Castagne e tartufi delizie d'autunno - Edit

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4 cucina 5 Sabato 27 ottobre 2007 Sabato 27 ottobre 2007 SAPORI D’AUTUNNO Contorno ideale per «sgrassare» piatti a base di carne (ombolo, luganighe, arrosti…) «Capuzi garbi», storia delle nostre terre Piatti con i «capuzi garbi» Paese che vai ricetta che trovi Non c’è una ricetta precisa per la preparazione dei “capuzi garbi”. Ogni famiglia ha una propria variante, tramandata di generazione in generazione: cambiano ingredienti, ma resta il fatto che nonostante tutti i vari aspetti stiamo sempre a parlare di un piatto povero, ma sostanzioso al tempo stesso perché arricchito con carne o strutto. È quell’arte straordinaria di sfamare la famiglia con poco, di cui sono state testimoni le nostre nonne in periodi diffi cilisimi come il dopoguerra, e per la quale andrebbero premiate con la laurea honoris causa in economia. Iniziamo questo viaggio nel mondo dei “capuzi garbi” con una ricetta che arriva da Zlobin. I “capuzi garbi” vanno messi a cottura con un po’ di strutto, dell’aglio e dei pezzi di carne secca (o fresca) di maiale. In un altra padella si mettono a lessare quattro-cinque patate. Una volte cotte e pelate, vanno schiacciate con una forchetta e quindi incorporate ai “capuzi garbi” e alla carne. Aggiungete due pugni di farina di mais, mescolate bene affi nché si incorpori tutta e lasciate cuocere per una decina di minuti. Regolate di sale e servite caldo. Andiamo ora a Tršće per un piatto ancor più ricco. Prendete dei “capuzi garbi” e metteteli a lessare per un po’ nell’acqua bollente. Togliete dal fuoco e fate sgocciolare. In una pentola scaldate lo strutto (va bene anche l’olio) e aggiungete dei ciccioli. Lasciate andare per un po’ e quindi mettete nella padella i “capuzi garbi”. Fate stufare per qualche minuto, quindi incorporate uno-due cucchiaini di paprika in polvere (dolce o piccante a seconda dei gusti). Mescolate bene e regolate di sale. Fate stufare per 10-15 minuti. È un ottimo contorno con le salsicce o con della carne di maiale arrosta. Da Viškovo (San Matteo), alle spalle di Fiume, oltre a una ricetta ci arrivano anche alcuni preziosi consigli. Ad esempio, racconta Jelka Žilić nel suo libro dedicato alla cucina dello Halubje e del Castuano, ad un chilo di carne di maiale (secca o fresca che sia) corrisponde un chilo di “capuzi garbi”. Nella preparazione con i “fasoi” quest’ultimi vanno preparati separatamente, ma insieme con i “capuzi” dentro i quali, però, è obbligatoria la carne. In una pentola mettiamo a cottura i “capuzi garbi” e la carne di maiale (attenzione al sale se si tratta di carne secca). In un altro recipiente lessiamo i fagioli (un pugno e un “bic’” in più per persona) che possiamo insaporire con della pancetta. In una pentola facciamo del soffritto con strutto (o olio) e farina. Quando ha preso un po’ di colore, aggiungiamo i “capuzi garbi” (senza la carne) con 4-5 spicchi d’aglio. Lasciamo insaporire. Incorporiamo i fagioli con tutta l’acqua e cuociamo per una mezz’oretta. Serviamo caldo con l’aggiunta della carne di maiale cotta con i “capuzi garbi”. Il nostro viaggio ci racconta ora di un piatto che con i suoi ingredienti ci parla di Istria. Prendete dei “capuzi garbi” e lavateli bene. Scegliete una pentola capiente nella quale poggerete metà dei “capuzi” che avete scelto. Una volta conclusa questa operazione aggiungiamo un osso di prosciutto istriano, l’ombolo di maiale, della carne di vitellone a pezzi grossolani e quindi copriamo con il resto dei “capuzi garbi”. Aggiungete dell’acqua, una foglia d’alloro un rametto di rosmarino. Con della pancetta e dell’aglio preparate del pesto che incorporerete ai “capuzi” e alla carne. Mettete a cuocere a fuoco lento per 2-3 ore. Con l’aiuto di un mestolo togliete il pesto e mettete in tavola cercando di servire un pezzo di ogni tipo di carne per porzione. E degli ottimi “capuzi garbi”. Ed eccoci arrivati a Trieste e a quanto riporta Maria Stelvio nel suo vademecum sulla cucina del capoluogo giuliano. Prendete un chilo di “capuzi garbi” e copriteli con dell’acqua fredda, facendoli bollire per 30 minuti. Se sono di qualità troppo acida, è meglio cambiare l’acqua dopo la prima bollitura. Rosolate il lardo battuto, soffriggete la farina e l’aglio e incorporate il comino tritato. Aggiungete i “capuzi garbi” con tutta l’acqua, una foglia d’alloro, pepe e sale. Fateli stufare per due ore. Prolungando la cottura o riscandandoli riescono più saporiti. I tedeschi dicono che questa pietanza è buona quando è stata riscaldata almeno per sette volte. Si suppone che le ragazze tedesche debbano il loro bel colorito al forte consumo di “capuzi garbi”. di Fabio Sfi ligoi La cucina di queste terre, specie nel periodo freddo, è impensabile senza i “capuzi garbi”, quelli che in lingua vengono chiamati “crauti”, termine che ci associa all’Oktoberfest di Monaco di Baviera, a qualche chilometro di wurstel e a un paio di “krügel” di birra. I nostri sono e restano “capuzi garbi”, fatti in “tecia”, in maniera semplice, ai quali si accompagna l’ombolo cotto nel vino, qualche ottima “luganiga” istriana, uno stinco di vitello cotto nella strepigna sotto la brace o della porchetta allo spiedo. Come si nota, piatti pesanti, nei quali il compito dei “capuzi” è quello di fungere da contorno e con la loro acidità sgrassare il piatto principale. Il tutto magari accompagnato da un buon teran… I “capuzi” ci raccontano anche della storia di queste terre (Istria, Quarnero, Friuli Venezia Giulia), di una ben marcata infl uenza teutonica sulla nostra cucina, riscontrabile anche in altri piatti tipici. I “capuzi” sono cavoli cappucci (quelli di colore bianco) sottoposti a una particolare tecnica di conservazione che sfrutta le proprietà conservanti del sale associate a una fermentazione lattica. Questo tipo di tecnica era in uso presso i cinesi migliaia di anni fa, in Europa appartiene alla tradizione altoatesina e tedesca. Preparazione dei «capuzi» I cavoli capucci vengono lavati, privati del torsolo e delle foglie esterne; vengono poi tagliati con un’apposita affettatrice e deposti a strati in un alto contenitore, alternati ad una manciata di sale. Alcuni aggiungono aromi quali semi di cumino e bacche di ginepro. I futuri “capuzi garbi” vengono quindi ben pressati e coperti con qualche foglia di cavolo, e fatti fermentare a temperatura ambiente per una settimana, poi al fresco di una cantina per almeno 3-4 settimane coperti da una stoffa ed un coperchio di legno, sormontato da una pietra. In queste condizioni i fermenti lattici (tra cui quelli dello yogurt) trasformano gli zuccheri presenti in acido lattico. Si arriva così ad una progressiva acidifi cazione dell’ambiente fi no alla sua stabilizzazione che favorisce la conservazione dei “capuzi”per parecchi mesi. Questo è il metodo tradizionale, ovviamente le industrie alimentari utilizzano metodi moderni più rapidi e controllati, che garantiscono la standardizzazione del prodotto e le perfette condizioni igieniche. Caratteristiche nutrizionali Nella preparazione dei “capuzi” non vengono aggiunti alimenti calorici (a parte l’aceto, che fornisce un contributo calorico tutto sommato trascurabile) e quindi hanno gli stessi valori nutrizionali del cavolo, maggiorati dal fatto che durante la fermentazione perdono acqua (assorbita dal sale) e quindi vengono concentrati, un po’ come se fossero cotti. Il valore nutritivo aumenta di molto poco, infatti i crauti hanno circa 25 kcal contro le 19 del cavolo cappuccio crudo. Il sapore piuttosto intenso li rende molto più appetibili dei cavoli crudi, e li rende consumabili anche senza aggiunta di condimenti grassi. Se si acquistano “capuzi garbi” in scatola, bisogna controllare che siano “al naturale” e non conditi con alimenti grassi. Le origini del piatto sono triestine La jota, una minestra nata quasi per caso Uno dei piatti caratteristici delle nostre terre e del periodo freddo è la jota, la minestra di fagioli con aggiunta di “capuzi garbi” (e non di rape acide come molti pensano, quella è un’altra cosa). L’etimologia del nome è controversa: c’è chi lo fa derivare dal tardo latino jutta, brodaglia, il quale a sua volta originerebbe da una radice celtica. Il che è molto probabile visto che lo stesso significato di brodo, brodaglia, beverone o mangime lo si ritrova nel termine cimbro yot, nell’irlandese it e nel gergo del Poitou jut, mentre in Cecoslovacchia con il termine jucba s’intende una minestra di cavoli. Ma la parola è diffusa anche in Emilia: a Parma, Reggio e Modena, infatti, dzota significa brodaglia. Da non dimenticare inoltre il corso ghiotta, l’engadinese giuota e il calabrese jotta, tutti con il significato di intruglio. Quanto alle origini vere e proprie del piatto, è assolutamente certo che non sono austriache. Nelle minestre austriache i fagioli rossi secchi brillano per la loro assenza. È molto probabile, invece, che le origini della jota siano triestine, anche se sloveni e friulani ne rivendicano la paternità. I fagioli rossi, infatti, furono scarsamente usati in Slovenia sino a tempi abbastanza recenti: le minestre tipiche slovene sono minestre con orzo, patate, rape, crauti, e talvolta fagioli bianchi. Altrettanto latitanti, anche se non as- senti, furono e sono tuttora i “capuzi garbi” in Friuli, dove si preferisce usare la brovada (rape acide). Sia i fagioli rossi secchi che i “capuzi garbi” sono invece in auge a Trieste ormai da secoli. Come è nata la jota? Probabilmente qualcuno, partendo con l’idea di preparare una pasta e fagioli, si è poi trovato, per fretta o per pigrizia, a dover fare a meno della pasta che, è bene ricordarlo, un tempo veniva confezionata esclusivamente a mano. Avendo avuto però a disposizione dei “capuzi garbi” preparati secondo la classica ricetta, ipotesi largamente attendibile in tutte le famiglie triestine di un tempo, può darsi che li abbia semplicemente aggiunti ai fagioli e, riscaldando il tutto, abbia così ottenuto la prima jota. Dalla jota sono derivate diverse versioni in varie località: abbiamo così la jota triestina, la friulana, la bisiaca e la slovena. Esistono persino versioni, diciamo così, letterarie, ossia sorte da errate interpretazioni da parte di autori non triestini. Così qualcuno ci suggerisce di prepararla con i cavoli cappucci freschi, farina di frumento e farina di polenta aggiungendovi anche “qualche bacca (?) di comino”, mentre altri la descrivono disinvoltamente nel capitolo che tratta della polenta. In Germania, dove sono dei veri maestri quanto a crauti in tutte le salse, questo minestrone è stranamente del tutto sconosciuto. La ricetta della jota Per prepararla avrete bisogno di tre recipienti distinti: una casseruola per i “capuzi garbi”, una padella per il disfritto e una pentola per cuocere i fagioli e per completare il minestrone. Ingredienti: Un cucchiaio d’olio Un etto di pancetta tagliata a striscioline un po’ spesse 300 grammi di “capuzi garbi” 300 grammi di fagioli secchi tenuti a mollo nell’acqua per un’intera notte Un po’ di maiale affumicato da scegliere tra orecchio, codino, costine Un etto di cotenna fresca grassa in un unico pezzo Una foglia di alloro Due spicchi d’aglio schiacciati e pelati Sale e pepe Mezzo cucchiaio di strutto o un cucchiaio d’olio per il soffritto Un altro spicchio d’aglio per il soffritto Due cucchiai di farina Mettete i fagioli sul fuoco coprendoli abbondantemente con acqua fredda, assieme alla cotenna, al maiale affumicato, alla foglia di alloro e agli spic- chi d’aglio. L’acqua non deve essere salata. Mentre i fagioli iniziano a cuocere, versate l’olio in un tegame e fatevi colorire bene la pancetta, quindi aggiungete i “capuzi garbi”, salate, pepate, coprite il recipiente e continuate la cottura a fuoco molto dolce. Se sarete bravi, “capuzi garbi” e fagioli saranno cotti assieme, dopo circa un’ora e mezza di sobbollitura. I crauti vanno sorvegliati spesso e mescolati per evitare che si asciughino troppo attaccandosi al fondo del tegame. Se necessario, bisogna aggiungere un po’ d’acqua. Appena prima che i fagioli siano cotti, cioè dopo poco più di un’ora, preparate il soffritto: fate riscaldare lo strutto o l’olio in una padella, mettetevi lo spicchio d’aglio tritato e fatelo colorire, quindi unite la farina e - mescolando in continuazione - fatela imbiondire, quindi versate il soffritto nella pentola dei fagioli. A questo punto unite ai fagioli anche i “capuzi garbi” e, se necessario, ripristinate il livello del liquido. Salate moderatamente, pepate e ultimate la cottura sempre a fuoco basso. Se volete potete passare parte dei fagioli. Il piatto non andrebbe servito subito, ma lasciato a riposare sino al giorno successivo, quando lo si farà nuovamente bollire prima di distribuirlo nei piatti. Da notare, inoltre, che i veri intenditori preferiscono la jota tiepida e non calda: è così, infatti, che questa pietanza tocca la perfezione. Piatto di tradizione ottomana Sarme, un must di ogni Capodanno “Dovemo farle, magari una volta sola, ma dovemo farle”: è l’ordine, più benevolo di quanto sembri, di fronte al quale non si discute e che arriva dalla bocca di mia madre puntualmente prima delle festività di Natale e Capodanno. Il riferimento riguarda le sarme, gli involtini di carne in foglie di “capuzi garbi”, così buone che spesso e volentieri ritornano sulle nostra tavola anche dopo i bagordi di fi ne anno, sia per una questione di convenienza, sia per motivi di praticità. È noto che le sarme, di solito prodotte in quantità “industriali”, ben si conservano nel freezer e ogni qualvolta vengono tolte dal frigo per venir riscaldate, risultano sempre più buone. L’origine di questo piatto è turca, lasciata probabilmente in eredità in queste terre dall’occupazione ottomana. I turchi usavano preparare degli involtini di carne arrotolati nelle foglie di vite. Come per altri piatti, anche per le sarme esistono diversi tipi di preparazione: si va dal modo di arrotolarle a come viene preparata la farcia (passata in padella o a crudo, solo carne di manzo o solo carne di maiale, o tutte due), dall’uso o meno del soffrito fi no all’aggiunta di un po’ di passata di pomodoro o un pizzico di paprika. Insomma ad ognuno il suo… Il consiglio è di optare per due tipi di carne: un terzo di carne di maiale e due terzi di carne di manzo da tritare due volte. Per dare un sapore particolare alla farcia, al vostro macellaio di fi ducia fate tritare con la carne anche un po’ di pancetta, meglio se affumicata. Oltre alla testa del cappuccio acido (due chili cca per 24-26 sarme), vi servira almeno un altro chilo di “capuzi garbi”. E poi gli altri soliti ingredienti: aglio, prezzemolo, una tazza di riso, sale e pepe Separate con delicatezza le foglie del “capuzo” e immergeteli in un recipiente nel quale avrete messo dell’acqua tiepida, operazione necessaria per ridurre l’acidità e ammorbidire le foglie per maneggiarle meglio. Se dovessero restare delle foglie, tritatele fi nemente e aggiungetele al resto dei “capuzi garbi”. In un recipiente mettete la carne alla quale aggiungerete del trito di aglio (secondo i gusti) e prezzemolo, il riso, un uovo per legare, un cucchiaino di condimento Vegeta, sale e pepe. Lavorate il tutto per qualche minuto affi nché gli ingredienti si incorporino per bene. Lasciate riposare un po’ e procedete quindi alla farcitura delle foglie, partendo da quelle più grandi. Una volta terminata la carne prendete una pentola capiente. Sul fondo adagiate una parte dei “capuzi garbi” che avrete precedentemente lavato per togliere l’acidità. Poi mettete uno strato di sarme, quindi altri “capuzi garbi” e così via. Fra uno strato e l’altro si può introdurre della pancetta affumicata per insaporire il tutto. Concludete ricoprendo l’ultima fi la di sarme con i “capuzi garbi”. Aggiungete abbondante acqua, corpite la pentola e mettete a cuocere a fuoco lento per tre orette. Buon appetito.

6 cucina Uno dei frutti meno popolari in autunno, ma presente sulle bancarelle dei mercati, è la melagrana che appartiene alla famiglia delle Punicaceae. Ha dato il nome alla città di Granada ed è da sempre considerat melograno è un albero leg antica tradizione, sinonim lenni della fertilità per tu culture che si sono lasciat durre dai suoi frutti, ricch semi di accattivante col rosso. Le spose romane u vano intrecciare tra i ca pelli rami di melograno. Nella tradizione asiatica il frutto aperto rappre senta abbondanza e buo augurio. Il notevole num Sabato, 27 ottobre 2007 SAPORI D’AUTUNNO Si merita maggior considerazione: è ricca di vitamine A e B Melagrana, il frutto della fertilità Varietà Esistono molte varieta di questo frutto, la maggior parte delle quali sono coltivate in Medio Oriente e in India, dove e apprezzato soprattutto per il suo succo, utilizzato sia come bevanda (solitamente dopo essere stato addolcito con zucchero) sia come condimento. Le melagrane che vengono coltivate e vendute hanno solitamente una buccia rosso-gialla e grani di colore rosso acceso, dal gusto agrodolce, che contengono un seme bianco oppure giallo, che può essere morbido oppure duro e viene abitualmente consumato insieme al frutto. Caratteristiche qualitative Non acquistate mai melagrane acerbe o non pienamente mature: la maturazione avviene esclusivamente sulla pianta. Preferite i frutti senza alcuna spaccatura in superfi cie: attraverso queste fessure possono verifi carsi attacchi di parassiti o muffe. Il colore della buccia dovrebbe essere rosso con tracce di giallo, senza macchie o ammaccature. Proprietà La parte commestibile della melagrana è solo il 59 p.c.. Questo fatto, unito alla laboriosità dell’operazione di estrazione dei grani, rende l’apporto alimentare della melagrana quasi trascurabile, visto che solitamente non ne viene consumata una quantità suffi ciente ad assorbire dosi rilevanti di principi nutritivi. Conservazione Se riposte in un luogo fresco e asciutto, le melagrane possono conservarsi anche per una settimana, a patto che la buccia non presenti spaccature. dei suoi grani ha ispirato parecchie leggende: in Vietnam la melagrana si apre in due e lascia venire cento bambini, le spose turche la lanciano a terra perché si dice che avranno tanti fi gli quanti sono i chicchi usciti dal frutto spaccato. In Dalma- zia invece la tradizione vuole che lo sposo trasferisca dal giardino del suocero al suo una pianta di melograno. Di origine indiana è la credenza che il succo di questo frutto combatta la sterilità. Nel linguaggio fl oreale non poteva che esprimere amore ardente. Il melograno è una pianta originaria della Persia e dell’Afghanistan, cresce e spontaneo dal sud del Caucaso al Punjab ed è diffuso fi no in Estremo Oriente, oltre che nei Paesi del Mediterraneo. Ricchissimo di vitamine è da millenni fonte di salvezza per i popoli degli aridi territori dell’Asia, considerato il re dei frutti anche per il suo particolare picciuolo a forma di corona. “Punica granatum” è il suo nome scientifi co, il suo fusto che può arrivare anche ai 5 metri d’altezza, è molto ramoso, contorto con una corteccia rosso-grigiastra e rami spinosi. Le foglie sono decidue, oblunghe, per lo più opposte, rigide e lucide. I fi ori scarlatti, sbocciano all’estremità dei rami, da maggio a luglio. Il frutto è una grossa bacca coriacea, tondeggiante di colore giallo-arancio, diviso al suo interno in 7-15 cavità nelle quali sono posti i semi, avvolti da una polpa acida o dolce, succosa e trasparente. La maturazione dei frutti avviene in autunno. Il melograno viene coltivato spesso a scopo ornamentale nei giardini e sui terrazzi nelle regioni più calde, i suoi frutti e i suoi fi ori vengono usati per decorare le tavole e le pietanze. Eppure il melograno avrebbe tutti i motivi per meritarsi maggiore considerazione: i suoi frutti sono ricchi di vitamina A e B. Nell’antichità era tenuto in grande considerazione per le sue proprietà terapeutiche. Già 4.000 anni fa gli egizi conoscevano le proprietà vermifughe della radice del melograno. In Europa, all’inizio del XIX secolo la scorza di questa radice era molto usata nella lotta contro la tenia. Recentemente è stato preso in considerazione il succo di melagrana per i suoi benefi ci cardiovascolari. Il frutto contiene in abbondanza tannino che hanno proprietà astringenti. Oltre che vermifugo la melagrana è rinfrescante, diuretica e tonica. La corteccia del frutto è ancora usata in Africa del nord e in Oriente per conciare il cuoio. Con la buccia essiccata si ottiene un ottimo colorante: un caratteristico giallo tendente al verde che è stato ritrovato perfi no in alcune tombe egizie. In presenza di ferro essa dà una tinta nera adatta per farne inchiostro, anche i fi ori possono servire per preparare un inchiostro rosso. Il frutto oltre a essere un insolito dessert, è il protagonista di golose gelatine, bevande dissetanti, granite, marmellate. Il succo di melagrana è adoperato in cucina nella preparazione dei dolci ma anche della carne. Petti di pollo alla melagrana Ingredienti: Due melagrane 250 grammi di porcini Olio Sale Pepe Pane q.b. Fate rosolare i In una terrina, fate una salsa composta di olio, sale e pepe. Ingredienti: 400 grammi di formaggio caprino fresco Quattro melagrane mature ti a striscioline in una padella con poco olio. Aggiungete quindi il sugo di una melagrana, di un’arancia e il pepe e fate cuocere a fi amma vivace. Ricordate di salare solo verso la fi ne della cottura, perché il sale rende il pollo più duro. Ultimata la cottura cospargete con i chicchi di melagrana e servite subito. Confettura di malagrane tugiata e mettete quindi sul fuoco. Portate a bollitura e lasciate poi cuocere a fuoco vivace fi no a quando versando una goccia su un piatto si rapprenderà velocemente. Togliete dal fuoco, mettete nei vasi e coprite. Invasatela ancora calda fi no ad un cm dal bordo del vaso, e mettete il coperchio ermetico. A questo punto capovolgete il vasetto per 5 minuti in modo che la marmellata ancora bollente impregni l’interno del coperchio. Si effettua così una specie di autosterilizzazione. Bruschette alle melagrane Bagnate le fette di pane, che devono essere alte un paio di centimetri, con questa salsa e abbrustolitele. A parte, in una terrina, ponete i funghi tagliati a fette e i chicchi di melagrane, e condite con sale e pepe e un po’ d’olio. Condite le fette di pane ancora calde con questo composto, e servite. Caprino alla melagrana Sgranate le melagrane e una volta separati i grani, centrifugatene la terza parte. Stemperate il caprino col succo lavorandolo delicatamente ed unitevi i grani. È una preparazione delicata e leggera che può essere servita come antipasto su crostini o su un letto di lattuga. Risotto alle melagrane Ingredienti: 200 grammi di riso Una melagrana 30 grammi di pancetta Una cipolla 1/3 di bicchiere di vino bianco Brodo vegetale Olio Sale Parmigiano Rosolate la cipolla in un tegame, aggiungete la pancetta e fatelo rosolare per bene, aggiungete il riso. Bagnate con il vino bianco e fate sfumare a fi amma viva. Aggiungete a poco a poco il brodo vegetale, ogni qualvolta l’acqua viene assorbita dal riso. A fi ne cottura aggiungete i chicchi della melagrana e il parmigiano. Per chi vuole un risotto più ricco, può aggiungere una noce di burro. Servite caldo.

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Uno dei frutti meno popolari in autunno, ma<br />

presente sulle bancarelle dei mercati, è la<br />

melagrana che appartiene alla famiglia delle<br />

Punicaceae. Ha dato il nome alla città di Granada<br />

ed è da sempre considerat<br />

melograno è un albero leg<br />

antica tradizione, sinonim<br />

lenni della fertilità per tu<br />

culture che si sono lasciat<br />

durre dai suoi frutti, ricch<br />

semi di accattivante col<br />

rosso. Le spose romane u<br />

vano intrecciare tra i ca<br />

pelli rami di melograno.<br />

Nella tradizione asiatica<br />

il frutto aperto rappre<br />

senta abbondanza e buo<br />

augurio. Il notevole num<br />

Sabato, 27 ottobre 2007<br />

SAPORI D’AUTUNNO Si merita maggior considerazione: è ricca di vitamine A e B<br />

Melagrana, il frutto della fertilità<br />

Varietà<br />

Esistono molte varieta di questo frutto, la<br />

maggior parte delle quali sono coltivate in Medio<br />

Oriente e in India, dove e apprezzato soprattutto<br />

per il suo succo, utilizzato sia come bevanda (solitamente<br />

dopo essere stato addolcito con zucchero)<br />

sia come condimento. Le melagrane che vengono<br />

coltivate e vendute hanno solitamente una<br />

buccia rosso-gialla e grani di colore rosso acceso,<br />

dal gusto agrodolce, che contengono un seme<br />

bianco oppure giallo, che può essere morbido oppure<br />

duro e viene abitualmente consumato insieme<br />

al frutto.<br />

Caratteristiche qualitative<br />

Non acquistate mai melagrane acerbe o<br />

non pienamente mature: la maturazione avviene<br />

esclusivamente sulla pianta. Preferite i frutti<br />

senza alcuna spaccatura in superfi cie: attraverso<br />

queste fessure possono verifi carsi attacchi di parassiti<br />

o muffe. Il colore della buccia dovrebbe<br />

essere rosso con tracce di giallo, senza macchie<br />

o ammaccature.<br />

Proprietà<br />

La parte commestibile della melagrana è solo<br />

il 59 p.c.. Questo fatto, unito alla laboriosità dell’operazione<br />

di estrazione dei grani, rende l’apporto<br />

alimentare della melagrana quasi trascurabile,<br />

visto che solitamente non ne viene consumata<br />

una quantità suffi ciente ad assorbire dosi<br />

rilevanti di principi nutritivi.<br />

Conservazione<br />

Se riposte in un luogo fresco e asciutto, le melagrane<br />

possono conservarsi anche per una settimana,<br />

a patto che la buccia non presenti spaccature.<br />

dei suoi grani ha ispirato parecchie leggende: in<br />

Vietnam la melagrana si apre in due e lascia venire<br />

cento bambini, le spose turche la lanciano a terra<br />

perché si dice che avranno tanti fi gli quanti sono<br />

i chicchi usciti dal frutto<br />

spaccato. In Dalma- zia invece la tradizione<br />

vuole che lo sposo trasferisca dal giardino del<br />

suocero al suo una pianta di melograno. Di origine<br />

indiana è la credenza che il succo di questo frutto<br />

combatta la sterilità. Nel linguaggio fl oreale non<br />

poteva che esprimere amore ardente.<br />

Il melograno è una pianta originaria della Persia<br />

e dell’Afghanistan, cresce e spontaneo dal sud<br />

del Caucaso al Punjab ed è diffuso fi no in Estremo<br />

Oriente, oltre che nei Paesi del Mediterraneo.<br />

Ricchissimo di vitamine è da millenni fonte di<br />

salvezza per i popoli degli aridi territori dell’Asia,<br />

considerato il re dei frutti anche per il suo particolare<br />

picciuolo a forma di corona. “Punica granatum”<br />

è il suo nome scientifi co, il suo fusto che può arrivare<br />

anche ai 5 metri d’altezza, è molto ramoso,<br />

contorto con una corteccia rosso-grigiastra e rami<br />

spinosi. Le foglie sono decidue, oblunghe, per lo<br />

più opposte, rigide e lucide.<br />

I fi ori scarlatti, sbocciano all’estremità dei rami,<br />

da maggio a luglio.<br />

Il frutto è una grossa bacca coriacea, tondeggiante<br />

di colore giallo-arancio, diviso al suo interno<br />

in 7-15 cavità nelle quali sono posti i semi, avvolti<br />

da una polpa acida o dolce, succosa e trasparente.<br />

La maturazione dei frutti avviene in autunno.<br />

Il melograno viene coltivato spesso a scopo ornamentale<br />

nei giardini e sui terrazzi nelle regioni più<br />

calde, i suoi frutti e i suoi fi ori vengono usati per<br />

decorare le tavole e le pietanze. Eppure il melograno<br />

avrebbe tutti i motivi per meritarsi maggiore<br />

considerazione: i suoi frutti sono ricchi di vitamina<br />

A e B. Nell’antichità era tenuto in grande considerazione<br />

per le sue proprietà terapeutiche. Già<br />

4.000 anni fa gli egizi conoscevano le proprietà<br />

vermifughe della radice del melograno. In Europa,<br />

all’inizio del XIX secolo la scorza di questa radice<br />

era molto usata nella lotta contro la tenia. Recentemente<br />

è stato preso in considerazione il succo<br />

di melagrana per i suoi benefi ci cardiovascolari. Il<br />

frutto contiene in abbondanza tannino che hanno<br />

proprietà astringenti. Oltre che vermifugo la melagrana<br />

è rinfrescante, diuretica e tonica. La corteccia<br />

del frutto è ancora usata in Africa del nord e<br />

in Oriente per conciare il cuoio. Con la buccia essiccata<br />

si ottiene un ottimo colorante: un caratteristico<br />

giallo tendente al verde che è stato ritrovato<br />

perfi no in alcune tombe egizie. In presenza di ferro<br />

essa dà una tinta nera adatta per farne inchiostro,<br />

anche i fi ori possono servire per preparare un inchiostro<br />

rosso.<br />

Il frutto oltre a essere un insolito dessert, è il<br />

protagonista di golose gelatine, bevande dissetanti,<br />

granite, marmellate. Il succo di melagrana è adoperato<br />

in cucina nella preparazione dei dolci ma<br />

anche della carne.<br />

Petti di pollo alla melagrana<br />

Ingredienti:<br />

Due melagrane<br />

250 grammi di porcini<br />

Olio<br />

Sale<br />

Pepe<br />

Pane q.b.<br />

Fate rosolare i<br />

In una terrina, fate una salsa<br />

composta di olio, sale e pepe.<br />

Ingredienti:<br />

400 grammi di formaggio caprino fresco<br />

Quattro melagrane mature<br />

ti a striscioline in una padella<br />

con poco olio. Aggiungete quindi<br />

il sugo di una melagrana, di<br />

un’arancia e il pepe e fate cuocere<br />

a fi amma vivace. Ricordate di salare<br />

solo verso la fi ne della cottura,<br />

perché il sale rende il pollo più<br />

duro. Ultimata la cottura cospargete<br />

con i chicchi di melagrana e<br />

servite subito.<br />

Confettura di malagrane<br />

tugiata e mettete quindi sul fuoco.<br />

Portate a bollitura e lasciate<br />

poi cuocere a fuoco vivace fi no<br />

a quando versando una goccia<br />

su un piatto si rapprenderà velocemente.<br />

Togliete dal fuoco,<br />

mettete nei vasi e coprite. Invasatela<br />

ancora calda fi no ad un<br />

cm dal bordo del vaso, e mettete<br />

il coperchio ermetico. A questo<br />

punto capovolgete il vasetto<br />

per 5 minuti in modo che la marmellata<br />

ancora bollente impregni<br />

l’interno del coperchio. Si effettua<br />

così una specie di autosterilizzazione.<br />

Bruschette alle melagrane<br />

Bagnate le fette di pane, che devono<br />

essere alte un paio di centimetri,<br />

con questa salsa e abbrustolitele.<br />

A parte, in una terrina,<br />

ponete i funghi tagliati a<br />

fette e i chicchi di melagrane, e<br />

condite con sale e pepe e un po’<br />

d’olio. Condite le fette di pane<br />

ancora calde con questo composto,<br />

e servite.<br />

Caprino alla melagrana<br />

Sgranate le melagrane e una volta separati i grani, centrifugatene la<br />

terza parte. Stemperate il caprino col succo lavorandolo delicatamente<br />

ed unitevi i grani. È una preparazione delicata e leggera che può essere<br />

servita come antipasto su crostini o su un letto di lattuga.<br />

Risotto<br />

alle melagrane<br />

Ingredienti:<br />

200 grammi di riso<br />

Una melagrana<br />

30 grammi di pancetta<br />

Una cipolla<br />

1/3 di bicchiere di vino bianco<br />

Brodo vegetale<br />

Olio<br />

Sale<br />

Parmigiano<br />

Rosolate la cipolla in un tegame,<br />

aggiungete la pancetta e fatelo rosolare<br />

per bene, aggiungete il riso. Bagnate<br />

con il vino bianco e fate sfumare<br />

a fi amma viva. Aggiungete a poco a<br />

poco il brodo vegetale, ogni qualvolta<br />

l’acqua viene assorbita dal riso. A fi ne<br />

cottura aggiungete i chicchi della melagrana<br />

e il parmigiano. Per chi vuole<br />

un risotto più ricco, può aggiungere<br />

una noce di burro. Servite caldo.

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