Il consenso informato delle persone con demenza - E-Noos.It
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RIASSUNTO<br />
<strong>Il</strong> <strong><strong>con</strong>senso</strong> <strong>informato</strong> <strong>delle</strong> <strong>persone</strong><br />
<strong>con</strong> <strong>demenza</strong><br />
CARLO CALTAGIRONE 1,2 , MASSIMO MUSICCO 2,3<br />
1 Università "Tor Vergata", Roma<br />
2 Fondazione "Santa Lucia", Roma,<br />
3 CNR-ITB Segrate (Mi)<br />
L'invecchiamento della popolazione ha <strong>con</strong>dizionato un aumento rilevante della prevalenza<br />
<strong>delle</strong> demenze. Oltre alle problematiche <strong>con</strong>nesse <strong>con</strong> la cronicità che caratterizza<br />
queste malattie, le <strong>persone</strong> <strong>con</strong> <strong>demenza</strong> impongono quotidianamente una<br />
particolare attenzione per quanto attiene l'effettiva <strong>con</strong>divisione fra medico e paziente<br />
<strong>delle</strong> scelte diagnostiche e terapeutiche. Nelle <strong>persone</strong> cognitivamente integre è<br />
meno problematico comunicare informazioni e avere una sufficiente sicurezza che le<br />
motivazioni e le <strong>con</strong>seguenze di un atto medico sono state comprese dall’ammalato.<br />
Per questo la sua decisione di ac<strong>con</strong>sentire ad un determinato percorso diagnostico<br />
e/o terapeutico è in generale <strong>con</strong>siderata frutto della sua autonomia decisionale.<br />
Nelle <strong>persone</strong> <strong>con</strong> <strong>demenza</strong>, invece, la presenza di una riduzione <strong>delle</strong> capacità<br />
cognitive porta spesso a <strong>con</strong>cludere che l’ammalato non è in grado di decidere autonomamente.<br />
Questo articolo discute e argomenta l’opinione degli autori che vada<br />
fatto ogni sforzo per garantire e rispettare ogni residua capacità di autonoma decisione<br />
della persona <strong>con</strong> <strong>demenza</strong>.<br />
Parole chiave: persona <strong>con</strong> <strong>demenza</strong>, <strong><strong>con</strong>senso</strong> <strong>informato</strong>, capacità decisionale.<br />
SUMMARY<br />
The informed <strong>con</strong>sent of person with dementia<br />
The progressive aging of our populations has increased dramatically the prevalence<br />
of dementia. Persons with dementia pose to physician, in addition to the general problem<br />
of managing old patients with a chronic disease, also other peculiar difficulties.<br />
In particular, it is often uncertain whether these patients are expressing an<br />
autonomous <strong>con</strong>sent to the interventions carried out by their physicians. In cognitively<br />
unimpaired person it is relatively easy to communicate those relevant information<br />
necessary for understanding the motivations and potential <strong>con</strong>sequences of a medical<br />
intervention. For this reason <strong>con</strong>sent to treatments and to diagnostic investigations<br />
may be reasonably <strong>con</strong>sidered the result of an autonomous decision. This is more<br />
questionable in persons with dementia where the presence of cognitive impairment<br />
raises the possibility that the patient might be no more competent to decide. This<br />
paper discusses the author's opinion that, in person with dementia, any effort should<br />
be done for to guarantee and respect any residual capacity of deciding.<br />
Key words: person with dementia, informed <strong>con</strong>sent, competence.<br />
Indirizzo per la corrispondenza: Massimo Musicco, CNR-ITB, Via F.lli Cervi 93, 20099 Segrate (MI).<br />
IL CONSENSO INFORMATO<br />
IN PSICHIATRIA<br />
NÓOς<br />
1:2012; 57-61<br />
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NÓOς<br />
C. CALTAGIRONE, M. MUSICCO<br />
IL CONSENSO INFORMATO DELLE PERSONE CON<br />
DEMENZA<br />
La pratica del <strong><strong>con</strong>senso</strong> <strong>informato</strong> va sempre più diffondendosi in medicina<br />
alla pari <strong>con</strong> l’importanza attribuita all’autonomia del paziente e <strong>con</strong> il tramontare<br />
dell’atteggiamento paternalistico dei medici. La ricerca del <strong><strong>con</strong>senso</strong><br />
del paziente non è più una prassi limitata alla partecipazione a studi o<br />
sperimentazioni, ma si estende ormai a tutte le pratiche cliniche di carattere<br />
diagnostico e terapeutico. La formale documentazione dell’esistenza del<br />
<strong><strong>con</strong>senso</strong> del paziente a specifici interventi, siano essi diagnostici che terapeutici,<br />
tende a rendere esplicito quanto una volta si realizzava all’interno di<br />
un implicito rapporto di fiducia fra un singolo paziente e il suo medico. <strong>Il</strong><br />
<strong><strong>con</strong>senso</strong> è uno strumento attraverso il quale il paziente realizza la sua autonomia<br />
quando, senza costrizioni e <strong>con</strong> completa informazione, gli viene<br />
offerta la possibilità di decidere se accettare o meno un qualunque intervento<br />
medico. È però ovvio chiedersi se la persona <strong>con</strong> <strong>demenza</strong> mantenga l’autonomia<br />
decisionale e sono numerose le situazioni in cui il medico deve giudicare<br />
se la persona <strong>con</strong> <strong>demenza</strong> è ancora in generale capace di decidere.<br />
Inoltre, anche quando il medico giudica che la capacità decisionale è preservata,<br />
ci si chiede se le decisioni prese dal malato siano effettivamente autonome.<br />
L’autonomia prevede infatti non solo che tutte le informazioni utili a<br />
decidere siano state fornite alla persona ma anche che queste siano state correttamente<br />
comprese.<br />
Ogni problematica inerente la persona <strong>con</strong> <strong>demenza</strong> è rilevante in termini di<br />
sanità pubblica in quanto le demenze sono malattie croniche la cui incidenza<br />
cresce esponenzialmente <strong>con</strong> l’età. Si può stimare che in <strong>It</strong>alia vi sia oggi un<br />
milione di <strong>persone</strong> <strong>con</strong> <strong>demenza</strong> e che questo numero sia destinato ad<br />
aumentare nel futuro 1 . In altre parole ciò significa che quasi ogni famiglia e<br />
sicuramente ogni medico si trovano oggi ad avere a che fare <strong>con</strong> almeno una<br />
persona <strong>con</strong> <strong>demenza</strong> e a dover affrontare direttamente o indirettamente il<br />
problema della sua autonomia di decisione.<br />
La pratica del <strong><strong>con</strong>senso</strong> <strong>informato</strong> si è sempre più diffusa come necessità di<br />
dare risposte non solo a problemi etici ma anche di carattere legale. È infatti<br />
opinione diffusa che la responsabilità del medico sarebbe sollevata dal fatto<br />
che il paziente è stato <strong>informato</strong> circa i rischi che si possono correre accettando<br />
specifiche procedure diagnostiche e terapeutiche o accettando di partecipare<br />
ad una sperimentazione clinica. Si deve però tenere presente che,<br />
pur prescindendo dalla effettiva competenza del paziente, la responsabilità<br />
piena ricade sempre e comunque sul medico. È quindi una interpretazione<br />
errata quella che vede il <strong><strong>con</strong>senso</strong> del paziente come uno sorta di scudo legale<br />
<strong>con</strong>tro i possibili effetti negativi che un intervento può comportare. La<br />
responsabilità del medico non è minimamente ridotta dalla presenza di un<br />
valido <strong><strong>con</strong>senso</strong> da parte del paziente ad una terapia inappropriata o sbagliata.<br />
Inoltre dal punto di vista legale, il fatto che il paziente abbia fornito il suo<br />
<strong><strong>con</strong>senso</strong> ad una procedura non solleva il medico dalla responsabilità degli<br />
eventuali danni derivati dalla procedura stessa.<br />
<strong>Il</strong> <strong><strong>con</strong>senso</strong> della persona malata a interventi diagnostici e terapeutici e a<br />
partecipare a sperimentazioni cliniche presuppone la sua capacità di scegliere<br />
liberamente in base alle sue preferenze, ai suoi valori, e circostanze di<br />
vita. Queste scelte, che inevitabilmente presentano ampi gradi d’incertezza,<br />
sembrano a prima vista richiedere l’integrità dei processi cognitivi, e in particolare<br />
<strong>delle</strong> funzioni mnesiche. La perdita di capacità cognitive e di memo-
ia <strong>delle</strong> <strong>persone</strong> <strong>con</strong> <strong>demenza</strong> pone quindi in discussione la possibilità di<br />
una loro libera e autonoma scelta 2 . Nella pratica clinica ciò spesso comporta<br />
che l’interlocutore del medico non sia più il paziente ma i suoi familiari o<br />
altre <strong>persone</strong> che si prendono cura o presuppongono di prendersi cura della<br />
persona <strong>con</strong> <strong>demenza</strong>. Lasciare che la volontà del paziente venga tout court<br />
rappresentata da altri è però una <strong>con</strong>dizione che non garantisce che le decisioni<br />
prese siano rispettose <strong>delle</strong> preferenze dell’ammalato. Sono invece<br />
numerose le situazioni in cui le preferenze e il vantaggio della persona <strong>con</strong><br />
demenze sono sacrificate a favore di quelle di familiari e caregiver. Si pone<br />
quindi il problema di tentare di definire limiti, modalità e <strong>con</strong>dizioni entro<br />
cui il medico deve invece ricercare il diretto <strong><strong>con</strong>senso</strong> della persona <strong>con</strong><br />
<strong>demenza</strong>.<br />
È opinione comune che la libera scelta dell’ammalato presupponga la <strong>con</strong>sapevolezza<br />
di malattia, solo chi ha coscienza del proprio stato potrebbe,<br />
se<strong>con</strong>do questo ragionamento, attuare libere scelte circa le diverse possibili<br />
opzioni di carattere diagnostico e terapeutico che la malattia <strong>con</strong>diziona 3,4 .<br />
Dato poi che la coscienza di malattia, il cosiddetto insight, può essere valutato<br />
<strong>con</strong> specifici test neuropsicologici ed è comunque fortemente correlato<br />
alle capacità cognitive della persona, viene proposto di utilizzare una o più<br />
scale di insight o più semplicemente scale per la valutazione cognitiva, per<br />
decidere se l’ammalato è o meno competente a decidere 2 . Questo suggerimento<br />
però <strong>con</strong>traddice una pratica che sta divenendo sempre più comune e<br />
cioè le cosiddette direttive anticipate. Nel caso <strong>delle</strong> direttive anticipate,<br />
infatti, una persona non malata esprime le sue preferenze non su una <strong>con</strong>dizione<br />
reale e presente ma ipotizzando una futura <strong>con</strong>dizione di malattia.<br />
Manca pertanto, al momento della decisione, la coscienza o <strong>con</strong>sapevolezza<br />
di un proprio stato di malattia. Ciononostante, seppure <strong>con</strong> distinguo e diverse<br />
opinioni sulla loro effettiva cogenza, nessuno metterebbe in discussione<br />
che la decisione anticipata possa avere realizzato una libera scelta della persona.<br />
Vale semmai la problematica se queste decisioni potranno essere <strong>con</strong>siderate<br />
ancora valide quando si realizzerà la <strong>con</strong>dizione di malattia oggetto<br />
di decisione anticipata. Da questa argomentazione si può dedurre che la persona<br />
<strong>con</strong> <strong>demenza</strong>, sebbene spesso in<strong>con</strong>sapevole della sua malattia, non<br />
può essere per ciò stesso <strong>con</strong>siderata incapace di prendere decisioni libere in<br />
accordo <strong>con</strong> i suoi valori, preferenze e circostanze di vita. La <strong>con</strong>sapevolezza<br />
di malattia, necessaria per una libera scelta, si riferisce allora ad un qualche<br />
cosa di più complesso rispetto alla semplice capacità di ri<strong>con</strong>oscere i<br />
propri sintomi e segni che può spesso mancare nella persona <strong>con</strong> <strong>demenza</strong><br />
(anosognosia). Quando un ammalato deve esprimere scelte autonome rispetto<br />
ad un intervento medico, più che la <strong>con</strong>sapevolezza di malattia, sembra<br />
importante la capacità di rapportare le <strong>con</strong>dizioni che questi interventi possono<br />
determinare <strong>con</strong> i propri valori, scelte e circostanze di vita.<br />
La neuropsicologia moderna, <strong>con</strong> l’ausilio <strong>delle</strong> tecniche di neuroimaging<br />
funzionale, ha dimostrato che le immagini mentali sono un fenomeno biologico<br />
documentabile. <strong>Il</strong> loro substrato biologico <strong>con</strong>siste nell’attivazione funzionale<br />
di specifici gruppi di neuroni 5 . L’evocazione di immagini mentali è<br />
stata documentata anche nel processo decisionale e soprattutto si è evidenziato<br />
come l’immagine mentale si associa all’attivazione di aree cerebrali<br />
direttamente o indirettamente legate alla percezione di emozioni 6,7 . Vi sono<br />
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allora buone ragioni per <strong>con</strong>siderare il meccanismo decisionale come un processo<br />
fortemente dipendente dall’emozione. La <strong>con</strong>sapevolezza di malattia,<br />
necessaria a garantire autonome decisioni, è quindi difficilmente riducibile<br />
alla integrità di specifici domini cognitivi valutabili <strong>con</strong> i comuni test neuropsicologici<br />
o <strong>con</strong> scale di insight.<br />
Sulla base di quanto sin qui argomentato sembra preferibile che il medico<br />
faccia ogni sforzo per informare direttamente il paziente <strong>con</strong> <strong>demenza</strong>, adeguando<br />
l’informazione alle capacità cognitive del paziente stesso, al fine di<br />
<strong>con</strong>oscerne direttamente o indirettamente le preferenze. <strong>Il</strong> parere dei familiari<br />
può e deve essere sicuramente richiesto ma <strong>con</strong>siderato se<strong>con</strong>dario a quello<br />
del paziente. Di questo difficile processo è responsabile solo il medico in<br />
quanto figura non solo eticamente ma anche legalmente tenuta al principio di<br />
operare per il bene dell’ammalato. Anche quando non è possibile mettere in<br />
atto alcun processo informativo, la persona <strong>con</strong> <strong>demenza</strong> deve comunque<br />
essere coinvolta nel processo decisionale. Un diverso atteggiamento che privilegi<br />
il giudizio di incompetenza porta a far sì che vengano a trovarsi a dare<br />
il <strong><strong>con</strong>senso</strong> terzi per i quali non si ha garanzia che agiscano nel reale interesse<br />
del paziente. Qualora ci si trovi nella <strong>con</strong>dizione di assoluta impossibilità<br />
di dare un giudizio da parte del medico sulle preferenze della persona <strong>con</strong><br />
<strong>demenza</strong> appare giustificato il ricorso al Giudice Tutelare che accerterà la<br />
effettiva <strong>con</strong>dizione di incompetenza e potrà di <strong>con</strong>seguenza nominare l’amministratore<br />
di sostegno.<br />
Se una volta il <strong><strong>con</strong>senso</strong> del paziente era generalmente chiesto solo per la<br />
partecipazione a studi e sperimentazioni, attualmente questa pratica viene<br />
utilizzata anche per procedure diagnostiche e terapeutiche di routine nella<br />
pratica clinica. Del resto, la sperimentazione clinica è sempre più parte integrante<br />
della routine clinica negli ospedali oltre che della attività degli specialisti<br />
e dei medici di famiglia. La distinzione fra ricerca e pratica clinica <strong>con</strong>siste<br />
nella diversa rilevanza degli intenti. La ricerca medica è principalmente<br />
intesa a produrre <strong>con</strong>oscenze che siano utili ai pazienti in generale mentre la<br />
pratica clinica è finalizzata a produrre benefici per quel singolo paziente. La<br />
partecipazione a sperimentazioni cliniche rappresenta però in generale un<br />
vantaggio anche per il singolo paziente perché offre la possibilità di sperimentare<br />
precocemente trattamenti potenzialmente efficaci e perché nel corso<br />
di una sperimentazione l’attenzione per l’ammalato è maggiore che non nella<br />
routine clinica. Per questi motivi non è accettabile che malati <strong>con</strong> problemi<br />
nel fornire il loro <strong><strong>con</strong>senso</strong> <strong>informato</strong> siano esclusi da tali vantaggi. Questa<br />
forma di esclusione potrebbe essersi realizzata in passato nelle sperimentazioni<br />
sulle <strong>persone</strong> <strong>con</strong> <strong>demenza</strong> che per la stragrande maggioranza sono<br />
state precluse ai pazienti <strong>con</strong> livelli di compromissione cognitiva severa.<br />
In letteratura si ritrova però che le sperimentazioni <strong>con</strong> soggetti che non<br />
hanno possibilità di esprimere il loro <strong><strong>con</strong>senso</strong> possono essere <strong>con</strong>dotte solo<br />
a particolari <strong>con</strong>dizioni. Le “speciali” <strong>con</strong>dizioni richieste sono le seguenti:<br />
ci si deve attendere un beneficio diretto per il soggetto; la ricerca è realmente<br />
necessaria per i soggetti che vi partecipano; i rischi sono proporzionati<br />
rispetto ai benefici attesi; non vi sono alternative meno rischiose; non è possibile<br />
raggiungere i medesimi risultati coinvolgendo soggetti capaci di esprimere<br />
il <strong><strong>con</strong>senso</strong>; il legale rappresentante ha espresso un valido <strong><strong>con</strong>senso</strong>. A<br />
parte le ultime due, tutte le altre <strong>con</strong>dizioni sono a ben vedere non specifiche
per le <strong>persone</strong> non in grado di esprimere un <strong><strong>con</strong>senso</strong> e sembrano sostanzialmente<br />
inerenti alla eticità e adeguatezza logica e metodologica <strong>delle</strong> sperimentazioni<br />
sull’ammalato. Si può infatti <strong>con</strong>siderare che l’ammalato in<br />
quanto tale, indipendentemente dal suo livello di compromissione cognitiva e<br />
a differenza della persona sana, è un soggetto debole per il quale va garantito<br />
un adeguato rapporto rischio/beneficio dell’intervento medico indipendentemente<br />
dalla natura clinica o di ricerca dell’intervento stesso.<br />
In <strong>con</strong>clusione il <strong><strong>con</strong>senso</strong> agli interventi medici sulle <strong>persone</strong> <strong>con</strong> <strong>demenza</strong><br />
deve essere ricercato principalmente <strong>con</strong> l’ammalato da parte del medico<br />
curante. La presenza di <strong>demenza</strong> o di danno cognitivo non può essere vista<br />
come <strong>con</strong>dizione che riduce la necessità di <strong>con</strong>divisione <strong>delle</strong> scelte diagnostiche<br />
e terapeutiche tra medico e ammalato. Questa posizione è <strong>con</strong>divisa<br />
ampiamente da geriatri, neurologi e psichiatri come esplicitamente riporta un<br />
recente documento di <strong><strong>con</strong>senso</strong> dei medici aderenti a diverse società scientifiche<br />
8 . <strong>Il</strong> medico, essendo l’unica figura tenuta moralmente e legalmente a<br />
rispettare il principio di beneficialità e quindi a fare il bene dell’ammalato,<br />
deve essere la figura centrale nel processo decisionale che deve precedere la<br />
realizzazione di qualunque intervento medico. In prospettiva, ma in maniera<br />
ancor più necessaria per malati <strong>con</strong> scarse possibilità terapeutiche come nel<br />
caso <strong>delle</strong> demenze, si deve superare la distinzione fra interventi clinici di<br />
routine e interventi nell’ambito di sperimentazioni cliniche. In entrambi questi<br />
tipi di interventi, però, la ricerca di un’autonoma e libera adesione in<br />
prima persona dell’ammalato anche <strong>con</strong> ridotte capacità cognitive è eticamente<br />
doverosa.<br />
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Promuovere e rispettare la libertà decisionale della persona <strong>con</strong> <strong>demenza</strong>: idee <strong>con</strong>divise da<br />
geriatri, psichiatri, neurologi; 2009 http://www.psicogeriatria.it/documenti/<br />
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IN PSICHIATRIA<br />
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