La carestia e l'epidemia del 1816-17 a Foggia - Biblioteca ...

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20.06.2013 Views

Raffaele Letterio La carestia e l’epidemia del 1816-17 a Foggia di Raffaele Letterio 1. La crisi agraria Quella del 1816 fu una carestia che interessò l’intera penisola; essa provocò fame e morte anche tra la popolazione della Capitanata e determinò le condizioni più favorevoli alla diffusione dell’epidemia di tifo petecchiale. “Nel Regno, il raccolto del 1815 di grano, biade e fave fu scarsissimo, giungendo ad un terzo o alla metà in meno del prodotto fertile ed in alcuni luoghi fu addirittura inferiore di due terzi a quello degli anni precedenti”. 1 Solo la produzione di mais e fagioli attenuò le conseguenze della crisi. Ma l’anno successivo “ad un nuovo cattivo raccolto del grano si aggiunse quello ugualmente pessimo del mais. […] La situazione era aggravata dal fatto che, per la carestia dell’anno precedente, si era ridotta la semina del grano a favore di quella del mais, genere che nel 1816 fu particolarmente colpito dalla siccità estiva”. 2 In Capitanata l’inverno del 1816 fu scarso di piogge e ciò fece temere seri danni per l’agricoltura. Ma, finalmente, nella seconda metà di maggio “comparvero lentamente le piogge sui vari punti della Provincia e le piante presero un migliore aspetto. […] Proseguendo le acque – scriveva il primo giugno l’Intendente al Ministro degli Interni – negli ultimi giorni dello stesso mese in modo troppo copiose han recato qualche danno a’ campi dè cereali, ma questo danno non è mai paragonabile ai vantaggi riportati”. 3 Anche dalla provincia, i due Sotto Intendenti di S. Severo e Bovino, in data 6 giugno, riferivano notizie positive sullo stato delle campagne, prevedendo buoni raccolti. Ma, con il passare dei giorni, le condizioni atmosferiche andarono peggiorando e la tanto sospirata acqua si trasformò in un danno per le colture. In varie zone della provincia si segnalarono tempeste di vento, continui temporali e forti grandinate. Il 15 giugno nel territorio di Orta Nova il sindaco denunciò seri danni al grano, all’orzo e all’avena per migliaia di ducati, a causa di una forte grandinata. Lo stesso fenomeno si ripeté nei giorni successivi; a Biccari si segnalarono “tempeste di vento” e piogge inten- 1 Maria PALOMBA, La crisi agraria del 1815-17, in Angelo MASSAFRA (a cura di), Il Mezzogiorno preunitario: economia, società e istituzioni, Bari, Dedalo, 1988. 2 Ibid. 3 ASFG, Intendenza Atti, b. 1721, fasc. 1. 175

Raffaele Letterio<br />

<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

di Raffaele Letterio<br />

1. <strong>La</strong> crisi agraria<br />

Quella <strong>del</strong> <strong>1816</strong> fu una <strong>carestia</strong> che interessò l’intera penisola; essa provocò<br />

fame e morte anche tra la popolazione <strong>del</strong>la Capitanata e determinò le condizioni<br />

più favorevoli alla diffusione <strong>del</strong>l’epidemia di tifo petecchiale.<br />

“Nel Regno, il raccolto <strong>del</strong> 1815 di grano, biade e fave fu scarsissimo, giungendo<br />

ad un terzo o alla metà in meno <strong>del</strong> prodotto fertile ed in alcuni luoghi fu<br />

addirittura inferiore di due terzi a quello degli anni precedenti”. 1 Solo la produzione<br />

di mais e fagioli attenuò le conseguenze <strong>del</strong>la crisi.<br />

Ma l’anno successivo “ad un nuovo cattivo raccolto <strong>del</strong> grano si aggiunse<br />

quello ugualmente pessimo <strong>del</strong> mais. […] <strong>La</strong> situazione era aggravata dal fatto che,<br />

per la <strong>carestia</strong> <strong>del</strong>l’anno precedente, si era ridotta la semina <strong>del</strong> grano a favore di<br />

quella <strong>del</strong> mais, genere che nel <strong>1816</strong> fu particolarmente colpito dalla siccità estiva”. 2<br />

In Capitanata l’inverno <strong>del</strong> <strong>1816</strong> fu scarso di piogge e ciò fece temere seri<br />

danni per l’agricoltura. Ma, finalmente, nella seconda metà di maggio “comparvero<br />

lentamente le piogge sui vari punti <strong>del</strong>la Provincia e le piante presero un<br />

migliore aspetto. […] Proseguendo le acque – scriveva il primo giugno l’Intendente<br />

al Ministro degli Interni – negli ultimi giorni <strong>del</strong>lo stesso mese in modo<br />

troppo copiose han recato qualche danno a’ campi dè cereali, ma questo danno<br />

non è mai paragonabile ai vantaggi riportati”. 3 Anche dalla provincia, i due Sotto<br />

Intendenti di S. Severo e Bovino, in data 6 giugno, riferivano notizie positive<br />

sullo stato <strong>del</strong>le campagne, prevedendo buoni raccolti. Ma, con il passare dei giorni,<br />

le condizioni atmosferiche andarono peggiorando e la tanto sospirata acqua si<br />

trasformò in un danno per le colture. In varie zone <strong>del</strong>la provincia si segnalarono<br />

tempeste di vento, continui temporali e forti grandinate. Il 15 giugno nel territorio<br />

di Orta Nova il sindaco denunciò seri danni al grano, all’orzo e all’avena per<br />

migliaia di ducati, a causa di una forte grandinata. Lo stesso fenomeno si ripeté<br />

nei giorni successivi; a Biccari si segnalarono “tempeste di vento” e piogge inten-<br />

1 Maria PALOMBA, <strong>La</strong> crisi agraria <strong>del</strong> 1815-<strong>17</strong>, in Angelo MASSAFRA (a cura di), Il Mezzogiorno preunitario:<br />

economia, società e istituzioni, Bari, Dedalo, 1988.<br />

2 Ibid.<br />

3 ASFG, Intendenza Atti, b. <strong>17</strong>21, fasc. 1.<br />

<strong>17</strong>5


<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

se, che provocarono lo straripamento di torrenti con danni notevoli alle colture. 4<br />

Le pessime condizioni climatiche interessarono tutto il Regno, suscitando<br />

preoccupazioni nelle autorità centrali. Il 10 luglio il Ministro degli Interni invitò<br />

tutti gli Intendenti a spedirgli una relazione sulla produzione cerealicola, raccomandando<br />

loro la massima prudenza nella raccolta <strong>del</strong>le informazioni, che andavano<br />

prese “con riserva da probi proprietari e negozianti <strong>del</strong>la provincia intesi in tali<br />

affari, senza accettare dicerie con formali domande alle autorità ed impiegati municipali”.<br />

5<br />

Le indagini, anche se condotte in modo approssimativo nei tre distretti, rivelarono<br />

un quadro preoccupante e ben diverso dalle aspettative di maggio.<br />

Nel distretto di S. Severo, i sindaci di Serracapriola, Chieuti, San Paolo e<br />

Pietra presentarono richieste “per <strong>del</strong>le riserve annonarie”. “Simili domande – riferiva<br />

il Sotto Intendente di S. Severo – debbonsi reputare preludio di non favorevoli<br />

conseguenze e deve credersi che per quei luoghi il ricolto sia stato scarso”. 6 Anche<br />

nel distretto di Bovino le prospettive erano “generalmente mediocri”.<br />

Il 20 luglio l’Intendente inviò al Ministro il risultato <strong>del</strong>le sue indagini.<br />

Intanto si opina che il ricolto dè grani per approssimazione possa essere di tomoli<br />

24 (1 tomolo = 0,553189 hl ) per versura. Di questo genere sementandosene in<br />

Capitanata secondo si ravvisa dagli stati degli anni precedenti circa versure<br />

ottantacinquemila, il risultato che si da è duemilioni e quarantamila tomoli di<br />

grano. Distrattone per la sussistenza abitanti che contiene la Capitanata, tomoli<br />

1.161.000, calcolati alla discreta ragione di tomoli 4,12 per individuo per l’intero<br />

corso <strong>del</strong>l’anno, si aggiungano seicentomila tomoli di riserva per semenza, e vitto<br />

alle persone suddette al servizio <strong>del</strong>l’agricoltura; ed altre centomila tomoli per<br />

maccaroni, polvere di cipro, colla e farina per le arti e mestieri ne risulterebbe un<br />

avanzo di tomoli <strong>17</strong>9.000 di grano per approssimazione. 7<br />

Ma tali dati sembrano sovrastimati se li confrontiamo con quelli <strong>del</strong> 1818<br />

quando, a crisi superata, furono dichiarati 1.976.055 tomoli. 8<br />

Lo stesso Intendente riconosceva l’incertezza di queste indagini, condotte<br />

senza la collaborazione dei sindaci, “per non eccitare negli animi dei medesimi quegli<br />

allarmi che nella prossima scorsa circostanza <strong>del</strong> bisogno annonario hanno avuto<br />

luogo da per ogni dove”. 9<br />

Ma per quanto ottimistico il calcolo, il Tavoliere era un “territorio strategico<br />

per i rifornimenti granari <strong>del</strong>l’annona napoletana” 10 e quindi molti commercianti si<br />

4 Ibid.<br />

5 Ibid.,b.1645, fasc. 8.<br />

6 Ibid.<br />

7 Ibid.<br />

8 Ibid., b.1645, fasc. 9.<br />

9 Ibid., b.1645, fasc. 8.<br />

10 Saverio RUSSO, Grano, pascolo e bosco in Capitanata tra Sette e Ottocento, Bari, Edipuglia, 1990, p. XXI.<br />

<strong>17</strong>6


Raffaele Letterio<br />

precipitarono ad acquistare grano, aggravando la situazione e favorendo forme speculative.<br />

Scriveva infatti l’Intendente:<br />

Con questo calcolo però la sussistenza <strong>del</strong>la popolazione <strong>del</strong>la Provincia non è<br />

posta al sicuro, dapoichè i grani trovandosi in libera contrattazione con tutte le<br />

province <strong>del</strong> Regno e specialmente colla capitale, Avellino, Terra di lavoro, dalle<br />

medesime corrono già a gran folla <strong>del</strong>l’estesi vatiche di muli e traini a caricar tutto<br />

giorno non picciol quantitativo di grano; e con ciò mai viene ad aversi precisa<br />

contezza <strong>del</strong> quantitativo che se ne estrae e di quello che resta al proprio uso. 11<br />

Con il passare dei giorni, le notizie provenienti dalla provincia misero in<br />

evidenza una realtà ben più grave di quella descritta dai numeri <strong>del</strong>l’Intendente.<br />

Nel distretto di S. Severo si denunciò una resa per versura di quindici o sedici tomoli,<br />

“calcolato cioè alla ragione <strong>del</strong> tre e mezzo per ogni tomolo di semina”. 12 Il confronto<br />

tra raccolto e fabbisogno <strong>del</strong>le popolazioni dava un deficit in tutti i comuni<br />

“ove di un terzo, ove di una metà ed ove di due terzi”. “Questa verità – scriveva il<br />

Sotto Intendente – mi viene comprovata dalle domande di riserve annonarie che<br />

generalmente si fanno per assicurare la pubblica sussistenza <strong>del</strong>le popolazioni”. 13<br />

Ma le disgrazie non erano finite. Alle piogge abbondanti di giugno seguì un’<br />

estate di grande siccità, che compromise completamente la produzione di mais <strong>del</strong>le<br />

zone collinari dei distretti di Bovino e S. Severo. Scriveva il 6 agosto il Sotto<br />

Intendente di S. Severo:<br />

Contribuisce di molto a rendere di maggiore rimarco al bisogno espressato la<br />

precorrente aridissima stagione, che per la siccità e mancanza di acqua ha fatto<br />

perdere in più luoghi ogni speranza sul prodotto <strong>del</strong> ricolto <strong>del</strong> granone, che<br />

formava una risorsa per talune comuni ove se ne faceva <strong>del</strong>l’uso. 14<br />

Il 13 agosto il Sotto Intendente di S. Severo dopo le notizie disastrose provenienti<br />

dai comuni produttori di mais: S. Marco in <strong>La</strong>mis, S. Giovanni Rotondo, S.<br />

Nicandro, Celenza, S. Marco la Catola, Carlantino, Castelnuovo, Pietra, Casalnuovo,<br />

Poggio Imperiale, Volturara, Volturino, Motta, Cagnano, Carpino, concluse: “ogni<br />

vegetabile per mancanza degli umori necessari è restato disseccato sul suolo” . 15<br />

Anche dal distretto di Bovino la situazione fu sintetizzata con poche ma chiare<br />

parole: ”male, malissimo, seccati in molti paesi”. 16<br />

Il <strong>17</strong> agosto l’Intendente nella sua relazione al Ministro <strong>del</strong>l’Interno, scrive-<br />

11 Loc. cit.<br />

12 Loc. cit.<br />

13 Loc. cit.<br />

14 Loc. cit.<br />

15 ASFG, Intendenza Atti, b.<strong>17</strong>21, fasc. 1.<br />

16 Loc. cit.<br />

<strong>17</strong>7


<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

va: “è dispiacente l’aspetto attuale <strong>del</strong>le piante <strong>del</strong> granodindia (mais, n.d.r.), dei<br />

fagioli, <strong>del</strong>le viti e degli alberi di olive per la mancanza <strong>del</strong>le piogge”. <strong>17</strong><br />

Per queste popolazioni, che in tempi normali sopperivano all’insufficienza<br />

<strong>del</strong> grano con il mais, i legumi e lo spigolare per la Puglia, la crisi significò letteralmente<br />

la fame. Scriveva il Sotto Intendente di Bovino: “al deficit di ogni anno si è<br />

provveduto col granone, fave ed altri legumi e con ricolto di spighe, da questi naturali,<br />

fatto nella Puglia”. 18<br />

L’alimentazione principale <strong>del</strong>la maggior parte <strong>del</strong>la popolazione <strong>del</strong>la Capitanata<br />

era rappresentata dal pane, dai legumi (in particolare le fave) e da verdure, sia di orto che<br />

selvatiche. I contadini che vivevano nelle masserie facevano uso <strong>del</strong>la cosiddetta acqua<br />

e sale e <strong>del</strong> pane cotto, con olio e, spesso, con aggiunta di erbe selvatiche. Al pane<br />

usavano accompagnare un companatico poco costoso: la cipolla, l’aglio, frutti secchi,<br />

verdura cotta, ecc. Ma erano numerosi quelli che mangiavano solo pane.<br />

In periodi di difficoltà, e per tanti era la norma, bisognava arrangiarsi. Quando<br />

il grano scarseggiava, si panificava con un miscuglio di farine di grano, orzo,<br />

fave, ceci, ecc... Quello che si otteneva era un prodotto che procurava infiammazioni<br />

al palato e indigestioni. Ad esso si accompagnava qualsiasi tipo di verdura,<br />

compresa la cicuta. Se mancava il pane, ci si cibava di sole erbe. <strong>La</strong> maggior parte<br />

<strong>del</strong>la popolazione poteva permettersi la carne solo nei giorni di festa. <strong>La</strong> classe indigente<br />

nella maggior parte dei paesi <strong>del</strong>la provincia faceva uso di carne ‘mortacina’,<br />

cioè di animali malati o morti naturalmente. Ciò accadeva con maggiore frequenza<br />

d’inverno, quando le pecore e le capre morivano per il freddo o per le malattie.<br />

Il vino, poiché “tempra l’acrimonia degli umori e il soverchio calore <strong>del</strong> corpo<br />

eccitato dalle grandi fatiche”, veniva riservato come energetico nei periodi di particolare<br />

impegno nei campi, in medicina o sulle tavole di chi poteva permetterselo.<br />

Quello che la povera gente beveva era “l’acquata”, ottenuta aggiungendo acqua<br />

alla vinaccia che non dà più mosto. 19<br />

2. Andamento dei prezzi<br />

I prezzi medi praticati nei tre distretti <strong>del</strong>la provincia 20 danno un’idea <strong>del</strong>l’andamento<br />

<strong>del</strong>la crisi dal 1815 al 18<strong>17</strong>. Nel primo semestre <strong>del</strong> 1815 i prezzi dei<br />

grani subirono piccole oscillazioni, ma è dal mese di luglio che iniziò un costante<br />

aumento, che raggiunse il punto più alto nel maggio <strong>del</strong> <strong>1816</strong>.<br />

Se confrontiamo questo mese con lo stesso <strong>del</strong>l’anno precedente notiamo<br />

<strong>17</strong> Loc. cit.<br />

18 Ibid., b.1645, fasc. 8.<br />

19 Tommaso NARDELLA, Serafino Gatti e la Capitanata nella statistica murattiana <strong>del</strong> 1811, <strong>Foggia</strong>, Editrice<br />

Apulia, 1975. Per lo stesso argomento, cfr. Vincenzo RICCHIONI, <strong>La</strong> statistica <strong>del</strong> Reame di Napoli <strong>del</strong> 1811.<br />

Relazione sulla Puglia, Trani, Vecchi e C., 1942.<br />

20 Le tabb. 1, 2, 3 sono tratte da: ASFG, Intendenza Atti, b.<strong>1816</strong>, 18<strong>17</strong>, 1821 e 1822.<br />

<strong>17</strong>8


Raffaele Letterio<br />

per il grano duro un aumento <strong>del</strong> 110%, sia nel distretto di <strong>Foggia</strong> che di S. Severo<br />

e <strong>del</strong> 94% in quello di Bovino. Con il nuovo raccolto, i prezzi subirono, nel mese di<br />

luglio, una diminuzione pari al 44% nel distretto di <strong>Foggia</strong>, al 23% in quello di S.<br />

Severo e al 52% in quello di Bovino. Ma ben presto i prezzi ripresero a salire e a fine<br />

anno erano ritornati ai valori alti di maggio. Con il nuovo anno, però, iniziò una<br />

lenta diminuzione dei prezzi, che indicava il graduale superamento <strong>del</strong>la crisi.<br />

Anche il mercato <strong>del</strong>l’orzo ebbe un andamento abbastanza simile a quello<br />

<strong>del</strong> grano. Dal giugno 1815 iniziò un continuo e costante aumento che, a maggio<br />

<strong>del</strong> <strong>1816</strong>, aveva raggiunto nel distretto di <strong>Foggia</strong> il 105%, in quello di S. Severo il<br />

97% e il 120% nel distretto di Bovino. Poi si verificò una diminuzione nei mesi di<br />

giugno e luglio, per riprendere a salire e ritornare ai valori di maggio. Solo nel febbraio<br />

<strong>del</strong> 18<strong>17</strong> ci fu una inversione di tendenza.<br />

Per quanto riguarda il granodindia, la coltivazione era circoscritta alle aree<br />

collinari <strong>del</strong> subappennino, dove costituiva un elemento importante, insieme ai legumi,<br />

per integrare la modesta produzione di grano; un suo aumento di prezzo<br />

costituiva un serio problema per tanta gente.<br />

Il mais soddisfaceva i bisogni locali, aveva poca commercializzazione e non<br />

in tutti i mesi. Per tutto il 1815 il prezzo si mantenne quasi costante, con piccoli<br />

aumenti nel distretto di Bovino, poi iniziò l’ascesa, che dopo la parentesi autunnale<br />

<strong>del</strong> <strong>1816</strong>, subì per il cattivo raccolto, un nuovo e più deciso impulso.<br />

Il prezzo medio che nel gennaio <strong>del</strong> 1815 era di 1,76 ducati a tomolo nel<br />

distretto di S. Severo e 1,40 in quello Bovino, passò nel gennaio <strong>1816</strong> a 2 ducati nel<br />

primo caso e 2,40 nel secondo, per raggiungere poi 3,64 (+ 107%) e 3,46 (+147%)<br />

ducati <strong>del</strong>lo stesso mese <strong>del</strong> 18<strong>17</strong>.<br />

Graf. 1<br />

<strong>17</strong>9


<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

Tab. 1 - Andamento dei prezzi medi mensili di alcuni prodotti agricoli dal gennaio<br />

1815 al dicembre 18<strong>17</strong> nel distretto di <strong>Foggia</strong><br />

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Raffaele Letterio<br />

Tab. 2 - Andamento dei prezzi medi mensili di alcuni prodotti agricoli dal gennaio<br />

1815 al dicembre 18<strong>17</strong> nel distretto di S. Severo<br />

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<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

Tab. 3 - Andamento dei prezzi medi mensili di alcuni prodotti agricoli dal gennaio<br />

1815 al dicembre 19<strong>17</strong> nel distretto di Bovino<br />

3. <strong>La</strong> crisi a <strong>Foggia</strong><br />

<strong>La</strong> scarsità dei raccolti significò la perdita <strong>del</strong> lavoro e quindi, di qualsiasi reddito,<br />

per tanti lavoratori <strong>del</strong>la Capitanata e <strong>del</strong>le vicine regioni, che d’estate si riversavano<br />

in Puglia per la raccolta <strong>del</strong> grano. In un’economia basata prevalentemente sul<br />

grano, priva, quindi, di alternative produttive, questa seconda crisi, dopo quella <strong>del</strong><br />

1815, significò per moltissime persone l’indigenza e spesso la morte per fame.<br />

Alla industria manifatturiera in Capitanata niuno aveva messo pensiero. Persuasi<br />

che dei soli fatti agricoli e pastorali dovevan occuparsi gli abitanti <strong>del</strong>la<br />

provincia, si contentavano vedersi circondati solamente da quegli artigiani di<br />

182


Raffaele Letterio<br />

cui si ha occorrenza pei primi bisogni <strong>del</strong>la vita. Quindi tutto fermavasi ai fabbri<br />

ferrai, ai falegnami, ai sarti, ai calzolai, ecc. e presso numerate donnicciole<br />

sorgeva qualche triste telaio da cui si otteneva grossa tela ad uso popolaresco.<br />

Questo offriva il 1815. 21<br />

Le prime vittime, nel luglio <strong>1816</strong>, furono i bambini, la parte più debole <strong>del</strong>la<br />

società. Dall’analisi dei registri di morte <strong>del</strong>lo stato civile di <strong>Foggia</strong>, il 52,5 % dei<br />

morti aveva un’età al di sotto dei sette anni (tab. 8) e tale percentuale si mantenne<br />

elevata per più mesi: agosto 53,5 %, settembre 57,9%, ottobre 50,3%. Nel mese di<br />

novembre, pur aumentando notevolmente la mortalità tra la popolazione, si ebbe<br />

un’ inversione di tendenza: la percentuale <strong>del</strong>la mortalità infantile, rispetto al totale,<br />

scese al 33,3%, e al 26% a dicembre.<br />

Con l’inoltrarsi <strong>del</strong>l’autunno, la situazione per la popolazione peggiorò ulteriormente.<br />

Il lavoro in agricoltura si ridusse, mentre il prezzo <strong>del</strong> grano trascinò<br />

verso l’alto quello di altri beni di prima necessità. Il sindaco di <strong>Foggia</strong>, molto preoccupato,<br />

scriveva:<br />

lo stato di miseria in cui giace la classe indigente di questa popolazione merita<br />

tutta la considerazione possibile. A misura che si è inoltrata la stagione rigida,<br />

si è questa sviluppata con maggiore vigore e per l’incarimento di tutti i generi<br />

di prima necessità e per la privazione de’ travagli <strong>del</strong>le campagne. 22<br />

Molti furono costretti a mendicare, ma “questi non trovano che deboli soccorsi,<br />

per cui mancandosi di giorno in giorno i mezzi di sussistenza, cadono in tale<br />

languore che ne vanno a perire miseramente nelle campagne e nelle pubbliche piazze<br />

e negli infelici di loro tuguri”. 23<br />

Dalle campagne e dai paesi più poveri <strong>del</strong>le province limitrofe “una moltitudine<br />

di vagabondi e pezzenti” 24 raggiunse <strong>Foggia</strong>, sperando di trovarvi lavoro, cibo e assistenza.<br />

“Quando un raccolto andava a male se c’erano scorte cui attingere queste si<br />

trovavano per lo più in città, nei granai pubblici o nelle case dei cittadini benestanti.” 25<br />

Ma la città o perché impreparata a questa emergenza o perché ne sottovalutò<br />

la gravità, non seppe affrontarla con tempestività.<br />

Con l’arrivo dei primi freddi la situazione precipitò: alla fame si aggiunsero<br />

le malattie, che fecero aumentare ulteriormente le morti. Nel solo mese di novembre,<br />

i morti furono 207. Rispetto allo stesso mese <strong>del</strong> 1815 ci fu un aumento <strong>del</strong><br />

243%. (tab. 5) Finalmente alla fine di dicembre ci si accorse di quello che, già da<br />

21 Tommaso NARDELLA, Lo sviluppo economico ed industriale <strong>del</strong>la Capitanata dal 1815 al 1852 in una<br />

relazione di Francesco Della Martora, Lucera, Catapano, 1978, p. 73.<br />

22 ASFG, Opere Pie, Serie 2°, b.168, fasc. 1027.<br />

23 Ibid.<br />

24 Ibid.<br />

25 Carlo M. CIPOLLA, I pidocchi e il Granduca: crisi economica e problemi sanitari nella Firenze <strong>del</strong> ‘600,<br />

Bologna, il Mulino, 1970.<br />

183


<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

alcuni mesi, stava avvenendo. “Questa città – scriveva l’incaricato di polizia all’Intendente<br />

di Capitanata – è ammorbata da moltissimi individui vagabondi e pezzenti,<br />

la maggior parte dei quali muore senza assistenza per le pubbliche strade e li<br />

forni sono pieni d’infermi. Questa moltitudine di vagabondi e pezzenti potrebbe<br />

caggionare una grande epidemia. Ne potrà dunque V.E. disporre […] rimpatriarsi<br />

nel proprio comune”. 26<br />

Anche il sindaco condivise questa preoccupazione e propose all’Intendente<br />

di promuovere una raccolta di fondi per l’assistenza di tanti infelici.<br />

Ma due settimane dopo, il <strong>17</strong> gennaio, il sindaco in una lettera all’Intendente<br />

denunciò l’aggravarsi <strong>del</strong>la situazione. Il numero di arrivi e di morti andava aumentando<br />

di giorno in giorno e non si era in condizione di assistere tutti, per cui consigliò<br />

“di dare soccorso in preferenza degli altri, à propri concittadini” 27 e utilizzare<br />

le offerte raccolte, per riaccompagnare i mendicanti nei loro paesi.<br />

L’Intendente non condivise questa soluzione; con una proposta alternativa,<br />

invitò il sindaco ad attivarsi per dare lavoro a questi disperati nei cantieri aperti per la<br />

costruzione <strong>del</strong>le strade di Cerignola, S. Severo e Lucera e soccorrere coloro che non<br />

fossero in grado di lavorare, utilizzando offerte da raccogliere tra i cittadini ricchi.<br />

Ma la proposta non ebbe seguito, visto che il 3 febbraio il sindaco sollecitava<br />

ancora provvedimenti di espulsione, facendo notare che avevano problemi nella<br />

sepoltura di tanti morti. “Occorre buttare tre o quattro carrette di calce per una<br />

dozzina di ducati per problemi legati alle condizioni <strong>del</strong> cimitero”. 28<br />

<strong>La</strong> polemica continuò per molti giorni ed ebbe ripercussioni sulla raccolta di<br />

fondi. Infatti il nuovo sindaco di <strong>Foggia</strong>, il <strong>17</strong> febbraio, comunicò il fallimento <strong>del</strong>le<br />

sottoscrizioni; con 18 ducati raccolti “ogni speranza è cessata, il soccorso non si è<br />

potuto effettuare”. 29<br />

Solo nel marzo 18<strong>17</strong> venne nominata una “commissione pel sollievo <strong>del</strong>la<br />

classe degli indigenti”, sotto la presidenza <strong>del</strong> vescovo e composta da cinque “buoni<br />

intenzionati cittadini”: 30 Antonio <strong>del</strong>la Rocca, Giuseppe M.a Barone, Raffaele<br />

Nannarone, Carlo Barone, Giuseppe Capozzi e da cinque ecclesiastici, tra cui il<br />

Can. de Luca, il Can. De Angelis, il Can. Lettieri, e il sacerdote Antonio Silvestri.<br />

Ad essa fu affidato il compito di allontanare dalle strade <strong>del</strong>la città i “forestieri<br />

mendici” e aiutare i cittadini poveri.<br />

Seguendo le indicazioni manifestate nelle settimane precedenti dal sindaco e<br />

dall’Intendente, la commissione curò l’impiego nei cantieri stradali dei poveri abili<br />

al lavoro, organizzò il trasferimento coatto dei più deboli e più anziani verso il loro<br />

paese di provenienza, ricoverò in ospedale i forestieri bisognosi di cure, elargì elemosine<br />

e medicinali alle famiglie povere foggiane.<br />

26 ASFG, Opere Pie, Serie 2°, b.168, fasc. 1027.<br />

27 Loc. cit.<br />

28 Loc. cit.<br />

29 Loc. cit.<br />

30 Loc. cit.<br />

184


Raffaele Letterio<br />

Per ogni rione <strong>del</strong>la città la Commissione nominò, tra gli “onesti cittadini”,<br />

degli osservatori per controllare i forestieri, le loro malattie e tutto ciò che potesse<br />

mettere in pericolo “il buon ordine di questi cittadini”. 31<br />

Queste operazioni richiedevano finanziamenti che la commissione si procurò,<br />

sensibilizzando le famiglie benestanti <strong>del</strong>la città.In pochi giorni vennero raccolte<br />

sottoscrizioni per 300 ducati.<br />

Per eseguire l’espulsione dei mendìci, era previsto l’invio di questi verso alcuni<br />

centri <strong>del</strong>la provincia, dove i sindaci si sarebbero fatti carico <strong>del</strong> proseguimento<br />

degli stessi verso le rispettive destinazioni. Una scorta militare li avrebbe accompagnati<br />

per impedire che ritornassero.<br />

Il 21 marzo fu effettuata la prima spedizione con sei “traini” verso Lucera. In 10<br />

giorni ne furono organizzate 44, con 564 espulsi. Il 1° aprile il Vescovo poteva finalmente<br />

annunciare: “nella città non si vedono più poveri forestieri, e solamente rimangono<br />

quelli che sono addetti al travaglio <strong>del</strong>le strade pubbliche”. 32 Ma nonostante “le<br />

energiche cure” vantate dalla Commissione e i toni trionfalistici, il fenomeno non fu<br />

affatto risolto se pochi giorni dopo veniva richiesto l’intervento <strong>del</strong>l’Intendente:<br />

Alcuni forestieri nonostante le energiche cure <strong>del</strong>la Commissione, se ne veggono<br />

nella città […] dalla sua autorità se li faccia sentire un ordine imponente, con<br />

quelle misure di rigore, che renderà opportuno; io la prego di farlo subito eseguire<br />

per il buon ordine e per uscire da qualsivoglia pericolo. 33<br />

I trasporti continuarono per tutto il mese di aprile con altri 22 carri.<br />

Complessivamente, tra marzo e aprile, furono espulsi dalla città 742 individui<br />

con 66 viaggi così ripartiti: Bovino 26, San Severo 12, Lucera 10, Cerignola 9,<br />

Manfredonia 5, Troia 3, Ascoli 1. L’intera operazione esaurì il fondo costituito per<br />

l’aiuto alle famiglie povere.<br />

Ma queste cifre nascondono un’amara realtà per molti disgraziati. Da una<br />

lettera di protesta <strong>del</strong> Sottintendente di Ariano, spedita all’Intendente di <strong>Foggia</strong>, si<br />

apprendono particolari disumani su questa operazione di pulizia <strong>del</strong>la città.<br />

31 Loc. cit.<br />

32 Loc. cit.<br />

33 Loc. cit.<br />

34 Loc. cit.<br />

Con l’ultima e penultima spedizione lungo il cammino consolare da Savignano<br />

a questa parte ne sono morti otto, e due altri appena qui giunti anche trapassarono,<br />

presentando i rimanenti di essi agli occhi miei la vera immagine <strong>del</strong> languore<br />

ed il quadro <strong>del</strong>la morte. Non fidandomi intanto di più guardare l’umanità<br />

ridotta in si compassionevole stato, la prego di non far spedire più per<br />

questa volta altri poveri di simil fatta per non soggettarli ad una morte tanto<br />

infelice come quella d’inedia e freddo […] la prego di farli spedire almeno quando<br />

si sono perfettamente riavuti e in salute. 34<br />

185


<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

Il 21 marzo 18<strong>17</strong> il Vescovo, presidente <strong>del</strong>la Commissione, denunciò la morte<br />

di molti poveri, avviati al lavoro nei cantieri aperti per la costruzione <strong>del</strong>le strade di<br />

Lucera e S. Severo, per l’indegno sfruttamento a cui erano sottoposti ad opera degli<br />

appaltatori. Essi erano costretti a lavorare senza percepire denaro, ma solo <strong>del</strong> pane<br />

di pessima qualità. Di questi poveri diavoli non si aveva nessun rispetto neanche da<br />

morti, come risulta da una successiva denuncia <strong>del</strong>l’11 aprile all’Intendente, in cui il<br />

Vescovo accusò gli appaltatori di lasciar morire per strada gli ammalati e abbando-<br />

35 Loc. cit.<br />

186<br />

35


Raffaele Letterio<br />

narne i corpi alla mercé dei cani. <strong>La</strong> stessa Commissione si fece carico, in più occasioni,<br />

di raccoglierli e riportarli in città per una cristiana sepoltura. Finalmente il 12<br />

aprile l’Intendente intervenne sul sindaco di <strong>Foggia</strong> affinché obbligasse gli appaltatori<br />

al trasporto in città degli operai ammalati, disinteressandosi completamente <strong>del</strong>le<br />

condizioni di lavoro degli stessi. 36<br />

4. L’epidemia di tifo petecchiale<br />

“Vi sono nella popolazione umana, individui portatori di coccobacilli, che<br />

stanno a mezzo tra i virus ed i batteri, cui gli scienziati moderni hanno dato il nome<br />

di Rickettsie”. 37<br />

Tra le varie forme, ricordiamo la Rickettsia prowazekii che può trasmettersi<br />

tra gli uomini attraverso i pidocchi. Questi, mordendo il malato, si infettano e,<br />

prima di morire trasmettono la Rickettsie ad altri individui, provocando una malattia<br />

chiamata tifo esantematico o petecchiale. Il periodo d’incubazione varia dai 5 ai<br />

15 giorni e poi improvvisamente compaiono brividi, cefalea, dolori articolari, vertigine,<br />

vomito e compromissione <strong>del</strong>le condizioni generali. Durante la prima settimana<br />

si ha una temperatura molto alta e i sintomi non sono molto diversi da altre<br />

malattie come l’influenza, la febbre tifoidea, l’epatite virale. Dopo un periodo di<br />

quattro-otto giorni, sul corpo <strong>del</strong> paziente compaiono le petecchie. Dopo circa<br />

due settimane, il decorso termina o con la guarigione o la morte <strong>del</strong> malato. Chiaramente<br />

le condizioni fisiche <strong>del</strong>lo stesso giocano un ruolo decisivo. Il pidocchio<br />

diventa, quindi, un importante elemento di collegamento tra le condizioni economiche,<br />

le condizioni igieniche e la malattia.<br />

Le epidemie di tifo si sviluppano, generalmente, nei mesi invernali quando le<br />

condizioni atmosferiche costringono gli uomini a vivere più tempo chiusi in ambienti<br />

malsani e affollati, come le abitazioni di tanta povera gente o le carceri, e a<br />

coprirsi di più, a cambiarsi e a lavarsi meno, insomma le condizioni più favorevoli<br />

per la diffusione dei pidocchi.<br />

5. <strong>La</strong> situazione igienica a <strong>Foggia</strong><br />

<strong>La</strong> città era composta per lo più da case ad un solo piano, con una sola apertura,<br />

la porta; nell’interno, in locali angusti, sudici e poco ventilati, abitavano più famiglie,<br />

che spesso convivevano con cavalli, capre, maiali ed altri animali domestici.<br />

Spesso si trovavano case con locali posti sotto il livello stradale, trasformati<br />

da depositi quali erano in abitazioni (un fenomeno non completamente scomparso<br />

ai nostri giorni). Non vi erano servizi igienici e la gente gettava per strada qualsiasi<br />

36 Loc. cit.<br />

37 C.M. CIPOLLA, I pidocchi e il Granduca…, cit., pp. 7-8.<br />

187


<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

tipo di rifiuto sia liquido che solido, che alimentava persistenti pozzanghere<br />

maleodoranti.<br />

Accanto ad alcune strade larghe e ben tenute, ve n’erano molte strette, sporche<br />

e male lastricate. In più occasioni era dovuto intervenire l’Intendente per ricordare<br />

che <strong>Foggia</strong> era un capoluogo di provincia e non meritava strade così trascurate.<br />

Così scriveva al sindaco il 4 aprile <strong>1816</strong>:<br />

Gli oggetti di Polizia municipale e rurale affidata alla vigilanza <strong>del</strong> primo eletto<br />

sotto la vostra dipendenza sono al tutto trascurati in questo Comune […] In<br />

ogni dove <strong>del</strong>l’abitato stesso sulle strade trovasi dè depositi <strong>del</strong>le immondezze<br />

e di acque putrefatte che contaminando l’aere possono da un momento all’altro<br />

attaccare la salute pubblica […] Le strade di molti vicoli <strong>del</strong> Comune stesso<br />

sono scoverti di brecce e formano tanti depositi fancosi, che vanno in seguito a<br />

putrefarsi. 38<br />

In vari punti <strong>del</strong>la città era abitudine creare depositi di letame e altre immondizie<br />

“per macerarsi” 39 e quindi servire da concime per la campagna.<br />

Torme di porci erano lasciati liberi di aggirarsi per le strade, mentre recinti<br />

improvvisati, posti in vari punti <strong>del</strong>la città accoglievano la sera mandrie di pecore e<br />

capre, che tornavano dal pascolo. 40 Inoltre la strada, per la luce, l’aria e lo spazio,<br />

diveniva la naturale estensione <strong>del</strong>le abitazioni; qui si svolgeva ogni sorta di attività<br />

domestica, artigianale e commerciale.<br />

I commercianti ingombravano le strade con le loro merci, con i tini di aringhe,<br />

baccalà e alici, con i banchi (tinazzi) di frutta, di verdura, di pesce e di carne,<br />

mentre le cantine avevano davanti alle loro rivendite botti e recipienti vari. Tutti,<br />

poi senza problemi, gettavano acqua sporca per strada. 41<br />

Gli animali si macellavano in città, imbrattando le strade con il loro sangue e<br />

con i resti <strong>del</strong>la lavorazione. In certe vie <strong>del</strong>la città era abitudine dei fornai stendere<br />

ad essiccare il letame per farne combustibile per i forni. 42<br />

Altra abitudine era quella di lavare, in certe fosse di acqua stagnante, il letame<br />

per estrarne quella poca paglia non digerita dai cavalli. 43<br />

Si può facilmente immaginare quale dovesse essere il fetore nelle case e per le<br />

strade e la diffusione di parassiti, di topi, di mosche e zanzare.<br />

Tali condizioni igieniche si aggravavano con le alte temperature estive e con<br />

il sopraggiungere in città, nel periodo <strong>del</strong>la mietitura, di una moltitudine di lavoratori<br />

stagionali, che vivevano in condizioni precarie.<br />

38 ASFG, Affari Comunali, Serie 2°, b.350, fasc. 13.<br />

39 Ibid., fasc. 15.<br />

40 Ibid., fasc. 21.<br />

41 Ibid., b.352, fasc. 99.<br />

42 Ibid., b.350, fasc. 15.<br />

43 Giuseppe LUVINI, Osservazioni, in Vincenzo NIGRI (a cura di), Note e documenti riguardanti il tifo<br />

petecchiale sviluppato in <strong>Foggia</strong> nel 1° semestre <strong>del</strong> 1864, <strong>Foggia</strong>, Tipografia di Michele Russo, 1864, pp. 13-14.<br />

188


Raffaele Letterio<br />

Ma questo modo di vivere la casa e la strada era abbastanza diffuso in tutti i<br />

paesi <strong>del</strong> Regno e le autorità più sensibili erano spesso impotenti a modificarle. Il<br />

sindaco di Accadia tentò di vietare la presenza di animali nelle case e nel paese, ma<br />

il Giudice Regio, tenendo conto degli usi e, probabilmente, <strong>del</strong> malcontento che ne<br />

derivò, respinse l’ordinanza <strong>del</strong> sindaco. 44<br />

In queste condizioni era quasi normale l’esistenza di molte malattie e, qualora<br />

si verificasse una crisi agricola, la diffusione di una epidemia.<br />

6. Contagio e mortalità<br />

L’epidemia di tifo petecchiale “che infierì in tutta la penisola tra il 1815 e il<br />

18<strong>17</strong> e le cui conseguenze furono drasticamente aggravate dalla <strong>carestia</strong> […] portò<br />

con sé in buona parte <strong>del</strong> paese il consueto corteggio di mali tradizionali”, tra cui<br />

“l’esasperazione <strong>del</strong> pauperismo con la conseguente impennata <strong>del</strong> tasso di mortalità<br />

e la fame fisiologica”. 45 <strong>La</strong> diffusione <strong>del</strong> tifo in Italia fu facilitata dagli spostamenti<br />

degli eserciti, dei lavoratori stagionali e dei mendicanti. A Napoli, nel 1815 ci furono<br />

casi tra i soldati, mentre “nel Sud il principale focolaio di diffusione fu probabilmente<br />

la regione abruzzese, già colpita nell’estate <strong>1816</strong>”. 46 Dalle scarne notizie trovate<br />

in archivio, apprendiamo che il tifo ‘maligno’ a <strong>Foggia</strong> si diffuse tra i militari<br />

austriaci di stanza in città. Era il giugno <strong>1816</strong> e per circa quattro mesi furono ricoverati<br />

negli ospedali di S. Giovanni di Dio e di S. Agostino oltre trecento soldati. 47<br />

Nell’agosto <strong>1816</strong> furono ricoverati 150 soldati e 20 civili in una struttura che<br />

prevedeva appena 35 letti per i militari e 12 per i pagani (civili), con conseguenze<br />

negative sull’assistenza sanitaria e l’igiene. I letti erano insufficienti, i più fortunati<br />

dormivano in due per letto, gli altri per terra. 48<br />

Con il diffondersi <strong>del</strong>l’epidemia, chi poteva si curava in casa, mentre l’ospedale<br />

divenne il luogo di accoglienza di tanti diseredati. Le condizioni divennero<br />

insostenibili, tanto da portare alle dimissioni <strong>del</strong>l’appaltatore e alle continue proteste<br />

<strong>del</strong>le autorità militari. Tra l’agosto <strong>1816</strong> e il dicembre 18<strong>17</strong> morirono in ospedale<br />

695 persone, 588 uomini e 107 donne (tab. 11).<br />

Nella storia, questi luoghi di cura non hanno mai dato garanzia di isolamento,<br />

anzi “gli ospedali paradossalmente, sembrano fatti apposta per propagare il contagio:<br />

inutili alla cura, sono dannosi alla prevenzione”. 49<br />

Il tifo si diffuse in Capitanata anche attraverso i lavoratori stagionali, i pasto-<br />

44 ASFG, Sanità pubblica, b.8, fasc. 60.<br />

45 Franco DELLA PERUTA, Aspetti <strong>del</strong>la società italiana nell’Italia <strong>del</strong>la Restaurazione, in «Studi storici»,<br />

XVII (1976), 2, pp. 31 e 36.<br />

46 Lorenzo DEL PANTA, Le epidemie nella storia demografica italiana (secoli XIV-XIX), Torino, Loescher,<br />

1980, p. 216.<br />

47 ASFG, Opere Pie, Serie 2°, b.165.<br />

48 ASFG, Consiglio Generale degli ospizi, b.56, fasc. 1052.<br />

49 Giorgio COSMACINI, Storia <strong>del</strong>la medicina e <strong>del</strong>la sanità in Italia, Bari, <strong>La</strong>terza, 1998, p. 286.<br />

189


<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

ri abruzzesi e i tanti affamati dalla <strong>carestia</strong>, ma non esiste una documentazione in<br />

proposito perché nessuna autorità, per alcuni mesi, intuì quello che avveniva tra gli<br />

strati più poveri <strong>del</strong>la città di <strong>Foggia</strong> e <strong>del</strong>la provincia. Solo dai dati dei registri <strong>del</strong>lo<br />

stato civile, depositati nell’Archivio di Stato di <strong>Foggia</strong>, sezione di Lucera, possiamo<br />

tentare una lettura <strong>del</strong> fenomeno.<br />

Il mese <strong>del</strong>la svolta fu l’agosto <strong>del</strong> <strong>1816</strong> in cui si ebbero a <strong>Foggia</strong> ben 181 morti,<br />

che confrontati con i 53 di giugno, danno un aumento <strong>del</strong> 241% e nel mese di agosto<br />

1815 <strong>del</strong> 120%. Il numero continuò a salire e interessò tutto il 18<strong>17</strong> raggiungendo un<br />

totale di 3.124. <strong>La</strong> cifra si riferisce a tutti i decessi e non ai soli casi di tifo. (tab. 5)<br />

L’epidemia investì tutto il Regno e il sospetto che non si trattasse solo di<br />

focolai ma di una vera e propria epidemia, spinse le autorità a costituire un Comitato<br />

di Salute nelle varie province per una accurata indagine sanitaria. Il 23 marzo<br />

18<strong>17</strong>, con una lettera circolare, tutti i medici <strong>del</strong>la Capitanata furono invitati a redigere<br />

e inviare una relazione sulla diffusione <strong>del</strong>le febbri, la loro natura, le cause, i<br />

sintomi e le cure applicate. 50<br />

I primi a rispondere furono i medici foggiani, che esclusero l’aspetto epidemico<br />

<strong>del</strong> fenomeno e parlarono di febbri “inflammatorie” tipiche <strong>del</strong> passaggio dalla<br />

stagione invernale a quella primaverile, favorite da un inverno particolarmente<br />

secco. 51 Con questo termine, secondo il dottore fisico Severino Florio, “si annoverano<br />

<strong>del</strong>le putride, <strong>del</strong>le febbri catarrali, <strong>del</strong>le febbri reumatiche”. Qualche caso di<br />

febbre di “mal costume”, sotto il cui nome erano classificate la “putrida maligna<br />

petecchiale” e il “tifo nervoso”, si era verificato nel mese di febbraio ma aveva interessato<br />

pochi individui appartenenti a particolari categorie. Secondo il dottor Florio,<br />

la prima febbre dipendeva dalle “cattive esalazioni” <strong>del</strong>la gente che si trovava nelle<br />

carceri e nelle case povere. L’altra, il “tifo nervoso”, era causata “dai patemi <strong>del</strong>l’anima<br />

per l’afflizione <strong>del</strong>le famiglie”. 52<br />

Anche per il dottor Antonio De Gennaro, la maggior parte <strong>del</strong>le febbri diffuse<br />

in città erano <strong>del</strong> “genere Sinico Reumatico” che degeneravano in “tifi semplici”.<br />

Secondo le teorie mediche più accreditate <strong>del</strong>l’epoca, le cause andavano ricercate<br />

nelle passioni <strong>del</strong>l’animo, in una cattiva alimentazione e “nella incostanza <strong>del</strong>l’atmosfera<br />

la quale infrange l’azione dei visceri e specialmente di quegli organi addetti<br />

alle diverse secrezioni <strong>del</strong> sistema animale”. <strong>La</strong> cura consigliata era “la corroborante”<br />

adattata ai diversi stadi <strong>del</strong> male e alle specificità <strong>del</strong> malato. 53<br />

Per il dottor Giuseppe Epifanio <strong>del</strong> Vecchio, la natura <strong>del</strong>le febbri era di carattere<br />

reumatico; esse dopo “il primo settenario”, in alcune persone degeneravano<br />

in “putride o nervose”. Le cause andavano ricercate nelle condizioni atmosferiche,<br />

nella qualità dei cibi e nella esalazione dei sepolcri mal custoditi.<br />

Quale cura veniva consigliata? Leggiamo le parole <strong>del</strong>lo stesso <strong>del</strong> Vecchio:<br />

50 ASFG, Sanità Pubblica, b.8, fasc. 60.<br />

51 Ibid.<br />

52 Ibid.<br />

53 Ibid.<br />

190


Raffaele Letterio<br />

Il metodo curativo si divide in due stadi diversi assai tra di loro. Nel primo si<br />

praticano con vantaggio i moderati refrigeranti, i piccoli incisivi e moderati<br />

diaforetici. Subito che la malattia si rende limitrofa e piomba a ciascuna qualità<br />

di tifo si praticano i tonici antisettici ed aromatici, tra i quali la china in forma<br />

d’infuso, la serpentaria virginiana ed il Moschio meritano il primato, non che il<br />

vino dato a piccole riprese. 54<br />

Nella riunione <strong>del</strong> 3 aprile 18<strong>17</strong>, il Comitato sanitario provinciale, in possesso<br />

di diciotto rapporti medici di altrettanti comuni, rilevò che diversi casi di febbre “sinico<br />

reumatica e tifoidea” si erano avuti a <strong>Foggia</strong>, sei a Lucera, e ben 26 casi di “febbre<br />

reumatica nervina” a Vieste. Tuttavia concluse che la situazione sanitaria <strong>del</strong>la provincia<br />

era nella norma e che le febbri esistenti erano tipiche di una stagione incerta. 55<br />

A metà aprile nell’ospedale civile di <strong>Foggia</strong> erano ricoverati 52 poveri, afflitti,<br />

secondo il medico Vitangelo Baroni, da una febbre derivante dalla “occasionale<br />

irregolarità <strong>del</strong>la presente stagione”. 56<br />

Ma il capitano dei Fucilieri Reali <strong>del</strong>la Provincia di <strong>Foggia</strong>, in una lettera<br />

all’Intendente denunciava la superficialità dei medici ospedalieri poiché “diverse<br />

febbri sono reputate per una e per conseguenza invece di giovare i rimedi nuscono”<br />

[…] “sarebbe opportuno far sezionare i morti, per conoscerne la malattia”. 57<br />

L’Intendente dispose che i malati deceduti in ospedale non potevano essere<br />

seppelliti senza una opportuna autopsia.<br />

Ancora il 25 aprile, le relazioni mediche di 30 comuni respingevano qualsiasi<br />

ipotesi di malattia epidemica o contagiosa.<br />

Solo alcuni comuni, di fronte all’elevato numero di malati, incominciarono a<br />

parlare <strong>del</strong>la “grave malattia <strong>del</strong> tifo”. A Serracapriola da gennaio ad aprile si erano<br />

avuti 752 ammalati con 123 decessi sia tra i proprietari che tra i poveri. A Lesina vi<br />

erano 14 infermi di cui uno con tifo petecchiale, a S. Paolo Civitate 139 malati e 9<br />

morti, a San Marco in <strong>La</strong>mis 16 malati di cui sei colpiti dal tifo. 58 I sintomi descritti<br />

dal medico erano:<br />

54 Ibid.<br />

55 Ibid.<br />

56 Ibid.<br />

57 Ibid.<br />

58 Ibid.<br />

59 Ibid.<br />

grande prostrazione di forze, inappetenza, lingua arida, sonno perturbato, brividi,<br />

dolori di testa, più o meno gravanti, dolori per tutto il corpo, volto in alcuni pallidi,<br />

nella maggior parte gonfio e rosso: in alcuni è comparsa la febbre sotto l’aspetto di<br />

catarro, di sinoca, di pleurite ancora: nel secondo settenario era accompagnata da<br />

polsi ordinariamente piccoli e bassi, da sete inestinguibile, con lingua coperta da<br />

una pania limacciosa e sovente volte nerastra di diarrea con esito di materie degenerate<br />

e lumbrici: da emoragie prevalentemente nasali, da petecchie e da regressione<br />

di urina, infine da sussulto dé tendini, da convulsione. 59<br />

191


<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

I rapporti indicavano le cause nella “miseria spaventevole di tanti infelici,<br />

esposti per tanto tempo all’inedia, o ad una nutrizione malsana e scarsa e per essere<br />

nudi alle rigide intemperie sopravvenute straordinariamente nei mesi di marzo e<br />

aprile”. 60 Col passare dei giorni le notizie provenienti da Serracapriola parlavano di<br />

un intero paese colpito dal tifo, che sembrava prediligere gli adulti, risparmiando i<br />

bambini e in parte i vecchi. Da gennaio a metà maggio morirono 139 persone: 63<br />

uomini, 64 donne e 12 ragazzi, facendo “strage de’ poveri, raro de’ comodi”. 61<br />

A Vieste il numero degli ammalati raggiunse il numero di 50, si parlava di<br />

sinoco-tifo e tifo maligno. Anche qui a morire erano per lo più i poveri. 62<br />

A metà maggio i medici <strong>del</strong> comune di Motta osservarono la contagiosità<br />

<strong>del</strong>la malattia attribuendone le cause ai convalescenti provenienti da vari ospedali,<br />

che usavano fare tappa in paese e a due tombe “dirute” nell’unica chiesa <strong>del</strong> paese<br />

che emanavano “miasmi”. 63<br />

Ma lentamente alcuni medici intuirono la vera natura <strong>del</strong> fenomeno. Il medico<br />

foggiano Luigi Sorge dichiarò che la febbre, volgarmente chiamata “corrente”, e<br />

poi definita, per la sua intensità e veemenza, “febbre costituzionale”, “tiense in<br />

conto di epidemica <strong>del</strong> genere tifo, val quanto dire pestilenziale”. 64<br />

Finalmente a fine maggio il quadro clinico fu più chiaro e le relazioni mediche<br />

più attente, il comitato provinciale concluse che si era di fronte ad una epidemia<br />

di tifo, esteso ormai a tutta la provincia, ma che tendeva a regredire. Il provvedimento<br />

più urgente che ritenne opportuno fu di vietare la sepoltura dei morti nelle<br />

chiese poste nei centri abitati.<br />

Lentamente in molti comuni <strong>del</strong>la provincia la situazione incominciò a migliorare,<br />

mentre in altri si diffondeva con virulenza. A S. Paolo Civitate i malati<br />

avevano raggiunto il numero di 240 distribuiti tra “la forma sinoco semplice, sinocotifo<br />

e tifo maligno”. 65 Ad Ascoli si parlava ormai di epidemia: quasi tutto il paese<br />

era colpito da questa malattia. 66<br />

Con la fine <strong>del</strong>l’anno il fenomeno si esaurì in quasi tutta la provincia, focolai<br />

rimasero attivi ancora per un paio di mesi ad Accadia, Biccari e Manfredonia.<br />

Anche a <strong>Foggia</strong>, quando tutto sembrava ormai superato, il tifo petecchiale si<br />

ripresentò. Il 27 febbraio 1918 le autorità militari ne denunciarono la diffusione tra<br />

i soldati <strong>del</strong>la 3° Divisione Militare di stanza a <strong>Foggia</strong>. Venti ammalati furono ricoverati<br />

nel monastero di S. Agostino, ma l’episodio rimase circoscritto e ben presto<br />

si esaurì. 67<br />

60 Ibid.<br />

61 Ibid.<br />

62 Ibid.<br />

63 Ibid.<br />

64 Ibid.<br />

65 Ibid.<br />

66 Ibid.<br />

67 Ibid.<br />

192


Raffaele Letterio<br />

7. Aspetti demografici <strong>del</strong>l’epidemia<br />

Dalla tabella 4 risulta che l’epidemia fece la sua comparsa nell’agosto <strong>del</strong> <strong>1816</strong><br />

con 181 morti, facendo registrare un aumento <strong>del</strong>la mortalità, rispetto allo stesso<br />

mese <strong>del</strong> 1815, <strong>del</strong> 120%. Ma un netto peggioramento si ebbe nei mesi di novembre<br />

e dicembre, quando l’aumento, rispetto agli stessi mesi <strong>del</strong>l’anno precedente, fu <strong>del</strong><br />

144% e <strong>del</strong> 153%. Per tutto il 18<strong>17</strong> la mortalità si mantenne elevata, con punte<br />

particolarmente alte nei mesi di marzo, aprile, maggio e luglio.<br />

I dati di questi mesi, confrontati con quelli <strong>del</strong> <strong>1816</strong>, indicano aumenti <strong>del</strong><br />

205%, <strong>del</strong> 257%, <strong>del</strong> 256% e <strong>del</strong> <strong>17</strong>2%.<br />

Il tasso di mortalità riferito alla popolazione, che nel 1815 fu <strong>del</strong> 50,4%, passò<br />

nel <strong>1816</strong> al 70,5%, al 109,5% nel 18<strong>17</strong>, per poi ridiscendere al 49,1% nel 1818.<br />

Il saldo tra nati e morti fu di 564 nel <strong>1816</strong> e ben 1.306 nel 18<strong>17</strong> (tab. 6).<br />

Il secondo semestre <strong>del</strong> <strong>1816</strong> fu caratterizzato da una più diffusa mortalità<br />

infantile: il 44,1% dei 1051 decessi riguardò soggetti di età inferiore a 7 anni (tab. 9).<br />

Probabilmente, vi fu una prima fase in cui alla ricorrente mortalità estiva, se ne<br />

aggiunse una di carattere alimentare che colpì i più deboli e una successiva, dal mese<br />

di novembre ( + 143,5% rispetto allo stesso mese <strong>del</strong> 1815), in cui si diffuse l’epidemia<br />

di tifo (tab. 5).<br />

L’epidemia interessò soprattutto il sesso maschile: il 61,6% dei morti nel <strong>1816</strong><br />

e il 67% nel 18<strong>17</strong>. Di questi ultimi il 70,2% aveva un’età superiore ai 20 anni. I<br />

bambini sembrano risparmiati con il loro 23,2% di decessi.<br />

<strong>La</strong> crisi ebbe ripercussioni anche sulle nascite e i matrimoni. Nel primo caso da<br />

925 nati <strong>del</strong> <strong>1816</strong> si scese a 863 <strong>del</strong> 18<strong>17</strong>. I matrimoni passarono da 215 a 136 (tab. 4).<br />

Nel 1815 il 7,8% dei decessi avvenne in ospedale, nel <strong>1816</strong> si passò al 15,2%,<br />

per raggiungere il 24,2% nel 18<strong>17</strong> (tab. 11).<br />

Sempre in ospedale, avendo come base gli 82 morti <strong>del</strong> 1815, si ebbe un<br />

aumento <strong>del</strong> <strong>17</strong>6% nel <strong>1816</strong> e <strong>del</strong> 540% nel 18<strong>17</strong> (tab. 11). Il 74% dei decessi<br />

ospedalieri riguardavano i lavoratori agricoli, il 14% praticavano mestieri vari e il<br />

12% erano mendicanti. Dei soldati ricoverati, ne morirono 30 nel <strong>1816</strong> e 20 nel<br />

18<strong>17</strong>. <strong>La</strong> fascia d’età più colpita fu quella tra i 21 e i 40 anni, probabilmente la più<br />

numerosa per l’arrivo di tanta gente in cerca di lavoro che, per le precarie condizioni<br />

di vita, era la più esposta al male (tab. 12).<br />

Modesti i ricoveri e le morti femminili, solo 83 su 525, pari al 15,8% (tab. 12).<br />

193


<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

Tab. 4 - Distribuzione mensile dei nati, morti e matrimoni. <strong>Foggia</strong> <strong>1816</strong>-18<strong>17</strong><br />

Graf. 2<br />

.<br />

194


Raffaele Letterio<br />

Tab. 5 - Distribuzione mensile dei morti. <strong>Foggia</strong> 1815-16-<strong>17</strong>-18<br />

Tab. 6 - Natalità e mortalità. <strong>Foggia</strong> 1815-1818<br />

195


<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

Tab. 7 - Morti in Capitanata<br />

Anni 1815-16-<strong>17</strong>-18<br />

Tab. 8 - Distribuzione dei morti per sesso ed età. <strong>Foggia</strong> <strong>1816</strong>-18<strong>17</strong><br />

196<br />

.<br />

.


Graf. 3<br />

Graf. 4<br />

Raffaele Letterio<br />

i<br />

197<br />

o ed età<br />

à


<strong>La</strong> <strong>carestia</strong> e l’epidemia <strong>del</strong> <strong>1816</strong>-<strong>17</strong> a <strong>Foggia</strong><br />

Tab. 9 - Distribuzione mensile e per età dei morti. <strong>Foggia</strong> <strong>1816</strong><br />

Tab. 10 - Distribuzione mensile e per età dei morti. <strong>Foggia</strong> 18<strong>17</strong><br />

198


Raffaele Letterio<br />

Tab. 11 - Distribuzione mensile dei morti in ospedale. <strong>Foggia</strong> 1815-1818<br />

Tab. 12 - Distribuzione dei morti in ospedale per sesso ed età. <strong>Foggia</strong> 1815-18<strong>17</strong><br />

199

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