
acida formatasi);<br />
- la presenza di acqua (liquido o vapore);<br />
- la dimensione del particellato, che in uenza la velocità di<br />
deposito e la permanenza sulla super cie lapidea).<br />
Le cause biologiche, chimiche e siche coesistono ed<br />
interagiscono: ad esempio la alterazione chimica super ciale da<br />
luogo poi ad una disgregazione, erosione e rimozione da parte<br />
di cause siche; la roccia viva rimane nuovamente esposta e si<br />
reinnesca il ciclo chimico- sico. L’attenzione deve essere dunque<br />
rivolta a capire la qualità di una reazione rispetto alle diverse<br />
cause, ma anche la sua cinetica ed il grado di trasformazione<br />
attuato in relazione al tempo.<br />
Le arenarie, utilizzate in copia per scopo ornamentale<br />
dall’architettura rinascimentale a partire dal Brunelleschi anche<br />
per paramenti esterni, sono soggette a rapido deterioramento.<br />
Il Vasari annota che la pietra serena, bellissima da vedere, si<br />
sfalda e si logora se esposta all’umidità, alla pioggia o al ghiaccio,<br />
nonostante abbia una buona durata in ambienti coperti.<br />
Il degrado delle pietre arenarie è legato soprattutto all’acqua di<br />
umidità atmosferica, a quella meteorica (per la quale in uisce<br />
la durata della precipitazione), a quella di risalita capillare dal<br />
terreno, e in ne s quella di provenienza accidentale (coperture,<br />
pluviali, acqua intrappolata, ad esempio nella malta, durante la<br />
costruzione o lavori di restauro). L’acqua, infatti è veicolo di sali o<br />
minerali che inducono trasformazioni, ed è tra i principali reagenti<br />
tra materiale e ambiente. Sulle arenarie essa può causare il<br />
rigon amento dei materiali argillosi presenti (i quali assorbendo<br />
209
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
acqua aumentano di volume creando delle tensioni interne che<br />
disgregano la compattezza della struttura), oppure può sciogliere<br />
il cemento calcitico che tiene insieme i granuli sabbiosi, con il<br />
conseguente disgregamento super ciale.<br />
<strong>La</strong> differenza di comportamento di questi materiali rispetto<br />
all’azione dell’acqua dipende soprattutto dalle caratteristiche di<br />
porosità (misura dello spazio che circonda i grani dei sedimenti<br />
compatti, ovvero rapporto percentuale tra il volume dei pori ed<br />
il volume della roccia) o di permeabilità (misura della capacità<br />
della pietra porosa di assorbire acqua): tanto più sono piccoli i<br />
pori, tanto più è spinto in altezza il fronte della risalita capillare;<br />
per il bagnamento orizzontale invece vale la regola inversa.<br />
Il macigno, che ha un’alta capacità di imbibizione, presenta<br />
frequentemente un degrado per disgregazione di tipo sico:<br />
l’acqua genera l’aumento di volume dei minerali argillosi, che<br />
rigon andosi fanno perdere coesione ai granuli. L’eventuale<br />
presenza di gesso è da considerarsi quale effetto e non quale<br />
causa della degradazione naturale del materiale, ma contribuisce<br />
tuttavia ad una accelerazione della disgregazione materica.<br />
Anche la lavorazione super ciale della pietra ed il tipo di<br />
strumento utilizzato per le niture in uiscono sulle attitudini al<br />
degrado di un paramento.<br />
L’arenaria appenninica viene lavorata comunemente con punta e<br />
scalpello e risente dell’uso della bocciarda. Dopo la lavorazione<br />
la super cie presenta pori e frammenti parzialmente incoerenti; i<br />
clasti che costituiscono la pietra vengono lesionati da un reticolo<br />
di microfratture secondo i piani di sfaldatura della calcite. Il<br />
degrado si trasmette quindi in profondità no ad interessare uno<br />
spessore di circa un cm. Utilizzando una nitura con punta, il<br />
degrado presenta gli stessi aspetti morfologici soltanto quando la<br />
super cie lavorata è perpendicolare ai piani di strati cazione.<br />
210<br />
Dettagli in marmo interessati da degradi<br />
di diversa natura quali: depositi<br />
di polvere, lacune e scagliature.
Alcuni elementi in pietra presentano<br />
materiale estraneo al supporto, alveolizzazione<br />
e depositi. A destra il<br />
macchinario in metallo per la traforatura<br />
della pietra ha rilasciato particelle<br />
che si sono ossidate a contatto con<br />
l’atmosfera.<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
<strong>La</strong> nitura a scalpello genera un analogo tipo di degrado, ma il<br />
danno è super ciale ed interessa uno spessore di qualche mm.<br />
Anche la meccanizzazione delle operazioni di cava e di<br />
lavorazione del blocco in uenza la durata del pezzo, perchè<br />
la velocità dell’azione meccanica delle moderne seghe o punte<br />
porta ad una variazione dell’assetto super ciale dei granuli,<br />
spinta ad elevate profondità.<br />
Un altro aspetto importante per la durata dei paramenti lapidei è<br />
la cura della loro esposizione al sole o ai venti e alla pioggia.<br />
Il primo macro segno rilevabile ad occhio nudo del degrado delle<br />
arenarie è la formazione di una crosta super ciale, che nasconde<br />
i granuli disgregati sottostanti. Quando la crosta si distacca, una<br />
nuova super cie dalla consistenza sabbiosa rimane esposta agli<br />
agenti atmosferici; il successivo distacco reinnesca il fenomeno<br />
delle croste.<br />
I marmi ed le rocce calcaree in genere si degradano secondo i due<br />
meccanismi della corrosione, legata all’azione acida dell’acqua<br />
sul carbonato di calcio della pietra che genera dissoluzione,<br />
consunzione e incrostazioni biancastre da percolamento, e<br />
della decoesione cristallina che dipende dalle caratteristiche<br />
di anisotropia dei carbonati. A questi fenomeni si aggiungono<br />
gli effetti delle croste nere, che sono depositi carboniosi e<br />
incrostazioni che nascondono uno spessore considerevole di<br />
marmo reso incoerente dai processi chimici e sici innestati dal<br />
gesso presente nella crosta super ciale.<br />
211
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
I serpentini sono caratterizzate da una uniformità di composizione<br />
mineralogica e chimica, nonostante il colore e la tessitura siano<br />
variabili. Il fenomeno di degrado più noto è la sbullettatura, ovvero<br />
il distacco di piccole schegge dalla forma di testa di chiodo.<br />
Nel serpentino broso si riscontrano anche fenomeni di<br />
fessurazione in corrispondenza delle venature. In questo caso le<br />
ragioni del degrado sono legate ai caratteri strutturali ed al colore<br />
scuro della pietra, unito ad una sua scarsa conducibilità termica,<br />
piuttosto che all’inquinamento ambientale.<br />
Nei marmi rossi i fenomeni di degradazione più frequenti sono<br />
la corrosione e lo sbiancamento, caratteristici di tutti i calcari<br />
ma maggiormente evidenti per contrasto cromatico sul rosso.<br />
Questa pietra è soggetta anche a solfatazione per effetto delle<br />
acque acide, che determinano la formazione di croste di gesso e<br />
depositi in super cie.<br />
<strong>La</strong> degradazione dei marmi avviene per corrosione o per<br />
decoesione inter-cristallina.<br />
<strong>La</strong> prima è nota anche come dissoluzione o erosione da<br />
dilavamento ed è dovuta all’azione dell’acqua meteorica (acido<br />
carbonico), che opera una dissoluzione del carbonato di calcio.<br />
Quando questa evapora il bicarbonato di calcio della soluzione<br />
precipita e si deposita in forma di incrostazione biancastra che<br />
sarà poi dilavata o ridepositata per percolamento su un’altra<br />
super cie. <strong>La</strong> decoesione intercristallina è invece legata alla<br />
anisotropia dei carbonati.<br />
Un elemento di degrado esterno alla natura del materiale è la<br />
crosta nera, un deposito che ingloba polveri, prodotti carboniosi<br />
e gesso, derivati dall’inquinamento e che si accumulano<br />
dando luogo a processi di ossidazione e decomposizione.<br />
<strong>La</strong> crosta si forma per la concomitanza di processi chimici e<br />
sici di dissoluzione e ricristallizzazione del gesso presente<br />
nella super cie stessa della pietra. Al di sotto c’è uno strato<br />
di materiale incoerente che non andrebbe mai rimosso con<br />
eccessive puliture, per non lasciare a nudo la parte sana della<br />
super cie lapidea esposta.<br />
I paramenti caratterizzano l’architettura per l’accostamento dei<br />
materiali, per il disegno tessiturale del bozzato (talvolta realizzato<br />
come un vero e proprio disegno sulla super cie muraria costruita),<br />
e per i diversi tipi di nitura super ciale con tecniche ed utensili<br />
speci ci. Il lavoro del costruttore e dello scalpellino, sono quindi<br />
dati importanti della cultura materiale, espressa dalla nitura<br />
super ciale del paramento e dei motivi decorativi.<br />
212
Elementi di nitura in conglomerato<br />
cementizio.<br />
A destra il paramento murario in blocchi<br />
di nta pietra è realizzato con la<br />
tecnica della bocciardatura a grana<br />
media.<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Quando la crosta si stacca, rimane esposta agli agenti atmosferici<br />
una nuova super cie dalla consistenza sabbiosa, più soggetta<br />
alla degradazione da agenti esterni, ed il fenomeno si reinnesca.<br />
A seconda della posa in opera del materiale, soprattutto nella<br />
pietra macigno o serena, i distacchi avvengono per esfoliazione<br />
di vaste aree della super cie. <strong>La</strong> polverizzazione è preesistente<br />
al distacco della parte esfoliata e mette a nudo la super cie sana<br />
della pietra.<br />
Le stuccature e con malta mista a polvere della stessa pietra,<br />
comportano la parziale soluzione di un problema localizzato. Le<br />
stuccature con malte cementizie, innescano nuovi meccanismi<br />
di degradazione sulla parte già ammalorata. Nei casi di<br />
degradazione più spinta, la sutura delle soluzioni di continuità<br />
del materiale, rimane uno tra i metodi tradizionali di intervento.<br />
Pietra artifi ciale (conglomerati cementizi)<br />
Cornicioni, capitelli, basamenti e decorazioni in rilievo sono<br />
realizzate tramite sagomatura (tirar a sagoma), realizzata con<br />
il modine, che veniva fatto scorrere sulla malta ancora fresca<br />
lungo delle linee guida di legno per facilitare gli allineamenti;<br />
era indispensabile impostare e realizzare i rilievi architettonici<br />
di maggiore emergenza direttamente sul muro vivo. Su di esso,<br />
stabilite forme e partiture, inizia l’opera dell’artigiano.<br />
Quasi sempre, in ogni modo per aggetti nali superiori ai 4 cm,<br />
era necessario abbozzare il rilievo de nitivo collocando sul muro<br />
opportuni spessori che possono essere di laterizio ma anche di<br />
legno.<br />
213
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
<strong>La</strong> consuetudine di simulare materiali più costosi è documentata<br />
sin dal rinascimento, quando, come ricorda il Serlio, si usava<br />
realizzare le ossature in laterizio limitando l’uso della pietra al<br />
solo paramento esterno, spesso simulato da rivestimenti di calce<br />
aerea tinteggiati a marmorino (Pallottino).<br />
Dalla seconda metà dell’Ottocento, la tecnica dello stucco si<br />
riduce a una pratica semi industrializzata. Si estende l’uso di<br />
elementi decorativi prefabbricati e composti sostitutivi di quelli<br />
tradizionali.<br />
Inoltre le malte cementizie venivano additivate con pigmenti<br />
coloranti, codi cati in base al colore del materiale lapideo da<br />
imitare, con la possibilità di imitare arti cialmente materiali<br />
diversi con la stessa facilità produttiva. Le malte di cemento<br />
infatti hanno una predisposizione speci ca ad amalgamarsi con<br />
polveri e pigmenti che ne correggono la colorazione (ma anche il<br />
comportamento meccanico).<br />
Nel periodo eclettico e liberty questa lavorazione, adottata<br />
soprattutto per motivi economici, risponde in modo esemplare<br />
alle esigenze di razionalizzazione del cantiere e ai canoni estetici<br />
del momento, trovando una notevole fortuna nella realizzazione<br />
di ornati plastici di grande ricchezza e varietà, dei quali ritrovano<br />
esempi notevoli anche nei manufatti funebri.<br />
Rispetto allo stucco di calce, con il quale le decorazioni venivano<br />
realizzate in opera con le modine o agli ornati in laterizio,<br />
si sviluppano metodi di lavorazione e articolazioni formali<br />
autonome che rielaborano elementi tradizionali con spunti liberty<br />
e post-eclettici.<br />
<strong>La</strong> stucco utilizzato è un impasto di calce o gesso e polvere<br />
di pietra (solitamente travertino o marmo), utilizzato sia per<br />
modellare rilievi o decorazioni sia per creare uno strato di<br />
copertura delle super ci piane dalla coloritura bianca, spesso<br />
utilizzato per simulare rivestimenti lapidei. (G.A.Breyman, 1853)<br />
Le pietre arti ciali erano opera di artigiani specializzati che<br />
applicavano ricette personali spesso segrete per il dosaggio<br />
dei pigmenti coloranti, alle quali si fa comunque riferimento<br />
nella manualistica pratica dell’epoca (Manuale pratico per la<br />
lavorazione della pietra arti ciale), che indica ricette standard.<br />
Pietra serena:<br />
cemento grigio 100 kg,<br />
blu cobalto o ... kg 1,200<br />
verde di bario kg 0,050<br />
giallo di cadmio o di Ma.. kg 0,150<br />
nero ... kg 0,125<br />
214
Elementi di nitura in conglomerato<br />
cementizio realizzati in opera con<br />
sagome. Altri elementi di decorazione<br />
sono realizzati tramite stampo industrialmente<br />
(a destra).<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Pietra forte:<br />
cemento grigio 100 kg,<br />
arancio di cadmio o di Ma.. kg. 3<br />
giallo di cadmio o di Ma.. kg. 3<br />
Verde di bario kg. 0,050<br />
Nero kg. 0,500<br />
Bianco ? di cadmio kg 0,050<br />
Travertino:<br />
cemento bianco 100 kg,<br />
arancio di cadmio o di Ma.. kg. 0.250,<br />
Giallo di cadmio o di Ma.. kg. 0,50<br />
Molto spesso nelle architetture di maggiori dimensioni si osserva<br />
la compresenza di cornici e modanature realizzate in opera<br />
con stucchi a base di calci aeree e di elementi in camento<br />
stampato. <strong>La</strong> differenza principale nella scelta tra i due leganti<br />
è l’impossibilità della calce aerea di essere colorita in modo<br />
soddisfacente e di non poter essere nita a secco con strumenti<br />
da scalpellino, cosa possibile con gli impasti cementizi. Quindi<br />
le malte di grassello permettevano solo lavorazioni a fresco, con<br />
niture a modine, a incisione, a timbro o a mettere (aggiunta di<br />
materiale); con quelle cementizie si potevano ottenere anche<br />
super ci non liscie come la subbiatura, la scalpellinatura, la<br />
martellinatura e la bocciardatura.<br />
Le pietre potevano essere realizzate in opera o in bottega, e<br />
venivano usate anche per la produzione di pezzi unici e statue<br />
con la tecnica “a mettere”.<br />
215
Cornici<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Era conveniente realizzare in opera quegli elementi che<br />
potevano essere realizzati col modine, intelaiato su nasello<br />
o tacchetto distanziatore e fatto scorrere su un regolo ssato<br />
al muro. Se l’aggetto superava i 4 centimentri era necessario<br />
predisporre ossature interne in laterizio, realizzate “a Madonna”<br />
(a posteriori) con chiodature di sostegno, inserite direttamente<br />
nelle commettiture dell’apparecchiatura muraria. Lo strato di<br />
rivestimento veniva realizzato con successivi passaggi con malte<br />
cementizie a base di cemento 325 a presa lenta, più lavorabile<br />
di quelli con titolo superiore. L’ossatura veniva prima ricoperta<br />
da una schizzatura di 6/7 mm. di malta, successivamente da un<br />
arriccio di 2 cm. gettato a cazzuola che poi veniva ripetutamente<br />
ripassato con il modine o il contromodine ntanto che la malta<br />
era plasmabile; solo successivamente si procedeva all’ultimo<br />
strato con malta pigmentata e il modine de nitivo sull’arriccio<br />
ben tirato.<br />
<strong>La</strong> lavorazione poteva essere fatta con malte di grassello o di<br />
cemento, per le quali veniva raccomandato che la schizzatura<br />
fosse fatta con forza per garantire un ancoraggio ottimale al<br />
supporto.<br />
Elementi ornamentali ripetitivi<br />
Questi venivano realizzati in bottega utilizzando stampi in<br />
gesso, spesso riutilizzati per opere diverse nelle quali venivano<br />
diversamente riassemblati gli elementi “a catalogo” della bottega<br />
artigiana.<br />
Lo stampo veniva realizzato a colo o a calco con le stesse<br />
tecniche usate per la lavorazione della terracotta, a partire da<br />
un modello preesistente in pietra, o appositamente realizzato in<br />
legno o gesso, sul quale si costruiva un controstampa in gesso<br />
216<br />
Elementi ornamentali in conglomerato<br />
cementizio, le applicazioni presenti<br />
all’ingresso sono prodotte industrialmente,<br />
cornici e fascioni venivano<br />
eseguiti in opera con sagome.
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
che serviva per la successiva produzione degli stampi d’uso, che<br />
avevano una durata limitata.<br />
Dentro lo stampo unto con soluzioni disarmanti (soluzione di olio<br />
di lino cotto e poca acquaragia) venivano posizionati i tondini<br />
dell’armatura interna, procedendo poi alla colatura dell’impasto<br />
agitando bene la forma per evitare la formazione di bolle d’aria.<br />
Nei pezzi di piccole dimensioni l’armatura era costituita da<br />
stoppa.<br />
Finta pietra<br />
I bozzati rustici ( nti bugnati) venivano realizzati in opera, a due<br />
le per volta, partendo dall’alto.<br />
<strong>La</strong> realizzazione di bozze gentili (liscie) non richiedeva altra<br />
nitura che il passaggio del modine con uno strato sottile di<br />
malte grasse da velo, a base di calce aerea. Nella nitura a<br />
incisione si procedeva con il passaggio con strumenti dentati<br />
a pettine, solcando la super cie con graf paralleli, dritti o<br />
ondulati e usando se necessario la spatola per simulare i giunti.<br />
L’aggiunta di materiale in modo irregolare e spessori diversi con<br />
la tecnica a mettere permetteva di simulare paramenti irregolari,<br />
nei quali l’ef cacia imitativa era strettamente legata all’abilità<br />
dell’artigiano.<br />
Le lavorazioni a timbro prevedevano l’uso di uno strumento<br />
di legno chiamato bugno, costituito da una tavoletta chiodata<br />
con un manico sul retro; la diversa concentrazione, forma e<br />
dimensione delle teste dei chiodi de niva le caratteristiche del<br />
disegno nale, comunque morbido e poco profondo.<br />
Nelle lavorazioni in opera, particolare importanza assume la<br />
nitura super ciale a secco, che interessa esclusivamente i<br />
rivestimenti cementizi riprendendo le lavorazioni tipiche della<br />
pietra naturale.<br />
Le lavorazioni a secco venivano realizzate dopo 15-20 giorni<br />
di stagionatura. Quindi prima del completo indurimento del<br />
cemento.<br />
L’intervento di restauro dovrà tenere in considerazione la<br />
metodologia di lavorazione tradizionale, e analizzare la miscela<br />
di stucco utilizzata e la coloritura (o eventuale lavorazione), al<br />
ne di riproporre l’originario stato dell’opera.<br />
<strong>La</strong>terizio<br />
Le costruzioni cimiteriali sono spesso di altezza modesta, i<br />
prodotti laterizi per muratura possono essere impiegati anche<br />
217
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
in murature, di preferenza a faccia vista, portanti ordinarie e in<br />
murature portanti armate. Le murature a faccia a vista vengono<br />
realizzate con mattoni paramano o da paramento e sono<br />
disponibili in una vasta gamma cromatica ( dal giallo, al rosso,<br />
al bruno) e di nitura super ciale ( liscio, sabbiato, graf ato,<br />
rustico).<br />
Le cause di degrado dei paramenti in mattoni e degli elementi in<br />
cotto sono diverse e possono essere riassunte in dissesto sico<br />
per cause meccaniche e in aggressione chimica ad opera di agenti<br />
esterni. In entrambi i casi il degrado è legato alle caratteristiche<br />
costruttive del muro, alla qualità dell’esecuzione muraria e dei<br />
materiali. <strong>La</strong> stabilità complessiva dell’edi cio riduce le possibili<br />
cause di dissesto delle cortine mentre il loro buon assestamento<br />
garantisce un migliore comportamento dell’insieme strutturale.<br />
<strong>La</strong> qualità dei mattoni è importante perchè dalla composizione<br />
dell’impasto dipendono la resistenza meccanica e la porosità dei<br />
pezzi, mentre la cottura in uisce sulla stabilità chimica e sulla<br />
durabilità in ambiente aggressivo. Infatti il materiale ben cotto è<br />
poco permeabile e durevole, ma una cottura insuf ciente facilita<br />
le in ltrazioni di acqua e l’aggressione atmosferica e lo rende<br />
deperibile.<br />
Il degrado sico si manifesta con la sconnessione di paramenti,<br />
la possibile rottura dei pezzi e la presenza di lesioni murarie<br />
evidenziate da crepe. Le murature a sacco delle fabbriche antiche<br />
si adattano ai piccoli movimenti degli edi ci con l’assestamento<br />
del nucleo interno sfuso, riassorbito nel paramento dai giunti di<br />
malta, che hanno resistenza meccanica inferiore a quella del<br />
mattone. Le lesioni seguono la tessitura dei giunti e solo nei casi<br />
più gravi provocano la rottura dei pezzi. <strong>La</strong> presenza di pezzi<br />
rotti è possibile anche in assenza di lesioni per la manifestazione<br />
successiva alla posa di rotture occulte, evidenziate dalle tensioni<br />
provocate dai piccoli assestamenti dell’edi cio. Queste sono più<br />
facili nei grandi pezzi ornamentali che per effetto della dimensione<br />
218<br />
Scagliature e perdita deei materiale,<br />
le cause sono da imputarsi al processi<br />
di gelo-disgelo.<br />
Le zone sottostanti i cornicioni presentano<br />
depositi salini, che si formano<br />
per evaporazione delle acque<br />
percolanti.
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
presentavano maggiori dif coltà di essiccazione e cottura. Negli<br />
ornamenti costruiti il dissesto sico si legge come interruzione<br />
del disegno per il distacco di pezzi o la rottura super ciale delle<br />
parti esterne.<br />
Il degrado chimico si manifesta con macchie, ef orescenze e la<br />
corrosione dei pezzi. Esso è favorito dalla presenza di umidità,<br />
dalla porosità del materiale e dall’aggressività dell’atmosfera<br />
inquinata e delle piogge acide. <strong>La</strong> sporcizia che annerisce i<br />
paramenti a vista alterando il colore dei mattoni può costituire<br />
una sorta di rivestimento che favorisce il degrado chimico della<br />
super cie sottostante, che reagisce con i materiali del deposito.<br />
L’inquinamento produce fenomeni disgreganti di solfatazione,<br />
che si manifesta con esfoliazioni del mattone e sfarinatura del<br />
cotto e della malta. I gas di scarico provocano delle incrostazioni<br />
di prodotti carboniosi simili alla gra te. L’aggressione di un<br />
paramento in laterizio a vista, non protetto dall’intonaco o da<br />
altri rivestimenti è favorita dalla cattiva stuccatura dei giunti e<br />
dalla rugosità super ciale dei mattoni. Negli elementi decorativi<br />
l’aggressione chimica comporta il deterioramento del modellato<br />
e la cancellazione del disegno. L’osservazione del costruito ha<br />
evidenziato una qualità migliore nei pezzi speciali e negli elementi<br />
decorativi, fatti con argille di granulometrie più ni e sottoposti ad<br />
una produzione più accurata e quindi meno deperibili, almeno in<br />
assenza di rilievi troppo minuti.<br />
<strong>La</strong> lettura del degrado richiede apporti interdisciplinari per il<br />
corretto esame delle cause scatenanti.<br />
Un’altra forma di degrado può essere rappresentata da<br />
interventi di manutenzione incongrui che non hanno tenuto<br />
conto delle caratteristiche formali o materiali del paramento, che<br />
possono alterare l’insieme anche quando non compromettono la<br />
resistenza e la durabilità del muro.<br />
L’intervento sui paramenti degradati prevede la ricucitura<br />
delle lesioni, il ripristino delle parti mancanti o ammalorate<br />
e la protezione dall’aggressione chimica; esso richiede<br />
l’individuazione e il rimedio delle cause prime per limitare ulteriori<br />
danni. Le procedure di intervento evidenziano le tematiche e le<br />
tecniche del restauro e l’importanza fondamentale del rilievo per<br />
la comprensione delle cause e la lettura delle caratteristiche<br />
formali da salvaguardare.<br />
Si può sottolineare che la ricostruzione delle parti mancanti dei<br />
paramenti è funzionale alla protezione dell’apparato murario<br />
sottostante, mentre la scelta del materiale, delle malte e del tipo<br />
di stuccatura dei giunti ha un’importanza estetica e strutturale.<br />
Un fattore importante nella durata e nel mantenimento dei<br />
paramenti riguarda il legamento con la struttura sottostante<br />
219
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
e tra materiali diversi dello stesso paramento. <strong>La</strong> trattatistica<br />
rinascimentale illustra le tecniche antiche e può essere di aiuto<br />
per la comprensione dei fenomenti di degrado e l’individuazione<br />
degli interventi.<br />
Procedure consigliate per l’analisi del degrado e per le modalità di<br />
intervento sono raccolte nelle Raccomandazioni Normal, redatte<br />
a cura dell’Istituto Superiore del Restauro. Gli interventi possono<br />
essere riassunti in pulitura, sostituzione parziale, rifacimento,<br />
trattamenti chimici di protezione.<br />
<strong>La</strong> pulitura può essere fatta con vapore aqueo, acqua<br />
nebulizzata, impacchi di sostanze solventi secondo formule<br />
sperimentate, microsabbiatura con polvere di allumina o con il<br />
bisturi. <strong>La</strong> sostituzione di elementi deve avvenire con materiali<br />
e malte compatibili con quelle originali; la stuccatura dei giunti,<br />
dai quali in genere parte lo sgretolamento deve essere fatta con<br />
malte a base di calce idraulica, plastiche e permeabili al vapore.<br />
Nelle malte di stuccatura antiche sono state ritrovate aggiunte di<br />
coccio pesto, che aumentavano la idraulicità del composto, oltre<br />
a colorarlo con un tono simile a quello del mattone (es palazzo<br />
Carignano a Torino).<br />
Il consolidamento del materiale con sostanze chimiche per<br />
impedire ulteriori sgretolamenti deve avvenire solo quando il<br />
materiale è in uno stato di grave deterioramento e il suo degrado<br />
pregiudica la conservazione o la stabilità del manufatto. Infatti<br />
i consolidanti conosciuti non sono completamente reversibili e<br />
sono sostanze con caratteristiche siche, chimiche e meccaniche<br />
diverse da quelle del materiale lapideo naturale o arti ciale. I<br />
consolidanti indicati per la protezione del laterizio sono i silicati di<br />
etile, gli alchil-alcossi-silani, le miscele di silicati di etile ed alchilalcossi-silani,<br />
gli alchil-aril-polisilossani (resine siliconiche).<br />
<strong>La</strong> protezione rallenta i processi di deterioramento, può avvenire<br />
con prodotti chimici o agendo sull’ambiente esterno. Le sostanze<br />
indicate per il laterizio sono le resine siliconiche e le miscele<br />
di resine acriliche e siliconiche. Il cambiamento dell’aspetto<br />
super ciale può essere limitato agendo sulla diluizione, con<br />
opacizzanti a base di silice o con una leggera spazzolatura<br />
durante la presa. <strong>La</strong> stesura del protettivo idrorepellente è<br />
necessaria dopo il consolidamento.<br />
Bronzo (fusioni) e ferro<br />
L’iterazione metallo-ambiente porta alla corrosione del metallo<br />
(condizioni di “attività”) oppure alla formazione di un lm<br />
protettivo di prodotti di corrosione, anche sottilissimo e invisibile,<br />
che lo protegge da ulteriore attacco corrosivo (condizioni di<br />
220
Esempi di ossidazione del ferro.<br />
A sinistra le incisioni prodotte con<br />
un cuneo in metallo presentano uno<br />
strato di ossido di ferro.<br />
A destra la decorazione presenta un<br />
ossidazione di colorazione verde.<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
“passività”).<br />
<strong>La</strong> corrosione dei materiali metallici è un processo di ossidoriduzione<br />
che si instaura in conseguenza dell’interazione tra il<br />
materiale e l’ambiente che lo circonda e può causare alterazione<br />
e degrado delle proprietà chimico- siche del materiale stesso.<br />
I fenomeni di corrosione possono dividersi in corrosione a<br />
secco (dry corrosion) e corrosione ad umido (wet corrosion).<br />
Nel nostro caso riguarda la casistica in ambiente umido, la<br />
maggior parte dei manufatti dell’ottagono è conservata in esterno<br />
ed è sottoposta all’attacco degli agenti atmosferici e all’umidità.<br />
<strong>La</strong> corrosione ad umido ha luogo quando il materiale<br />
metallico viene a contatto con agenti aggressivi in soluzione<br />
acquosa (elettrolita) e segue cammini diversi di reazione<br />
in funzione del grado di acidità o basicità della soluzione.<br />
CORROSIONE ATMOSFERICA<br />
I manufatti sono spesso esposti all’atmosfera e si possono<br />
ossidare con la formazione di prodotti di corrosione più o meno<br />
compatti e protettivi.<br />
Il ruolo dell’acqua risulta di fondamentale importanza in quanto la<br />
reazione tra metallo e ossigeno, a bassa temperatura, avviene,<br />
con meccanismo elettrochimico, solo in presenza di acqua.<br />
<strong>La</strong> presenza di acqua è imputabile a tre possibili fenomeni:<br />
- Microcondensazione capillare: si veri ca in corrispondenza<br />
221
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
delle disuniformità super ciali del metallo, nelle quali il<br />
condensato tende a formare un menisco concavo su cui<br />
l’attrazione molecolare tra liquido e vapore é così alta da<br />
favorire la transizione vapore condensato;<br />
- Condensazione chimica: è dovuta alla possibilità di<br />
interazione chimica tra vapor d’acqua ed i sali presenti<br />
nella super cie metallica per dare forme fortemente<br />
idratate.<br />
- Condensazione da adsorbimento: è dovuta alle forze di<br />
legame chimico tra le molecole di vapore d’acqua e la<br />
super cie del metallo.<br />
<strong>La</strong> più semplice delle misure preventive è la pulizia; infatti<br />
l’assenza di pulviscolo dalla super cie e l’asportazione periodica<br />
di eventuali prodotti di corrosione iniziali costituisce un ef cace<br />
mezzo di difesa dall’attacco atmosferico .<br />
A scopo protettivo, il metodo più diffuso è quello della protezione<br />
con pitture, lm inorganici, cere, rivestimenti metallici che<br />
agiscono sia rallentando il processo anodico che ostacolando il<br />
processo catodico di riduzione dell’ossigeno.<br />
222<br />
Galleria Nord: deterioramento di<br />
una cancellata in ferro. Gli elementi<br />
decorativi in ferro presentano un ossidazione<br />
super ciale (ossido idrato<br />
di ferro) e incrostazioni ed ef orescenze.
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
CORROSIONE NELLE ACQUE<br />
Le acque dolci sono spesso classi cate in base alla provenienza<br />
in acque piovane, super ciali e sotterranee.<br />
L’acqua piovana è il prodotto della condensazione del vapor<br />
acqueo nell’atmosfera. Nelle zone industriali e densamente<br />
popolate le precipitazioni acquose abbattono una serie di gas<br />
presenti nell’atmosfera, specialmente ossidi di azoto e di zolfo,<br />
che impartiscono, insieme alla CO 2 , un carattere acido alle<br />
piogge. L’entità dell’attacco corrosivo delle acque contenenti<br />
ossigeno dipende in modo particolare dal loro potere incrostante,<br />
cioè dalla capacità di formare sulla super cie metallica un<br />
deposito calcareo (principalmente CaCO 3 ) in grado di esplicare<br />
un’azione protettiva molto ef cace.<br />
CORROSIONE MICROBIOLOGICA<br />
Per corrosione microbiologica o batterica si intendono tutti quei<br />
fenomeni di corrosione per i quali i microorganismi intervengono<br />
in forma diretta o tramite sostanze prodotte dal loro metabolismo,<br />
giocando un ruolo primario sia nello stadio iniziale del processo di<br />
corrosione, sia nel creare condizioni che accelerino un processo<br />
già iniziato.<br />
Responsabili di questo tipo di corrosione sono specialmente<br />
i batteri solfato-riduttori che provocano la riduzione dei solfati<br />
presenti nelle acque e nel terreno, promuovendo la formazione<br />
di solfuri metallici.<br />
Essa si veri ca per lo più in ambienti argillosi, impermeabili o<br />
impregnati d’acqua.<br />
TECNICHE DI CONSERVAZIONE<br />
Diagnosi: i metalli hanno caratteristiche individuali; sono<br />
sensibili a reagenti chimici diversi, si corrodono secondo<br />
processi differenti e, nel farlo, formano diversi tipi di incrostazioni<br />
che, prima che sia possibile decidere il migliore metodo di<br />
trattamento, vanno riconosciute e studiate.<br />
Un’analisi sica preliminare è, quindi, di grande importanza. È<br />
inoltre necessario stimare lo spessore e le caratteristiche delle<br />
incrostazioni, l’eventuale presenza di decorazioni e dettagli<br />
(che vanno conservati in quanto fattori di pregio) e le possibili<br />
fratture.<br />
Nel caso di monumenti esposti all’atmosfera, gli studi diagnostici<br />
più importanti sono: l’analisi delle caratteristiche chimiche e<br />
strutturali del materiale originario e di quello alterato, lo studio<br />
della distribuzione dell’acqua nei materiali e il rilevamento<br />
223
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
del microclima esteso nel tempo in modo da permettere<br />
l’identi cazione di eventuali cicli giornalieri e stagionali.<br />
Pulitura: il principale scopo della pulitura dovrebbe<br />
essere quello di rimuovere dalle super ci i prodotti ssati dalla<br />
condensazione. Le croste super ciali vanno, se possibile,<br />
rimosse in quanto sospettate di provocare la ricristallizzazione<br />
del materiale interno e la formazione di microfratture.<br />
I restauratori spesso raccomandano un intervento minimo nel<br />
caso in cui la patina originale (di solito ne restano solo delle<br />
tracce) o quella naturale (formatasi nell’atmosfera nel corso degli<br />
anni) siano presenti. Questo tipo di patina è considerato parte<br />
dell’oggetto, in quanto segue la super cie originaria. <strong>La</strong> pulitura,<br />
che deve essere leggera, è realizzata con acqua a bassa<br />
pressione, spazzole di nylon e scalpelli. In questo caso gli agenti<br />
chimici (ad esclusione di saponi delicati) sono evitati, poiché<br />
potrebbero interagire con quanto resta dello strato di corrosione.<br />
Se si presentano strati decoesi (nello speci co scaglie), si ricorre<br />
all’utilizzo di strumenti vibranti.<br />
Una volta effettuata la pulitura, possono essere utilizzati strumenti<br />
abrasivi per la lucidatura super ciale dello strato di corrosione<br />
rimanente e renderlo più denso e consistente.<br />
Consolidamento: nel caso di reperti o manufatti porosi che<br />
si disgregano in profondità e tendono a trasformarsi in polvere,<br />
la tecnologia di conservazione è basata sull’impregnazione con<br />
sostanze che ristabiliscono l’adesione tra i grani distaccati o in<br />
procinto di staccarsi.<br />
È essenziale per il successo dell’operazione che l’impregnazione<br />
raggiunga tutto il materiale disgregato e non si limiti a formare uno<br />
224
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
strato super ciale giacente su un materiale insuf cientemente<br />
consolidato che sarebbe quindi facilmente distrutto.<br />
In generale qualunque processo di consolidamento deve avere<br />
come risultato nale la formazione di una super cie compatta<br />
allo scopo di ostacolare la penetrazione di agenti corrosivi e il<br />
conseguente deterioramento.<br />
Protezione: <strong>La</strong> protezione può consistere nell’applicazione di<br />
lm super ciali aderenti al metallo o di inibitori di corrosione. I lm<br />
protettivi, che vanno applicati su materiale pulito e perfettamente<br />
consolidato, dovrebbero rispondere ai seguenti requisiti:<br />
- Essere impermeabili al vapore d’acqua e agli agenti<br />
aggressivi presenti nell’ambiente;<br />
- Avere un aspetto naturale;<br />
- Essere reversibili;<br />
- Essere trasparenti così da rendere prontamente visibile<br />
ogni processo corrosivo sulla super cie del metallo;<br />
In passato sono stati usati diversi prodotti (monomeri, acrilati,<br />
acetati, epossidi, pitture, cere e lacche), ma pochi hanno<br />
superato la prova del tempo.<br />
Nessuna sostanza è completamente ef cace; tuttavia, i lm a<br />
base di cere microstalline, poco permeabili al vapore d’acqua<br />
e con elevato punto di fusione, sono considerati oggi i protettivi<br />
migliori. Le cere, oltre ad isolare il manufatto dall’umidità e dagli<br />
agenti aggressivi presenti in atmosfera, ne aumentano resistenza<br />
e stabilità e sono eccellenti per consolidare oggetti fragili.<br />
Gli inibitori sono sostanze che, aggiunte in piccole quantità agli<br />
ambienti aggressivi, possono rallentare no anche ad annullare i<br />
processi di corrosione.<br />
Le sostanze in possesso di queste caratteristiche sono molte<br />
e di natura assai diversa: ad esempio il benzotriazolo e il<br />
mercaptobenzotriazolo sono speci ci per il rame e le sue leghe,<br />
i benzoati per gli acciai, i silicati per il ferro. In generale la loro<br />
azione si esplica tramite modi cazione dello strato super ciale<br />
metallico, in seguito a processi di adsorbimento o di reazione<br />
tra materiale metallico e inibitore con separazione di prodotti alla<br />
super cie da proteggere.<br />
IL BRONZO<br />
Il bronzo è stata la prima lega prodotta intenzionalmente<br />
dall’uomo su vasta scala.<br />
Nella sua formulazione più semplice è una lega binaria a base<br />
di rame e stagno, ma spesso il termine bronzo viene esteso<br />
anche a una serie di leghe a base di rame in cui lo stagno non è<br />
225
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
l’elemento aggiuntivo principale o addirittura non è presente.<br />
È noto da molto tempo che i minerali contenenti cloruri sono<br />
implicati nella corrosione del rame e delle sue leghe. <strong>La</strong><br />
presenza di cloruri non crea instabilità immediata, come nel<br />
caso di ferro, acciaio e ghisa che formano cloruri solubili e vanno<br />
incontro a cambiamenti chimici piuttosto rapidi nei terreni, questo<br />
comporta dei problemi nella pulitura meccanica dei bronzi. <strong>La</strong><br />
rimozione di incrostazioni antiestetiche, pur migliorando l’aspetto<br />
del metallo, potrebbe esporre i pits e promuovere l’interazione fra<br />
umidità e cloruri, con conseguente attivazione di questi ultimi ed<br />
insorgenza di “bronze disease”.<br />
L’effetto dei complessi del cloro e della presenza di acqua<br />
adsorbita o presente negli interstizi dell’oggetto è quello di<br />
produrre corrosione no all’esaurimento dell’acqua per idrolisi<br />
dei cloruri o alla sua evaporazione, che può avvenire prima del<br />
completo consumo dei cloruri disponibile.<br />
Gli interventi di nitura dei bronzi consistono in una patinatura<br />
arti ciale, che oltre a essere una scelta a ni estetici, da la<br />
possibilità di attuenuare le imperfezioni nel manufatto. Nelle<br />
fusione di grandi oggetti la nitura era volta principalmente al<br />
mascheramento delle giunture saldate.<br />
Esteticamente essa era volta a conferire una colorazione al<br />
bronzo senza nasconderne la natura, ma solo anticipando un<br />
processo di alterazione che si sarebbe veri cato naturalmente<br />
con il passare del tempo. Nell’antichità si utilizzava olio (Aristotele,<br />
Plutarco) e olio di lino e calore (Teo lo), mentre il Vasari cita l’uso<br />
di aceto per conferire un colore verde alle statue.<br />
<strong>La</strong> diffusione della patinatura arti ciale per via chimica avviene,<br />
su larga scala, solo nel XIX secolo con l’avvento dell’era<br />
industriale. Anche se si moltiplicano i trattamenti, le ricette usate<br />
e, quindi, i colori ottenuti, la patinatura continua ad essere un’arte<br />
basata sulla maestria e la creatività di coloro che la eseguono,<br />
più che sul loro sapere tecnico.<br />
Per correlare lo sviluppo della patina con i solfati presenti<br />
nell’atmosfera in cui la stessa si forma (soprattutto a contatto<br />
con le piogge acide) sono stati costruiti diagrammi di stabilità del<br />
rame in soluzione acquosa.<br />
226
Pavimentazione più antica in laterizio<br />
dolce. <strong>La</strong> pavimentazione originaria<br />
presenta uno strato di materiale<br />
incongruo (calcestruzzo) che in fase<br />
di restauro verrà asportato. Sono<br />
presenti numerose lacune che dovranno<br />
essere integrate con materiali<br />
congrui all’esistente.<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Pavimentazioni esterne (portico e campi)<br />
Materiali e disegni / interventi ammessi e/o consigliati<br />
Percorsi interni<br />
Il rivestimento pavimentale dell’ottagono monumentale è vario<br />
ed è stato modi cato nel corso degli anni rispetto al progetto<br />
originale.<br />
Il pavimento dei percorsi principali dei campi era in mattoni.<br />
Non sono stati trovati documenti riguardo alla pavimentazione<br />
esistente dei vialetti di accesso alle cappelle private ed eventuali<br />
indicazioni su materiali utilizzati o suggeriti.<br />
Pavimenti e bordature<br />
Le singole unità del portico sono caratterizzate in modo<br />
relativamente autonomo, pur inquadrandosi in una struttura<br />
architettonica unitaria (il portico), presentano differenti tipologie<br />
di pavimentazione.<br />
I pavimenti attuali non sono omogenei né per materiale né<br />
per epoca di realizzazione, e in genere non presentano pregio<br />
particolare. Il materiale dominante è il cemento, accompagnato<br />
dal cotto e dal marmo.<br />
Non sempre ci sono bordature in corrispondenza degli archi di<br />
delimitazione delle campate, ma in genere è evidente il con ne<br />
di pertinenza a metà pilastro. Il materiale della bordatura, anche<br />
quando è diverso, risulta sempre condizionato da quello del<br />
pavimento, l’associazioni cemento lisciato bianco o grigio chiaro<br />
nella bordatura e mattonelle cementizie a dama bianco/nera è<br />
abbastanza diffuso.<br />
227
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Circa due terzi risultano coperti con piastrelle di cemento stampato<br />
a quadri rigati, in genere posati in diagonale con bordature diritte,<br />
più raramente posati diritti e senza bordature. Questi pavimenti,<br />
caratterizzano con particolare regolarità il lato della galleria Sud-<br />
Est, nel quale sono stati effettuati dei lavori durante gli anni ’20;<br />
è possibile che il pavimento sia stato rifatto in quell’occasione, il<br />
materiale sembra compatibile con il periodo.<br />
Pochi pavimenti e botole sono attribuibili al progetto originale<br />
dell’Ottagono.<br />
I documenti testimoniano la pavimentazione in ammattonato<br />
dei viali interni, ma non fanno particolare riferimento alle<br />
pavimentazioni degli archi che, per il regolamento emanato da<br />
Maria Luigia alla fondazione del cimitero erano di libera nitura,<br />
come l’ornamento dei singoli archi.<br />
In pochissimi archi il pavimento attuale sembra essere ancora<br />
quello primitivo, ma nella stragrande maggioranza esso è stato<br />
e rifatto.<br />
Cinque sono gli archi che conservano pavimenti in laterizio dolce;<br />
tre sono pavimentati in mattoni, due in pianelle quadrate ed in<br />
entrambe le soluzioni la campata risulta de nita da bordature in<br />
mattoni a coltello di larghezza corrispondente alla metà pilastro,<br />
ovvero un mattone.<br />
Un unico arco ha il pavimento a seminata palladiana verde con<br />
bordature gialle; un altro ha un pavimento in cemento colorato<br />
con una dama di piastrelle bianco/nero bordate altenate in<br />
positivo/negativo intorno ad una botola bordata di marmo.<br />
Più numerosi sono gli archi con vecchi pavimenti in piastrelle di<br />
cemento colorato bianco e nero a dama;<br />
Cinque archi hanno pavimenti in marmo di Carrara bianco e<br />
grigio,a dama, tozzetti o con un disegno grande a fasce e cornici,<br />
probabilmente risalenti agli anni ‘20-’30.<br />
228<br />
Tipologie di pavimentazioni del portico:<br />
a sinistra quadrotti di cemento<br />
bicromo posato obliquamente e<br />
bordatura in accoltellato di mattoni;<br />
a destra pavimentazione con disegno<br />
cruciforme in marmo bicromo.<br />
Quadrelli in cemento stampato disomogenei<br />
e con diverse rotture e<br />
lacune.
Botole del portico con depositi di<br />
polveri e macchie causate dall’ossidazione<br />
del metallo (a sinistra). Le pietre<br />
possono presentare alveolazioni<br />
dovute a depositi di acqua e all’usura<br />
(a destra)<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
In alcuni casi il rifacimento dei pavimenti è riferibile<br />
all’accorpamento di archi alla disponibilità da parte di confraternite<br />
religiose o laiche, come quelli della curia (a sinistra dell’oratorio),<br />
della Pia Unione Uf cianti (lato nord-ovest).<br />
I pavimenti di rifacimento più recente sono in cotto ferrigno tipo<br />
Impruneta, più o meno rustico, con bordature a listello, come si<br />
osserva nei due archi dell’Università e in molti della curia o di<br />
congregazioni religiose.<br />
L’arco di ingresso è pavimentato in lastre di granito.<br />
Importante sarebbe il ripristino delle bordature, per le quali<br />
dovrebbero essere privilegiati il mattone a coltello e il cemento<br />
lisciato.<br />
Botole<br />
Le botole che sembrano essere rimaste inalterate sono quelle<br />
delle arcate 27, 75, 85, 111, 113, 24. <strong>La</strong> prima, la terza e la quarta<br />
sono uguali, in pietra grigia con cornici uguali, a spigoli smussati<br />
e giunti sulle diagonali e sembrano offrire l’esempio di riferimento<br />
del progetto originario, altre non hanno cornice, o presentano<br />
una tipologia analoga al modello di riferimento realizzata con<br />
materiali più ricchi.<br />
L’allargamento delle aperture sembra essere iniziato molto<br />
presto e non è escluso che gli ultimi archi siano stati realizzati n<br />
dall’origine con uno standard diverso, come documenta la pietra<br />
doppia in biancone della famiglia Carraglia, arco 127, datata<br />
1859, con cornici in marmo rosa.<br />
Pochi sono gli altri casi di lastre tombali di fattura più ricercata,<br />
scolpite (famiglia Crescini, arco<br />
71) o ornate da elementi metallici (famiglia Croci e Pia Unione<br />
229
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Uf cianti). Queste ultime risultano stilisticamente legate<br />
all’allestimento ornamentale dominante dell’arcata e in alcuni<br />
casi sono ben integrate nel disegno di pavimenti di marmo<br />
realizzati probabilmente nei primi decenni del secolo scorso.<br />
L’arco 128, dal quale si accede al chiostro Padre Lino, ha una<br />
botola doppia in cemento con<br />
cornice policroma in rilievo a listelli di marmo rosa e rosso.<br />
<strong>La</strong> botola di chiusura è un elemento integrante del pavimento. In<br />
alcuni casi la chiusura risulta risolta come elemento emergente,<br />
ma in altri casi la chiusura tende ad essere neutra, dissimulandosi<br />
per quanto possibile nella pavimentazione. Moltissime sono le<br />
botole in cemento lisciato, e queste misurano quasi sempre 90<br />
x 180.<br />
Oggi la dimensione di queste aperture costituisce il principale<br />
intralcio alla funzionalità e rappresenta un nodo importante<br />
da risolvere. Il vano minimo, secondo la nuova legge 626,<br />
per l’introduzione in orizzontale della bara dovrebbe misurare<br />
almeno 210x70.<br />
Nella maggior parte delle cripte la botola, che originariamente<br />
sembra essere stata di circa 80x80 (misure della pietra, alle quali<br />
deve essere sottratto l’appoggio di circa 5 cm. per parte) misura<br />
90 x 180. Un paio arrivano a 100 cm di larghezza o a 200 di<br />
lunghezza.<br />
All’oggi nessuna apertura ha le caratteristiche per permettere<br />
l’immissione delle bare di piatto<br />
Si ritiene quindi opportuno permettere l’allungamento delle<br />
aperture, limitando la deroga procedurale a quelle cripte che<br />
hanno pietre tombali particolarmente pregevoli. In alcuni casi<br />
l’adeguamento potrebbe comunque essere concesso integrando<br />
la pietra con elementi aggiuntivi. Nei pochi casi in cui di decidesse<br />
di vincolare il mantenimento dell’apertura primitiva, la cripta<br />
potrebbe essere usata solo come ossario o/o cinerario.<br />
230<br />
Botole in marmo del portico: elementi<br />
di degrado, quali depositi e croste<br />
nese hanno intaccato le decorazioni<br />
del marmo (a sinistra); la pietra presenta<br />
lacune e sgretolamenti, le bordature<br />
in marmo presentano depositi<br />
di polvere e lesioni.
Glossario<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Bocciardatura: lavorazione eseguita con il martello a bocciarla, le cui teste presentano una<br />
super cie con elementi piramidali ‘detti a diamante’, regolarmente disposte in<br />
numero variabile da 9 no a 64 bocche<br />
Compimento: lavoro a cui si sottopongono le pietre dopo lo sbozzo, si distingue in varie<br />
fasi che sono le seguenti: subbiatura na, gradinatura, martellinatura grossa e<br />
na, scalpellatura, rotatura ed orsatura, levigatura, lucidatura. A queste fasi se ne<br />
aggiungono altre due: la raf latura, che è il compimento degli orli delle lastre, e la<br />
scoltura, che si esegue talvolta anche solo dopo lo sbozzo.<br />
Embricato: o (raro) imbricato agg. 1 Coperto di embrici: tetto – 2 Detto di foglie, squame di<br />
pesci e sim. sovrapposte le une alle altre come gli embrici di un tetto.<br />
Embrici: tegola in cotto. Viene generalmente impiegata,<br />
in coppia con il coppo, per realizzare lo strato<br />
inferiore del manto di copertura, mentre il coppo<br />
completa la parte superiore unendo fra loro due<br />
embrici accostati.<br />
Una alternativa, meno frequente, prevede la<br />
messa in opera di embrici, rovesciati, anche nello<br />
strato superiore.<br />
Frattone: Particolare tipo di frattazzo con lama rettangolare generalmente in acciaio<br />
fornito di una impugnatura in legno posizionata centralmente rispetto all’utensile.<br />
Trova impiego per stendere colle o per lisciare intonaci in grassello di gesso o<br />
scagliola.<br />
Granitura: Azione attraverso la quale si rende leggermente rugosa la super cie liscia di<br />
una pietra litogra ca. <strong>La</strong> granitura della pietra litogra ca si ottiene stro nando l’una<br />
contro l’altra due pietre della medesima qualità, tra le quali è stata sparsa sabbia<br />
nissima impregnata d’acqua.<br />
Martellina : o “martellina a penna” , con due penne a<br />
tagliente dritto o dentato, con 4 no a 32 denti,<br />
distinta secondo l’acutezza del tagliente ed il<br />
numero dei denti in na, mezzana, grossa.<br />
231
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Modine: sagoma in lamiera che riproduce il pro lo dell’elemento da realizzare, ssata a<br />
una maniglia, o sprone, in legno. Il modine può essere sciolto (senza telaio) o<br />
completato con carrello di scorrimento, o marciamodine, con tacchetti di ssaggio.<br />
Il modine (modano, modino) o raffetto è la controsagoma lignea rivestita di latta<br />
utilizzata per imprimere il pro lo delle cornici facendolo scorrere su asticelle di<br />
legno ssate alla super cie da modellare.<br />
Pomiciatura: nitura che fa parte del procedimento di levigatura, si procede al lavaggio, con<br />
acqua e pietra pomice, seguita dalla luci datura della super cie, prima con polvere<br />
di tripoli, carbone di legna e olio, poi con il solo olio;<br />
Sagomatura: (o tirar a sagoma) realizzata con il modine, che viene fatto scorrere sulla<br />
malta acora fresca lungo delle linee guida di legno per facilitare gli allineamenti; è<br />
indispensabile impostare e realizzare i rilievi architettonici di maggiore emergenza<br />
direttamente sul muro vivo. Su di esso stabilite forme e partiture, inizia l’opera<br />
dell’artigiano. Quasi sempre, in ogni modo per aggetti nali superiori ai 4cm, è<br />
necessario abbozzare il rilievo de nitivo collocando sul muro opportuni spessori<br />
che possono essere di laterizio ma anche di legno.<br />
Stucco: impasto di calce o gesso e polvere di pietra (solitamente travertino o marmo),<br />
utilizzato sia per modellare rilievi o decorazioni sia per creare uno strato di<br />
copertura delle super ci piane dalla coloritura bianca, spesso utilizzato per simulare<br />
rivestimenti lapidei. (G.A.Breyman, 1853)<br />
Tinteggiatura a olio: pellicola di rivestimento decorativo ottenuta trattando la super cie con<br />
una dispersione di pigmenti in oli siccativi (tradizionalmente olio di lino o olio di<br />
noce), secondo modalità decisamente prossime a quelle proprie della pittura a<br />
olio.<br />
Sabbiatura: per la subbiatura di nitura si usa la subbia ne (Fig.6), con colpi paralleli; la Subbia<br />
o Punta (Fig.6), è uno scalpello che termina in punta a piramide quadrangolare “più<br />
o meno acuminata, distinta perciò na, mezzana e grossa”.<br />
232
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecnologie costruttive<br />
Superfi cie (o pelle): la super cie di una pietra prende diversi nomi a seconda della lavorazione<br />
cui è stata sottoposta: a pelle grossolana, se è solo sbozzata con la subbia grossa;<br />
a pelle rustica, se è stata sottoposta alla subbiatura na od alla gradinatura; a pelle<br />
arricciata, se lavorata alla martellina grossa; a pelle piana, se alla martellina na;<br />
a pelle liscia, se allo scalpello; dicesi poi arrotata, levigata, lucidata secondo la<br />
corrispondente fase del lavoro di compimento (...) <strong>La</strong> scalpellatura si divide ancora<br />
in stretta ed estesa; la prima serve a compire super cie strette, (...) quella estesa<br />
viene eseguita dopo la martellinatura nel granito e roccie analoghe prima della<br />
rotatura, poichè male si arroterebbero se fossero soltanto martellinate.” (D. Donghi,<br />
Manuale dell’architetto, 1906, p. 261-262)<br />
per la lavorazione delle super ci G. Giovannoni nelle note del trattato di G.A.<br />
Breymann, 1920, p.34, dà de nizioni leggermente diverse da quelle date sopra dal<br />
Donghi. “ Pel modo di lavorazione delle faccie si ha la pelle grossolana quando si<br />
ha la sola lavorazione con la martellina, pelle rustica quando son ridotte a grossa<br />
grana con un martello a penna dentata, pelle liscia quando si è fatta acquistare<br />
alle faccie una grana na, pelle arricciata quando si ha la lisciatura o cesellatura<br />
degli spigoli e nel mezzo super cie rustica, pelle spiumata quando si fa liscia tutta<br />
la super cie.”<br />
233
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecniche<br />
MATERIALI E TECNICHE DI LAVORAZIONE<br />
I manufatti del <strong>Cimitero</strong> della <strong>Villetta</strong> presentano una ripetitività nell’uso dei materiali da<br />
costruzione e delle essenze delle pietre e dei marmi.<br />
Nello studio dei materiali sono state individuate le seguenti essenze:<br />
- per i rivestimenti murari:<br />
MARMO OPACO<br />
PIETRA OPACA<br />
INTONACO<br />
DECORAZIONE PITTORICA (AFFRESCO, TEMPERA)<br />
- per le pavimentazioni:<br />
COTTO<br />
CEMENTO STAMPATO<br />
CEMENTO BICROMATICO<br />
MARMO OPACO<br />
PIETRA OPACA<br />
- per gli arredi e decorazioni:<br />
CEMENTO SCOLPITO FUORI OPERA<br />
CEMENTO DA RIVESTIMENTO IN OPERA<br />
PIETRA<br />
MARMO<br />
L’operazione successiva ha visto l’analisi delle fi niture e delle lavorazioni presenti nel complesso<br />
monumentale, che sono state elencate per categoria di materiale.<br />
Pietra:<br />
Pomiciatura: fi nitura che fa parte del procedimento di levigatura, si procede al lavaggio, con<br />
acqua e pietra pomice, seguita dalla luci datura della superfi cie, prima con polvere<br />
di tripoli, carbone di legna e olio, poi con il solo olio;<br />
Granitura: Azione attraverso la quale si rende leggermente rugosa la superfi cie liscia di una<br />
pietra litografi ca. <strong>La</strong> granitura della pietra litografi ca si ottiene strofi nando l’una<br />
contro l’altra due pietre della medesima qualità, tra le quali è stata sparsa sabbia<br />
fi nissima impregnata d’acqua.<br />
Intonaco:<br />
Intonaci a fi nto marmo: la colorazione dello stucco mediante pigmenti costituisce l’elemento<br />
caratterizzante della tecnica dei rivestimenti a imitazione del marmo. <strong>La</strong> colorazione<br />
poteva avvenire nell’impasto oppure con l’applicazione dei colori sulla superfi cie già<br />
realizzata. Le fonti esaminate dedicano grande spazio soprattutto alla descrizione<br />
degli stucchi coloranti nella fase di amalgama. L’impasto per tale tipo di stucchi era<br />
formato da scagliola (chiamata anche mischia), ossia un impasto di gesso cotto con<br />
una soluzione di colla animale, mescolato a pigmenti e ad eventuali additivi. Le colle<br />
234
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecniche<br />
consigliate dalle fonti sono generalmente due: la colla di Fiandra e la colla di pesce.<br />
Per entrambe si raccomanda di non usarle né troppo forti né troppo deboli, perché<br />
nel primo caso avrebbero allontanato troppo le particelle del gesso impedendo la<br />
formazione di un corpo compatto, e nel secondo non le “riunisce abbastanza”. In<br />
ogni caso è sempre l’esperienza o, come afferma Rondelet, “l’uso quello che fa<br />
conoscere il grado che conviene ad ogni specie di gesso”; e in ciò consisterebbe,<br />
secondo l’Autore, il preteso segreto di ogni stuccatore.<br />
Intonaci a “stucco lucido”: Gli impasti per gli intonaci a “stucco lucido” sono gli stessi dello<br />
stucco a imitazione del marmo e del marmorino, cambiano soltanto le metodologie<br />
esecutive e alcune fi niture superfi ciali atte a rendere la lucentezza del marmo oltre<br />
che imitarne le venature.<br />
Tinteggiatura a olio: pellicola di rivestimento decorativo ottenuta trattando la superfi cie con una<br />
dispersione di pigmenti in oli siccativi (tradizionalmente olio di lino o olio di noce),<br />
secondo modalità decisamente prossime a quelle proprie della pittura a olio.<br />
Stucchi:<br />
Stucco: impasto di calce o gesso e polvere di pietra (solitamente travertino o marmo), utilizzato<br />
sia per modellare rilievi o decorazioni sia per creare uno strato di copertura delle<br />
superfi ci piane dalla coloritura bianca, spesso utilizzato per simulare rivestimenti<br />
lapidei. (G.A.Breyman, 1853)<br />
Sagomatura: (o tirar a sagoma) realizzata con il modine, che viene fatto scorrere sulla malta<br />
acora fresca lungo delle linee guida di legno per facilitare gli allineamenti; è<br />
indispensabile impostare e realizzare i rilievi architettonici di maggiore emergenza<br />
direttamente sul muro vivo. Su di esso stabilite forme e partiture, inizia l’opera<br />
dell’artigiano. Quasi sempre, in ogni modo per aggetti fi nali superiori ai 4cm, è<br />
necessario abbozzare il rilievo defi nitivo collocando sul muro opportuni spessori<br />
che possono essere di laterizio ma anche di legno.<br />
Modine: sagoma in lamiera che riproduce il profi lo dell’elemento da realizzare,<br />
fi ssata a una maniglia, o sprone, in legno. Il modine può essere sciolto (senza<br />
telaio) o completato con carrello di scorrimento, o marciamodine, con tacchetti di<br />
fi ssaggio. Il modine (modano, modino) o raffetto è la controsagoma lignea rivestita<br />
di latta utilizzata per imprimere il profi lo delle cornici facendolo scorrere su asticelle<br />
di legno fi ssate alla superfi cie da modellare.<br />
235
Scalpellatura:<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecniche<br />
Martellinatura: raffi nato processo di fi nitura che si ottiene con l’uso della martellina;<br />
Martellina : o “martellina a penna” , con due penne a tagliente dritto o dentato,<br />
con 4 fi no a 32 denti, distinta secondo l’acutezza del tagliente ed il numero dei<br />
denti in fi na, mezzana, grossa.<br />
236
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecniche<br />
Sabbiatura: fi nitura che si esegue con la subbia fi ne, eseguita con colpi paralleli:<br />
Levigatura a smeriglio:<br />
Bocciardatura: lavorazione eseguita con il martello a bocciarla, le cui teste quadrate presentano<br />
una superfi cie con elementi piramidali dette ‘a diamante’, regolarmente disposte<br />
in numero variabile da 9 fi no a 64 per bocche; talvolta è formata da varie lame<br />
sovrapposte tenute insieme da viti o cunei. Questa specie di martellina è detta<br />
americana.<br />
237
ANALISI DI DEGRADO DEI MATERIALI<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecniche<br />
Lo studio dei processi di deterioramento dei materiali è complesso, poiché essi includono<br />
eventi di varia natura (meccanici, fi sici, chimici, biologici) che pur essendo sudiati uno alla<br />
volta per costruire modelli interpretativi semplici, nella realtà interferiscono continuamente tra<br />
di loro, determinando meccanismi complessi di diffi cile verifi ca sperimentale.<br />
DETERIORAMENTO FISICO: è legato alla penetrazione dell’acqua in pori e fratture, risucchiata<br />
dalla forza di capillarità. L’acqua può provenire dall’atmosfera o dall’interno della struttura.<br />
Eventi quali gelo/disgelo, sbalzi termici, piogge acide, ruscellamenti, perdite nelle strutture<br />
possono favorire questo tipo di degrado..<br />
DETERIORAMENTO MECCANICO: legato alla fragilità caratteristica della pietra, materiale<br />
duro ma incapace di deformazione plastica. lavorazione,<br />
pulitura, carichi e deformazioni;<br />
DETERIORAMENTO CHIMICO: effl orescenze saline; subeffl orescenze saline, piogge acide<br />
(carbonatazione);<br />
DETERIORAMENTO BIOLOGICO: piante superiori, microorganismi (alghe e licheni);<br />
EFFETTI SUI MATERIALI:<br />
Pietra:<br />
ESFOLIAZIONE<br />
DECOESIONE GRANULARE<br />
EFFLORESCENZE SALINE<br />
MACCHIE E ALTERAZIONI CROMATICHE<br />
PATINE PROVOCATE DA MICRORGANISMI VEGETALI E ANIMALI<br />
MACCHIATURE INDOTTE DAL DEGRADO DI PARTI IN FERRO O IN BRONZO<br />
CROSTE NERE<br />
Intonaco:<br />
FESSURAZIONE<br />
SGRETOLAMENTO<br />
SCAGLIATURA<br />
DISTACCO PARZIALE<br />
DISTACCO TOTALE<br />
Calcestruzzo:<br />
238
FESSURAZIONE<br />
DELAMINAZIONI SUPERFICIALI<br />
DISTACCHI<br />
OSSIDAZIONE<br />
MACCHIE<br />
PATINA BIOLOGICA<br />
INTERVENTO:<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecniche<br />
Pulitura<br />
<strong>La</strong> pulitura è l’operazione con cui vengono eliminate dal supporto tutte le sostanze estranee ad<br />
esso (incrostazioni, croste, macchie, effl orescenze e biodeteriogeni).<br />
<strong>La</strong> pulitura è un’operazione irreversibile e come tale va affrontata con tutte le precauzioni<br />
indispensabili per ottenere risultati ottimali.<br />
Una buona pulitura deve essere selettiva, rivolta solamente a ciò che in fase preliminare si è<br />
pensato di eliminare, deve essere lenta e graduale, controllabile in ogni fase dall’operatore.<br />
E’ importante che i metodi di pulitura siano delicati, evitando di creare dannose microfratture<br />
o abrasioni, non devono lasciare materiali residui e dannosi per la conservazione del<br />
manufatto.<br />
Consolidamento<br />
Il consolidamento è un’operazione mirata a migliorare le caratteristiche di coesione di un<br />
supporto poroso, così come a incrementare l’adesione dello strato superfi ciale consolidato<br />
con la massa sottostante.<br />
Tendenzialmente, in seguito al trattamento consolidante la struttura dello stato decoeso<br />
viene modifi cata in quanto la porosità del sistema viene più o meno profondamente occupata<br />
dalle molecole stesse del consolidante, che restituiranno alla struttura una certa tenacia e<br />
una maggiore resistenza all’ulteriore eccesso d’acqua, con conseguente decremento della<br />
tendenza al degrado chimico e strutturale.<br />
<strong>La</strong> caratteristiche di cui un consolidante deve essere dotato sono:<br />
- buone capacità di penetrazione in profondità all’interno del materiale decoeso;<br />
- distribuzione omogenea all’interno dello strato poroso, senza la formazione di lacune;<br />
-<br />
-<br />
riduzione parziale, ma non completa della porosità, così che il supporto consolidato<br />
mantenga una buona permeabilità al vapore, all’acqua e ai solventi organici;<br />
assenza di sottoprodotti dannosi per il materiale;<br />
Protezione<br />
Il trattamento protettivo ha lo scopo di ridurre la penetrazione d’acqua all’interno della struttura,<br />
ovvero di inibirne o rallentarne gli effetti di trasformazione chimica e fi sica che portano al<br />
degrado del substrato.<br />
Un buon protettivo deve quindi esercitare in generale un buon effetto idrorepellenteo, in<br />
alternativa, passivante, oltre a possedere alcuni requisiti fondamentali:<br />
- assenza di sottoprodotti dannosi al supporto;<br />
- stabilità all’azione della luce e all’azione degli inquinanti atmosferici;<br />
- permeabilità al vapore, all’acqua e ai solventi organici;<br />
239
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecniche<br />
Contrariamente al consolidante il protettivo non deve penetrare all’interno della porosità del<br />
supporto.<br />
Fonti Bibl.: C.Arcolao, Le ricette del restauro. Malte, intonaci, stucchi dal XV al XIX secolo, Marsilio Ed., Venezia, 1998; G. Torraca,<br />
<strong>La</strong> cura dei materiali nel restauro dei monumenti, Monsignori Ed., Roma, 2001; E. Pedemonte, G. Fornari, Chimica e restauro,<br />
Marsilio Ed., Venezia, 2003; G. Strappa (a cura di), Edilizia per il culto, UTET, Milano, 2005; AA.VV., Trattamenti consolidanti e<br />
protettivi organici applicati a intonaci, in Arkos, n°11, anno VI, Luglio/Settembre 2005, pagg.63-68.<br />
240
Pietra:<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecniche<br />
ESFOLIAZIONE<br />
PULITURA : pulitura meccanica manuale con bisturi e spazzole di saggina;<br />
CONSOLIDAMENTO: consolidanti organici con composti polimerici come polimeri siliconici o<br />
alchilalcossisilani;<br />
FINITURA<br />
DECOESIONE GRANULARE<br />
PULITURA : pulitura meccanica manuale con bisturi e spazzole di saggina;<br />
CONSOLIDAMENTO: consolidanti organici con composti polimerici come polimeri siliconici o<br />
alchilalcossisilani;<br />
FINITURA<br />
EFFLORESCENZE SALINE<br />
PULITURA pulitura chimica, in soluzioni o con impacchi di argille in soluzione;<br />
CONSOLIDAMENTO<br />
FINITURA<br />
MACCHIE E ALTERAZIONI CROMATICHE<br />
PULITURA: pulitura ad acqua nebulizzata o supportata da materiali speciali come la polpa di<br />
cellulosa o argille (sepiolite)<br />
CONSOLIDAMENTO<br />
FINITURA<br />
PATINE PROVOCATE DA MICRORGANISMI VEGETALI E ANIMALI<br />
PULITURA: con biocidi ad azione specifi ca, effi caci contro i biodeteriogeni, senza interazioni<br />
col materiale del manufatto, a bassa tossicità;<br />
CONSOLIDAMENTO<br />
FINITURA<br />
MACCHIATURE INDOTTE DAL DEGRADO DI PARTI IN FERRO O IN BRONZO<br />
PULITURA: pulitura chimica, in soluzioni o con impacchi di argille in soluzione;<br />
CONSOLIDAMENTO<br />
FINITURA<br />
CROSTE NERE<br />
PULITURA: pulitura meccanica manuale con carte abrasive, bisturi e spazzole di saggina;<br />
CONSOLIDAMENTO<br />
FINITURA<br />
Intonaco:<br />
241
FESSURAZIONE<br />
PULITURA<br />
CONSOLIDAMENTO<br />
FINITURA<br />
SGRETOLAMENTO<br />
PULITURA<br />
CONSOLIDAMENTO<br />
FINITURA<br />
SCAGLIATURA<br />
PULITURA<br />
CONSOLIDAMENTO<br />
FINITURA<br />
DISTACCO PARZIALE<br />
PULITURA<br />
CONSOLIDAMENTO<br />
FINITURA<br />
DISTACCO TOTALE<br />
PULITURA<br />
CONSOLIDAMENTO<br />
FINITURA<br />
Calcestruzzo:<br />
PULITURA<br />
CONSOLIDAMENTO<br />
FINITURA<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
Relazione tecnica / materiali e tecniche<br />
242
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
LE MICROARCHITETTURE:<br />
I SEPOLCRI
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
Le microarchitetture: i sepolcri<br />
INDICE<br />
Campione di sepolcri in tutela<br />
PRCNE0001 Cappella Corazza<br />
PRCNE1001 Cappella Milza<br />
PRCNE1002 Cappella Azzoni<br />
PRCNE3007 Cappella Bottioni, Magnani <strong>La</strong>urens<br />
PRCNE3019 Cappella Corazza<br />
PRCNE3020 Cappella Lisoni<br />
PRCNE3030 Cappella Stori Brigenti<br />
PRCNE3032 Cappella Tanzi<br />
PRCNE4001 Cappella Zanzucchi<br />
PRCNO1001 Cappella Romanini/Medioli<br />
PRCNO1009 Cappella Caprioli<br />
PRCNO3001 Cappella Rizzi<br />
PRCNO3005 Cappella Oleari<br />
PRCSE0001 Cappella Paganini<br />
PRCSE1002 Cappella Contini<br />
PRCSE1003 Cappella Peracchi<br />
PRCSE1004 Cappella Terzi<br />
PRCSE1010 Cappella Zanichelli<br />
PRCSE2001 Cappella Baistrocchi<br />
PRCSE2004 Cappella Poli<br />
PRCSE2006 Cappella Molinari<br />
PRCSE3001 Cappella Grassi<br />
PRCSE3009 Cappella Pizzetti<br />
PRCSE4001 Cappella Barilla<br />
PRCSE4001 Cappella Dazzi<br />
PRCSE4002 Cappella Leoni<br />
PRCSE4003 Cappella Visconti<br />
PRCSO0001 Cappella Colla<br />
PRCSO1001 Cappella Rizzoli<br />
PRCSO2001 Famedio Campanini<br />
PRCSO2002 Cappella Bormioli<br />
PRCSO2004 Cappella Romanelli
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTNE1011 Tomba Lugarini<br />
PRTNE3004 Tomba Montali Schiaretti<br />
PRTNE3012 Tomba Coppi<br />
PRTNO1031 Tomba Merli<br />
PRTNO2010 Tomba Cloetta<br />
PRTNO3023 Tomba Salvatori<br />
PRTSE2005 Tomba Cerutti<br />
PRTSE2012 Tomba <strong>La</strong>gazzi Rizzoli<br />
PRTSE3031 Tomba Frattini<br />
PRTSE4003 Tomba Gardelli<br />
PRTSO1011 Tomba Carpi<br />
PRTSO2032 Tomba Pecchioni<br />
Campione di sepolcri in conservazione<br />
PRCNE1003 Cappella Vietta<br />
PRCNE1006 Cappella Mordacci<br />
PRCNE2001 Cappella Chiari<br />
PRCNE2004 Cappella Bacigalupo Cremonini<br />
PRCNE2007 Cappella Quintavalla/Villa<br />
PRCNE2008 Cappella Zasso<br />
PRCNE2011 Cappella Bottego Ghidini<br />
PRCNE2015 Cappella Ghirardi<br />
PRCNE3022 Cappella Spaggiari<br />
PRCNE3033 Cappella Redenti<br />
PRCNE4008 Cappella Masci<br />
PRCNE4014 Cappella Bottego<br />
PRCNO2003 Cappella Ghiretti<br />
PRCSE1009 Cappella Filagrana<br />
PRCSE3006 Cappella Campelli<br />
PRCSE4015 Cappella Sorba<br />
PRCSE4019 Cappella Guaita<br />
Campione di sepolcri in valorizzazione<br />
PRCNE2010 Cappella Grossi Foresti<br />
PRCNO3003 Cappella Alessandrini<br />
PRCNO4015 Cappella Scotti<br />
PRCSE3008 Cappella Baistrocchi Gaidolfi<br />
PRCSO2020 Cappella Baistrocchi
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTNO3024 Tomba Allegri<br />
PRTSE1064 Tomba Grossi<br />
PRTSE4002 Tomba Chiusi<br />
PRTSO2007 Tomba Melotti<br />
Campione di sepolcri in riqualifi cazione<br />
PRCNO1013 Cappella Ceresini
Campioni di sepolcri in TUTELA<br />
Cappella Corazza, 1925<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE0001<br />
nome Cappella Corazza, 1925 TUTELA<br />
stile Eclettico / Neoromanico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC, licenze di fabbriche<br />
Ennio Mora<br />
allegorie e simboli<br />
Mosaico di angelo ( messaggiero di Dio nell'ora<br />
del trapasso) nella lunetta timpanata della facciata<br />
a sud. Il soggetto si staglia su uno sfondo dorato ed<br />
è vestito di rosso con in mano un ramoscello di<br />
ulivo, simbolo della pace.<br />
Arcana, <strong>La</strong> luce dell'immenso<br />
Per la presenza del protiro della facciata principale con<br />
timpano soprastante, l'inserimento di bifora sulla parete<br />
retrostante e gli archetti pensili che fanno da cornice al<br />
tetto a due falde, è possibile ricondurre la cappella a<br />
stilemi neoromanici. Gli elementi ornamentali (acroteri,<br />
capitelli con foglie, le pietre colorate che perimetrano il<br />
sottotetto, le cornici di fiori, la scanalatura delle<br />
colonnine) la rendono particolarmente sontusa.<br />
laici<br />
classici acroteri<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce, angelo
Cappella Milza,1932<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE1001<br />
nome Cappella Milza, 1932 TUTELA<br />
stile Eclettico Neoromanico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
colonnine pensili,<br />
mosaico colorato<br />
cancello in ferro a motivi<br />
geometrici regolari<br />
fonti archivistiche ASC, 1932 culto/amministraz. Comunale<br />
Camillo Uccelli<br />
allegorie e simboli<br />
<strong>La</strong> pianta è quadrata e innalza prospetti elaborati con<br />
protiro, colonnine, archetti, zoccoli, archi e lunette<br />
decorati con mosaici dorati e con motivi floreali dai<br />
colori accesi; la forma architettonica riprende gli stilemi<br />
neoromanici, la decorazione, motivi liberty. Nell’insieme<br />
il carattere è eclettico<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Azzoni<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE1002<br />
nome Cappella Azzoni TUTELA<br />
stile Dèco / Liberty<br />
ornamento<br />
documenti<br />
bibliografia<br />
allegorie e simboli<br />
Il cancello in ferro, con<br />
motivi geometrici<br />
(cerchio, quadrato)<br />
stilizzati a formare<br />
linearismi floreali, segue<br />
stilemi liberty.<br />
L'impianto segue stilemi decò: la base quadrata a<br />
gradini innalza un parallelepipedo bucato da una vetrata<br />
che per il suo arretramento rispetto al filo esterno,<br />
conferisce un forte contrasto chiaroscurale;<br />
internamente la luce rosata e lo slancio verticale,<br />
ricorda l'ambiente delle cattedrali gotiche.<strong>La</strong> porta in<br />
ferro battuito è decorata a motivi floreali in sile art-<br />
nouveau ed è sormontata da un timpano. Il grigio del<br />
calcestruzzo e il rigore formale esterno contrasta con<br />
"l'ambiente liberty" interno.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
cervo che si abbevera in una<br />
fontana<br />
religiosi croce
Cappella Bottioni, Magnani <strong>La</strong>urens, 1954<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE3007<br />
nome a Bottioni, Magnani <strong>La</strong>urens, 1954 TUTELA<br />
stile Classicista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, b.93/201-1954<br />
Ettore Leoni<br />
allegorie e simboli<br />
Per l'impostazione simmetrica e l'equilibrio compositivo<br />
riscontrabile sia in pianta che in alzato, gli stilemi<br />
riconducono l'oggetto ad una composizione di<br />
linearismo decò: il gioco delle volumetrie concave e<br />
convesse che conferiscono un certo dinamismo plastico<br />
alle superfici verticali e il trattamento della superficie a<br />
piastroni in travertino che contrastano con la<br />
modanatura curva del portone d'ingresso in serpentino<br />
sono gli elementi ornamentali che conferiscono il<br />
carattere all'insieme.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Corazza, 1941<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE3019<br />
nome Cappella Corazza, 1941 TUTELA<br />
stile neoromanico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
<strong>La</strong> pianta è di forma rettangolare a schema<br />
longitudinale con le tombe inserite nelle navatelle<br />
laterali.Il protiro della facciata principale con timpano, le<br />
colonnine con capitelli a foglie stilizzate, la cornice che<br />
perimetra il tetto a capanna e le navatelle laterali che<br />
contengono le tombe, riconducono l'edicola a stilemi<br />
neoromanici. I materiali usati esternamente sono il<br />
mattone e il marmo bianco di carrara; l'interno presenta<br />
una piccola absidiola in asse all'ingresso e forata con<br />
due monofore vetrate; il tutto è rivestito in marmo beige.<br />
cornici, colonnine e capitelli in marmo bianco, paramento in mattoni a vista<br />
ASC, licenze di fabbriche, b.110/4-1941<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
Cappella Lisoni PRCNE3020<br />
nome Cappella Lisoni<br />
TUTELA<br />
stile Eclettico / Liberty<br />
ornamento<br />
storia/licenze/autore<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Una pianta quadrata con tetto a due falde e cornice "a<br />
foglie" a concludere il colmo del tetto con emberice, le<br />
paraste con capitelli a motivi floreali e portale con arco<br />
ogivale e il rosone centrale conferiscono all'insieme un<br />
carattere neogotico. Nell'insieme però l'architettura è di<br />
tipo eclettico per l'atteggiamento stilistico che fonde<br />
metodi diversi tratti da più indirizzi o scuole.<br />
Il rosone al centro della cornice ad ogiva che<br />
inquadra la porta e definisce un disegno<br />
goticheggiante, riprende l'idea di una piccola chiesa<br />
medioevale.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Stori Brigenti<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE3030<br />
nome Cappella Stori Brigenti TUTELA<br />
stile decò<br />
ornamento<br />
storia/licenze/autore<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
<strong>La</strong> pianta è quadrata i prospetti seguono forme<br />
geometriche semplificate; il fronte presenta un portale<br />
con timpano sporgente e mensole che inquadrano un<br />
cornicione "ondulato". <strong>La</strong> forte plasticità data dalle<br />
masse e dalle ombre generate dai rilievi, conformano<br />
l'architettura alle linee dell'architettura del primo<br />
novecento che si conformano ad una stilizzazione<br />
dell'architettura classica-romana.<br />
Al fianco del portale sono scolpite in rilievo due<br />
figure maschili a torso nudo, che pioangono con la<br />
testa appoggiata ad un braccio. A sua volta l'arto è<br />
puntellato ad un anfora simbolo della forza della<br />
vita terrena e spirituale.<br />
ASC,licenze di fabbriche, b.67/3094-1930<br />
laici<br />
Alessandro Marzaroli<br />
(architetto-scultore)<br />
classici anfora<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi Cristo Crocifisso
Cappella Tanzi, 1939-41<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE3032<br />
nome Cappella Tanzi 1939-41 TUTELA<br />
stile Eclettico neobarocco<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
I fronti propongono una ripresa delle formulazioni<br />
curvilinee ornate a rocailles e a valenza floreale<br />
(rococò), con elementi compositivi che nel loro<br />
insieme risultano enfatizzati e per certi versi non<br />
privi di contaminazioni eclettiche. Il cancello in ferro<br />
con decorazioni geometriche a motivi floreali<br />
connota una formulazione liberty.<br />
ASC, licenze di fabbriche, b.112/248-1941<br />
Il gioco capriccioso e leggero di stucchi, cornici, festoni,<br />
volute bizzarramente intrecciate, nega la forma<br />
architettonica.<br />
Il carattere rococò dell'insieme individua anche una<br />
ricerca di ritmi dinamici tipica del barocco, ma<br />
interpretata in chiave raffinata e leziosa.<br />
laici<br />
classici vaso<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi urna, croce e vaso
Cappella Zanzucchi<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE4001<br />
nome Cappella Zanzucchi TUTELA<br />
stile liberty/decò<br />
ornamento<br />
documenti Mario Monguidi<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Cancello in ferro con decorazioni geometriche a<br />
motivi floreali di carattere liberty; mosaico di angelo<br />
<strong>La</strong> pianta è quadrata, i fronti triangolari; un'importante<br />
zoccolatura inquadra l'ingresso sovrastato da una<br />
fessura vetrata. L' architettura riprende un disegno<br />
geometrico semplice in cui spicca la figura del<br />
triangolo e del quadrato.<br />
Il mosaico della facciata, raffigurante l'angelo in<br />
preghiera con calzari ai piedi e gigli decorativi,<br />
presenta colori accesi in cui domina l'azzurro e il<br />
rosae il giallo in contasto con la linearità dell'insieme<br />
architettonico.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi angelo; croce; gigli
Cappella Romanini/Medioli, 1926<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNO1001<br />
nome Cappella Romanini/Medioli, 1926<br />
TUTELA<br />
stile decò<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
I fronti sono articolati da sarcofagi laterali in marmo e da<br />
aperture stette che conferiscono slancio verticale<br />
all'architettura. L'ingresso, costituito da un portale in<br />
ferro decorato con una croce, prosegue nella sua<br />
geometria ad incorniciare il frontone mosaicato<br />
raffigurante un guerriero crociato con vessillo in atto di<br />
preghiera. Nell'insieme l'edicola rivestita in marmo risulta<br />
seguire linee geometriche d'ispirazione art decò.<br />
Mosaico raffigurante un guerriero crociato (Daniele<br />
de Stobel 1929). Il mosaico presenta contorni<br />
definiti: un'accurata ombreggiatura e una brillante<br />
gamma cromatica contribuiscono all' effetto<br />
plastico d'insieme. Il disco dorato che circonda il<br />
capo è simbolo di santità che contrassegna<br />
personalità sovraumane.L'opera è così connotata<br />
da una grande devozione cristiana di un uomo<br />
d'armi. Il tema risulta essere debitore di un<br />
idealismo di stampo medioevale.<br />
Arcana, <strong>La</strong> luce dell'immenso<br />
ASC, licenze di fabbriche, b.63/168/1926<br />
laici<br />
arch. Mario Vacca,<br />
arch.Ettore Leoni, Daniele de<br />
Stobel<br />
classici guerriero crociato in preghiera<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi lampada accesa
Cappella Caprioli, 1934<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNO1009<br />
nome Cappella Caprioli, 1934<br />
TUTELA<br />
stile decò<br />
ornamento<br />
storia/licenze/autore<br />
Il cancello in ferro è<br />
articolato seguendo<br />
linearismi geometrici artdecò.<br />
I simboli alfa e<br />
omega sono simboli<br />
caratteristici delle tombe<br />
cristiane indicano l'inizio e<br />
la fine: situati ai lati<br />
dell'ingresso, inquadrano<br />
e sottolineano la scritta<br />
del nome della famiglia.<br />
fonti archivistiche ASC, licenze di fabbriche, 165/1934<br />
Moderanno Chiavelli<br />
allegorie e simboli<br />
Arcana, <strong>La</strong> luce dell'immenso<br />
<strong>La</strong> geometria trapezioidale del fronte, il timpano che<br />
termina con acroteri stilizzati, articolano l'architettura di<br />
carattere classico secondo stilemi art-decò.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Edicola Rizzi, 1953<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNO3001<br />
nome Edicola Rizzi, 1953<br />
TUTELA<br />
stile eclettico<br />
ornamento<br />
Il fronte è caratterizzato da effetti decorativi di<br />
risonanza barocca: i bassorilievi floreali, gli<br />
archetti pensili, i motivi a foglie del cornicione<br />
conferiscono all’opera un notevole effetto<br />
plastico.<br />
<strong>La</strong> pianta rettangolare presenta nicchie<br />
laterali che contengono le tombe, e che si<br />
configurano come le navatelle laterali delle<br />
prime chiese romaniche.<br />
Il piano verticale presenta, insieme agli<br />
elementi decorativi sopra menzionati, il portale<br />
in ferro con anfore. Il grosso rosone<br />
soprastante inscrive una croce con<br />
rappresentato un bassorilievo con i temi della<br />
"Deposizione di Cristo" e "della sua Gloria<br />
(Cristo in trono)".<br />
Il cancello in ferro presenta elementi<br />
ornamentali di anfore e figure elementari<br />
(cerchio e quadrato) a formare uno schema in<br />
linea con la forma architettonica dell'insieme.<br />
documenti Ettore Leoni<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
laici<br />
classici clessidra<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi<br />
Cristo morto (deposizione e<br />
gloria di Cristo); clessidra
Cappella Oleari, 1942<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNO3005<br />
nome Cappella Oleari, 1942<br />
TUTELA<br />
stile moderno<br />
ornamento Ennio Mora<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Il diverso uso del materiale (mattone e travertino) sulle<br />
facciate, la presenza di zoccolatura e il portale<br />
aggettante conferiscono plasticità all'insieme<br />
contrastando la linearità geomatrica della costruzione.<br />
<strong>La</strong> modanatura del tetto (a listelli e fasce), la presenza<br />
del portale con la scritta sovrastante conformano<br />
l'edicola agli stilemi dell'architettura classica romana<br />
razionalizzati secondo gli schematismi dell'architettura<br />
moderna.<br />
ASC,licenze di fabbriche, b,114/138-1942<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Paganini, 1919<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE0001<br />
nome Cappella Paganini, 1919<br />
TUTELA<br />
stile neoclassico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Il tempietto neoclassico a giorno con quattro colonne<br />
accoppiate, trabeazione e cupola di copertura, è dell'<br />
architetto Giovanni Pavarani. Al centro campeggia il<br />
busto di Paganini in marmo che presenta un aggraziato<br />
pathos. L'acquila con violino e arco sono bassorilievi di<br />
Giovanni Pavarani eTommaso Bandini.<br />
Busto di Nicolò Paganini (1876) scultura di Tommaso<br />
Bandini; bassorilievo raffigurante angeli che sostengono<br />
un violino.<br />
ASC/carteggio/<br />
culto/cimitero<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
Arch. Giovanni Pavarani<br />
Tommaso Bandini (scultore)<br />
violino, acquila(capacità e<br />
superbia), alloro (gloria e<br />
successo)<br />
religiosi acquila, alloro, angeli
Cappella Contini 1931<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE1002<br />
nome Cappella Contini 1931<br />
TUTELA<br />
stile eclettico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, 1288b.69/1932<br />
Ennio Mora<br />
allegorie e simboli<br />
Stilemi classicisti sono individuati nel portale con<br />
paraste che incorniciano l’ingresso in ferro con<br />
decorazioni raffiguranti svastiche; sempre in ferro è la<br />
finestra soprastante il portale con impressa la figura di<br />
“ali” simbolo mitologico di “capacità di elevazione dal<br />
peso della vita”.<br />
Il cancello è in ferro battuto con motivi geometrici<br />
"a svastica" ed è sormontato da un infisso in ferro<br />
raffigurante un acquila.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici acquila<br />
religiosi croce; acquila
Cappella Peracchi, 1931<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE1003<br />
nome Cappella Peracchi, 1931<br />
TUTELA<br />
stile Classicista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, b.70/240-1931<br />
Ennio Mora<br />
allegorie e simboli<br />
Il cancello in ferro battuto con motivi geometrici; l’anfora<br />
con manici e drappo, lo zoccolo in marmo, la facciata in<br />
marmi policromi a fascie orizzontali riprendono stilemi<br />
classicisti ribaditi dal timpano con trabeazione stilizzata<br />
e portale in aggetto che incornicia l’ingresso. Per l'uso<br />
degli elementi stilistici nell’insieme l’architettura è di tipo<br />
eclettico.<br />
Cancello in ferro battuto con motivi geometrici;<br />
anfora con manici e drappo; zoccolo in marmo;<br />
facciata in marmi policromi a fascie orizzontali.<br />
laici anfora<br />
classici anfora<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce, anfora
Cappella Terzi, 1930<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE1004<br />
nome Cappella Terzi, 1930<br />
TUTELA<br />
stile ecletticoclassicista<br />
ornamento<br />
documenti b.67/2745-1930 Arch.Vito Rastelli<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
<strong>La</strong> pianta quadrata conforma prospetti simmetrici: essi<br />
individuano sporgenze e rientranze che generano una<br />
dimanicità sottolineata dal contrasto dell’andamento<br />
orizzontale dei filari di mattoni con il verticalismo delle<br />
nicchie (ai lati) e delle colonne d’ingresso; queste<br />
definiscono, con l’architrave soprastante e le due anfore<br />
in nicchie, un portale classicista (colonne con enfasi e<br />
capitelli dorici) smentito poi dal tetto a quattro falde della<br />
copertura. Ricorda nell’ insieme le tombe che fiorivano<br />
sulla via appia in epoca romana.<br />
laici anfora<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce, anfora
Cappella Zanichelli 1944<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE1010<br />
nome Cappella Zanichelli 1944 TUTELA<br />
stile moderno<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, 51b.117/1944<br />
Americo Bonaconza<br />
allegorie e simboli<br />
Il diverso uso del materiale (mattone e travertino) sulle<br />
facciate, la presenza di zoccolatura e il portale<br />
aggettante conferiscono plasticità all'insieme e<br />
contrastano con la linearità geomatrica della costruzione.<br />
<strong>La</strong> modanatura del tetto la presenza del portale con la<br />
scritta sovrastante conformano l' edicola a stilemi<br />
classicisti rivisitati secondo un'ottica moderna.<br />
Il mosaico nella nicchia sopra il portale, raffigura il<br />
volto della Vergine: l'aureola color oro si staglia sullo<br />
sfondo mosaicato arancio creando una vivacità<br />
coloristica che contrasta con la geometria<br />
semplificata del portale.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici acquila<br />
religiosi croce; acquila
Cappella Baistrocchi<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE2001<br />
nome Cappella Baistrocchi<br />
TUTELA<br />
stile decò/eclettico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
cancello in ferro con motivi geometrici a volute<br />
ASC,licenze di fabbriche<br />
Gli stilemi dell'architettura romana con cui è trattata la<br />
superficie assumono valenza strutturale e decorativa:il<br />
disegno della ghiera dell'arco d'ingresso continua con i<br />
piedritti in mattoni ad ingorniciare il portone in ferro<br />
decorato con motivi geometrici a voluta. Il frontone che<br />
segue linearismi art decò e lo zoccolo sono in pietra<br />
bianca e contrastano con la volumetria massiccia dei<br />
mattoni.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Poli, 1929<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE2004<br />
nome Cappella Poli 1929 TUTELA<br />
stile classicista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, b.63/n°119/1928<br />
Ennio Mora<br />
allegorie e simboli<br />
Le scanalature delle paraste che inquadrano il portale<br />
sormontato da un timpano, concorrono a dare plasticità<br />
all’insieme e slancio verticale. <strong>La</strong> pianta quadrata si<br />
conforma al carattere classico dell’insieme.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Molinari, 1929<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE2006<br />
nome Cappella Molinari 1929<br />
TUTELA<br />
stile neoclassico<br />
ornamento<br />
il cancello in ferro<br />
riprende il motivo a<br />
voluta del capitello<br />
ionico<br />
documenti Ennio Mora<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Stilemi classicisti sono individuati nel timpano, nelle<br />
paraste con capitelli ionici, nella parete trattata a doghe<br />
orizzontali, nella zoccolatura che si presenta in tutti i<br />
prospetti.<strong>La</strong> decorazione del cancello in ferro riprende lo<br />
schema delle volute dei capitelli: i motivi geometrici<br />
stilizzati di motivi floreali riprendono i tematismi art decò.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Grassi 1924<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE3001<br />
nome Cappella Grassi 1924<br />
TUTELA<br />
stile neoromanico<br />
ornamento<br />
Il cancello in ferro battuto con motivi a croce<br />
contrasta con il materiale e il colore (marmo beige)<br />
degli elementi ornamentali: le colonnine e gli<br />
archetti pensili, la cornice sotto gronda a listelli, i<br />
capitelli con foglie e lo zoccolo con modanatura. <strong>La</strong><br />
facciata è rivestita in mattoni faccia a vista che<br />
conferiscono con il colore rosa un ulteriore<br />
elemento ornamentale.<br />
Camillo Uccelli<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Per la presenza degli archetti pensili che fanno da<br />
cornice al tetto a due falde inquadrando l’ingresso, è<br />
possibile ricondurre la cappella a stilemi neoromanici.<br />
Gli elementi ornamentali (cornici a listelli, capitelli con<br />
foglie, pietre rosa che colorano le superfici, lo zoccolo<br />
con modanatura in marmo beige) la rendono<br />
particolarmente sontuosa.<br />
ASC 1924 culto/cimitero<br />
ASC,licenze di fabbriche<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici croce<br />
religiosi
Cappella Pizzetti, 1943/1949<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE3009<br />
nome Cappella Pizzetti, 1943/1949<br />
TUTELA<br />
stile neoromanico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Gli archetti pensili che fanno da cornice al tetto a due<br />
falde e il protiro d’ingresso con colonnine e capitelli a<br />
foglie d'acanto, smaterializzano le masse murarie<br />
riconducendo l’edicola agli stilemi neoromanici.<br />
L'articolazione dei motivi ornamentali è data dalle cornici a<br />
listelli, dai capitelli con foglie, dalla tessitura della pietra<br />
grigia a quadri che increspa le superfici laterali e dallo<br />
zoccolo che "ancora" visivamente l'edicola al terreno.<br />
ASC,licenze di fabbriche, b.116/128-1943/1949<br />
laici<br />
classici<br />
Ennio Mora/Coderanno<br />
Chiavelli<br />
alchemici/massonici volto di Cristo<br />
religiosi
Cappella Barilla, 1940<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE4001<br />
nome Cappella Barilla, 1940<br />
TUTELA<br />
stile classicista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
mosaico di Vergine con<br />
angeli<br />
L’impianto architettonico si conforma, per il linearismo<br />
geometrico, a stilemi decò; la pianta è simmetrica e<br />
quadrata, l’ingresso è costituito da un protiro semplificato<br />
che inquadra nella lunetta un mosaico raffigurante il tema<br />
della Madonna con gli angeli. I colori accesi danno<br />
dinamismo alla linearità dell’insieme.<br />
ASC,licenze di fabbriche, b.107/173-1940<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
Camillo Uccelli<br />
religiosi Vergine con angeli
Cappella Dazzi, 1938<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE4001<br />
nome Cappella Dazzi, 1938<br />
TUTELA<br />
stile Razionalista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Per il linearismo dell’insieme lo stile si conforma ai<br />
canoni decò; il portico d’ingresso in pietra beola<br />
strutturato secondo le forme geometriche pure del<br />
cerchio e del quadrato, connota verticalità al prospetto<br />
principale che contrasta con l’orditura orizzontale del<br />
marmo beige con cui sono tessute le altre superfici.<br />
ASC,licenze di fabbriche, 295/1938<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Leoni, 1925<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE4002<br />
nome Cappella Leoni,1925<br />
TUTELA<br />
stile eclettico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
ASC, 1925 culto /cimitero<br />
Un forte verticalismo dei fronti è determinato da<br />
colonnine con capitelli a foglie che si sviluppano dall'arco<br />
d'ingresso fino a rompere la linea triangolare del tetto e<br />
individuare un secondo colmo che disegna una sorta di<br />
pronao di memoria classicista. Lo zoccolo liscio si<br />
alterna con la superficie ruvida a listoni ad andamento<br />
orizzontale e con il fregio che cammina sottolineando il<br />
profilo dell'ingresso.<br />
Sui fronti laterali i mosaici sulle mensole raffigurano<br />
il volto di Santa Chiara (il giglio ne rappresenta la<br />
purezza); i colori accesi con prevalenza dell'oro e<br />
del rosso contrastano con il colore grigio<br />
dell'insieme. Sul fronte principale l'altorilievo di due<br />
leoni conferisce una forte plasticità; il dinamismo è<br />
sottolineato dai mosaici colorati di colore blu e giallo<br />
con rappresentazioni geometriche a forma di stella.<br />
Colonnine con capitelli a foglie, arco con fregio e<br />
portone in ferro con motivi a stella concludono il<br />
sistema decorativo.<br />
laici<br />
classici leone<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce, leoni, Santa Chiara.
Cappella Visconti, 1933<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE4003<br />
nome Cappella Visconti; 1933<br />
TUTELA<br />
stile decò<br />
ornamento uroboro e acroteri<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, 76_89/1933<br />
Ing.Germano Prussia<br />
allegorie e simboli<br />
Il timpano e gli acroteri che delineano il profilo dei<br />
prospetti, connotano l’edicola con motivi classicisti. <strong>La</strong><br />
purezza della forma d’insieme confermata dalla pianta<br />
quadrata, dallo zoccolo che inquadra il portale in aggetto<br />
e dai motivi geometrici stilizzati del cancello in ferro,<br />
configurano la cappella secondo stilemi decò.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
acroterio:plinto al culmine<br />
dei frontoni nel templi<br />
uroboro:rappresenta la vita<br />
ciclica delle cose<br />
religiosi croce
Edicola Colla (terzo decennio del XX sec.)<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSO0001<br />
nome Edicola Colla (terzo decennio del XX sec.)<br />
TUTELA<br />
stile eclettico<br />
ornamento<br />
Altorilievo bronzeo raffigurante un aviatore : sdraiato e appoggiato su<br />
un gomito, è raffigurato nel pannello parietale dell'edicola, ed è<br />
probabilmente un omaggio ad un componente della famiglia caduto in<br />
volo. L'atteggiamento di mestizia e dolore viene trasmesso dal volto in<br />
cui azione e pensiero si compenetrano.<br />
Vergine con olio:è raffigurata entro una nicchia centinata posta nella<br />
facciata secondaria, essa porta una lampada nella mano sinistra e<br />
nella destra una brocca. E' l'immagine di una delle "cinque vergini<br />
prudenti" che al contario di quelle stolte si preparano al matrimonio<br />
portando con sè l'olio. Simbolo di prodenza e saggezza l'opera in<br />
bronzo rivela un certo linearismo manieristico avvicinandosi agli stilemi<br />
plastici del cinquecento.Ascensione: un angelo bronzeo che sovrasta la<br />
figura dell'aviatore e delle rovine, rappresenta l'anima pura della vittima:<br />
il delicatissimo modellato, il cui stile ricorda un certo impressionismo<br />
plastico, prende le sembianze di una fuggevole apparizione la cui<br />
forma si dissolve nello spazio circostante.<br />
Emilio Trombara<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, b.67-3063/1930<br />
Ing. P. Colla<br />
allegorie e simboli<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi<br />
angelo dell' ascensione,<br />
vergine prudente (con olio in<br />
mano)
Cappella Rizzoli, 1931<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSO1001<br />
nome Cappella Rizzoli, 1931<br />
TUTELA<br />
stile classico/liberty<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC, licenze di fabbriche, n°672/b.69/1931<br />
Ettore Leoni<br />
allegorie e simboli<br />
Caratteri classici sono individuati nel del pronao con<br />
timpano e trabeazione, nel timpano di copertura con<br />
acroteri, nelle paraste con capitelli a foglie d'acanto,<br />
nella zoccolatura .<strong>La</strong> decorazione del cancello in ferro<br />
riprende uno schema geometrico stilizzato di rimando art<br />
decò.<strong>La</strong> superficie è in travertino che contrasta con lal<br />
copertura in rame del tetto.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Famedio Campanini Clefi,1908/1919<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSO2001<br />
nome Famedio Campanini Clefi,1908/1919<br />
TUTELA<br />
stile Liberty-Simbolista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Altorilievi bronzei rappresentanti "il tramonto"e<br />
"l'aurora" posti ai lati del famedio (dedicato al noto<br />
direttore d'orchestra); i soggetti sono uomini in<br />
atteggiamento di adorazione dei Cieli. Questa<br />
iconogarfia cristiana contrasta con la laicità del<br />
monumento vicino ai canoni espressionisti e<br />
modernisti dei primi del novecento intrisi anche di<br />
valori socialisti<br />
ASC, carteggio/culto1629/ 1908<br />
culto/cimitero/ 1920<br />
Arch. Giuseppe Mancini/<br />
scultore Carlo Corvi<br />
laici organi<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi
Cappella Bormioli<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
Cappella Bormioli<br />
PRCSO2002<br />
nome Cappella Bormioli<br />
TUTELA<br />
stile Neoromanico<br />
ornamento<br />
documenti Ettore Leoni<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Leoni stilofori,colonnine in marmo beige e bianco<br />
con capitelli a foglie, archetti pensili.<br />
Il protiro d’ingresso è caratterizzato dalla presenza di<br />
leoni stilofori che sostengono, appunto, colonnine in<br />
marmo beige e bianco con capitelli a foglie. Il portale<br />
prosegue con un affresco degradato rappresentante la<br />
famiglia bormioli. Gli archetti pensili che corrono a<br />
sottolineare le falde del tetto sono anch’essi in marmo<br />
bianco in contrasto con il rosso dei mattoni che<br />
strutturano tutti i fronti. L’architettura segue stilemi<br />
neogotici<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce, leone
Cappella Romanelli, 1924<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSO2004<br />
nome Cappella Romanelli, 1924<br />
TUTELA<br />
stile liberty/decò<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
"sfinge canina"; gruppo di putti bronzei uno con in<br />
mano un libro e due con strumenti musicali: la<br />
ridondanza espressiva gli conferisce una<br />
connotazione barocca.<br />
Arcana, <strong>La</strong> luce dell'immenso<br />
ASC,culto/cimitero/1924<br />
ASC, licenze di fabbrica<br />
L’altorilievo bronzeo (nel cancello d'ingresso)<br />
rappresenta la "sfinge canina"; il gruppo di putti bronzei<br />
uno con in mano un libro e due con strumenti musicali<br />
conferiscono una ridondanza espressiva: l’insieme<br />
assume una connotazione barocca seppure il linearismo<br />
dello zoccolo, che sostiene il gruppo bronzeo, segua<br />
stilemi decò.<br />
laici<br />
Moderanno Chiavelli/ Emilio<br />
Trombara scultore<br />
classici sfinge canina (antico Egitto)<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi Angeli del Giudizio
Tomba Lugarini, 1920<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTNE1011<br />
nome Tomba Lugarini, 1920<br />
TUTELA<br />
stile<br />
ornamento<br />
documenti<br />
neoclassico per la<br />
scultura, decò per il<br />
sepolcro<br />
fonti archivistiche ASC, licenze di fabbrica<br />
G.Macchiavello<br />
allegorie e simboli<br />
Angelo con pergamena: seduto al centro del<br />
sepolcro, l'angelo in bronzo mostra la pergamena<br />
sulla quale è incisa la dedica al "tenente Lucarini",<br />
morto nel 1918 per la patria.Rappresenta il tutore<br />
che schiude l'ingresso al Paradiso per lasciare<br />
entrare l'anima del martire.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi angelo con pergamena
Tomba Montali Schiaretti, 1919<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTNE3004<br />
nome Tomba Montali Schiaretti, 1919 TUTELA<br />
stile decò<br />
ornamento<br />
documenti Emilio Trombara (?)<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
I soggetti che sovrastano la pietra sepolcrale,<br />
aggiungendovi ornamento e tranquillità, evocano un<br />
messaggio di speranza e salvezza eterna: la loro<br />
innocenza infatti, abbinata all'offerta di fiori e di<br />
musica, abbatte il cupore e l'angoscia del luogo. <strong>La</strong><br />
rotondità delle forme , unite a ornamenti floreali,<br />
tendono a far attribuire l'opera ad Emilo Trombara<br />
anche se la concessione edilizia non presenta<br />
traccia del suo nome.<br />
ASC, licenze di fabbrica<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi putti angelici
Tomba Coppi,1910<br />
nome<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTNE3012<br />
stile simbolico TUTELA<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Tomba Coppi,1910<br />
Il sentimento interiore e l'impulso dell'anima viene<br />
evocato nell' atteggiamento della figura maschile<br />
posta sulla sommità del monumento: l'uomo che<br />
medità di fronte ad un teschio indica una ricerca<br />
spirituale che può portare alla rivelazione della<br />
"luce"solo se si riflette sulla caducità della vita<br />
rappresentata dal teschio. Questa esecuzione vicina<br />
a riti medioevali è ricca di dinamismo plastico: in<br />
esso la luce e l'ombra rappresentano i simboli della<br />
vita e della morte.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce, teschio,fiaccola
Tomba Merli<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTNO1031<br />
nome Tomba Merli<br />
TUTELA<br />
stile decò/razionalista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Su un piedistallo quadrato con zoccolo a face<br />
triamgolari, si eleva un parallelepipedo che sostiene una<br />
statua bronzea di donna rivestita da un manto con<br />
andamento lineare..<br />
Il monumento bronzeo di donna con abito lungo e<br />
velo, è perfettamente in asse al mosaico sottostante<br />
il piedistallo.Per il rigore geomatrico, dato dalla<br />
stilizzazione delle forme floreali del mosaico e<br />
l'equilibrio compositivo dell'insieme, è possibile<br />
collocare l'opera nell'ambito decò/razionalista.<br />
ASC, licenze di fabbriche<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Tomba Cloetta, 1916<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTNO2010<br />
nome Tomba Cloetta, 1916<br />
TUTELA<br />
stile decò<br />
ornamento<br />
documenti Ditta Leoni<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
ASC, 1916 carteggio/cultoB/amm.comunale<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Tomba Salvatori (Salvarani), 1931<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTNO3023<br />
nome Tomba Salvatori (Salvarani), 1931<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile liberty<br />
ornamento<br />
documenti Emilio Trombara<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
<strong>La</strong> lapide è costituita da una nicchia con arco decorato,<br />
fregio a motivi geometrici e colonne con capitelli a foglie<br />
d'acanto.Per la forte componente ornamentale l'insieme<br />
si configura secondo stilemi liberty.<br />
Neonato:l'altorilievo in marmo bianco, semicoperto<br />
da un arco a tutto sesto, caratterizza il fondo della<br />
pietra sepolcrale. E' il ritratto di una neonata in<br />
posizione sdraiata con in mano una rosa simbolo<br />
universale della giovane vita e dell'innocenza.<br />
laici rosa<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi
Tomba Salvatori (Salvarani), 1931<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTNO3023<br />
nome Tomba Salvatori (Salvarani), 1931<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile liberty<br />
ornamento<br />
documenti Emilio Trombara<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
<strong>La</strong> lapide è costituita da una nicchia con arco decorato,<br />
fregio a motivi geometrici e colonne con capitelli a foglie<br />
d'acanto.Per la forte componente ornamentale l'insieme<br />
si configura secondo stilemi liberty.<br />
Neonato:l'altorilievo in marmo bianco, semicoperto<br />
da un arco a tutto sesto, caratterizza il fondo della<br />
pietra sepolcrale. E' il ritratto di una neonata in<br />
posizione sdraiata con in mano una rosa simbolo<br />
universale della giovane vita e dell'innocenza.<br />
laici rosa<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi
Tomba Cerutti<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
Sepolcro Cerutti, XX sec<br />
PRTSE2005<br />
nome Tomba Cerutti<br />
TUTELA<br />
stile liberty<br />
ornamento<br />
documenti ASC, licenze di fabbrica<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Una coppia di angeli speculari l'uno all'altro e posti<br />
all'estremità del sepolcro, portano un'acconciatura<br />
lunga e folta, lo scguardo rivoto verso l'alto, e una<br />
mano posta sul cuore. Esprimono quindi una dolce<br />
tenerezza e innocenza, unita a una tranquillizzante<br />
serenità e speranza<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi angelo con pergamena
Tomba <strong>La</strong>gazzi Rizzoli, 1923<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTSE2012<br />
nome Tomba <strong>La</strong>gazzi Rizzoli, 1919<br />
TUTELA<br />
stile decò<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche C, culto/cimitero1919 ASC, licenze di fabbrica b.65/7-1 Ennio Mora<br />
allegorie e simboli<br />
Architettonicamente segue linearismi decò; il marmo<br />
bianco liscio venato di grigio della lapide e la rugosità del<br />
basamento conferiscono contrasto all'immagine<br />
d'insieme. I volti delle sculture bronzee non manifestano<br />
pathos: nel complesso divengono elementi decorativi più<br />
che non espressionistici.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi fiaccola; croce
Tomba Frattini,1972<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
stile razionalista/futurista<br />
ornamento<br />
Tomba Frattini,1972<br />
Linee semplici configurano<br />
una geometria "pulita" e<br />
razionale, l'uso del granito<br />
bocciardato conferisce<br />
plasticità all'insieme.<br />
PRTSE3031<br />
TUTELA (statua)<br />
documenti 1972 Giuseppe Benassi<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
"Donna piangente":scolpita in marmo bianco<br />
carrarese, la statua è posta alla destra della tomba<br />
in atteggiamento che esprime non angoscia e<br />
disperazione ma "speranza" che si rivela nella sua<br />
tensione dinamica. Per il suo dinamismo si avvicina<br />
a posizioni futuriste.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Sepolcro Gardelli, 1923<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTSE4003<br />
nome Tomba Gardelli, 1923<br />
TUTELA<br />
stile decò<br />
ornamento<br />
documenti Mario Monguidi<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Mosaico raffigurante una fiaccola che spicca per un<br />
acceso cromatismo dalle tonalità gialle verdi e<br />
rosse, raffigurando con semplicità razionalista una<br />
fiaccola, simbolo della speranza divina in quanto la<br />
sua luce illumina il devoto nel momento più difficile<br />
della prova. Intarsiato in una pietra sepolcrale e<br />
centinata in travertino, il mosaico presenta<br />
caratteristiche di modernità nelle forme.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi fiaccola
Tomba Carpi<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTSO1011<br />
nome Tomba Carpi<br />
TUTELA<br />
stile decò<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
L'essenzialità delle forme di questo gruppo scultoreo, le<br />
cui superfici levigate sono racchiuse in profili allungati,<br />
conferiscono all'opera purezza e integrità plastiche,<br />
testimoniando l'impronta stlistica di inizio secolo.<br />
<strong>La</strong> maschera simbolo del dolore e della sofferenza<br />
della condizione umana connota riferimenti alla<br />
pittura surrealista di Salvador Dalì: immagini del<br />
sogno e in qualche modo dell'essere ultraterreno,<br />
con il loro aggrottarsi rappresentano una<br />
manifestazione dei sentimenti inconsci dell'essere.<br />
laici<br />
Mario Monguidi,<br />
Luigi Froni(scultore<br />
1906/1965)<br />
classici maschera<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Tomba Pecchioni, 1910<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
Sepolcro Pecchioni, 1910<br />
PRTSO2032<br />
nome Tomba Pecchioni, 1910<br />
TUTELA<br />
stile liberty<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Il monumento in pietra<br />
dedicato al patriota Pietro<br />
Pecchioni, uno dei Mille,<br />
accoglie sulla parete<br />
laterale il rilievo di una<br />
figura ammantata. Il<br />
mento del soggetto ritratto<br />
si appoggia sulla mano<br />
che stringe una spada<br />
simbolo di forza vitale e<br />
della verità celeste. Il<br />
movimento dei volumi e il<br />
tono epico del tema<br />
conferiscono un equilibrio<br />
d'insieme.<br />
Cippo funerario con zoccolatura e modanatura liscia, si<br />
configura con linearismi liberty per la presenza di una<br />
forte componente ornamentale di tipo floreale che<br />
increspa le superfici del volume conferendo dimamismo<br />
e plasticità .<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
scultore Alessandro<br />
Marzaroli<br />
religiosi spada simbolo di forza
Campioni di sepolcri in CONSERVAZIONE<br />
Cappella Vietta,1930<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE1003<br />
nome Cappella Vietta, 1930<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile Classicista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, b.67/3122<br />
Ennio Mora<br />
allegorie e simboli<br />
<strong>La</strong> pianta quadrata innalza prospetti che presentano<br />
elementi dell'architettura classica; il timpano elaborato<br />
secondo linearismi decò inquadra l'ingresso con lunetta<br />
soprastante e nichhie laterali conferendo verticalità<br />
all'insieme. <strong>La</strong> disposizione a fasce orizzontali dei<br />
lastroni di rivestimento conferisce equilibrio compositivo<br />
all'insieme.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Chiari, 1933<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE2001<br />
nome Cappella Chiari 1933 CONSERVAZIONE<br />
stile Dèco<br />
ornamento<br />
documenti Ettore Leoni<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Le formelle che fanno da cornice al tamburo<br />
dell'edicola, contengono i simboli della scala (a<br />
destra), di Cristo ( al centro) e della tenaglia,<br />
martello e chiodi (simbolo del lavoro, a sinistra).<br />
L'interpretazione potrebbe riassumersi nel<br />
seguente modo: il lavoro terreno collega l'uomo al<br />
cielo mediante la scala attraverso il Cristo.<br />
ASC,licenze di fabbriche, b.76/58-1933<br />
Essenziale nella composizione d'insieme:la pianta<br />
quadrata, l'ingresso (inquadrato da un portale con<br />
colonne ed architrave), i prospetti laterali mossi dal<br />
chiaroscuro di due piccole nicchie in cui sono inscritte le<br />
croci, la doppia modanatura liscia che sottolinea i due<br />
piani sovrapposti, conferiscono un certo equilibrio<br />
copositivo; cerchio e quadrato formano l'unità<br />
compositiva pur nella commistione di elementi stilistici.<br />
laici<br />
classici scala<br />
alchemici/massonici tenaglia, martello e chiodi<br />
religiosi croce
Cappella Chiari, 1933<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE2001<br />
nome Cappella Chiari 1933 CONSERVAZIONE<br />
stile Dèco<br />
ornamento<br />
documenti Ettore Leoni<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Le formelle che fanno da cornice al tamburo<br />
dell'edicola, contengono i simboli della scala (a<br />
destra), di Cristo ( al centro) e della tenaglia,<br />
martello e chiodi (simbolo del lavoro, a sinistra).<br />
L'interpretazione potrebbe riassumersi nel<br />
seguente modo: il lavoro terreno collega l'uomo al<br />
cielo mediante la scala attraverso il Cristo.<br />
ASC,licenze di fabbriche, b.76/58-1933<br />
Essenziale nella composizione d'insieme:la pianta<br />
quadrata, l'ingresso (inquadrato da un portale con<br />
colonne ed architrave), i prospetti laterali mossi dal<br />
chiaroscuro di due piccole nicchie in cui sono inscritte le<br />
croci, la doppia modanatura liscia che sottolinea i due<br />
piani sovrapposti, conferiscono un certo equilibrio<br />
copositivo; cerchio e quadrato formano l'unità<br />
compositiva pur nella commistione di elementi stilistici.<br />
laici<br />
classici scala<br />
alchemici/massonici tenaglia, martello e chiodi<br />
religiosi croce
Cappella Bacigalupo Cremonini, 1933<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE2004<br />
nome Cappella Bacigalupo Cremonini, 1933 CONSERVAZIONE<br />
stile neoromanico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
I fronti laterali sono ritmati da archetti e colonnine<br />
con capitelli a foglie; il travertino di rivestimento che<br />
interessa tutta la superficie, per la sua sobrietà<br />
visiva, risalta l'effetto chiaroscurale dell'insieme.<br />
ASC, Licenze di fabbrica, b.79/464-1933<br />
L'impianto ricorda quello di una chiesa romanica:<br />
all'esterno il protiro, costituito da due colonnine su base<br />
rettangolare concluse da capitelli a foglie, è sormontato<br />
da un rosone (stilizzato) e da un timpano che inquadra<br />
l'apertura sguinciata e chiusa da un portone in ferro<br />
battuto. Lo zoccolo che corre su i quattro<br />
fronti,conferisce continuità visiva ai due gradini<br />
dell'ingresso; ai lati la superficie muraria è scanalata,<br />
fino a circa 1/2 dell'altezza, da archetti a tutto sesto. <strong>La</strong><br />
copertura è a due falde e appoggia ai 4 vertici su<br />
lesene angolari.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Quintavalla-Villa, 1946<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
Cappella Quintavalla/Villa<br />
1946<br />
PRCNE2007<br />
nome Cappella Quintavalla-Villa, 1946<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile classicista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC, licenze di fabbriche, b.121/176-1946<br />
Americo Bonaconza<br />
allegorie e simboli<br />
L' avancorpo che fa da ingresso è un portale con arco e<br />
timpano strutturati secondo i canoni dell'architettura<br />
classica-romana; il chiaroscuro dei piani verticali<br />
articola la liscia superfice in travertino; nella lunetta era<br />
prevista dalla licenza l'immagine del volto di Cristo.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Zasso, 1937<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE2008<br />
nome Cappella Zasso, 1937<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile classico<br />
ornamento<br />
documenti G.Zucchi<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Il portale della facciata principale con timpano, è<br />
aggettante: le paraste continuano con un timpano<br />
insieme al quale incorniciano un dipinto che<br />
rappresenta L’Annunciazione. <strong>La</strong> modanatura del tetto<br />
(gola dritta e rovescia) è in marmo rosso di verona ed è<br />
conclusa da due acroteri ed un emberice al colmo.I<br />
materiali usati esternamente sono: il marmo rosso di<br />
verona levigato e marmo grezzo a strisce orizzontali. Ai<br />
lati due nicchie contengono le sculture di due anfore<br />
con drappeggio.<br />
ASC, licenze di fabbriche<br />
laici<br />
classici acroteri ed emberici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi<br />
croce; Madonna<br />
dell'Anninciazione
Cappella Bottego Ghidini 1954<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE2011<br />
nome Cappella Bottego Ghidini 1954<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile Classicismo eclettico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Dipinto murale, nel<br />
frontone, raffigurante la<br />
resurrezione di Cristo<br />
(AmedeoBocchi1925,1926)<br />
Arcana, <strong>La</strong> luce dell'immenso<br />
<strong>La</strong> piante è quadrata con<br />
copertura ottagonale; il<br />
rivestimento è in travertino e<br />
mattoni.<br />
ASC, Licenze di fabbrica, b.212-1180/1954<br />
P.Albisinni, Il disegno della<br />
memoria, ediz. Kappa<br />
L'iconografia del Cristo con<br />
vessillo rosso sul fondo<br />
bianco, è utilizzata per<br />
descrivere la vittoria sulla<br />
morte.L'esecuzione presenta<br />
caratteristiche manieriste del<br />
novecento e riproduce il<br />
Cristo della resurrezione di<br />
Piero della Frarncesca.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
Dott. Ing. Franco<br />
Buzzoni/dipinto Amedeo<br />
Bocchi<br />
religiosi Cristo con vessillo
Cappella Ghirardi,1938<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE2015<br />
nome Cappella Ghirardi,1938<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile razionalista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
Fasce orizzontali e verticali in travertino<br />
ditta Manara<br />
ASC, Licenze di fabbrica, b.97/22-1938<br />
<strong>La</strong> pianta quadrata innalza una forma<br />
architettonicamente riconducibile allo stile razionalista:<br />
lo zoccolo di base sale a continuazione dei prospetti e<br />
prosegue a formare motivi geometrici rettangolari. Le<br />
linee orizzontali sono interrotte per ogni fronte<br />
rispettivamente dalle finestre e dall’ingresso costituito,<br />
quest’ultimo, da un portale ad andamento verticale<br />
accentuato dalle tre croci e da una cornice in travertino<br />
e dal cancello in ferro strutturato secondo una maglia<br />
quadrata in cui sono inscritte figure geometriche<br />
riconducibili a croci.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
Cappella Spaggiari, 1945 PRCNE3022<br />
nome Cappella Spaggiari, 1945 CONSERVAZIONE<br />
stile moderno<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, 105/1945<br />
M.Monguidi<br />
allegorie e simboli<br />
mosaico<br />
L' impianto è semplificato: la pianta quadrata e le<br />
aperture minimali che fanno da ingresso e da vetrate,<br />
conferiscono all'insieme una forma "epurata" da ogni<br />
tipo di ornamento. L'unico elemento "decorativo" è la<br />
parte di rivestimento sporgente rispetto al filo dei fronti,<br />
in marmo verde di verona, che contrasta con la<br />
superficie ruvida e chiara del travertino di rivestimentio.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi
Cappella Redenti,1953<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE3033<br />
nome Cappella Redenti,1953 CONSERVAZIONE<br />
stile classicista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC, licenze di fabbriche, b.1368;233/1933-1953<br />
Ennio Mora<br />
allegorie e simboli<br />
Basso rilievo in marmo bianco rappresentante il<br />
volto di Cristo<br />
Un' architettura lineare nell'insieme: pianta quadrata,<br />
tetto a doppia falda con paraste angolari e timpano,<br />
riprendono i caratteri dell'architettura classica.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce; volto di Cristo
Cappella Masci, 1940-50<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE4008<br />
nome Cappella Masci, 1940-50 CONSERVAZIONE<br />
stile Moderno<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
L'insieme architettonico definisce un rigore geometrico<br />
e compositivo che contrasta con la trama irregolare<br />
della pietra di rivestimento "trattata a<br />
bugnato".Nell'insieme il disegno è armonico per<br />
l'equilibrio delle proporzioni.<br />
Mosaico rappresentante il Redentore seduto sul<br />
trono. L'opera rappresenta il ritorno del figlio di Dio<br />
nel giorno del Giudizio "che seduto sul trono<br />
giudicherà le nazioni". Il mondo cristiano è<br />
rappresentato da una sfera con la croce tenuta<br />
nella mano del Cristo.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi<br />
Il Redentore, sfera con<br />
croce, trono
Cappella Bottego 1955<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE4014<br />
nome Cappella Bottego 1955 CONSERVAZIONE<br />
stile classicista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
Dipinto murale, nel timpano,<br />
raffigurante la il volto di<br />
Cristo Sul fronte,<br />
in una nicchia, è inserito un<br />
bassorilievo di una corona<br />
di ghirlande con la scritta<br />
"... sepolto Mario Bottego";<br />
fonti archivistiche ASC, licenze di fabbrica, b.228/1009-1955<br />
Ing.Franco Cortesi<br />
allegorie e simboli<br />
Arcana, <strong>La</strong> luce dell'immenso<br />
P.Albisinni, Il disegno della<br />
memoria,ediz. Kappa<br />
<strong>La</strong> pianta rettangolare innalza prospetti che presentano<br />
elementi classicisti: il timpano e il cornicione si allineano<br />
alla presenza di paraste stilizzate che inquadrano il<br />
cancello d'ingresso anch'esso realizzato con un disegno<br />
regolare e semplificato nei linearismi geometrici.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi<br />
volto di Cristo; corona di<br />
ghirlanda (passaggio a<br />
nuova vita)
Edicola Ghiretti,1956<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNO2003<br />
nome Edicola Ghiretti,1956<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile classico<br />
ornamento<br />
documenti 1956 Ennio Mora<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
L’impianto architettonico è simmetrico e razionale; la<br />
stilizzazione del prospetto (realizzato in pietra verde e<br />
marmo bianco) connota un piccolo portale in aggetto con<br />
timpano che inquadra l’ingresso; una doppia cornice in<br />
marmo bianco a listelli, montati a formare una superficie<br />
irregolare, contrasta con la seconda cornice in pietra<br />
verde che conclude la superficie di ogni fronte.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Filigrana, 1932<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE1009<br />
nome Cappella Filagrana, 1932<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile neoclassico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, 250b.73/1932<br />
Ennio Mora<br />
allegorie e simboli<br />
Stilemi classicii sono individuati nel timpano spezzato<br />
"alla maniera di Michelangelo", nelle paraste, nel portico<br />
aggettante, nelle cornici a modanatura liscia. L'estrema<br />
stilizzazione dell'insieme, compreso il trattamento della<br />
superficie a intonaco liscio, rende la composizione<br />
architettonica particolarmente equilibrata.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Campelli, 1947<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE3006<br />
nome Cappella Campelli, 1947<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile moderno<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, 126/165-1947<br />
Ing.Pelagatti Carlo<br />
allegorie e simboli<br />
L’impianto architettonico si conforma, per la<br />
semplificazione geometrica, a stilemi razionalisti; la<br />
pianta è simmetrica e quadrata, l’ingresso è costituito<br />
da un portale rettangolare che nella parte superiore,<br />
presenta un bassorilievo bronzeo raffigurante il tema<br />
della deposizione di Cristo. I fronti laterali sono<br />
graficizzati da una Croce in marmo beige che contrasta<br />
con il bianco del travertino con cui sono trattate le<br />
restante parti dell’edicola.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Sorba, 1953<br />
nome<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
stile neoclassico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
Mosaico: volto del<br />
"Cristo Misericordioso"<br />
PRCSE4015<br />
CONSERVAZIONE<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, b.199/1070-1953<br />
Mario Monguidi<br />
allegorie e simboli<br />
Cappella Sorba, 1953<br />
Il marmo bianco a doghe orizzontali contrasta con i colori<br />
accesi del Cristo mosaicato sopra il portale d’ingresso e<br />
della zoccolatura in marmo verde.<strong>La</strong> linearità<br />
dell’insieme ribadita anche dalla pianta quadrata, e il<br />
timpano che corona il prospetto contribuiscono a<br />
connotare l’opera nell’ambito classicista.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi Volto di Cristo
Cappella Guaita, 1952<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE4019<br />
nome Cappella Guaita, 1952<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile classicista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, b.180/873-1952<br />
Mario Monguidi<br />
allegorie e simboli<br />
Caratteri dell'architettura classica sono individuati: nel<br />
timpano mosaicato di rosso e recante al centro una corona<br />
di alloro in travertino; nelle paraste stilizzate; nel portale<br />
ancorato al terreno con una zoccolatura che corre lungo<br />
tutto il perimetro e slanciato verso l'alto dalle due nicchie<br />
soprastani recanti due figure di angeli i cui colori accesi<br />
danno dinamismo plastico all'insieme.Tutta la superficie è<br />
in travertino inciso nei prospetti laterali dalle simbologie<br />
del cerchio e della croce.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi angeli
Campioni di sepolcri in VALORIZZAZIONE<br />
Cappella Grossi Foresti, 1949<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNE2010<br />
nome Cappella Grossi Foresti, 1949<br />
VALORIZZAZIONE<br />
stile classicista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, 121/1949<br />
E.Ricci<br />
allegorie e simboli<br />
Un' architettura lineare nell'insieme: pianta quadrata,<br />
prospetti puliti nella forma e "mossi" dal chiaroscuro<br />
delle nicchie laterali e del portale d'ingresso che arretra<br />
rispetto al filo esterno. I profili sono incorniciati da un<br />
bordo in pietra scura che arriva a sottolineare il frontone<br />
del tetto.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Alessandrini,1948<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCN3003<br />
nome Cappella Alessandrini,1948<br />
VALORIZZAZIONE<br />
stile moderno<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, b.130/192<br />
Ing.L.Bellini<br />
allegorie e simboli<br />
<strong>La</strong> pianta di forma quadrata innalza fronti che seguono<br />
linearismi essenziali; il portale aggettante in travertino e le<br />
ombre disegnate sui prospetti laterali, formano segni<br />
geomatrici che danno "ornamento plastico" all'insieme.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Scotti<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNO4015<br />
nome Cappella Scotti<br />
VALORIZZAZIONE<br />
stile classicista<br />
ornamento<br />
documenti Ennio Mora<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
L’impianto architettonico è simmetrico e razionale e<br />
rimanda alla tipologia dell’edicola Ceresini; <strong>La</strong><br />
stilizzazione del prospetto (realizzato in pietra serena e<br />
bronzo) connota un timpano a conclusione del portale in<br />
ferro aggettante rispetto al filo esterno del fronte. <strong>La</strong><br />
verticalità di questi elementi contrasta con le gli<br />
orizzontmenti dei lastroni di rivestimento.<br />
laici<br />
classici emberici stilizzati (copertura)<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Cappella Baistrocchi Gaidolfi 1946<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCSE3008<br />
nome Cappella Baistrocchi 1946<br />
VALORIZZAZIONE<br />
stile moderno/classico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, 123/383-1946<br />
Americo Bonaconza<br />
allegorie e simboli<br />
Dallo zoccolo in pietra serena si sviluppano i fronti<br />
rivestiti in travertino. <strong>La</strong> semplificazione formale<br />
dell'insieme è ribadita ulteriormente nel portale<br />
dell'ingresso, costituito da timpano e paraste stondati nei<br />
profili (anch'essi in travertino), e dal cornicione terminale<br />
che fa da copertura.<br />
Il bassorilievo bronzeo soprastante il portale raffigura il<br />
tema Biblico della Passione di Cristo; è il cammino di<br />
Gesù, carico della croce, verso il Calvario nel momento<br />
in cui viene circondato dalle pie donne: Maria (Madre),<br />
Maria di Magdala e Maria Maddalena.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce, passione di Cristo
Cappella Baistrocchi, 1946<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
Cappella Baistrocchi, 1946<br />
PRCSO2020<br />
nome Cappella Baistrocchi, 1946<br />
VALORIZZAZIONE<br />
stile classico<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,Licenze di fabbriche, b.123/347-1946<br />
Americo Bonaconza<br />
allegorie e simboli<br />
<strong>La</strong> partitura a doghe orizzontali con cui sono trattate le<br />
superfici verticali in travertino, contrasta con il verde<br />
serpentino dello zoccolo e del portale sopra il quale, in<br />
una nicchia, è inserito il bassorilievo in marmo bianco<br />
con un fanciullo in preghiera. Il timpano stilizzato con<br />
cornice ribadisce la ripresa di elementi classici.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi volto di Cristo
Tomba Allegi, 1974<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTN03024<br />
nome Tomba Allegi, 1974<br />
VALORIZZAZIONE<br />
stile classicista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC, licenze di fabbriche<br />
A.Bonaconza<br />
allegorie e simboli<br />
Il timpano e il trattamento della superficie in travertino a<br />
doghe orizzontale conferiscono all'insieme equilibrio e<br />
rigore compositivo che segue stilemi classicisti.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Tomba Grossi, 1945<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTSE1064<br />
nome Tomba Grossi,1945<br />
VALORIZZAZIONE<br />
stile classicista<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC,licenze di fabbriche, 121b.119/1932<br />
Ennio Mora<br />
allegorie e simboli<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce
Sepolcro Chiusi, 1923<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRTSE4002<br />
nome Sepolcro Chiusi, 1923<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile decò<br />
ornamento<br />
documenti<br />
fonti archivistiche ASC, 1923 carteggio/culto/cimitero<br />
Urbano Fontana<br />
allegorie e simboli<br />
L'arco a tutto sesto che fa da fondale all' intero<br />
sepolcro, è sormontato da una modanatura (gola<br />
dritta e rovescia) tipica degli elementi<br />
dell'architettura classica; la scritta e i bassorilievi<br />
indicanti i simboli alfa e omega, fanno da ornamento<br />
all''insieme.<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi croce, alfa e omega
Sepolcro Melotti<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
Sepolcro Melotti, XX sec<br />
PRTSO2007<br />
nome Sepolcro Melotti<br />
CONSERVAZIONE<br />
stile liberty<br />
ornamento<br />
Angelo piangente: rispettoso del concetto di unità<br />
progettuale e coerenza stilistica tra struttura e<br />
decorazione, l'insieme bronzeo costituito da due luci<br />
perpetue del sepolcro, e l'angelo, recuperano anche<br />
nel linearismo delle forme, l'estetica art nouveau dei<br />
primi anni del Novecento.<br />
opera non firmata<br />
documenti<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi angelo piangente
Campioni di sepolcri in RIQUALIFICAZIONE<br />
Cappella Ceresini, 1933<br />
PIANO PARTICOLAREGGIATO CIMITERIALE<br />
relazione tecnica/microarchitetture<br />
PRCNO1013<br />
nome Cappella Ceresini, 1933<br />
RIQUALIFICAZIONE<br />
stile classicista<br />
ornamento<br />
documenti Francesco Rivara (scultore)<br />
fonti archivistiche<br />
allegorie e simboli<br />
L’impianto architettonico è simmetrico e razionale; <strong>La</strong><br />
stilizzazione del prospetto (realizzato in pietra serena e<br />
bronzo) connota un timpano a conclusione del portale<br />
bronzeo con il bassorilievo del Cristo Redentore. <strong>La</strong><br />
verticalità di questi elementi contrasta con le fasce<br />
orizzontali che strutturano la superficie dei fronti. Lo<br />
zoccolo è realizzato in pietra “serpentino”.<br />
ASC, b.788, 1933 culto/cimitero<br />
laici<br />
classici<br />
alchemici/massonici<br />
religiosi Cristo redentore