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Le malattie che rubano la mente<br />
Piccolo manuale dedicato a caregivers e familiari<br />
per conoscere e affrontare le demenze<br />
.
Redazione: Laura Rossi<br />
Hanno collaborato:<br />
Barbara Dessi e Guido Rodriguez (Università degli Studi di Genova) che hanno scritto le parti sul caregiving<br />
e le malattie che generano demenze.<br />
Dario Arnaldi e Agnese Picco (Università degli Studi di Genova) che hanno elaborato i dati originati<br />
dall’inchiesta condotta a Cogoleto attraverso la diffusione del Test della Memoria.<br />
Ivana Oliveri (coordinatrice Inca Regione <strong>Liguria</strong>) che ha curato la parte relativa ai diritti.<br />
Anita Venturi (attuale sindaco di Cogoleto) e i tanti volontari dello Spi e delle associazioni di familiari che<br />
hanno reso possibile l’inchiesta di Cogoleto.<br />
Genova, giugno 2011
Indice<br />
Introduzione p. 3<br />
Il caregiver (chi si prende cura) e le demenze<br />
Parte I<br />
Parte II<br />
Esperienze di approfondimento della conoscenza sulla diffusione delle demenze tra<br />
gli anziani e sui problemi correlati<br />
1<br />
p. 7<br />
p. 27<br />
p. 49<br />
Benefici, indennità e agevolazioni di legge. Cosa fare, come fare, dove andare p. 51<br />
Numeri utili<br />
Link utili<br />
p. 62<br />
p. 65<br />
Appendice 1 p. 66<br />
Appendice 2 p. 68<br />
Appendice 3 p. 72
Introduzione<br />
Il Sindacato Pensionati Cgil di Genova e <strong>Liguria</strong> ha deciso di dedicare la propria attenzione anche<br />
alla condizione delle persone anziane affette dalla malattia di <strong>Alzheimer</strong> e da altre demenze, ed in<br />
particolar di chi si prende cura di loro.<br />
I temi dell’invecchiamento sono un terreno su cui abbiamo provato a cimentarci per<br />
esercitare con efficacia la nostra funzione di tutela e rappresentanza in materia previdenziale,<br />
della difesa del reddito, dell’intervento sulla organizzazione dei servizi, e più in generale del<br />
benessere e dei diritti di cittadinanza.<br />
Con l’aumento dell’età media della popolazione, soprattutto in una regione come la nostra,<br />
che ha il più alto indice di dipendenza tra le regioni italiane, oltre che il più alto indice di<br />
invecchiamento, crescono anche le situazioni di non autosufficienza e le malattie degenerative.<br />
Tra queste, la diffusione delle demenze si presenta come un fenomeno sociale drammatico, di<br />
cui non c’è ancora sufficiente consapevolezza nella politica, nelle istituzioni e nelle organizzazioni<br />
sociali. È un fenomeno che incide pesantemente sulla vita collettiva, oltre che su quella dei singoli,<br />
che influenza talmente le condizioni di reddito da portare a livelli di povertà tante famiglie, che fa<br />
rinunciare al lavoro molte donne, che porta con sé la diffusione del lavoro domestico di un numero<br />
molto significativo di persone immigrate, e non solo. La situazione è tale da richiedere ormai una<br />
diversa organizzazione dei servizi pubblici e strumenti per orientare e tutelare anche la spesa<br />
privata delle famiglie che investono una parte rilevante del loro reddito per l’invalidità.<br />
Non c’è solo il carico di assistenza; si aggiunge lo “smarrimento” che provoca vedere i propri<br />
cari perdere la memoria, non sapere più dove sono, non conoscere più le persone che stanno loro<br />
intorno. Ci sono momenti di emergenza che è così difficile affrontare e nei confronti dei quali ci si<br />
sente impotenti.<br />
I numeri (circa 30.000 in <strong>Liguria</strong>, con previsioni di crescita “esponenziale”), la complessità dei<br />
fattori che vengono investiti, la speciale sofferenza che malati e famiglie vivono, dovrebbero<br />
richiamare tutti a non considerare questo fenomeno come uno dei tanti e a impostare una vera<br />
strategia per organizzare interventi e reperire risorse adeguate.<br />
Lo SPI e la Cgil nel suo insieme lavorano per proporre e rivendicare scelte necessarie da parte<br />
delle Istituzioni; nel contempo esercitano la propria funzione di tutela individuale, attraverso il<br />
Patronato Inca e i Servizi fiscali.<br />
3
Con questo libretto ci proponiamo l’obiettivo di diffondere la conoscenza, e quindi la<br />
consapevolezza collettiva, sulla qualità e la dimensione del fenomeno; vogliamo anche, però,<br />
offrire alle persone interessate uno strumento, tra i tanti che sono disponibili, per “orientarsi”, per<br />
sapere un po’ di più sui loro diritti; uno strumento anche per riconoscersi in una condizione che<br />
non è solo la loro, da vivere in solitudine e magari con “vergogna”. È invece la condizione di molti,<br />
per la quale sono previsti anche servizi, prestazioni economiche e interventi che loro hanno diritto<br />
di ricevere: la diagnosi presso strutture pubbliche, la prescrizione dei farmaci, l’affiancamento<br />
all’interno di precorsi di assistenza dedicati, l’indennità di accompagnamento; e risorse sufficienti,<br />
che invece sono state tagliate in questi anni dal governo nazionale.<br />
Su questo insieme di questioni una organizzazione di rappresentanza collettiva come la Cgil<br />
vuole fare la propria parte, sia sul piano della tutela individuale, sia su quello dell’iniziativa<br />
rivendicativa verso le Istituzioni, affinché il governo nazionale finanzi in modo certo e adeguato i<br />
livelli essenziali delle prestazioni sociali e le amministrazioni regionali e locali organizzino il proprio<br />
sistema di servizi in modo efficace, integrato e aperto alle esigenze delle persone.<br />
4<br />
Anna Giacobbe<br />
Segretaria generale Spi <strong>CGIL</strong> <strong>Liguria</strong>
La mia giornata non<br />
comincia la mattina perché<br />
non finisce la sera.<br />
Una donna
Il caregiver (di chi si prende cura) e le Demenze<br />
PARTE I<br />
Quanto scritto in queste pagine non ha nessuna pretesa di<br />
essere un documento “scientifico” esaustivo sul grande<br />
problema delle demenze; il tentativo è invece quello di fornire<br />
un piccolo aiuto “pratico” a chi, per qualsiasi ragione, si trova<br />
a contatto con persone che vivono il problema delle malattie<br />
che generano demenza, in particolare quello della malattia di<br />
<strong>Alzheimer</strong>.<br />
La maggior parte dei concetti e delle informazioni non sono<br />
“originali” e si possono trovare, espressi ovviamente in forme<br />
diverse, in numerose pubblicazioni divulgative edite dalle<br />
Associazioni di volontariato o dalle istituzioni (la Regione<br />
<strong>Liguria</strong> ha finanziato il manuale “Caregiver”) o in moltissimi<br />
altri libri e testi anche di carattere scientifico.<br />
Ho cercato di esprimere concetti, anche quelli più complessi, in<br />
una forma il più possibile chiara per tutti. Il manuale è diviso in<br />
due parti nettamente distinte che posso essere lette<br />
separatamente: la seconda è sicuramente la parte più<br />
complessa che per diventare fruibile necessita di un notevole<br />
desiderio di conoscenza più specifica, non indispensabile a chi<br />
affronta la prima parte.<br />
Nel caso si desiderasse approfondire alcuni temi o mandare<br />
suggerimenti o riflessioni per le future edizioni, scrivete a<br />
gurod44@gmail.com.<br />
G.R.<br />
In genere, quando si affronta il problema delle demenze si è soliti iniziare a<br />
parlare nello specifico della malattia e in seconda battuta dei molti problemi a<br />
essa correlati, tra i quali quello delle persone che assistono i malati e che, anche<br />
da noi, vengono ormai definiti caregivers (prestatori di cure) prendendo la<br />
definizione dal lessico anglosassone.<br />
Crediamo invece che in una trattazione come questa, rivolta essenzialmente<br />
ad operatori che si confrontano con un pubblico che necessita di informazione,<br />
piuttosto che a operatori che si riferiscono a persone malate, sia giustificato<br />
iniziare a parlare, prima di tutto proprio dei “prestatori di cura”.<br />
Sono questi infatti il più delle volte i soggetti più esposti di una situazione in<br />
cui da un lato è presente il malato con le sue enormi problematiche, poche delle<br />
quali possono essere affrontate e risolte dalla medicina – almeno a tutt’oggi –<br />
dall’altro le persone che, per scelta, per dovere o per mille altre ragioni, ogni<br />
giorno impiegano parte o tutta la giornata ad assistere il malato.<br />
7<br />
“Caregivers”, i<br />
prestatori di cura
Nel nostro paese dai primi anni Novanta, sulla spinta della realtà<br />
epidemiologica emergente (si pensi che in Italia nel 2010 ci sono circa 1 milione<br />
di malati ) e, soprattutto, sulla non più illimitata disponibilità di risorse<br />
economiche del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), le problematiche legate alle<br />
demenze e all’impatto che queste malattie hanno sulle famiglie sono diventate<br />
oggetto di attenzione sempre crescente. Le demenze sono a tutt’oggi un insieme<br />
di patologie tra le più onerose dal punto di vista sociale, con un costo medio per<br />
paziente, comprensivo sia dei costi dei familiari sia di quelli a carico della<br />
collettività, stimato in differenti studi tra 50 e 60.000 euro all’anno (Gambina G.,<br />
http://www.aiesweb.it/media; Trabucchi, 1996). 1<br />
La cifra comprende costi diretti, quali quelli per l'assistenza domiciliare<br />
professionale, la spesa farmacologica, gli ausili non farmacologici, le visite<br />
mediche specialistiche, gli esami di laboratorio e strumentali, le ospedalizzazioni<br />
e così via. Ci sono poi i costi indiretti, che sono l’assistenza domiciliare prestata<br />
dai familiari con conseguente mancato guadagno per riduzione di ore di lavoro, o<br />
rinuncia all’impiego e tutte le spese accessorie tra cui, quando possibile, un<br />
aiuto– la così detta badante – i molti farmaci che non vengono distribuiti<br />
gratuitamente dal SSN e i tanti ausili per i malati. Essendo proprio i costi indiretti<br />
a pesare sui familiari, questi devono sopportare una spesa che è addirittura il 60-<br />
70% della spesa annua media; impegno economico per mantenere il malato tra<br />
le mura domestiche, che spesso porta le famiglie alla povertà (Cavallo, 1997). 2<br />
Ma anche quando i familiari devono ricorrere a una residenza protetta, una parte<br />
delle spese alberghiere è ancora a carico della famiglia; solo chi è totalmente<br />
indigente non spende per il ricovero.<br />
Così la figura che viene ad assumere un ruolo fondamentale nella gestione<br />
del malato è quella del caregiver , colui che in ambito domestico si prende cura<br />
1<br />
La citazione è tratta da un saggio pubblicato sul web e al momento non reperibile: Gambina G.,<br />
Broggio E., Martini M.C., Merzari L., Gaburro G., Ferrari G., Analisi del costo sociale delle persone<br />
affette da malattia di <strong>Alzheimer</strong> assistite a domicilio. http://www.aiesweb.it/media; Trabucchi<br />
M., Ghisla M.K., Bianchetti A., CODEM, A longitudinal study on <strong>Alzheimer</strong> diseaese costs, in<br />
<strong>Alzheimer</strong> Disease: Therapeutic Strategies, Giacobini E. - Becker R. Editors, Birkhauser Boston, pp.<br />
561-565, 1996.<br />
2<br />
Cavallo M.C., Fattore G., The Economic and Social Burden of <strong>Alzheimer</strong>’s Disease on Families in<br />
the Lombardy Region of Italy, in <strong>Alzheimer</strong> Disease and Associated Disorders, 11, pp. 184-190,<br />
1997.<br />
8<br />
I costi delle<br />
demenze
del malato. Una inchiesta del Servizio di Neurofisiologia Clinica dell’Università di<br />
Genova, pubblicata nel 2003, riporta dati interessanti sul caregiver. Il 75,8% dei<br />
caregivers sono donne e tale percentuale cresce col peggiorare delle condizioni<br />
cliniche del paziente (poco più dell’80%) (Rodriguez, 2003). 3<br />
Dall’inchiesta, inoltre, è risultato un rapporto molto complesso con il medico<br />
di medicina generale (MMG) che appare molto distante dai reali problemi del<br />
malato e dei familiari e che troppo spesso, a detta degli intervistati, non<br />
attribuisce il valore diagnostico– come fa invece lo specialista – ai sintomi che il<br />
malato presenta; si desume che il 53% dei caregivers si rivolge in prima istanza al<br />
medico di medicina generale, ma solo il 10% considera soddisfacente tale<br />
rapporto. Risultato questo oggetto di discussione tra molti colleghi e le<br />
spiegazioni, ovviamente, sono molto differenziate: tra tutte, forse quella che<br />
maggiormente emerge è il non aver ancora completamente scisso il problema<br />
dell’invecchiamento fisiologico da quello patologico e quindi anche la necessità<br />
di maggiori e costanti informazioni. In quest’ottica si possono leggere le molte<br />
iniziative rivolte ai MMG inerenti le demenze, tra le quali nel 2010 una presso la<br />
Neurofisiologia Clinica di Genova, che ha coinvolto una trentina di colleghi. In<br />
questa occasione i medici hanno anche dato la loro disponibilità alla raccolta di<br />
dati sui disturbi cognitivi nelle persone con più di 60 anni che frequentano<br />
l’ambulatorio medico, attraverso l’autosomministrazione di un questionario<br />
tradotto dall’inglese dal nostro gruppo. L’autore, J. Brown, ha autorizzato<br />
l’utilizzo del test nel nostro paese dopo l’accordo sulla traduzione (Brown J.,<br />
2009). 4<br />
Infine nell’inchiesta si è anche cercato di valutare se il caregiver avesse mai<br />
pensato la morte del malato come una possibile uscita dalla tragica realtà della<br />
malattia; sono stati molto pochi i familiari che hanno ammesso di aver avuto un<br />
tale pensiero. Questo, allora, ci convinse più che mai del fatto che il familiare<br />
caregiver diventa a tutti gli effetti così protettivo nei confronti del malato, da<br />
essere disposto ad accettare limitazioni di vita impensabili in altri contesti. Altra<br />
3<br />
Rodriguez G., De Leo C., Girtler N., Vitali P., Grossi E., Nobili F., Psychological and social aspects<br />
in management of <strong>Alzheimer</strong>’s patients: an inquiry among caregivers, in Neurol Sci, pp. 329-335,<br />
2003.<br />
4<br />
Brown J., Pengas G., Dawson K., Brown L.A., Clatworthy P., Self administered cognitive screening<br />
test (TYM) for detection of <strong>Alzheimer</strong>’s disease: crossectional study, BMJ, 2009.<br />
9<br />
Il rapporto tra il<br />
caregiver e il<br />
medico di medicina<br />
generale
possibile spiegazione è nella marcata diversità della gravità della malattia nel<br />
gruppo dei caregivers intervistati. È abbastanza ovvio che per un certo periodo di<br />
tempo la malattia non modifica sostanzialmente la vita del malato e del<br />
caregiver; solo alla comparsa dei sintomi comportamentali oltre a quelli cognitivi<br />
– irrequietezza motoria, vagabondaggio e aggressività violenta – il caregiver<br />
realizza fino in fondo quanto sia difficilmente accettabile la sua completa e totale<br />
dedizione al malato.<br />
Al di là degli spunti dell’inchiesta, credo che in genere un individuo diventa<br />
caregiver nel momento in cui intuisce che qualcosa si sta modificando nel<br />
comportamento della persona di cui poi ci si prenderà cura e in quel momento<br />
decide che si deve fare qualcosa; si rivolge al medico di famiglia, ne parla con un<br />
amico fidato o in famiglia e a volte arriva in un centro specializzato nella diagnosi<br />
delle malattie degenerative cerebrali. Spesso in questi casi ci si trova a parlare<br />
con la colei che per prima ha ritenuto di non dover sottovalutare le cose un po’<br />
bizzarre e insolite che la persona di cui ci si prenderà cura metteva in mostra, con<br />
qualcuno che ha deciso che bisognava insistere e che ha cercato una risposta. È<br />
proprio a lei che il medico deve comunicare la diagnosi di demenza, è con questa<br />
persona che deve confrontarsi in quei pochi momenti in cui tutta la vita del<br />
futuro caregiver si trasforma. Il medico deve concedere a se stesso e al futuro<br />
caregiver il tempo sufficiente e necessario per accompagnare chi riceve la notizia<br />
della diagnosi ad accettare una realtà tanto temuta quanto purtroppo attesa.<br />
“Ma è proprio vero?” - “ È come una mazzata sulla testa” - “Un pugno in pancia”<br />
- “Ho voglia di gridare e di piangere” - “Non doveva succedere a me”.<br />
Il caso<br />
Tante le reazioni a quelle parole, a quella diagnosi che segnerà un cammino tutto<br />
da scoprire e per il quale il medico deve trovare il tempo necessario perché<br />
soprattutto il familiare possa comprendere e interiorizzare il senso della<br />
diagnosi. Ho incontrato molto spesso uno sguardo che andava al di là delle<br />
parole quando la persona che si ha di fronte ti chiede di confermare una<br />
diagnosi, cercando una condivisione, una relazione interpersonale che permetta<br />
10<br />
Quando si diventa<br />
caregiver
di elaborare fino in fondo quello che solo la parte razionale della sua mente ha<br />
già accettato.<br />
È così che rivedo Mario mentre trattiene a stento le lacrime. Capisco che sa<br />
già quello che gli dirò ma si appende ancora a una speranza, che io dica la parola<br />
“depressione” e non “demenza”. Sua moglie è troppo giovane, per anni il vero<br />
punto di riferimento sul suo posto di lavoro, la moglie che ora, quando parla,<br />
nessuno riesce più a capire. Mario e la sua angoscia di come parlarne ai figli, di<br />
come organizzare la sua vita personale: “Allora devo andare dai sindacati” e poi<br />
una lunga pausa: “Forse devo prendermi un periodo di ferie per decidere cosa<br />
fare”. Non siamo di fronte all’attesa di una diversa diagnosi, né alla speranza in<br />
un diagnosi sbagliata. Di fronte a me Mario deve percorrere una strada che<br />
potremmo dire “apprendere per insight”, ridefinire il problema nel suo insieme.<br />
Non ha esperienze passate a cui far riferimento, non ci sono modelli teorici a cui<br />
rifarsi, Mario deve affrontare la nuova situazione e, una volta introiettata,<br />
raggiungere lo scopo finale di una ridefinizione del problema centrale: la sua vita<br />
futura. Il medico deve dargli il tempo necessario e sufficiente, anche se sappiamo<br />
che ci sarà poi un altro percorso ancora più complesso: ci saranno i figli e i<br />
parenti con i quali condividere l’informazione e programmare il da farsi. Poi<br />
Mario cerca di scendere nei dettagli e mi chiede la “prognosi”: quanto tempo ha<br />
ancora sua moglie a disposizione prima che si aggravi e nulla sia più possibile.<br />
Mario è già andato avanti, dice di voler subito programmare qualcosa, un viaggio<br />
o qualunque altra cosa possa essere in grado di dare felicità alla moglie. Passa<br />
ancora un po’ di tempo con pause dolorose per entrambi, dove a fatica gli<br />
sguardi si incontrano per non ledere il diritto a vivere la propria disperazione.<br />
Quando, dopo i primi colloqui, rivedo Mario, lui mi pone una questione che<br />
molto spesso i sanitari devo affrontare: “questa malattia è ereditaria?”<br />
Il timore che un gene dal quale si potrebbe originare la malattia possa essere<br />
trasmesso ai figli lo si incontra spesso nei gruppi di counseling con i familiari.<br />
Indipendentemente dalla familiarità, tutti a un certo punto della vita possiamo<br />
ammalarci.<br />
Bisogna essere molto precisi nella spiegazione. Oggi sappiamo che un gene<br />
rende più probabile il verificarsi della malattia. Il gene si trova sul cromosoma 19,<br />
11<br />
Ereditarietà e<br />
l’alipoproteina
ed è responsabile della produzione di una proteina chiamata apolipoproteinaE<br />
(ApoE), di cui esistono tre tipi principali, uno dei quali (l'ApoE4) – sebbene poco<br />
comune – è quella che aumenta le probabilità di sviluppare in un certo momento<br />
della vita la malattia di <strong>Alzheimer</strong>. La persona portatrice di questa proteina non è<br />
destinata ad ammalarsi, ha solo aumentate la probabilità di sviluppare la<br />
malattia. Per esempio, una persona di cinquant'anni portatrice di questo gene<br />
avrebbe 2 probabilità su 1000 di ammalarsi invece del consueto 1 per 1000, ma<br />
può nella realtà non ammalarsi mai. Soltanto nel 50% dei malati di <strong>Alzheimer</strong> si<br />
trova la proteina ApoE4, e non tutti coloro che hanno tale proteina presentano la<br />
malattia.<br />
La badante e il territorio<br />
Da diversi di anni, abbiamo a che fare con una nuova figura, la cosìddetta<br />
badante, solitamente un immigrato/a che collabora col caregiver nell’assistenza<br />
al malato; secondo alcuni studi circa il 35% dei malati dementi è assistito a<br />
domicilio da una badante. Perché quando la malattia si aggrava il caregiver cerca<br />
un aiuto. La presenza di questa figura spesso ha un effetto positivo sul nucleo<br />
familiare perché è in grado di ridurre il carico lavorativo e lo stress del caregiver.<br />
Come ovviamente anche il caregiver, la badante il più delle volte non è<br />
adeguatamente preparata. È sorta così la necessità di creare centri di riferimento<br />
per la preparazione degli operatori. Il compito più rilevante di coloro che entrano<br />
in contatto con le famiglie dei malati di <strong>Alzheimer</strong> è quello di informare dove sul<br />
territorio sia possibile ottenere, anche attraverso le istituzioni, un aiuto in<br />
termini di miglioramento delle conoscenze sulla malattia e sui compiti di<br />
caregiving.<br />
Nella regione <strong>Liguria</strong> c’è una grave dispersione di questi luoghi di<br />
informazione, mentre mancano del tutto sportelli o punti di riferimento al quale<br />
le famiglie possono rivolgersi rispetto ai molti problemi della malattia. Nel nostro<br />
paese, a differenza di molti altri, quasi il 90% dei malati vive in famiglia fino quasi<br />
agli ultimi giorni, infatti, nonostante le trasformazioni demografiche e sociali, la<br />
famiglia rimane la protagonista dello scenario assistenziale. In effetti il<br />
mantenimento del paziente a casa ha anche un risvolto “terapeutico”, poiché la<br />
12<br />
La badante<br />
La casa e la famiglia
persona con demenza riesce a muoversi e a interagire con un ambiente, almeno<br />
in parte, riconoscibile, mentre il ricovero in strutture non note è in genere<br />
seguito da un aggravamento delle condizioni generali e neuropsichiatriche (Lee<br />
H., 2004). 5<br />
È necessario sviluppare una serie di interventi – educativi, formativi, di<br />
sostegno e di supporto – senza i quali la famiglia non è in grado di sostenere un<br />
impegno così gravoso, che può durare moltissimi anni (la durata media di una<br />
demenza è dal momento della diagnosi di circa 8-10 anni).<br />
Un costo di difficile quantificazione e spesso sottostimato è quello costituito<br />
dalle conseguenze del caregiving sulla famiglia: stress psicologico, impatto sulla<br />
salute, con conseguente riduzione della qualità della vita. I bisogni dei caregivers<br />
non sono tutti uguali: i caregivers primariamente coinvolti per parentela e<br />
rapporti affettivi hanno un stress superiore e forniscono un maggior contributo<br />
assistenziale diretto, mentre i caregivers secondari, ad esempio le badanti,<br />
soffrono di depressione e per questi bisogna agire soprattutto sul tono<br />
dell'umore. Ove la condizione di caregiver si associa a una condizione di stress vi<br />
è una riduzione delle risposte immunitarie e un aumento delle malattie<br />
cardiovascolari, con alti livelli di sintomatologia ansiosa.<br />
Molto importante è il tempo che il caregiver dedica all’assistenza, che<br />
dipende essenzialmente dalla gravità del paziente e da altre variabili: età, tipo di<br />
demenza, aspetti clinici, patologie concomitanti, intervento terapeutico<br />
farmacologico e non farmacologico, condizioni familiari, ambientali, socio-<br />
economiche, qualità dell’assistenza medica ed efficienza della rete dei servizi del<br />
SSN.<br />
Il ruolo del malato e del caregiver<br />
Quali sono, nel dettaglio, le problematiche che maggiormente possono<br />
coinvolgere le famiglie e chi al loro interno diventa il caregiver principale?<br />
5<br />
Lee H., Cameron MH., Respite care for people with dementia and their carers. Cochrane<br />
Database of Systematic Reviews 2004, Issue 2. Art. No.: CD004396. DOI:<br />
10.1002/14651858.CD004396.pub2.<br />
13<br />
Il costo del<br />
caregiving<br />
Il ruolo del malato<br />
nella famiglia e il<br />
percorso del<br />
caregiver e dei<br />
familiari
Il ruolo che il malato occupa – o meglio che ha occupato prima della malattia<br />
– all’interno del nucleo familiare, ugualmente alle dinamiche affettive, consce e<br />
inconsce, che fanno parte dei rapporti fra i componenti della famiglia stessa,<br />
comporta un diverso coinvolgimento emotivo dei familiari. Il caregiver, e in<br />
genere i familiari tutti, è costretto da una parte a una lenta elaborazione delle<br />
varie fasi del lutto (in questo caso lutto va inteso come perdita del congiunto così<br />
come era conosciuto prima della malattia) e del dolore e dall’altra adeguarsi<br />
costantemente ad una situazione che, tutt’altro che “immobile”, si trasforma<br />
ogni giorno. È infatti terribile – spesso insopportabile – vedere una persona che,<br />
ad esempio, era stata il perno su cui gravava la famiglia, oppure quella che era<br />
stata la o il compagno di una vita e con la quale si erano condivisi decine di anni,<br />
perdere lentamente le capacità cognitive, “smarrire la mente” e con questa<br />
annullare la propria identità e i rapporti con gli altri. Difficile rendersi conto di<br />
cosa possa significare per un figlio che aveva nel genitore il proprio punto di<br />
riferimento, trovarsi con un malato che necessita di tutto e rispetto al quale<br />
devono essere superati diversi tabù. Lavare la mamma o il papà, accudirli e stare<br />
loro vicino possono diventare per il caregiver un gesto d’amore che ha dietro una<br />
incredibile quantità di angosce, di ansie e un processo di perdita raramente<br />
comunicati anche alle persone più intimamente vicine.<br />
Il familiare deve quindi fare un percorso che presenta alcune tappe. La prima<br />
è quella del “non è possibile” che si traduce nella convinzione che il medico non<br />
abbia compreso la situazione e che la malattia non sia veramente una demenza.<br />
Negare la malattia è abbastanza comune e naturale: il caregiver chiede diversi<br />
consulti impegnandosi anche a inutili esborsi economici alla ricerca del<br />
“luminare” più conosciuto o di medicine ad oggi inesistenti. Ma anche nei<br />
confronti del malato la negazione della malattia ha effetti non positivi: il<br />
caregiver cerca infatti di non vedere quanto accade e con ogni mezzo sollecita il<br />
malato ad agire in maniera corretta, a comportarsi bene, a non commettere<br />
“stupidi” errori; queste richieste sono ovviamente incomprensibili al malato,<br />
aumentano la sua angoscia, provocano confusione e profonda depressione.<br />
Se la negazione è una modalità di risposta normale all’inizio del percorso, è<br />
necessario che con il tempo la malattia venga accettata e questo può avvenire<br />
14<br />
L’elaborazione del<br />
lutto<br />
La negazione della<br />
malattia<br />
Il senso di colpa
anche attraverso l’aiuto di persone estranee al nucleo familiare, persone ad<br />
esempio che abbiano già vissuto l’esperienza della malattia di un proprio<br />
familiare. Ma quando il tempo e l’abitudine alle cure da prestare portano ad<br />
accettare la malattia altri atteggiamenti non positivi possono comparire; anche<br />
questi devono essere presto superati. Uno dei più importanti è il senso di colpa<br />
del caregiver. I familiari dei malati di <strong>Alzheimer</strong> dedicano mediamente sette ore<br />
al giorno all’assistenza diretta del paziente e quasi undici ore alla sua<br />
sorveglianza; inoltre, l’impatto dell’attività assistenziale diventa più gravoso<br />
quanto più essa si somma all’impegno legato allo svolgimento di altri ruoli<br />
professionali e familiari, come accade per la maggior parte dei caregivers;<br />
quando la malattia è grave l’assistenza è di 24 ore. Il caregiver si trova così a<br />
dover affrontare una condizione non conosciuta prima alla quale deve dare delle<br />
risposte efficaci, deve risolvere problemi che si pongono giornalmente con<br />
strategie mentali e comportamentali del tutto nuove. È così che viene stimolata<br />
la sua reattività all’ambiente e le capacità ad affrontare adeguatamente le<br />
situazioni che incontra. Ad esempio, chiunque abbia frequentato un malato<br />
demente conosce i tantissimi atteggiamenti che possono generare nel caregiver<br />
una reazione aggressiva. Una donna faceva notare che il marito ripete una stessa<br />
frase tutto il giorno, non smette mai, che non riesce mai a rispondere in modo<br />
adeguato alle richieste della moglie; questa condizione genera esasperazione e<br />
l’esasperazione genera un senso di colpa non facilmente sopibile. Ugualmente<br />
questo capita quando si sente che “bisogna” fare alcune cose, anche quando la<br />
vita richiede altri impegni. Il caregiver si trova a correre da una parte all’altra e<br />
sente di non essere in grado di reggere allo stress, vorrebbe fermarsi, ma questo<br />
solo pensiero genera il senso di colpa perché non si è risposto appieno ai compiti<br />
prefissati. Altre condizioni possono portare al senso di colpa: per esempio,<br />
quando si assiste, senza poter fare nulla, alla totale perdita della personalità, alla<br />
eliminazione di ogni possibile e credibile inibizione – ricordo la telefonata di una<br />
signora che tra le lacrime confessa che il padre lancia le feci dalla finestra – e<br />
allora scatta la domanda sul senso reale di questa malattia e su quello che il<br />
malato vive e si pensa alla morte, come unico rimedio a una tragedia impensabile<br />
15
(anche se dall’inchiesta già citata, è emerso che solo raramente il caregiver pensa<br />
alla soluzione “morte”).<br />
La rabbia e il senso di colpa vengono anche quando si cerca di fare tutto, ma<br />
proprio tutto al posto del malato. Si ha paura che lui non sia in grado di gestire la<br />
realtà e lo si sostituisce, così almeno le cose vengono fatte e non bisogna<br />
ripetere e stare attenti. Ma anche così facendo la situazione non migliora, anzi,<br />
sembra che giorno dopo giorno la volontà di fare del malato si indebolisca, che si<br />
richiuda in una realtà del tutto distante, che i rapporti con gli altri si<br />
affievoliscano. Così le domande usuali – dove e in che cosa ho sbagliato? – così la<br />
rabbia e il senso di colpa, perché nonostante tutto, ma proprio tutto, nulla<br />
migliora.<br />
Bisogna entrare ancor più nella malattia. Il caregiver deve ancora fare un<br />
tratto di cammino, accettare che non sia l’ansia a motivare il troppo fare<br />
inconcludente e che non ci siano troppa frustrazione e troppa rabbia. Perché va<br />
tutto storto, mentre la fatica aumenta e il peso delle nostre contraddizioni ci<br />
porta a non vedere con chiarezza i fatti. Una signora era affranta dal<br />
comportamento che teneva nei confronti del marito demente che la voleva<br />
seguire sempre, che non poteva stare da solo mentre lei avrebbe gradito alcune<br />
ore di tranquillità, lontana da casa, a fare ciò che le piaceva, insieme alle sue<br />
amiche. Lei comprendeva in quei momenti, quando chiedeva di essere lasciata in<br />
pace per poche ore, di essere molto ambigua. Da un lato l’affetto grande per<br />
quell’adulto, che sembrava un bambino alla ricerca della mano della mamma e<br />
che non voleva stare da solo, ma dall’altro una gran rabbia, una collera<br />
incredibile perché lui settantenne, da quarant’anni circa con lei, non riusciva<br />
proprio a capire che lei aveva bisogno di quelle poche ore di libertà. Ma quel<br />
marito dallo sguardo perso era, per caso, anche un motivo di vergogna? Anche<br />
questo sentimento è presente e condiziona il comportamento del caregiver e la<br />
vita del malato. Come non comprendere che i rapporti sociali e in genere la vita<br />
che una famiglia conduce ha delle regole che difficilmente possono essere<br />
modificate; regole che possono esigere comportamenti adeguati a quelli che<br />
sono i canoni dell’ambiente in cui si vive. Vergogna per come il malato si<br />
comporta, vergogna che non si riesce a superare, perché non si può parlare con<br />
16<br />
La vergogna
gli altri – i “normali” – di questa malattia. Ricordo una giovane donna<br />
raccontarmi di comportamenti impensabili del suocero: quando qualcuno<br />
entrava in casa lui si presentava sulla porta e, scattando sull’attenti in una rigida<br />
parodia di situazione militare, salutava tutti con un “buonasera signor generale”.<br />
Non molto tempo dopo, ho saputo che quel saluto era ripetuto all’infinito in una<br />
casa di riposo.<br />
È possibile che un individuo, preso dallo sconforto, decida di fuggire dalla<br />
condizione imposta o scelta, sperando di sottrarsi al fardello delle responsabilità<br />
psicologiche che il tempo della malattia inevitabilmente provoca. La fuga – anche<br />
se appare modalità semplice ed egoistica di deresponsabilizzazione – prendendo<br />
le distanze dal malato, comporta una presa di distanza emotiva, la rinuncia a<br />
vivere una parte della propria vita affettiva, negando un’esperienza che per<br />
quanto dolorosa comporta nuovi contenuti emozionali e la scoperta di tante<br />
nuove risorse. La fuga è accompagnata da un grande senso di colpa e da un acuto<br />
rimorso che difficilmente vengono compensati dal senso di liberazione<br />
dall’affanno della malattia. Il sollievo della fuga è solo apparente: coloro che<br />
rimangono coinvolti nella cura si sentiranno traditi e abbandonati senza<br />
qualcuno con il quale condividere questo inaspettato viaggio. Questi sono<br />
sicuramente amareggiati, si sentono traditi e abbandonati, senza un compagno<br />
con il quale condividere questo incredibile viaggio.<br />
Fare proposte al “fuggitivo” per continuare a essere utile alla famiglia e al<br />
malato sposta l’attenzione dal malato al caregiver cercando il recupero di chi si è<br />
allontanato, senza che il senso di colpevolizzazione per aver abbandonato il<br />
malato diventi l’elemento dominante del nuovo rapporto. Così facendo forse<br />
sarà possibile non rimuginare in solitudine sul disaccordo. Ma in qualunque caso<br />
la soluzione di questi avvenimenti è molto dolorosa e spesso comporta un<br />
allontanamento definitivo dei familiari.<br />
Come si comprende facilmente, la malattia e gli aspetti psicologici delle<br />
persone vicine al malato possono facilmente generare tensioni e conflitti. Le<br />
condizioni di malessere sono rivolte spesso alle strutture assistenziali. Alcune<br />
delle prestazioni ricevute o atteggiamenti non compresi del personale possono<br />
generare conflitti con il caregiver, situazioni non chiarite che spesso comportano<br />
17<br />
La scelta della fuga<br />
I conflitti dei<br />
caregivers
l’allontanamento dalla struttura. Sovente i malati vengono “sballottati” da una<br />
struttura a un’altra senza un reale motivo. La soluzione è alla portata di tutti e<br />
consiste in una maggiore disponibilità del personale assistenziale a chiarire fino<br />
in fondo con il caregiver le problematiche legate alla malattia, fornendo le<br />
indicazioni generali sulla patologia in atto, suggerendo luoghi e persone con cui<br />
entrare in contatto o, se possibile, fornire corsi di aggiornamento e momenti di<br />
confronto con i familiari. Ci rendiamo conto che tali proposte nell’organizzazione<br />
sanitaria del nostro paese sono poco realizzabili. Un medico che presta la sua<br />
attività in un ambulatorio si sentirà molto più gratificato a fare “diagnosi e<br />
terapia” piuttosto che a fare il consulente dei familiari; molti sanitari penseranno<br />
che questo è un compito di un altro tipo di personale assistenziale o delle<br />
associazioni dei malati. Tutto questo è sicuramente vero, ma è anche vero che è<br />
proprio al sanitario che fa la diagnosi che le persone chiedono un rapporto<br />
umano, un vero aiuto, una capacità di “consulenza”, un rapporto non chiuso alla<br />
cruda realtà della “diagnosi di malattia”. Ma forse questo è un modo di pensare<br />
alla medicina che poco si addice a quanto oggi avviene nel nostro paese, dove è<br />
permesso che la medicina privata si mescoli in modo provocatorio a quella<br />
pubblica, dove è consentito al medico di esercitare a pagamento nelle strutture<br />
pubbliche, allargando così a dismisura il concetto di una cultura mercantile che<br />
ha trasformato, purtroppo per molti, il tempo in denaro e il tempo può solo<br />
servire a “visitare” i malati.<br />
Esistono situazioni conflittuali anche con gli altri membri della famiglia che<br />
non aiutano, che non comprendono o non valutano nella dovuta maniera gli<br />
sforzi fatti dal caregiver. Conflitti si aprono con le persone che più condividono<br />
l’esperienza del caregiver, ad esempio con il coniuge che può non comprendere<br />
come e perché la persona che gli è vicino appaia sempre stanca, depressa, che<br />
non ha mai tempo per nulla e che pensa solo al malato. Il caregiver così entra in<br />
conflitto con se stesso, perché si trova sempre davanti a un bivio. Il caregiver<br />
deve scegliere tra la necessità di assistere e accudire nel modo migliore possibile<br />
il malato e la necessità di non trascurare gli altri membri della famiglia; tra tempo<br />
da dedicare al lavoro – che pure è fonte di soddisfazione e piacere – e tempo da<br />
dedicare al malato; oppure tra il continuare a prestare le cure al malato e trovare<br />
18<br />
- con le<br />
strutture<br />
sanitarie<br />
- con i<br />
familiari
il desiderio di recuperare spazi per sé stessi, per la propria vita, per il proprio<br />
piacere. Non riuscire a trovare modalità soddisfacenti per “ricavare gli spazi della<br />
propria vita” è una situazione svantaggiosa sia per il caregiver che per il malato: il<br />
primo si carica di rancore, di dubbi sul proprio ruolo, di sensi di colpa, invece di<br />
comprendere l’importanza e l’assoluta necessità di riappropriarsi, per quanto<br />
possibile, di una parte del tempo della vita. È indispensabile. Non è egoismo ma<br />
necessità, perché ridando spazio alle proprie esigenze di vita si possono ricaricare<br />
le energie da dedicare al malato e il tempo che trascorrerà vicino a lui sarà un<br />
tempo del tutto nuovo, un tempo scelto, desiderato, frutto di una<br />
razionalizzazione delle necessità di tutti. Come non vedere la tristezza di<br />
un’assistenza carica di tensioni, dove la mente del caregiver è impegnata dai<br />
pensieri del quotidiano che non dà tregua e incalza costantemente; dove si è<br />
infastiditi per essere vicini al malato spinti dal senso del dovere, dove il peso<br />
dell’assistenza è assolutamente soffocante, ma se per caso facciamo un piccolo<br />
ritardo ci sentiamo colpevoli per non aver rispettato l’impegno preso.<br />
È così che anche il malato diventa motivo di conflitto quando vecchi rancori,<br />
incomprensioni e altri sentimenti non positivi, che spesso la vita porta nelle<br />
famiglie, ritornano prepotentemente a galla. Perché la demenza, oltre alla<br />
perdita dell’autosufficienza, conduce a una trasformazione tale del normale<br />
sentire, che le cose più impensabili diventano quasi “naturali” per il malato . Il<br />
caregiver può non sopportare più, può giungere all’abbandono del malato o,<br />
all’opposto, tentare tutto il pensabile per soffocare la rabbia che ha dentro.<br />
Come superare queste condizioni di conflitto? Dobbiamo cercare<br />
essenzialmente di entrare nella fase di gestione del razionale. Se un nostro<br />
parente non si comporta nei confronti del malato come si vorrebbe e se tutto<br />
questo genera conflitti e rabbia, ci si dovrebbe chiedere se è proprio vero che gli<br />
altri possono fare tutto come facciamo noi, o addirittura sostituirsi a noi. E<br />
dovremmo capire che questo è veramente impossibile. La modalità con cui gli<br />
altri si pongono nei confronti del malato è l’oggettivazione di quanto gli esseri<br />
umani siano diversi nel fare e nel sentire. Non è giustificato insistere nell’errore;<br />
si dovrebbe trovare la giusta modalità per un confronto chiarificatore, far<br />
comprendere agli altri ed elaborare noi stessi che quello che avremmo voluto<br />
19<br />
- con il<br />
malato<br />
La depressione del<br />
caregiver
che gli altri facessero non lo si è mai chiaramente esplicitato e che non è una<br />
colpa sentire e vivere la malattia di un parente con modalità molto diverse.<br />
Se questo è sostenibile, allora ne consegue che alcuni atteggiamenti del<br />
caregiver necessitano di essere ripensati. Un errore molto grave del caregiver –<br />
per se stesso, per il malato e per l’intero mondo intorno – è rinchiudere<br />
l’esistenza alla sola attività di cura. Credo che solo in casi del tutto eccezionali<br />
questa condizione non comporti una sofferenza così elevata e destinata prima o<br />
poi a trasformarsi in una vera e propria patologia. Non solo per questa ragione,<br />
ovviamente, ma è noto che il 30-40% dei caregiver soffre di depressione, disturbi<br />
del sonno, modificazioni nell’alimentazione tali da condurlo a dover ricorrere<br />
all’aiuto di un medico e ad assumere psicofarmaci (Beeson, 6 2003). Uno studio<br />
americano abbastanza recente, che conferma molte delle cose suddette, ha<br />
valutato le caratteristiche del paziente e del caregiver per ipotizzare l’eventuale<br />
depressione dei caregivers. Le caratteristiche del malato sono l’età piuttosto<br />
giovane e la gravità della malattia (ad esempio i disturbi comportamentali, tra<br />
questi l’aggressività, incidono di più dei disturbi cognitivi); nel caregiver<br />
potenzialmente depresso troviamo un basso reddito economico, la relazione<br />
stretta con il paziente (moglie o figlia), l’elevato numero di ore dedicate alla cura<br />
e la condizione fisica non buona del caregiver stesso. È evidente quindi che la<br />
depressione del caregiver è motivata non solo da caratteristiche legate alla<br />
malattia, ma anche a condizioni proprie della persona che assiste, per cui è<br />
necessario trovare modalità di riposte che sappiano tener conto di questa realtà<br />
multifattoriale e non credere che la sola risposta medicalizzata sia in grado di<br />
risolvere il problema (Covinsky KE., 2003). 7<br />
6<br />
. Beeson R.A, Loneliness and Depression in spousal Caregivers of Those With <strong>Alzheimer</strong>’s Disease<br />
Versus Non – Caregiving Spouses Electronic Version , in Archives of Psychiatric Nursing, n. 17 , pp.<br />
135-143, 2003.<br />
7<br />
Covinsky KE., Newcomer R., Fox P., Wood J., Sands L., Dane K. & Yaffe K., Patient and Caregiver<br />
Characterisctics Associated with Depression in Caregivers of Patients with Dementia Electronic<br />
Version, in Journal of General Internal Medicine, n. 18, pp. 1006-1014, 2003.<br />
20
Aiutare il caregiver<br />
Innanzitutto facendo cultura, perché solo l’informazione corretta potrà portare i<br />
familiari ad un consapevole ruolo di cura.<br />
In secondo luogo alcune semplici raccomandazioni: di fronte ai disturbi della<br />
memoria sarebbe meglio fornire le informazioni, evitando richiami a fatti o cose<br />
dimenticate. Rispetto ai problemi di linguaggio bisognerebbe cercare di<br />
comprendere il senso del discorso, anche se le parole sono inesatte, rispondere<br />
alle domande, anche a quelle ripetitive e cercare di continuare a parlare con il<br />
malato. Per quanto concerne i problemi di comprensione degli stimoli e in<br />
genere dell’ambiente, sarebbe meglio sostituirsi a lui nel fare le cose solo quando<br />
è davvero inevitabile. Se si aiuta il malto a fare alcune azioni, bisogna ricordarsi<br />
che c’è bisogno di molta sensibilità, i gesti devono essere semplici. Se possibile,<br />
sarebbe bene adattare la casa alle possibilità residue del malato. Quando<br />
compaiono le difficoltà con l’utilizzo di oggetti di uso comune, come il pettine,<br />
conviene rimuoverli perché non essendo più riconosciuti porterebbero al malato<br />
solo ansia. Quando non vengono riconosciute cose o persone è del tutto inutile<br />
cercare di “far ragionare” il malato; la logica non è nel suo mondo e sono i<br />
“normali” che si devono adattare. L’attenzione del malato è molto limitata e<br />
serve a fare poco e una cosa sola alla volta quindi mai chiedere più cose<br />
contemporaneamente, mai proporre compiti complessi o così difficili che<br />
porteranno il malato a comprendere la sua incapacità e quindi sofferenza per la<br />
frustrazione conseguente. Bisogna sempre ricordare che un sintomo centrale<br />
della malattia è la confusione. Anche se “i normali” vanno in confusione quando<br />
il carico a cui sottoponiamo la mente è eccessivo, il malato molto spesso è<br />
confuso perché non riesce a percepire correttamente l’ambiente che lo circonda.<br />
La reazione normale a questo stato di cose è la più varia: i malati possono urlare,<br />
diventare aggressivi, fuggire, mettersi a vagabondare senza una vera meta. È<br />
importante verificare l’ambiente di vita, per esempio se è troppo carico di<br />
stimoli, troppi rumori, troppe luci o troppa gente. A volte la confusione del<br />
malato può essere segno di qualcosa che non funziona come un improvviso<br />
dolore fisico. Bisogna riconoscere la gestualità che si accompagna alla confusione<br />
21<br />
Non sollecitare la<br />
memoria<br />
Fare gesti semplici
(sguardi in più direzioni, camminare in tondo senza fermarsi, afferrare e lasciare<br />
oggetti diversi); bisogna allora fermarsi, provare a distrarre il malato,<br />
comprendere se è veramente pronto e disponibile a fare quello che gli si chiede,<br />
aiutarlo perché si senta a proprio agio, rispettarne i tempi e i modi, farsi vedere<br />
bene quando ci si avvicina e fare tutto con grande.<br />
Più drammatici appaiono i disturbi comportamentali quali il vagabondaggio e<br />
l’affaccendamento inoperoso (gesti ripetitivi senza alcuna finalità). A fronte di<br />
questo occorre ricordarsi che i gesti possono essere legati ad azioni del passato e<br />
non a condizioni del presente, Permettiamo al malato di camminare e muoversi<br />
liberamente in un ambiente il più possibile sicuro, proponiamogli attività di tipo<br />
manuale che richiedano uno sforzo minimo e che possano dare anche una<br />
minima gratificazione.<br />
La condizione del delirio è spesso molto complessa da essere compresa e<br />
gestita dal caregiver, perché il malato può credere di essere derubato dallo<br />
stesso, di essere abbandonato dalle persone care, di voler tornare alla propria<br />
casa natale, di essere tradito sessualmente. Si dovrebbe cercare di non smentire<br />
il malato, di parlare con lui in maniera chiara e rassicurante per evitare che si<br />
isoli, cercare di sviare la sua attenzione verso stimoli diversi e capaci di fermare<br />
le idee deliranti. Se il malato non riuscisse a stare fermo, continuasse a chiedere<br />
di qualcuno che deve arrivare, bisognerebbe cercare di comprendere quali<br />
possano essere le cause, parlare con calma, rassicurarlo. Mi rendo perfettamente<br />
conto di quanto questi suggerimenti non siano sempre praticabili. Penso, per<br />
esempio, all’aggressività che si esprime con insulti, parolacce, bestemmie, pugni,<br />
graffi, morsi e che noi interpretiamo come una reazione difensiva verso qualcosa<br />
che è sentito dal malato come una minaccia, come quando si pretende che si lavi<br />
(anche se aiutato) o si vesta. Il caregiver dovrebbe essere in grado di ridurre al<br />
minimo le situazioni a rischio, sviare l'attenzione per prevenire l’aggressività ma<br />
se questa insorge proporre le cose con calma, cambiare l'interlocutore o<br />
aspettare un momento più propizio e non sgridare il malato. Tutto ciò non<br />
sempre riesce ed è questa una condizione di grande imbarazzo e di scelte molto<br />
radicali, come l’istituzionalizzazione.<br />
22<br />
Distrarre il malato<br />
in confusione<br />
Ambiente sicuro e<br />
attività manuali<br />
semplici e<br />
gratificanti<br />
Il delirio
Come si arriva all’istituzionalizzazione<br />
Tra le tante possibilità di intervento nei confronti del caregiver e della sua<br />
depressione dobbiamo citare quella che cerca di rompere il meccanismo che<br />
porta il caregiver a ritenersi perno centrale della cura del malato, a credere il<br />
proprio ruolo indispensabile e insostituibile. Il tempo della malattia è troppo<br />
lungo e tutti devono poter avere, almeno a un certo punto del cammino<br />
terapeutico, delle pause. Il malato deve avere più gestori e se questi non sono<br />
presenti nella famiglia allora è necessario trovarli fuori. Tra questi assumono un<br />
ruolo fondamentale i Servizi di Assistenza Domiciliare, i Centri Diurni, e forse in<br />
alcuni casi i Ricoveri di Sollievo. Una recensione da parte del gruppo “Cochrane<br />
Dementia and Cognitive Improvement Group” dei lavori presenti in letteratura<br />
ha portato alla conclusione – non definitiva perché gli studi sono pochi ed<br />
eterogenei – che le evidenze a disposizione non dimostrano alcun effetto<br />
benefico – ma neanche un effetto avverso – del ricorso ai Ricoveri di Sollievo sia<br />
per il malato che per il caregiver. Tuttavia gli autori sottolineano la necessità di<br />
affrontare il tema con una ricerca strutturata e scientificamente adeguata.<br />
Nell’attesa di queste evidenze scientifiche il caregiver vicino all’esaurimento<br />
di “energie” deve ricorrere all’aiuto esterno. Rivolgersi a una entità istituzionale<br />
(assistenti sociali) o ad una associazione di familiari non equivale a tentare di<br />
scaricare il malato, ma al contrario significa tentare nuove strategie, per<br />
consentire – se ancora possibile – la permanenza del malato nella sua casa.<br />
Il problema centrale delle demenze è il loro carattere “progressivo”: la<br />
malattia più o meno lentamente progredisce, le modalità di reazione - e in<br />
genere tutto il comportamento del malato – si modificano. Anche nei momenti di<br />
discussione dei gruppi di aiuto è difficile riuscire a trasmettere ciò che accade al<br />
malato. La perdita progressiva della memoria cancella le facce e gli ambienti. Il<br />
malato non riconosce più i familiari e il mondo che lo circonda, così il caregiver<br />
non riconosce nel malato la persona conosciuta; se non accetta che la causa di<br />
tutto questo è la malattia, si troverà a soffrire, perché privato del rapporto con il<br />
malato e di tutta la sua storia di affetti. In queste condizioni il tempo segna solo<br />
successive “perdite”: facce, ambienti, parole. Il malato necessita di cure sempre<br />
maggiori, le preoccupazioni per il caregiver aumentano, per la salute, per il<br />
23<br />
Il ricovero
tempo, per le spese, per gli aiuti ormai indispensabili. I deliri e le allucinazioni<br />
insieme a un vagabondare senza senso, l’aggressività – se non la vera e propria<br />
violenza, a volte assolutamente ingiustificato – rendono la vita così difficile che,<br />
dopo aver chiesto aiuto disperatamente al medico - “non ce la faccio più”, “lei<br />
mi deve aiutare”, “ci deve essere qualcosa da dargli perché si calmi” - dopo che<br />
le medicine non fanno più nulla, anche il migliore dei caregiver può convincersi<br />
che è giunto il momento dell’istituzionalizzazione, del ricovero in una struttura<br />
dove saranno altri a prendersi l’onere di assistere il malato in questa ultima parte<br />
del viaggio. È una decisione difficile e sofferta, vissuta dalla famiglia e dal<br />
caregiver come l’evento più significativo nel percorso di cura iniziato molti anni<br />
prima. È un evento traumatico nella storia relazionale con il malato. Il caregiver,<br />
improvvisamente privato del suo ruolo assistenziale, decisionale e di tutore,<br />
rischia di riaffacciarsi alla vita senza essere preparato: ennesima violenza con cui<br />
fare i conti, mentre perde il suo ruolo di primo attore nella gestione dei bisogni e<br />
nelle scelte per il malato. Da quel momento può solo accettare e condividere le<br />
decisioni prese da altri. Può allora credere che le persone che si prendono cura<br />
del malato non siano adeguate, che le cure che riceveva prima fossero migliori e<br />
questo rende conflittuale il rapporto tra lui e la nuova condizione del malato.<br />
Ovviamente possono essere sempre gli aiuti esterni che aiutano a modificare tali<br />
atteggiamenti, prima che il caregiver si immetta in un cammino di stress, di sensi<br />
di colpa sempre maggiori e di profonda depressione. Di nuovo il medico che ha<br />
seguito il malato potrebbe rappresentare l’“ancora”; potrebbe essere colui che<br />
chiarisce il problema, che delimita le responsabilità di questa operazione e che<br />
permette la “metabolizzazione del lutto”. Il medico potrebbe essere anche colui<br />
che aiuta il caregiver a non sviluppare una relazione conflittuale con il personale<br />
infermieristico e con il resto dell'équipe.<br />
L’istituzionalizzazione può invece costituire in altri casi una sorta di<br />
liberazione. Ricordo la frase “O lui – il malato – o me” come segno di un<br />
traguardo, di un limite che si è raggiunto, la necessità di recuperare lo spazio<br />
esterno alla casa che era diventato come una “tomba”. “Io sono ancora troppo<br />
giovane”: non contano l’età, ma la qualità e la quantità di tempo trascorso<br />
accanto a quella persona che ora è ancora più lontana con i suoi urli, le<br />
24
estemmie, o la identica parola e frase ripetuta all’infinito. Un dolore per<br />
l’impossibilità di modificare la situazione che rende la vita un inferno che “se non<br />
l’hai vissuto non lo puoi capire”. Allora viene il momento in cui chi può, chi ne ha<br />
autorità morale e culturale deve aiutare a far sì che il caregiver accetti la<br />
necessità della delega, accetti l’idea che la vita deve continuare e che la famiglia<br />
non è più il luogo in cui si possa gestire un malato tanto complesso e stressante.<br />
A questo punto, spero sia chiaro che, lungo il percorso della malattia e del<br />
caregiving, sono necessari uno o più operatori socio sanitari. È altrettanto<br />
indispensabile un luogo di ascolto per le famiglie, dove l’incontro possa sostituirsi<br />
alla solitudine, dove la persona che ascolta possa davvero comprendere i bisogni<br />
reali che non sempre trovano spazio nelle parole, ma in tutte quelle forme di<br />
comunicazione che gli esseri umani praticano anche inconsciamente. È un posto<br />
ancora da costruire, ma di cui, sono certo, molti sentono il bisogno. Il malato e il<br />
caregiver non hanno bisogno di giudizi in cui si espliciti la ragione o il torto di uno<br />
o dell’altro o chi fa bene e chi fa male, hanno bisogno di operatori qualificati in<br />
grado di valutare la situazione del malato e del caregiver, di comprendere i punti<br />
di forza e le criticità. Anche quando non si conoscono a fondo la storia e i vissuti<br />
dei partecipanti, si deve collaborare con loro per trovare possibili strategie che<br />
diano forza. Questo parlare e ascoltare, tentare di condividere, può essere<br />
fondamentale nelle fasi iniziali della malattia. Le persone sono molto più<br />
disorientate di quello che appaiono, hanno bisogno di un grande aiuto, non<br />
hanno esperienze o ricordi a cui attingere e devono quindi imparare. Spesso sono<br />
proprio le strategie di intervento inadeguate o sbagliate che rendono ancora più<br />
difficile la strada dell’assistenza: aiutare a modificare le strategie e a definire<br />
quelle più adeguate è quanto si potrebbe chiedere a un operatore che deve<br />
rimanere in prima linea dando suggerimenti in moltissimi ambiti, ad esempio<br />
come riorganizzare l’ambiente per renderlo idoneo alla condizioni del paziente,<br />
come gestire alcuni strumenti (telefono, televisione), come usufruire della rete<br />
dei servizi.<br />
Tutto questo è alla base di una corretta informazione che poi è quello che<br />
ormai, quasi sempre dopo i primi colloqui, ci chiedono le persone che entrano in<br />
contatto con noi. Adesso definiamo alcuni concetti sulle demenze. I caregiver<br />
25<br />
Luoghi di ascolto<br />
per le famiglie
devono infatti poter riconoscere i “segni” della malattia, identificare le cause dei<br />
comportamenti del malato, capire che cosa realmente accade nel cervello per<br />
poter meglio dominare l’insieme delle situazioni familiari. L’informazione e la<br />
conoscenza portano le persone a trovare meccanismi di difesa più funzionali,<br />
ottenendo così anche un discreto controllo delle emozioni. Sapere infatti che<br />
l’alternanza tra la lucidità e la confusione sono frutto della malattia e non di<br />
cattiveria o dispetto aiuta il caregiver a razionalizzare la situazione e a<br />
relazionarsi meglio col malato. Il caregiver impara così ad attribuire la<br />
responsabilità del gesto bizzarro alla malattia e non al malato evitando l’inutile<br />
rimprovero cui seguirebbe il senso di colpa.<br />
26
PARTE II<br />
Di seguito si riassumono le informazioni che la ricerca scientifica mette a disposizione sulla Malattia di<br />
<strong>Alzheimer</strong> e sulle altre le altre malattie che causano demenza.<br />
Le demenze e le malattie che ne sono la causa<br />
Se ci si domanda da dove debba mai cominciare l’informazione, direi che definire<br />
i termini potrebbe servire almeno a fare chiarezza.<br />
Per demenza s’intende la compromissione globale delle funzioni cerebrali<br />
superiori – ivi comprese la memoria, la capacità di far fronte alle richieste del<br />
vivere quotidiano e di svolgere le prestazioni percettive e motorie già acquisite in<br />
precedenza, di mantenere un comportamento sociale adeguato alle circostanze e<br />
di controllare le proprie reazioni emotive – in assenza di compromissione dello<br />
stato di vigilanza. Questa condizione diventa con il tempo tanto severa e<br />
invalidante che porta la persona ammalata a non essere più in grado di svolgere<br />
in maniera adeguata le attività tipiche del normale vivere – dal preparare il cibo<br />
ad avere cura della propria persona – e quindi altri devono prendersi cura di lei.<br />
La demenza quindi è un insieme di sintomi. Possiamo paragonare la demenza<br />
alla febbre: un rialzo della temperatura indica solo che una persona non è in<br />
piena salute, ma non dà nessuna informazione sulla causa del disturbo che ha<br />
generato la febbre. La demenza indica che lo stato della mente – del cognitivismo<br />
– di una persona è alterato, ma non dà alcuna informazione sulle cause che<br />
determinano tale disturbo. La demenza non è una malattia, ma è la<br />
presentazione clinica di una malattia che ne è alla base.<br />
Molte sono le malattie che possono causare la demenza; alcune reversibili<br />
come l’ipotiroidismo e alcune condizioni di mancanza di vitamine. L’ipotiroidismo<br />
– molto più presente nelle donne – si realizza con una marcata riduzione dei livelli<br />
ematici di triodotironina T3 e tiroxina T4 dovuta a differenti cause, nella<br />
maggioranza dei casi per un aumento dei livelli di TSH, ormone stimolante la<br />
tiroide. Mentre negli anni passati la condizione patologica era legata alla<br />
mancanza di iodio – assunto con gli alimenti – oggi il più delle volte è chiamato in<br />
27<br />
Cos’è la demenza<br />
L’ipotiroidismo
causa il trattamento medico degli stati di ipertiroidismo. In sintesi questa forma<br />
di demenza – dovuta al rallentamento dei processi metabolici in tutto il corpo e<br />
quindi anche nel cervello – è quella che si osserva nelle persone sui 40-50 anni<br />
che hanno il gozzo e un aspetto particolare: il volto inespressivo, di bassa statura<br />
e obese, insofferenti al freddo; inoltre, si riscontrano mancanza di forza,<br />
sonnolenza, rallentamento dell’eloquio, disturbi della memoria più o meno<br />
marcati. Questa particolare forma di demenza può ovviamente essere risolta se<br />
si accerta la causa: la riduzione degli ormoni tiroidei, i quali possono essere<br />
introdotti nell’organismo con una terapia sostitutiva.<br />
Purtroppo il più delle volte la demenza è dovuta a malattie degenerative del<br />
cervello. Queste malattie al momento non hanno una cura per cui si definiscono<br />
croniche e ingravescenti nel tempo. Sulla base di tale definizione – formulata nel<br />
1982 dal Royal College of Physicians, UK – sono state individuate diverse forme di<br />
demenza, suddivise in alcuni grandi gruppi.<br />
1. Il 15% circa è costituito dalle demenze cosiddette secondarie con<br />
cause infettive, metaboliche, psichiatriche o generate da processi<br />
espansivi endocranici o da idrocefalo normoteso.<br />
2. Un altro 15% circa è costituito dalle demenze vascolari, derivanti<br />
cioè da uno o più infarti cerebrali.<br />
3. Il 70% circa è quello relativo alle demenze degenerative primarie,<br />
causate da lesioni degenerative a carico di un numero rilevante di cellule<br />
in diverse aree cerebrali.<br />
In questo ultimo gruppo vi è la Malattia di <strong>Alzheimer</strong> (MA), che da sola<br />
costituisce circa il 60% di tutte le forme di demenza. Le altre forme degenerative<br />
comprendono diverse forme di degenerazione fronto-temporali, le demenze con<br />
“corpi di Lewy”, le demenze nella malattia di Parkinson, le demenze nella paralisi<br />
sopranucleare progressiva, le demenze nella degenerazione cortico-basale, le<br />
demenze nella malattia di Huntington, le demenze nelle malattie da prioni, rare e<br />
comunemente denominate “da mucca pazza”. È chiaro che anche se al momento<br />
attuale avere tutte queste classificazioni non ha grande importanza ai fini pratici,<br />
in quanto non si hanno a disposizione farmaci in grado di fermare o rallentare la<br />
malattia, quando – e si spera presto – i farmaci ci saranno, sarà sicuramente<br />
28<br />
Le malattie<br />
degenerative del<br />
cervello
della massima importanza conoscere in maniera sicura il processo patologico che<br />
conduce alla demenza; sembra infatti probabile che i farmaci saranno specifici<br />
per le singole forme morbose.<br />
Nuovi criteri diagnosti. Nell’Aprile 2011 è stato pubblicato un lavoro<br />
scientifico in cui si annuncia che dopo ben 27 anni l’aggiornamento dei criteri per<br />
la diagnosi clinica della malattia di <strong>Alzheimer</strong> che risalivano al 1984 (McKhann<br />
1984). 8 Da tempo molte delle persone addentro ai problemi delle demenze<br />
chiedevano una revisione dei criteri diagnostici in quanto le conoscenze che si<br />
erano accumulate negli anni esigevano una rinnovata capacità diagnostica. Un<br />
gruppo di esperti aveva avanzato, su di una prestigiosa rivista medica, una<br />
proposta perché era ormai chiaro che la malattia iniziava decine di anni prima<br />
della comparsa dei sintomi clinici (Dubois B., 2010). 9 In estrema sintesi si<br />
proponeva di abolire il concetto che vedeva la malattia di <strong>Alzheimer</strong> definita<br />
come una duplice entità clinico-patologica per cui la diagnosi necessitava di un<br />
cattivo funzionamento di almeno due diverse funzioni cognitive con<br />
compromissione delle attività della vita quotidiana (demenza) e di specifici<br />
cambiamenti neuropatologici, le matasse neurofibrillari, le placche senili, l’atrofia<br />
cerebrale e la perdita sinaptica; questo comportava la diagnosi a malattia<br />
conclamata e in stadi avanzati, impediva la diagnosi della malattia “in vivo”, che<br />
veniva quindi definita solo “probabile”.<br />
Dubois e colleghi proponevano invece di definire la Malattia di <strong>Alzheimer</strong><br />
solo sul piano clinico e sintomatologico (escludendo cioè quello<br />
anatomopatologico) e di includere sia la fase di predemenza che quella di<br />
demenza, questo grazie anche alla possibilità di utilizzare dei marcatori biologici<br />
8<br />
McKhann GM., Knopman DS., Chertkow H., Hyman BT., Jack CR. Jr., Kawas CH., Klunk WE.,<br />
Koroschetz WJ., Manly JJ., Mayeux R., Mohs RC., Morris JC., Rossor MN., Scheltens P., Carillo MC.,<br />
Thies B., Weintraub S., Phelps CH., The diagnosis of dementia due to <strong>Alzheimer</strong>’s disease.<br />
Recommendations from the Natinal Institute on Aging e The <strong>Alzheimer</strong>’s Association workgroup.<br />
<strong>Alzheimer</strong>s Dement, 20 Aprile 2011. Epub ahead of print; McKhann GM. et al., Clinical diagnosis<br />
of <strong>Alzheimer</strong>’s disease: report of the NINCDS-ADRDA Work Group under the auspices of<br />
Department of Health and Human Services Task Force on <strong>Alzheimer</strong>’Disease, in Neurology, n. 34,<br />
pp. 939-944, 1984.<br />
9<br />
Dubois B., H. H. Feldman, C. Jacova, J.L. Cummings, S.T. DeKosky, P. Barberger-Gateau, A.<br />
Delacourte, G. Frisoni, N.C. Fox, D. Galasko, S. Gauthier, H. Hampel, G.A. Jicha, K. Meguro, J.<br />
O’Brien, Florence Pasquier, P. Robert, M. Rossor, S. Salloway, M. Sarazin, L.C. de Souza, Y. Stern,<br />
P.J. Visser, P. Scheltens., Revising the definition of <strong>Alzheimer</strong>’s disease: a new lexicon, in Lancet<br />
Neurol, n. 9, pp. 1118–1127, 2010.<br />
29<br />
L’aggiornamento dei<br />
criteri per la diagnosi<br />
clinica
che permettono la diagnosi in vivo (se ovviamente sono presenti i disturbi<br />
cognitivi). I marcatori biologici ritenuti più validi sono: i livelli nel liquido cefalo<br />
rachidiano di beta amiloide, di proteina tau totale e della sua frazione fosforilata;<br />
la presenza di depositi cerebrali di beta amiloide evidenziati da specifici traccianti<br />
con l’esame PET; l’atrofia del lobo temporale mediale evidenziato con la<br />
risonanza magnetica; ipometabolismo temporale e/o parietale evidenziato con il<br />
tracciante PET fluorodesossiglucosio. Inoltre avanzavano la possibilità di<br />
considerare una fase preclinica e/o prodromica oltre alla condizione di malattia di<br />
<strong>Alzheimer</strong> manifesta. Infine fu proposto di tenere in considerazione la condizione<br />
di decadimento cognitivo tale da non presentare ancora l’impedimento alle<br />
attività della vita quotidiana – Mild Cognitive Impairment, MCI, decadimento<br />
cognitivo lieve – caratterizzata essenzialmente da un disturbo di memoria isolato<br />
con alto rischio di eventi avversi, la progressione in demenza e mortalità. Si stima<br />
che fra il 30 e il 70% degli ultra75enni ne sia affetta. Il disturbo cognitivo lieve è<br />
una delle condizioni che pone i soggetti a maggior rischio di sviluppare demenza.<br />
Clinicamente i disturbi cognitivi lievi presentano aspetti cognitivi al limite tra<br />
l’invecchiamento normale e la compromissione di tipo <strong>Alzheimer</strong>.<br />
La Malattia di <strong>Alzheimer</strong><br />
La condizione sociale. Nei paesi sviluppati una speranza di vita elevata ha<br />
sempre rappresentato un obiettivo fondamentale, progressivamente conquistato<br />
grazie sia al miglioramento delle condizioni di vita – alimentazione, igiene,<br />
ambienti di lavoro – sia alla possibilità di accedere a presidi sanitari di qualità a<br />
partire dall'infanzia. Questo ha reso possibile il raggiungimento di un'età<br />
avanzata da parte di una considerevole quota di popolazione. Negli ultimi venti<br />
anni si è verificata una nuova realtà. A determinare l’allungamento<br />
dell’aspettativa di vita sono, almeno nei paesi a economia avanzata, le decadi più<br />
anziane. Per questo, il progressivo invecchiamento della popolazione ha portato<br />
a una incidenza sempre maggiore di malattie degenerative, cerebrali e non. Oggi,<br />
l'obiettivo non può più essere solo quello di conquistare altri anni di vita, ma<br />
anche quello di consentire che gli anni guadagnati siano vissuti in maniera<br />
dignitosa e proficua.<br />
30<br />
L’aumento della<br />
vita media
Una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista “Lancet” ci dà un quadro<br />
aggiornato del problema (Jagger C., 2008). 10 Gli autori puntano l’attenzione sulle<br />
differenze nell’aspettativa di vita in salute (AVS) tra le 25 nazioni europee. Il<br />
divario constatato è impressionante: l’AVS per gli ultracinquantenni maschi<br />
danesi è di 23,6 anni mentre per gli estoni di 9,1 anni. L’Italia si colloca tra i primi<br />
posti. Per i maschi italiani l'aspettativa di vita è di 80,4 anni, e l’AVS è, dopo i 50<br />
anni, di 20.6 anni; per le donne l'aspettativa di vita è di 85,3 anni e l’AVS, dopo i<br />
50, di 20,86 anni.<br />
Tornando allo specifico dell’<strong>Alzheimer</strong> nel nostro paese, i dati più recenti<br />
parlano di circa 1 milione di persone con MA – circa 30-40.000 già accertati in<br />
<strong>Liguria</strong>, regione in cui la presenza di ultrasessantacinquenni è decisamente<br />
superiore alla media nazionale – e la sua prevalenza può essere stimata in circa il<br />
3% delle persone – maschi e femmine – di età compresa tra i 65 ed I 75 anni. La<br />
percentuale delle persone colpite dalla MA sale a circa il 50% se si considerano<br />
coloro che hanno più di 85 anni d’età (The Italian Longitudinal Study on Aging.,<br />
1997). 11 I dati previsionali informano di un forte ridimensionamento delle classi<br />
d’età adulte, ovvero quelle proprie dei potenziali caregivers, con conseguente<br />
necessità di prefigurare anche possibili figure alternative con le quali poter<br />
almeno condividere il carico assistenziale. Il problema, già oggi molto grave, si<br />
presenta quindi come esplosivo per i prossimi decenni – si presumono 115<br />
milioni di malati nel mondo nel 2050 – e richiede la progettazione di interventi<br />
mirati non solo alla cura in senso stretto, bensì anche al sostegno delle reti<br />
informali che erogano assistenza.<br />
La malattia di <strong>Alzheimer</strong> è sicuramente quella che occupa il primo posto tra<br />
tutte le possibili cause di demenza e rappresenta fino al 60% di tutte le forme di<br />
malattie con demenza.<br />
Il Dott. Alois <strong>Alzheimer</strong>. La malattia deve il nome al medico Alois <strong>Alzheimer</strong>,<br />
figlio del notaio Eduard, nato il 14 giugno 1864 nella piccola città bavarese di<br />
10<br />
Jagger C., Gillies C., Moscone F., Cambois E., Van Oyen H., Nusselder W., Robine J-M and the<br />
EHLEIS team, Inequalities in healthy life years in the 25 countries of the European Union in 2005:<br />
a cross-national meta-regression. Analysis, in Lancet, n.372, pp. 2124–2131, 2008.<br />
11<br />
The Italian Longitudinal Study on Aging. Prevalence of chronic disease in older Italians:<br />
comparing self-reported and clinical diagnoses., in Int J Epidemiol, n. 26, pp. 995-1002, 1997.<br />
31<br />
L’aspettativa di vita<br />
in salute<br />
La scoperta di<br />
<strong>Alzheimer</strong>
Marktbreit. Alois frequentò diverse Università, Aschaffenburg, Tübingen, Berlino,<br />
e Würzburg, dove nel 1887 ottenne la Laurea in Medicina e nello stesso anno<br />
discusse la tesi del suo dottorato: "Über die Ohrenschemalzdrnsen" (trad. “Sulle<br />
ghiandole ceruminose”), frutto del lavoro sperimentale condotto presso il<br />
laboratorio del massimo istologo dell'epoca, Rudolf Albert von Kölliker. L'anno<br />
successivo iniziò a lavorare presso Städtischen Heilanstalt für Irre und<br />
Epileptische di Francoforte sul Meno, luogo gestito dallo stato dove erano<br />
ricoverate persone con malattie mentali. Qui iniziò a studiare la psichiatria<br />
dedicandosi a quello che sarebbe poi stato il suo massimo interesse, la<br />
neuropatologia. Fondamentale l’incontro con il celebre neurologo Franz Nissl,<br />
trasferito presso lo stesso istituto. I due, insieme, si dedicarono allo studio del<br />
sistema nervoso, in particolare all'anatomia patologica della corteccia cerebrale<br />
e diedero alle stampe il prodotto della loro ricerca, il monumentale<br />
"Histologische und histopatologische Arbeiten über die Grosshirnrinde" (trad.<br />
“Studi patologici e istopatologici della corteccia cerebrale”).<br />
Nissl si trasferì poi a Heidelberg e <strong>Alzheimer</strong> fu nominato direttore della<br />
Clinica Psichiatrica. Qui rimase fino al 1895 quando Emil Kraepelin – luminare<br />
della psichiatria noto per il suo tentativo di classificare tutte le forme di malattia<br />
mentale conosciute al tempo – lo chiamò a Heidelberg, dove lavorò ancora con<br />
Nissl.<br />
Nel 1903 Kraepelin e <strong>Alzheimer</strong> si trasferirono a Monaco, nella clinica<br />
psichiatrica universitaria. Qui <strong>Alzheimer</strong>, nel novembre del 1906, descrisse "una<br />
rara malattia della corteccia cerebrale", basandosi sugli studi effettuati su una<br />
donna morta a 51 anni nella clinica di Monaco, Auguste D. Della donna si<br />
conserva ancora oggi la cartella clinica e una fotografia scattata durante il<br />
ricovero. La signora Auguste era stata portata all’osservazione del Dott.<br />
<strong>Alzheimer</strong> perché presentava gravi turbe cognitive; il sintomo principale, oltre a<br />
perdita della memoria e a confusione, era, in quelle prime fasi di malattia, un<br />
delirio di gelosia nei confronti del marito. In seguito si definì il corteo<br />
sintomatologico più tipico della malattia che oggi ben conosciamo –<br />
disorientamento spazio temporale e difficoltà nella lettura e scrittura – e alla<br />
morte della paziente venne concessa l’autorizzazione a eseguire l’autopsia.<br />
32
L’esame istopatologico mise in evidenza una corteccia cerebrale più sottile del<br />
normale – corteccia atrofica – con presenza di alcune alterazioni peculiari: la<br />
prima era una formazione - “placca senile” - già osservata nei cervelli di altre<br />
persone anziane e la seconda una matassa neuro fibrillare all’interno di neuroni<br />
morti. Questa alterazione corticale, mai descritta prima, permise di capire che ci<br />
si trovava di fronte a una nuova condizione patologica che Kraepelin chiamò<br />
“Morbo di <strong>Alzheimer</strong>” nell’edizione del suo “Manuale di Psichiatria” del 1910.<br />
Nel 1910 <strong>Alzheimer</strong> fondò la Rivista generale di neurologia e psichiatria insieme<br />
al neurologo Max Lewandowsky e nel 1912 l'imperatore Guglielmo II gli offrì<br />
l’incarico di professore ordinario di psichiatria presso la Clinica Psichiatrica e<br />
Neurologica dell’Università Federico Guglielmo a Breslavia (oggi in Polonia). In<br />
quell’anno durante un viaggio in treno <strong>Alzheimer</strong> si ammalò. Morì, a soli 51 anni,<br />
nel dicembre del 1915, anno in cui stava preparando le nozze della figlia con il<br />
suo grande amico, il Dott. G. Strerz.<br />
Il cervello malato. Oggi sappiamo che il cervello delle persone con MA<br />
contiene delle formazioni proteiche – le placche di beta-amiloide e le matasse<br />
neurofibrillari – che all’inizio della malattia sono concentrate in regioni del<br />
cervello che giocano un ruolo chiave nei processi di memorizzazione: le strutture<br />
ippocampali e para ippocampali site nella parte più interna o mediale di entrambi<br />
i lobi temporali. Con l’avanzare della malattia l’intero cervello viene coinvolto.<br />
Anche se è noto che molte persone in età avanzata possono presentare<br />
placche di beta-amiloide del tutto simili a quelle trovate nei malati dementi, la<br />
quantità delle placche è molto maggiore nei malati di <strong>Alzheimer</strong>. Da alcuni anni si<br />
conosce la composizione delle placche, come si formano e un loro possibile ruolo<br />
nella genesi della malattia. Le placche sono costituite da frammenti extracellulari<br />
di un peptide beta-amiloide che derivano dalla demolizione di una proteina di<br />
membrana, l’Amiloid Precursor Protein (APP), la proteina precursore<br />
dell’amiloide. La demolizione avviene ad opera di alcuni enzimi (l’enzima è una<br />
proteina che permette e/o facilita i processi biochimici che si svolgono all’interno<br />
e/o all’esterno del neurone), e precisamente la beta e la gamma secretasi.<br />
Avviene così il troncamento dell’APP, di cui una parte, la beta-amiloide, viene<br />
33<br />
Le placche di betaamiloide
lasciata libera, fuori dalla membrana cellulare. La beta-amiloide compattandosi<br />
con altre molecole e con i neuroni e le cellule gliali, forma le note placche di<br />
<strong>Alzheimer</strong> (Schettini G., 2010). 12<br />
Le matasse neuro fibrillari sono un’altra formazione tipica della malattia.<br />
Normalmente i neuroni sono costituiti da uno scheletro interno di supporto, che<br />
in parte è formato da strutture chiamate microtubuli, subunità stabilizzate di una<br />
proteina definita tau. Nella malattia di <strong>Alzheimer</strong> avviene una modificazione di<br />
questa proteina– in linguaggio chimico si dice che la tau è iperfosforilata – dando<br />
origine alla fusione delle diverse proteine tau. A lungo andare il processo provoca<br />
anche un cambiamento della struttura dei neuroni che si aggroviglia e porta a<br />
morte le cellule. Ovviamente la malattia di <strong>Alzheimer</strong> non è la sola patologia in<br />
cui tali proteine si trovano alterate.<br />
Di particolare interesse è però la relazione temporale tra queste alterazioni<br />
cerebrali e la comparsa della sintomatologia dementigena. Infatti, prima che i<br />
disturbi cognitivi diventino chiari,tanto da essere riconosciuti dalle persone che<br />
normalmente circondano il malato, devono trascorrere alcune decine di anni, tra<br />
40 e 50. Un recente studio condotto sui cervelli di 42 individui di età compresa tra<br />
i 4 ed i 29 anni ha rilevato in circa la metà dei casi alterazioni che daranno origine<br />
alle matasse neuro fibrillari in strutture cerebrali sotto corticali. La ricerca<br />
suggerirebbe che queste modificazioni cerebrali potrebbero avere origine<br />
addirittura nella fase preadolescenziale della nostra vita (Braack, Del Tredici,<br />
2011). 13<br />
L’altra grande modificazione dei cervelli dei malati di MA che si riscontra<br />
all’autopsia è l’atrofia cerebrale: perdita consistente di cellule – neuroni e glia – e<br />
dei loro collegamenti. Le aree più colpite sono generalmente la parte anteriore<br />
del lobo temporale, le sue componenti più profonde o mesiali (in special modo<br />
l’ippocampo), come pure il lobo frontale e quello parietale. Molte altre strutture<br />
sono generalmente interessate dall'atrofia come le aree limbiche. Queste aree<br />
definite anche come “sistema limbico” (anche se non tutti i ricercatori nel settore<br />
12<br />
Schettini G., Govoni S., Racchi M., Rodriguez G., Phosphorylation of APP-CTF-AICD domains and<br />
interaction with adaptor proteins: signal transduction and/or transcriptional role-relevance for<br />
<strong>Alzheimer</strong> pathology, in J.Neurochem, n. 115, pp. 1299–1308, 2010.<br />
13<br />
Braak H., Del Tredici K., The pathological process underlying <strong>Alzheimer</strong>’s disease in individuals<br />
under thirty, in Acta Neuropathol, n. 121 , pp. 171–181, 2011.<br />
34<br />
Le matasse<br />
neurofibrillari<br />
L’atrofia cerebrale
delle neuroscienze si trovano d’accordo sul termine “sistema”) comprendono una<br />
serie di strutture cerebrali che includono l'ippocampo, l'amigdala, i nuclei talamici<br />
anteriori e la corteccia limbica (giro del cingolo, corteccia olfattoria e entorinale<br />
ed altre strutture tra cui, per alcuni, possono includersi anche le aree frontali<br />
sovra orbitali) che supportano svariate funzioni psichiche come emotività,<br />
comportamento, memoria a lungo termine e olfatto (Braak H., Braak E., 1991). 14<br />
Il sistema limbico influenza anche il sistema endocrino e il sistema nervoso<br />
autonomo è connesso con il nucleus accumbes – la degenerazione di questi<br />
circuiti è stata associata all'insorgere di sindromi schizofreniche – e riceve una<br />
importante afferenza dopaminergica da parte della via mesolimbica. Uno dei<br />
centri principali di questo sistema è proprio il nucleus accumbens che insieme al<br />
sistema limbico sembra coinvolto nei meccanismi di ricompensa e punizione.<br />
Infine, come su accennato, si ricordano le importanti connessioni con la corteccia<br />
prefrontale che sono parte di un sistema decisionale più di tipo emozionale che<br />
razionale anche secondo le ipotesi suggerite da alcuni ricercatori tra cui Antonio<br />
Damasio (Damasio, 2000). 15<br />
Altra area ritrovata atrofica è il nucleo basale di Meynert (Whitehouse PJ.,<br />
1981). 16 Questa struttura è importante perché sede di neuroni che utilizzano<br />
come neurotrasmettitore l’acetilcolina, uno dei trasmettitori cerebrali di tipo<br />
attivante, e per le numerose connessioni con aree cerebrali attive in moltissimi<br />
processi cognitivi quali quelli mnesici (ippocampo). Nel cervello dei malati di MA è<br />
stata trovata un’importante riduzione di acetilconina (nei malati l’attività<br />
corticale acetilcolinergica è ridotta di circa il 60-70%) e anche su questa<br />
osservazione si basa il trattamento con inibitori delle acetil colinesterasi – gli<br />
enzimi che catabolizzano l’acetilcolina – praticato nella MA e di cui parleremo in<br />
seguito.<br />
La degenerazione sinaptica è tipica della MA. L’autopsia rivela una<br />
diminuzione del numero di sinapsi una carenza di sostanze proteiche presenti<br />
14<br />
Braak H., Braak E., Neuropathological stageing of <strong>Alzheimer</strong>-related changes, in Acta<br />
Neuropathol, n. 82, pp. 239–259, 1991.<br />
15<br />
Antonio R. Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi, 2000.<br />
16<br />
Whitehouse PJ., Prince DL., Clark AW., Coyle JT., DeLong M., <strong>Alzheimer</strong> disease: Evidence for<br />
selective loss of cholinergic neurons in the nucleus basalis, in Annals of Neurology, n. 10, pp. 122–<br />
126, 1981.<br />
35<br />
La diminuzione<br />
delle sinapsi
nelle sinapsi di cellule sane. La degenerazione ha una buona correlazione con il<br />
decorso e l'entità della malattia. I sintomi della demenza potrebbero dunque<br />
essere interpretati come conseguenza del deficit sinaptico, in quanto i neuroni<br />
hanno difficoltà a comunicare.<br />
Ovviamente la domanda che tutti ci poniamo è perché mai si formino sia le<br />
placche che le matasse fibrillari. Purtroppo la risposta non è ancora stata data e<br />
questo condiziona anche la ricerca farmaceutica.<br />
Tra le ipotesi formulate una riguarda la possibilità che alla base della<br />
malattia ci sia un’alterazione genetica. Contro questa ipotesi, anche se solo<br />
parzialmente, è il dato che solo circa il 5-10% dei casi di MA è di tipo ereditario:<br />
in questi casi, la malattia è definita “familiare” perché più persone della stessa<br />
famiglia sono colpite dalla malattia che ha insorgenza molto più precoce di<br />
quanto avvenga nella forma sporadica (tra i 35 ed i 50 anni).<br />
Tra le alterazioni genetiche ricordiamo quella del gene della proteina<br />
amiloide (APP), localizzato sul cromosoma 21 che presenta mutazioni molto rare,<br />
circa 43 famiglie finora identificate nel mondo; quella del gene della presenilina 1<br />
(PS1) localizzato sul cromosoma 14 con oltre 125 diverse mutazioni finora<br />
identificate in malati appartenenti a 254 famiglie, in tutto il mondo. Queste<br />
mutazioni – le preseniline sono proteine che hanno la funzione di tagliare la<br />
proteina amiloide e per questo l'ipotesi è che il loro alterato funzionamento<br />
potrebbe portare all’accumulo di proteina amiloide – rappresentano la causa più<br />
comune delle forme di <strong>Alzheimer</strong> familiare a esordio precoce (tra i 28 ed i 60<br />
anni). La mutazione del gene della presenilina 2 (PS2), localizzato sul cromosoma<br />
1, è stata identificata solo in 6 casi in pazienti appartenenti a famiglie americane<br />
originarie dell’Europa dell'Est e in 2 famiglie italiane; in queste famiglie l’età di<br />
esordio può essere precoce (30 anni) ma anche molto tardivo (oltre 80).<br />
Si è trovata una mutazione genetica anche a carico del cromosoma 21 –<br />
responsabile della formazione della proteina precursore dell'amiloide – e del<br />
cromosoma 14. La variante genetica del gene 19 - denominata ApoE-e4 – è<br />
presente nel 15% della popolazione sana ma nel 50% della popolazione affetta da<br />
MA. Tale variante è stata pertanto considerata un fattore genetico di rischio.<br />
36<br />
Le alterazioni<br />
genetiche<br />
La proteina<br />
amiloide<br />
I cromosomi 21, 14<br />
e il gene 19
Una ricerca del 2005 mette in luce che i frammenti 151 e 421 della proteina<br />
tau sono in grado di portare a morte i neuroni ippocampali, che sappiamo essere<br />
una della zone chiave della MA. Più recentemente in un modello animale di MA si<br />
è trovato che alla comparsa dei primi sintomi della malattia, nell'ippocampo<br />
compariva un eccesso della proteina caspasi-3, che comportava il<br />
deterioramento delle sinapsi e quindi della memoria (D'Amelio M., 2011). 17 Infine<br />
gli studi epidemiologici hanno messo in luce un rischio di circa 3-4 volte maggiore<br />
di sviluppare la MA in persone che abbiano i genitori – uno o entrambi – malati;<br />
la malattia inoltre presenta anche un decorso più rapido.<br />
A fronte di tali condizioni è bene conoscere in dettaglio il senso generale di<br />
ereditarietà. Tutte le informazioni che servono alle cellule dell’organismo umano<br />
per svolgere i compiti loro assegnati sono immagazzinate nel DNA in una<br />
proteina del nucleo cellulare, suddivisa in strutture, chiamate cromosomi,<br />
ereditate dai genitori, metà da parte materna e metà da parte del padre. Nel<br />
DNA le informazioni sono organizzate a blocchi, cosiddetti “geni”, ognuno dei<br />
quali codifica determinate azioni. Quando per una qualsiasi ragione, i geni si<br />
modificano – le cosiddette mutazioni – l'azione di cui è responsabile il gene non<br />
avverrà più nella forma in cui era in precedenza codificata: il nuovo prodotto<br />
genico potrà portare sia a miglioramenti – la chiave di volta per spiegare<br />
l’evoluzione della specie umana e di tutte le creature della terra – ma anche a<br />
problemi che si possono esprimere in anomalie o patologie e quindi alterazioni<br />
patologiche che verranno dette ereditarie. Quindi, malattie ereditarie o genetiche<br />
sono quelle anomalie di strutture o funzioni presenti dalla nascita che derivano<br />
da un errore generato in un singolo gene oppure da anomalie strutturali dei<br />
cromosomi. Alcune malattie genetiche danno segni visibili alla nascita. Tali<br />
patologie possono derivare da mutazioni di un singolo gene o da anomalie a<br />
carico dei cromosomi.<br />
17 D'Amelio M. ,Cavallucci V., Middei S., Marchetti C., Pacioni S., Ferri A., Diamantini A., De Zio D.,<br />
Carrara P., Battistini L., Moreno S., Bacci A., Ammassari-Teule M., Marie H., Cecconi F., Caspase-3<br />
triggers early synaptic dysfunction in a mouse model of <strong>Alzheimer</strong>'s disease, in Nat Neurosci, n.<br />
14, pp. 69-76, 2011.<br />
37<br />
La proteina caspasi-<br />
3
Le forme più comuni della MA – quelle sporadiche, non legate direttamente<br />
alla ereditarietà – sono la maggioranza (circa il 75% dei casi), non colpiscono i<br />
parenti del malato e come già detto non sono certe le cause.<br />
Per spiegare la MA, tra le altre ipotesi avanzate, ma con pochi chiari indizi a<br />
suo favore ricordo quella virale. Si è pensato che possano influire negativamente<br />
a livello cerebrale gli alti livelli di alluminio trovati nel cervello di persone con<br />
MA. Infatti, sali di alluminio posti direttamente sulla corteccia cerebrale di<br />
animali da esperimento producono matasse neurofibrillari, ma non vi sono prove<br />
dirette che la MA possa essere causata da una forma di intossicazione da<br />
alluminio. Anche il sistema immunitario è stato chiamato in causa potendo<br />
l'organismo produrre anticorpi che attaccano selettivamente i neuroni per<br />
l'acetilcolina, come pure la Barriera Emato Encefalica, struttura che serve a<br />
separare nel cervello i neuroni dal circolo ematico. Secondo questa ipotesi, una<br />
mutata permeabilità della barriera ematoencefalica permetterebbe a sostanze<br />
tossiche di entrare nel cervello e di attaccare i neuroni. Nessuno può attualmente<br />
escludere che due o più di queste ipotesi combinate costituiscano la patogenesi<br />
del morbo di <strong>Alzheimer</strong> (Reitz C., 2011). 18<br />
La diagnosi. Per molto tempo si è ritenuto corretto ritenere che la diagnosi di<br />
MA richiedesse, oltre a tutta la parte clinica sintomatologica, anche la conferma<br />
autoptica delle tipiche alterazioni cerebrali. Essendo queste rilevabili solo dopo la<br />
morte del malato, si comprende che in vita il medico poteva fare solo una<br />
diagnosi di “probabile” MA. Da alcuni anni, però, da parte di molti gruppi di<br />
ricerca si è posto l’accento sulla necessità di superare questa diagnosi e di<br />
accettare nuovi criteri. Molto recentemente queste idee sono state oggetto di<br />
pubblicazioni di prestigiose riviste internazionali, spero che presto anche la<br />
medicina di base possa far proprie queste nuove posizioni.<br />
La novità è che negli ultimi anni si è fatta luce, dopo una serie di osservazioni<br />
strumentali, sulla presenza nei malati ma anche in persone che hanno sviluppato<br />
la MA di quadri particolari e in parte specifici di MA. Tra queste i radiofarmaci<br />
18 Reitz C., Brayne C. Mayeux R., Epidemiology of <strong>Alzheimer</strong> disease, in Nature<br />
Reviews/Neurology, n. 7, pp. 137-152, 2011.<br />
38<br />
La causa virale<br />
LA DIAGNOSI<br />
PET
che sono in grado di legarsi alla proteina beta-amiloide e quindi di rendere visibile<br />
la deposizione di beta-amiloide cerebrale utilizzando un’apparecchiatura, la PET<br />
(tomografia ad emissione di positroni). Queste “neuroimmagini” sono molto<br />
importanti non solo perché permettono di evidenziare nei malati la deposizione di<br />
beta-amiloide, ma anche di mostrarla nei cervelli di persone che sono ad alto<br />
rischio di sviluppare la MA ma non presentano ancora il tipico corteo<br />
sintomatologico dei disturbi cognitivi. Così molti ricercatori ritengono di poter<br />
attribuire questi quadri ad una fase pre clinica della malattia di <strong>Alzheimer</strong>. Con la<br />
PET è inoltre possibile evidenziare, grazie ad un tracciante radioattivo – il desossi-<br />
fluoro-glucosio che viene intrappolato nelle cellule cerebrali normalmente<br />
funzionanti – un’alterazione del metabolismo cerebrale nelle regioni parietali<br />
posteriori del cervello nei malati di MA. Anche con questo tipo di esame è<br />
possibile evidenziare delle alterazioni anni prima dello sviluppo dei sintomi.<br />
Ancora è possibile con la Risonanza Magnetica strutturale cerebrale pesare la<br />
perdita del tessuto cerebrale a causa dell’atrofia e in particolare valutare il<br />
volume di una regione molto importante nella genesi della malattia, l’ippocampo.<br />
Alcuni gruppi di ricerca hanno elaborato dei sistemi automatici per la “pesatura”<br />
dell’ippocampo e si può quindi sperare che, quando questi sistemi saranno<br />
definitivamente accettati dalla comunità scientifica, sarà possibile disporre di uno<br />
strumento accessibile a tutti in grado di definire il rischio potenziale di sviluppare<br />
la MA (Chincarini, 2010). 19<br />
Infine molto indicativi di MA sono anche i rapporti tra la concentrazione di<br />
beta amiloide – variante Abeta42 – e di tau, la proteina indicatore di danno<br />
citoscheletrico neuronale. Gli anziani sani hanno livelli elevati di Abeta42 e bassi<br />
di tau nel liquor, mentre nelle fasi anche molto iniziali di malattia di <strong>Alzheimer</strong> il<br />
rapporto è invertito (bassi livelli di Abeta42 e alti di tau). Ricordo anche che, sia<br />
per le forme familiari che per quelle sporadiche, è stato introdotto anche un<br />
esame genetico per un particolare allele – l’allele 4 – del gene della<br />
Apolipoproteina E (APOE4). L’APOE è una proteina che si lega alla proteina<br />
19<br />
Chincarini A., Corosu M., Gemme GL., Calvini P., Monge R., Penco MA., Rei L., Squarcia S.,<br />
Boccacci P., Rodriguez G., Automatic Morphological Analysis of Medial Temporal Lobe The Open<br />
Nuclear, in Medicine Journal, n. 2, pp. 31-39, 2010.<br />
39<br />
Il rapporto tra betaamiloide<br />
e tau<br />
L’esame dell’allele 4<br />
e della<br />
apolipoproteina
amiloide e diversi studi hanno mostrato che l’allele 4 è più frequente nelle<br />
persone affette da MA rispetto a quelle sane (Reitz C., 2011). 20<br />
Da quanto detto appare evidente come fossero maturi i tempi per modificare<br />
finalmente i criteri diagnosti della Malattia di <strong>Alzheimer</strong>. Nell’Aprile del 2011<br />
sono stati pubblicati i nuovi criteri di diagnosi che sostituiscono quelli del 1984<br />
che, ovviamente, riflettevano le scarse conoscenze del momento e che davano<br />
alla malattia una singola fase, quella della demenza, e che basavano la diagnosi<br />
solo sui criteri clinici. Si assumeva così che le persone senza demenza fossero<br />
anche non malate di <strong>Alzheimer</strong>; diagnosi confermata all’esame autoptico. Da<br />
allora si è ormai accertato che la malattia di <strong>Alzheimer</strong> può causare danni al<br />
cervello decine di anni prima dalla comparsa dei sintomi e che i sintomi non<br />
sempre sono strettamente correlati ai danni che l’<strong>Alzheimer</strong> causa al cervello.<br />
Inoltre, sembra ormai appurato che i depositi di amiloide cominciano presto,<br />
durante il percorso della malattia, ma la formazione delle matasse neuro fibrillari<br />
e la perdita dei neuroni avviene più tardi e addirittura possono accelerare proprio<br />
nel periodo che precede la comparsa dei tipici sintomi.<br />
I nuovi criteri diagnostici per la malattia di <strong>Alzheimer</strong> proposti coprono tre<br />
distinte fasi della malattia (Jack CR., 2011). 21<br />
1- Preclinica. La fase preclinica, per la quale le linee guida si applicano solo in<br />
un ambiente di ricerca, descrive una fase in cui le modificazioni del<br />
cervello – la formazione delle placche di amiloide e degli altri precoci<br />
cambiamenti a carico delle cellule nervose – potrebbe essere già in<br />
corso. In questa fase, non sono ancora evidenti significativi sintomi<br />
clinici. In alcune persone, l'accumulo di amiloide può essere rilevato<br />
grazie alla tomografia a emissione di positroni (PET) e all’analisi del<br />
liquido cefalo rachidiano, ma a tutt’oggi per queste persone non si sa<br />
quale sia il vero rischio di una progressione verso la demenza di<br />
<strong>Alzheimer</strong>. Tuttavia, al momento, l'uso delle indagini di imaging<br />
20<br />
Ibidem.<br />
21<br />
Jack CR. Jr, Albert M., Knopman DS., McKhann GM., Sperling RA., Carrillo MC., Thies B., Phelps<br />
CH., Introduction to revised criteria for the diagnosis of <strong>Alzheimer</strong>’s disease. National Institute on<br />
Aging and the <strong>Alzheimer</strong>’s Association workgroup. <strong>Alzheimer</strong>s Dement, 20 aprile 2011, Epub<br />
ahead of print.<br />
40<br />
NUOVI CRITERI PER<br />
LA DIAGNOSI<br />
CLINICA<br />
Le tre fasi stabilite<br />
dai nuovi criteri<br />
diagnosti
cerebrale e di ricerca di biomarcatori sono consigliati solo a scopo di<br />
ricerca. Questi biomarcatori sono ancora in una fase di sviluppo e non<br />
ancora standardizzati per cui non sono ancora adottabili nella pratica<br />
clinica routinaria.<br />
2- Disturbo cognitivo lieve (MCI). Anche le linee guida per la fase del MCI<br />
sono in gran parte per la ricerca, anche se chiariscono quelle già esistenti<br />
per MCI da utilizzare in ambienti di clinica routinaria. La fase del MCI è<br />
caratterizzata da sintomi che si riferiscono a difficoltà di memoria, tali da<br />
essere notati e pesati con opportuni test neuropsicologici, che non non<br />
compromettono l'indipendenza di una persona. Le persone con MCI<br />
possono o no progredire verso la demenza di <strong>Alzheimer</strong>. La ricerca, in<br />
questa fase, dovrebbe concentrarsi in particolare sulla standardizzazione<br />
dei biomarcatori per l’amiloide e per gli altri possibili marcatori di danno<br />
cerebrale. Attualmente, i biomarcatori includono: elevati livelli di<br />
proteina tau e diminuzione dei livelli di beta-amiloide nel liquido<br />
cerebrospinale; ridotta captazione del glucosio nel cervello, come si<br />
evidenzia con l’esame PET, e l'atrofia di certe aree del cervello, come si è<br />
visto con la risonanza magnetica strutturale (MRI). Questi test saranno<br />
utilizzati principalmente in ambito di ricerca, ma potrebbero anche<br />
essere applicati in ambienti clinici specializzati per la diagnostica delle<br />
malattie che portano alla demenza, allo scopo di dare maggior valore ai<br />
test clinici standardizzati così da giungere alla comprensione delle<br />
possibili cause dei sintomi di MCI.<br />
3- La Malattia di <strong>Alzheimer</strong>. I criteri stabiliti valgono per la fase finale della<br />
malattia e sono più importanti per i medici e i pazienti. I criteri<br />
definiscono i modi con cui i medici dovrebbero valutare le cause e la<br />
progressione del declino cognitivo. Le linee guida inoltre espandono il<br />
concetto di malattia di <strong>Alzheimer</strong> oltre la perdita di memoria come sua<br />
caratteristica più peculiare. Un calo in altri aspetti dei domini cognitivi,<br />
come trovare le parole corrette, alterazioni visuo/spaziali e la<br />
compromissione del ragionamento o della capacità di giudizio<br />
potrebbero essere i primi sintomi notati. In questa fase, i risultati della<br />
41
valutazione dei biomarcatori possono essere utilizzati, in alcuni casi, per<br />
aumentare o diminuire il livello di certezza di una diagnosi di malattia di<br />
<strong>Alzheimer</strong> e per distinguere la demenza tipo <strong>Alzheimer</strong> da altre forme di<br />
demenza, anche se la validità di tali prove per l'applicazione nella pratica<br />
clinica quotidiana è ancora in fase di studio.<br />
I sintomi. Nelle fasi più precoci della malattia i disturbi cognitivi sono molto<br />
vaghi. Tra questi, come è ben noto, è la perdita di memoria che, a volte, può<br />
anche compromettere le capacità lavorative mentre, altre volte, si esprime solo<br />
come incapacità per esempio di ritrovare le cose riposte da qualche parte. Ci<br />
sono poi piccole difficoltà nelle attività della vita quotidiana o sul posto di lavoro<br />
(ad esempio non saper più che fare di fronte ad compito normalmente eseguito<br />
senza problemi; dimenticare parole semplici o sostituirle con parole improprie,<br />
rendendo quello che si dice difficile da capire), momenti di disorientamento sia<br />
nel tempo (non ricordare le date o l’anno in corso) e nello spazio (trovarsi in un<br />
posto noto e non sapere più dove si è), diminuzione della capacità di giudizio e<br />
difficoltà nel pensiero astratto, mettere le cose in posti del tutto inadeguati (un<br />
orologio nel barattolo dello zucchero), cambiamenti di umore o di<br />
comportamento, infine modificazioni della personalità e mancanza di iniziativa in<br />
molte o in tutte le solite attività.<br />
Come facilmente si intuisce, la malattia inizia in modo insidioso e subdolo,<br />
molte volte è preceduta da un lungo periodo in cui il malato è depresso e<br />
apatico, lentamente e gradualmente la sintomatologia progredisce. Prima di<br />
questa fase iniziale riconosciuta, le modificazioni che hanno danneggiato il<br />
cervello erano presenti da decenni anche se senza evidenti sintomi e segni, per<br />
cui, quando questi si manifestano e viene fatta la diagnosi clinica, ci si trova ad<br />
un punto di non ritorno, nonostante l’imprevedibilità del decorso clinico. Anche<br />
per queste ragioni è importante arrivare alla diagnosi il più precocemente<br />
possibile; dato il carattere progressivo della malattia, è ipotizzabile un suo<br />
arresto solo se il cervello non è danneggiato in maniera irreparabile. Inoltre la<br />
diagnosi precoce permette di mettere sull’avviso l’intero sistema familiare e di<br />
prendere da subito tutti quei provvedimenti, molti dei quali anche di tipo<br />
42<br />
I SINTOMI<br />
La I fase<br />
La perdita di<br />
memoria e il<br />
disorientamento<br />
La diagnosi precoce
amministrativo, per una gestione più tranquilla della malattia. In questa fase<br />
potrebbe rilevarsi molto utile per il malato e per la famiglia la frequentazione di<br />
un Centro Diurno per MA. Queste strutture infatti, offrendo un ambiente in cui il<br />
malato è stimolato a compiere una serie di azioni che difficilmente possono<br />
essere fatte in ambiente familiare, sono un momento terapeutico importante.<br />
Ma anche per la persona o le persone che prestano le cure, perché il centro può<br />
rappresentare nella giornata un momento di pausa, indispensabile per reggere il<br />
carico della cura sul lungo periodo.<br />
Andando avanti nel suo corso naturale la malattia arriva ad una seconda fase<br />
in cui, oltre a presentare l’accentuazione di tutti i disturbi già presenti (si noterà<br />
un marcato peggioramento delle capacità della memoria), compaiono altri segni<br />
molto particolari: viene a mancare l’orientamento temporale per cui fissare un<br />
impegno o un appuntamento potrebbe generare nel malato un particolare stato<br />
di agitazione e quindi a un aumento della tensione ed irritabilità che può portare<br />
a stati di confusione, iperattività ed evidente ostilità.<br />
Il deficit dell’orientamento spaziale si esprime anche nei dintorni della<br />
propria abitazione e nei lunghi percorsi, l’ammalato comprende di non sapere<br />
più dove si trova e quindi tende spontaneamente a non uscire di casa. L’unica<br />
risposta di chi si prende cura del malato sarà quella di accompagnarlo ogni qual<br />
volta ci si allontana dall’ambiente domestico. Certamente in questa fase è ancora<br />
possibile stimolare, almeno in parte, le residue autonomie del malato<br />
convincendolo a passeggiare ad esempio in un giardino privato, o in spazi<br />
protetti vicini all'abitazione o anche frequentando luoghi molto familiari.<br />
Compare anche la compromissione delle capacità di astrazione: per il malato<br />
risulta sempre più difficile comprendere situazioni complesse per cui è<br />
necessario semplificare i messaggi, le istruzioni debbono essere molto<br />
elementari. Anche il linguaggio mostra alterazioni sempre più marcate e diventa<br />
difficile per tutti, anche per il caregiver, comprendere i motivi di un possibile<br />
disagio (anche fisico) oppure i bisogni che il malato non riesce più a comunicare<br />
in maniera chiara e intelligibile. Il malato non ha più la capacità di prevedere,<br />
controllare o incidere sull’ambiente circostante per cui sarà in un persistente<br />
stato di agitazione. Anche la capacità di giudizio si allenta e non è difficile sentire<br />
43<br />
La II fase<br />
Aggravamento dei<br />
sintomi già presenti
accontare di chi vorrebbe uscire di casa nudo o in vestaglia e non ritiene<br />
necessaria la cura della propria persona. L’apatia è sempre più presente e il<br />
malato riduce le proprie attività; anche per questo lo si vede, immobile e inerte,<br />
rimanere seduto (anche di fronte ad un televisore acceso) senza presentare<br />
alcun tipo di reattività. Infine, spesso, in questa fase compaiono nel malato<br />
allucinazioni in genere spiacevoli (ossia percezioni visive e/o uditive in assenza<br />
dei corrispondenti oggetti) che possono innescare veri e propri deliri che non<br />
hanno nessun riscontro oggettivo. Tipici sono quelli in cui il malato è convinto<br />
che qualcuno voglia fargli del male o privarlo dei suoi averi: “mio figlio quando<br />
viene a casa mia mi ruba i soldi”. Ancora, i malati ritengono che le persone che li<br />
assistono siano degli impostori, oppure hanno la convinzione che visitatori<br />
immaginari vivano nella propria casa, spesso non riconoscono la propria<br />
immagine allo specchio e possono ritenerla appartenere ad un’altra persona, lo<br />
stesso accade quando il malato ritiene che quello che vede alla televisione sia a<br />
tutti gli effetti un evento reale. Inoltre, come conseguenza del danno cerebrale,<br />
alcuni malati di demenza possono anche confondere o interpretare<br />
erroneamente ciò che vedono, sentono o gustano. Per esempio, possono<br />
lamentarsi perché un dolce è salato, perché una musica è troppo forte, o perché<br />
fuori fa un freddo glaciale quando in realtà c'è un sole che spacca le pietre.<br />
Allucinazioni e deliri possono provocare paure intense o scatenare<br />
comportamenti aggressivi.<br />
A distanza di alcuni anni dal momento della diagnosi – tra i cinque e i sette<br />
anni – la malattia si aggrava e compaiono nuovi sintomi. Tra i più frequenti,<br />
l’incontinenza sfinterica è il sintomo che in alcune scale cliniche, utili per valutare<br />
il decorso della malattia, segna il passaggio verso le fasi più gravi. In genere<br />
compare prima quella urinaria e poi quella fecale. Il malato perde la capacità di<br />
riconoscere i familiari, come pure gli amici più stretti, può dimenticare il nome<br />
del proprio partner o addirittura scambiarlo per un’altra persona. Viene<br />
lentamente a mancare la capacità di legare gli avvenimenti, il malato non sa più<br />
nulla di tutto quello che recentemente è avvenuto, è completamente<br />
disorientato nel tempo e nello spazio, come anche è del tutto inconsapevole<br />
della dimensione temporale o degli spazi e degli ambienti in cui vive e fuori dalla<br />
44<br />
Apatia<br />
Allucinazioni e deliri<br />
La III fase<br />
Disorientamento<br />
totale
spazio domestico. In questa fase l’assistenza deve essere continua, 24 ore al<br />
giorno; il malato deve essere aiutato per la cura della persona (ormai l’igiene<br />
della persona è cosa inesistente) e per tutte le necessità primarie del vivere<br />
come ad esempio alimentarsi (il malato potrebbe lasciarsi morire di fame perché<br />
non è più in grado né di procurarsi né di prepararsi il cibo). Il sonno diventa<br />
completamente destrutturato (il malato spesso di notte si aggira per la casa) e<br />
sono sempre più frequenti i disturbi comportamentali come pure le modificazioni<br />
e i cambiamenti emotivi e della personalità che si manifestano con ansia e<br />
agitazione, allucinazioni, deliri (gelosia, persecuzione), sintomi ossessivi e<br />
purtroppo anche con aggressività, verbale o fisica. Queste sono le modificazioni<br />
comportamentali che maggiormente compromettono la capacità di resistenza<br />
del caregiver.<br />
Così, lentamente, si arriva alla fase terminale della malattia: la mente perde<br />
gli ultimi bagliori degli aspetti cognitivi rimasti e le persone, le cose e i luoghi<br />
perdono la dimensione che li aveva resi parte fondamentale dell’esperienza di<br />
vita del malato. Adesso il caregiver vive interamente il dramma della DE-mentis e<br />
il tempo del malato trascorre in una ovattata incoscienza. In queste condizioni, il<br />
malato è il più delle volte costretto a letto perché importanti disturbi motori – la<br />
rigidità del tronco, della nuca e degli arti ed il tremore – gli impediscono la<br />
stazione eretta. Non ci sono più vere parole – quello che rimane del linguaggio<br />
consiste in una serie di suoni inarticolati ed incomprensibili – e quando<br />
l’emissione della voce cessa del tutto la fine è veramente vicina. Il malato non<br />
riesce più ad alimentarsi: per l’incapacità di coordinare i movimenti per la<br />
deglutizione, i liquidi devono essere gelificati per evitare che vadano nei polmoni<br />
ma nonostante tutte le precauzioni spesso compaiono complicanze come la<br />
polmonite, dovuta all’aspirazione di materiale alimentare nelle vie respiratorie. A<br />
questo punto non lo stato nutrizionale del malato è compromesso; questa<br />
condizione, insieme all’allettamento, determina la perdita di massa muscolare e<br />
la distruzione di massa ossea, con un aumento dell’eliminazione del calcio con le<br />
urine. Ormai il malato deve avere qualcuno sempre vicino. Si ripeteranno gli<br />
episodi di polmonite e lentamente, a fronte di qualsiasi sforzo, interverrà in<br />
pochi mesi la fine.<br />
45<br />
Destrutturazione<br />
del sonno<br />
La IV e ultima fase<br />
Disturbi motori<br />
Assenza del<br />
linguaggio
La terapia. Ancora oggi non esiste una cura per la MA: la malattia è<br />
progressiva, il malato continuerà a peggiorare sia che prenda o no le medicine<br />
sintomatiche oggi somministrate. Queste sono essenzialmente due tipi: gli<br />
anticolinesterasici (donezepil, rivastigmina e galantamina) e gli antagonisti del<br />
recettore NMDA (memantina). I primi sono giustificati dal fatto che durante la<br />
malattia si alterano i neurotrasmettitori e tra questi l’ACe è maggiormente<br />
interessata. Questi farmaci inibiscono la degradazione dell’ACe permettendo una<br />
sua maggiore presenza a livello delle sinapsi: in alcuni casi ciò conduce ad una<br />
stabilizzazione della sintomatologia per un tempo variabile, in genere per alcuni<br />
mesi. Gli altri farmaci cercano di combattere l’eccessiva stimolazione<br />
glutamminergica (in America sono stati ammessi per il trattamento delle fasi più<br />
gravi della malattia).<br />
Altri interventi sono: la terapia con antiossidanti (vitamina E) che non<br />
sembra essere efficace; quella con antinfiammatori o con alcuni estratti di erbe,<br />
senza alcuna reale evidenza scientifica.<br />
Durante il decorso della malattia possono comparire anche malattie<br />
organiche (cardiopatie, diabete, infezioni….) la cui presenza spesso aggrava i<br />
sintomi cognitivi e le capacità funzionali del soggetto, malattie che vanno<br />
pertanto diagnosticate e curate con attenzione , per non peggiorare la qualità di<br />
vita del paziente e di chi lo cura.<br />
Esiste infine una vastissima gamma di interventi sia con sostanze di origine<br />
naturale o con integratori alimentari di svariati tipi, come pure attività di ogni<br />
genere con le quali in tutte le parti del mondo si è tentato di arginare il decorso<br />
della malattia. Ad oggi, nessuno di questi tentativi si è dimostrato, in termini<br />
scientifici, in grado di modificare anche solo in minima parte il decorso naturale<br />
della malattia. Ciò nonostante molte attività possono giovare<br />
momentaneamente al malato, dargli una maggiore tranquillità e permettere così<br />
una migliore gestione della malattia anche nell’ambiente familiare. In effetti,<br />
molti di questi tentativi sono stati apprezzati essenzialmente dai caregivers<br />
perché hanno concesso loro momenti di maggiore tranquillità e una maggiore<br />
interazione con il malato.<br />
46<br />
LA TERAPIA<br />
Gli<br />
anticolinesterasici e<br />
gli antagonisti della<br />
nemantina<br />
Altri interventi
Conclusione. La Malattia di <strong>Alzheimer</strong> è una malattia degenerativa, cronica, ancor oggi senza<br />
una cura. Coinvolge non solo il malato ma l’intero nucleo familiare, con un carico lavorativo per il<br />
caregiver spesso così drammatico da portare il rischio aggiuntivo di mortalità di circa una volta e<br />
mezzo. Il caregiver, infatti, completamente immerso nel ruolo di prestatore di cura, trascura<br />
totalmente la propria condizione di salute. I costi sociali e quelli a carico delle famiglie sono<br />
impressionanti: in media tra il 30 ed i 40 mila euro l’anno. Ovviamente i costi, minori nelle prime<br />
fasi, sono considerati nell’arco dell’intera malattia e aumentano progressivamente insieme al<br />
carico assistenziale. La maggior parte dei costi è a carico delle famiglie (circa 80%): questo rende<br />
ragione non solo della drammaticità della situazione ma anche della necessità di considerare la<br />
demenza una vera malattia sociale. Per queste ragioni e perché si ipotizza che nel 2050 saranno<br />
presenti nel mondo circa 150 milioni di malati, ci si dovrebbe dotare di un grandioso programma di<br />
ricerca scientifica in grado finalmente di trovare una cura per questa incredibile tragedia umana.<br />
47
Le altre malattie che possono causare i sintomi della demenza<br />
Under construction<br />
48
Esperienze di approfondimento della conoscenza sulla diffusione delle<br />
demenze tra gli anziani e sui problemi correlati<br />
Lo Spi Cgil della <strong>Liguria</strong> ha realizzato in questi anni alcune esperienze e iniziative sul tema delle<br />
demenze negli anziani e sui bisogni delle famiglie che si curano di loro.<br />
Siamo partiti nel 2009, proponendo la compilazione di un questionario (Appendice 1) alle<br />
persone che si recavano, per altre necessità di informazione e tutela, in alcune delle nostre sedi<br />
(Cogoleto, Pegli, Sestri Ponente, Porto, San Teodoro, Corso Sardegna). Abbiamo pensato fosse<br />
utile partire da un lavoro di conoscenza e di presa di contatto, attraverso la distribuzione,<br />
appunto, di uno strumento semplice. Su un campione di 880 intervistati, hanno compilato la<br />
scheda di rilevazione 84 persone che hanno risposto “sì” alla domanda: “ha in famiglia persone<br />
con problemi, a suo giudizio importanti, di memoria e/o disorientamento?”<br />
Ciò che è emerso, confermando una valutazione già presente tra di noi, è stato che la<br />
diffusione delle demenze tra la persone anziane è un fenomeno che, per una parte significativa,<br />
rimane sommerso. Le persone interessate e i loro familiari rischiano di non accedere neppure ai<br />
servizi dedicati o ai sostegni pubblici ai quali hanno diritto.<br />
I risultati del questionario hanno confermato anche la necessità di avere un’attenzione<br />
specifica alle persone “che si prendono cura”: non solo il malato ha bisogno di essere individuato<br />
come destinatario di “cure”, ma anche chi gli sta accanto<br />
(http://www.liguria.cgil.it/attachments/6891_ricerca%20non%20autosufficienza.pdf).<br />
Da questa prima esperienza è nata una azione più approfondita, sperimentata nel Comune di<br />
Cogoleto. Il questionario è stato distribuito, con invio per posta, a tutti i nostri iscritti.<br />
Questa attività ha contribuito a generare nel Comune di Cogoleto un’attenzione al problema,<br />
che ha portato il Comune stesso a distribuire, in collaborazione con molte associazioni di<br />
volontariato, a circa 2700 cittadini ultrasessantacinquenni il test “Test Your Memory”,<br />
questionario autocompilativo, pubblicato originariamente sul British Medical Journal nel 2009 e<br />
ritenuto efficace nel diagnosticare precocemente alcuni tratti tipici della demenza. Ci sono stati<br />
riconsegnati 276 questionari compilati da altrettante persone; sono 223 le persone che hanno<br />
49
totalizzato un punteggio pari o superiore al valore indicato come “soglia” al di sotto della quale è<br />
ipotizzabile la presenza di deficit cognitivi (Appendice 2).<br />
Questo studio ha i suoi limiti nella ristrettezza del campione preso in esame; inoltre<br />
rimangono dei dubbi su quanto esso sia rappresentativo della popolazione ultrasessantacinquenne<br />
residente nel comune di Cogoleto.<br />
Tuttavia ha reso possibile verificare una certa diffusione di situazioni nelle quale potrebbero<br />
esistere problemi e su cui i servizi preposti possono approfondire conoscenze e realizzare<br />
eventuali interventi.<br />
Alla fine di questo libretto, troverete il testo del questionario (Appendice 3).<br />
50
Benefici, indennità e agevolazioni di legge.<br />
Cosa fare – Come fare – Dove andare<br />
Riconoscimento di handicap<br />
(Legge 104/1992)<br />
Portatore di handicap è colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale causa di<br />
difficoltà di apprendimento, relazione o integrazione lavorativa tale da determinare un processo di<br />
svantaggio sociale o di emarginazione.<br />
L’handicap può assumere connotazione di gravità (articolo 3 comma 3 della legge 104/92) se la<br />
minorazione riduce l’autonomia personale in modo tale da rendere necessario un intervento<br />
assistenziale permanente nella sfera individuale o in quella di relazione.<br />
Il riconoscimento dello stato di handicap è il presupposto per poter beneficiare delle tutele<br />
previste da questa legge che integra il sistema dei benefici previsti da altre norme per le diverse<br />
categorie di invalidi.<br />
Per potervi accedere è necessario il riconoscimento di handicap e in particolare di situazioni di<br />
“grave handicap”. Occorre quindi presentare una domanda all’INPS, corredata di certificato<br />
medico del Servizio Sanitario Nazionale (curante o specialista). La visita di accertamento è a cura<br />
della Commissione ASL integrata da un medico dell’INPS.<br />
Poiché la certificazione medica ha una valenza di 90 giorni occorre che la domanda amministrativa<br />
sia inviata entro tale termine pena la decadenza: l’invio della sola certificazione da parte del<br />
medico curante non equivale alla presentazione della domanda.<br />
La domanda e la certificazione medica devono essere inviate telematicamente; per la domanda ci<br />
si può avvalere dell’assistenza del patronato INCA.<br />
Per saperne di più consulta il sito dell’INCA:<br />
http://www.inca.it/Servizi/081Handicapedisabilita<br />
Permessi mensili per i familiari che assistono una persona gravemente disabile<br />
(Legge 104/1992 art.3, comma 3)<br />
La legge 104/1992 offre la possibilità al lavoratore dipendente, sia pubblico sia privato, di fruire di<br />
permessi retribuiti per l’assistenza al familiare affetto da handicap grave. Il lavoratore può<br />
beneficiare di tre giorni al mese, anche frazionati a ore.<br />
I permessi spettano al coniuge, parenti o affini entro il 2 grado. Il diritto può essere esteso ai<br />
parenti e agli affini di terzo grado della persona in situazione di disabilità grave soltanto qualora i<br />
genitori o il coniuge della persona disabile abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure<br />
siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Per poter fruire dei<br />
51
permessi la persona gravemente disabile non deve essere ricoverata a tempo pieno (24 ore) in<br />
strutture ospedaliere. Non è richiesta la convivenza tra il disabile e il familiare.<br />
Il datore di lavoro o l’Amministrazione pubblica non possono respingere la domanda del<br />
lavoratore. La modalità di fruizione dei permessi è un accordo fra le parti ed è necessario<br />
informare preventivamente il datore di lavoro delle giornate di permesso.<br />
La domanda deve essere inoltrata all’INPS per il settore privato o all’ufficio personale<br />
dell’Amministrazione se dipendente pubblico, allegando il verbale ASL di riconoscimento di<br />
handicap grave.<br />
Per saperne di più consulta il sito dell’INPS alla voce “assistenza ai disabili”:<br />
http://www.inps.it/portal/default.aspx?itemdir=5792<br />
Congedo biennale retribuito<br />
(Legge 388/2000 art.80, comma 2 - Dlgs.151/2001)<br />
Il congedo biennale retribuito per i genitori che assistono un figlio disabile è stato introdotto con la<br />
legge 388/2000. Due sentenze della Corte Costituzionale hanno esteso il diritto per l’assistenza di<br />
un coniuge o di un genitore disabile.<br />
Ogni lavoratore ha diritto a due anni di congedo, complessivamente (i periodi di congedo non<br />
retribuito previsti dai contratti di lavoro concorrono al raggiungimento dei due anni complessivi). I<br />
periodi di congedo, che il datore di lavoro non può rifiutare, sono validi ai fini pensionistici.<br />
I requisiti richiesti:<br />
la persona disabile deve avere la certificazione di handicap in stato di gravità e non deve<br />
essere ricoverata a tempo pieno;<br />
il lavoratore richiedente il congedo, se coniuge o figlio della persona disabile, deve essere<br />
convivente con quest’ultima e deve avere un rapporto di lavoro in atto.<br />
Esiste una priorità fra i familiari aventi diritto al congedo retribuito:<br />
1. il coniuge convivente della persona gravemente disabile;<br />
2. i genitori (naturali, adottivi o affidatari) del figlio gravemente disabile<br />
3. i fratelli o le sorelle conviventi con il familiare gravemente disabile nel caso in cui i genitori<br />
siano deceduti o gravemente inabili<br />
4. il figlio convivente con il genitore gravemente disabile in caso si verifichino le condizioni<br />
seguenti:<br />
- il genitore non sia coniugato o non conviva con il coniuge, oppure se coniugato e<br />
convivente con il coniuge, il coniuge non sia lavoratore o sia lavoratore autonomo;<br />
- il coniuge rinunci espressamente a beneficiare del congedo nello stesso periodo;<br />
- i genitori del disabile (i nonni del lavoratore) siano deceduti o totalmente inabili;<br />
- il genitore disabile non abbia altri figli o non conviva con alcuno di loro. In caso di<br />
convivenza, tali altri figli non devono prestare attività lavorativa o essere lavoratori autonomi;<br />
oppure rinunciare espressamente a beneficiare del congedo nello stesso periodo<br />
- il genitore disabile non abbia fratelli o non conviva con loro, a meno che i fratelli non<br />
prestino attività lavorativa o siano lavoratori autonomi oppure ancora rinuncino espressamente a<br />
beneficiare del congedo nello stesso periodo.<br />
52
Il congedo biennale può essere fruito con modalità frazionata fra tutti gli aventi diritto,<br />
alternativamente e non contemporaneamente. A fronte di più lavoratori richiedenti è l’ordine<br />
prioritario degli aventi diritto a determinare chi fra loro per primo può beneficiarne. Per questa<br />
ragione, chi fra gli aventi diritto non vuole esercitare tale diritto deve rinunciare espressamente ad<br />
avvalersene nel periodo richiesto dall’altro avente diritto. Nel caso infatti di genitore gravemente<br />
disabile che convive con due figli, ambedue lavoratori dipendenti, il congedo è concesso al figlio<br />
richiedente se l’altro rinuncia espressamente a fruirne nello stesso periodo. Potrà godere, in un<br />
periodo successivo, di un periodo di congedo qualora i 24 mesi non siano già esauriti e il fratello<br />
(cioè il figlio che per primo ha fruito del congedo) a sua volta rinunci espressamente a fruirne nello<br />
stesso periodo.<br />
Il requisito della convivenza è richiesto con l’eccezione dei genitori che assistono il figlio/a disabile.<br />
Il familiare gravemente disabile per assistere il quale viene richiesto il congedo retribuito non può<br />
esercitare attività lavorativa durante la fruizione del congedo.<br />
I lavoratori del settore privato devono inoltrare domanda all’INPS e il dipendente pubblico alla<br />
propria Amministrazione. Entrambi devono allegare la certificazione sanitaria.<br />
Ci si può avvalere dell’assistenza del patronato INCA <strong>CGIL</strong> Genova.<br />
Per saperne di più consulta il sito INPS:<br />
http://www.inps.it/portal/default.aspx?iMenu=1&iNodo=5825<br />
Congedo non retribuito per gravi motivi familiari<br />
(Legge 53/2000 art.4)<br />
La legge 53/2000 offre la possibilità ai lavoratori dipendenti pubblici e privati di chiedere un<br />
congedo non retribuito per gravi motivi personali e familiari, tra i quali l’assistenza e la cura di un<br />
familiare. Rispetto al precedente congedo, quello previsto dalla legge 53/2000 per gravi motivi di<br />
famiglia, non è retribuito e non è coperto da contribuzione. Nonostante il congedo non sia<br />
computabile ai fini previdenziali, il lavoratore può procedere al riscatto o al versamento volontario<br />
dei contributi.<br />
Il vantaggio non trascurabile è quello della conservazione del posto di lavoro in situazioni di grave<br />
difficoltà, in caso in cui per varie ragioni non possa essere utilizzato il congedo retribuito. Il datore<br />
di lavoro non ha l’obbligo di riconoscere il congedo, ma entro dieci giorni dalla richiesta deve dare<br />
la sua risposta e l’eventuale diniego deve essere motivato.<br />
Il congedo può essere utilizzato per assistere parenti e affini entro il terzo grado portatori di<br />
handicap anche non conviventi.<br />
Il congedo straordinario retribuito e quello per gravi motivi familiari non retribuito concorrono<br />
entrambi al raggiungimento del limite individuale dei due anni.<br />
Il lavoratore privato deve presentare domanda al datore di lavoro, il dipendente pubblico alla<br />
propria Amministrazione. Entrambi devono allegare la documentazione sanitaria.<br />
Indennità di accompagnamento<br />
(Legge 11 febbraio 1980, n. 18)<br />
L’indennità di accompagnamento, o assegno di accompagnamento, previsto dalla legge 11.2.1980<br />
n.18 per le persone dichiarate totalmente invalide, è un sostegno economico statale pagato<br />
53
dall’INPS. È la provvidenza economica riconosciuta dallo Stato, in attuazione dei principi sanciti<br />
dall’art. 38 della Costituzione, a favore dei cittadini la cui situazione di invalidità, per minorazioni o<br />
menomazioni, fisiche o psichiche, sia tale per cui necessitano di un’assistenza continua; in<br />
particolare, perché non sono in grado di deambulare senza l’assistenza continua di una persona<br />
oppure perché non sono in grado di compiere autonomamente gli atti quotidiani della vita.<br />
Tale provvidenza ha la natura giuridica di contributo forfettario per il rimborso delle spese conseguenti<br />
all’oggettiva situazione di invalidità, non è assimilabile ad alcuna forma di reddito ed è esente da imposte.<br />
L’indennità di accompagnamento è a totale carico dello Stato ed è dovuta per il solo titolo della<br />
minorazione, indipendentemente dal reddito del beneficiario o del suo nucleo familiare.<br />
Viene erogata a tutti i cittadini italiani o UE residenti in Italia, ai cittadini extracomunitari in<br />
possesso del permesso di soggiorno nella CE per soggiornanti di lungo periodo.<br />
L’importo corrisposto viene annualmente aggiornato con apposito decreto del Ministero<br />
dell’Interno. Il diritto alla corresponsione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello in<br />
cui è stata presentata la domanda. Nel 2011 l’importo mensile è pari a 487,39.<br />
Per poter usufruire dell’indennità, il soggetto non deve essere ricoverato in strutture residenziali<br />
gratuitamente o a pagamento. Ogni anno il requisito relativo alla condizione di ricovero deve<br />
essere dichiarato attraverso un' autocertificazione resa al Caaf sul modello ICRIC01.<br />
Assegno per il Nucleo Familiare<br />
L’assegno per il nucleo familiare (ANF) è una prestazione previdenziale erogata al lavoratore<br />
dipendente nel corso dell’attività lavorativa o al pensionato alla cessazione del rapporto di lavoro<br />
dipendente.<br />
È una prestazione a sostegno del reddito delle famiglie dei titolari di pensione a carico del Fondo<br />
pensioni lavoratori dipendenti, dei Fondi speciali di previdenza, dell’Enpals e di ex dipendenti dello<br />
Stato, degli Enti locali e dell’Amministrazione postelegrafonici, che abbiano un reddito<br />
complessivo al di sotto delle fasce stabilite ogni anno per legge.<br />
L’assegno spetta in misura differente in rapporto al numero dei componenti e al reddito del nucleo<br />
familiare.<br />
I nuclei che comprendono soggetti inabili beneficiano di particolari condizioni di reddito cui<br />
vengono rapportati sia il diritto che la misura dell’assegno.<br />
Anche la vedova o il vedovo inabili titolari unici di pensione ai superstiti derivante da lavoro<br />
dipendente possono fruire dell’assegno. Il titolare di pensione ai superstiti può chiedere l’ANF<br />
anche solo per se stesso, purché inabile oppure orfano minore.<br />
Il riconoscimento dell’inabilità viene accertata dagli istituti previdenziali preposti all’erogazione<br />
dell’assegno, previa presentazione di idonea documentazione medica.<br />
Il riconoscimento dell’assegno o l’incremento di quello già in pagamento è possibile, con efficacia<br />
retroattiva, fino a un limite di 5 anni qualora si sia in grado di dimostrare, con idonea<br />
documentazione medica, che lo stato di inabilità è pregresso.<br />
54
L’assegno non spetta ai titolari di pensione a carico delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi<br />
(artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri), per i quali è prevista la concessione<br />
delle quote di maggiorazione per carichi di famiglia (assegni familiari).<br />
Per l’inoltro della domanda di assegno al nucleo familiare con inabile nel nucleo ci si può rivolgere<br />
al Patronato INCA.<br />
Assegni familiari<br />
Gli assegni familiari vengono corrisposti sulle pensioni dei lavoratori autonomi (artigiani,<br />
commercianti, coltivatori diretti).<br />
Il pagamento degli assegni è subordinato alla condizioni che i familiari beneficiari non superino un<br />
determinato limite di reddito personale. Inoltre, non deve essere superato un limite di reddito<br />
dell’intero nucleo familiare.<br />
Come nel caso dell’ANF i nuclei che comprendono soggetti inabili beneficiano di particolari<br />
condizioni di reddito per il diritto agli assegni.<br />
Diversamente dall’ANF, gli assegni familiari non spettano alla vedova o vedovo inabili titolari unici<br />
di pensione ai superstiti.<br />
Il riconoscimento degli assegni familiari può avere efficacia retroattiva quindi è possibile chiedere<br />
gli arretrati fino a un limite di 5 anni qualora si sia in grado di dimostrare che lo stato di inabilità è<br />
pregresso con idonea documentazione medica.<br />
Per l’inoltro della domanda di assegni familiari con inabile nel nucleo ci si può rivolgere al<br />
patronato INCA.<br />
Il Fondo per la non autosufficienza<br />
Il FRNA istituito con legge regionale 24 maggio 2006 n.12 – “promozione del sistema integrato di<br />
servizi sociali e sociosanitari” - prevede l’erogazione di un contributo economico per sostenere la<br />
permanenza delle persone non autosufficienti presso il proprio domicilio.<br />
Possono richiedere il contributo i cittadini italiani o europei, i cittadini extracomunitari titolari di<br />
permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, invalidi al 100% con riconoscimento<br />
dell’indennità di accompagnamento.<br />
Il contributo non è erogabile alle persone che usufruiscono di servizi di assistenza residenziale o<br />
inserite in Centri diurni a totale carico del servizio pubblico e ai non titolari di indennità di<br />
accompagnamento.<br />
Da quest’anno, per effetto del taglio di 14 milioni di euro nei trasferimenti dallo Stato alla Regione<br />
operato dalla legge di stabilità 2011, solo le persone non autosufficienti con un reddito ISEE<br />
inferiore a 10 mila euro potranno beneficiarie del fondo ricevendo un assegno mensile da 350<br />
euro. Fino allo scorso anno, invece, potevano ottenere l’ assegno regionale anche le persone non<br />
autosufficienti con un reddito ISEE fino a 20 mila euro.<br />
Il modulo della domanda può essere ritirato presso gli sportelli dei Distretti Socio Sanitari o degli<br />
Ambiti Territoriali Sociali di zona.<br />
55
Agevolazioni fiscali<br />
La persona che ha il riconoscimento di handicap ha diritto ad usufruire di tutte le agevolazioni<br />
fiscali previste per i cittadini disabili, ad eccezione di quelle relative all’auto per cui sono necessarie<br />
ulteriori valutazioni.<br />
Deduzioni fiscali.<br />
Le spese mediche generiche e quelle di assistenza specifica sostenute dalle persone non<br />
autosufficienti o da chi le assiste sono deducibili dal reddito complessivo.<br />
Si considerano spese mediche generiche le prestazioni diagnostiche rese da un medico generico o<br />
specialista e l’acquisto di farmaci.<br />
Si considerano spese per assistenza specifica quelle infermieristiche e riabilitative svolte da<br />
personale qualificato o da operatori tecnici.<br />
I contributi previdenziali per gli addetti ai servizi domestici e familiari e all’assistenza personale<br />
sono deducibili nel limite di 1549,37 euro.<br />
Detrazioni fiscali.<br />
- Detrazione del 19% della spesa di assistenza.<br />
La spesa di assistenza per una persona non autosufficiente, anche lo stipendio dell’assistente<br />
familiare “badante”, può essere detratta nella misura del 19% su un ammontare di spesa non<br />
superiore a 2100 euro quindi fino a un beneficio massimo di 399 euro l’anno della spesa di<br />
assistenza per una persona. Il reddito del contribuente non deve superare i 40.000 euro.<br />
- Detrazione del 19% delle spese sanitarie.<br />
Le persone con handicap fruiscono dello stesso trattamento previsto per tutti i contribuenti.<br />
- Detrazione fiscale senza limiti e franchigie.<br />
È prevista solo per le spese relative all’accompagnamento e alla deambulazione per i portatori di<br />
handicap.<br />
Per saperne di più consulta il sito dell’Agenzia delle Entrate. Tra le guide fiscali è possibile<br />
scaricare le agevolazioni fiscali per i disabili:<br />
http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/portal/entrate/home<br />
L’Amministratore di sostegno<br />
(Legge 6/2004)<br />
L’ amministratore di sostegno è una figura istituita con la legge 6 del 2004 a tutela di chi, pur<br />
avendo difficoltà nel provvedere ai propri interessi, non necessita comunque di ricorrere<br />
all’interdizione o all’inabilitazione. La legge ha infatti la finalità di tutelare, con la minore<br />
limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia<br />
nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana.<br />
L’amministrazione di sostegno si rivolge alle persone con grave e permanente disabilità intellettiva<br />
o psichica che materialmente hanno bisogno di protezione, anche per un periodo di tempo<br />
limitato, per provvedere ai propri interessi civili e/o patrimoniali, limitatamente ad alcuni atti, per<br />
56
esempio per proporre istanze alla Pubblica Amministrazione, presentare la dichiarazione dei<br />
redditi, riscuotere la pensione.<br />
L’amministratore di sostegno viene nominato dal giudice tutelare e scelto, ove possibile, nello<br />
stesso ambito familiare dell’assistito: il coniuge non separato legalmente, la persona stabilmente<br />
convivente, il padre, la madre, i figli o il fratello o la sorella, o comunque un parente entro il quarto<br />
grado.<br />
L’ufficio di amministrazione di sostegno non prevede l’annullamento delle capacità del<br />
beneficiario a compiere validamente atti giuridici, e in ciò si differenzia dall’interdizione.<br />
Il procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno ha inizio con un ricorso al giudice<br />
tutelare del luogo di residenza del disabile che deve essere depositato presso il Tribunale civile,<br />
cancelleria della volontaria giurisdizione.<br />
Per saperne di più consulta il sito dell’INCA:<br />
http://www.inca.it/Servizi/081Handicapedisabilita/07Handicap+e+disabilità.htm<br />
Prestazioni socio sanitarie<br />
I Distretti Sanitari, punto qualificato dell’analisi dei bisogni e della relativa programmazione del<br />
sistema integrato dei servizi, hanno le funzioni di garantire l’accesso ai servizi sanitari e<br />
sociosanitari per gli utenti del proprio territorio assicurando l’integrazione tra il settore sanitario e<br />
quello sociale.<br />
Gli Ambiti territoriali sociali e le aziende ASL hanno realizzato una rete di Uffici accoglienza e<br />
relazioni con il pubblico per mettere a disposizione informazioni precise sull’offerta dei servizi<br />
sanitari e sociali, su come accedervi, sulle sedi e gli orari, i tempi d’attesa, le procedure e i moduli<br />
necessari per ottenere le prestazioni integrate, come ad esempio:<br />
Fornitura protesi: ausili per la deambulazione, carrozzine, pannoloni, materassi antidecubito.<br />
Assistenza geriatrica: cure domiciliari, centri diurni, riabilitativi, assistenza residenziale.<br />
Assistenza sociale.<br />
Per saperne di più consultare i siti delle ASL liguri:<br />
ASL 1 IMPERIESE<br />
http://www.asl1.liguria.it/<br />
ASL 2 SAVONESE<br />
http://www.asl2.liguria.it/<br />
ASL 3 GENOVESE<br />
http://www.asl3.liguria.it/<br />
ASL 4 CHIAVARESE<br />
http://www.asl4.liguria.it/<br />
ASL 5 SPEZZINO<br />
http://www.asl5.liguria.it/<br />
Contributi per l’eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche negli<br />
edifici privati<br />
(Dgr n. 1851 del 22 dicembre 2009)<br />
57
Questa norma sostiene finanziariamente gli interventi volti all'abbattimento delle barriere<br />
architettoniche sia negli edifici pubblici che in quelli privati, per garantire un sempre maggiore<br />
utilizzo degli spazi edificati a tutti coloro che soffrono di una ridotta o impedita capacità motoria o<br />
percettiva.<br />
Gli interventi ammissibili a contributo ai sensi del paragrafo precedente possono consistere in:<br />
a) opere edilizie direttamente finalizzate all’eliminazione delle barriere architettoniche, fisiche e<br />
percettive;<br />
b) acquisto e installazione di attrezzature direttamente finalizzate all’eliminazione delle barriere<br />
architettoniche, fisiche e percettive, quali:<br />
• mezzi idonei a garantire il superamento dei dislivelli da parte delle persone con problemi di<br />
mobilità;<br />
• strumenti idonei a favorire la sicurezza d’uso e la fruibilità degli spazi da parte delle persone<br />
disabili;<br />
• dispositivi idonei a favorire l’orientamento e la mobilità negli ambienti;<br />
• dispositivi impiantistici idonei a favorire l’autonomia domestica delle persone disabili.<br />
I soggetti in possesso dei requisiti devono presentare domanda al Comune/Distretto ove è situato<br />
l’immobile da adeguare entro il 1° marzo di ogni anno.<br />
Per saperne di più, rivolgersi alle amministrazioni comunali, ai Distretti Socio-Sanitari oppure<br />
consulta il sito: www.regione.liguria.it<br />
Attività sociali<br />
Ricoveri di sollievo.<br />
Dura di solito dai 40 ai 60 giorni e ha lo scopo di sollevare il caregiver dall'attività di assistenza.<br />
L’attivazione di questo percorso può avvenire con richiesta del Medico di Medicina Generale di<br />
“Valutazione per ricovero di sollievo”, segnalazione al Nucleo Residenzialità in base alla Zona di<br />
appartenenza o all’accoglienza del Distretto socio sanitari competenti.<br />
Centri diurni.<br />
Luoghi di accoglienza in cui i pazienti vengono accuditi per mezza giornata o la giornata intera.<br />
L'accesso al servizio può avvenire presentando domanda autonomamente ai servizi sanitari di<br />
riferimento o, in caso si richieda un supporto economico al Comune di Genova per il pagamento<br />
della retta, è necessario fissare un appuntamento per un colloquio personale (Segretariato Sociale)<br />
presso gli Ambiti Territoriali Sociali (ATS).<br />
58
Residenza sanitaria assistenziale.<br />
Sono strutture che ospitano persone non autosufficienti. Il caregiver deve procurarsi la richiesta<br />
del Medico di Medicina Generale (Valutazione per inserimento definitivo in struttura residenziale)<br />
ed effettuare la segnalazione telefonicamente al Nucleo Residenzialità, a seconda della Zona, o<br />
all’accoglienza del Distretto Sanitario di appartenenza. In seguito alla segnalazione, un geriatra del<br />
Dipartimento effettuerà una visita domiciliare.<br />
Servizi di assistenza domiciliare.<br />
Esistono due tipi di assistenza: 1. Assistenza domiciliare familiare (aiuto dell’anziano nella gestione<br />
della vita domestica - es. spesa, pulizia della casa, ecc.); 2. Assistenza domiciliare leggera ( es.<br />
piccola spesa, compagnia, disbrigo di pratiche, sostegno alla socializzazione, ecc.). È prevista la<br />
contribuzione al costo della prestazione erogata in relazione al valore dell’attestazione ISEE. È<br />
necessario fissare un appuntamento per un colloquio personale (Segretariato Sociale) presso: gli<br />
Ambiti Territoriali Sociali (ATS) oppure presso le sedi territoriali delle Agenzie Domiciliarità.<br />
Residenzialità per i pensionati INPDAP e/o coniugi conviventi<br />
I pensionati Inpdap e/o i loro coniugi conviventi, non autosufficienti, affetti da gravi patologie<br />
psicoinvolutive senili o altre patologie neurovegetative possono beneficiare dell’accoglienza,<br />
residenziale o diurna, presso strutture specializzate, Rsa o Case protette.<br />
La domanda va presentata alla Direzione regionale sul cui territorio si trova la struttura. Se le<br />
richieste eccedono i posti disponibili viene formata una lista d’attesa graduata in base<br />
all’indicatore Isee e al grado di non autosufficienza. Da un elenco di Rsa dislocate sull’intero<br />
territorio nazionale si sceglie, sulla base della localizzazione e dei costi sanitari a carico del<br />
pensionato, la struttura d’interesse.<br />
L’indicatore Isee non deve superare i 30.000 €.<br />
Per saperne di più, telefonare ai recapiti indicati sul sito:<br />
http://www.inpdap.it/webinternet/FiloDiretto/StrOrgCompartimenti.asp<br />
59
Il Caffè di Oz<br />
Luogo di incontro accogliente per il malato di <strong>Alzheimer</strong> e la sua famiglia che offre ai malati la<br />
possibilità di svolgere, con personale dedicato, attività occupazionali di semplice esecuzione,<br />
mentre il caregiver può partecipare ad incontri tematici o approfittare del tempo libero per<br />
commissioni o svago.<br />
L’idea è stata accolta e condivisa dagli operatori dello Spazio Anziani-Cooperativa Saba- di Piazza<br />
dei Greci che da anni operano a favore degli anziani del quartiere.<br />
Il Caffè di Oz è aperto ogni giovedì dalle ore 14.30 alle ore 16.30 in Piazza dei Greci 5 Tel.: 010-<br />
2476578. (Chiusura estiva ad agosto)<br />
Il calendario aggiornato degli incontri tematici è consultabile sul sito dell’Associazione <strong>Alzheimer</strong><br />
<strong>Liguria</strong><br />
www.alzheimer.liguria.it<br />
Per informazioni rivolgersi a:<br />
Ambito Territoriale Sociale 42<br />
Sede: Piazza Posta Vecchia 3/3<br />
Sara Medici: 010-2533126<br />
Angela Lazzarino: 010-2533123<br />
Luana Luiu: 010-2533125<br />
Polo Castelletto: Corso Firenze 24<br />
Eloisa Perricone: 010-2722800 010-2724344<br />
Cooperativa S.A.B.A.<br />
Piazza dei Greci 5<br />
Paola Giacopello: 010-2476578<br />
L’<strong>Alzheimer</strong> Café<br />
Uno spazio gratuito e informale gestito dall’Associazione famiglie malati di <strong>Alzheimer</strong> (AFMA) dove<br />
si svolgono incontri e momenti di convivialità in un'atmosfera accogliente e rilassata. Gli ospiti<br />
sono seguiti dai volontari e da operatori specializzati. Le attività sono specifiche per stimolare le<br />
capacità di concentrazione e di manualità: ci sono i laboratori di musicoterapia, il decoupage, il<br />
giardinaggio, la modellatura di materiali vari, la ginnastica dolce pet therapy:.<br />
L’<strong>Alzheimer</strong> Café, è aperto al pubblico aperto al pubblico tutti i martedì dalle 15.00 alle 18.00 e il<br />
venerdì dalle ore 15.00 alle 18.00 in via Nino Cervetto 35.<br />
60
http://www.afmagenova.org/alzheimer_cafe.html<br />
Entro la fine del 2011 verrà inaugurato Arcobalen, centro diurno di 2° livello per malati di<br />
<strong>Alzheimer</strong> gestito dall’AFMA.<br />
Per ulteriori informazioni, scrivi a afmagenovaonlus@gmail.com<br />
oppure vai alla pagina web http://www.afmagenova.org<br />
61
NUMERI UTILI<br />
Distretti sanitari dell’Asl3 – Genova<br />
http://www.asl3.liguria.it/<br />
Distretto Ponente 8 010/6449674<br />
62<br />
010/6449676<br />
010/6449677<br />
Distretto Medio Ponente 9 010/6447250 Sampierdarena<br />
Distretto Val Polcevera e Valle Scrivia 10 010/6449505<br />
Distretto Centro 11 010/3447581<br />
010/6447251 Sampierdarena<br />
010/6447967 Sestri Ponente<br />
010/6447973 Sestri Ponente<br />
010/3447582<br />
Distretto Valbisagno e Valtrebbia 12 010/3447920<br />
010/3447939<br />
Distretto Levante 13 010/3445630<br />
Per consultare l’elenco dei distretti sanitari della Regione <strong>Liguria</strong>, vai alla pagina web:<br />
http://www.asl2.liguria.it/pdf/elencodistretti.pdf
Unità di valutazione <strong>Alzheimer</strong> – Genova<br />
Ambulatorio U.V.A. C/O Osp. San Martino<br />
Neurofisiologia Clinica<br />
Responsabile: Guido Rodriguez<br />
Dipartimento Di Neuroscienze, Università Di<br />
Genova<br />
Responsabile: Leonardo Cocito<br />
U.V.A. Geriatria - Università Di Genova<br />
Responsabile: Patrizio Odetti<br />
U.V.A. Geriatria Eo Osp Galliera<br />
Responsabile: Camilla Prete<br />
Ambulatorio U.V.A. c/o Rsa Chiavari<br />
Responsabile: Babette Dijk<br />
Ambulatorio Psicogeriatria, Centro Salute Mentale<br />
Chiavari<br />
Responsabile: Vittorio Uva<br />
63<br />
010/5552246<br />
010/3537040<br />
010/3537536<br />
010/5634391<br />
0185/329328<br />
0185/329330<br />
Unità di Valutazione <strong>Alzheimer</strong> nelle province di Savona e La Spezia<br />
Divisione Neurologia, Pietra §Ligure (SV)<br />
Responsabile: Tiziana Tassinari<br />
U.V.A. Geriatrica Asl 2, Savona<br />
Responsabile: Giovanna Caorsi<br />
Ambulatorio U.V.A. e disturbi cognitive<br />
dell’Anziano, La Spezia<br />
Responsabile: Elena Carabelli<br />
019/6234012<br />
019/8405994<br />
019/8405294<br />
0187/533314
Unità di psicogeriatria U.V.A., Sarzana (SP)<br />
Responsabile: Antonello Colameo<br />
Centri Diurni – Genova<br />
64<br />
0187/604933<br />
Via Sestri 1316154 Genova Sestri Ponente 010/6448733<br />
Via Castelli 52r 16149 Genova 010/6423066<br />
via Salita Inf. di Murta 2 16162 Genova 010/7411183<br />
Via Peschiera 10 16122 Genova 010/886867<br />
Località Serino 16165 Genova 010/804981<br />
Cso Montegrappa 16137 Genova 010/814810<br />
Via G. Maggio 6 16147 Genova 010/3446251<br />
Via G. Maggio 6 16147 Genova 010/3446303<br />
Per consultare l’elenco dei Centri diurni presenti in <strong>Liguria</strong>, vai alla pagina web:<br />
https://sisweb.regione.liguria.it/struttureresidenziali/Default.aspx<br />
I recapiti degli uffici provinciali del Patronato INCA sono consultabili alla pagina:<br />
http://www.liguria.cgil.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1305&Itemid=24<br />
I recapiti degli uffici Spi provinciali e delle Leghe della provincial di Genova sono consultabili alla<br />
pagina:<br />
http://www.liguria.cgil.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1475&Itemid=75<br />
I recapiti degli uffici dell’Auser <strong>Liguria</strong> sono consultabili alla pagina:<br />
http://www.auserliguria.it/dovesiamo.aspx
LINK UTILI<br />
http://3eta.accmed.org/<br />
http://www.afmagenova.org<br />
http://www.aiesweb.it/<br />
http://www.alzheimer.it/<br />
http://www.alzheimer-europe.org/<br />
http://www.alzheimerfamiliari.it/<br />
http://www.alzheimerliguria.it/<br />
http://www.fimmg.org/home<br />
http://www.pamonline.it/<br />
65
Appendice 1<br />
SINDACATO PENSIONATI<br />
REGIONALE LIGURIA<br />
AREA METROPOLITANA DI GENOVA<br />
SCHEDA RILEVAZIONE<br />
MALATTIE LEGATE ALLA NON AUTOSUFFICIENZA E CONSEGUENZE<br />
SULLA VITA DELLE PERSONE CHE SI OCCUPANO DELLA CURA IN<br />
FAMIGLIA<br />
1. Ha in famiglia persone con problemi importanti, a suo giudizio, di memoria e/o di<br />
disorientamento?<br />
2. della persona con problemi,<br />
> grado di parentela con lei__________________________<br />
> sesso: M F<br />
> età:______________________________<br />
3. Attualmente la persona con problemi vive:<br />
da solo<br />
col coniuge<br />
con figlia/o<br />
altro_________________________________________<br />
4. la persona che ha problemi riesce, da sola :<br />
> a gestire il denaro? SI NO IN PARTE<br />
> ad usare il telefonino? SI NO IN PARTE<br />
> a pensare alla propria igiene? SI NO IN PARTE<br />
> a fare la spesa? SI NO<br />
66
a farsi da mangiare? SI NO<br />
5. E’ preoccupato/a di questa situazione?_________________________________________________<br />
6. Da quanto tempo sono presenti questi problemi? ______________________________________<br />
7. Di questi problemi ha già parlato con il medico di famiglia?______________________________<br />
____________________________________________________________________________________<br />
8. Si è mai rivolto/a ai servizi<br />
sociali?_____________________________________________________<br />
9. La persona, per questi problemi, è seguita, dal punto di vista medico, da:<br />
medico di base<br />
reparto ospedaliero<br />
centro UVA<br />
specialista privato<br />
10. Se è seguita, come valuta, da 1 a 10, l’assistenza di cui dispone la persona con problemi?<br />
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />
11. Da 1 a 10, quanto influisce, nella sua vita personale, avere una persona con problemi di memoria<br />
o/o disorientamento?<br />
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />
NOME………………………………COGNOME…………………………………………………<br />
INDIRIZZO………………………………………………………………………………………..<br />
N. TEL………………………………………………………………………………………………...<br />
e-mail………………………………………………………………………………………………….<br />
formula privacy<br />
Ricevuta l'informativa sull'utilizzazione dei miei dati personali ai sensi dell'art. 10 della legge n. 675/96,<br />
consento al loro trattamento nella misura necessaria per il perseguimento degli scopi statutari.<br />
67
Appendice 2<br />
TYM a Cogoleto<br />
Sono stati inviati circa 2700 questionari autocompilativi "Test Your Memory" alla popolazione residente a<br />
Cogoleto che avesse un'età superiore ai 65 anni.<br />
276 persone hanno risposto positivamente a questo sondaggio, rinviandoci i questionari debitamente<br />
compilati. Il TYM test, pubblicato originariamente sul British Medical Journal nel 2009 è un test a 10 item<br />
che indagano vari aspetti del cognitivismo, ed è ritenuto efficace nel diagnosticare precocemente alcuni<br />
tratti tipici della demenza.<br />
223 persone hanno totalizzato un punteggio pari o superiore a 43/50: questo valore è stato da noi<br />
indicato come "soglia", al di sotto del quale è ipotizzabile la presenza di deficit cognitivi.<br />
È bene sottolineare che nella versione originale del questionario, validata in lingua inglese, il valore di<br />
cut-off indicato era di 42/50. Abbiamo inserito questa piccola modifica per rendere più realistico il quadro,<br />
dato che nell'attribuzione dei punteggi abbiamo utilizzato alcune strategie per evitare possibili fattori<br />
confondenti e garantire una valutazione equa a tutti i partecipanti. Questi accorgimenti rendono forse<br />
ragione dell'alta percentuale di test valutati positivamente. Abbiamo infatti attribuito punteggio pieno nel<br />
primo item "se lo desidera può scrivere il suo nome e la sua data di nascita" anche a chi non ha scritto le<br />
proprie generalità, per non penalizzare coloro i quali abbiano voluto mantenere la privacy. Altri due item<br />
sono stati lievemente modificati: nel settimo, ("scriva il nome di cinque particolari di questo<br />
abbigliamento"), abbiamo aggiunto un punto di default a causa di un refuso. L'ultimo item ("aiuto<br />
prestato") risultava invece impossibile da determinare data la mancanza di supervisione diretta, quindi<br />
abbiamo dato punteggio massimo (5 punti) a tutti.<br />
Abbiamo inoltre correlato il punteggio di ogni partecipante alla sua età: i valori sono distribuiti intorno<br />
ad una linea di tendenza, che divide i partecipanti fra i maggiori e i minori di 70 anni. Pur non essendo<br />
statisticamente significativa, essa suggerisce che i soggetti d'età più avanzata totalizzino punteggi<br />
lievemente inferiori rispetto ai più giovani.<br />
Infine, abbiamo correlato la media dei punteggi di ogni singola prova alla media dei punteggi totali:<br />
questa operazione è stata fatta con l'obiettivo di individuare l'item che risultasse affetto più precocemente,<br />
cioè che fosse alterato anche quando gli altri risultavano nella norma. Questo item è risultato essere il<br />
decimo:"per favore senza girare il foglio scriva la frase che prima ha copiato" ("i bravi cittadini indossano<br />
sempre scarpe robuste"), seguito dall'ottavo "per favore unisca i cerchietti in modo da formare una<br />
68
lettera". Il terzo posto nella graduatoria degli item "più difficili" è stato invece attribuito al nono "per favore<br />
disegni un quadrante d'orologio, i numeri 1¬12 e metta le lancette come se fossero le nove e 20". In<br />
conclusione i nostri dati fanno presupporre che la funzione mnesica di richiamo di un elemento<br />
precedentemente appreso sia precocemente alterata nei quadri di iniziale declino cognitivo.<br />
Questo studio ha i suoi limiti nella limitata numerosità del campione preso in esame; inoltre<br />
rimangono dei dubbi su quanto esso sia rappresentativo della popolazione ultrasessantacinquenne<br />
residente nel comune di Cogoleto.<br />
Tab 1 SOGGETTI CON DEFICIT E SENZA DEFICIT<br />
250<br />
200<br />
150<br />
100<br />
50<br />
0<br />
Senza deficit Con deficit<br />
69
Tab 2. GENERALITA’<br />
Se lo desidera può scrivere il suo nome e la sua data di nascita:<br />
…………………………………………………………………………………………………………………<br />
Oggi è …………………………………………………………………(Giorno della settimana)<br />
La data di oggi è ………….. mese……………………………….. …………………..20……..<br />
Quanti anni ha: …………………………………anni<br />
Scriva la sua data di<br />
nascita…………./………………………........(Mese)/19………….<br />
Tab 3. GRADUATORIA DEI PUNTEGGI IN BASE ALL'ETÀ DEI PARTECIPANTI<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
50 60 70 80 90 100 110<br />
70<br />
y = -0,1653x + 57,006<br />
R² = 0,0676<br />
Serie1
Tab. 4. CORRELAZIONE MEDIA PUNTEGGI SINGOLA PROVA MEDIA PUNTEGGI TOTALI<br />
71
Appendice 3<br />
Esamina la tua memoria<br />
The TYM-I (Test your memory Italian version)<br />
Se lo desidera può scrivere il suo nome completo ed un recapito telefonico<br />
……………………………………………………..<br />
Oggi è ………………………………………………(Giorno della settimana)<br />
La data di oggi è ………….. mese……………………………….. 20<br />
Quanti anni ha: …………………………………anni<br />
Scriva la sua data di nascita…………./……………........(Mese)/19………)<br />
Per favore copi la frase che vede nella riga qui sotto<br />
I BRAVI CITTADINI INDOSSANO SEMPRE SCARPE ROBUSTE<br />
……………………………………………………………………………………………………………<br />
Per favore legga di nuovo la frase e cerchi di ricordarla<br />
Chi è l’attuale capo del governo ………………………………………….<br />
In che anno l’Italia è entrata nella prima guerra mondiale ……………<br />
i<br />
Esegua queste operazioni<br />
20 – 4 = …………………………<br />
16 + 17 = ……………………….<br />
8 x 6 = …………………………..<br />
4 + 15 – 17 = …………………<br />
4<br />
Scriva il nome di quattro animali<br />
che incominciano con la lettera S<br />
(esempio squalo)<br />
1S…………………………………<br />
2S…………………………………<br />
3S…………………………………<br />
4S……………………………………………………<br />
Perché una carota è simile ad una patata? ………………………………………………………………………………..<br />
72<br />
Perché un leone è simile ad un lupo? ……………………………………………………………………………………..<br />
2<br />
3<br />
1<br />
4
Per favore scriva il nome dei cinque particolari di questo abbigliamento<br />
Per favore unisca i cerchietti in modo da formare una lettera( escluda i quadratini)<br />
Per favore disegni in questo quadrante d’orologio i numeri 1-12 e metta le lancette come se fossero le 9.20.<br />
Senza girare il foglio per favore scriva sotto la frase che prima ha copiato<br />
………………………………………………………………………………………………………………………………………<br />
……….<br />
73<br />
5<br />
4<br />
6<br />
3<br />
4
Per chi ha eseguito il test:<br />
Aiuto prestato : nessuno, minimo, poco, moderato, importante. ……………………………………………………………...<br />
Barrare il riquadro se le risposte sono state scelte dall’esaminatore e non dal paziente …/50<br />
74<br />
5
Attribuzione dei punteggi<br />
Errori di ortografia e/o di punteggiatura assieme all’utilizzo di abbreviazioni non devono essere<br />
conteggiate come errori, ad eccezione del box due, se il significato delle parole è comprensibile.<br />
Box 1 Due punti per il nome completo, 1 punto se vengono scritte le sole iniziali o se sono presenti<br />
piccoli errori. Attribuire un punto alla data anche se è sbagliata di un giorno.<br />
Box 2 Due punti se tutto è corretto, 1 punto un errore in una parola, 0 punti per errori in due<br />
parole.<br />
Box3 Un punto per il nome, 1 punto per il cognome, 1 punto per la risposta 1915<br />
Box 4 Un punto per ogni operazione corretta<br />
Box 5 E’ accettato ogni animale sia esso insetto, pesce, uccello o mammifero. Le razze di cani e<br />
gatti (per esempio spinone) vanno bene. Sono considerati errori le creature mitologiche (ad<br />
esempio mostri marini), e la parola squalo (che viene presentata come esempio).<br />
Box 6 Due punti per una definizione precisa come “verdura” o<br />
“animali/mammiferi/predatori/carnivori” . Risposte adeguate ma meno precise come cibo, hanno<br />
quattro zampe, animali feroci 1 punto. Se vengono date due risposte adeguate, anche se meno<br />
precise, si attribuiscono due punti (ad es. Animali feroci con quattro zampe).<br />
Descrizione della giacca Un punto per ogni risposta corretta.<br />
Lettera M Tre punti se viene eseguita senza nessun errore, 2 punti se viene disegnata una lettera<br />
diversa dalla M, se tutti i cerchietti vengono collegati senza che venga tracciata la lettera M 1<br />
punto.<br />
Orologio Se vengono disegnati tutti i numeri dell’orologio 1 punto, per il corretto posizionamento<br />
dei numeri 1 punto, per ogni lancetta disegnata correttamente 1 punto.<br />
Frase Un punto per ogni parola ricordata correttamente sino ad un massimo di 6 punti.<br />
Attenzione Al punteggi totale va aggiunto il valore attribuito all’aiuto che si è dovuto fornire al/alla<br />
paziente come indicato sotto<br />
Nessuno 5 punti<br />
Minimo 4 punti<br />
Poco 3 punti<br />
Moderato 2 punti<br />
Importante 1 punto<br />
75