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Alzheimer - CGIL Liguria

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Le malattie che rubano la mente<br />

Piccolo manuale dedicato a caregivers e familiari<br />

per conoscere e affrontare le demenze<br />

.


Redazione: Laura Rossi<br />

Hanno collaborato:<br />

Barbara Dessi e Guido Rodriguez (Università degli Studi di Genova) che hanno scritto le parti sul caregiving<br />

e le malattie che generano demenze.<br />

Dario Arnaldi e Agnese Picco (Università degli Studi di Genova) che hanno elaborato i dati originati<br />

dall’inchiesta condotta a Cogoleto attraverso la diffusione del Test della Memoria.<br />

Ivana Oliveri (coordinatrice Inca Regione <strong>Liguria</strong>) che ha curato la parte relativa ai diritti.<br />

Anita Venturi (attuale sindaco di Cogoleto) e i tanti volontari dello Spi e delle associazioni di familiari che<br />

hanno reso possibile l’inchiesta di Cogoleto.<br />

Genova, giugno 2011


Indice<br />

Introduzione p. 3<br />

Il caregiver (chi si prende cura) e le demenze<br />

Parte I<br />

Parte II<br />

Esperienze di approfondimento della conoscenza sulla diffusione delle demenze tra<br />

gli anziani e sui problemi correlati<br />

1<br />

p. 7<br />

p. 27<br />

p. 49<br />

Benefici, indennità e agevolazioni di legge. Cosa fare, come fare, dove andare p. 51<br />

Numeri utili<br />

Link utili<br />

p. 62<br />

p. 65<br />

Appendice 1 p. 66<br />

Appendice 2 p. 68<br />

Appendice 3 p. 72


Introduzione<br />

Il Sindacato Pensionati Cgil di Genova e <strong>Liguria</strong> ha deciso di dedicare la propria attenzione anche<br />

alla condizione delle persone anziane affette dalla malattia di <strong>Alzheimer</strong> e da altre demenze, ed in<br />

particolar di chi si prende cura di loro.<br />

I temi dell’invecchiamento sono un terreno su cui abbiamo provato a cimentarci per<br />

esercitare con efficacia la nostra funzione di tutela e rappresentanza in materia previdenziale,<br />

della difesa del reddito, dell’intervento sulla organizzazione dei servizi, e più in generale del<br />

benessere e dei diritti di cittadinanza.<br />

Con l’aumento dell’età media della popolazione, soprattutto in una regione come la nostra,<br />

che ha il più alto indice di dipendenza tra le regioni italiane, oltre che il più alto indice di<br />

invecchiamento, crescono anche le situazioni di non autosufficienza e le malattie degenerative.<br />

Tra queste, la diffusione delle demenze si presenta come un fenomeno sociale drammatico, di<br />

cui non c’è ancora sufficiente consapevolezza nella politica, nelle istituzioni e nelle organizzazioni<br />

sociali. È un fenomeno che incide pesantemente sulla vita collettiva, oltre che su quella dei singoli,<br />

che influenza talmente le condizioni di reddito da portare a livelli di povertà tante famiglie, che fa<br />

rinunciare al lavoro molte donne, che porta con sé la diffusione del lavoro domestico di un numero<br />

molto significativo di persone immigrate, e non solo. La situazione è tale da richiedere ormai una<br />

diversa organizzazione dei servizi pubblici e strumenti per orientare e tutelare anche la spesa<br />

privata delle famiglie che investono una parte rilevante del loro reddito per l’invalidità.<br />

Non c’è solo il carico di assistenza; si aggiunge lo “smarrimento” che provoca vedere i propri<br />

cari perdere la memoria, non sapere più dove sono, non conoscere più le persone che stanno loro<br />

intorno. Ci sono momenti di emergenza che è così difficile affrontare e nei confronti dei quali ci si<br />

sente impotenti.<br />

I numeri (circa 30.000 in <strong>Liguria</strong>, con previsioni di crescita “esponenziale”), la complessità dei<br />

fattori che vengono investiti, la speciale sofferenza che malati e famiglie vivono, dovrebbero<br />

richiamare tutti a non considerare questo fenomeno come uno dei tanti e a impostare una vera<br />

strategia per organizzare interventi e reperire risorse adeguate.<br />

Lo SPI e la Cgil nel suo insieme lavorano per proporre e rivendicare scelte necessarie da parte<br />

delle Istituzioni; nel contempo esercitano la propria funzione di tutela individuale, attraverso il<br />

Patronato Inca e i Servizi fiscali.<br />

3


Con questo libretto ci proponiamo l’obiettivo di diffondere la conoscenza, e quindi la<br />

consapevolezza collettiva, sulla qualità e la dimensione del fenomeno; vogliamo anche, però,<br />

offrire alle persone interessate uno strumento, tra i tanti che sono disponibili, per “orientarsi”, per<br />

sapere un po’ di più sui loro diritti; uno strumento anche per riconoscersi in una condizione che<br />

non è solo la loro, da vivere in solitudine e magari con “vergogna”. È invece la condizione di molti,<br />

per la quale sono previsti anche servizi, prestazioni economiche e interventi che loro hanno diritto<br />

di ricevere: la diagnosi presso strutture pubbliche, la prescrizione dei farmaci, l’affiancamento<br />

all’interno di precorsi di assistenza dedicati, l’indennità di accompagnamento; e risorse sufficienti,<br />

che invece sono state tagliate in questi anni dal governo nazionale.<br />

Su questo insieme di questioni una organizzazione di rappresentanza collettiva come la Cgil<br />

vuole fare la propria parte, sia sul piano della tutela individuale, sia su quello dell’iniziativa<br />

rivendicativa verso le Istituzioni, affinché il governo nazionale finanzi in modo certo e adeguato i<br />

livelli essenziali delle prestazioni sociali e le amministrazioni regionali e locali organizzino il proprio<br />

sistema di servizi in modo efficace, integrato e aperto alle esigenze delle persone.<br />

4<br />

Anna Giacobbe<br />

Segretaria generale Spi <strong>CGIL</strong> <strong>Liguria</strong>


La mia giornata non<br />

comincia la mattina perché<br />

non finisce la sera.<br />

Una donna


Il caregiver (di chi si prende cura) e le Demenze<br />

PARTE I<br />

Quanto scritto in queste pagine non ha nessuna pretesa di<br />

essere un documento “scientifico” esaustivo sul grande<br />

problema delle demenze; il tentativo è invece quello di fornire<br />

un piccolo aiuto “pratico” a chi, per qualsiasi ragione, si trova<br />

a contatto con persone che vivono il problema delle malattie<br />

che generano demenza, in particolare quello della malattia di<br />

<strong>Alzheimer</strong>.<br />

La maggior parte dei concetti e delle informazioni non sono<br />

“originali” e si possono trovare, espressi ovviamente in forme<br />

diverse, in numerose pubblicazioni divulgative edite dalle<br />

Associazioni di volontariato o dalle istituzioni (la Regione<br />

<strong>Liguria</strong> ha finanziato il manuale “Caregiver”) o in moltissimi<br />

altri libri e testi anche di carattere scientifico.<br />

Ho cercato di esprimere concetti, anche quelli più complessi, in<br />

una forma il più possibile chiara per tutti. Il manuale è diviso in<br />

due parti nettamente distinte che posso essere lette<br />

separatamente: la seconda è sicuramente la parte più<br />

complessa che per diventare fruibile necessita di un notevole<br />

desiderio di conoscenza più specifica, non indispensabile a chi<br />

affronta la prima parte.<br />

Nel caso si desiderasse approfondire alcuni temi o mandare<br />

suggerimenti o riflessioni per le future edizioni, scrivete a<br />

gurod44@gmail.com.<br />

G.R.<br />

In genere, quando si affronta il problema delle demenze si è soliti iniziare a<br />

parlare nello specifico della malattia e in seconda battuta dei molti problemi a<br />

essa correlati, tra i quali quello delle persone che assistono i malati e che, anche<br />

da noi, vengono ormai definiti caregivers (prestatori di cure) prendendo la<br />

definizione dal lessico anglosassone.<br />

Crediamo invece che in una trattazione come questa, rivolta essenzialmente<br />

ad operatori che si confrontano con un pubblico che necessita di informazione,<br />

piuttosto che a operatori che si riferiscono a persone malate, sia giustificato<br />

iniziare a parlare, prima di tutto proprio dei “prestatori di cura”.<br />

Sono questi infatti il più delle volte i soggetti più esposti di una situazione in<br />

cui da un lato è presente il malato con le sue enormi problematiche, poche delle<br />

quali possono essere affrontate e risolte dalla medicina – almeno a tutt’oggi –<br />

dall’altro le persone che, per scelta, per dovere o per mille altre ragioni, ogni<br />

giorno impiegano parte o tutta la giornata ad assistere il malato.<br />

7<br />

“Caregivers”, i<br />

prestatori di cura


Nel nostro paese dai primi anni Novanta, sulla spinta della realtà<br />

epidemiologica emergente (si pensi che in Italia nel 2010 ci sono circa 1 milione<br />

di malati ) e, soprattutto, sulla non più illimitata disponibilità di risorse<br />

economiche del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), le problematiche legate alle<br />

demenze e all’impatto che queste malattie hanno sulle famiglie sono diventate<br />

oggetto di attenzione sempre crescente. Le demenze sono a tutt’oggi un insieme<br />

di patologie tra le più onerose dal punto di vista sociale, con un costo medio per<br />

paziente, comprensivo sia dei costi dei familiari sia di quelli a carico della<br />

collettività, stimato in differenti studi tra 50 e 60.000 euro all’anno (Gambina G.,<br />

http://www.aiesweb.it/media; Trabucchi, 1996). 1<br />

La cifra comprende costi diretti, quali quelli per l'assistenza domiciliare<br />

professionale, la spesa farmacologica, gli ausili non farmacologici, le visite<br />

mediche specialistiche, gli esami di laboratorio e strumentali, le ospedalizzazioni<br />

e così via. Ci sono poi i costi indiretti, che sono l’assistenza domiciliare prestata<br />

dai familiari con conseguente mancato guadagno per riduzione di ore di lavoro, o<br />

rinuncia all’impiego e tutte le spese accessorie tra cui, quando possibile, un<br />

aiuto– la così detta badante – i molti farmaci che non vengono distribuiti<br />

gratuitamente dal SSN e i tanti ausili per i malati. Essendo proprio i costi indiretti<br />

a pesare sui familiari, questi devono sopportare una spesa che è addirittura il 60-<br />

70% della spesa annua media; impegno economico per mantenere il malato tra<br />

le mura domestiche, che spesso porta le famiglie alla povertà (Cavallo, 1997). 2<br />

Ma anche quando i familiari devono ricorrere a una residenza protetta, una parte<br />

delle spese alberghiere è ancora a carico della famiglia; solo chi è totalmente<br />

indigente non spende per il ricovero.<br />

Così la figura che viene ad assumere un ruolo fondamentale nella gestione<br />

del malato è quella del caregiver , colui che in ambito domestico si prende cura<br />

1<br />

La citazione è tratta da un saggio pubblicato sul web e al momento non reperibile: Gambina G.,<br />

Broggio E., Martini M.C., Merzari L., Gaburro G., Ferrari G., Analisi del costo sociale delle persone<br />

affette da malattia di <strong>Alzheimer</strong> assistite a domicilio. http://www.aiesweb.it/media; Trabucchi<br />

M., Ghisla M.K., Bianchetti A., CODEM, A longitudinal study on <strong>Alzheimer</strong> diseaese costs, in<br />

<strong>Alzheimer</strong> Disease: Therapeutic Strategies, Giacobini E. - Becker R. Editors, Birkhauser Boston, pp.<br />

561-565, 1996.<br />

2<br />

Cavallo M.C., Fattore G., The Economic and Social Burden of <strong>Alzheimer</strong>’s Disease on Families in<br />

the Lombardy Region of Italy, in <strong>Alzheimer</strong> Disease and Associated Disorders, 11, pp. 184-190,<br />

1997.<br />

8<br />

I costi delle<br />

demenze


del malato. Una inchiesta del Servizio di Neurofisiologia Clinica dell’Università di<br />

Genova, pubblicata nel 2003, riporta dati interessanti sul caregiver. Il 75,8% dei<br />

caregivers sono donne e tale percentuale cresce col peggiorare delle condizioni<br />

cliniche del paziente (poco più dell’80%) (Rodriguez, 2003). 3<br />

Dall’inchiesta, inoltre, è risultato un rapporto molto complesso con il medico<br />

di medicina generale (MMG) che appare molto distante dai reali problemi del<br />

malato e dei familiari e che troppo spesso, a detta degli intervistati, non<br />

attribuisce il valore diagnostico– come fa invece lo specialista – ai sintomi che il<br />

malato presenta; si desume che il 53% dei caregivers si rivolge in prima istanza al<br />

medico di medicina generale, ma solo il 10% considera soddisfacente tale<br />

rapporto. Risultato questo oggetto di discussione tra molti colleghi e le<br />

spiegazioni, ovviamente, sono molto differenziate: tra tutte, forse quella che<br />

maggiormente emerge è il non aver ancora completamente scisso il problema<br />

dell’invecchiamento fisiologico da quello patologico e quindi anche la necessità<br />

di maggiori e costanti informazioni. In quest’ottica si possono leggere le molte<br />

iniziative rivolte ai MMG inerenti le demenze, tra le quali nel 2010 una presso la<br />

Neurofisiologia Clinica di Genova, che ha coinvolto una trentina di colleghi. In<br />

questa occasione i medici hanno anche dato la loro disponibilità alla raccolta di<br />

dati sui disturbi cognitivi nelle persone con più di 60 anni che frequentano<br />

l’ambulatorio medico, attraverso l’autosomministrazione di un questionario<br />

tradotto dall’inglese dal nostro gruppo. L’autore, J. Brown, ha autorizzato<br />

l’utilizzo del test nel nostro paese dopo l’accordo sulla traduzione (Brown J.,<br />

2009). 4<br />

Infine nell’inchiesta si è anche cercato di valutare se il caregiver avesse mai<br />

pensato la morte del malato come una possibile uscita dalla tragica realtà della<br />

malattia; sono stati molto pochi i familiari che hanno ammesso di aver avuto un<br />

tale pensiero. Questo, allora, ci convinse più che mai del fatto che il familiare<br />

caregiver diventa a tutti gli effetti così protettivo nei confronti del malato, da<br />

essere disposto ad accettare limitazioni di vita impensabili in altri contesti. Altra<br />

3<br />

Rodriguez G., De Leo C., Girtler N., Vitali P., Grossi E., Nobili F., Psychological and social aspects<br />

in management of <strong>Alzheimer</strong>’s patients: an inquiry among caregivers, in Neurol Sci, pp. 329-335,<br />

2003.<br />

4<br />

Brown J., Pengas G., Dawson K., Brown L.A., Clatworthy P., Self administered cognitive screening<br />

test (TYM) for detection of <strong>Alzheimer</strong>’s disease: crossectional study, BMJ, 2009.<br />

9<br />

Il rapporto tra il<br />

caregiver e il<br />

medico di medicina<br />

generale


possibile spiegazione è nella marcata diversità della gravità della malattia nel<br />

gruppo dei caregivers intervistati. È abbastanza ovvio che per un certo periodo di<br />

tempo la malattia non modifica sostanzialmente la vita del malato e del<br />

caregiver; solo alla comparsa dei sintomi comportamentali oltre a quelli cognitivi<br />

– irrequietezza motoria, vagabondaggio e aggressività violenta – il caregiver<br />

realizza fino in fondo quanto sia difficilmente accettabile la sua completa e totale<br />

dedizione al malato.<br />

Al di là degli spunti dell’inchiesta, credo che in genere un individuo diventa<br />

caregiver nel momento in cui intuisce che qualcosa si sta modificando nel<br />

comportamento della persona di cui poi ci si prenderà cura e in quel momento<br />

decide che si deve fare qualcosa; si rivolge al medico di famiglia, ne parla con un<br />

amico fidato o in famiglia e a volte arriva in un centro specializzato nella diagnosi<br />

delle malattie degenerative cerebrali. Spesso in questi casi ci si trova a parlare<br />

con la colei che per prima ha ritenuto di non dover sottovalutare le cose un po’<br />

bizzarre e insolite che la persona di cui ci si prenderà cura metteva in mostra, con<br />

qualcuno che ha deciso che bisognava insistere e che ha cercato una risposta. È<br />

proprio a lei che il medico deve comunicare la diagnosi di demenza, è con questa<br />

persona che deve confrontarsi in quei pochi momenti in cui tutta la vita del<br />

futuro caregiver si trasforma. Il medico deve concedere a se stesso e al futuro<br />

caregiver il tempo sufficiente e necessario per accompagnare chi riceve la notizia<br />

della diagnosi ad accettare una realtà tanto temuta quanto purtroppo attesa.<br />

“Ma è proprio vero?” - “ È come una mazzata sulla testa” - “Un pugno in pancia”<br />

- “Ho voglia di gridare e di piangere” - “Non doveva succedere a me”.<br />

Il caso<br />

Tante le reazioni a quelle parole, a quella diagnosi che segnerà un cammino tutto<br />

da scoprire e per il quale il medico deve trovare il tempo necessario perché<br />

soprattutto il familiare possa comprendere e interiorizzare il senso della<br />

diagnosi. Ho incontrato molto spesso uno sguardo che andava al di là delle<br />

parole quando la persona che si ha di fronte ti chiede di confermare una<br />

diagnosi, cercando una condivisione, una relazione interpersonale che permetta<br />

10<br />

Quando si diventa<br />

caregiver


di elaborare fino in fondo quello che solo la parte razionale della sua mente ha<br />

già accettato.<br />

È così che rivedo Mario mentre trattiene a stento le lacrime. Capisco che sa<br />

già quello che gli dirò ma si appende ancora a una speranza, che io dica la parola<br />

“depressione” e non “demenza”. Sua moglie è troppo giovane, per anni il vero<br />

punto di riferimento sul suo posto di lavoro, la moglie che ora, quando parla,<br />

nessuno riesce più a capire. Mario e la sua angoscia di come parlarne ai figli, di<br />

come organizzare la sua vita personale: “Allora devo andare dai sindacati” e poi<br />

una lunga pausa: “Forse devo prendermi un periodo di ferie per decidere cosa<br />

fare”. Non siamo di fronte all’attesa di una diversa diagnosi, né alla speranza in<br />

un diagnosi sbagliata. Di fronte a me Mario deve percorrere una strada che<br />

potremmo dire “apprendere per insight”, ridefinire il problema nel suo insieme.<br />

Non ha esperienze passate a cui far riferimento, non ci sono modelli teorici a cui<br />

rifarsi, Mario deve affrontare la nuova situazione e, una volta introiettata,<br />

raggiungere lo scopo finale di una ridefinizione del problema centrale: la sua vita<br />

futura. Il medico deve dargli il tempo necessario e sufficiente, anche se sappiamo<br />

che ci sarà poi un altro percorso ancora più complesso: ci saranno i figli e i<br />

parenti con i quali condividere l’informazione e programmare il da farsi. Poi<br />

Mario cerca di scendere nei dettagli e mi chiede la “prognosi”: quanto tempo ha<br />

ancora sua moglie a disposizione prima che si aggravi e nulla sia più possibile.<br />

Mario è già andato avanti, dice di voler subito programmare qualcosa, un viaggio<br />

o qualunque altra cosa possa essere in grado di dare felicità alla moglie. Passa<br />

ancora un po’ di tempo con pause dolorose per entrambi, dove a fatica gli<br />

sguardi si incontrano per non ledere il diritto a vivere la propria disperazione.<br />

Quando, dopo i primi colloqui, rivedo Mario, lui mi pone una questione che<br />

molto spesso i sanitari devo affrontare: “questa malattia è ereditaria?”<br />

Il timore che un gene dal quale si potrebbe originare la malattia possa essere<br />

trasmesso ai figli lo si incontra spesso nei gruppi di counseling con i familiari.<br />

Indipendentemente dalla familiarità, tutti a un certo punto della vita possiamo<br />

ammalarci.<br />

Bisogna essere molto precisi nella spiegazione. Oggi sappiamo che un gene<br />

rende più probabile il verificarsi della malattia. Il gene si trova sul cromosoma 19,<br />

11<br />

Ereditarietà e<br />

l’alipoproteina


ed è responsabile della produzione di una proteina chiamata apolipoproteinaE<br />

(ApoE), di cui esistono tre tipi principali, uno dei quali (l'ApoE4) – sebbene poco<br />

comune – è quella che aumenta le probabilità di sviluppare in un certo momento<br />

della vita la malattia di <strong>Alzheimer</strong>. La persona portatrice di questa proteina non è<br />

destinata ad ammalarsi, ha solo aumentate la probabilità di sviluppare la<br />

malattia. Per esempio, una persona di cinquant'anni portatrice di questo gene<br />

avrebbe 2 probabilità su 1000 di ammalarsi invece del consueto 1 per 1000, ma<br />

può nella realtà non ammalarsi mai. Soltanto nel 50% dei malati di <strong>Alzheimer</strong> si<br />

trova la proteina ApoE4, e non tutti coloro che hanno tale proteina presentano la<br />

malattia.<br />

La badante e il territorio<br />

Da diversi di anni, abbiamo a che fare con una nuova figura, la cosìddetta<br />

badante, solitamente un immigrato/a che collabora col caregiver nell’assistenza<br />

al malato; secondo alcuni studi circa il 35% dei malati dementi è assistito a<br />

domicilio da una badante. Perché quando la malattia si aggrava il caregiver cerca<br />

un aiuto. La presenza di questa figura spesso ha un effetto positivo sul nucleo<br />

familiare perché è in grado di ridurre il carico lavorativo e lo stress del caregiver.<br />

Come ovviamente anche il caregiver, la badante il più delle volte non è<br />

adeguatamente preparata. È sorta così la necessità di creare centri di riferimento<br />

per la preparazione degli operatori. Il compito più rilevante di coloro che entrano<br />

in contatto con le famiglie dei malati di <strong>Alzheimer</strong> è quello di informare dove sul<br />

territorio sia possibile ottenere, anche attraverso le istituzioni, un aiuto in<br />

termini di miglioramento delle conoscenze sulla malattia e sui compiti di<br />

caregiving.<br />

Nella regione <strong>Liguria</strong> c’è una grave dispersione di questi luoghi di<br />

informazione, mentre mancano del tutto sportelli o punti di riferimento al quale<br />

le famiglie possono rivolgersi rispetto ai molti problemi della malattia. Nel nostro<br />

paese, a differenza di molti altri, quasi il 90% dei malati vive in famiglia fino quasi<br />

agli ultimi giorni, infatti, nonostante le trasformazioni demografiche e sociali, la<br />

famiglia rimane la protagonista dello scenario assistenziale. In effetti il<br />

mantenimento del paziente a casa ha anche un risvolto “terapeutico”, poiché la<br />

12<br />

La badante<br />

La casa e la famiglia


persona con demenza riesce a muoversi e a interagire con un ambiente, almeno<br />

in parte, riconoscibile, mentre il ricovero in strutture non note è in genere<br />

seguito da un aggravamento delle condizioni generali e neuropsichiatriche (Lee<br />

H., 2004). 5<br />

È necessario sviluppare una serie di interventi – educativi, formativi, di<br />

sostegno e di supporto – senza i quali la famiglia non è in grado di sostenere un<br />

impegno così gravoso, che può durare moltissimi anni (la durata media di una<br />

demenza è dal momento della diagnosi di circa 8-10 anni).<br />

Un costo di difficile quantificazione e spesso sottostimato è quello costituito<br />

dalle conseguenze del caregiving sulla famiglia: stress psicologico, impatto sulla<br />

salute, con conseguente riduzione della qualità della vita. I bisogni dei caregivers<br />

non sono tutti uguali: i caregivers primariamente coinvolti per parentela e<br />

rapporti affettivi hanno un stress superiore e forniscono un maggior contributo<br />

assistenziale diretto, mentre i caregivers secondari, ad esempio le badanti,<br />

soffrono di depressione e per questi bisogna agire soprattutto sul tono<br />

dell'umore. Ove la condizione di caregiver si associa a una condizione di stress vi<br />

è una riduzione delle risposte immunitarie e un aumento delle malattie<br />

cardiovascolari, con alti livelli di sintomatologia ansiosa.<br />

Molto importante è il tempo che il caregiver dedica all’assistenza, che<br />

dipende essenzialmente dalla gravità del paziente e da altre variabili: età, tipo di<br />

demenza, aspetti clinici, patologie concomitanti, intervento terapeutico<br />

farmacologico e non farmacologico, condizioni familiari, ambientali, socio-<br />

economiche, qualità dell’assistenza medica ed efficienza della rete dei servizi del<br />

SSN.<br />

Il ruolo del malato e del caregiver<br />

Quali sono, nel dettaglio, le problematiche che maggiormente possono<br />

coinvolgere le famiglie e chi al loro interno diventa il caregiver principale?<br />

5<br />

Lee H., Cameron MH., Respite care for people with dementia and their carers. Cochrane<br />

Database of Systematic Reviews 2004, Issue 2. Art. No.: CD004396. DOI:<br />

10.1002/14651858.CD004396.pub2.<br />

13<br />

Il costo del<br />

caregiving<br />

Il ruolo del malato<br />

nella famiglia e il<br />

percorso del<br />

caregiver e dei<br />

familiari


Il ruolo che il malato occupa – o meglio che ha occupato prima della malattia<br />

– all’interno del nucleo familiare, ugualmente alle dinamiche affettive, consce e<br />

inconsce, che fanno parte dei rapporti fra i componenti della famiglia stessa,<br />

comporta un diverso coinvolgimento emotivo dei familiari. Il caregiver, e in<br />

genere i familiari tutti, è costretto da una parte a una lenta elaborazione delle<br />

varie fasi del lutto (in questo caso lutto va inteso come perdita del congiunto così<br />

come era conosciuto prima della malattia) e del dolore e dall’altra adeguarsi<br />

costantemente ad una situazione che, tutt’altro che “immobile”, si trasforma<br />

ogni giorno. È infatti terribile – spesso insopportabile – vedere una persona che,<br />

ad esempio, era stata il perno su cui gravava la famiglia, oppure quella che era<br />

stata la o il compagno di una vita e con la quale si erano condivisi decine di anni,<br />

perdere lentamente le capacità cognitive, “smarrire la mente” e con questa<br />

annullare la propria identità e i rapporti con gli altri. Difficile rendersi conto di<br />

cosa possa significare per un figlio che aveva nel genitore il proprio punto di<br />

riferimento, trovarsi con un malato che necessita di tutto e rispetto al quale<br />

devono essere superati diversi tabù. Lavare la mamma o il papà, accudirli e stare<br />

loro vicino possono diventare per il caregiver un gesto d’amore che ha dietro una<br />

incredibile quantità di angosce, di ansie e un processo di perdita raramente<br />

comunicati anche alle persone più intimamente vicine.<br />

Il familiare deve quindi fare un percorso che presenta alcune tappe. La prima<br />

è quella del “non è possibile” che si traduce nella convinzione che il medico non<br />

abbia compreso la situazione e che la malattia non sia veramente una demenza.<br />

Negare la malattia è abbastanza comune e naturale: il caregiver chiede diversi<br />

consulti impegnandosi anche a inutili esborsi economici alla ricerca del<br />

“luminare” più conosciuto o di medicine ad oggi inesistenti. Ma anche nei<br />

confronti del malato la negazione della malattia ha effetti non positivi: il<br />

caregiver cerca infatti di non vedere quanto accade e con ogni mezzo sollecita il<br />

malato ad agire in maniera corretta, a comportarsi bene, a non commettere<br />

“stupidi” errori; queste richieste sono ovviamente incomprensibili al malato,<br />

aumentano la sua angoscia, provocano confusione e profonda depressione.<br />

Se la negazione è una modalità di risposta normale all’inizio del percorso, è<br />

necessario che con il tempo la malattia venga accettata e questo può avvenire<br />

14<br />

L’elaborazione del<br />

lutto<br />

La negazione della<br />

malattia<br />

Il senso di colpa


anche attraverso l’aiuto di persone estranee al nucleo familiare, persone ad<br />

esempio che abbiano già vissuto l’esperienza della malattia di un proprio<br />

familiare. Ma quando il tempo e l’abitudine alle cure da prestare portano ad<br />

accettare la malattia altri atteggiamenti non positivi possono comparire; anche<br />

questi devono essere presto superati. Uno dei più importanti è il senso di colpa<br />

del caregiver. I familiari dei malati di <strong>Alzheimer</strong> dedicano mediamente sette ore<br />

al giorno all’assistenza diretta del paziente e quasi undici ore alla sua<br />

sorveglianza; inoltre, l’impatto dell’attività assistenziale diventa più gravoso<br />

quanto più essa si somma all’impegno legato allo svolgimento di altri ruoli<br />

professionali e familiari, come accade per la maggior parte dei caregivers;<br />

quando la malattia è grave l’assistenza è di 24 ore. Il caregiver si trova così a<br />

dover affrontare una condizione non conosciuta prima alla quale deve dare delle<br />

risposte efficaci, deve risolvere problemi che si pongono giornalmente con<br />

strategie mentali e comportamentali del tutto nuove. È così che viene stimolata<br />

la sua reattività all’ambiente e le capacità ad affrontare adeguatamente le<br />

situazioni che incontra. Ad esempio, chiunque abbia frequentato un malato<br />

demente conosce i tantissimi atteggiamenti che possono generare nel caregiver<br />

una reazione aggressiva. Una donna faceva notare che il marito ripete una stessa<br />

frase tutto il giorno, non smette mai, che non riesce mai a rispondere in modo<br />

adeguato alle richieste della moglie; questa condizione genera esasperazione e<br />

l’esasperazione genera un senso di colpa non facilmente sopibile. Ugualmente<br />

questo capita quando si sente che “bisogna” fare alcune cose, anche quando la<br />

vita richiede altri impegni. Il caregiver si trova a correre da una parte all’altra e<br />

sente di non essere in grado di reggere allo stress, vorrebbe fermarsi, ma questo<br />

solo pensiero genera il senso di colpa perché non si è risposto appieno ai compiti<br />

prefissati. Altre condizioni possono portare al senso di colpa: per esempio,<br />

quando si assiste, senza poter fare nulla, alla totale perdita della personalità, alla<br />

eliminazione di ogni possibile e credibile inibizione – ricordo la telefonata di una<br />

signora che tra le lacrime confessa che il padre lancia le feci dalla finestra – e<br />

allora scatta la domanda sul senso reale di questa malattia e su quello che il<br />

malato vive e si pensa alla morte, come unico rimedio a una tragedia impensabile<br />

15


(anche se dall’inchiesta già citata, è emerso che solo raramente il caregiver pensa<br />

alla soluzione “morte”).<br />

La rabbia e il senso di colpa vengono anche quando si cerca di fare tutto, ma<br />

proprio tutto al posto del malato. Si ha paura che lui non sia in grado di gestire la<br />

realtà e lo si sostituisce, così almeno le cose vengono fatte e non bisogna<br />

ripetere e stare attenti. Ma anche così facendo la situazione non migliora, anzi,<br />

sembra che giorno dopo giorno la volontà di fare del malato si indebolisca, che si<br />

richiuda in una realtà del tutto distante, che i rapporti con gli altri si<br />

affievoliscano. Così le domande usuali – dove e in che cosa ho sbagliato? – così la<br />

rabbia e il senso di colpa, perché nonostante tutto, ma proprio tutto, nulla<br />

migliora.<br />

Bisogna entrare ancor più nella malattia. Il caregiver deve ancora fare un<br />

tratto di cammino, accettare che non sia l’ansia a motivare il troppo fare<br />

inconcludente e che non ci siano troppa frustrazione e troppa rabbia. Perché va<br />

tutto storto, mentre la fatica aumenta e il peso delle nostre contraddizioni ci<br />

porta a non vedere con chiarezza i fatti. Una signora era affranta dal<br />

comportamento che teneva nei confronti del marito demente che la voleva<br />

seguire sempre, che non poteva stare da solo mentre lei avrebbe gradito alcune<br />

ore di tranquillità, lontana da casa, a fare ciò che le piaceva, insieme alle sue<br />

amiche. Lei comprendeva in quei momenti, quando chiedeva di essere lasciata in<br />

pace per poche ore, di essere molto ambigua. Da un lato l’affetto grande per<br />

quell’adulto, che sembrava un bambino alla ricerca della mano della mamma e<br />

che non voleva stare da solo, ma dall’altro una gran rabbia, una collera<br />

incredibile perché lui settantenne, da quarant’anni circa con lei, non riusciva<br />

proprio a capire che lei aveva bisogno di quelle poche ore di libertà. Ma quel<br />

marito dallo sguardo perso era, per caso, anche un motivo di vergogna? Anche<br />

questo sentimento è presente e condiziona il comportamento del caregiver e la<br />

vita del malato. Come non comprendere che i rapporti sociali e in genere la vita<br />

che una famiglia conduce ha delle regole che difficilmente possono essere<br />

modificate; regole che possono esigere comportamenti adeguati a quelli che<br />

sono i canoni dell’ambiente in cui si vive. Vergogna per come il malato si<br />

comporta, vergogna che non si riesce a superare, perché non si può parlare con<br />

16<br />

La vergogna


gli altri – i “normali” – di questa malattia. Ricordo una giovane donna<br />

raccontarmi di comportamenti impensabili del suocero: quando qualcuno<br />

entrava in casa lui si presentava sulla porta e, scattando sull’attenti in una rigida<br />

parodia di situazione militare, salutava tutti con un “buonasera signor generale”.<br />

Non molto tempo dopo, ho saputo che quel saluto era ripetuto all’infinito in una<br />

casa di riposo.<br />

È possibile che un individuo, preso dallo sconforto, decida di fuggire dalla<br />

condizione imposta o scelta, sperando di sottrarsi al fardello delle responsabilità<br />

psicologiche che il tempo della malattia inevitabilmente provoca. La fuga – anche<br />

se appare modalità semplice ed egoistica di deresponsabilizzazione – prendendo<br />

le distanze dal malato, comporta una presa di distanza emotiva, la rinuncia a<br />

vivere una parte della propria vita affettiva, negando un’esperienza che per<br />

quanto dolorosa comporta nuovi contenuti emozionali e la scoperta di tante<br />

nuove risorse. La fuga è accompagnata da un grande senso di colpa e da un acuto<br />

rimorso che difficilmente vengono compensati dal senso di liberazione<br />

dall’affanno della malattia. Il sollievo della fuga è solo apparente: coloro che<br />

rimangono coinvolti nella cura si sentiranno traditi e abbandonati senza<br />

qualcuno con il quale condividere questo inaspettato viaggio. Questi sono<br />

sicuramente amareggiati, si sentono traditi e abbandonati, senza un compagno<br />

con il quale condividere questo incredibile viaggio.<br />

Fare proposte al “fuggitivo” per continuare a essere utile alla famiglia e al<br />

malato sposta l’attenzione dal malato al caregiver cercando il recupero di chi si è<br />

allontanato, senza che il senso di colpevolizzazione per aver abbandonato il<br />

malato diventi l’elemento dominante del nuovo rapporto. Così facendo forse<br />

sarà possibile non rimuginare in solitudine sul disaccordo. Ma in qualunque caso<br />

la soluzione di questi avvenimenti è molto dolorosa e spesso comporta un<br />

allontanamento definitivo dei familiari.<br />

Come si comprende facilmente, la malattia e gli aspetti psicologici delle<br />

persone vicine al malato possono facilmente generare tensioni e conflitti. Le<br />

condizioni di malessere sono rivolte spesso alle strutture assistenziali. Alcune<br />

delle prestazioni ricevute o atteggiamenti non compresi del personale possono<br />

generare conflitti con il caregiver, situazioni non chiarite che spesso comportano<br />

17<br />

La scelta della fuga<br />

I conflitti dei<br />

caregivers


l’allontanamento dalla struttura. Sovente i malati vengono “sballottati” da una<br />

struttura a un’altra senza un reale motivo. La soluzione è alla portata di tutti e<br />

consiste in una maggiore disponibilità del personale assistenziale a chiarire fino<br />

in fondo con il caregiver le problematiche legate alla malattia, fornendo le<br />

indicazioni generali sulla patologia in atto, suggerendo luoghi e persone con cui<br />

entrare in contatto o, se possibile, fornire corsi di aggiornamento e momenti di<br />

confronto con i familiari. Ci rendiamo conto che tali proposte nell’organizzazione<br />

sanitaria del nostro paese sono poco realizzabili. Un medico che presta la sua<br />

attività in un ambulatorio si sentirà molto più gratificato a fare “diagnosi e<br />

terapia” piuttosto che a fare il consulente dei familiari; molti sanitari penseranno<br />

che questo è un compito di un altro tipo di personale assistenziale o delle<br />

associazioni dei malati. Tutto questo è sicuramente vero, ma è anche vero che è<br />

proprio al sanitario che fa la diagnosi che le persone chiedono un rapporto<br />

umano, un vero aiuto, una capacità di “consulenza”, un rapporto non chiuso alla<br />

cruda realtà della “diagnosi di malattia”. Ma forse questo è un modo di pensare<br />

alla medicina che poco si addice a quanto oggi avviene nel nostro paese, dove è<br />

permesso che la medicina privata si mescoli in modo provocatorio a quella<br />

pubblica, dove è consentito al medico di esercitare a pagamento nelle strutture<br />

pubbliche, allargando così a dismisura il concetto di una cultura mercantile che<br />

ha trasformato, purtroppo per molti, il tempo in denaro e il tempo può solo<br />

servire a “visitare” i malati.<br />

Esistono situazioni conflittuali anche con gli altri membri della famiglia che<br />

non aiutano, che non comprendono o non valutano nella dovuta maniera gli<br />

sforzi fatti dal caregiver. Conflitti si aprono con le persone che più condividono<br />

l’esperienza del caregiver, ad esempio con il coniuge che può non comprendere<br />

come e perché la persona che gli è vicino appaia sempre stanca, depressa, che<br />

non ha mai tempo per nulla e che pensa solo al malato. Il caregiver così entra in<br />

conflitto con se stesso, perché si trova sempre davanti a un bivio. Il caregiver<br />

deve scegliere tra la necessità di assistere e accudire nel modo migliore possibile<br />

il malato e la necessità di non trascurare gli altri membri della famiglia; tra tempo<br />

da dedicare al lavoro – che pure è fonte di soddisfazione e piacere – e tempo da<br />

dedicare al malato; oppure tra il continuare a prestare le cure al malato e trovare<br />

18<br />

- con le<br />

strutture<br />

sanitarie<br />

- con i<br />

familiari


il desiderio di recuperare spazi per sé stessi, per la propria vita, per il proprio<br />

piacere. Non riuscire a trovare modalità soddisfacenti per “ricavare gli spazi della<br />

propria vita” è una situazione svantaggiosa sia per il caregiver che per il malato: il<br />

primo si carica di rancore, di dubbi sul proprio ruolo, di sensi di colpa, invece di<br />

comprendere l’importanza e l’assoluta necessità di riappropriarsi, per quanto<br />

possibile, di una parte del tempo della vita. È indispensabile. Non è egoismo ma<br />

necessità, perché ridando spazio alle proprie esigenze di vita si possono ricaricare<br />

le energie da dedicare al malato e il tempo che trascorrerà vicino a lui sarà un<br />

tempo del tutto nuovo, un tempo scelto, desiderato, frutto di una<br />

razionalizzazione delle necessità di tutti. Come non vedere la tristezza di<br />

un’assistenza carica di tensioni, dove la mente del caregiver è impegnata dai<br />

pensieri del quotidiano che non dà tregua e incalza costantemente; dove si è<br />

infastiditi per essere vicini al malato spinti dal senso del dovere, dove il peso<br />

dell’assistenza è assolutamente soffocante, ma se per caso facciamo un piccolo<br />

ritardo ci sentiamo colpevoli per non aver rispettato l’impegno preso.<br />

È così che anche il malato diventa motivo di conflitto quando vecchi rancori,<br />

incomprensioni e altri sentimenti non positivi, che spesso la vita porta nelle<br />

famiglie, ritornano prepotentemente a galla. Perché la demenza, oltre alla<br />

perdita dell’autosufficienza, conduce a una trasformazione tale del normale<br />

sentire, che le cose più impensabili diventano quasi “naturali” per il malato . Il<br />

caregiver può non sopportare più, può giungere all’abbandono del malato o,<br />

all’opposto, tentare tutto il pensabile per soffocare la rabbia che ha dentro.<br />

Come superare queste condizioni di conflitto? Dobbiamo cercare<br />

essenzialmente di entrare nella fase di gestione del razionale. Se un nostro<br />

parente non si comporta nei confronti del malato come si vorrebbe e se tutto<br />

questo genera conflitti e rabbia, ci si dovrebbe chiedere se è proprio vero che gli<br />

altri possono fare tutto come facciamo noi, o addirittura sostituirsi a noi. E<br />

dovremmo capire che questo è veramente impossibile. La modalità con cui gli<br />

altri si pongono nei confronti del malato è l’oggettivazione di quanto gli esseri<br />

umani siano diversi nel fare e nel sentire. Non è giustificato insistere nell’errore;<br />

si dovrebbe trovare la giusta modalità per un confronto chiarificatore, far<br />

comprendere agli altri ed elaborare noi stessi che quello che avremmo voluto<br />

19<br />

- con il<br />

malato<br />

La depressione del<br />

caregiver


che gli altri facessero non lo si è mai chiaramente esplicitato e che non è una<br />

colpa sentire e vivere la malattia di un parente con modalità molto diverse.<br />

Se questo è sostenibile, allora ne consegue che alcuni atteggiamenti del<br />

caregiver necessitano di essere ripensati. Un errore molto grave del caregiver –<br />

per se stesso, per il malato e per l’intero mondo intorno – è rinchiudere<br />

l’esistenza alla sola attività di cura. Credo che solo in casi del tutto eccezionali<br />

questa condizione non comporti una sofferenza così elevata e destinata prima o<br />

poi a trasformarsi in una vera e propria patologia. Non solo per questa ragione,<br />

ovviamente, ma è noto che il 30-40% dei caregiver soffre di depressione, disturbi<br />

del sonno, modificazioni nell’alimentazione tali da condurlo a dover ricorrere<br />

all’aiuto di un medico e ad assumere psicofarmaci (Beeson, 6 2003). Uno studio<br />

americano abbastanza recente, che conferma molte delle cose suddette, ha<br />

valutato le caratteristiche del paziente e del caregiver per ipotizzare l’eventuale<br />

depressione dei caregivers. Le caratteristiche del malato sono l’età piuttosto<br />

giovane e la gravità della malattia (ad esempio i disturbi comportamentali, tra<br />

questi l’aggressività, incidono di più dei disturbi cognitivi); nel caregiver<br />

potenzialmente depresso troviamo un basso reddito economico, la relazione<br />

stretta con il paziente (moglie o figlia), l’elevato numero di ore dedicate alla cura<br />

e la condizione fisica non buona del caregiver stesso. È evidente quindi che la<br />

depressione del caregiver è motivata non solo da caratteristiche legate alla<br />

malattia, ma anche a condizioni proprie della persona che assiste, per cui è<br />

necessario trovare modalità di riposte che sappiano tener conto di questa realtà<br />

multifattoriale e non credere che la sola risposta medicalizzata sia in grado di<br />

risolvere il problema (Covinsky KE., 2003). 7<br />

6<br />

. Beeson R.A, Loneliness and Depression in spousal Caregivers of Those With <strong>Alzheimer</strong>’s Disease<br />

Versus Non – Caregiving Spouses Electronic Version , in Archives of Psychiatric Nursing, n. 17 , pp.<br />

135-143, 2003.<br />

7<br />

Covinsky KE., Newcomer R., Fox P., Wood J., Sands L., Dane K. & Yaffe K., Patient and Caregiver<br />

Characterisctics Associated with Depression in Caregivers of Patients with Dementia Electronic<br />

Version, in Journal of General Internal Medicine, n. 18, pp. 1006-1014, 2003.<br />

20


Aiutare il caregiver<br />

Innanzitutto facendo cultura, perché solo l’informazione corretta potrà portare i<br />

familiari ad un consapevole ruolo di cura.<br />

In secondo luogo alcune semplici raccomandazioni: di fronte ai disturbi della<br />

memoria sarebbe meglio fornire le informazioni, evitando richiami a fatti o cose<br />

dimenticate. Rispetto ai problemi di linguaggio bisognerebbe cercare di<br />

comprendere il senso del discorso, anche se le parole sono inesatte, rispondere<br />

alle domande, anche a quelle ripetitive e cercare di continuare a parlare con il<br />

malato. Per quanto concerne i problemi di comprensione degli stimoli e in<br />

genere dell’ambiente, sarebbe meglio sostituirsi a lui nel fare le cose solo quando<br />

è davvero inevitabile. Se si aiuta il malto a fare alcune azioni, bisogna ricordarsi<br />

che c’è bisogno di molta sensibilità, i gesti devono essere semplici. Se possibile,<br />

sarebbe bene adattare la casa alle possibilità residue del malato. Quando<br />

compaiono le difficoltà con l’utilizzo di oggetti di uso comune, come il pettine,<br />

conviene rimuoverli perché non essendo più riconosciuti porterebbero al malato<br />

solo ansia. Quando non vengono riconosciute cose o persone è del tutto inutile<br />

cercare di “far ragionare” il malato; la logica non è nel suo mondo e sono i<br />

“normali” che si devono adattare. L’attenzione del malato è molto limitata e<br />

serve a fare poco e una cosa sola alla volta quindi mai chiedere più cose<br />

contemporaneamente, mai proporre compiti complessi o così difficili che<br />

porteranno il malato a comprendere la sua incapacità e quindi sofferenza per la<br />

frustrazione conseguente. Bisogna sempre ricordare che un sintomo centrale<br />

della malattia è la confusione. Anche se “i normali” vanno in confusione quando<br />

il carico a cui sottoponiamo la mente è eccessivo, il malato molto spesso è<br />

confuso perché non riesce a percepire correttamente l’ambiente che lo circonda.<br />

La reazione normale a questo stato di cose è la più varia: i malati possono urlare,<br />

diventare aggressivi, fuggire, mettersi a vagabondare senza una vera meta. È<br />

importante verificare l’ambiente di vita, per esempio se è troppo carico di<br />

stimoli, troppi rumori, troppe luci o troppa gente. A volte la confusione del<br />

malato può essere segno di qualcosa che non funziona come un improvviso<br />

dolore fisico. Bisogna riconoscere la gestualità che si accompagna alla confusione<br />

21<br />

Non sollecitare la<br />

memoria<br />

Fare gesti semplici


(sguardi in più direzioni, camminare in tondo senza fermarsi, afferrare e lasciare<br />

oggetti diversi); bisogna allora fermarsi, provare a distrarre il malato,<br />

comprendere se è veramente pronto e disponibile a fare quello che gli si chiede,<br />

aiutarlo perché si senta a proprio agio, rispettarne i tempi e i modi, farsi vedere<br />

bene quando ci si avvicina e fare tutto con grande.<br />

Più drammatici appaiono i disturbi comportamentali quali il vagabondaggio e<br />

l’affaccendamento inoperoso (gesti ripetitivi senza alcuna finalità). A fronte di<br />

questo occorre ricordarsi che i gesti possono essere legati ad azioni del passato e<br />

non a condizioni del presente, Permettiamo al malato di camminare e muoversi<br />

liberamente in un ambiente il più possibile sicuro, proponiamogli attività di tipo<br />

manuale che richiedano uno sforzo minimo e che possano dare anche una<br />

minima gratificazione.<br />

La condizione del delirio è spesso molto complessa da essere compresa e<br />

gestita dal caregiver, perché il malato può credere di essere derubato dallo<br />

stesso, di essere abbandonato dalle persone care, di voler tornare alla propria<br />

casa natale, di essere tradito sessualmente. Si dovrebbe cercare di non smentire<br />

il malato, di parlare con lui in maniera chiara e rassicurante per evitare che si<br />

isoli, cercare di sviare la sua attenzione verso stimoli diversi e capaci di fermare<br />

le idee deliranti. Se il malato non riuscisse a stare fermo, continuasse a chiedere<br />

di qualcuno che deve arrivare, bisognerebbe cercare di comprendere quali<br />

possano essere le cause, parlare con calma, rassicurarlo. Mi rendo perfettamente<br />

conto di quanto questi suggerimenti non siano sempre praticabili. Penso, per<br />

esempio, all’aggressività che si esprime con insulti, parolacce, bestemmie, pugni,<br />

graffi, morsi e che noi interpretiamo come una reazione difensiva verso qualcosa<br />

che è sentito dal malato come una minaccia, come quando si pretende che si lavi<br />

(anche se aiutato) o si vesta. Il caregiver dovrebbe essere in grado di ridurre al<br />

minimo le situazioni a rischio, sviare l'attenzione per prevenire l’aggressività ma<br />

se questa insorge proporre le cose con calma, cambiare l'interlocutore o<br />

aspettare un momento più propizio e non sgridare il malato. Tutto ciò non<br />

sempre riesce ed è questa una condizione di grande imbarazzo e di scelte molto<br />

radicali, come l’istituzionalizzazione.<br />

22<br />

Distrarre il malato<br />

in confusione<br />

Ambiente sicuro e<br />

attività manuali<br />

semplici e<br />

gratificanti<br />

Il delirio


Come si arriva all’istituzionalizzazione<br />

Tra le tante possibilità di intervento nei confronti del caregiver e della sua<br />

depressione dobbiamo citare quella che cerca di rompere il meccanismo che<br />

porta il caregiver a ritenersi perno centrale della cura del malato, a credere il<br />

proprio ruolo indispensabile e insostituibile. Il tempo della malattia è troppo<br />

lungo e tutti devono poter avere, almeno a un certo punto del cammino<br />

terapeutico, delle pause. Il malato deve avere più gestori e se questi non sono<br />

presenti nella famiglia allora è necessario trovarli fuori. Tra questi assumono un<br />

ruolo fondamentale i Servizi di Assistenza Domiciliare, i Centri Diurni, e forse in<br />

alcuni casi i Ricoveri di Sollievo. Una recensione da parte del gruppo “Cochrane<br />

Dementia and Cognitive Improvement Group” dei lavori presenti in letteratura<br />

ha portato alla conclusione – non definitiva perché gli studi sono pochi ed<br />

eterogenei – che le evidenze a disposizione non dimostrano alcun effetto<br />

benefico – ma neanche un effetto avverso – del ricorso ai Ricoveri di Sollievo sia<br />

per il malato che per il caregiver. Tuttavia gli autori sottolineano la necessità di<br />

affrontare il tema con una ricerca strutturata e scientificamente adeguata.<br />

Nell’attesa di queste evidenze scientifiche il caregiver vicino all’esaurimento<br />

di “energie” deve ricorrere all’aiuto esterno. Rivolgersi a una entità istituzionale<br />

(assistenti sociali) o ad una associazione di familiari non equivale a tentare di<br />

scaricare il malato, ma al contrario significa tentare nuove strategie, per<br />

consentire – se ancora possibile – la permanenza del malato nella sua casa.<br />

Il problema centrale delle demenze è il loro carattere “progressivo”: la<br />

malattia più o meno lentamente progredisce, le modalità di reazione - e in<br />

genere tutto il comportamento del malato – si modificano. Anche nei momenti di<br />

discussione dei gruppi di aiuto è difficile riuscire a trasmettere ciò che accade al<br />

malato. La perdita progressiva della memoria cancella le facce e gli ambienti. Il<br />

malato non riconosce più i familiari e il mondo che lo circonda, così il caregiver<br />

non riconosce nel malato la persona conosciuta; se non accetta che la causa di<br />

tutto questo è la malattia, si troverà a soffrire, perché privato del rapporto con il<br />

malato e di tutta la sua storia di affetti. In queste condizioni il tempo segna solo<br />

successive “perdite”: facce, ambienti, parole. Il malato necessita di cure sempre<br />

maggiori, le preoccupazioni per il caregiver aumentano, per la salute, per il<br />

23<br />

Il ricovero


tempo, per le spese, per gli aiuti ormai indispensabili. I deliri e le allucinazioni<br />

insieme a un vagabondare senza senso, l’aggressività – se non la vera e propria<br />

violenza, a volte assolutamente ingiustificato – rendono la vita così difficile che,<br />

dopo aver chiesto aiuto disperatamente al medico - “non ce la faccio più”, “lei<br />

mi deve aiutare”, “ci deve essere qualcosa da dargli perché si calmi” - dopo che<br />

le medicine non fanno più nulla, anche il migliore dei caregiver può convincersi<br />

che è giunto il momento dell’istituzionalizzazione, del ricovero in una struttura<br />

dove saranno altri a prendersi l’onere di assistere il malato in questa ultima parte<br />

del viaggio. È una decisione difficile e sofferta, vissuta dalla famiglia e dal<br />

caregiver come l’evento più significativo nel percorso di cura iniziato molti anni<br />

prima. È un evento traumatico nella storia relazionale con il malato. Il caregiver,<br />

improvvisamente privato del suo ruolo assistenziale, decisionale e di tutore,<br />

rischia di riaffacciarsi alla vita senza essere preparato: ennesima violenza con cui<br />

fare i conti, mentre perde il suo ruolo di primo attore nella gestione dei bisogni e<br />

nelle scelte per il malato. Da quel momento può solo accettare e condividere le<br />

decisioni prese da altri. Può allora credere che le persone che si prendono cura<br />

del malato non siano adeguate, che le cure che riceveva prima fossero migliori e<br />

questo rende conflittuale il rapporto tra lui e la nuova condizione del malato.<br />

Ovviamente possono essere sempre gli aiuti esterni che aiutano a modificare tali<br />

atteggiamenti, prima che il caregiver si immetta in un cammino di stress, di sensi<br />

di colpa sempre maggiori e di profonda depressione. Di nuovo il medico che ha<br />

seguito il malato potrebbe rappresentare l’“ancora”; potrebbe essere colui che<br />

chiarisce il problema, che delimita le responsabilità di questa operazione e che<br />

permette la “metabolizzazione del lutto”. Il medico potrebbe essere anche colui<br />

che aiuta il caregiver a non sviluppare una relazione conflittuale con il personale<br />

infermieristico e con il resto dell'équipe.<br />

L’istituzionalizzazione può invece costituire in altri casi una sorta di<br />

liberazione. Ricordo la frase “O lui – il malato – o me” come segno di un<br />

traguardo, di un limite che si è raggiunto, la necessità di recuperare lo spazio<br />

esterno alla casa che era diventato come una “tomba”. “Io sono ancora troppo<br />

giovane”: non contano l’età, ma la qualità e la quantità di tempo trascorso<br />

accanto a quella persona che ora è ancora più lontana con i suoi urli, le<br />

24


estemmie, o la identica parola e frase ripetuta all’infinito. Un dolore per<br />

l’impossibilità di modificare la situazione che rende la vita un inferno che “se non<br />

l’hai vissuto non lo puoi capire”. Allora viene il momento in cui chi può, chi ne ha<br />

autorità morale e culturale deve aiutare a far sì che il caregiver accetti la<br />

necessità della delega, accetti l’idea che la vita deve continuare e che la famiglia<br />

non è più il luogo in cui si possa gestire un malato tanto complesso e stressante.<br />

A questo punto, spero sia chiaro che, lungo il percorso della malattia e del<br />

caregiving, sono necessari uno o più operatori socio sanitari. È altrettanto<br />

indispensabile un luogo di ascolto per le famiglie, dove l’incontro possa sostituirsi<br />

alla solitudine, dove la persona che ascolta possa davvero comprendere i bisogni<br />

reali che non sempre trovano spazio nelle parole, ma in tutte quelle forme di<br />

comunicazione che gli esseri umani praticano anche inconsciamente. È un posto<br />

ancora da costruire, ma di cui, sono certo, molti sentono il bisogno. Il malato e il<br />

caregiver non hanno bisogno di giudizi in cui si espliciti la ragione o il torto di uno<br />

o dell’altro o chi fa bene e chi fa male, hanno bisogno di operatori qualificati in<br />

grado di valutare la situazione del malato e del caregiver, di comprendere i punti<br />

di forza e le criticità. Anche quando non si conoscono a fondo la storia e i vissuti<br />

dei partecipanti, si deve collaborare con loro per trovare possibili strategie che<br />

diano forza. Questo parlare e ascoltare, tentare di condividere, può essere<br />

fondamentale nelle fasi iniziali della malattia. Le persone sono molto più<br />

disorientate di quello che appaiono, hanno bisogno di un grande aiuto, non<br />

hanno esperienze o ricordi a cui attingere e devono quindi imparare. Spesso sono<br />

proprio le strategie di intervento inadeguate o sbagliate che rendono ancora più<br />

difficile la strada dell’assistenza: aiutare a modificare le strategie e a definire<br />

quelle più adeguate è quanto si potrebbe chiedere a un operatore che deve<br />

rimanere in prima linea dando suggerimenti in moltissimi ambiti, ad esempio<br />

come riorganizzare l’ambiente per renderlo idoneo alla condizioni del paziente,<br />

come gestire alcuni strumenti (telefono, televisione), come usufruire della rete<br />

dei servizi.<br />

Tutto questo è alla base di una corretta informazione che poi è quello che<br />

ormai, quasi sempre dopo i primi colloqui, ci chiedono le persone che entrano in<br />

contatto con noi. Adesso definiamo alcuni concetti sulle demenze. I caregiver<br />

25<br />

Luoghi di ascolto<br />

per le famiglie


devono infatti poter riconoscere i “segni” della malattia, identificare le cause dei<br />

comportamenti del malato, capire che cosa realmente accade nel cervello per<br />

poter meglio dominare l’insieme delle situazioni familiari. L’informazione e la<br />

conoscenza portano le persone a trovare meccanismi di difesa più funzionali,<br />

ottenendo così anche un discreto controllo delle emozioni. Sapere infatti che<br />

l’alternanza tra la lucidità e la confusione sono frutto della malattia e non di<br />

cattiveria o dispetto aiuta il caregiver a razionalizzare la situazione e a<br />

relazionarsi meglio col malato. Il caregiver impara così ad attribuire la<br />

responsabilità del gesto bizzarro alla malattia e non al malato evitando l’inutile<br />

rimprovero cui seguirebbe il senso di colpa.<br />

26


PARTE II<br />

Di seguito si riassumono le informazioni che la ricerca scientifica mette a disposizione sulla Malattia di<br />

<strong>Alzheimer</strong> e sulle altre le altre malattie che causano demenza.<br />

Le demenze e le malattie che ne sono la causa<br />

Se ci si domanda da dove debba mai cominciare l’informazione, direi che definire<br />

i termini potrebbe servire almeno a fare chiarezza.<br />

Per demenza s’intende la compromissione globale delle funzioni cerebrali<br />

superiori – ivi comprese la memoria, la capacità di far fronte alle richieste del<br />

vivere quotidiano e di svolgere le prestazioni percettive e motorie già acquisite in<br />

precedenza, di mantenere un comportamento sociale adeguato alle circostanze e<br />

di controllare le proprie reazioni emotive – in assenza di compromissione dello<br />

stato di vigilanza. Questa condizione diventa con il tempo tanto severa e<br />

invalidante che porta la persona ammalata a non essere più in grado di svolgere<br />

in maniera adeguata le attività tipiche del normale vivere – dal preparare il cibo<br />

ad avere cura della propria persona – e quindi altri devono prendersi cura di lei.<br />

La demenza quindi è un insieme di sintomi. Possiamo paragonare la demenza<br />

alla febbre: un rialzo della temperatura indica solo che una persona non è in<br />

piena salute, ma non dà nessuna informazione sulla causa del disturbo che ha<br />

generato la febbre. La demenza indica che lo stato della mente – del cognitivismo<br />

– di una persona è alterato, ma non dà alcuna informazione sulle cause che<br />

determinano tale disturbo. La demenza non è una malattia, ma è la<br />

presentazione clinica di una malattia che ne è alla base.<br />

Molte sono le malattie che possono causare la demenza; alcune reversibili<br />

come l’ipotiroidismo e alcune condizioni di mancanza di vitamine. L’ipotiroidismo<br />

– molto più presente nelle donne – si realizza con una marcata riduzione dei livelli<br />

ematici di triodotironina T3 e tiroxina T4 dovuta a differenti cause, nella<br />

maggioranza dei casi per un aumento dei livelli di TSH, ormone stimolante la<br />

tiroide. Mentre negli anni passati la condizione patologica era legata alla<br />

mancanza di iodio – assunto con gli alimenti – oggi il più delle volte è chiamato in<br />

27<br />

Cos’è la demenza<br />

L’ipotiroidismo


causa il trattamento medico degli stati di ipertiroidismo. In sintesi questa forma<br />

di demenza – dovuta al rallentamento dei processi metabolici in tutto il corpo e<br />

quindi anche nel cervello – è quella che si osserva nelle persone sui 40-50 anni<br />

che hanno il gozzo e un aspetto particolare: il volto inespressivo, di bassa statura<br />

e obese, insofferenti al freddo; inoltre, si riscontrano mancanza di forza,<br />

sonnolenza, rallentamento dell’eloquio, disturbi della memoria più o meno<br />

marcati. Questa particolare forma di demenza può ovviamente essere risolta se<br />

si accerta la causa: la riduzione degli ormoni tiroidei, i quali possono essere<br />

introdotti nell’organismo con una terapia sostitutiva.<br />

Purtroppo il più delle volte la demenza è dovuta a malattie degenerative del<br />

cervello. Queste malattie al momento non hanno una cura per cui si definiscono<br />

croniche e ingravescenti nel tempo. Sulla base di tale definizione – formulata nel<br />

1982 dal Royal College of Physicians, UK – sono state individuate diverse forme di<br />

demenza, suddivise in alcuni grandi gruppi.<br />

1. Il 15% circa è costituito dalle demenze cosiddette secondarie con<br />

cause infettive, metaboliche, psichiatriche o generate da processi<br />

espansivi endocranici o da idrocefalo normoteso.<br />

2. Un altro 15% circa è costituito dalle demenze vascolari, derivanti<br />

cioè da uno o più infarti cerebrali.<br />

3. Il 70% circa è quello relativo alle demenze degenerative primarie,<br />

causate da lesioni degenerative a carico di un numero rilevante di cellule<br />

in diverse aree cerebrali.<br />

In questo ultimo gruppo vi è la Malattia di <strong>Alzheimer</strong> (MA), che da sola<br />

costituisce circa il 60% di tutte le forme di demenza. Le altre forme degenerative<br />

comprendono diverse forme di degenerazione fronto-temporali, le demenze con<br />

“corpi di Lewy”, le demenze nella malattia di Parkinson, le demenze nella paralisi<br />

sopranucleare progressiva, le demenze nella degenerazione cortico-basale, le<br />

demenze nella malattia di Huntington, le demenze nelle malattie da prioni, rare e<br />

comunemente denominate “da mucca pazza”. È chiaro che anche se al momento<br />

attuale avere tutte queste classificazioni non ha grande importanza ai fini pratici,<br />

in quanto non si hanno a disposizione farmaci in grado di fermare o rallentare la<br />

malattia, quando – e si spera presto – i farmaci ci saranno, sarà sicuramente<br />

28<br />

Le malattie<br />

degenerative del<br />

cervello


della massima importanza conoscere in maniera sicura il processo patologico che<br />

conduce alla demenza; sembra infatti probabile che i farmaci saranno specifici<br />

per le singole forme morbose.<br />

Nuovi criteri diagnosti. Nell’Aprile 2011 è stato pubblicato un lavoro<br />

scientifico in cui si annuncia che dopo ben 27 anni l’aggiornamento dei criteri per<br />

la diagnosi clinica della malattia di <strong>Alzheimer</strong> che risalivano al 1984 (McKhann<br />

1984). 8 Da tempo molte delle persone addentro ai problemi delle demenze<br />

chiedevano una revisione dei criteri diagnostici in quanto le conoscenze che si<br />

erano accumulate negli anni esigevano una rinnovata capacità diagnostica. Un<br />

gruppo di esperti aveva avanzato, su di una prestigiosa rivista medica, una<br />

proposta perché era ormai chiaro che la malattia iniziava decine di anni prima<br />

della comparsa dei sintomi clinici (Dubois B., 2010). 9 In estrema sintesi si<br />

proponeva di abolire il concetto che vedeva la malattia di <strong>Alzheimer</strong> definita<br />

come una duplice entità clinico-patologica per cui la diagnosi necessitava di un<br />

cattivo funzionamento di almeno due diverse funzioni cognitive con<br />

compromissione delle attività della vita quotidiana (demenza) e di specifici<br />

cambiamenti neuropatologici, le matasse neurofibrillari, le placche senili, l’atrofia<br />

cerebrale e la perdita sinaptica; questo comportava la diagnosi a malattia<br />

conclamata e in stadi avanzati, impediva la diagnosi della malattia “in vivo”, che<br />

veniva quindi definita solo “probabile”.<br />

Dubois e colleghi proponevano invece di definire la Malattia di <strong>Alzheimer</strong><br />

solo sul piano clinico e sintomatologico (escludendo cioè quello<br />

anatomopatologico) e di includere sia la fase di predemenza che quella di<br />

demenza, questo grazie anche alla possibilità di utilizzare dei marcatori biologici<br />

8<br />

McKhann GM., Knopman DS., Chertkow H., Hyman BT., Jack CR. Jr., Kawas CH., Klunk WE.,<br />

Koroschetz WJ., Manly JJ., Mayeux R., Mohs RC., Morris JC., Rossor MN., Scheltens P., Carillo MC.,<br />

Thies B., Weintraub S., Phelps CH., The diagnosis of dementia due to <strong>Alzheimer</strong>’s disease.<br />

Recommendations from the Natinal Institute on Aging e The <strong>Alzheimer</strong>’s Association workgroup.<br />

<strong>Alzheimer</strong>s Dement, 20 Aprile 2011. Epub ahead of print; McKhann GM. et al., Clinical diagnosis<br />

of <strong>Alzheimer</strong>’s disease: report of the NINCDS-ADRDA Work Group under the auspices of<br />

Department of Health and Human Services Task Force on <strong>Alzheimer</strong>’Disease, in Neurology, n. 34,<br />

pp. 939-944, 1984.<br />

9<br />

Dubois B., H. H. Feldman, C. Jacova, J.L. Cummings, S.T. DeKosky, P. Barberger-Gateau, A.<br />

Delacourte, G. Frisoni, N.C. Fox, D. Galasko, S. Gauthier, H. Hampel, G.A. Jicha, K. Meguro, J.<br />

O’Brien, Florence Pasquier, P. Robert, M. Rossor, S. Salloway, M. Sarazin, L.C. de Souza, Y. Stern,<br />

P.J. Visser, P. Scheltens., Revising the definition of <strong>Alzheimer</strong>’s disease: a new lexicon, in Lancet<br />

Neurol, n. 9, pp. 1118–1127, 2010.<br />

29<br />

L’aggiornamento dei<br />

criteri per la diagnosi<br />

clinica


che permettono la diagnosi in vivo (se ovviamente sono presenti i disturbi<br />

cognitivi). I marcatori biologici ritenuti più validi sono: i livelli nel liquido cefalo<br />

rachidiano di beta amiloide, di proteina tau totale e della sua frazione fosforilata;<br />

la presenza di depositi cerebrali di beta amiloide evidenziati da specifici traccianti<br />

con l’esame PET; l’atrofia del lobo temporale mediale evidenziato con la<br />

risonanza magnetica; ipometabolismo temporale e/o parietale evidenziato con il<br />

tracciante PET fluorodesossiglucosio. Inoltre avanzavano la possibilità di<br />

considerare una fase preclinica e/o prodromica oltre alla condizione di malattia di<br />

<strong>Alzheimer</strong> manifesta. Infine fu proposto di tenere in considerazione la condizione<br />

di decadimento cognitivo tale da non presentare ancora l’impedimento alle<br />

attività della vita quotidiana – Mild Cognitive Impairment, MCI, decadimento<br />

cognitivo lieve – caratterizzata essenzialmente da un disturbo di memoria isolato<br />

con alto rischio di eventi avversi, la progressione in demenza e mortalità. Si stima<br />

che fra il 30 e il 70% degli ultra75enni ne sia affetta. Il disturbo cognitivo lieve è<br />

una delle condizioni che pone i soggetti a maggior rischio di sviluppare demenza.<br />

Clinicamente i disturbi cognitivi lievi presentano aspetti cognitivi al limite tra<br />

l’invecchiamento normale e la compromissione di tipo <strong>Alzheimer</strong>.<br />

La Malattia di <strong>Alzheimer</strong><br />

La condizione sociale. Nei paesi sviluppati una speranza di vita elevata ha<br />

sempre rappresentato un obiettivo fondamentale, progressivamente conquistato<br />

grazie sia al miglioramento delle condizioni di vita – alimentazione, igiene,<br />

ambienti di lavoro – sia alla possibilità di accedere a presidi sanitari di qualità a<br />

partire dall'infanzia. Questo ha reso possibile il raggiungimento di un'età<br />

avanzata da parte di una considerevole quota di popolazione. Negli ultimi venti<br />

anni si è verificata una nuova realtà. A determinare l’allungamento<br />

dell’aspettativa di vita sono, almeno nei paesi a economia avanzata, le decadi più<br />

anziane. Per questo, il progressivo invecchiamento della popolazione ha portato<br />

a una incidenza sempre maggiore di malattie degenerative, cerebrali e non. Oggi,<br />

l'obiettivo non può più essere solo quello di conquistare altri anni di vita, ma<br />

anche quello di consentire che gli anni guadagnati siano vissuti in maniera<br />

dignitosa e proficua.<br />

30<br />

L’aumento della<br />

vita media


Una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista “Lancet” ci dà un quadro<br />

aggiornato del problema (Jagger C., 2008). 10 Gli autori puntano l’attenzione sulle<br />

differenze nell’aspettativa di vita in salute (AVS) tra le 25 nazioni europee. Il<br />

divario constatato è impressionante: l’AVS per gli ultracinquantenni maschi<br />

danesi è di 23,6 anni mentre per gli estoni di 9,1 anni. L’Italia si colloca tra i primi<br />

posti. Per i maschi italiani l'aspettativa di vita è di 80,4 anni, e l’AVS è, dopo i 50<br />

anni, di 20.6 anni; per le donne l'aspettativa di vita è di 85,3 anni e l’AVS, dopo i<br />

50, di 20,86 anni.<br />

Tornando allo specifico dell’<strong>Alzheimer</strong> nel nostro paese, i dati più recenti<br />

parlano di circa 1 milione di persone con MA – circa 30-40.000 già accertati in<br />

<strong>Liguria</strong>, regione in cui la presenza di ultrasessantacinquenni è decisamente<br />

superiore alla media nazionale – e la sua prevalenza può essere stimata in circa il<br />

3% delle persone – maschi e femmine – di età compresa tra i 65 ed I 75 anni. La<br />

percentuale delle persone colpite dalla MA sale a circa il 50% se si considerano<br />

coloro che hanno più di 85 anni d’età (The Italian Longitudinal Study on Aging.,<br />

1997). 11 I dati previsionali informano di un forte ridimensionamento delle classi<br />

d’età adulte, ovvero quelle proprie dei potenziali caregivers, con conseguente<br />

necessità di prefigurare anche possibili figure alternative con le quali poter<br />

almeno condividere il carico assistenziale. Il problema, già oggi molto grave, si<br />

presenta quindi come esplosivo per i prossimi decenni – si presumono 115<br />

milioni di malati nel mondo nel 2050 – e richiede la progettazione di interventi<br />

mirati non solo alla cura in senso stretto, bensì anche al sostegno delle reti<br />

informali che erogano assistenza.<br />

La malattia di <strong>Alzheimer</strong> è sicuramente quella che occupa il primo posto tra<br />

tutte le possibili cause di demenza e rappresenta fino al 60% di tutte le forme di<br />

malattie con demenza.<br />

Il Dott. Alois <strong>Alzheimer</strong>. La malattia deve il nome al medico Alois <strong>Alzheimer</strong>,<br />

figlio del notaio Eduard, nato il 14 giugno 1864 nella piccola città bavarese di<br />

10<br />

Jagger C., Gillies C., Moscone F., Cambois E., Van Oyen H., Nusselder W., Robine J-M and the<br />

EHLEIS team, Inequalities in healthy life years in the 25 countries of the European Union in 2005:<br />

a cross-national meta-regression. Analysis, in Lancet, n.372, pp. 2124–2131, 2008.<br />

11<br />

The Italian Longitudinal Study on Aging. Prevalence of chronic disease in older Italians:<br />

comparing self-reported and clinical diagnoses., in Int J Epidemiol, n. 26, pp. 995-1002, 1997.<br />

31<br />

L’aspettativa di vita<br />

in salute<br />

La scoperta di<br />

<strong>Alzheimer</strong>


Marktbreit. Alois frequentò diverse Università, Aschaffenburg, Tübingen, Berlino,<br />

e Würzburg, dove nel 1887 ottenne la Laurea in Medicina e nello stesso anno<br />

discusse la tesi del suo dottorato: "Über die Ohrenschemalzdrnsen" (trad. “Sulle<br />

ghiandole ceruminose”), frutto del lavoro sperimentale condotto presso il<br />

laboratorio del massimo istologo dell'epoca, Rudolf Albert von Kölliker. L'anno<br />

successivo iniziò a lavorare presso Städtischen Heilanstalt für Irre und<br />

Epileptische di Francoforte sul Meno, luogo gestito dallo stato dove erano<br />

ricoverate persone con malattie mentali. Qui iniziò a studiare la psichiatria<br />

dedicandosi a quello che sarebbe poi stato il suo massimo interesse, la<br />

neuropatologia. Fondamentale l’incontro con il celebre neurologo Franz Nissl,<br />

trasferito presso lo stesso istituto. I due, insieme, si dedicarono allo studio del<br />

sistema nervoso, in particolare all'anatomia patologica della corteccia cerebrale<br />

e diedero alle stampe il prodotto della loro ricerca, il monumentale<br />

"Histologische und histopatologische Arbeiten über die Grosshirnrinde" (trad.<br />

“Studi patologici e istopatologici della corteccia cerebrale”).<br />

Nissl si trasferì poi a Heidelberg e <strong>Alzheimer</strong> fu nominato direttore della<br />

Clinica Psichiatrica. Qui rimase fino al 1895 quando Emil Kraepelin – luminare<br />

della psichiatria noto per il suo tentativo di classificare tutte le forme di malattia<br />

mentale conosciute al tempo – lo chiamò a Heidelberg, dove lavorò ancora con<br />

Nissl.<br />

Nel 1903 Kraepelin e <strong>Alzheimer</strong> si trasferirono a Monaco, nella clinica<br />

psichiatrica universitaria. Qui <strong>Alzheimer</strong>, nel novembre del 1906, descrisse "una<br />

rara malattia della corteccia cerebrale", basandosi sugli studi effettuati su una<br />

donna morta a 51 anni nella clinica di Monaco, Auguste D. Della donna si<br />

conserva ancora oggi la cartella clinica e una fotografia scattata durante il<br />

ricovero. La signora Auguste era stata portata all’osservazione del Dott.<br />

<strong>Alzheimer</strong> perché presentava gravi turbe cognitive; il sintomo principale, oltre a<br />

perdita della memoria e a confusione, era, in quelle prime fasi di malattia, un<br />

delirio di gelosia nei confronti del marito. In seguito si definì il corteo<br />

sintomatologico più tipico della malattia che oggi ben conosciamo –<br />

disorientamento spazio temporale e difficoltà nella lettura e scrittura – e alla<br />

morte della paziente venne concessa l’autorizzazione a eseguire l’autopsia.<br />

32


L’esame istopatologico mise in evidenza una corteccia cerebrale più sottile del<br />

normale – corteccia atrofica – con presenza di alcune alterazioni peculiari: la<br />

prima era una formazione - “placca senile” - già osservata nei cervelli di altre<br />

persone anziane e la seconda una matassa neuro fibrillare all’interno di neuroni<br />

morti. Questa alterazione corticale, mai descritta prima, permise di capire che ci<br />

si trovava di fronte a una nuova condizione patologica che Kraepelin chiamò<br />

“Morbo di <strong>Alzheimer</strong>” nell’edizione del suo “Manuale di Psichiatria” del 1910.<br />

Nel 1910 <strong>Alzheimer</strong> fondò la Rivista generale di neurologia e psichiatria insieme<br />

al neurologo Max Lewandowsky e nel 1912 l'imperatore Guglielmo II gli offrì<br />

l’incarico di professore ordinario di psichiatria presso la Clinica Psichiatrica e<br />

Neurologica dell’Università Federico Guglielmo a Breslavia (oggi in Polonia). In<br />

quell’anno durante un viaggio in treno <strong>Alzheimer</strong> si ammalò. Morì, a soli 51 anni,<br />

nel dicembre del 1915, anno in cui stava preparando le nozze della figlia con il<br />

suo grande amico, il Dott. G. Strerz.<br />

Il cervello malato. Oggi sappiamo che il cervello delle persone con MA<br />

contiene delle formazioni proteiche – le placche di beta-amiloide e le matasse<br />

neurofibrillari – che all’inizio della malattia sono concentrate in regioni del<br />

cervello che giocano un ruolo chiave nei processi di memorizzazione: le strutture<br />

ippocampali e para ippocampali site nella parte più interna o mediale di entrambi<br />

i lobi temporali. Con l’avanzare della malattia l’intero cervello viene coinvolto.<br />

Anche se è noto che molte persone in età avanzata possono presentare<br />

placche di beta-amiloide del tutto simili a quelle trovate nei malati dementi, la<br />

quantità delle placche è molto maggiore nei malati di <strong>Alzheimer</strong>. Da alcuni anni si<br />

conosce la composizione delle placche, come si formano e un loro possibile ruolo<br />

nella genesi della malattia. Le placche sono costituite da frammenti extracellulari<br />

di un peptide beta-amiloide che derivano dalla demolizione di una proteina di<br />

membrana, l’Amiloid Precursor Protein (APP), la proteina precursore<br />

dell’amiloide. La demolizione avviene ad opera di alcuni enzimi (l’enzima è una<br />

proteina che permette e/o facilita i processi biochimici che si svolgono all’interno<br />

e/o all’esterno del neurone), e precisamente la beta e la gamma secretasi.<br />

Avviene così il troncamento dell’APP, di cui una parte, la beta-amiloide, viene<br />

33<br />

Le placche di betaamiloide


lasciata libera, fuori dalla membrana cellulare. La beta-amiloide compattandosi<br />

con altre molecole e con i neuroni e le cellule gliali, forma le note placche di<br />

<strong>Alzheimer</strong> (Schettini G., 2010). 12<br />

Le matasse neuro fibrillari sono un’altra formazione tipica della malattia.<br />

Normalmente i neuroni sono costituiti da uno scheletro interno di supporto, che<br />

in parte è formato da strutture chiamate microtubuli, subunità stabilizzate di una<br />

proteina definita tau. Nella malattia di <strong>Alzheimer</strong> avviene una modificazione di<br />

questa proteina– in linguaggio chimico si dice che la tau è iperfosforilata – dando<br />

origine alla fusione delle diverse proteine tau. A lungo andare il processo provoca<br />

anche un cambiamento della struttura dei neuroni che si aggroviglia e porta a<br />

morte le cellule. Ovviamente la malattia di <strong>Alzheimer</strong> non è la sola patologia in<br />

cui tali proteine si trovano alterate.<br />

Di particolare interesse è però la relazione temporale tra queste alterazioni<br />

cerebrali e la comparsa della sintomatologia dementigena. Infatti, prima che i<br />

disturbi cognitivi diventino chiari,tanto da essere riconosciuti dalle persone che<br />

normalmente circondano il malato, devono trascorrere alcune decine di anni, tra<br />

40 e 50. Un recente studio condotto sui cervelli di 42 individui di età compresa tra<br />

i 4 ed i 29 anni ha rilevato in circa la metà dei casi alterazioni che daranno origine<br />

alle matasse neuro fibrillari in strutture cerebrali sotto corticali. La ricerca<br />

suggerirebbe che queste modificazioni cerebrali potrebbero avere origine<br />

addirittura nella fase preadolescenziale della nostra vita (Braack, Del Tredici,<br />

2011). 13<br />

L’altra grande modificazione dei cervelli dei malati di MA che si riscontra<br />

all’autopsia è l’atrofia cerebrale: perdita consistente di cellule – neuroni e glia – e<br />

dei loro collegamenti. Le aree più colpite sono generalmente la parte anteriore<br />

del lobo temporale, le sue componenti più profonde o mesiali (in special modo<br />

l’ippocampo), come pure il lobo frontale e quello parietale. Molte altre strutture<br />

sono generalmente interessate dall'atrofia come le aree limbiche. Queste aree<br />

definite anche come “sistema limbico” (anche se non tutti i ricercatori nel settore<br />

12<br />

Schettini G., Govoni S., Racchi M., Rodriguez G., Phosphorylation of APP-CTF-AICD domains and<br />

interaction with adaptor proteins: signal transduction and/or transcriptional role-relevance for<br />

<strong>Alzheimer</strong> pathology, in J.Neurochem, n. 115, pp. 1299–1308, 2010.<br />

13<br />

Braak H., Del Tredici K., The pathological process underlying <strong>Alzheimer</strong>’s disease in individuals<br />

under thirty, in Acta Neuropathol, n. 121 , pp. 171–181, 2011.<br />

34<br />

Le matasse<br />

neurofibrillari<br />

L’atrofia cerebrale


delle neuroscienze si trovano d’accordo sul termine “sistema”) comprendono una<br />

serie di strutture cerebrali che includono l'ippocampo, l'amigdala, i nuclei talamici<br />

anteriori e la corteccia limbica (giro del cingolo, corteccia olfattoria e entorinale<br />

ed altre strutture tra cui, per alcuni, possono includersi anche le aree frontali<br />

sovra orbitali) che supportano svariate funzioni psichiche come emotività,<br />

comportamento, memoria a lungo termine e olfatto (Braak H., Braak E., 1991). 14<br />

Il sistema limbico influenza anche il sistema endocrino e il sistema nervoso<br />

autonomo è connesso con il nucleus accumbes – la degenerazione di questi<br />

circuiti è stata associata all'insorgere di sindromi schizofreniche – e riceve una<br />

importante afferenza dopaminergica da parte della via mesolimbica. Uno dei<br />

centri principali di questo sistema è proprio il nucleus accumbens che insieme al<br />

sistema limbico sembra coinvolto nei meccanismi di ricompensa e punizione.<br />

Infine, come su accennato, si ricordano le importanti connessioni con la corteccia<br />

prefrontale che sono parte di un sistema decisionale più di tipo emozionale che<br />

razionale anche secondo le ipotesi suggerite da alcuni ricercatori tra cui Antonio<br />

Damasio (Damasio, 2000). 15<br />

Altra area ritrovata atrofica è il nucleo basale di Meynert (Whitehouse PJ.,<br />

1981). 16 Questa struttura è importante perché sede di neuroni che utilizzano<br />

come neurotrasmettitore l’acetilcolina, uno dei trasmettitori cerebrali di tipo<br />

attivante, e per le numerose connessioni con aree cerebrali attive in moltissimi<br />

processi cognitivi quali quelli mnesici (ippocampo). Nel cervello dei malati di MA è<br />

stata trovata un’importante riduzione di acetilconina (nei malati l’attività<br />

corticale acetilcolinergica è ridotta di circa il 60-70%) e anche su questa<br />

osservazione si basa il trattamento con inibitori delle acetil colinesterasi – gli<br />

enzimi che catabolizzano l’acetilcolina – praticato nella MA e di cui parleremo in<br />

seguito.<br />

La degenerazione sinaptica è tipica della MA. L’autopsia rivela una<br />

diminuzione del numero di sinapsi una carenza di sostanze proteiche presenti<br />

14<br />

Braak H., Braak E., Neuropathological stageing of <strong>Alzheimer</strong>-related changes, in Acta<br />

Neuropathol, n. 82, pp. 239–259, 1991.<br />

15<br />

Antonio R. Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi, 2000.<br />

16<br />

Whitehouse PJ., Prince DL., Clark AW., Coyle JT., DeLong M., <strong>Alzheimer</strong> disease: Evidence for<br />

selective loss of cholinergic neurons in the nucleus basalis, in Annals of Neurology, n. 10, pp. 122–<br />

126, 1981.<br />

35<br />

La diminuzione<br />

delle sinapsi


nelle sinapsi di cellule sane. La degenerazione ha una buona correlazione con il<br />

decorso e l'entità della malattia. I sintomi della demenza potrebbero dunque<br />

essere interpretati come conseguenza del deficit sinaptico, in quanto i neuroni<br />

hanno difficoltà a comunicare.<br />

Ovviamente la domanda che tutti ci poniamo è perché mai si formino sia le<br />

placche che le matasse fibrillari. Purtroppo la risposta non è ancora stata data e<br />

questo condiziona anche la ricerca farmaceutica.<br />

Tra le ipotesi formulate una riguarda la possibilità che alla base della<br />

malattia ci sia un’alterazione genetica. Contro questa ipotesi, anche se solo<br />

parzialmente, è il dato che solo circa il 5-10% dei casi di MA è di tipo ereditario:<br />

in questi casi, la malattia è definita “familiare” perché più persone della stessa<br />

famiglia sono colpite dalla malattia che ha insorgenza molto più precoce di<br />

quanto avvenga nella forma sporadica (tra i 35 ed i 50 anni).<br />

Tra le alterazioni genetiche ricordiamo quella del gene della proteina<br />

amiloide (APP), localizzato sul cromosoma 21 che presenta mutazioni molto rare,<br />

circa 43 famiglie finora identificate nel mondo; quella del gene della presenilina 1<br />

(PS1) localizzato sul cromosoma 14 con oltre 125 diverse mutazioni finora<br />

identificate in malati appartenenti a 254 famiglie, in tutto il mondo. Queste<br />

mutazioni – le preseniline sono proteine che hanno la funzione di tagliare la<br />

proteina amiloide e per questo l'ipotesi è che il loro alterato funzionamento<br />

potrebbe portare all’accumulo di proteina amiloide – rappresentano la causa più<br />

comune delle forme di <strong>Alzheimer</strong> familiare a esordio precoce (tra i 28 ed i 60<br />

anni). La mutazione del gene della presenilina 2 (PS2), localizzato sul cromosoma<br />

1, è stata identificata solo in 6 casi in pazienti appartenenti a famiglie americane<br />

originarie dell’Europa dell'Est e in 2 famiglie italiane; in queste famiglie l’età di<br />

esordio può essere precoce (30 anni) ma anche molto tardivo (oltre 80).<br />

Si è trovata una mutazione genetica anche a carico del cromosoma 21 –<br />

responsabile della formazione della proteina precursore dell'amiloide – e del<br />

cromosoma 14. La variante genetica del gene 19 - denominata ApoE-e4 – è<br />

presente nel 15% della popolazione sana ma nel 50% della popolazione affetta da<br />

MA. Tale variante è stata pertanto considerata un fattore genetico di rischio.<br />

36<br />

Le alterazioni<br />

genetiche<br />

La proteina<br />

amiloide<br />

I cromosomi 21, 14<br />

e il gene 19


Una ricerca del 2005 mette in luce che i frammenti 151 e 421 della proteina<br />

tau sono in grado di portare a morte i neuroni ippocampali, che sappiamo essere<br />

una della zone chiave della MA. Più recentemente in un modello animale di MA si<br />

è trovato che alla comparsa dei primi sintomi della malattia, nell'ippocampo<br />

compariva un eccesso della proteina caspasi-3, che comportava il<br />

deterioramento delle sinapsi e quindi della memoria (D'Amelio M., 2011). 17 Infine<br />

gli studi epidemiologici hanno messo in luce un rischio di circa 3-4 volte maggiore<br />

di sviluppare la MA in persone che abbiano i genitori – uno o entrambi – malati;<br />

la malattia inoltre presenta anche un decorso più rapido.<br />

A fronte di tali condizioni è bene conoscere in dettaglio il senso generale di<br />

ereditarietà. Tutte le informazioni che servono alle cellule dell’organismo umano<br />

per svolgere i compiti loro assegnati sono immagazzinate nel DNA in una<br />

proteina del nucleo cellulare, suddivisa in strutture, chiamate cromosomi,<br />

ereditate dai genitori, metà da parte materna e metà da parte del padre. Nel<br />

DNA le informazioni sono organizzate a blocchi, cosiddetti “geni”, ognuno dei<br />

quali codifica determinate azioni. Quando per una qualsiasi ragione, i geni si<br />

modificano – le cosiddette mutazioni – l'azione di cui è responsabile il gene non<br />

avverrà più nella forma in cui era in precedenza codificata: il nuovo prodotto<br />

genico potrà portare sia a miglioramenti – la chiave di volta per spiegare<br />

l’evoluzione della specie umana e di tutte le creature della terra – ma anche a<br />

problemi che si possono esprimere in anomalie o patologie e quindi alterazioni<br />

patologiche che verranno dette ereditarie. Quindi, malattie ereditarie o genetiche<br />

sono quelle anomalie di strutture o funzioni presenti dalla nascita che derivano<br />

da un errore generato in un singolo gene oppure da anomalie strutturali dei<br />

cromosomi. Alcune malattie genetiche danno segni visibili alla nascita. Tali<br />

patologie possono derivare da mutazioni di un singolo gene o da anomalie a<br />

carico dei cromosomi.<br />

17 D'Amelio M. ,Cavallucci V., Middei S., Marchetti C., Pacioni S., Ferri A., Diamantini A., De Zio D.,<br />

Carrara P., Battistini L., Moreno S., Bacci A., Ammassari-Teule M., Marie H., Cecconi F., Caspase-3<br />

triggers early synaptic dysfunction in a mouse model of <strong>Alzheimer</strong>'s disease, in Nat Neurosci, n.<br />

14, pp. 69-76, 2011.<br />

37<br />

La proteina caspasi-<br />

3


Le forme più comuni della MA – quelle sporadiche, non legate direttamente<br />

alla ereditarietà – sono la maggioranza (circa il 75% dei casi), non colpiscono i<br />

parenti del malato e come già detto non sono certe le cause.<br />

Per spiegare la MA, tra le altre ipotesi avanzate, ma con pochi chiari indizi a<br />

suo favore ricordo quella virale. Si è pensato che possano influire negativamente<br />

a livello cerebrale gli alti livelli di alluminio trovati nel cervello di persone con<br />

MA. Infatti, sali di alluminio posti direttamente sulla corteccia cerebrale di<br />

animali da esperimento producono matasse neurofibrillari, ma non vi sono prove<br />

dirette che la MA possa essere causata da una forma di intossicazione da<br />

alluminio. Anche il sistema immunitario è stato chiamato in causa potendo<br />

l'organismo produrre anticorpi che attaccano selettivamente i neuroni per<br />

l'acetilcolina, come pure la Barriera Emato Encefalica, struttura che serve a<br />

separare nel cervello i neuroni dal circolo ematico. Secondo questa ipotesi, una<br />

mutata permeabilità della barriera ematoencefalica permetterebbe a sostanze<br />

tossiche di entrare nel cervello e di attaccare i neuroni. Nessuno può attualmente<br />

escludere che due o più di queste ipotesi combinate costituiscano la patogenesi<br />

del morbo di <strong>Alzheimer</strong> (Reitz C., 2011). 18<br />

La diagnosi. Per molto tempo si è ritenuto corretto ritenere che la diagnosi di<br />

MA richiedesse, oltre a tutta la parte clinica sintomatologica, anche la conferma<br />

autoptica delle tipiche alterazioni cerebrali. Essendo queste rilevabili solo dopo la<br />

morte del malato, si comprende che in vita il medico poteva fare solo una<br />

diagnosi di “probabile” MA. Da alcuni anni, però, da parte di molti gruppi di<br />

ricerca si è posto l’accento sulla necessità di superare questa diagnosi e di<br />

accettare nuovi criteri. Molto recentemente queste idee sono state oggetto di<br />

pubblicazioni di prestigiose riviste internazionali, spero che presto anche la<br />

medicina di base possa far proprie queste nuove posizioni.<br />

La novità è che negli ultimi anni si è fatta luce, dopo una serie di osservazioni<br />

strumentali, sulla presenza nei malati ma anche in persone che hanno sviluppato<br />

la MA di quadri particolari e in parte specifici di MA. Tra queste i radiofarmaci<br />

18 Reitz C., Brayne C. Mayeux R., Epidemiology of <strong>Alzheimer</strong> disease, in Nature<br />

Reviews/Neurology, n. 7, pp. 137-152, 2011.<br />

38<br />

La causa virale<br />

LA DIAGNOSI<br />

PET


che sono in grado di legarsi alla proteina beta-amiloide e quindi di rendere visibile<br />

la deposizione di beta-amiloide cerebrale utilizzando un’apparecchiatura, la PET<br />

(tomografia ad emissione di positroni). Queste “neuroimmagini” sono molto<br />

importanti non solo perché permettono di evidenziare nei malati la deposizione di<br />

beta-amiloide, ma anche di mostrarla nei cervelli di persone che sono ad alto<br />

rischio di sviluppare la MA ma non presentano ancora il tipico corteo<br />

sintomatologico dei disturbi cognitivi. Così molti ricercatori ritengono di poter<br />

attribuire questi quadri ad una fase pre clinica della malattia di <strong>Alzheimer</strong>. Con la<br />

PET è inoltre possibile evidenziare, grazie ad un tracciante radioattivo – il desossi-<br />

fluoro-glucosio che viene intrappolato nelle cellule cerebrali normalmente<br />

funzionanti – un’alterazione del metabolismo cerebrale nelle regioni parietali<br />

posteriori del cervello nei malati di MA. Anche con questo tipo di esame è<br />

possibile evidenziare delle alterazioni anni prima dello sviluppo dei sintomi.<br />

Ancora è possibile con la Risonanza Magnetica strutturale cerebrale pesare la<br />

perdita del tessuto cerebrale a causa dell’atrofia e in particolare valutare il<br />

volume di una regione molto importante nella genesi della malattia, l’ippocampo.<br />

Alcuni gruppi di ricerca hanno elaborato dei sistemi automatici per la “pesatura”<br />

dell’ippocampo e si può quindi sperare che, quando questi sistemi saranno<br />

definitivamente accettati dalla comunità scientifica, sarà possibile disporre di uno<br />

strumento accessibile a tutti in grado di definire il rischio potenziale di sviluppare<br />

la MA (Chincarini, 2010). 19<br />

Infine molto indicativi di MA sono anche i rapporti tra la concentrazione di<br />

beta amiloide – variante Abeta42 – e di tau, la proteina indicatore di danno<br />

citoscheletrico neuronale. Gli anziani sani hanno livelli elevati di Abeta42 e bassi<br />

di tau nel liquor, mentre nelle fasi anche molto iniziali di malattia di <strong>Alzheimer</strong> il<br />

rapporto è invertito (bassi livelli di Abeta42 e alti di tau). Ricordo anche che, sia<br />

per le forme familiari che per quelle sporadiche, è stato introdotto anche un<br />

esame genetico per un particolare allele – l’allele 4 – del gene della<br />

Apolipoproteina E (APOE4). L’APOE è una proteina che si lega alla proteina<br />

19<br />

Chincarini A., Corosu M., Gemme GL., Calvini P., Monge R., Penco MA., Rei L., Squarcia S.,<br />

Boccacci P., Rodriguez G., Automatic Morphological Analysis of Medial Temporal Lobe The Open<br />

Nuclear, in Medicine Journal, n. 2, pp. 31-39, 2010.<br />

39<br />

Il rapporto tra betaamiloide<br />

e tau<br />

L’esame dell’allele 4<br />

e della<br />

apolipoproteina


amiloide e diversi studi hanno mostrato che l’allele 4 è più frequente nelle<br />

persone affette da MA rispetto a quelle sane (Reitz C., 2011). 20<br />

Da quanto detto appare evidente come fossero maturi i tempi per modificare<br />

finalmente i criteri diagnosti della Malattia di <strong>Alzheimer</strong>. Nell’Aprile del 2011<br />

sono stati pubblicati i nuovi criteri di diagnosi che sostituiscono quelli del 1984<br />

che, ovviamente, riflettevano le scarse conoscenze del momento e che davano<br />

alla malattia una singola fase, quella della demenza, e che basavano la diagnosi<br />

solo sui criteri clinici. Si assumeva così che le persone senza demenza fossero<br />

anche non malate di <strong>Alzheimer</strong>; diagnosi confermata all’esame autoptico. Da<br />

allora si è ormai accertato che la malattia di <strong>Alzheimer</strong> può causare danni al<br />

cervello decine di anni prima dalla comparsa dei sintomi e che i sintomi non<br />

sempre sono strettamente correlati ai danni che l’<strong>Alzheimer</strong> causa al cervello.<br />

Inoltre, sembra ormai appurato che i depositi di amiloide cominciano presto,<br />

durante il percorso della malattia, ma la formazione delle matasse neuro fibrillari<br />

e la perdita dei neuroni avviene più tardi e addirittura possono accelerare proprio<br />

nel periodo che precede la comparsa dei tipici sintomi.<br />

I nuovi criteri diagnostici per la malattia di <strong>Alzheimer</strong> proposti coprono tre<br />

distinte fasi della malattia (Jack CR., 2011). 21<br />

1- Preclinica. La fase preclinica, per la quale le linee guida si applicano solo in<br />

un ambiente di ricerca, descrive una fase in cui le modificazioni del<br />

cervello – la formazione delle placche di amiloide e degli altri precoci<br />

cambiamenti a carico delle cellule nervose – potrebbe essere già in<br />

corso. In questa fase, non sono ancora evidenti significativi sintomi<br />

clinici. In alcune persone, l'accumulo di amiloide può essere rilevato<br />

grazie alla tomografia a emissione di positroni (PET) e all’analisi del<br />

liquido cefalo rachidiano, ma a tutt’oggi per queste persone non si sa<br />

quale sia il vero rischio di una progressione verso la demenza di<br />

<strong>Alzheimer</strong>. Tuttavia, al momento, l'uso delle indagini di imaging<br />

20<br />

Ibidem.<br />

21<br />

Jack CR. Jr, Albert M., Knopman DS., McKhann GM., Sperling RA., Carrillo MC., Thies B., Phelps<br />

CH., Introduction to revised criteria for the diagnosis of <strong>Alzheimer</strong>’s disease. National Institute on<br />

Aging and the <strong>Alzheimer</strong>’s Association workgroup. <strong>Alzheimer</strong>s Dement, 20 aprile 2011, Epub<br />

ahead of print.<br />

40<br />

NUOVI CRITERI PER<br />

LA DIAGNOSI<br />

CLINICA<br />

Le tre fasi stabilite<br />

dai nuovi criteri<br />

diagnosti


cerebrale e di ricerca di biomarcatori sono consigliati solo a scopo di<br />

ricerca. Questi biomarcatori sono ancora in una fase di sviluppo e non<br />

ancora standardizzati per cui non sono ancora adottabili nella pratica<br />

clinica routinaria.<br />

2- Disturbo cognitivo lieve (MCI). Anche le linee guida per la fase del MCI<br />

sono in gran parte per la ricerca, anche se chiariscono quelle già esistenti<br />

per MCI da utilizzare in ambienti di clinica routinaria. La fase del MCI è<br />

caratterizzata da sintomi che si riferiscono a difficoltà di memoria, tali da<br />

essere notati e pesati con opportuni test neuropsicologici, che non non<br />

compromettono l'indipendenza di una persona. Le persone con MCI<br />

possono o no progredire verso la demenza di <strong>Alzheimer</strong>. La ricerca, in<br />

questa fase, dovrebbe concentrarsi in particolare sulla standardizzazione<br />

dei biomarcatori per l’amiloide e per gli altri possibili marcatori di danno<br />

cerebrale. Attualmente, i biomarcatori includono: elevati livelli di<br />

proteina tau e diminuzione dei livelli di beta-amiloide nel liquido<br />

cerebrospinale; ridotta captazione del glucosio nel cervello, come si<br />

evidenzia con l’esame PET, e l'atrofia di certe aree del cervello, come si è<br />

visto con la risonanza magnetica strutturale (MRI). Questi test saranno<br />

utilizzati principalmente in ambito di ricerca, ma potrebbero anche<br />

essere applicati in ambienti clinici specializzati per la diagnostica delle<br />

malattie che portano alla demenza, allo scopo di dare maggior valore ai<br />

test clinici standardizzati così da giungere alla comprensione delle<br />

possibili cause dei sintomi di MCI.<br />

3- La Malattia di <strong>Alzheimer</strong>. I criteri stabiliti valgono per la fase finale della<br />

malattia e sono più importanti per i medici e i pazienti. I criteri<br />

definiscono i modi con cui i medici dovrebbero valutare le cause e la<br />

progressione del declino cognitivo. Le linee guida inoltre espandono il<br />

concetto di malattia di <strong>Alzheimer</strong> oltre la perdita di memoria come sua<br />

caratteristica più peculiare. Un calo in altri aspetti dei domini cognitivi,<br />

come trovare le parole corrette, alterazioni visuo/spaziali e la<br />

compromissione del ragionamento o della capacità di giudizio<br />

potrebbero essere i primi sintomi notati. In questa fase, i risultati della<br />

41


valutazione dei biomarcatori possono essere utilizzati, in alcuni casi, per<br />

aumentare o diminuire il livello di certezza di una diagnosi di malattia di<br />

<strong>Alzheimer</strong> e per distinguere la demenza tipo <strong>Alzheimer</strong> da altre forme di<br />

demenza, anche se la validità di tali prove per l'applicazione nella pratica<br />

clinica quotidiana è ancora in fase di studio.<br />

I sintomi. Nelle fasi più precoci della malattia i disturbi cognitivi sono molto<br />

vaghi. Tra questi, come è ben noto, è la perdita di memoria che, a volte, può<br />

anche compromettere le capacità lavorative mentre, altre volte, si esprime solo<br />

come incapacità per esempio di ritrovare le cose riposte da qualche parte. Ci<br />

sono poi piccole difficoltà nelle attività della vita quotidiana o sul posto di lavoro<br />

(ad esempio non saper più che fare di fronte ad compito normalmente eseguito<br />

senza problemi; dimenticare parole semplici o sostituirle con parole improprie,<br />

rendendo quello che si dice difficile da capire), momenti di disorientamento sia<br />

nel tempo (non ricordare le date o l’anno in corso) e nello spazio (trovarsi in un<br />

posto noto e non sapere più dove si è), diminuzione della capacità di giudizio e<br />

difficoltà nel pensiero astratto, mettere le cose in posti del tutto inadeguati (un<br />

orologio nel barattolo dello zucchero), cambiamenti di umore o di<br />

comportamento, infine modificazioni della personalità e mancanza di iniziativa in<br />

molte o in tutte le solite attività.<br />

Come facilmente si intuisce, la malattia inizia in modo insidioso e subdolo,<br />

molte volte è preceduta da un lungo periodo in cui il malato è depresso e<br />

apatico, lentamente e gradualmente la sintomatologia progredisce. Prima di<br />

questa fase iniziale riconosciuta, le modificazioni che hanno danneggiato il<br />

cervello erano presenti da decenni anche se senza evidenti sintomi e segni, per<br />

cui, quando questi si manifestano e viene fatta la diagnosi clinica, ci si trova ad<br />

un punto di non ritorno, nonostante l’imprevedibilità del decorso clinico. Anche<br />

per queste ragioni è importante arrivare alla diagnosi il più precocemente<br />

possibile; dato il carattere progressivo della malattia, è ipotizzabile un suo<br />

arresto solo se il cervello non è danneggiato in maniera irreparabile. Inoltre la<br />

diagnosi precoce permette di mettere sull’avviso l’intero sistema familiare e di<br />

prendere da subito tutti quei provvedimenti, molti dei quali anche di tipo<br />

42<br />

I SINTOMI<br />

La I fase<br />

La perdita di<br />

memoria e il<br />

disorientamento<br />

La diagnosi precoce


amministrativo, per una gestione più tranquilla della malattia. In questa fase<br />

potrebbe rilevarsi molto utile per il malato e per la famiglia la frequentazione di<br />

un Centro Diurno per MA. Queste strutture infatti, offrendo un ambiente in cui il<br />

malato è stimolato a compiere una serie di azioni che difficilmente possono<br />

essere fatte in ambiente familiare, sono un momento terapeutico importante.<br />

Ma anche per la persona o le persone che prestano le cure, perché il centro può<br />

rappresentare nella giornata un momento di pausa, indispensabile per reggere il<br />

carico della cura sul lungo periodo.<br />

Andando avanti nel suo corso naturale la malattia arriva ad una seconda fase<br />

in cui, oltre a presentare l’accentuazione di tutti i disturbi già presenti (si noterà<br />

un marcato peggioramento delle capacità della memoria), compaiono altri segni<br />

molto particolari: viene a mancare l’orientamento temporale per cui fissare un<br />

impegno o un appuntamento potrebbe generare nel malato un particolare stato<br />

di agitazione e quindi a un aumento della tensione ed irritabilità che può portare<br />

a stati di confusione, iperattività ed evidente ostilità.<br />

Il deficit dell’orientamento spaziale si esprime anche nei dintorni della<br />

propria abitazione e nei lunghi percorsi, l’ammalato comprende di non sapere<br />

più dove si trova e quindi tende spontaneamente a non uscire di casa. L’unica<br />

risposta di chi si prende cura del malato sarà quella di accompagnarlo ogni qual<br />

volta ci si allontana dall’ambiente domestico. Certamente in questa fase è ancora<br />

possibile stimolare, almeno in parte, le residue autonomie del malato<br />

convincendolo a passeggiare ad esempio in un giardino privato, o in spazi<br />

protetti vicini all'abitazione o anche frequentando luoghi molto familiari.<br />

Compare anche la compromissione delle capacità di astrazione: per il malato<br />

risulta sempre più difficile comprendere situazioni complesse per cui è<br />

necessario semplificare i messaggi, le istruzioni debbono essere molto<br />

elementari. Anche il linguaggio mostra alterazioni sempre più marcate e diventa<br />

difficile per tutti, anche per il caregiver, comprendere i motivi di un possibile<br />

disagio (anche fisico) oppure i bisogni che il malato non riesce più a comunicare<br />

in maniera chiara e intelligibile. Il malato non ha più la capacità di prevedere,<br />

controllare o incidere sull’ambiente circostante per cui sarà in un persistente<br />

stato di agitazione. Anche la capacità di giudizio si allenta e non è difficile sentire<br />

43<br />

La II fase<br />

Aggravamento dei<br />

sintomi già presenti


accontare di chi vorrebbe uscire di casa nudo o in vestaglia e non ritiene<br />

necessaria la cura della propria persona. L’apatia è sempre più presente e il<br />

malato riduce le proprie attività; anche per questo lo si vede, immobile e inerte,<br />

rimanere seduto (anche di fronte ad un televisore acceso) senza presentare<br />

alcun tipo di reattività. Infine, spesso, in questa fase compaiono nel malato<br />

allucinazioni in genere spiacevoli (ossia percezioni visive e/o uditive in assenza<br />

dei corrispondenti oggetti) che possono innescare veri e propri deliri che non<br />

hanno nessun riscontro oggettivo. Tipici sono quelli in cui il malato è convinto<br />

che qualcuno voglia fargli del male o privarlo dei suoi averi: “mio figlio quando<br />

viene a casa mia mi ruba i soldi”. Ancora, i malati ritengono che le persone che li<br />

assistono siano degli impostori, oppure hanno la convinzione che visitatori<br />

immaginari vivano nella propria casa, spesso non riconoscono la propria<br />

immagine allo specchio e possono ritenerla appartenere ad un’altra persona, lo<br />

stesso accade quando il malato ritiene che quello che vede alla televisione sia a<br />

tutti gli effetti un evento reale. Inoltre, come conseguenza del danno cerebrale,<br />

alcuni malati di demenza possono anche confondere o interpretare<br />

erroneamente ciò che vedono, sentono o gustano. Per esempio, possono<br />

lamentarsi perché un dolce è salato, perché una musica è troppo forte, o perché<br />

fuori fa un freddo glaciale quando in realtà c'è un sole che spacca le pietre.<br />

Allucinazioni e deliri possono provocare paure intense o scatenare<br />

comportamenti aggressivi.<br />

A distanza di alcuni anni dal momento della diagnosi – tra i cinque e i sette<br />

anni – la malattia si aggrava e compaiono nuovi sintomi. Tra i più frequenti,<br />

l’incontinenza sfinterica è il sintomo che in alcune scale cliniche, utili per valutare<br />

il decorso della malattia, segna il passaggio verso le fasi più gravi. In genere<br />

compare prima quella urinaria e poi quella fecale. Il malato perde la capacità di<br />

riconoscere i familiari, come pure gli amici più stretti, può dimenticare il nome<br />

del proprio partner o addirittura scambiarlo per un’altra persona. Viene<br />

lentamente a mancare la capacità di legare gli avvenimenti, il malato non sa più<br />

nulla di tutto quello che recentemente è avvenuto, è completamente<br />

disorientato nel tempo e nello spazio, come anche è del tutto inconsapevole<br />

della dimensione temporale o degli spazi e degli ambienti in cui vive e fuori dalla<br />

44<br />

Apatia<br />

Allucinazioni e deliri<br />

La III fase<br />

Disorientamento<br />

totale


spazio domestico. In questa fase l’assistenza deve essere continua, 24 ore al<br />

giorno; il malato deve essere aiutato per la cura della persona (ormai l’igiene<br />

della persona è cosa inesistente) e per tutte le necessità primarie del vivere<br />

come ad esempio alimentarsi (il malato potrebbe lasciarsi morire di fame perché<br />

non è più in grado né di procurarsi né di prepararsi il cibo). Il sonno diventa<br />

completamente destrutturato (il malato spesso di notte si aggira per la casa) e<br />

sono sempre più frequenti i disturbi comportamentali come pure le modificazioni<br />

e i cambiamenti emotivi e della personalità che si manifestano con ansia e<br />

agitazione, allucinazioni, deliri (gelosia, persecuzione), sintomi ossessivi e<br />

purtroppo anche con aggressività, verbale o fisica. Queste sono le modificazioni<br />

comportamentali che maggiormente compromettono la capacità di resistenza<br />

del caregiver.<br />

Così, lentamente, si arriva alla fase terminale della malattia: la mente perde<br />

gli ultimi bagliori degli aspetti cognitivi rimasti e le persone, le cose e i luoghi<br />

perdono la dimensione che li aveva resi parte fondamentale dell’esperienza di<br />

vita del malato. Adesso il caregiver vive interamente il dramma della DE-mentis e<br />

il tempo del malato trascorre in una ovattata incoscienza. In queste condizioni, il<br />

malato è il più delle volte costretto a letto perché importanti disturbi motori – la<br />

rigidità del tronco, della nuca e degli arti ed il tremore – gli impediscono la<br />

stazione eretta. Non ci sono più vere parole – quello che rimane del linguaggio<br />

consiste in una serie di suoni inarticolati ed incomprensibili – e quando<br />

l’emissione della voce cessa del tutto la fine è veramente vicina. Il malato non<br />

riesce più ad alimentarsi: per l’incapacità di coordinare i movimenti per la<br />

deglutizione, i liquidi devono essere gelificati per evitare che vadano nei polmoni<br />

ma nonostante tutte le precauzioni spesso compaiono complicanze come la<br />

polmonite, dovuta all’aspirazione di materiale alimentare nelle vie respiratorie. A<br />

questo punto non lo stato nutrizionale del malato è compromesso; questa<br />

condizione, insieme all’allettamento, determina la perdita di massa muscolare e<br />

la distruzione di massa ossea, con un aumento dell’eliminazione del calcio con le<br />

urine. Ormai il malato deve avere qualcuno sempre vicino. Si ripeteranno gli<br />

episodi di polmonite e lentamente, a fronte di qualsiasi sforzo, interverrà in<br />

pochi mesi la fine.<br />

45<br />

Destrutturazione<br />

del sonno<br />

La IV e ultima fase<br />

Disturbi motori<br />

Assenza del<br />

linguaggio


La terapia. Ancora oggi non esiste una cura per la MA: la malattia è<br />

progressiva, il malato continuerà a peggiorare sia che prenda o no le medicine<br />

sintomatiche oggi somministrate. Queste sono essenzialmente due tipi: gli<br />

anticolinesterasici (donezepil, rivastigmina e galantamina) e gli antagonisti del<br />

recettore NMDA (memantina). I primi sono giustificati dal fatto che durante la<br />

malattia si alterano i neurotrasmettitori e tra questi l’ACe è maggiormente<br />

interessata. Questi farmaci inibiscono la degradazione dell’ACe permettendo una<br />

sua maggiore presenza a livello delle sinapsi: in alcuni casi ciò conduce ad una<br />

stabilizzazione della sintomatologia per un tempo variabile, in genere per alcuni<br />

mesi. Gli altri farmaci cercano di combattere l’eccessiva stimolazione<br />

glutamminergica (in America sono stati ammessi per il trattamento delle fasi più<br />

gravi della malattia).<br />

Altri interventi sono: la terapia con antiossidanti (vitamina E) che non<br />

sembra essere efficace; quella con antinfiammatori o con alcuni estratti di erbe,<br />

senza alcuna reale evidenza scientifica.<br />

Durante il decorso della malattia possono comparire anche malattie<br />

organiche (cardiopatie, diabete, infezioni….) la cui presenza spesso aggrava i<br />

sintomi cognitivi e le capacità funzionali del soggetto, malattie che vanno<br />

pertanto diagnosticate e curate con attenzione , per non peggiorare la qualità di<br />

vita del paziente e di chi lo cura.<br />

Esiste infine una vastissima gamma di interventi sia con sostanze di origine<br />

naturale o con integratori alimentari di svariati tipi, come pure attività di ogni<br />

genere con le quali in tutte le parti del mondo si è tentato di arginare il decorso<br />

della malattia. Ad oggi, nessuno di questi tentativi si è dimostrato, in termini<br />

scientifici, in grado di modificare anche solo in minima parte il decorso naturale<br />

della malattia. Ciò nonostante molte attività possono giovare<br />

momentaneamente al malato, dargli una maggiore tranquillità e permettere così<br />

una migliore gestione della malattia anche nell’ambiente familiare. In effetti,<br />

molti di questi tentativi sono stati apprezzati essenzialmente dai caregivers<br />

perché hanno concesso loro momenti di maggiore tranquillità e una maggiore<br />

interazione con il malato.<br />

46<br />

LA TERAPIA<br />

Gli<br />

anticolinesterasici e<br />

gli antagonisti della<br />

nemantina<br />

Altri interventi


Conclusione. La Malattia di <strong>Alzheimer</strong> è una malattia degenerativa, cronica, ancor oggi senza<br />

una cura. Coinvolge non solo il malato ma l’intero nucleo familiare, con un carico lavorativo per il<br />

caregiver spesso così drammatico da portare il rischio aggiuntivo di mortalità di circa una volta e<br />

mezzo. Il caregiver, infatti, completamente immerso nel ruolo di prestatore di cura, trascura<br />

totalmente la propria condizione di salute. I costi sociali e quelli a carico delle famiglie sono<br />

impressionanti: in media tra il 30 ed i 40 mila euro l’anno. Ovviamente i costi, minori nelle prime<br />

fasi, sono considerati nell’arco dell’intera malattia e aumentano progressivamente insieme al<br />

carico assistenziale. La maggior parte dei costi è a carico delle famiglie (circa 80%): questo rende<br />

ragione non solo della drammaticità della situazione ma anche della necessità di considerare la<br />

demenza una vera malattia sociale. Per queste ragioni e perché si ipotizza che nel 2050 saranno<br />

presenti nel mondo circa 150 milioni di malati, ci si dovrebbe dotare di un grandioso programma di<br />

ricerca scientifica in grado finalmente di trovare una cura per questa incredibile tragedia umana.<br />

47


Le altre malattie che possono causare i sintomi della demenza<br />

Under construction<br />

48


Esperienze di approfondimento della conoscenza sulla diffusione delle<br />

demenze tra gli anziani e sui problemi correlati<br />

Lo Spi Cgil della <strong>Liguria</strong> ha realizzato in questi anni alcune esperienze e iniziative sul tema delle<br />

demenze negli anziani e sui bisogni delle famiglie che si curano di loro.<br />

Siamo partiti nel 2009, proponendo la compilazione di un questionario (Appendice 1) alle<br />

persone che si recavano, per altre necessità di informazione e tutela, in alcune delle nostre sedi<br />

(Cogoleto, Pegli, Sestri Ponente, Porto, San Teodoro, Corso Sardegna). Abbiamo pensato fosse<br />

utile partire da un lavoro di conoscenza e di presa di contatto, attraverso la distribuzione,<br />

appunto, di uno strumento semplice. Su un campione di 880 intervistati, hanno compilato la<br />

scheda di rilevazione 84 persone che hanno risposto “sì” alla domanda: “ha in famiglia persone<br />

con problemi, a suo giudizio importanti, di memoria e/o disorientamento?”<br />

Ciò che è emerso, confermando una valutazione già presente tra di noi, è stato che la<br />

diffusione delle demenze tra la persone anziane è un fenomeno che, per una parte significativa,<br />

rimane sommerso. Le persone interessate e i loro familiari rischiano di non accedere neppure ai<br />

servizi dedicati o ai sostegni pubblici ai quali hanno diritto.<br />

I risultati del questionario hanno confermato anche la necessità di avere un’attenzione<br />

specifica alle persone “che si prendono cura”: non solo il malato ha bisogno di essere individuato<br />

come destinatario di “cure”, ma anche chi gli sta accanto<br />

(http://www.liguria.cgil.it/attachments/6891_ricerca%20non%20autosufficienza.pdf).<br />

Da questa prima esperienza è nata una azione più approfondita, sperimentata nel Comune di<br />

Cogoleto. Il questionario è stato distribuito, con invio per posta, a tutti i nostri iscritti.<br />

Questa attività ha contribuito a generare nel Comune di Cogoleto un’attenzione al problema,<br />

che ha portato il Comune stesso a distribuire, in collaborazione con molte associazioni di<br />

volontariato, a circa 2700 cittadini ultrasessantacinquenni il test “Test Your Memory”,<br />

questionario autocompilativo, pubblicato originariamente sul British Medical Journal nel 2009 e<br />

ritenuto efficace nel diagnosticare precocemente alcuni tratti tipici della demenza. Ci sono stati<br />

riconsegnati 276 questionari compilati da altrettante persone; sono 223 le persone che hanno<br />

49


totalizzato un punteggio pari o superiore al valore indicato come “soglia” al di sotto della quale è<br />

ipotizzabile la presenza di deficit cognitivi (Appendice 2).<br />

Questo studio ha i suoi limiti nella ristrettezza del campione preso in esame; inoltre<br />

rimangono dei dubbi su quanto esso sia rappresentativo della popolazione ultrasessantacinquenne<br />

residente nel comune di Cogoleto.<br />

Tuttavia ha reso possibile verificare una certa diffusione di situazioni nelle quale potrebbero<br />

esistere problemi e su cui i servizi preposti possono approfondire conoscenze e realizzare<br />

eventuali interventi.<br />

Alla fine di questo libretto, troverete il testo del questionario (Appendice 3).<br />

50


Benefici, indennità e agevolazioni di legge.<br />

Cosa fare – Come fare – Dove andare<br />

Riconoscimento di handicap<br />

(Legge 104/1992)<br />

Portatore di handicap è colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale causa di<br />

difficoltà di apprendimento, relazione o integrazione lavorativa tale da determinare un processo di<br />

svantaggio sociale o di emarginazione.<br />

L’handicap può assumere connotazione di gravità (articolo 3 comma 3 della legge 104/92) se la<br />

minorazione riduce l’autonomia personale in modo tale da rendere necessario un intervento<br />

assistenziale permanente nella sfera individuale o in quella di relazione.<br />

Il riconoscimento dello stato di handicap è il presupposto per poter beneficiare delle tutele<br />

previste da questa legge che integra il sistema dei benefici previsti da altre norme per le diverse<br />

categorie di invalidi.<br />

Per potervi accedere è necessario il riconoscimento di handicap e in particolare di situazioni di<br />

“grave handicap”. Occorre quindi presentare una domanda all’INPS, corredata di certificato<br />

medico del Servizio Sanitario Nazionale (curante o specialista). La visita di accertamento è a cura<br />

della Commissione ASL integrata da un medico dell’INPS.<br />

Poiché la certificazione medica ha una valenza di 90 giorni occorre che la domanda amministrativa<br />

sia inviata entro tale termine pena la decadenza: l’invio della sola certificazione da parte del<br />

medico curante non equivale alla presentazione della domanda.<br />

La domanda e la certificazione medica devono essere inviate telematicamente; per la domanda ci<br />

si può avvalere dell’assistenza del patronato INCA.<br />

Per saperne di più consulta il sito dell’INCA:<br />

http://www.inca.it/Servizi/081Handicapedisabilita<br />

Permessi mensili per i familiari che assistono una persona gravemente disabile<br />

(Legge 104/1992 art.3, comma 3)<br />

La legge 104/1992 offre la possibilità al lavoratore dipendente, sia pubblico sia privato, di fruire di<br />

permessi retribuiti per l’assistenza al familiare affetto da handicap grave. Il lavoratore può<br />

beneficiare di tre giorni al mese, anche frazionati a ore.<br />

I permessi spettano al coniuge, parenti o affini entro il 2 grado. Il diritto può essere esteso ai<br />

parenti e agli affini di terzo grado della persona in situazione di disabilità grave soltanto qualora i<br />

genitori o il coniuge della persona disabile abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure<br />

siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Per poter fruire dei<br />

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permessi la persona gravemente disabile non deve essere ricoverata a tempo pieno (24 ore) in<br />

strutture ospedaliere. Non è richiesta la convivenza tra il disabile e il familiare.<br />

Il datore di lavoro o l’Amministrazione pubblica non possono respingere la domanda del<br />

lavoratore. La modalità di fruizione dei permessi è un accordo fra le parti ed è necessario<br />

informare preventivamente il datore di lavoro delle giornate di permesso.<br />

La domanda deve essere inoltrata all’INPS per il settore privato o all’ufficio personale<br />

dell’Amministrazione se dipendente pubblico, allegando il verbale ASL di riconoscimento di<br />

handicap grave.<br />

Per saperne di più consulta il sito dell’INPS alla voce “assistenza ai disabili”:<br />

http://www.inps.it/portal/default.aspx?itemdir=5792<br />

Congedo biennale retribuito<br />

(Legge 388/2000 art.80, comma 2 - Dlgs.151/2001)<br />

Il congedo biennale retribuito per i genitori che assistono un figlio disabile è stato introdotto con la<br />

legge 388/2000. Due sentenze della Corte Costituzionale hanno esteso il diritto per l’assistenza di<br />

un coniuge o di un genitore disabile.<br />

Ogni lavoratore ha diritto a due anni di congedo, complessivamente (i periodi di congedo non<br />

retribuito previsti dai contratti di lavoro concorrono al raggiungimento dei due anni complessivi). I<br />

periodi di congedo, che il datore di lavoro non può rifiutare, sono validi ai fini pensionistici.<br />

I requisiti richiesti:<br />

la persona disabile deve avere la certificazione di handicap in stato di gravità e non deve<br />

essere ricoverata a tempo pieno;<br />

il lavoratore richiedente il congedo, se coniuge o figlio della persona disabile, deve essere<br />

convivente con quest’ultima e deve avere un rapporto di lavoro in atto.<br />

Esiste una priorità fra i familiari aventi diritto al congedo retribuito:<br />

1. il coniuge convivente della persona gravemente disabile;<br />

2. i genitori (naturali, adottivi o affidatari) del figlio gravemente disabile<br />

3. i fratelli o le sorelle conviventi con il familiare gravemente disabile nel caso in cui i genitori<br />

siano deceduti o gravemente inabili<br />

4. il figlio convivente con il genitore gravemente disabile in caso si verifichino le condizioni<br />

seguenti:<br />

- il genitore non sia coniugato o non conviva con il coniuge, oppure se coniugato e<br />

convivente con il coniuge, il coniuge non sia lavoratore o sia lavoratore autonomo;<br />

- il coniuge rinunci espressamente a beneficiare del congedo nello stesso periodo;<br />

- i genitori del disabile (i nonni del lavoratore) siano deceduti o totalmente inabili;<br />

- il genitore disabile non abbia altri figli o non conviva con alcuno di loro. In caso di<br />

convivenza, tali altri figli non devono prestare attività lavorativa o essere lavoratori autonomi;<br />

oppure rinunciare espressamente a beneficiare del congedo nello stesso periodo<br />

- il genitore disabile non abbia fratelli o non conviva con loro, a meno che i fratelli non<br />

prestino attività lavorativa o siano lavoratori autonomi oppure ancora rinuncino espressamente a<br />

beneficiare del congedo nello stesso periodo.<br />

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Il congedo biennale può essere fruito con modalità frazionata fra tutti gli aventi diritto,<br />

alternativamente e non contemporaneamente. A fronte di più lavoratori richiedenti è l’ordine<br />

prioritario degli aventi diritto a determinare chi fra loro per primo può beneficiarne. Per questa<br />

ragione, chi fra gli aventi diritto non vuole esercitare tale diritto deve rinunciare espressamente ad<br />

avvalersene nel periodo richiesto dall’altro avente diritto. Nel caso infatti di genitore gravemente<br />

disabile che convive con due figli, ambedue lavoratori dipendenti, il congedo è concesso al figlio<br />

richiedente se l’altro rinuncia espressamente a fruirne nello stesso periodo. Potrà godere, in un<br />

periodo successivo, di un periodo di congedo qualora i 24 mesi non siano già esauriti e il fratello<br />

(cioè il figlio che per primo ha fruito del congedo) a sua volta rinunci espressamente a fruirne nello<br />

stesso periodo.<br />

Il requisito della convivenza è richiesto con l’eccezione dei genitori che assistono il figlio/a disabile.<br />

Il familiare gravemente disabile per assistere il quale viene richiesto il congedo retribuito non può<br />

esercitare attività lavorativa durante la fruizione del congedo.<br />

I lavoratori del settore privato devono inoltrare domanda all’INPS e il dipendente pubblico alla<br />

propria Amministrazione. Entrambi devono allegare la certificazione sanitaria.<br />

Ci si può avvalere dell’assistenza del patronato INCA <strong>CGIL</strong> Genova.<br />

Per saperne di più consulta il sito INPS:<br />

http://www.inps.it/portal/default.aspx?iMenu=1&iNodo=5825<br />

Congedo non retribuito per gravi motivi familiari<br />

(Legge 53/2000 art.4)<br />

La legge 53/2000 offre la possibilità ai lavoratori dipendenti pubblici e privati di chiedere un<br />

congedo non retribuito per gravi motivi personali e familiari, tra i quali l’assistenza e la cura di un<br />

familiare. Rispetto al precedente congedo, quello previsto dalla legge 53/2000 per gravi motivi di<br />

famiglia, non è retribuito e non è coperto da contribuzione. Nonostante il congedo non sia<br />

computabile ai fini previdenziali, il lavoratore può procedere al riscatto o al versamento volontario<br />

dei contributi.<br />

Il vantaggio non trascurabile è quello della conservazione del posto di lavoro in situazioni di grave<br />

difficoltà, in caso in cui per varie ragioni non possa essere utilizzato il congedo retribuito. Il datore<br />

di lavoro non ha l’obbligo di riconoscere il congedo, ma entro dieci giorni dalla richiesta deve dare<br />

la sua risposta e l’eventuale diniego deve essere motivato.<br />

Il congedo può essere utilizzato per assistere parenti e affini entro il terzo grado portatori di<br />

handicap anche non conviventi.<br />

Il congedo straordinario retribuito e quello per gravi motivi familiari non retribuito concorrono<br />

entrambi al raggiungimento del limite individuale dei due anni.<br />

Il lavoratore privato deve presentare domanda al datore di lavoro, il dipendente pubblico alla<br />

propria Amministrazione. Entrambi devono allegare la documentazione sanitaria.<br />

Indennità di accompagnamento<br />

(Legge 11 febbraio 1980, n. 18)<br />

L’indennità di accompagnamento, o assegno di accompagnamento, previsto dalla legge 11.2.1980<br />

n.18 per le persone dichiarate totalmente invalide, è un sostegno economico statale pagato<br />

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dall’INPS. È la provvidenza economica riconosciuta dallo Stato, in attuazione dei principi sanciti<br />

dall’art. 38 della Costituzione, a favore dei cittadini la cui situazione di invalidità, per minorazioni o<br />

menomazioni, fisiche o psichiche, sia tale per cui necessitano di un’assistenza continua; in<br />

particolare, perché non sono in grado di deambulare senza l’assistenza continua di una persona<br />

oppure perché non sono in grado di compiere autonomamente gli atti quotidiani della vita.<br />

Tale provvidenza ha la natura giuridica di contributo forfettario per il rimborso delle spese conseguenti<br />

all’oggettiva situazione di invalidità, non è assimilabile ad alcuna forma di reddito ed è esente da imposte.<br />

L’indennità di accompagnamento è a totale carico dello Stato ed è dovuta per il solo titolo della<br />

minorazione, indipendentemente dal reddito del beneficiario o del suo nucleo familiare.<br />

Viene erogata a tutti i cittadini italiani o UE residenti in Italia, ai cittadini extracomunitari in<br />

possesso del permesso di soggiorno nella CE per soggiornanti di lungo periodo.<br />

L’importo corrisposto viene annualmente aggiornato con apposito decreto del Ministero<br />

dell’Interno. Il diritto alla corresponsione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello in<br />

cui è stata presentata la domanda. Nel 2011 l’importo mensile è pari a 487,39.<br />

Per poter usufruire dell’indennità, il soggetto non deve essere ricoverato in strutture residenziali<br />

gratuitamente o a pagamento. Ogni anno il requisito relativo alla condizione di ricovero deve<br />

essere dichiarato attraverso un' autocertificazione resa al Caaf sul modello ICRIC01.<br />

Assegno per il Nucleo Familiare<br />

L’assegno per il nucleo familiare (ANF) è una prestazione previdenziale erogata al lavoratore<br />

dipendente nel corso dell’attività lavorativa o al pensionato alla cessazione del rapporto di lavoro<br />

dipendente.<br />

È una prestazione a sostegno del reddito delle famiglie dei titolari di pensione a carico del Fondo<br />

pensioni lavoratori dipendenti, dei Fondi speciali di previdenza, dell’Enpals e di ex dipendenti dello<br />

Stato, degli Enti locali e dell’Amministrazione postelegrafonici, che abbiano un reddito<br />

complessivo al di sotto delle fasce stabilite ogni anno per legge.<br />

L’assegno spetta in misura differente in rapporto al numero dei componenti e al reddito del nucleo<br />

familiare.<br />

I nuclei che comprendono soggetti inabili beneficiano di particolari condizioni di reddito cui<br />

vengono rapportati sia il diritto che la misura dell’assegno.<br />

Anche la vedova o il vedovo inabili titolari unici di pensione ai superstiti derivante da lavoro<br />

dipendente possono fruire dell’assegno. Il titolare di pensione ai superstiti può chiedere l’ANF<br />

anche solo per se stesso, purché inabile oppure orfano minore.<br />

Il riconoscimento dell’inabilità viene accertata dagli istituti previdenziali preposti all’erogazione<br />

dell’assegno, previa presentazione di idonea documentazione medica.<br />

Il riconoscimento dell’assegno o l’incremento di quello già in pagamento è possibile, con efficacia<br />

retroattiva, fino a un limite di 5 anni qualora si sia in grado di dimostrare, con idonea<br />

documentazione medica, che lo stato di inabilità è pregresso.<br />

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L’assegno non spetta ai titolari di pensione a carico delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi<br />

(artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri), per i quali è prevista la concessione<br />

delle quote di maggiorazione per carichi di famiglia (assegni familiari).<br />

Per l’inoltro della domanda di assegno al nucleo familiare con inabile nel nucleo ci si può rivolgere<br />

al Patronato INCA.<br />

Assegni familiari<br />

Gli assegni familiari vengono corrisposti sulle pensioni dei lavoratori autonomi (artigiani,<br />

commercianti, coltivatori diretti).<br />

Il pagamento degli assegni è subordinato alla condizioni che i familiari beneficiari non superino un<br />

determinato limite di reddito personale. Inoltre, non deve essere superato un limite di reddito<br />

dell’intero nucleo familiare.<br />

Come nel caso dell’ANF i nuclei che comprendono soggetti inabili beneficiano di particolari<br />

condizioni di reddito per il diritto agli assegni.<br />

Diversamente dall’ANF, gli assegni familiari non spettano alla vedova o vedovo inabili titolari unici<br />

di pensione ai superstiti.<br />

Il riconoscimento degli assegni familiari può avere efficacia retroattiva quindi è possibile chiedere<br />

gli arretrati fino a un limite di 5 anni qualora si sia in grado di dimostrare che lo stato di inabilità è<br />

pregresso con idonea documentazione medica.<br />

Per l’inoltro della domanda di assegni familiari con inabile nel nucleo ci si può rivolgere al<br />

patronato INCA.<br />

Il Fondo per la non autosufficienza<br />

Il FRNA istituito con legge regionale 24 maggio 2006 n.12 – “promozione del sistema integrato di<br />

servizi sociali e sociosanitari” - prevede l’erogazione di un contributo economico per sostenere la<br />

permanenza delle persone non autosufficienti presso il proprio domicilio.<br />

Possono richiedere il contributo i cittadini italiani o europei, i cittadini extracomunitari titolari di<br />

permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, invalidi al 100% con riconoscimento<br />

dell’indennità di accompagnamento.<br />

Il contributo non è erogabile alle persone che usufruiscono di servizi di assistenza residenziale o<br />

inserite in Centri diurni a totale carico del servizio pubblico e ai non titolari di indennità di<br />

accompagnamento.<br />

Da quest’anno, per effetto del taglio di 14 milioni di euro nei trasferimenti dallo Stato alla Regione<br />

operato dalla legge di stabilità 2011, solo le persone non autosufficienti con un reddito ISEE<br />

inferiore a 10 mila euro potranno beneficiarie del fondo ricevendo un assegno mensile da 350<br />

euro. Fino allo scorso anno, invece, potevano ottenere l’ assegno regionale anche le persone non<br />

autosufficienti con un reddito ISEE fino a 20 mila euro.<br />

Il modulo della domanda può essere ritirato presso gli sportelli dei Distretti Socio Sanitari o degli<br />

Ambiti Territoriali Sociali di zona.<br />

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Agevolazioni fiscali<br />

La persona che ha il riconoscimento di handicap ha diritto ad usufruire di tutte le agevolazioni<br />

fiscali previste per i cittadini disabili, ad eccezione di quelle relative all’auto per cui sono necessarie<br />

ulteriori valutazioni.<br />

Deduzioni fiscali.<br />

Le spese mediche generiche e quelle di assistenza specifica sostenute dalle persone non<br />

autosufficienti o da chi le assiste sono deducibili dal reddito complessivo.<br />

Si considerano spese mediche generiche le prestazioni diagnostiche rese da un medico generico o<br />

specialista e l’acquisto di farmaci.<br />

Si considerano spese per assistenza specifica quelle infermieristiche e riabilitative svolte da<br />

personale qualificato o da operatori tecnici.<br />

I contributi previdenziali per gli addetti ai servizi domestici e familiari e all’assistenza personale<br />

sono deducibili nel limite di 1549,37 euro.<br />

Detrazioni fiscali.<br />

- Detrazione del 19% della spesa di assistenza.<br />

La spesa di assistenza per una persona non autosufficiente, anche lo stipendio dell’assistente<br />

familiare “badante”, può essere detratta nella misura del 19% su un ammontare di spesa non<br />

superiore a 2100 euro quindi fino a un beneficio massimo di 399 euro l’anno della spesa di<br />

assistenza per una persona. Il reddito del contribuente non deve superare i 40.000 euro.<br />

- Detrazione del 19% delle spese sanitarie.<br />

Le persone con handicap fruiscono dello stesso trattamento previsto per tutti i contribuenti.<br />

- Detrazione fiscale senza limiti e franchigie.<br />

È prevista solo per le spese relative all’accompagnamento e alla deambulazione per i portatori di<br />

handicap.<br />

Per saperne di più consulta il sito dell’Agenzia delle Entrate. Tra le guide fiscali è possibile<br />

scaricare le agevolazioni fiscali per i disabili:<br />

http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/portal/entrate/home<br />

L’Amministratore di sostegno<br />

(Legge 6/2004)<br />

L’ amministratore di sostegno è una figura istituita con la legge 6 del 2004 a tutela di chi, pur<br />

avendo difficoltà nel provvedere ai propri interessi, non necessita comunque di ricorrere<br />

all’interdizione o all’inabilitazione. La legge ha infatti la finalità di tutelare, con la minore<br />

limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia<br />

nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana.<br />

L’amministrazione di sostegno si rivolge alle persone con grave e permanente disabilità intellettiva<br />

o psichica che materialmente hanno bisogno di protezione, anche per un periodo di tempo<br />

limitato, per provvedere ai propri interessi civili e/o patrimoniali, limitatamente ad alcuni atti, per<br />

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esempio per proporre istanze alla Pubblica Amministrazione, presentare la dichiarazione dei<br />

redditi, riscuotere la pensione.<br />

L’amministratore di sostegno viene nominato dal giudice tutelare e scelto, ove possibile, nello<br />

stesso ambito familiare dell’assistito: il coniuge non separato legalmente, la persona stabilmente<br />

convivente, il padre, la madre, i figli o il fratello o la sorella, o comunque un parente entro il quarto<br />

grado.<br />

L’ufficio di amministrazione di sostegno non prevede l’annullamento delle capacità del<br />

beneficiario a compiere validamente atti giuridici, e in ciò si differenzia dall’interdizione.<br />

Il procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno ha inizio con un ricorso al giudice<br />

tutelare del luogo di residenza del disabile che deve essere depositato presso il Tribunale civile,<br />

cancelleria della volontaria giurisdizione.<br />

Per saperne di più consulta il sito dell’INCA:<br />

http://www.inca.it/Servizi/081Handicapedisabilita/07Handicap+e+disabilità.htm<br />

Prestazioni socio sanitarie<br />

I Distretti Sanitari, punto qualificato dell’analisi dei bisogni e della relativa programmazione del<br />

sistema integrato dei servizi, hanno le funzioni di garantire l’accesso ai servizi sanitari e<br />

sociosanitari per gli utenti del proprio territorio assicurando l’integrazione tra il settore sanitario e<br />

quello sociale.<br />

Gli Ambiti territoriali sociali e le aziende ASL hanno realizzato una rete di Uffici accoglienza e<br />

relazioni con il pubblico per mettere a disposizione informazioni precise sull’offerta dei servizi<br />

sanitari e sociali, su come accedervi, sulle sedi e gli orari, i tempi d’attesa, le procedure e i moduli<br />

necessari per ottenere le prestazioni integrate, come ad esempio:<br />

Fornitura protesi: ausili per la deambulazione, carrozzine, pannoloni, materassi antidecubito.<br />

Assistenza geriatrica: cure domiciliari, centri diurni, riabilitativi, assistenza residenziale.<br />

Assistenza sociale.<br />

Per saperne di più consultare i siti delle ASL liguri:<br />

ASL 1 IMPERIESE<br />

http://www.asl1.liguria.it/<br />

ASL 2 SAVONESE<br />

http://www.asl2.liguria.it/<br />

ASL 3 GENOVESE<br />

http://www.asl3.liguria.it/<br />

ASL 4 CHIAVARESE<br />

http://www.asl4.liguria.it/<br />

ASL 5 SPEZZINO<br />

http://www.asl5.liguria.it/<br />

Contributi per l’eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche negli<br />

edifici privati<br />

(Dgr n. 1851 del 22 dicembre 2009)<br />

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Questa norma sostiene finanziariamente gli interventi volti all'abbattimento delle barriere<br />

architettoniche sia negli edifici pubblici che in quelli privati, per garantire un sempre maggiore<br />

utilizzo degli spazi edificati a tutti coloro che soffrono di una ridotta o impedita capacità motoria o<br />

percettiva.<br />

Gli interventi ammissibili a contributo ai sensi del paragrafo precedente possono consistere in:<br />

a) opere edilizie direttamente finalizzate all’eliminazione delle barriere architettoniche, fisiche e<br />

percettive;<br />

b) acquisto e installazione di attrezzature direttamente finalizzate all’eliminazione delle barriere<br />

architettoniche, fisiche e percettive, quali:<br />

• mezzi idonei a garantire il superamento dei dislivelli da parte delle persone con problemi di<br />

mobilità;<br />

• strumenti idonei a favorire la sicurezza d’uso e la fruibilità degli spazi da parte delle persone<br />

disabili;<br />

• dispositivi idonei a favorire l’orientamento e la mobilità negli ambienti;<br />

• dispositivi impiantistici idonei a favorire l’autonomia domestica delle persone disabili.<br />

I soggetti in possesso dei requisiti devono presentare domanda al Comune/Distretto ove è situato<br />

l’immobile da adeguare entro il 1° marzo di ogni anno.<br />

Per saperne di più, rivolgersi alle amministrazioni comunali, ai Distretti Socio-Sanitari oppure<br />

consulta il sito: www.regione.liguria.it<br />

Attività sociali<br />

Ricoveri di sollievo.<br />

Dura di solito dai 40 ai 60 giorni e ha lo scopo di sollevare il caregiver dall'attività di assistenza.<br />

L’attivazione di questo percorso può avvenire con richiesta del Medico di Medicina Generale di<br />

“Valutazione per ricovero di sollievo”, segnalazione al Nucleo Residenzialità in base alla Zona di<br />

appartenenza o all’accoglienza del Distretto socio sanitari competenti.<br />

Centri diurni.<br />

Luoghi di accoglienza in cui i pazienti vengono accuditi per mezza giornata o la giornata intera.<br />

L'accesso al servizio può avvenire presentando domanda autonomamente ai servizi sanitari di<br />

riferimento o, in caso si richieda un supporto economico al Comune di Genova per il pagamento<br />

della retta, è necessario fissare un appuntamento per un colloquio personale (Segretariato Sociale)<br />

presso gli Ambiti Territoriali Sociali (ATS).<br />

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Residenza sanitaria assistenziale.<br />

Sono strutture che ospitano persone non autosufficienti. Il caregiver deve procurarsi la richiesta<br />

del Medico di Medicina Generale (Valutazione per inserimento definitivo in struttura residenziale)<br />

ed effettuare la segnalazione telefonicamente al Nucleo Residenzialità, a seconda della Zona, o<br />

all’accoglienza del Distretto Sanitario di appartenenza. In seguito alla segnalazione, un geriatra del<br />

Dipartimento effettuerà una visita domiciliare.<br />

Servizi di assistenza domiciliare.<br />

Esistono due tipi di assistenza: 1. Assistenza domiciliare familiare (aiuto dell’anziano nella gestione<br />

della vita domestica - es. spesa, pulizia della casa, ecc.); 2. Assistenza domiciliare leggera ( es.<br />

piccola spesa, compagnia, disbrigo di pratiche, sostegno alla socializzazione, ecc.). È prevista la<br />

contribuzione al costo della prestazione erogata in relazione al valore dell’attestazione ISEE. È<br />

necessario fissare un appuntamento per un colloquio personale (Segretariato Sociale) presso: gli<br />

Ambiti Territoriali Sociali (ATS) oppure presso le sedi territoriali delle Agenzie Domiciliarità.<br />

Residenzialità per i pensionati INPDAP e/o coniugi conviventi<br />

I pensionati Inpdap e/o i loro coniugi conviventi, non autosufficienti, affetti da gravi patologie<br />

psicoinvolutive senili o altre patologie neurovegetative possono beneficiare dell’accoglienza,<br />

residenziale o diurna, presso strutture specializzate, Rsa o Case protette.<br />

La domanda va presentata alla Direzione regionale sul cui territorio si trova la struttura. Se le<br />

richieste eccedono i posti disponibili viene formata una lista d’attesa graduata in base<br />

all’indicatore Isee e al grado di non autosufficienza. Da un elenco di Rsa dislocate sull’intero<br />

territorio nazionale si sceglie, sulla base della localizzazione e dei costi sanitari a carico del<br />

pensionato, la struttura d’interesse.<br />

L’indicatore Isee non deve superare i 30.000 €.<br />

Per saperne di più, telefonare ai recapiti indicati sul sito:<br />

http://www.inpdap.it/webinternet/FiloDiretto/StrOrgCompartimenti.asp<br />

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Il Caffè di Oz<br />

Luogo di incontro accogliente per il malato di <strong>Alzheimer</strong> e la sua famiglia che offre ai malati la<br />

possibilità di svolgere, con personale dedicato, attività occupazionali di semplice esecuzione,<br />

mentre il caregiver può partecipare ad incontri tematici o approfittare del tempo libero per<br />

commissioni o svago.<br />

L’idea è stata accolta e condivisa dagli operatori dello Spazio Anziani-Cooperativa Saba- di Piazza<br />

dei Greci che da anni operano a favore degli anziani del quartiere.<br />

Il Caffè di Oz è aperto ogni giovedì dalle ore 14.30 alle ore 16.30 in Piazza dei Greci 5 Tel.: 010-<br />

2476578. (Chiusura estiva ad agosto)<br />

Il calendario aggiornato degli incontri tematici è consultabile sul sito dell’Associazione <strong>Alzheimer</strong><br />

<strong>Liguria</strong><br />

www.alzheimer.liguria.it<br />

Per informazioni rivolgersi a:<br />

Ambito Territoriale Sociale 42<br />

Sede: Piazza Posta Vecchia 3/3<br />

Sara Medici: 010-2533126<br />

Angela Lazzarino: 010-2533123<br />

Luana Luiu: 010-2533125<br />

Polo Castelletto: Corso Firenze 24<br />

Eloisa Perricone: 010-2722800 010-2724344<br />

Cooperativa S.A.B.A.<br />

Piazza dei Greci 5<br />

Paola Giacopello: 010-2476578<br />

L’<strong>Alzheimer</strong> Café<br />

Uno spazio gratuito e informale gestito dall’Associazione famiglie malati di <strong>Alzheimer</strong> (AFMA) dove<br />

si svolgono incontri e momenti di convivialità in un'atmosfera accogliente e rilassata. Gli ospiti<br />

sono seguiti dai volontari e da operatori specializzati. Le attività sono specifiche per stimolare le<br />

capacità di concentrazione e di manualità: ci sono i laboratori di musicoterapia, il decoupage, il<br />

giardinaggio, la modellatura di materiali vari, la ginnastica dolce pet therapy:.<br />

L’<strong>Alzheimer</strong> Café, è aperto al pubblico aperto al pubblico tutti i martedì dalle 15.00 alle 18.00 e il<br />

venerdì dalle ore 15.00 alle 18.00 in via Nino Cervetto 35.<br />

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http://www.afmagenova.org/alzheimer_cafe.html<br />

Entro la fine del 2011 verrà inaugurato Arcobalen, centro diurno di 2° livello per malati di<br />

<strong>Alzheimer</strong> gestito dall’AFMA.<br />

Per ulteriori informazioni, scrivi a afmagenovaonlus@gmail.com<br />

oppure vai alla pagina web http://www.afmagenova.org<br />

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NUMERI UTILI<br />

Distretti sanitari dell’Asl3 – Genova<br />

http://www.asl3.liguria.it/<br />

Distretto Ponente 8 010/6449674<br />

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010/6449676<br />

010/6449677<br />

Distretto Medio Ponente 9 010/6447250 Sampierdarena<br />

Distretto Val Polcevera e Valle Scrivia 10 010/6449505<br />

Distretto Centro 11 010/3447581<br />

010/6447251 Sampierdarena<br />

010/6447967 Sestri Ponente<br />

010/6447973 Sestri Ponente<br />

010/3447582<br />

Distretto Valbisagno e Valtrebbia 12 010/3447920<br />

010/3447939<br />

Distretto Levante 13 010/3445630<br />

Per consultare l’elenco dei distretti sanitari della Regione <strong>Liguria</strong>, vai alla pagina web:<br />

http://www.asl2.liguria.it/pdf/elencodistretti.pdf


Unità di valutazione <strong>Alzheimer</strong> – Genova<br />

Ambulatorio U.V.A. C/O Osp. San Martino<br />

Neurofisiologia Clinica<br />

Responsabile: Guido Rodriguez<br />

Dipartimento Di Neuroscienze, Università Di<br />

Genova<br />

Responsabile: Leonardo Cocito<br />

U.V.A. Geriatria - Università Di Genova<br />

Responsabile: Patrizio Odetti<br />

U.V.A. Geriatria Eo Osp Galliera<br />

Responsabile: Camilla Prete<br />

Ambulatorio U.V.A. c/o Rsa Chiavari<br />

Responsabile: Babette Dijk<br />

Ambulatorio Psicogeriatria, Centro Salute Mentale<br />

Chiavari<br />

Responsabile: Vittorio Uva<br />

63<br />

010/5552246<br />

010/3537040<br />

010/3537536<br />

010/5634391<br />

0185/329328<br />

0185/329330<br />

Unità di Valutazione <strong>Alzheimer</strong> nelle province di Savona e La Spezia<br />

Divisione Neurologia, Pietra §Ligure (SV)<br />

Responsabile: Tiziana Tassinari<br />

U.V.A. Geriatrica Asl 2, Savona<br />

Responsabile: Giovanna Caorsi<br />

Ambulatorio U.V.A. e disturbi cognitive<br />

dell’Anziano, La Spezia<br />

Responsabile: Elena Carabelli<br />

019/6234012<br />

019/8405994<br />

019/8405294<br />

0187/533314


Unità di psicogeriatria U.V.A., Sarzana (SP)<br />

Responsabile: Antonello Colameo<br />

Centri Diurni – Genova<br />

64<br />

0187/604933<br />

Via Sestri 1316154 Genova Sestri Ponente 010/6448733<br />

Via Castelli 52r 16149 Genova 010/6423066<br />

via Salita Inf. di Murta 2 16162 Genova 010/7411183<br />

Via Peschiera 10 16122 Genova 010/886867<br />

Località Serino 16165 Genova 010/804981<br />

Cso Montegrappa 16137 Genova 010/814810<br />

Via G. Maggio 6 16147 Genova 010/3446251<br />

Via G. Maggio 6 16147 Genova 010/3446303<br />

Per consultare l’elenco dei Centri diurni presenti in <strong>Liguria</strong>, vai alla pagina web:<br />

https://sisweb.regione.liguria.it/struttureresidenziali/Default.aspx<br />

I recapiti degli uffici provinciali del Patronato INCA sono consultabili alla pagina:<br />

http://www.liguria.cgil.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1305&Itemid=24<br />

I recapiti degli uffici Spi provinciali e delle Leghe della provincial di Genova sono consultabili alla<br />

pagina:<br />

http://www.liguria.cgil.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1475&Itemid=75<br />

I recapiti degli uffici dell’Auser <strong>Liguria</strong> sono consultabili alla pagina:<br />

http://www.auserliguria.it/dovesiamo.aspx


LINK UTILI<br />

http://3eta.accmed.org/<br />

http://www.afmagenova.org<br />

http://www.aiesweb.it/<br />

http://www.alzheimer.it/<br />

http://www.alzheimer-europe.org/<br />

http://www.alzheimerfamiliari.it/<br />

http://www.alzheimerliguria.it/<br />

http://www.fimmg.org/home<br />

http://www.pamonline.it/<br />

65


Appendice 1<br />

SINDACATO PENSIONATI<br />

REGIONALE LIGURIA<br />

AREA METROPOLITANA DI GENOVA<br />

SCHEDA RILEVAZIONE<br />

MALATTIE LEGATE ALLA NON AUTOSUFFICIENZA E CONSEGUENZE<br />

SULLA VITA DELLE PERSONE CHE SI OCCUPANO DELLA CURA IN<br />

FAMIGLIA<br />

1. Ha in famiglia persone con problemi importanti, a suo giudizio, di memoria e/o di<br />

disorientamento?<br />

2. della persona con problemi,<br />

> grado di parentela con lei__________________________<br />

> sesso: M F<br />

> età:______________________________<br />

3. Attualmente la persona con problemi vive:<br />

da solo<br />

col coniuge<br />

con figlia/o<br />

altro_________________________________________<br />

4. la persona che ha problemi riesce, da sola :<br />

> a gestire il denaro? SI NO IN PARTE<br />

> ad usare il telefonino? SI NO IN PARTE<br />

> a pensare alla propria igiene? SI NO IN PARTE<br />

> a fare la spesa? SI NO<br />

66


a farsi da mangiare? SI NO<br />

5. E’ preoccupato/a di questa situazione?_________________________________________________<br />

6. Da quanto tempo sono presenti questi problemi? ______________________________________<br />

7. Di questi problemi ha già parlato con il medico di famiglia?______________________________<br />

____________________________________________________________________________________<br />

8. Si è mai rivolto/a ai servizi<br />

sociali?_____________________________________________________<br />

9. La persona, per questi problemi, è seguita, dal punto di vista medico, da:<br />

medico di base<br />

reparto ospedaliero<br />

centro UVA<br />

specialista privato<br />

10. Se è seguita, come valuta, da 1 a 10, l’assistenza di cui dispone la persona con problemi?<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />

11. Da 1 a 10, quanto influisce, nella sua vita personale, avere una persona con problemi di memoria<br />

o/o disorientamento?<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10<br />

NOME………………………………COGNOME…………………………………………………<br />

INDIRIZZO………………………………………………………………………………………..<br />

N. TEL………………………………………………………………………………………………...<br />

e-mail………………………………………………………………………………………………….<br />

formula privacy<br />

Ricevuta l'informativa sull'utilizzazione dei miei dati personali ai sensi dell'art. 10 della legge n. 675/96,<br />

consento al loro trattamento nella misura necessaria per il perseguimento degli scopi statutari.<br />

67


Appendice 2<br />

TYM a Cogoleto<br />

Sono stati inviati circa 2700 questionari autocompilativi "Test Your Memory" alla popolazione residente a<br />

Cogoleto che avesse un'età superiore ai 65 anni.<br />

276 persone hanno risposto positivamente a questo sondaggio, rinviandoci i questionari debitamente<br />

compilati. Il TYM test, pubblicato originariamente sul British Medical Journal nel 2009 è un test a 10 item<br />

che indagano vari aspetti del cognitivismo, ed è ritenuto efficace nel diagnosticare precocemente alcuni<br />

tratti tipici della demenza.<br />

223 persone hanno totalizzato un punteggio pari o superiore a 43/50: questo valore è stato da noi<br />

indicato come "soglia", al di sotto del quale è ipotizzabile la presenza di deficit cognitivi.<br />

È bene sottolineare che nella versione originale del questionario, validata in lingua inglese, il valore di<br />

cut-off indicato era di 42/50. Abbiamo inserito questa piccola modifica per rendere più realistico il quadro,<br />

dato che nell'attribuzione dei punteggi abbiamo utilizzato alcune strategie per evitare possibili fattori<br />

confondenti e garantire una valutazione equa a tutti i partecipanti. Questi accorgimenti rendono forse<br />

ragione dell'alta percentuale di test valutati positivamente. Abbiamo infatti attribuito punteggio pieno nel<br />

primo item "se lo desidera può scrivere il suo nome e la sua data di nascita" anche a chi non ha scritto le<br />

proprie generalità, per non penalizzare coloro i quali abbiano voluto mantenere la privacy. Altri due item<br />

sono stati lievemente modificati: nel settimo, ("scriva il nome di cinque particolari di questo<br />

abbigliamento"), abbiamo aggiunto un punto di default a causa di un refuso. L'ultimo item ("aiuto<br />

prestato") risultava invece impossibile da determinare data la mancanza di supervisione diretta, quindi<br />

abbiamo dato punteggio massimo (5 punti) a tutti.<br />

Abbiamo inoltre correlato il punteggio di ogni partecipante alla sua età: i valori sono distribuiti intorno<br />

ad una linea di tendenza, che divide i partecipanti fra i maggiori e i minori di 70 anni. Pur non essendo<br />

statisticamente significativa, essa suggerisce che i soggetti d'età più avanzata totalizzino punteggi<br />

lievemente inferiori rispetto ai più giovani.<br />

Infine, abbiamo correlato la media dei punteggi di ogni singola prova alla media dei punteggi totali:<br />

questa operazione è stata fatta con l'obiettivo di individuare l'item che risultasse affetto più precocemente,<br />

cioè che fosse alterato anche quando gli altri risultavano nella norma. Questo item è risultato essere il<br />

decimo:"per favore senza girare il foglio scriva la frase che prima ha copiato" ("i bravi cittadini indossano<br />

sempre scarpe robuste"), seguito dall'ottavo "per favore unisca i cerchietti in modo da formare una<br />

68


lettera". Il terzo posto nella graduatoria degli item "più difficili" è stato invece attribuito al nono "per favore<br />

disegni un quadrante d'orologio, i numeri 1¬12 e metta le lancette come se fossero le nove e 20". In<br />

conclusione i nostri dati fanno presupporre che la funzione mnesica di richiamo di un elemento<br />

precedentemente appreso sia precocemente alterata nei quadri di iniziale declino cognitivo.<br />

Questo studio ha i suoi limiti nella limitata numerosità del campione preso in esame; inoltre<br />

rimangono dei dubbi su quanto esso sia rappresentativo della popolazione ultrasessantacinquenne<br />

residente nel comune di Cogoleto.<br />

Tab 1 SOGGETTI CON DEFICIT E SENZA DEFICIT<br />

250<br />

200<br />

150<br />

100<br />

50<br />

0<br />

Senza deficit Con deficit<br />

69


Tab 2. GENERALITA’<br />

Se lo desidera può scrivere il suo nome e la sua data di nascita:<br />

…………………………………………………………………………………………………………………<br />

Oggi è …………………………………………………………………(Giorno della settimana)<br />

La data di oggi è ………….. mese……………………………….. …………………..20……..<br />

Quanti anni ha: …………………………………anni<br />

Scriva la sua data di<br />

nascita…………./………………………........(Mese)/19………….<br />

Tab 3. GRADUATORIA DEI PUNTEGGI IN BASE ALL'ETÀ DEI PARTECIPANTI<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

50 60 70 80 90 100 110<br />

70<br />

y = -0,1653x + 57,006<br />

R² = 0,0676<br />

Serie1


Tab. 4. CORRELAZIONE MEDIA PUNTEGGI SINGOLA PROVA MEDIA PUNTEGGI TOTALI<br />

71


Appendice 3<br />

Esamina la tua memoria<br />

The TYM-I (Test your memory Italian version)<br />

Se lo desidera può scrivere il suo nome completo ed un recapito telefonico<br />

……………………………………………………..<br />

Oggi è ………………………………………………(Giorno della settimana)<br />

La data di oggi è ………….. mese……………………………….. 20<br />

Quanti anni ha: …………………………………anni<br />

Scriva la sua data di nascita…………./……………........(Mese)/19………)<br />

Per favore copi la frase che vede nella riga qui sotto<br />

I BRAVI CITTADINI INDOSSANO SEMPRE SCARPE ROBUSTE<br />

……………………………………………………………………………………………………………<br />

Per favore legga di nuovo la frase e cerchi di ricordarla<br />

Chi è l’attuale capo del governo ………………………………………….<br />

In che anno l’Italia è entrata nella prima guerra mondiale ……………<br />

i<br />

Esegua queste operazioni<br />

20 – 4 = …………………………<br />

16 + 17 = ……………………….<br />

8 x 6 = …………………………..<br />

4 + 15 – 17 = …………………<br />

4<br />

Scriva il nome di quattro animali<br />

che incominciano con la lettera S<br />

(esempio squalo)<br />

1S…………………………………<br />

2S…………………………………<br />

3S…………………………………<br />

4S……………………………………………………<br />

Perché una carota è simile ad una patata? ………………………………………………………………………………..<br />

72<br />

Perché un leone è simile ad un lupo? ……………………………………………………………………………………..<br />

2<br />

3<br />

1<br />

4


Per favore scriva il nome dei cinque particolari di questo abbigliamento<br />

Per favore unisca i cerchietti in modo da formare una lettera( escluda i quadratini)<br />

Per favore disegni in questo quadrante d’orologio i numeri 1-12 e metta le lancette come se fossero le 9.20.<br />

Senza girare il foglio per favore scriva sotto la frase che prima ha copiato<br />

………………………………………………………………………………………………………………………………………<br />

……….<br />

73<br />

5<br />

4<br />

6<br />

3<br />

4


Per chi ha eseguito il test:<br />

Aiuto prestato : nessuno, minimo, poco, moderato, importante. ……………………………………………………………...<br />

Barrare il riquadro se le risposte sono state scelte dall’esaminatore e non dal paziente …/50<br />

74<br />

5


Attribuzione dei punteggi<br />

Errori di ortografia e/o di punteggiatura assieme all’utilizzo di abbreviazioni non devono essere<br />

conteggiate come errori, ad eccezione del box due, se il significato delle parole è comprensibile.<br />

Box 1 Due punti per il nome completo, 1 punto se vengono scritte le sole iniziali o se sono presenti<br />

piccoli errori. Attribuire un punto alla data anche se è sbagliata di un giorno.<br />

Box 2 Due punti se tutto è corretto, 1 punto un errore in una parola, 0 punti per errori in due<br />

parole.<br />

Box3 Un punto per il nome, 1 punto per il cognome, 1 punto per la risposta 1915<br />

Box 4 Un punto per ogni operazione corretta<br />

Box 5 E’ accettato ogni animale sia esso insetto, pesce, uccello o mammifero. Le razze di cani e<br />

gatti (per esempio spinone) vanno bene. Sono considerati errori le creature mitologiche (ad<br />

esempio mostri marini), e la parola squalo (che viene presentata come esempio).<br />

Box 6 Due punti per una definizione precisa come “verdura” o<br />

“animali/mammiferi/predatori/carnivori” . Risposte adeguate ma meno precise come cibo, hanno<br />

quattro zampe, animali feroci 1 punto. Se vengono date due risposte adeguate, anche se meno<br />

precise, si attribuiscono due punti (ad es. Animali feroci con quattro zampe).<br />

Descrizione della giacca Un punto per ogni risposta corretta.<br />

Lettera M Tre punti se viene eseguita senza nessun errore, 2 punti se viene disegnata una lettera<br />

diversa dalla M, se tutti i cerchietti vengono collegati senza che venga tracciata la lettera M 1<br />

punto.<br />

Orologio Se vengono disegnati tutti i numeri dell’orologio 1 punto, per il corretto posizionamento<br />

dei numeri 1 punto, per ogni lancetta disegnata correttamente 1 punto.<br />

Frase Un punto per ogni parola ricordata correttamente sino ad un massimo di 6 punti.<br />

Attenzione Al punteggi totale va aggiunto il valore attribuito all’aiuto che si è dovuto fornire al/alla<br />

paziente come indicato sotto<br />

Nessuno 5 punti<br />

Minimo 4 punti<br />

Poco 3 punti<br />

Moderato 2 punti<br />

Importante 1 punto<br />

75

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