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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% Roma QAyt. n. C/RM/12/2012<br />
numero<br />
5 rivista<br />
calcio e razzismo fuori e dentro gli stadi<br />
la comunità monastica<br />
di Deir mar Musa in Siria<br />
l’autorappresentanza<br />
di rom e sinti<br />
di diritti umani e lotta alla discriminazione<br />
vita da immigrati nei piccoli comuni<br />
R<strong>+vicini+uguali</strong><br />
A
numero<br />
rivista di diritti umani e lotta alla discriminazione 5<br />
calcio e razzismo fuori e dentro gli stadi<br />
la comunità monastica<br />
di Deir mar Musa in Siria<br />
l’autorappresentanza<br />
di rom e sinti<br />
vita da immigrati nei piccoli comuni<br />
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% Roma QAyt. n. C/RM/12/2012<br />
n<br />
<strong>+vicini+uguali</strong><br />
AR<br />
l’evento<br />
primo piano<br />
il razzismo<br />
negli stadi<br />
a cura di<br />
Giampiero Forcesi<br />
diritti umani<br />
Siria / la comunità<br />
monastica di Deir mar Musa<br />
dibattito<br />
rom e sinti: il problema<br />
dell’autorappresentanza<br />
regioni obiettivo<br />
convergenza<br />
reportage<br />
immigrati<br />
nei piccoli comuni<br />
a cura di<br />
Roberta Cocchioni<br />
cultura<br />
PERIODICO DI INFORMAZIONE<br />
A CURA DELL’UNAR<br />
ANNO 2 - N. 5<br />
MARZO/APRILE 2013<br />
AUTORIZZAZIONE TRIBUNALE DI ROMA<br />
N. 32/2012 DEL 13/02/2012<br />
Direttore responsabile<br />
PAOLA DI LAZZARO<br />
Redazione<br />
MARCO BUEMI, ROBERTA COCCHIONI,<br />
CECILIA CRISTAUDO, EDOARDO FONTI,<br />
GIAMPIERO FORCESI,<br />
ANTONIO GIULIANI, VALERIO SERAFINI<br />
DIREZIONE GENERALE PER LE POLITICHE<br />
ATTIVE E PASSIVE DEL LAVORO<br />
Responsabile del progetto<br />
FABIO CAPOCCI<br />
Art director TULLIO CAPOCCI<br />
Hanno collaborato: Maurizo Alfano,<br />
Francesca Di Pasquale, Francesca Gaio,<br />
Giorgio Osti, Flaminia Ventura<br />
Contributi fotografici: Marco Buemi,<br />
Concorso fotografico “Diversità urbana”,<br />
Claudio Baratta, Stefano De Bona,<br />
Andrea Semplici<br />
In copertina foto di Piotr Spalek<br />
Se vuoi commentare gli articoli<br />
o scaricare i numeri della rivista<br />
NEAR in pdf vai sul sito:<br />
www.retenear.it<br />
Se vuoi segnalarci delle iniziative<br />
o farci delle domande scrivi a<br />
rivista@retenear.it<br />
ne AR<br />
Realizzazione grafica e stampa:<br />
L.G. Soc. Coop. - Roma<br />
5<br />
Via delle Zoccolette 25<br />
00186 Roma - 06 68211616<br />
sommario<br />
Paola Di Lazzaro Se chiudi col razzismo. Ti si apre un mondo 2<br />
intervista a Mauro Valeri «Che razza di tifo!»<br />
Colloquio con Daniela Conti I Mondiali Antirazzisti<br />
Colloquio con Stefania Magi Il calcio negato ai ragazzi stranieri<br />
4<br />
8<br />
12<br />
Intervista a Giancarlo Abete<br />
«Dalla Figc grande attenzione e ferma condanna» 14<br />
Proposte per rimuovere la discriminazione nell’accesso<br />
al tesseramento calcistico dei minori stranieri<br />
Da 5 anni è attivo anche “Mediterraneo Antirazzista”<br />
«Gioco anch’io». Un appello<br />
I bambini rom in campo / Un inno per i prossimi Mondiali Antirazzisti<br />
18<br />
19<br />
20<br />
21<br />
Marco Buemi Vangelo, preghiera e dialogo con l’Islam 22<br />
Dijana Pavlovic Dall’assistenza alla responsabilità 26<br />
Graziano Halilovic Parlate di inclusione, ma poi ci escludete 28<br />
Calabria / Maurizio Alfano La nipote di Adrian con la laurea<br />
Campania / L’immagine distorta. Vivere da immigrati nel casertano<br />
Sicilia / Francesca Di Pasquale La guerra degli ambulanti<br />
Puglia / Nel Salento contro l’omofobia<br />
30<br />
31<br />
32<br />
33<br />
Vado a vivere in montagna 34<br />
Intervista a Luca Pacini<br />
Nel piccolo comune l’immigrato è visto subito nella sua umanità 38<br />
Intervista a Giorgio Osti e Flaminia Ventura<br />
Nei centri più poveri e isolati c’è il rischio di vite parallele 40<br />
CINEMA<br />
Intervista a Daniele Vicari, di Edoardo Fonti A bordo della nave dolce 44<br />
LIBRI a cura di Valerio Serafini 48<br />
CINEMA E DISABILITÀ Valerio Serafini Siamo a una svolta? 48
l’evento<br />
Paola Di Lazzaro<br />
Come ogni anno, in occasione<br />
della “Giornata mondiale per<br />
l’eliminazione delle discriminazioni<br />
razziali,” che si celebra in tutto<br />
il mondo il 21 marzo, l’UNAR, ha<br />
organizzato la Settimana di azione<br />
contro il razzismo, campagna di sensibilizzazione<br />
giunta ormai alla sua IX<br />
edizione e quest’anno in programma<br />
dal 17 al 24 marzo con il supporto<br />
delle istituzioni pubbliche e private, del<br />
mondo dello sport, della scuola, del terzo<br />
settore e delle associazioni di categoria.<br />
Lo slogan di questa edizione “Se<br />
chiudi col Razzismo. Ti si apre un<br />
mondo” è una sfida contro la paura<br />
delle diversità, contro l’ignoranza di<br />
chi crede che il colore della pelle, la<br />
lingua, il paese di origine, l’orientamento<br />
religioso possano classificare<br />
le persone e le loro vite.<br />
16 e 17 marzo. Sui campi<br />
di serie A un cartellino<br />
rosso, contro il razzismo<br />
Ufficialmente la settimana prenderà il<br />
via con il week end sportivo del 16<br />
e 17 marzo. Grazie al sostegno di<br />
FIGC, Lega Calcio di Serie A e Serie<br />
B, Lega Pro e con la collaborazione<br />
dell’Oscad (Osservatorio per la sicurezza<br />
contro gli atti Discriminatori) prima<br />
del fischio di inizio delle partite in<br />
tutti i campi di serie A, sarà esposto<br />
uno striscione contro il razzismo e i capitani<br />
delle squadre leggeranno un<br />
messaggio di condanna, mentre sugli<br />
spalti saranno distribuite migliaia di<br />
fotografie dei giocatori più rappre-<br />
sentativi del campionato con lo slogan<br />
“Espelli il razzismo”. Anche la nazionale<br />
di calcio, impegnata il 21 marzo<br />
a Ginevra nell’amichevole conto il Brasile<br />
testimonierà contro il razzismo<br />
ospitando a Coverciano una rappresentanza<br />
di giovani giocatori italiani<br />
e stranieri.<br />
Sempre il 17 marzo la 19a maratona<br />
di Roma, di cui l’Unar è promotore ufficiale,<br />
si aprirà all’insegna del “Ti si<br />
apre un mondo” e migliaia di persone<br />
correranno con la maglietta di colore<br />
verde con lo slogan ufficiale della<br />
settimana.<br />
Look around.<br />
Per non restare<br />
indifferenti<br />
Centinaia le iniziative promosse in tutta<br />
Italia a cominciare da il progetto didattico<br />
Look around. Per non restare<br />
indifferenti in collaborazione con l’associazione<br />
“Il razzismo è una brutta<br />
storia” e laFeltrinelli, che coinvolgerà<br />
studenti elementari e medi e i loro<br />
insegnanti nella visione di cortometraggi<br />
internazionali sui temi del razzismo,<br />
e dell’educazione alla cittadinanza.<br />
La visione ospitata da quindici<br />
librerie Feltrinelli sarà introdotta da<br />
esperti e mediatori culturali.<br />
Dal 17 al 24 marzo la IX Settimana<br />
d’azione contro il Razzismo<br />
Se chiudi<br />
col razzismo.<br />
Ti si apre un mondo<br />
In piazza,<br />
nei luoghi di lavoro,<br />
dentro le scuole<br />
Nel corso della settimana nei quartieri<br />
a forte vocazione etnica di tante città<br />
(tra le altre Roma, Bologna, Verona,<br />
Milano, Trieste, Torino, Genova, Prato,<br />
Cosenza, Bari, Palermo), in collaborazione<br />
con le associazioni locali, e<br />
Amnesty International saranno allestiti<br />
gazebo interattivi pensati per essere<br />
punti di incontro fra la popolazione italiana<br />
e le comunità straniere dove partecipare<br />
a iniziative artistiche, culturali,<br />
gastronomiche e informative.<br />
Altre iniziative coinvolgeranno le organizzazioni<br />
datoriali e i sindacati facenti<br />
parte della cabina di regia del progetto<br />
dell’UNAR “Diversità al lavoro”<br />
progetto nato per facilitare fattivamente<br />
l’inserimento lavorativo di persone<br />
con disabilità, di origine straniera,<br />
transgender, con il coinvolgimento di<br />
aziende ed istituzioni.<br />
Con il progetto “Questa è l’Italia”,<br />
l’Unar entra in numerosi istituti scolastici<br />
per raccontare a più voci il nuovo<br />
volto dell’Italia multietnica, invitando<br />
gli studenti a riflettere sui cambiamenti<br />
sociali e demografici per approfondire<br />
il tema del rapporto con la
ESPELLI<br />
IL RAZZISMO<br />
diversità, con l’identità nazionale e la<br />
cittadinanza, con la discriminazione e<br />
l’integrazione.<br />
Il 22 marzo l’UNAR, in collaborazione<br />
con il Centro studi IDOS, promuove<br />
un incontro con la comunità romena<br />
e con la comunità albanese. Il 20 marzo<br />
a Roma presso la Biblioteca della<br />
Lumsa si terrà la cerimonia di premiazione<br />
dei vincitori del premio per<br />
tesi di dottorato di ricerca UNAR/CRUI.<br />
Il 21 marzo a Roma, alle ore 10.30 al<br />
Teatro Ambra Jovinelli, l’UNAR, in<br />
collaborazione con ARCI presenterà<br />
uno spettacolo dedicato agli istituti superiori<br />
della Capitale, dal titolo “Basta<br />
Razzismo, per una nuova cittadinanza”.<br />
Il 20 e 21 marzo a Napoli, andrà in scena<br />
la quarta tappa della campagna<br />
“Dosta!” iniziativa di sensibilizzazione<br />
per combattere i pregiudizi e gli stereotipi<br />
nei confronti dei Rom e Sinti,<br />
promossa dal Consiglio d’Europa. An-<br />
che la Regione Emilia Romagna parteciperà<br />
attivamente alla Settimana di<br />
azione contro il razzismo. Fra le tante<br />
iniziative che coinvolgeranno il territorio<br />
si segnalano, in particolare, il convegno<br />
del 21 marzo a Bologna “Rom<br />
e Sinti: discriminazioni, diritti e inclusione”<br />
e, sabato 23 marzo, sempre<br />
a Bologna, il convegno pubblico “Together<br />
against discrimination”.<br />
Il 24 marzo a Napoli, l’Arcigay Antinoo<br />
di Napoli Onlus organizza un quadrangolare<br />
di calcio a 5, patrocinato<br />
dal Comune di Napoli, dal titolo “Un<br />
calcio alle discriminazioni”. Si affronteranno<br />
una squadra di giornalisti,<br />
una squadra di calcetto LGBT napoletana,<br />
la selezione Afronapoli united<br />
e la squadra della Consulta provinciale<br />
degli studenti.<br />
In radio, tv e su internet<br />
La Settimana di azione contro il razzismo<br />
sarà presente in molti pro-<br />
grammi televisivi e radiofonici. In particolare<br />
per tutto il mese di marzo,<br />
l’edizione mattutina di CaterpillarAm,<br />
programma radiofonico di Rai<br />
Radio2, inviterà tutti gli ascoltatori a<br />
calarsi nei panni di una persona straniera<br />
che vive in Italia e deve affrontare<br />
i tanti ostacoli e imprevisti della<br />
vita quotidiana attraverso il gioco<br />
www.giocaneimieipanni.it. La campagna<br />
radiofonica cercherà di coinvolgere<br />
attivamente anche i radioascoltatori<br />
invitandoli simbolicamente<br />
il 21 marzo a testimoniare conto il razzismo<br />
con una “Colazione antirazzista”,<br />
a casa, al bar, nella sala colazioni<br />
di alberghi, alla macchinetta del caffè<br />
degli uffici, negli autogrill in autostrada<br />
mangiando assieme a cittadini<br />
stranieri e/o cibi stranieri. A Messina<br />
il 21 marzo all’interno dei portici del<br />
Palazzo dei Leoni (sede della Provincia),<br />
il gioco verrà messo in scena dal<br />
vivo attraverso un percorso didascalico<br />
corredato da gigantografie, videoclip,<br />
giochi di ruolo.<br />
Tutto il programma sul sito dell’Unar,<br />
alla pagina Facebook norazzismi<br />
e all’hashtag #chiudialrazzismo.<br />
SE CHIUDI COL<br />
TI SI APRE UN<br />
MONDO
primo piano<br />
intervista a<br />
Mauro Valeri<br />
sociologo e funzionario dell’Unar<br />
In Italia, nel mondo<br />
del calcio, non c’è<br />
un’effettiva cultura<br />
antirazzista, come<br />
invece c’è in buona<br />
parte dell’Europa<br />
è un fenomeno ormai<br />
strutturale del calcio ita-<br />
razzismo<br />
“Il<br />
liano”. Mauro Valeri, sociolo-<br />
go, funzionario dell’Unar, è dal 2005<br />
responsabile dell’Osservatorio su razzismo<br />
e antirazzismo nel calcio. Ha<br />
pubblicato anche numerosi libri sull’argomento<br />
(La razza in campo nel<br />
2005, Black Italians nel 2007, Nero di<br />
Roma nel 2008, Negro, ebreo, comunista<br />
nel 2010, Che razza di tifo sempre<br />
nel 2010, Stare ai giochi. Olimpiadi<br />
tra discriminazioni e inclusioni nel<br />
2012). Non sostiene a cuor leggero che<br />
il razzismo sia una realtà negli stadi italiani.<br />
Lo dice in base ai dati che rac-<br />
il razzismo negli stadi<br />
a cura di<br />
Giampiero Forcesi<br />
«Che razza<br />
di tifo!»<br />
coglie con grande scrupolo, anno per<br />
anno. Nel suo libro Che razza di tifo ha<br />
documentato che in dieci anni, dal<br />
campionato 2000-2001 al campionato<br />
2009-2010, nelle gare della serie A<br />
e della serie B e in quelle della Prima<br />
e Seconda divisione, si sono avuti 530<br />
episodi di razzismo, che hanno coinvolto<br />
ben 99 società sportive e le relative<br />
tifoserie. Il dato non è frutto solo<br />
di ritagli di giornale; viene soprattutto<br />
dal monitoraggio quotidiano dei<br />
provvedimenti adottati dalla giustizia<br />
sportiva, la quale prevede nel suo Codice,<br />
all’art. 11, la “responsabilità per<br />
comportamenti discriminatori”. E le
A destra della<br />
foto, il calciatore<br />
Boateng mentre<br />
lascia lo stadio<br />
per i cori<br />
insultanti durante<br />
la partita<br />
amichevole<br />
Pro Patria - Milan<br />
ammende erogate per tali comportamenti<br />
sono state, in dieci anni, di oltre<br />
3.000.000 di euro. Se guardiamo il<br />
campionato 2010-2011 e la metà del<br />
campionato in corso, si arriva a<br />
3.700.000 euro.<br />
Dunque, mediamente una cinquantina<br />
di episodi di razzismo all’anno, condannati<br />
esplicitamente dalla giustizia<br />
sportiva (ma su molti altri il sistema della<br />
giustizia sportiva sorvola). Valeri fa<br />
un confronto: in Germania la media è<br />
di 4 o 5; rarissimamente in un anno si<br />
arriva a 10 episodi. Del resto, il nostro<br />
calcio è considerato dall’Europa come<br />
uno dei meno attivi sul fronte della lot-<br />
ta alle discriminazioni, ed è questo anche<br />
uno dei motivi per cui l’Italia non<br />
è riuscita ad assicurarsi l’organizzazione<br />
dei campionati europei del 2012.<br />
I problemi sono nati<br />
negli anni ‘90<br />
Valeri tratteggia una breve storia del fenomeno.<br />
In una prima fase si è avuto<br />
un razzismo che possiamo chiamare indiretto.<br />
Si usava insultare il giocatore<br />
o i tifosi della squadra avversaria utilizzando<br />
come epiteti quello di “ebreo”<br />
o “zingaro”. Poi negli anni ’90 sono apparsi<br />
due elementi nuovi. Da un lato,<br />
l’estrema destra ha scelto di portare negli<br />
stadi la sua propaganda politica, di<br />
esaltazione del fascismo e di istigazione<br />
al razzismo. Ed è infatti del 1993 la legge<br />
Mancino con la quale si stabilisce<br />
il reato di divulgazione di espressioni<br />
di razzismo, con un’attenzione anche<br />
alle manifestazioni sportive (è in base<br />
a questa legge che un 20enne di Busto<br />
Arsizio è stato recentemente denunciato<br />
dalla Questura di Varese per<br />
i cori razziali indirizzati contro alcuni<br />
giocatori del Milan durante l’amichevole<br />
con la Pro Patria). Dall’altro<br />
lato, si sono cominciati a vedere nei<br />
campi di calcio i primi giocatori neri.<br />
Cosa che alcune tifoserie hanno subito<br />
contestato, chiedendo alle società di<br />
non tesserarli (così ad esempio il Verona,<br />
il Padova, la Lazio). Negli stadi<br />
si sono sentiti i primi slogan e letti i primi<br />
striscioni che dicevano che i neri andavano<br />
bene solo per pulire lo stadio.<br />
A metà degli anni ’90 i giocatori di pelle<br />
nera hanno cominciato ad essere numerosi.<br />
E si sono moltiplicate le<br />
espressioni di un razzismo questa<br />
volta diretto, cioè indirizzato al singolo<br />
giocatore, in carne e ossa. Manifestazioni<br />
di razzismo spesso strumenta-<br />
lizzate dall’estrema destra, sempre<br />
con l’obiettivo di fare propaganda politica.<br />
Di fronte a questi fatti vi sono<br />
state due risposte da parte della giustizia:<br />
la risposta della giustizia ordinaria,<br />
tramite la legge Mancino, che<br />
però è risultata di assai difficile applicazione<br />
concreta, e la risposta della<br />
giustizia sportiva, la quale, vista la<br />
situazione, ha dovuto inserire nel suo<br />
codice una specifica norma contro i<br />
comportamenti discriminatori. La giustizia<br />
sportiva, in sostanza, condanna<br />
due tipi di comportamento: l’uso di<br />
striscioni e di simboli sugli spalti che<br />
richiamano ideologie ed espressioni<br />
razziste, e i cori di discriminazione indirizzati,<br />
in genere, al singolo giocatore.<br />
Il fatto è, dice Valeri, che in Italia non<br />
c’è mai stata una condanna netta, chiara,<br />
del razzismo. Soprattutto nel mondo<br />
dello sport. Forse perché se ne è<br />
data, per lo più, una interpretazione<br />
politica, entrando cioè in un campo più<br />
problematico, dove scatta l’idea che<br />
vanno rispettate le opinioni politiche<br />
di tutti. Ma il razzismo è un’opinione<br />
politica? Una legittima opinione? È forse<br />
pensando così che, molto a lungo,<br />
la Federazione italiana gioco calcio, la<br />
Figc, ha sostenuto che non c’era razzismo<br />
nel calcio in Italia. Gli stessi giudici<br />
sportivi tendono a dire che la motivazione<br />
di cori ed insulti non è<br />
quella del colore della pelle. Il motivo<br />
è sempre un altro… Ma la verità,<br />
piuttosto, è che in Italia, nel mondo del<br />
calcio, non c’è una effettiva cultura antirazzista.<br />
Come invece c’è in buona<br />
parte dell’Europa. E del resto la Uefa,<br />
5
primo piano<br />
l’Unione delle federazioni calcistiche<br />
europee, è molto più severa della<br />
Figc, come ha dimostrato la recente<br />
condanna della Uefa alla Lazio: a causa<br />
dei saluti fascisti di alcuni tifosi in<br />
occasione del match di ritorno dei sedicesimi<br />
di Europa League, il club biancoceleste<br />
dovrà giocare a porte chiuse<br />
le prossime due partite casalinghe<br />
nelle competizioni europee.<br />
La scelta sbagliata<br />
del mondo del calcio:<br />
minimizzare<br />
Qualcosa è cambiato negli ultimi<br />
anni. Ad esempio l’allenatore della<br />
nazionale italiana, Cesare Prandelli,<br />
ha fatto numerose dichiarazioni che<br />
indicano chiaramente la sua convinzione<br />
che il razzismo è una<br />
realtà presente nel calcio ed<br />
è un problema grave, di<br />
tipo etico, che non può<br />
avere alcuna giustificazione<br />
politica. E, in<br />
due casi, ultimamente,<br />
l’arbitro è arrivato a<br />
fermare momentaneamente<br />
la partita<br />
minacciando la sospensione<br />
se i cori<br />
razzisti fossero continuati.<br />
Ma due casi<br />
sono davvero ancora<br />
troppo pochi! Già dal<br />
2007 sono stati vietati<br />
tutti gli striscioni<br />
negli stadi: è possibile<br />
portare uno striscione<br />
solo se è stato prima approvato<br />
da una speciale<br />
commissione. Eppure gli episodi<br />
di razzismo sono continuati.<br />
E si tratta soprattutto dei cori, dei<br />
“buu” insistiti, ripetuti, ossessivi.<br />
Episodi che vengono regolarmente<br />
minimizzati. Un po’ da tutti: dalla<br />
Figc, dall’Associazione dei calciato-<br />
ri, dagli arbitri, e soprattutto dalle società.<br />
“Le società – dice Valeri – fanno<br />
molto nel sociale, ma poco, troppo<br />
poco, nel campo della lotta al razzismo.<br />
Si pensa che la via migliore sia<br />
quella di abbassare i toni, di minimizzare.<br />
Anche le televisioni, per lo<br />
più, decidono di non riprendere le immagini<br />
delle tifoserie scatenate nei<br />
cori razzisti, e tolgono l’audio. Ma<br />
così non si ottiene l’obiettivo di<br />
scoraggiare le tifoserie”.<br />
Le manifestazioni<br />
razziste sono in aumento<br />
“I dati conclusivi del campionato<br />
2011-12 – sostiene Valeri – dicono che<br />
si sono registrati 59 episodi di discriminazione<br />
razziale, di cui circa la metà<br />
in serie A. E’ stato il numero più alto<br />
degli ultimi anni. Non sono state utili<br />
a fermare queste manifestazioni le<br />
ben 6 leggi speciali emanate negli ultimi<br />
anni sulla violenza negli stadi. Il<br />
razzismo è andato avanti”. Non solo,<br />
ma si è in presenza di alcune novità<br />
non positive. Vi sono alcune tifoserie<br />
che hanno atteggiamenti discriminanti<br />
anche verso i giocatori stranieri<br />
che giocano nella loro squadra (e<br />
dunque non serve più che una società<br />
inserisca un giocatore nero nella<br />
propria squadra per tacitare la tifoseria).<br />
Si vanno riducendo, invece di aumentare,<br />
gli spettatori che intervengono<br />
a correggere i tifosi razzisti (vi<br />
sono stati solo 2 casi nel campionato<br />
2010-2011). E si sono persino tornati<br />
a sentire, negli stadi, gli insulti a base<br />
di “zingaro” e di<br />
“ebreo”. Non solo,<br />
ma succede anche<br />
che comportamenti<br />
che fino a<br />
qualche anno fa<br />
venivano puniti,<br />
oggi non lo siano<br />
più, grazie al revisionismo<br />
storico<br />
che impera: ad<br />
esempio, il 25<br />
aprile in alcuni<br />
stadi italiani sono<br />
comparsi striscioni<br />
contro la resistenza,<br />
e non c’è stata nessuna condanna.<br />
Un altro aspetto su cui Valeri si sofferma<br />
è il fatto che non vi sono giocatori<br />
italiani che appaiano come testimonial<br />
nelle campagne dell’Unione<br />
europea e della UEFA contro il razzismo.<br />
Si sente sempre dire, negli ambienti<br />
del calcio italiano, che il razzismo<br />
negli stadi non è un vero problema<br />
e che, comunque, “non ci si può<br />
far niente”… Ma così, dice Valeri, “il<br />
razzista ha vinto”. “Invece si deve provare<br />
a fare qualcosa, e presto”. E Valeri<br />
accusa anche le tante associazioni<br />
che in Italia combattono il razzismo:<br />
dice che si sono sempre disinteressate<br />
a quanto succede sui campi di calcio,<br />
mostrando una sorta di atteggiamento<br />
snobistico che considera il<br />
mondo del calcio, e dello sport in generale,<br />
come qualcosa di poco importante,<br />
di non abbastanza serio.<br />
Il razzismo istituzionale<br />
C’è poi anche un razzismo istituzionale,<br />
afferma Valeri. Riguarda i figli dei migranti<br />
che giocano al calcio. “Fino a<br />
quando hanno 13-14 anni, pur con parecchie<br />
difficoltà burocratiche, questi<br />
ragazzi riescono a giocare. Poi, verso<br />
i 15-16 anni, scompaiono. Tranne i rarissimi<br />
che arrivano alla serie B e alla<br />
A”. Il fatto è che il tesseramento viene<br />
spesso negato. I documenti richiesti<br />
rendono spesso impossibile la partecipazione<br />
dei ragazzi. Ci sono state<br />
alcune sentenze di Tribunale che hanno<br />
imposto alle società di tesserare dei<br />
ragazzi di cittadinanza non italiana che
hanno fatto ricorso contro le società<br />
che li avevano esclusi. Ma nonostante<br />
questo, gli ostacoli rimangono. La<br />
Figc si giustifica dicendo che bisogna<br />
evitare che accadano episodi di abuso<br />
su ragazzini portati dall’Africa in<br />
Italia e qui sfruttati e magari poi abbandonati<br />
a se stessi perché ritenuti<br />
non abbastanza in gamba. Ma questa<br />
pur legittima preoccupazione non<br />
giustifica le strettoie che sono state introdotte<br />
e che colpiscono tutti i ragazzi<br />
con cittadinanza non italiana, e gli<br />
africani soprattutto.<br />
“Il calcio – mi dice Valeri – ha delle potenzialità<br />
enormi nell’evoluzione della<br />
coscienza civile, ma bisogna affrontare<br />
le discriminazioni con più coraggio”.<br />
Sapendo, mi ricorda, che il calcio,<br />
quando è nato, nell’Inghilterra del<br />
1863, era certo assolutamente razzista:<br />
era uno sport riservato ai soli inglesi,<br />
bianchi e benestanti.<br />
Alcune proposte<br />
Vediamo, dunque, quali cose si potrebbero<br />
fare per contrastare con più<br />
fermezza e più efficacia le manifestazioni<br />
di razzismo che persistono nei nostri<br />
stadi. Mauro Valeri indica quattro<br />
punti. Il primo riguarda l’articolo del<br />
codice della giustizia sportiva relativo<br />
ai comportamenti discriminatori. Sarebbe<br />
necessario che la Figc predisponesse<br />
una circolare che desse una intepretazione<br />
chiara di quell’articolo: che<br />
cosa si intende esattamente per “comportamenti<br />
discriminatori”, quali sono<br />
le “condotte” che comportano – come<br />
dice l’articolo 11 - “offesa, denigrazione<br />
o insulto per motivi di razza, colore, religione,<br />
lingua, sesso, nazionalità, origine<br />
territoriale o etnica”, o che configurano<br />
“propaganda ideologica vietata<br />
dalla legge o comunque inneggiante<br />
a comportamenti discriminatori”.<br />
Bisognerebbe arrivare a chiarire che<br />
cosa è razzismo e cosa non lo è, esplicitando<br />
quali sono i simboli razzisti e<br />
quali sono le condotte punibili. Questo<br />
sforzo di chiarezza intellettuale è la<br />
prima cosa che è importante fare, per<br />
evitare che il mondo dello sport e gli<br />
stessi giudici sportivi trovino mille modi<br />
per evitare di affrontare direttamente<br />
il problema.<br />
Una seconda cosa da fare è inserire nei<br />
programmi delle scuole calcio un<br />
tassello formativo sulla questione<br />
della discriminazione, illustrando il significato<br />
della norma sui comportamenti<br />
discriminatori e spiegando in<br />
che cosa esattamente consistono. Un<br />
altro elemento importante sarebbe<br />
quello di organizzare meglio la logistica<br />
degli stadi, cioè distinguere in<br />
modo preciso i vari spazi perché sia<br />
possibile individuare con certezza<br />
chi occupa una determinata posizione<br />
nello stadio e poter così dare un<br />
nome e un cognome a quanti sono<br />
protagonisti di cori insultanti durante<br />
la partita. Oggi, in Italia, a differenza<br />
della maggior parte dei paesi<br />
europei, non è possibile individuare<br />
chi è soggettivamente responsabile<br />
delle manifestazioni di razzismo negli<br />
stadi. Si parla solo di responsabi-<br />
lità oggettiva, che riguarda le società<br />
sportive. Ma questo significa che<br />
le tifoserie hanno in mano un’arma<br />
per ricattare le società: con i loro cori<br />
determinano le ammende che i giudici<br />
sportivi comminano alle società,<br />
e possono dunque ricattarle chiedendo<br />
favori in cambio di comportamenti<br />
meno dannosi.<br />
Infine, sarebbe utile che, tra le “attenuanti”<br />
che il codice della giustizia<br />
sportiva prevede per le società le cui<br />
tifoserie hanno comportamenti razzisti,<br />
vengano considerate anche le<br />
iniziative che le società prendono<br />
per educare all’antirazzismo e per pre-<br />
il razzismo negli stadi<br />
venire gli atteggiamenti discriminatori<br />
e razzisti. Questo spingerebbe le società<br />
a mettere seriamente in cantiere<br />
azioni educative, come del resto<br />
succede nei principali paesi europei.<br />
Le società, ad esempio, potrebbero essere<br />
incoraggiate a destinare a questo<br />
parte delle ammende.<br />
“Quello che proprio non bisogna più<br />
fare – dice Valeri – è di dare per scontato<br />
che la lotta al razzismo nel calcio<br />
possa avvenire soltanto ribadendo<br />
che questo sport ha in sé il germe<br />
della tolleranza e della valorizzazione<br />
della diversità”. Perché non è sempre<br />
stato così. E perché di fatto il razzismo<br />
è andato crescendo negli ultimi<br />
anni. E, comunque, non si sradicherà<br />
questo fenomeno se per prima<br />
cosa le istituzioni del nostro paese, e<br />
quelle del mondo del calcio in particolare,<br />
non faranno pulizia dei com-<br />
portamenti discriminatori che esse<br />
stesse praticano attraverso le norme<br />
che regolano l’attività sportiva. “Finchè<br />
non verranno offerte pari opportunità,<br />
per praticare il calcio, a tutti coloro<br />
che vivono nel nostro paese – dice<br />
amaramente Valeri -, il calcio italiano<br />
non potrà davvero liberarsi dalla<br />
mentalità razzista”.<br />
7
primo piano<br />
Tante le storie<br />
di successo<br />
dell’Unione italiana<br />
Sport per tutti.<br />
A partire dal 1997<br />
quando l’Uisp,<br />
a Vienna, insieme<br />
ad altri sessanta<br />
organismi di tutta<br />
Europa, fondò la rete<br />
FARE (Football<br />
Against Racisme<br />
in Europe)<br />
I Mondiali<br />
Antirazzisti<br />
La sede della UISP nazionale è<br />
confinata in una vivace periferia<br />
romana, in zona Tiburtina.<br />
Quella che è nata come unione italiana<br />
sport popolare, e che da qualche<br />
tempo ha rinominato la sua sigla<br />
come unione italiana sport per tutti,<br />
è un’organizzazione che ha saputo rinnovarsi<br />
nel corso degli anni ed oggi è<br />
all’avanguardia nel combattere ogni<br />
forma di discriminazione nello sport e<br />
nel disseminare il territorio italiano di<br />
iniziative concrete di inclusione e di<br />
dialogo interculturale.<br />
Ne parlo con Daniela Conti, una delle<br />
dirigenti nazionali, e quella che si<br />
colloquio con<br />
Daniela Conti<br />
dirigente UISP<br />
occupa a tempo pieno delle iniziative<br />
contro le discriminazioni. Se ne occupa<br />
a tutto campo. “Oggi – mi dice – la<br />
questione più delicata è l’omofobia. È<br />
uno degli aspetti più difficili da trattare.<br />
Su questo è molto difficile mettere<br />
in piedi delle campagne. Lo sport<br />
si lega molto al corpo, e dunque alla<br />
sessualità…”. E un altro tabù, mi dice,<br />
è quello dello sport per i disabili intellettivi.<br />
Ma non è questo il tema del nostro<br />
colloquio, oggi. Sono venuto ad incontrarla<br />
per parlare del razzismo. Soprattutto<br />
nel calcio. Sono poche settimane<br />
che i cori razzisti contro uno
dei giocatori più noti del Milan,<br />
Boateng, lo hanno spinto a un gesto<br />
clamoroso, quello di abbandonare il<br />
campo, seguito poi da tutta la squadra,<br />
che è rientrata negli spogliatoi.<br />
Il campo era quello della Pro Patria.<br />
La partita era un’amichevole. “Fermare<br />
la partita è stato giusto – mi dice<br />
Daniela -. Ogni tanto bisogna fermarsi,<br />
anche per riflettere. Ricordo che<br />
anni fa un altro giocatore, Marco André<br />
Zoro, ebbe una reazione di questo<br />
tipo. E’ stato durante la partita<br />
Messina-Inter, nel 2005. Zoro, che militava<br />
nel Messina, viene fischiato a<br />
lungo dai tifosi interisti. Ad un certo<br />
punto prende il pallone e si dirige<br />
verso gli spogliatoi; poi alcuni giocatori<br />
interisti si sono scusati e lo<br />
hanno convinto a tornare in campo.<br />
È stato quell’episodio a suscitare un<br />
gran dibattito nel mondo del calcio”.<br />
Poi Daniela aggiunge: “Mi auguro che<br />
la prossima volta che ci sono cori razzisti<br />
da parte di certe tifoserie il resto<br />
dello stadio inizi a fischiare subito,<br />
Antonio Marcello - Shoot 4 Change<br />
e non dopo l’interruzione della partita.<br />
I ‘buu’ razzisti si possono coprire,<br />
basta semplicemente che lo stadio<br />
reagisca”.<br />
“Il razzismo in Italia esiste – mi dice<br />
la dirigente della Usip -. Ma non è un<br />
problema del calcio. E’ un problema<br />
della società, che il calcio però amplifica.<br />
Bisogna ripartire dall’educazione.<br />
Da un’educazione multiculturale.<br />
Le società sportive in questo senso<br />
possono fare molto. Nello sport<br />
l’educazione è fondamentale. Bisogna<br />
ripartire dalle società di base, quelle<br />
dilettantistiche. Qui si affacciano già<br />
tanti ragazzi di cittadinanza straniera,<br />
nati in Italia o arrivati nel nostro<br />
paese da bambini. Sono le seconde generazioni,<br />
che ormai sono nelle nostre<br />
scuole, e anche sui campi sportivi. Ma<br />
purtroppo le leggi della Federcalcio<br />
sono arretrate. Prevedono che lo straniero<br />
debba dimostrare di non aver<br />
mai giocato in altre società, nelle società<br />
del paese di origine. Mettono<br />
tanti paletti…”.<br />
All’inizio ci fu<br />
il “Progetto Ultrà”<br />
Chiedo a Daniela Conti quando è iniziato<br />
l’impegno antirazzista della Uisp.<br />
“Il 1997 è stato l’anno europeo contro<br />
le discriminazioni e il razzismo. Nella<br />
Uisp si è iniziato a parlarne allora. La<br />
Lega calcio della Uisp, nei suoi campionati,<br />
aveva comunque fatto giocare<br />
sempre tutti, anche gli stranieri e anche<br />
senza permesso di soggiorno.<br />
Quell’anno a Vienna ci trovammo<br />
con altri 60 organismi di tutta Europa<br />
e fondammo la rete FARE (Football<br />
Against Racism in Europe). E in quello<br />
stesso anno nascevano i ‘Mondiali<br />
Antirazzisti’.<br />
Fu un’intuizione del nostro ‘progetto<br />
Ultrà’, che è stato attivo fino a pochi<br />
anni fa. Un progetto che nasceva dall’idea<br />
di promuovere attività sociali e<br />
di cultura popolare nell’ambito delle tifoserie<br />
più sensibili contro il razzismo.<br />
Perché c’erano tifoserie molto politicizzate<br />
in senso antirazzista. Era il cosiddetto<br />
‘antirazzismo da curva’. I<br />
Mondiali Antirazzisti nacquero da<br />
una collaborazione tra il ‘progetto<br />
Ultrà’ e l’Istituto storico della resistenza<br />
di Reggio Emilia. Mettemmo in piedi<br />
otto squadre, composte da giocatori di<br />
varie nazionalità, e, una volta all’anno,<br />
a luglio, da mercoledì a domenica,<br />
organizzammo una specie di torneo.<br />
Sempre in Emilia Romagna, ogni anno<br />
in una provincia diversa. Una giornata<br />
era sempre dedicata ai temi dell’antifascismo<br />
e delle discriminazioni<br />
razziali”.<br />
Le tifoserie storiche che hanno dato<br />
vita fin dall’inizio al Progetto Ultrà e<br />
poi ai Mondiali Antirazzisti sono<br />
quelle della Sampdoria, dell’Atalanta,<br />
del Modena, della Ternana, del Bologna,<br />
della Reggiana. Poi hanno cominciato<br />
a venire anche i gruppi ultrà<br />
di vari paesi europei. “All’inizio –<br />
mi dice Daniela - le squadre erano solo<br />
maschili; oggi il 70 per cento delle<br />
squadre sono miste, con uomini e don-<br />
9
ne. E anche dal punto di vista delle nazionalità,<br />
ora le squadre non sono<br />
strettamente ‘comunitarie’, sono miste:<br />
in una squadra giocano insieme<br />
somali, senegalesi, ivoriani… Prima gli<br />
ultrà di Modena, di Parma e di Bologna<br />
si guardavano in cagnesco, a volte<br />
si picchiavano. Poi, col tempo, le<br />
cose sono cambiate e ultimamente organizzano<br />
insieme i servizi per il meeting.<br />
Ad esempio, gestiscono insieme<br />
il grande bar”.<br />
I Mondiali Antirazzisti, con il passare<br />
degli anni, sono diventati un grande<br />
evento. La “Woodstock dello sport”, la<br />
chiamano alcuni. Un evento non solo<br />
sportivo, ma anche culturale. Rac-<br />
0<br />
conta Daniela: “Lo scorso anno, alla<br />
quindicesima edizione, fatta a Castelfranco<br />
Emilia, in provincia di Modena,<br />
abbiamo avuto 204 squadre di calcio,<br />
32 di basket, 20 di pallavolo; poi<br />
c’erano squadre di rugby, di cricket, di<br />
softball. Oltre 5.000 persone hanno partecipato<br />
ai tornei, e quasi 30.000 alle<br />
varie manifestazioni culturali e musicali.<br />
C’erano attività di danza, di yoga,<br />
di ginnastica dolce. Tante cose. E poi,<br />
ogni anno, ogni edizione dei Mondiali<br />
è dedicata a un tema conesso alle migrazioni<br />
e alla multiculturalità. La<br />
sera ci sono dibattiti e concerti. Al mattino<br />
vengono anche i bambini che partecipano<br />
ai centri estivi delle città emilian.<br />
Le cooperative sociali portano al<br />
meeting le persone fragili di cui si occupano:<br />
disabili, tossicodipendenti… C’è<br />
anche un mercatino dove espongono<br />
artigiani e venditori itineranti. L’accesso<br />
al meeting è gratuito”.<br />
“Vengono premiate le prime tre squadre<br />
di ogni attività sportiva – racconta<br />
Daniela -. Ma il premio più importante,<br />
la cosiddetta ‘Coppa Mondiali<br />
Antirazzisti’, va alla squadra che, nel<br />
corso dell’anno precedente alla manifestazione,<br />
si è distinta per la propria<br />
attività sociale contro le discriminazioni.<br />
Poi ci sono la ‘Coppa Chilometri’<br />
per la squadra che viene da più lontano,<br />
la ‘Coppa Invisibili’ per la squadra<br />
che non riesce ad arrivare, la ‘Coppa<br />
Piazza Antirazzista’ per chi mette<br />
in mostra i materiali più belli nello spazio<br />
appositamente organizzato per<br />
esporre i propri lavori, e la ‘Coppa Ultras’<br />
per il gruppo di tifosi più colorato”.<br />
Quel che si muove al Sud<br />
L’anno scorso l’Uisp ha dato vita ad un<br />
nuovo progetto, sempre legato ai Mondiali<br />
Antirazzisti. Lo ha fatto con l’Unar.<br />
Il progetto si chiama “Aspettando i mondiali<br />
al Sud” ed è nato per promuovere<br />
l’attenzione delle piccole squadre del<br />
Mezzogiorno all’evento dei Mondiali. Al<br />
Sud ci sono delle belle esperienze di<br />
squadre di calcio che fanno attività di<br />
inclusione e di lotta alle discriminazioni.<br />
Per esempio a Cosenza, a Lecce, a Palermo,<br />
a Napoli, a Caserta.<br />
Oggi, mi dice ancora Daniela, l’Uisp sta
iflettendo su come aiutare i giovani<br />
sportivi stranieri a divenire dirigenti. “Ormai<br />
la multiculturalità è un fatto assodato.<br />
Ma non esistono ancora dirigenti<br />
neri, ad esempio. Anche dentro l’Uisp<br />
questo è un problema; ce ne sono soltanto<br />
un paio. Vogliamo impegnarci a<br />
farli diventare allenatori, arbitri. C’è, ad<br />
esempio, una bella esperienza di aggregazione<br />
sportiva dei latinoamericani<br />
a Roma, a Colle Oppio: da parecchi<br />
anni gestiscono il campo alla ‘Polveriera’,<br />
sono più di 600 persone. E quello che<br />
manca, e che servirebbe, è sviluppare le<br />
loro capacità organizzative: ci sono problemi<br />
di assicurazione, ci sono tasse da<br />
pagare, ci vuole un medico, e così via.<br />
Noi vogliamo promuovere queste capacità,<br />
arrivando a formare veri e propri<br />
dirigenti sportivi”.<br />
Daniela non finirebbe mai di raccontare<br />
le molte esperienze che, qui e lì per l’Italia,<br />
nascono e si affermano. “La Uisp di<br />
Torino, mi dice, sta lavorando con delle<br />
donne musulmane. Volevano frequentare<br />
la piscina, ma volevano farlo<br />
solo tra donne. Allora abbiamo deciso<br />
di aprire la piscina la domenica, riservandola<br />
solo alle donne. È stato un<br />
successo. Vengono sia italiane che<br />
straniere. All’inizio hanno cominciato<br />
a venire, tra le italiane, soprattutto quelle<br />
più timide, quelle che si sentivano<br />
brutte, o che erano molto grasse, quel-<br />
le che avevano dei problemi psicologici…<br />
Poi ora vengono in tante, e le<br />
donne musulmane sono molto contente<br />
e hanno persino preso l’iniziativa di<br />
mettere su una squadra di calcio!”.<br />
La Liberi Nantes<br />
Daniela Conti è anche presidente della<br />
“Liberi Nantes”. E’ una squadra di calcio<br />
nata a Roma nel 2007 da un gruppo<br />
di tifosi che già da anni frequentava<br />
i Mondiali Antirazzisti. Ad un certo<br />
punto il gruppo ha deciso di impegnarsi<br />
per offrire la possibilità di giocare a calcio<br />
ai migranti “forzati”, i richiedenti asilo,<br />
i migranti più “invisibili” perché sono<br />
in attesa dello status di rifugiati e in quella<br />
condizione non possono lavorare. Il<br />
gruppo ha affittato un campo di calcio<br />
a Pietralata. Poi l’Ater, l’azienda romana<br />
del territorio, gli ha affidato un altro<br />
campo, sempre in quel quartiere: il<br />
“XXV Aprile”, un campo storico di Pietralata,<br />
dove ha giocato Pier Paolo Pasolini<br />
e dove nel 1968 è sorta la squadra<br />
dell’Albarossa, molto amata nel<br />
quartiere, ma che, dopo più di vent’anni,<br />
ha chiuso i battenti, nel 1995. Il campo<br />
è rimasto abbandonato per quasi<br />
quindici anni. La Liberi Nantes, piano<br />
piano, lo ha rimesso in sesto: campo,<br />
spogliatoi, e ora anche la lavanderia. Ed<br />
il razzismo negli stadi<br />
è nata una nuova squadra Albarossa. La<br />
squadra fa allenamenti due volte la<br />
settimana; una volta a settimana il<br />
campo è aperto a tutti. Daniela<br />
Conti è un presidente tuttofare:<br />
comprare gli scarpini, raccogliere<br />
maglie e pantaloncini a<br />
fine partita e portarseli a casa<br />
e metterli in lavatrice, e così via.<br />
Ora la Liberi Nantes ha anche<br />
dato vita a una squadra di<br />
touch-rugby, un tipo di rugby<br />
più dolce, senza mischie e senza<br />
takle, che è adatto a far giocare<br />
uomini e donne insieme, e<br />
persone di tutte le età. È nato anche<br />
un gruppo che fa escursionismo.<br />
E c’è un gruppo di donne che<br />
organizza delle passeggiate per Roma.<br />
Insomma, una bella esperienza concreta<br />
di inclusione e di socializzazione delle<br />
persone più emarginate.<br />
Il progetto MIMoSA<br />
Grazie alla sua grande esperienza di inclusione<br />
sociale attraverso lo sport, la<br />
Uisp è stata chiamata dall’Unità sport<br />
della Direzione generale cultura dell’Unione<br />
Europea a coordinare un<br />
gruppo di 14 tra associazioni sportive,<br />
enti locali e centri di ricerca di 5<br />
paesi dell’Unione europea, che partecipano<br />
a un progetto denominato MI-<br />
MoSA: Migrants’ Inclusion, Model of<br />
Sport for All. Lo scopo del progetto è<br />
quello di costruire e rafforzare una rete<br />
transnazionale e di elaborare un modello<br />
di inclusione sociale e di empowerment<br />
per migranti. Daniela è la coordinatrice<br />
del progetto. “Ci stiamo interrogando<br />
– mi dice - su come rendere<br />
i migranti sempre più protagonisti<br />
attivi del mondo sportivo e non<br />
semplici fruitori di servizi”. La sfida è<br />
questa. E per vincerla, in particolare in<br />
Italia, una delle prime cose da fare è<br />
superare i molti vincoli, giuridici e culturali,<br />
che limitano l’accesso dei migranti<br />
alla pratica sportiva.<br />
11
primo piano<br />
Quando suo figlio<br />
undicenne le venne<br />
a dire che due suoi<br />
amici marocchini<br />
non potevano proseguire<br />
a giocare nella squadra<br />
perché avevano<br />
problemi con i documenti,<br />
l’assessore Stefania Magi<br />
si disse che era venuto<br />
il momento di impegnarsi<br />
per l’integrazione<br />
anche nel mondo<br />
del calcio<br />
Il calcio negato<br />
ai ragazzi stranieri<br />
Stefania Magi è assessore alle Politiche<br />
per l’integrazione di<br />
Arezzo dal 2011. Mi racconta<br />
che alle discriminazioni subite dai ragazzi<br />
figli di stranieri che fanno attività<br />
sportiva lei si è sensibilizzata da<br />
quando due amici di suo figlio, appartenenti<br />
a due famiglie marocchine,<br />
non hanno potuto proseguire<br />
l’attività calcistica per problemi legati<br />
alla documentazione richiesta per il<br />
tesseramento. Erano ragazzi di 11<br />
anni. Da allora la Magi, insieme all’assessore<br />
allo Sport, Marco Donati,<br />
ha deciso che la piena cittadinanza e<br />
l’integrazione concreta dei giovani<br />
delle seconde generazioni dovesse<br />
passare anche per lo sport.<br />
Arezzo è una città che ha molte associazioni<br />
di stranieri e le iniziative<br />
che il comune sta portando avanti per<br />
far crescere l’integrazione sono tante.<br />
La via maestra, per la Magi, è nel<br />
dare agli stranieri la possibilità di mostrare<br />
le proprie capacità. E’ così che<br />
è nata l’Orchestra multietnica, composta<br />
da ragazzi delle scuole. E’ così<br />
che è nata una società sportiva fatta<br />
da giocatori di cricket (tutti asiatici)<br />
che girano nelle scuole per far conoscere<br />
quello sport. E ora si sta attrezzando<br />
la Casa delle culture, un<br />
grande spazio polivalente, con un teatro,<br />
una sala per mostre, una cucina<br />
professionale… Servirà a dare la possibilità<br />
alle comunità straniere residenti<br />
ad Arezzo di sviluppare le proprie<br />
vocazioni artistiche e artigianali<br />
e di creare opportunità di incontro,<br />
di conoscenza e di scambio.<br />
Ma ora l’impegno è soprattutto sullo<br />
sport. Dopo aver toccato con<br />
mano quanto fosse stato doloroso per<br />
quei ragazzi marocchini non poter<br />
partecipare al campionato insieme a<br />
suo figlio, e dopo aver constatato<br />
quanto pesanti fossero effettivamen-<br />
colloquio con Stefania Magi<br />
assessore all’Integrazione del Comune di Arezzo<br />
te gli ostacoli burocratici posti sulla<br />
strada di quei ragazzi stranieri, anche<br />
se nati in Italia, che volevano prendere<br />
parte ai vari campionati dilettantistici<br />
di calcio, Stefania Magi ha<br />
deciso di affrontare la situazione.<br />
Lo scorso ottobre allo stadio comunale<br />
di Arezzo è stata organizzata una<br />
“Maratona multietnica di calcio” per<br />
iniziativa del Comune e della Uisp di<br />
Arezzo. L’iniziativa, denominata “Anch’io<br />
gioco a calcio in Italia”, ha visto<br />
la partecipazione di squadre composte<br />
da giocatori di diverse nazionalità<br />
(Albania, Bangladesh, Marocco,<br />
Nigeria, Repubblica Dominicana,<br />
Romania, Senegal, Somalia, Tunisia<br />
e Italia). E’ un evento che rientra in<br />
un più ampio progetto europeo, il<br />
progetto FARE (Football Against Racism<br />
in Europe), che organizza ogni<br />
anno, in ottobre, una action week, una<br />
settimana d’azione, nel corso della<br />
quale si cerca di unire tifosi, club e<br />
coloro che sono colpiti dal razzismo<br />
in uno sforzo comune al fine di eliminare<br />
la discriminazione.<br />
Il comune di Arezzo, che fa parte anche<br />
del Network “Città del dialogo” del<br />
Consiglio d’Europa, ha poi organizzato,<br />
lo scorso dicembre, un seminario<br />
intitolato “Cittadinanza sportiva.<br />
Opportunità ed ostacoli per una piena<br />
cittadinanza” e ha chiamato ad<br />
Arezzo personalità della Federazione<br />
italiana gioco calcio (la Figc), come<br />
Gianni Rivera, il responsabile welfare<br />
e immigrazione dell’Associazione<br />
nazionali comuni italiani (Anci), Luca<br />
Pacini, parlamentari come Andrea<br />
Sarubbi, il direttore del Dipartimento<br />
internazionale dell’Unione italiana<br />
Sport per tutti (Uisp), Carlo Balestri,<br />
l’esperto dell’Unar, Mauro Valeri, un<br />
esperto di questioni legali del Progetto<br />
Melting Pot Europa, Nicola Saccon, e<br />
altri ancora.
Al seminario è emerso che per il milione<br />
di minori stranieri che vivono nel<br />
nostro paese, di cui 700 mila nati in Italia,<br />
lo sport è un grande strumento di<br />
integrazione. Ma per quelli che cercano<br />
di inserirsi con continuità in un’attività<br />
sportiva il cammino non è facile.<br />
Attualmente i ragazzi con meno di<br />
16 anni che sono tesserati alla Federazione<br />
italiana gioco calcio, la Figc,<br />
sono 33 mila, dei quali circa 8 mila<br />
sono al loro primo tesseramento. I più<br />
numerosi sono albanesi, romeni, marocchini;<br />
ma ce ne sono di tutte le nazionalità.<br />
La burocrazia ha sempre costituito un<br />
impedimento per partecipare in pieno<br />
alla vita sportiva: ti chiedono un sacco<br />
di documenti, devi portare il certificato<br />
di iscrizione a scuola (in originale!),<br />
devi avere un certificato di residenza<br />
che dimostri che hai sempre vissuto<br />
in quel determinato luogo, devi<br />
avere il permesso di soggiorno della durata<br />
sufficiente a coprire l’intero periodo<br />
di iscrizione… Finisce che prima di<br />
avere tutte le carte in regola passano dei<br />
mesi e resti fuori dagli allenamenti; e poi<br />
succede che devi smettere prima della<br />
fine della stagione agonistica perché il<br />
permesso di soggiorno<br />
ti è scaduto… Da<br />
qualche anno, poi la<br />
stretta burocratica è<br />
ancora maggiore perché<br />
la Fifa, la Federazione<br />
internazionale<br />
del calcio, ha emanato<br />
una normativa per<br />
contrastare il fenomeno<br />
della tratta dei<br />
baby calciatori. I controlli<br />
sono diventati<br />
più rigorosi, più lunghi.<br />
E spesso le società<br />
calcistiche si scoraggiano,<br />
e la pratica<br />
del tesseramento rimane<br />
insabbiata.<br />
Dal seminario di<br />
Arezzo sono uscite<br />
delle proposte importanti.<br />
Gianni Rivera,<br />
che dal 2010 è<br />
presidente del settore giovanile e scolastico<br />
della Figc, ha detto che la trat-<br />
ta dei bambini, soprattutto dai paesi<br />
africani, è davvero un problema (bambini<br />
portati in Italia, usati, e poi, se non<br />
ritenuti all’altezza delle aspettative, abbandonati<br />
in giro per l’Italia). Ma le<br />
norme che sono state introdotte sono<br />
risultate inadeguate ad affrontare il<br />
problema e hanno avuto invece l’effetto<br />
di complicare molto la vita a tutti<br />
i ragazzi con cittadinanza straniera.<br />
Rivera si è impegnato a premere<br />
sulla Figc perché le proposte emerse al<br />
seminario vengano accolte. Si tratta di<br />
semplificare le procedure, di usare il<br />
buon senso, di tenere conto dei tempi,<br />
di evitare richieste di documentare<br />
cose che sono assolutamente ovvie.<br />
In questo senso il Coni e l’Anci hanno<br />
sottoscritto un protocollo d’intesa<br />
volto a promuovere, nell’ambito della<br />
associazioni e società sportive, e in<br />
modo particolare per i minori stranieri<br />
che sono privi di sostegno familiare,<br />
l’adozione di procedure di ammissione<br />
all’attività sportiva dilettantistica<br />
improntate a favorire l’accessibilità e<br />
la trasparenza.<br />
Alessandra Fratoni - Shoot 4 Change<br />
13
4<br />
primo piano<br />
primo piano<br />
«Dalla Figc grande attenzione<br />
e ferma condanna»<br />
Intervista a<br />
Giancarlo Abete<br />
presidente della Federcalcio<br />
a cura di<br />
Paola Di Lazzaro<br />
Lo scorso mese di febbraio l’UNAR<br />
e la FIGC hanno annunciato la<br />
costituzione di un tavolo di lavoro<br />
finalizzato alla creazione di misure<br />
di intervento al problema del razzismo<br />
nel calcio. Si parla di campagne<br />
di sensibilizzazione, progetti educativi<br />
nelle scuole, e per il calcio dilettantistico.<br />
Ne abbiamo approfittato<br />
per fare il punto con il presidente della<br />
FIGC Giancarlo<br />
Abete.<br />
Presidente Abete,<br />
innanzitutto per<br />
lei che cosa è il<br />
razzismo?<br />
Una parola che<br />
nel suo significato<br />
storico e letterale<br />
spaventa e<br />
che nelle declinazioni<br />
attuali ci<br />
impone massima<br />
attenzione. Un<br />
concetto al quale,<br />
allo stesso tempo,<br />
va data la giusta<br />
collocazione, specialmente<br />
nelle<br />
rappresentazioni<br />
dello sport in generale<br />
e del calcio<br />
in particolare. La<br />
storia e la tradizione dell’Italia sono incentrate<br />
all’accoglienza ed alla tolleranza.<br />
Le trasformazioni della società<br />
ci abituano tuttavia a definizioni mobili;<br />
per questo la consapevolezza che<br />
abbiamo del fenomeno del razzismo ci<br />
può aiutare a collocarlo correttamente,<br />
nell’ottica di condannare e contrastare<br />
le manifestazioni più pericolose<br />
di discriminazione, e salvaguardare lo<br />
spirito e i valori del calcio.<br />
Dai dati dell’Osservatorio su Razzismo<br />
e antirazzismo nel calcio, tratti<br />
dal monitoraggio delle sentenze del<br />
giudice sportivo, viene fuori che negli<br />
ultimi anni in Italia, ogni stagione<br />
sportiva, si verificano una cinquantina<br />
di episodi di razzismo negli<br />
stadi (per lo più si tratta di cori)<br />
di cui la metà in serie A. In paesi<br />
come la Germania ad esempio non<br />
si arriva a 10 casi. Secondo lei da cosa<br />
dipende questa differenza?<br />
L’attenzione ai fenomeni di illegalità<br />
all’interno degli stadi italiani è molto<br />
alta. Si concentra su molti aspetti che<br />
da un lato sono orientati a garantire<br />
la sicurezza degli spettatori, dei calciatori<br />
e degli addetti ai lavori; dall’altro<br />
sono volti a combattere i fenomeni<br />
di violenza e inciviltà.<br />
«Combattiamo il razzismo,<br />
ma non si deve essere troppo<br />
concentrati a enfatizzare le criticità»<br />
I dati che ci fornisce in questo senso<br />
il Ministero dell’Interno sono, da qualche<br />
anno a questa parte, incoraggianti.<br />
C’è un calo sensibile degli incidenti e<br />
dei feriti; c’è una maggiore incisività<br />
nel tenere lontano dagli stadi chi<br />
commette reati. Insieme al Ministero<br />
dell’Interno ed all’Osservatorio Nazionale<br />
sulle Manifestazioni Sportive<br />
sono state avviate, fin dal 2005, concrete<br />
politiche di attenzione alle pratiche<br />
ed alle manifestazioni collocabili<br />
nell’area del razzismo, dall’esposizione<br />
degli striscioni ai cori. Sono state<br />
richiamate ed implementate normative<br />
e direttive volte a garantire la sicurezza<br />
delle manifestazioni sportive,<br />
attraverso l’intervento di condanna di<br />
tutti gli atti di discriminazione e
l’azione dei competenti incaricati dell’Ordine<br />
Pubblico. I numeri sugli episodi<br />
riconducibili alla legge Mancino<br />
che ci consegnano le Questure (Fonte<br />
Ministero dell’Interno, pubblicazione<br />
C’era una volta l’Ultrà) riportano 48<br />
episodi di cori razzisti e un numero limitato<br />
di striscioni nell’ultimo quinquennio.<br />
Va colta, come riflessione programmatica,<br />
la dimensione complessiva del<br />
fenomeno più che le singole manifestazioni,<br />
che sono da condannare e verso<br />
le quali forte deve essere la presa di<br />
coscienza. Il discorso non è la quantità<br />
degli episodi in un Paese o in un altro;<br />
un singolo caso macchia un intero<br />
sistema e interroga sulla qualità dei<br />
comportamenti. L’episodio di Busto<br />
Arsizio (i cori contro Boateng nell’amichevole<br />
tra Pro Patria e Milan e<br />
l’uscita dal campo della squadra milanista,<br />
ndr) e il prorompente impatto mediatico<br />
che ne è derivato sono un<br />
esempio emblematico. Gli episodi di intolleranza<br />
che si verificano nelle serie<br />
dilettantistiche ne rappresentano un<br />
aspetto altrettanto preoccupante e danno<br />
la misura di quanto possa radicarsi<br />
il fenomeno e di quanto profonda<br />
debba essere l’azione di prevenzione,<br />
educazione e contrasto. L’attenzione e<br />
i procedimenti della giustizia sportiva,<br />
che rileva i singoli casi anche attraverso<br />
gli operatori della Procura Federale,<br />
viaggia su questo binario: grande attenzione<br />
e ferma condanna.<br />
Lo stesso quadro europeo citato nel<br />
confronto con la Germania ci consegna<br />
altresì un panorama frastagliato<br />
e complesso che appartiene, tra l’altro,<br />
alle singole realtà storiche e territoriali.<br />
Non è solo l’esempio di un Paese, la<br />
Germania, che rappresenta sicuramente<br />
un modello di cultura calcistica<br />
e di convincenti politiche di attenzione<br />
ai tifosi ed alla qualità degli stadi.<br />
Sanno bene i colleghi tedeschi, così<br />
come i referenti di altri Paesi - perché<br />
se ne parla in occasione degli incontri<br />
internazionali -, che le derive di alcune<br />
frange di tifosi, siano esse riconducibili<br />
alla violenza, all’inciviltà,<br />
all’intolleranza o alla discriminazione,<br />
rappresentano un’allerta costante indipendentemente<br />
dai numeri più o<br />
meno alti di episodi.<br />
Si ha l’impressione che la UEFA dia<br />
una maggiore attenzione al fenomeno<br />
del razzismo negli stadi. Che sia<br />
più severa, rispetto alla Figc. Da noi<br />
si tende a minimizzare gli episodi che<br />
accadono; mentre in altri paesi la<br />
strategia è quella contraria: li si stigmatizza,<br />
per rafforzarne la censura.<br />
Qual è la sua opinione? Ci sono cambiamenti<br />
in atto nella sensibilità e nei<br />
comportamenti del mondo calcistico<br />
italiano, a questo livello?<br />
La UEFA ha fatto della campagna Respect<br />
un riferimento della propria politica<br />
di promozione dei valori dello<br />
sport. È una campagna sposata e appoggiata<br />
da tutte le Federazioni calcistiche<br />
europee, in un’ottica di far proprio<br />
un sentimento generale ed avere<br />
la forza di promuoverlo in maniera<br />
unitaria ed omogenea. I regolamenti<br />
della Federazione italiana sono in linea<br />
con lo spirito, i principi regolatori<br />
e gli aspetti sanzionatori UEFA. È<br />
stato riconosciuto al calcio italiano di<br />
essere intervenuto con modifiche della<br />
propria normativa in materia di contrasto<br />
alle manifestazioni esteriori ed<br />
ai comportamenti razzisti prima che la<br />
UEFA adottasse i propri cambiamenti.<br />
Ci muoviamo in completo accordo<br />
con la FIFA, pronti ad aggiornare e, in<br />
alcuni casi anticipare, quanto viene<br />
proposto dalle Confederazioni internazionali.<br />
La condanna c’è ed è sempre molto<br />
forte anche da noi; è vero peraltro che<br />
spesso siamo troppo concentrati ad enfatizzare<br />
le criticità piuttosto che a valorizzare<br />
le positività del nostro siste-<br />
ma. Il sistema calcistico non si è nascosto:<br />
abbiamo voluto rompere la logica<br />
per cui lo spettacolo deve per forza<br />
andare avanti. Lo abbiamo ripetuto<br />
in un recente incontro con il<br />
Capo della Polizia, Antonio Manganelli,<br />
e con i vertici del Viminale;<br />
nel caso in cui funzionari<br />
dell’Ordine Pubblico,<br />
unici titolati a prendere<br />
tale decisione, dovessero ritenere<br />
opportuno la sospensione<br />
temporanea o<br />
definitiva di una partita<br />
per casi di razzismo, la Federcalcio<br />
si schiererebbe al<br />
loro fianco, poiché la posta<br />
in gioco è troppo alta per<br />
non agire con fermezza. Oltre<br />
a ciò, la FIGC è favorevole<br />
anche ad un aumento del numero<br />
e della durata dei Daspo<br />
ed auspica un maggiore coordinamento<br />
tra i protagonisti in campo<br />
per espellere chi inquina la convivenza<br />
civile dell’evento sportivo.<br />
Come mai non vi sono giocatori italiani<br />
tra i testimonial delle campagne<br />
antirazzismo che fa la UEFA?<br />
Non è proprio così. I calciatori italiani<br />
sono attenti al problema. In una recente<br />
campagna antirazzismo di FARE<br />
15
primo piano<br />
(Football Against Racism in Europe),<br />
la rete che dal 2001 ha stretto con la<br />
UEFA un accordo per la promozione<br />
ed educazione alla lotta al razzismo,<br />
«I valori scendono in campo»:<br />
lo slogan del settore giovanile<br />
e scolastico della FIGC<br />
due giocatori della Nazionale, Claudio<br />
Marchisio e Giuseppe Rossi, hanno<br />
dato la loro disponibilità di testimonial,<br />
per riaffermare i principi di integrazione<br />
e condannare qualsiasi forma di<br />
razzismo. In occasione degli ultimi<br />
campionati Europei in Polonia ed<br />
Ucraina, tutti i calciatori italiani convocati,<br />
insieme con il commissario tecnico<br />
Prandelli, hanno fatto visita ai<br />
campi di concentramento di Auschwitz<br />
e Birkenau; un momento di<br />
grande impatto emotivo e una forte testimonianza<br />
per ricordare ancora una<br />
volta che la storia ci guarda e non bisogna<br />
abbassare la guardia. Un calciatore<br />
che gioca in Italia, Kevin Prince<br />
Boateng, solo per citare un caso re-<br />
6<br />
cente, ha accettato di intervenire, su invito<br />
della FIGC, ad una manifestazione<br />
contro il razzismo in occasione dell’amichevole<br />
che la Nazionale ha in<br />
programma il 21 marzo a<br />
Ginevra contro il Brasile.<br />
Boateng sarà presente la<br />
mattina nella sede delle<br />
Nazioni Unite per testimoniare<br />
il suo impegno<br />
contro il razzismo.<br />
Le testimonianze ci sono. Forse servirebbe<br />
parlarne di più.<br />
Non ritiene che sarebbe utile fornire<br />
un’interpretazione chiara e circostanziata<br />
del comma 1 dell’art. 11 del codice<br />
della giustizia sportiva (quello contro<br />
le discriminazioni), che faccia capire<br />
bene a tutti quali sono i comportamenti<br />
illeciti?<br />
Leggiamolo questo comma: “costituisce<br />
comportamento discriminatorio,<br />
sanzionabile quale illecito disciplinare,<br />
ogni condotta che, direttamente o<br />
indirettamente, comporti offesa, denigrazione<br />
o insulto per motivi di razza,<br />
colore, religione, lingua, sesso, nazionalità,<br />
origine territoriale o etnica,<br />
ovvero configuri propaganda ideologica<br />
vietata dalla legge o comunque inneggiante<br />
a comportamenti discriminatori.”.<br />
Comprendo lo spirito della domanda,<br />
ma mi sento di ripetere: non<br />
bisogna concentrarsi solo sul singolo<br />
episodio, va sostenuta l’affermazione<br />
dei principi e dei valori positivi dello<br />
sport e la qualità dei comportamenti.<br />
L’UNAR e la FIGC hanno annunciato<br />
la costituzione di un tavolo di lavoro<br />
per affrontare alla radice il problema<br />
del razzismo nel calcio. Si parla<br />
di campagne di sensibilizzazione e<br />
progetti educativi nelle scuole calcio<br />
e per il calcio dilettantistico. Ci può<br />
raccontare quanto in questo campo è<br />
stato già fatto dalla FIGC?<br />
Il tavolo con l’UNAR è un risultato<br />
importante; aumenta il nostro impegno<br />
soprattutto per la dimensione di<br />
relazioni che si riesce ad attivare con<br />
le diverse associazioni che affrontano<br />
il tema del razzismo e promuovono<br />
le iniziative di educazione e formazione.<br />
La Federazione è da sempre intervenuta<br />
con azioni di sensibilizzazione,<br />
sia sposando i progetti di associazioni<br />
ed enti, anche grazie all’impegno<br />
della Nazionale, sia strut
turando programmi interni con le Leghe,<br />
l’Associazione Italiana Calciatori,<br />
l’Associazione Allenatori, l’AIA, il<br />
Settore Giovanile e Scolastico. Proprio<br />
il progetto educativo “I valori scendono<br />
in campo” del Settore Giovanile<br />
e Scolastico, progetto che mira alla<br />
promozione delle regole e dei valori<br />
del calcio, ne è testimonianza concreta.<br />
Ancora, a partire dalla stagione sportiva<br />
2010/2011, la FIGC ha inserito quale<br />
requisito obbligatorio per le società<br />
che vogliono iscriversi ai campionati<br />
professionistici, quello di partecipare<br />
e promuovere incontri sul tema<br />
della lotta al razzismo nel calcio. A tale<br />
riguardo, la FIGC ha ospitato lo scorso<br />
anno a Roma la Conferenza internazionale<br />
di FARE, mettendo a disposizione<br />
dei club italiani le esperienze<br />
di 37 Paesi che operano nella<br />
lotta contro il razzismo.<br />
Si tratta in sostanza di un programma<br />
generale di responsabilità sociale<br />
che vede oggi la Federazione impegnata<br />
con 30 partnership con enti, as-<br />
sociazioni e fondazioni aventi finalità<br />
sociali. Valgono più di molte parole<br />
due slogan che mi piace ricordare e<br />
che si riferiscono a due iniziative promosse<br />
e patrocinate dalla FIGC: quella<br />
del Settore Giovanile e Scolastico<br />
nel 2006 in Piazza Santa Croce a Firenze,<br />
“A che razza appartieni? A<br />
quella umana”; quella con l’UNICEF<br />
nel 2012, “Io come<br />
tu. Mai nemici per<br />
la pelle”, in occasione<br />
della giornata<br />
nazionale dell’Infanzia<br />
e dell’adolescenza.<br />
Pensa che una nuova legge che riconosca<br />
la cittadinanza anche ai figli<br />
degli immigrati nati in Italia possa<br />
aiutare a superare il problema dell’accesso<br />
dei giovani di seconda generazione<br />
ai vivai e al calcio professionistico?<br />
Il tema del diritto di cittadinanza è seguito<br />
con grande attenzione nelle<br />
il razzismo negli stadi<br />
proposte e nei lavori delle agende istituzionali<br />
del sistema politico. Sappiamo<br />
essere anche una sensibilità più<br />
volte espressa e sostenuta dal Capo dello<br />
Stato, Giorgio Napolitano, anche in<br />
occasione degli incontri con i vertici<br />
del CONI e con la Nazionale Italiana.<br />
Nei punti del mio recente programma<br />
elettorale è stata rimarcata la battaglia<br />
Ci sono 48.700 giocatori stranieri<br />
tesserati alla Federcalcio. E sono 7.700<br />
i minori stranieri che si sono tesserati<br />
per la prima volta nel 2012<br />
per l’integrazione, nel quadro delle<br />
normative statali esistenti, nella necessità<br />
di rispettare le norme FIFA<br />
per il primo tesseramento dei minori,<br />
con l’attenzione alle sensibilità<br />
ed alle sollecitazioni della<br />
società civile, al fine di favorire<br />
la massima integrazione<br />
dei giovani nella società e nel<br />
calcio.<br />
La valorizzazione dei vivai può<br />
essere contemperata, per un<br />
calcio che ha e deve avere forti<br />
contenuti di socialità e integrazione,<br />
con un’attenzione particolare<br />
per coloro che, pur essendo<br />
nati in Italia, non possono essere<br />
considerati cittadini italiani e per<br />
coloro i quali con le loro famiglie<br />
sono venuti in Italia per trovare risposte<br />
ai propri bisogni e aspettative<br />
di crescita. I tesserati stranieri hanno<br />
toccato, sulla base dei dati contenuti<br />
nel nostro Report 2012, quota<br />
48.706, di cui quasi il 70% svolgono<br />
attività giovanile. Non è un<br />
caso, ma la diretta conseguenza di un<br />
continuo e lungimirante processo di<br />
integrazione sociale che parte dal calcio<br />
di base, con 7.657 minori stranieri<br />
al primo tesseramento per le società<br />
dilettantistiche, provenienti da un totale<br />
di 108 Nazioni diverse, con un significativo<br />
tasso di incremento rispetto<br />
alle stagioni precedenti.<br />
17
primo piano<br />
Rimuovere la discriminazione nell’accesso al tesseramento calcistico<br />
dei minori stranieri<br />
Troppi vincoli.<br />
Proposte per la Federcalcio<br />
In molti stanno cercando di superare<br />
gli ostacoli che i ragazzi<br />
stranieri, nati o comunque cresciuti<br />
in Italia, incontrano se vogliono far<br />
parte di una squadra di calcio a qualsiasi<br />
livello, ma soprattutto a livello dilettantistico.<br />
In un recente Seminario ad Arezzo, tenutosi<br />
lo scorso dicembre, un gruppo<br />
di esperti, tra i quali Nicola Saccon, avvocato<br />
e collaboratore di MeltingPot<br />
Europa, hanno stilato una nota in cui<br />
dapprima sono elencati gli adempimenti<br />
e i vincoli aggiuntivi previsti per<br />
i minori stranieri rispetto agli italiani<br />
e le conseguenze che ne derivano<br />
per i ragazzi e per le società sportive,<br />
e poi vengono avanzate una serie di<br />
proposte alla Federazione italiana<br />
gioco calcio (Figc).<br />
Adempimenti e vincoli<br />
aggiuntivi<br />
per i minori stranieri<br />
· L’iscrizione è possibile solo entro<br />
il 31 marzo di ogni anno.<br />
· L’iscrizione è possibile solo dopo<br />
l’acquisizione del certificato di<br />
iscrizione scolastica, che va rilasciato<br />
in cartaceo originale (la<br />
Figc, in quanto ente privato, non<br />
accetta autocertificazioni); molte<br />
scuole, inoltre, non lo rilasciano<br />
fino a metà agosto o anche oltre,<br />
mentre il tesseramento calcistico è<br />
attivo dal 1 luglio e in agosto iniziano<br />
gli allenamenti.<br />
8<br />
· Viene richiesto il cosiddetto certificato<br />
storico di residenza, che deve<br />
contenere i dati relativi alla residenza<br />
del minore (e, se ha risieduto in comuni<br />
diversi, questo va certificato),<br />
e va presentato ogni anno.<br />
· Viene richiesta, ogni anno, la fotocopia<br />
del permesso di soggiorno,<br />
anche se il permesso ha una durata<br />
superiore.<br />
· Viene richiesto il tesseramento anche<br />
presso la Figc regionale, per verificare<br />
se il minore è stato già tesserato<br />
nel paese di<br />
origine; questo viene<br />
richiesto anche a chi è<br />
nato in Italia e può<br />
documentare di aver<br />
sempre risieduto in<br />
Italia.<br />
Conseguenze<br />
di questi vincoli,<br />
per i minori<br />
e per la società<br />
sportiva<br />
· Il calciatore rimane inattivo per almeno<br />
tre mesi all’anno (per via dei<br />
tempi di attesa della documentazione<br />
richiesta); se fa richiesta di<br />
tesseramento entro il 31 marzo resta<br />
inattivo per la stagione in corso;<br />
non riesce a fare la preparazione<br />
necessaria.<br />
· La società sportiva non può definire<br />
per tempo gli organici per la<br />
programmazione della stagione<br />
sportiva; deve rinunciare a una<br />
parte della preparazione atletica<br />
per alcuni suoi giocatori, oppure<br />
deve assumersi il rischio di responsabilità<br />
di tipo penale, civile<br />
o disciplinare; ha un carico di<br />
lavoro burocratico relativo all’informazione<br />
da dare alla famiglia<br />
del giocatore, al controllo della<br />
documentazione richiesta e all’invio<br />
della documentazione alla<br />
Figc regionale.<br />
Proposte per la Figc<br />
· Per gli stranieri nati in Italia: tesseramento<br />
con le stesse regole degli<br />
italiani; oppure solo richiesta del<br />
certificato storico di residenza, e<br />
Antonio Amnendola - Shoot 4 Change<br />
tesseramento regionale soltanto se<br />
hanno risieduto nel paese di origine<br />
fino a dopo i 5 anni di età.<br />
· Per gli stranieri giunti in Italia prima<br />
dei 5 anni di età: stesse proposte.<br />
· Per tutti: non richiedere il certificato<br />
di iscrizione scolastica.<br />
· Per tutti: consentire l’iscrizione<br />
anche dopo il 31 marzo.<br />
· Per tutti: rinnovo del tesseramento<br />
presso la sede provinciale<br />
(e non regionale), senza il certificato<br />
storico di residenza e<br />
senza la copia del permesso di<br />
soggiorno se è ancora valido<br />
quello presentato l’anno precedente.
Da 5 anni<br />
è attivo anche<br />
“Mediterraneo<br />
Antirazzista”<br />
La prima edizione del Mediterraneo<br />
Antirazzista, nato su<br />
ispirazione dei Mondiali Antirazzisti,<br />
si è svolta nel giugno 2008,<br />
ed ha visto la realizzazione di un torneo<br />
non agonistico di Calcio a 5 al Velodromo<br />
Paolo Borsellino di Palermo.<br />
A fianco al torneo sono state organizzate<br />
diverse iniziative in alcune piazze<br />
della città. La seconda edizione si<br />
è svolta nel giugno 2009, ripetendo la<br />
stessa struttura organizzativa dell’anno<br />
precedente, e introducendo altri due<br />
sport: il Basket e la Capoeira. Inoltre,<br />
rispetto al 2008, si sono realizzate diverse<br />
iniziative “on the road” di Mediterraneo<br />
Antirazzista: “calcio di strada”<br />
allo Sperone, “100 Passi Antirazzisti”<br />
a Cinisi, “Un calcio al Razzismo”<br />
alla Magione, iniziative nelle scuole e<br />
nei centri aggregativi della Città.<br />
Al torneo hanno partecipato 140 squadre<br />
di calcetto, 40 di basket e più di 200<br />
capoeristi provenienti da tutta Europa.<br />
La terza e quarta edizione hanno “istituzionalizzato”<br />
la manifestazione.<br />
Nella fase “On the Road” della quinta<br />
edizione, Mediterraneo Antirazzista<br />
ha attraversato lo stretto di Messina per<br />
due appuntamenti fuori dalla Sicilia che<br />
si sono svolti a Scampia (Napoli) e a<br />
Metropoliz (Roma).<br />
Nei primi cinque anni di iniziative antirazziste<br />
svolte, la molteplicità delle comunità<br />
e dei quartieri coinvolti, insieme<br />
alla pluralità delle piazze raggiunte,<br />
sono un buon esempio di come una<br />
città possa essere vissuta in modo complesso<br />
e come si possano sperimentare<br />
importanti occasioni per superare le<br />
barriere fisiche e culturali. Nel 2012<br />
l’iniziativa nata a Palermo ha ricevuto<br />
la coppa più importante che viene<br />
attribuita dai Mondiali Antirazzisti<br />
per l’associazione che sviluppa l’iniziativa<br />
più innovativa e solidarista.<br />
Il progetto 2013<br />
Il progetto “Mediterraneo<br />
Antirazzista 2013”<br />
avrà luogo nelle città di<br />
Napoli (Scampia), Roma<br />
(Metropoliz), Genova (S.<br />
Gottardo - Molassana) e<br />
Palermo. Il progetto punta<br />
a promuovere una visione<br />
interculturale della<br />
nostra società ed a rompere<br />
le barriere del razzismo,<br />
del disagio e del<br />
degrado attraverso lo<br />
sport e la produzione culturale, intesi<br />
come veicolo sociale di confronto e<br />
socializzazione. La sesta edizione del<br />
Mediterraneo Antirazzista sarà divisa<br />
in due momenti: “Mediterraneo Antirazzista<br />
on the road” e “Mediterraneo<br />
Antirazzista 2013”.<br />
“Mediterraneo Antirazzista on the<br />
road” si svolgerà nei mesi di maggio<br />
e giugno 2013 in diverse piazze, centri<br />
aggregativi e scuole della città di Palermo<br />
(in particolare Vucciria, Ballarò,<br />
Kalsa, Sperone, Falsomiele, Cep e<br />
Zen), ma anche a Napoli nel quartiere<br />
Scampia (02 e 03 Maggio), a Roma<br />
al Metropoliz (04 e 05 Maggio) e a Genova<br />
nei quartieri S.Gottardo e Molassana<br />
(18 e 19 Maggio) con: minitornei<br />
di street soccer, “olimpiadi di<br />
strada”, proiezioni del nuovo video<br />
“Mediterraneo Antirazzista 2012”; racconto<br />
di testimonianze; distribuzione<br />
gadget e materiale informativo, concerti<br />
e parate di strada.<br />
“Mediterraneo Antirazzista 2013”:<br />
le iniziative finali si svolgeranno a Palermo<br />
dal 13 al 16 giugno. I tornei non<br />
agonistici saranno 5: calcetto, basket 3<br />
vs. 3, pallavolo, cricket e rugby. Inoltre<br />
ci saranno le esibizioni delle scuole<br />
di Capoeira di Palermo.<br />
il razzismo negli stadi<br />
Le squadre partecipanti ai vari tornei saranno<br />
composte da giocatori italiani e<br />
stranieri che provengono sia dai quartieri<br />
di Palermo, sia dalle principali periferie<br />
della Penisola. I tornei non impongono<br />
limitazioni di squadre e prevedono<br />
la possibile partecipazione di<br />
squadre miste o solo femminili.<br />
Durante le partite non sarà presente alcun<br />
arbitro, ma solo un responsabile di<br />
campo; esse avranno la durata di 20<br />
minuti e le fasi finali del torneo avranno<br />
la caratteristica di avvalorare la non<br />
competitività su cui si basa l’intera manifestazione:<br />
ad esempio per il calcetto<br />
saranno previsti i rigori, per il basket<br />
i tiri liberi, ecc...<br />
L’ iniziativa è aperta a tutti, non ci sono<br />
costi di partecipazione e l’ unica regola<br />
ferrea è il rispetto dell’altro.<br />
Per info: 3207768569 - 3206254974,<br />
o scrivere a info@mediterraneoantirazzista.org<br />
19
primo piano<br />
«Gioco anch’io».<br />
Un appello<br />
Nel dicembre scorso nelle sedi regionali della Figc di Marghera ed Ancona<br />
si sono svolti degli incontri tra i rispettivi presidenti regionali e le delegazioni<br />
delle associazioni sportive aderenti alla rete “Sport alla Rovescia”.<br />
Lo scopo era quello di consegnare l’appello della campagna “Gioco Anch’io”,<br />
nata nel febbraio 2012 per chiedere al Coni e alle diverse Federazioni<br />
sportive di togliere dai regolamenti tutte quelle norme che limitano<br />
la possibilità ai migranti e ai loro figli nati in Italia di poter giocare o praticare<br />
sport a livello agonistico.<br />
Di seguito il testo dell’appello, che attende ancora una risposta a livello nazionale<br />
dalla Figc.<br />
Siamo palestre, polisportive,<br />
semplici amatori, atleti, associazioni:<br />
quello che ci unisce è la<br />
pratica dello sport come esperienza che<br />
offre possibilità di integrazione ed affermazione<br />
di diritti come bene comune<br />
da condividere.<br />
In questi anni a partire dalle nostre<br />
esperienze differenti per luogo, forma<br />
e storia abbiamo visto che è possibile<br />
con lo sport diventare punto di riferimento<br />
in molti quartieri e territori,<br />
anche difficili.<br />
La pratica sportiva è una grande occasione<br />
per dare senso e valore all’aggregazione<br />
sociale, all’integrazione di<br />
chi troppo spesso perchè straniero o diverso<br />
viene escluso.<br />
Oggi ci sembra sia arrivato il momento<br />
per affermare insieme, in tanti e diversi,<br />
che venga riconosciuto come diritto<br />
di cittadinanza per tutti, compresi<br />
i migranti, la possibilità di praticare<br />
lo sport a qualsiasi livello e senza nessuna<br />
pre-condizione.<br />
Ad ormai 20 anni dal loro apparire,<br />
i flussi migratori verso il nostro paese<br />
non possono più essere considerati<br />
un fenomeno eccezionale, oggi gli<br />
immigrati regolari soggiornanti in<br />
Italia sono quasi 5 milioni, più un numero<br />
imprecisato di clandestini. Ma<br />
ancora oggi, purtroppo, nella nostra<br />
società esistono ancora due categorie<br />
0<br />
Alessandra Fratoni - Shoot 4 Change<br />
ben distinte: i cittadini e gli<br />
stranieri. I primi vivono<br />
dentro la società e godono di<br />
determinati diritti civili e sociali,<br />
gli stranieri, invece<br />
ne sono esclusi. […]<br />
Anche dal mondo dello sport noi vogliamo<br />
contribuire alla conquista per<br />
tutti di una cittadinanza piena e<br />
completa.<br />
La situazione attuale vede la stessa legislazione<br />
sportiva, peraltro diversa federazione<br />
per federazione, configurata<br />
in maniera tale da contenere diverse barriere<br />
e restrizioni per chi è straniero; esistono<br />
infatti limitazioni legali e amministrative<br />
per la partecipazione dei non<br />
italiani nell’attività sportiva sia a livello<br />
professionistico che dilettantistico. […]<br />
Noi crediamo fermamente nel diritto<br />
universale di accesso allo sport (per altro<br />
sancito a livello europeo dal trattato<br />
di Lisbona e a livello internazionale<br />
dalla Convenzione dei diritti del’uomo<br />
e del fanciullo) come la possibilità<br />
di accedere a pratiche indispensabili per<br />
la realizzazione della persona, basate<br />
sulla socializzazione, l’auto-affermazione,<br />
il benessere fisico e psichico, la<br />
partecipazione e la cultura.<br />
Ciascuno di essi è un elemento indispensabile<br />
per la promozione e l’emancipazione<br />
dell’individuo all’interno<br />
dei gruppi e delle comunità entro cui<br />
si trova e tutti quanti sono dei requisiti<br />
che dovrebbero essere universalmente<br />
garantiti alla persona, indipendentemente<br />
dalla sua appartenenza o<br />
colore della pelle.<br />
Dare cittadinanza ai migranti ed ai loro<br />
figli nello sport è per noi la scelta di riportarlo<br />
al suo spirito originario, strappandolo<br />
alle logiche del business e dello<br />
sfruttamento economico di cui è<br />
purtroppo ostaggio per aprire una battaglia<br />
di civiltà oramai indispensabile in<br />
questo paese.<br />
Ci sembra importante che i regolamenti<br />
sportivi nazionali non ostacolino la partecipazione<br />
di migranti e di persone con<br />
background migratorio nello sport, soprattutto<br />
negli sport amatoriali.<br />
Per questo chiediamo al Coni e alle Federazioni<br />
Sportive le revisioni dei regolamenti<br />
al fine di consentire il diritto<br />
al gioco a tutti, nessuno escluso!<br />
In particolare per il calcio chiediamo che<br />
tutti i giovani stranieri siano equiparati,<br />
secondo la norma antidiscriminatoria,<br />
ai giovani calciatori italiani, e non<br />
debbano subire iter burocratici pesanti e<br />
trattamenti diversi dai loro coetanei.<br />
Primi firmatari<br />
Polisportiva Antirazzista Assata Shakur<br />
Ancona; Polisportiva San Precario Padova;<br />
Polisportiva Independiente Vicenza;<br />
ASD Boxe Popolare Cosenza; Polisportiva<br />
Antirazzista La Paz Parma; Polisportiva<br />
Uppercut Alessandria; Comitato Balon<br />
Mundial Torino; Palestra Popolare Valerio<br />
Verbano Roma; Palestra Popolare Mustaki<br />
Taranto; Palestra Popolare TPO Bologna;<br />
HSL Football Club Bologna; ASD<br />
Equipo Popular Napoli; Palestra Popolare<br />
Rebelde Fabriano
Torino.<br />
L’associazione “Nessuno fuorigioco”<br />
I bambini rom<br />
in campo<br />
Timothy Donato, dell’Associazione<br />
“Nessuno fuorigioco” di<br />
Torino, è l’educatore e l’allenatore<br />
della “New Team”, una scuola di<br />
calcio molto particolare, composta<br />
principalmente da bambini dagli 8 ai<br />
12 anni dei campi rom della periferia<br />
di Torino.<br />
La scuola calcio è intesa come un laboratorio<br />
di coesione sociale con il pallone<br />
tra i piedi. La squadra di calcio che<br />
ne è nata partecipa ai tornei presenti<br />
in città. Dice Timothy Donato che<br />
l’obiettivo è quello di aumentare la partecipazione<br />
dei bambini rom all’interno<br />
della varie squadre di calcio delle associazioni<br />
sportive.<br />
Ma non è facile. “Il sospetto e il razzismo<br />
– dice – sono ovunque. Lo vedo<br />
quando cerchiamo di inserire bambini<br />
italiani nella nostra squadra, e le<br />
loro famiglie non li mandano.<br />
Ma io – aggiunge – porto in giro per<br />
l’Italia la storia di questi bambini che<br />
danno vita a una squadra molto gioiosa,<br />
che in realtà perde tutte le partite,<br />
ma ha tanti tifosi”.<br />
Per ora ci sono due squadre, una di<br />
pulcini e una di esordienti; ma nelle ultime<br />
settimane è nata anche una<br />
squadra femminile, con 4 bambine rom<br />
e quattro italiane.<br />
Dunque qualcosa migliora. L’associazione,<br />
che opera in collaborazione con<br />
il Comune di Torino, è nata due anni<br />
fa. Di recente, in febbraio, le ha dedicato<br />
un articolo la Gazzetta dello<br />
Sport, che critica la Federcalcio (Figc)<br />
perché non consente alle squadredella<br />
New Team di iscriversi ai campionati<br />
ufficiali.<br />
Non glielo consente perché i ragazzini<br />
non hanno la residenza (e non ce<br />
l’hanno perché vivono in campi abusivi).<br />
Ecco perché le squadre della New<br />
Team hanno deciso di partecipare ai<br />
tornei della Uisp, dove chiunque può<br />
iscriversi.<br />
Un inno per i prossimi<br />
mondiali antirazzisti<br />
A Bosco Albergati,<br />
Castelfranco Emilia (Modena)<br />
dal 4 al 7 luglio 2013<br />
Il Mei (Meeting degli Indipendisti) e i<br />
Mondiali Antirazzisti della UISP hanno<br />
lanciato l’idea, per festeggiare la15°<br />
edizione dei Mondiali, di avere una colonna<br />
sonora che accompagni tutto<br />
l’evento e per questo aprono un contest<br />
alla ricerca di chi possa incarnare musicalmente<br />
lo spirito di questo grande<br />
happening. Lo fanno in collaborazione<br />
con Arci, AudioCoop, <strong>Rete</strong> dei Festival,<br />
Associazione Artisti Italiani, Amici della<br />
Musica e con il patrocinio della Regione<br />
Emilia Romagna.<br />
Fino al 31 marzo 2013 tutte le band, cantautori<br />
e artisti indipendenti ed emergenti<br />
di ogni genere e stile, con residenza in<br />
Italia, possono presentare un brano musicale<br />
ispirato allo spirito dei Mondiali Antirazzisti.<br />
Possono farlo inviando: una biografia,<br />
una foto, una scheda tecnica, il<br />
link ai propri siti e profili, insieme al brano<br />
inedito (da inviare attraverso “We-<br />
Transfer” o attraverso altri modelli similari<br />
leggeri compreso Mp3 leggero)<br />
Il tutto va inviato all’indirizzo mail:<br />
mei@materialimusicali.it con oggetto<br />
Inno Indipendente per i Mondiali Antirazzisti.<br />
Il miglior brano sarà scelto da una giuria<br />
coordinata da Giordano Sangiorgi<br />
(patron del Mei) e da Carlo Balestri (organizzatore<br />
dei Mondiali Antirazzisti<br />
UISP), che valuterà se la proposta aderisce<br />
ai valori di base dei Mondiali Antirazzisti:<br />
promozione dei diritti e rispetto<br />
per tutti, lotta contro ogni forma di discriminazione<br />
attraverso lo sport, la<br />
musica e la cultura.<br />
Il vincitore potrà esibirsi in apertura dei<br />
Mondiali Antirazzisti 2013, che si terranno<br />
a Bosco Albergati (Castelfranco<br />
Emilia – MO) dal 4 al 7 luglio. È previsto<br />
un rimborso spese di 500 euro oltre<br />
a vitto e alloggio.<br />
Il brano sarà pubblicizzato attraverso il<br />
sito dei Mondiali Antirazzisti (www.mondialiantirazzisti.org)<br />
e quello UISP<br />
(www.uisp.it) e sarà diffuso continuamente<br />
durante i Mondiali stessi.<br />
Per informazioni:<br />
MEI: tel. 0546.24647 – email: mei@materialimusicali.it<br />
Mondiali Antirazzisti UISP: press@mondialiantirazzisti.it
diritti umani<br />
Vangelo, preghiera<br />
e dialogo con l’Islam
In una Siria che non c’è più, devastata<br />
da una guerra civile senza<br />
fine cominciata due anni fa, possiamo<br />
ancora trovare, ad 80 chilometri<br />
da Damasco, un luogo mistico<br />
pieno di fascino ed incontaminato, il<br />
Monastero di Deir Mar Musa o monastero<br />
di San Mosè l’Abissino. Costruito<br />
nel 1058 d.C. a 1320 metri<br />
sopra il livello del mare il monastero<br />
è arroccato su una montagna nel bel<br />
Siria / la comunità monastica di Deir Mar Musa<br />
Padre Paolo Dall’Oglio, dopo trent’anni,<br />
è stato costretto a lasciare la sua comunità,<br />
per le minacce del regime di Assad<br />
mezzo del deserto, vicino al villaggio<br />
di Nebek. Il nome di San Mosè l’Abissino<br />
viene dal figlio del re di Etiopia,<br />
che secondo Palladio - autore della<br />
storia di Lausiaca – era un ex brigante<br />
che si è convertito ed è entrato<br />
in monastero.<br />
Per arrivarci bisogna percorrere per<br />
mezz’ora una scalinata ripida. Arrivati<br />
in cima, ci si affaccia su una terrazza<br />
che guarda a valle, coperta da<br />
testo e fotografie di<br />
Marco Buemi<br />
tendoni che proteggono dal sole,<br />
dove i religiosi della comunità, alcuni<br />
monaci e altri studiosi interessati a<br />
compiere un percorso religioso, accolgono<br />
turisti e pellegrini e offrono<br />
loro un the, oppure condividono un<br />
pasto con prodotti del monastero:<br />
formaggio, verdure, olive, pane e<br />
marmellata. La struttura ha lo stesso<br />
colore del terreno circostante e sembra<br />
quasi un fortino, ma è invece
diritti umani<br />
reportage<br />
assai accogliente e ospita turisti e<br />
pellegrini, anche per diversi mesi, se<br />
intenzionati a partecipare alla vita<br />
quotidiana della comunità.<br />
Le origini del monastero sono testimoniate<br />
dagli affreschi, ritrovati nella<br />
piccola chiesa che si apre dietro una<br />
porta bassa, e dalle scritte arabe ritrovate<br />
sui muri che ci riportano al secolo<br />
11°, anche se nel 15° secolo il<br />
monastero fu parzialmente ricostruito<br />
e allargato. A metà del 19° secolo fu<br />
poi completamente abbandonato e<br />
lentamente andò in rovina. Nel 1982,<br />
in un momento di grandi sofferenze<br />
nella regione, padre Paolo Dall’Oglio,<br />
allora giovane gesuita, giunse sul<br />
luogo delle rovine del monastero e si<br />
innamorò di quel posto. Decise,<br />
quindi, di rimanere e di riportarlo in<br />
vita. Nel 1984, su iniziativa dello Stato<br />
siriano, cominciò un lavoro di restauro<br />
dell’antica chiesa e nel 1994 fu<br />
completato anche il restauro di tutto<br />
il monastero grazie alla cooperazione<br />
tra i governi italiano e siriano.<br />
Deir Mar Musa è un monastero di rito<br />
siro-cattolico. Ma si nota la contaminazione<br />
tra riti e culture diverse. Infatti,<br />
per entrare nella cappella, molto<br />
piccola, bisogna togliersi le scarpe,<br />
come in una moschea e, come in una<br />
moschea, a terra vi sono tappeti e cuscini,<br />
su cui ci si può sedere. Sui<br />
muri, gli affreschi ricordano molto le<br />
chiese ortodosse; ed è stato scelto<br />
l’arabo come lingua della vita sociale<br />
e liturgica della comunità monastica.
Tutto ciò fa di questo monastero un<br />
posto unico al mondo per il dialogo<br />
interculturale ed interreligioso.<br />
La comunità di Deir Mar Musa è<br />
prima di tutto una comunità di silenzio<br />
e di preghiera, tanto nella vita<br />
personale dei monaci e delle monache<br />
che nella loro vita sociale. Un<br />
altro aspetto di fondo è la semplicità<br />
evangelica della vita che vi si conduce,<br />
in responsabile armonia con la<br />
società circostante. Questo comporta<br />
la riscoperta del significato dell’attività<br />
manuale. Infine, l’ultimo principio<br />
su cui si regge Deir Mar Musa è<br />
l’ospitalità, che era sempre stata considerata<br />
una pratica sacra dagli antichi<br />
monaci. Il monastero, dunque, è<br />
inteso come luogo d’incontro, nell’approfondimento<br />
delle specificità<br />
identitarie, per elaborare gradualmente<br />
una cultura della comunione.<br />
Negli ultimi due anni di conflitto civile<br />
la comunità, guidata da padre<br />
Paolo da oltre trent’anni, è stata sottoposta<br />
a una dura pressione da parte<br />
del presidente Assad, fino a quando,<br />
la scorsa estate, padre Paolo è stato<br />
espulso dal Paese perché considerato<br />
dal regime un “fanatico” del dialogo.<br />
Così il lavoro di dialogo interreligioso<br />
della comunità di Deir Mar Musa, che<br />
ha camminato nella direzione di una<br />
relazione costruttiva tra islam e cristianesimo<br />
senza perdere nulla della<br />
sua originaria identità siro-cattolica,<br />
è ora messo in serio pericolo dalla repressione<br />
che il governo siriano sta<br />
tuttora esercitando.<br />
25
dibattito<br />
Il 24 febbraio del 2012 il Consiglio dei ministri ha approvato<br />
la Strategia di inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti,<br />
redatta dall’Unar su incarico del Governo; e pochi giorni dopo<br />
il ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione,<br />
Andrea Riccardi, che coordina il tavolo interministeriale per<br />
l’attuazione della Strategia, l’ha inoltrata alla Commissione<br />
dell’Unione europea, che quella “strategia” aveva richiesto<br />
formalmente, nell’aprile del 2011, a tutti gli Stati membri<br />
dell’Unione (“<strong>Near</strong>” ne ha dato conto ampiamente<br />
nel numero 2 del maggio 2012:<br />
“Rom, la lunga strada verso l’inclusione”).<br />
Uno dei punti cruciali per un percorso positivo della<br />
strategia di inclusione dei Rom è un effettivo<br />
coinvolgimento dei Rom stessi, delle loro comunità.<br />
Abbiamo pertanto chiesto a due leader della<br />
popolazione rom, Dijana Pavlovic e Graziano Halilovic,<br />
di dire come la pensano sul problema<br />
delle forme di auto-rappresentanza dei Rom, e cioè sui modi<br />
di una loro partecipazione responsabile, insieme alle istituzioni<br />
locali e nazionali, alla individuazione delle politiche che è<br />
necessario realizzare.<br />
Abbiamo chiesto loro come le istituzioni possono favorire<br />
la partecipazione dei rom alla elaborazione<br />
e attuazione delle politiche di integrazione; come tale<br />
partecipazione, e adeguate forme di auto rappresentanza,<br />
possono essere promosse da parte delle comunità stesse; quali<br />
sono i principali ostacoli da superare, per le comunità, al fine<br />
di darsi forme di rappresentanza responsabili e riconosciute.<br />
Dijana Pavlovic è vice-presidente della Federazione “Rom e Sinti<br />
Insieme”. Due anni fa ha fondato la Consulta dei Rom e Sinti<br />
di Milano. E’ nata in Serbia; è sposata con un italiano, e vive a<br />
Milano dal 1999. E’ attrice di teatro. Graziano Halilovic è<br />
il segretario della Federazione Romanì. Di recente ha fondato<br />
l’associazione “Romà Onlus”, incentrata sull’importanza<br />
dell’istruzione delle giovani generazioni Rom. È nato in Italia,<br />
ma non ha la cittadinanza italiana; è figlio di immigrati bosniaci;<br />
vive a Roma, è sposato e padre di sette figli.<br />
Per saperne di più:<br />
Federazione Rom e Sinti Insieme:<br />
www.comitatoromsinti.blogspot.it<br />
Federazione Romanì: www.federazioneromani.wordpress.com<br />
Per dare corpo<br />
al superamento<br />
delle discriminazioni<br />
è necessario che cresca<br />
la partecipazione.<br />
Come?<br />
Dall’assistenza<br />
alla responsabilità<br />
Dijana Pavlovic<br />
Per anni le comunità Rom e<br />
Sinte in Italia hanno subito<br />
non soltanto le forme esplicite<br />
e rozze di discriminazione da parte<br />
dei media e della politica che fomentava<br />
la paura del diverso a scopi<br />
elettorali, e anche la discriminazione<br />
istituzionale, ma soprattutto<br />
una forma sottile e con effetti più<br />
profondi e devastanti che non vengono<br />
di norma considerati e il cui<br />
danno è forse maggiore. Parlo dell’esclusione<br />
dalla possibilità di partecipare<br />
con pari diritti e responsabilità<br />
alla vita civile. Oggi abbiamo<br />
un popolo intero al quale è stato impedito<br />
di crescere perché si è preferito<br />
affrontare i problemi di inserimento<br />
civile e di relazione con la comunità<br />
maggioritaria con politiche<br />
di assistenzialismo, anziché puntare<br />
sulla partecipazione e sulla responsabilità.<br />
Mi piacerebbe poter fare alcuni conti,<br />
per esempio valutare quante persone<br />
non rom si occupano a vario titolo<br />
di Rom e Sinti e quanti sono i<br />
Rom e i Sinti che svolgono attività<br />
analoghe; cioè per ogni dieci operatori<br />
di associazioni varie e a vario titolo<br />
remunerate quante persone di etnia<br />
rom e a quale titolo remunerate<br />
svolgono una funzione analoga? Dal<br />
mio punto di osservazione, Milano, il<br />
rapporto è 10 a 0. E come mai, se ci<br />
sono cosi tante persone che si occu
om e sinti: il problema dell’autorappresentanza<br />
pano di rom da tanti anni, gli oggetti<br />
di tante attenzioni stanno ancora così<br />
male? Perché non è cresciuta non<br />
dico una classe dirigente ma una consapevolezza<br />
e una partecipazione<br />
diffusa che superi le poche unità sul<br />
piano nazionale?<br />
È con questo problema che bisogna<br />
oggi fare i conti se si vuole uscire da<br />
questa spirale che condanna le comunità<br />
rom e sinte a un progressivo<br />
e costante degrado sociale e culturale.<br />
Faccio un piccolo esempio, tanto<br />
per capire anche qual è a volte il livello<br />
del problema. Il mio amico attivista<br />
rom Giorgio Bezzecchi mi<br />
racconta che nel suo villaggio di 50<br />
persone (una famiglia allargata) non<br />
ci sono particolari problemi. Tutti<br />
sono autonomi e si occupano di se<br />
stessi da anni. Lavorano, sono cittadini<br />
italiani, accedono ai servizi<br />
come tutti gli altri. Da qualche anno<br />
quel campo è affidato in gestione a<br />
una cooperativa. Ci sono alcuni operatori<br />
che vengono al campo per “assistere”<br />
le persone. La conseguenza è<br />
che i rom che hanno bisogno di fare<br />
una fotocopia o andare in un ufficio<br />
per compilare un modulo adesso si<br />
fanno accompagnare dagli operatori.<br />
Oltre ai costi materiali di questa<br />
operazione da non sottovalutare e che<br />
pesano su tutti i cittadini, il costo più<br />
grande lo pagherà per intero quella<br />
comunità rom: sempre più deresponsabilizzata<br />
e sempre meno autonoma.<br />
Se le cose stanno così in che modo<br />
si può parlare oggi di autorappresentanza<br />
e di partecipazione? Per tanto<br />
tempo i pochi attivisti e cosidetti<br />
intellettuali rom e sinti sono stati usati<br />
come foglia di fico per coprire queste<br />
politiche. Bastava avere un ”proprio<br />
rom” nell’associazione per essere<br />
legittimati a parlare a nome dei rom<br />
e dei sinti. Quello che è mancato<br />
completamente è un confronto serio<br />
con le comunità, cercando di capire<br />
le differenze e le esigenze diverse delle<br />
comunità che si pretendeva di rappresentare.<br />
Così in convegni e dibattiti<br />
di cosiddetti addetti ai lavori<br />
ai quali non partecipa mai nessun<br />
rom o sinto succede di sentire affermazioni<br />
categoriche come quella<br />
che tutti i Rom e i Sinti vogliono vivere<br />
nelle case, ignorando cultura e<br />
usanze profonde delle comunità e dei<br />
diversi modi di vivere la propria comunità.<br />
Per passare dall’assistenza alla responsabilità<br />
c’è solo una via: rovesciare<br />
il criterio di rappresentanza affidandolo<br />
non più alle diverse associazioni<br />
ma solo ed esclusivamente ai<br />
rom e ai sinti.<br />
In questo senso è utile conoscere<br />
l’esperienza che abbiamo avviato a<br />
Sono decenni<br />
che si fa assistenzialismo<br />
invece di puntare<br />
sulla partecipazione<br />
e la responsabilità<br />
Milano un anno e mezzo fa. Con alle<br />
spalle 540 sgomberi, vari patti di legalità,<br />
regolamenti, censimenti del<br />
piano Maroni, accanimento mediatico<br />
e strumentalizzazioni, abbiamo<br />
fatto una scommessa. Siamo andati<br />
in tutti i campi, regolari e non, chiedendo<br />
alle comunità di creare uno<br />
strumento collettivo in grado di essere<br />
un interlocutore diretto con le<br />
istituzioni. Non era facile: sinti, rom<br />
abruzzesi, harvati, macedoni, kosovari,<br />
i khorakhane montenegrini e i<br />
rom rumeni facevano fatica al pensiero<br />
che con tutte le loro diversità<br />
potevano stare insieme in una consulta.<br />
Dopo un anno e mezzo la Consulta<br />
funziona, anche grazie a un<br />
quadro modificato: la Strategia nazionale,<br />
da una parte, e, dall’altra, il<br />
progetto del Comune di Milano che,<br />
anche per quanto fatto dalla Consulta<br />
in iniziative, progetti e soprattutto nel<br />
lavoro comune con le comunità, la riconosce<br />
come proprio interlocutore<br />
nel tavolo permanente previsto dal<br />
progetto.<br />
Così finalmente potremo essere giudicati<br />
dai fatti e non dai pregiudizi.<br />
27
8<br />
dibattito<br />
Parlate di inclusione,<br />
ma poi ci escludete<br />
Graziano Halilovic<br />
«La Strategia<br />
nazionale<br />
per i Rom è poco<br />
democratica:<br />
non li coinvolge<br />
al tavolo<br />
delle decisioni»<br />
Non è la prima volta che si cerca<br />
di avviare un progetto di<br />
integrazione e si cercano adeguate<br />
forme di rappresentanza della<br />
comunità romanì. È una storia che noi<br />
come comunità romanì abbiamo già<br />
visto e vissuto.<br />
Più di 40 anni fa nascono le prime associazioni<br />
pro-rom; avevano le idee<br />
molto chiare su cosa fare, ma in realtà<br />
non avevano la capacità di capire<br />
come le cose potevano effettivamente<br />
andare. Le iniziative e i progetti non<br />
venivano concordati con le comunità<br />
romanì, e neppure illustrati ad esse. Le<br />
associazioni pro-rom non avevano<br />
una reale conoscenza dei bisogni della<br />
comunità né sapevano come cercare<br />
di arrivare a una coesione sociale tra<br />
le due popolazioni, quella maggioritaria<br />
e la nostra, romanì. Le associazioni<br />
erano e sono disorientate e confuse<br />
quando si parla del mondo rom;<br />
e coloro che sono considerati gli<br />
“esperti” sui problemi delle comunità<br />
romanì lo sono ancora di più.<br />
In questi anni non sono mancati dei<br />
progetti che riguardavano il tema<br />
della casa, della salute, dell’istruzione,<br />
del lavoro e delle politiche sociali. I<br />
rom e i sinti hanno avuto tanta fiducia<br />
e speranza nei confronti degli “amici<br />
dei rom”. Molto spesso, però, queste<br />
associazioni agli incontri importanti<br />
invitavano alcuni rom non per condividere<br />
con loro i progetti ma per dimostrare<br />
di essere “amici dei rom” e<br />
così poter essere accreditate e giustificare<br />
le proprie azioni.<br />
Oggi l’esperienza passata dovrebbe insegnarci<br />
che cosa è andato bene e che<br />
cosa invece non è andato per il verso<br />
giusto. Sappiamo quali sono stati i risultati.<br />
Si dovrebbe, dunque, avere il<br />
coraggio e l’onestà intellettuale, e<br />
l’etica professionale, di mettersi in discussione<br />
in modo da poter finalmente<br />
cercare di trovare soluzioni concrete.<br />
Soluzioni non dal punto di vista di chi<br />
gestisce i progetti o di chi fa politica,<br />
ma dal punto di vista di chi dovrebbe<br />
beneficiare di questi progetti.<br />
Nella Strategia nazionale più di 50 pagine<br />
sono state scritte per descrivere<br />
quanti soldi sono stati spesi e quali<br />
sono stati i risultati positivi. Io mi chiamo<br />
Graziano Halilovic, sono rom e ho<br />
40 anni, sono nato e cresciuto in un<br />
campo nomadi (oggi chiamato “villaggio<br />
di solidarietà”), e potrei scrivere<br />
altre 50 pagine per descrivere come<br />
sono state mal utilizzate le risorse economiche<br />
e che danno irreversibile è<br />
stato fatto.<br />
L’esperienza dovrebbe essere una chiave<br />
di lettura per costruire una vera<br />
strategia nazionale, che riguardi non<br />
solo la comunità romanì ma anche la<br />
società maggioritaria.<br />
Non si deve parlare più di integrazione<br />
ma di coesione sociale. Non si deve<br />
cercare di offrire più servizi, che poi diventano<br />
assistenzialismo, ma si deve<br />
fare in modo che la comunità rom diventi<br />
una risorsa positiva. Non si devono<br />
finanziare campagne di sensibilizzazione<br />
affidate a chi non conosce<br />
il “fenomeno rom” o a chi dice di essere<br />
“esperto” delle comunità romanì<br />
ma invece è attento solo ai propri interessi<br />
e produce solo danni difficili da<br />
aggiustare.<br />
Le campagne sono strumenti molto importanti<br />
per combattere gli stereotipi,<br />
creare pari opportunità, sensibilizzare,<br />
far conoscere la comunità romanì<br />
a coloro che non sanno che i rom e<br />
sinti non sono estranei e che sono in<br />
Italia dal 1422 e fanno parte della storia<br />
italiana e hanno gli stessi diritti e<br />
doveri; ma debbono essere fatte da chi<br />
conosce davvero le cose.<br />
Non si devono continuare a costruire<br />
i cosiddetti “campi nomadi” solo per-
om e sinti: il problema dell’autorappresentanza<br />
ché ci sono delle risorse da spendere per<br />
realizzarli e per mantenerli, e perché<br />
qualcuno ci trova il suo tornaconto personale<br />
e politico; con quelle risorse si<br />
potrebbero costruire delle case che sarebbero<br />
utili sia per la comunità romanì<br />
che per altri che ne hanno bisogno.<br />
Un’indagine di una commissione del<br />
Senato sui problemi della salute dice<br />
che la comunità romanì vive 15 anni<br />
di meno del resto della popolazione<br />
perché fa una vita disagiata e che, se<br />
si continua a costringere la comunità<br />
romanì a vivere in questo tipo di habitat,<br />
si è responsabili di omicidio, lento<br />
ma precoce.<br />
Ci sono progetti ormai ventennali, e<br />
milionari, che riguardano la scolarizzazione<br />
degli alunni rom e sinti, ma<br />
non ci sono ragazzi che attraverso que-<br />
sti progetti siano riusciti a iscriversi all’università<br />
e tanto meno a finirla. Pochi<br />
ragazzi sono stati iscritti al liceo e<br />
ancora meno sono quelli che sono arrivati<br />
sino alla fine. Altri ragazzi rom<br />
vengono orientati ai corsi professionali,<br />
ma quasi tutti hanno poi abbandonato<br />
il percorso. Ancora peggiore è il fatto<br />
che tantissimi ragazzi non sono stati<br />
mai iscritti a scuola e quelli che sono<br />
iscritti frequentano poco, ma vengono<br />
giustificati delle stesse associazioni.<br />
Per questo motivo la qualità di questi<br />
studi è quasi zero. Se alcuni di loro<br />
ce l’hanno fatta è solo perché i genitori<br />
erano presenti nel percorso scolastico<br />
e perché non c’è stato nessun<br />
progetto esterno che li ha ostacolati.<br />
Quando si parla di affrontare la questione<br />
rom e sinta, l’Italia ha sempre<br />
lavorato sulla emergenza; questo dava<br />
la possibilità di scavalcare la burocrazia<br />
e di poter fare i propri comodi, danneggiando<br />
la comunità romani e sprecando<br />
denaro e risorse umane, senza<br />
portare nessun risultato concreto.<br />
Nella Strategia nazionale si parla di<br />
creare azioni a lungo termine: ovviamente<br />
questo è positivo, ma nello stesso<br />
momento potrebbe diventare negativo.<br />
Nello schema che l’UNAR ha<br />
attivato ci sono: quattro tavoli tematici<br />
nazionali, su abitazione, istruzione,<br />
lavoro e salute; poi c’è il Tavolo politico<br />
interministeriale; c’è la cabina di<br />
regia con gli enti locali; e c’è il Forum<br />
delle comunità rom e sinta. È una<br />
struttura molto complessa. Tutto è concentrato<br />
intorno all’Unar (il “Punto di<br />
contatto nazionale”), che in questo caso<br />
avrà una grande responsabilità e un<br />
ruolo cruciale su come si svolgerà la<br />
strategia e quali risultati otterremo.<br />
Analizzando la Strategia e partecipando<br />
ai tavoli, temo però che la storia<br />
si ripeta. La Strategia<br />
ha delle potenzialità, come<br />
ad esempio il piano di lavoro,<br />
ma deve essere modificata.<br />
Prima di prendere<br />
vita, deve essere presentata<br />
a tutta la comunità,<br />
con un linguaggio<br />
semplice e comprensivo.<br />
Dandole la possibilità di<br />
proporre delle modifiche.<br />
Cercando insieme quali<br />
obiettivi possono essere<br />
realizzati e quali no e perché no. Cercare<br />
di farle capire che non è il solito<br />
progetto ma che dietro questo progetto<br />
c’è una reale intenzione di miglioramento;<br />
che in questa sfida c’è un intero<br />
sistema politico che si è attivato;<br />
che non ci sono le solite faccie e associazioni<br />
che cercano di lucrare.<br />
Questo sarebbe il primo passo da fare<br />
per una partecipazione attiva e non<br />
passiva!<br />
Condividere la Strategia dal basso<br />
sarà un vantaggio per tutti. Sappiamo<br />
che è molto difficile farlo, ma sappiamo<br />
anche che i progetti calati dall’alto<br />
sono progetti fallimentari. Se si condivide<br />
il progetto, si condividono anche<br />
le responsabilità, e la comunità romanì<br />
è pronta a farlo. Se si attiva il<br />
meccanismo di partecipazione attiva e<br />
propositiva della comunità romanì, la<br />
fase successiva è che la comunità si<br />
renderà conto che avrà bisogno di autoorganizzarsi.<br />
Entrerà nella mentalità di<br />
un sistema democratico e cercherà di<br />
eleggere i propri rappresentanti. L’unico<br />
rischio è che le associazioni pro-rom<br />
si mettano in mezzo per candidare e far<br />
eleggere il proprio amico rom. Ci sono<br />
già dei rom e sinti che sono rappresentativi<br />
e che hanno una capacità professionale<br />
alta. Alcuni di loro, per dare<br />
il proprio contributo, hanno creato delle<br />
organizzazioni. Nello schema che<br />
l’Unar ha attivato manca, però, il<br />
coinvolgimento professionale dei rom.<br />
Essendo che la Strategia è a lungo termine,<br />
l’Unar dovrebbe assumere<br />
almeno 4 o 5 professionisti rom<br />
per condividere la Strategia e fare<br />
da ponte tra la comunità e le<br />
istituzioni. Non bastano solo gli<br />
“esperti non rom”; si dovrebbe<br />
lavorare insieme.<br />
Le due federazioni che partecipano<br />
al tavoli dell’Unar non<br />
devono essere solo una presenza<br />
di comodo e una giustificazione<br />
di fronte all’Unione<br />
europea (le organizzazioni<br />
rom sono presenti!). Le due federazioni<br />
devono avere un ruolo<br />
centrale e cruciale per la<br />
Strategia. La Strategia nazionale<br />
dovrebbe offrire alle due federazioni<br />
degli strumenti adeguati per poter<br />
dare il proprio contributo. Il fatto che il<br />
tavolo interministeriale e la cabina regionale<br />
non prevedano la presenza<br />
delle due federazioni è molto grave. Non<br />
ha senso escludere quando si parla di includere.<br />
Chi ha deciso questo schema<br />
non è stato democratico, nè è stato davvero<br />
strategico.<br />
Le opportunità di partecipazione delle<br />
due federazioni ci sono solo quando<br />
l’Unar lo consente. Noi non desideriamo<br />
di partecipare formalmente, ma di<br />
essere attivi e propositivi e di avere un<br />
ruolo cruciale per la strategia. La strategia<br />
nazionale è rivolta ai rom e sinti<br />
ma la nostra comunità non è ancora riconosciuta<br />
come minoranza linguistica<br />
(vedi la legge 482/1999) e questo è<br />
già un paradosso.<br />
Io sono certo che se c’è il coinvolgimento<br />
reale e totale della comunità romanì<br />
otterremo dei risultati eccellenti!<br />
29
0<br />
regioni obiettivo convergenza<br />
I tanti, troppi pregiudizi sui Rom rumeni<br />
La nipote di Adrian<br />
con la laurea di Maurizio Alfano<br />
Quello della presenza delle comunità Rom -<br />
soprattutto a partire dagli ultimi sette anni<br />
(con riferimento all'ingresso nell'UE della Romania<br />
e della Bulgaria) – è analizzata nel nostro Paese<br />
con categorie interpretative che non rappresentano<br />
affatto le motivazioni, i bisogni, gli obiettivi<br />
di queste comunità.<br />
Diverse tra loro sono le rotte e le catene migratorie<br />
che seguono i Rom rumeni per le loro attività<br />
commerciali itineranti. Esse vengono ad inserirsi<br />
nei nostri modelli economici i quali,<br />
però, sono ormai in via di quasi totale trasformazione.<br />
Come avviene, per esempio, per la raccolta<br />
e lo smaltimento dei metalli ferrosi, riversati<br />
in discariche non autorizzate.<br />
Proprio da uno di questi modelli di lavoro autonomo<br />
nasce il progetto migratorio di una famiglia<br />
Rom rumena del distretto di Cluoj, che ha<br />
lasciato il campo Rom di Cosenza insieme ad altre<br />
famiglie per spostare la propria residenza nel<br />
vicino Comune di Bisignano. Qui è iniziato un<br />
lento ma abbastanza positivo inserimento abitativo,<br />
un ottimento inserimento scolastico, e, seppur<br />
in maniera ancora non molto visibile, anche<br />
un certo inserimento sociale.<br />
È una storia, quella di Adrian e della sua famiglia,<br />
di lento affrancamento che passa per il consumarsi<br />
del paradosso di vedersi, da una parte,<br />
ritirare la patente, perchè ritenuto, nonostante sia<br />
cittadino europeo, un extracomunitario (perchè<br />
Rom) e dunque privo di cittadinanza a parere di<br />
taluni, e di ottenere, d’altra parte, l'autorizzazione<br />
comunale al commercio itinerante, seppur dopo<br />
un lungo e travagliato iter. Autorizzazione che<br />
ha baciato e incorniciato appena gli è stata consegnata<br />
perchè rappresanta, per la prima volta nella<br />
sua vita di cittadino europeo, il riconoscimento<br />
di un suo dirito alla pari con qualunque altro cittadino<br />
di nazionalità diversa dalla sua.<br />
Ora Adrian e sua moglie Nadia, ogni mattina,<br />
dopo aver accompagnato a scuola i bambini più<br />
piccoli, vanno con il loro Van nei paesi limitrofi<br />
a svolgere la loro attività di venditori ambulanti,<br />
raggiungendo spesso frazione isolate,<br />
o prive di qualsiasi attività al minuto, dando così<br />
spesso la possibilità agli anziani di questi luoghi<br />
di poter comprare oppure ordinare al bisogno<br />
ciò che più gli occorre. Sono riprese proprio<br />
in queste aree più interne della Calabria anche<br />
alcune pratiche di baratto vero e proprio,<br />
che Adrian proprio in nome della sua cultura<br />
Rom – identica poi, a quella calabrese di un<br />
trentennio fa – accetta di buon grado perché capisce<br />
che questa pratica, al contrario del solo<br />
scambio monetario, crea anche relazioni, socializzazioni<br />
multiple che danno ad entrambe<br />
le parti un nome e una dignità, e soprattutto una<br />
sola cittadinanza.<br />
Allo stesso modo, poi, delle nostre migrazioni<br />
del passato recente, sono iniziate le catene migratorie<br />
parentali. E Adrian ha così fatto venire<br />
in Calabria una sua nipote, laureata in scienze<br />
del servizio sociale: una giovane Rom laureata<br />
che sfata anche il luogo comune dell'analfabetismo<br />
in capo ad ogni Rom e che sarà coinvolta<br />
invece - proprio per la sua preparazione e per<br />
il suo lavoro con i minori Rom nel suo paese d'origine<br />
- all'interno di un progetto di accoglienza<br />
per i minori Rom e di mediazione familiare con<br />
i loro genitori, portato avanti dall'Istituto Comprensivo<br />
G. Pucciano di Bisignano e cofinanziato<br />
dal MIUR.<br />
Questa storia fa emergere qualcosa di finora quasi<br />
impercettibile, ovvero che i Rom rumeni presenti<br />
tra di noi possono avere un certo grado di<br />
scolarizzazione. Insomma sono capaci di potersi<br />
laureare, di lavorare regolarmente, di vivere in<br />
una casa, di condurre una vita normale, come le<br />
nostre stesse vite. Prendere consapevolezza di questo<br />
è uno dei crinali più irti da superare.
“Vivere da immigrati nel casertano”. Un’interessante indagine sociologica<br />
L’immagine<br />
distorta<br />
Caserta e il Litorale domizio sono state tra<br />
le prime aree della Campania e del paese<br />
Italia a essere interessate dall’immigrazione<br />
in maniera significativa. Si era all’inizio degli<br />
anni Ottanta. Lo ricorda Enrico Pugliese,<br />
studioso dei fenomeni migratori, introduce il<br />
volume Vivere da immigrati nel casertano.<br />
Profili variabili, condizioni difficili e relazioni<br />
in divenire, curato da Elena de Filippo, presidente<br />
della cooperativa sociale Dedalus e da<br />
Salvatore Strozza, ordinario di demografia a<br />
Napoli.<br />
Si tratta di un’indagine commissionata dall’Amministrazione<br />
provinciale di Caserta e diretta<br />
dall’ex Dipartimento di Scienze Statistiche<br />
dell’Università di Napoli Federico II, e<br />
realizzata in collaborazione con le cooperative<br />
sociali Dedalus e Cantiere Giovani.<br />
L’indagine, che è stata condotta tra dicembre<br />
2009 e marzo 2010 su un campione rappresentativo<br />
di circa 1.200 immigrati maggiorenni,<br />
è stata presentata recentemente a Caserta.<br />
In premessa gli autori fanno notare che, in assenza<br />
di un adeguato sistema di rilevazione,<br />
nel corso degli anni è scaturita un’immagine<br />
distorta della realtà dell’immigrazione nel casertano:<br />
alcuni aspetti sono stati esageratamente<br />
rimarcati e altri sono rimasti nascosti.<br />
Ad una elevata visibilità dell’immigrazione<br />
maschile in agricoltura e nel commercio ambulante,<br />
soprattutto nell’Agro aversano e nel<br />
Litorale domitio, ha infatti corrisposto l’invisibilità<br />
di un’immigrazione femminile, occupata<br />
nei servizi alle famiglie e concentrata a<br />
Caserta e negli altri centri urbani, con dimensioni<br />
più o meno equivalenti.<br />
L’immagine distorta è dovuta anche al territorio<br />
della fascia costiera che va dalla provincia<br />
di Napoli fino a quella di Latina, un territorio<br />
fortemente caratterizzato da tassi di disoccupazione<br />
elevati, lavoro nero e economie<br />
illegali. In quest’area, poi, c’è stato un coinvolgimento<br />
dell’immigrazione africana in attività<br />
illegali. Sono noti anche gli episodi di<br />
razzismo in questo territorio: l’assassinio di<br />
Jerry Essan Masslo nel 1989, l’incendio del<br />
ghetto di Villa Literno nel 1994, la strage a Castel<br />
Volturno nel 2008.<br />
Mutamenti dello scenario migratorio. Da sempre,<br />
e tutt’oggi, quella di Caserta è la provincia<br />
più “africana” della Campania, con una maggiore<br />
concentrazione di comunità provenienti dal Maghreb,<br />
e anche dall’Africa sub-sahariana. Tuttavia,<br />
l’immigrazione est-europea risulta ora predominante:<br />
gli Ucraini sono il gruppo nazionale<br />
più numeroso (sono il 23%), e a partire dal 2007<br />
si è ampliata la presenza di neo-comunitari, sia<br />
i Polacchi sia soprattutto i Romeni.<br />
Oltre alle attività agricole, c’è ora anche una<br />
domanda di manodopera a basso costo nel<br />
comparto bufalino, e più in generale, nell’allevamento<br />
soprattutto ovino. Si sono aperti<br />
spazi anche nelle attività di commercio ambulante,<br />
non solo lungo il litorale ma anche<br />
nei principali centri urbani, dove, inoltre, si<br />
è manifestata una forte richiesta di manodopera<br />
straniera da parte delle imprese edili. È<br />
poi emersa una domanda più articolata di servizi<br />
di cura da parte delle famiglie.<br />
All’inizio del 2010 sono quasi 50 mila gli stranieri<br />
che vivono nel casertano. Oltre il 40% non<br />
sono residenti e gli irregolari sono quasi il 20%<br />
del totale. Pertanto, Caserta è stata e rimane tuttora<br />
una delle province con la più elevata quota<br />
di irregolari. Ben il 38% degli immigrati occupati<br />
sperimenta una situazione di sfruttamento.<br />
Politiche per l’integrazione. Le politiche rivolte<br />
ai migranti dovrebbero fondarsi su due<br />
assi di intervento: da un lato, favorire le pari<br />
opportunità di accesso al sistema di welfare<br />
locale, con misure ad hoc per migliorare i livelli<br />
di accoglienza dei presidi sul territorio;<br />
dall’altro lato, attivare politiche di prossimità,<br />
specificatamente rivolte ai migranti, per le<br />
situazioni di particolare disagio.<br />
31
egioni obiettivo regioni convergenza<br />
obiettivo convergenza<br />
SICILIA<br />
Palermo. L’Osservatorio anti-discriminazioni razziali “Noureddine Adnane”<br />
La guerra<br />
degli ambulanti di Francesca Di Pasquale<br />
Il 19 febbraio 2011 dopo una settimana di<br />
agonia moriva a Palermo Noureddine Adnane,<br />
cittadino marocchino di 27 anni e venditore<br />
ambulante. Dopo aver subito una serie di<br />
controlli da parte dei vigili urbani del capoluogo<br />
palermitano, fino al sequestro della sua<br />
merce, l’11 febbraio Noureddine si era dato<br />
fuoco. Questa tragica vicenda - allora come<br />
adesso - va letta nel quadro del progressivo incremento<br />
dei fenomeni discriminatori verso<br />
cittadini migranti a Palermo, spesso sfociati in<br />
atti di estrema violenza.<br />
Nel marzo 2012 i Laici Comboniani di Palermo,<br />
Borderline Sicilia, Borderline-europe, l’ASGI e<br />
DifferanZ – associazioni da anni impegnate a<br />
fianco dei migranti – hanno deciso di costituire<br />
a Palermo un Osservatorio anti-discriminazioni<br />
razziali, intitolandolo proprio a Noureddine<br />
Adnane.<br />
L’Osservatorio, da poco tempo costituitosi in associazione,<br />
svolge attività di denuncia e di difesa<br />
dei diritti di tutte le persone che sono<br />
esposte al razzismo ed alla xenofobia da parte<br />
dei cittadini italiani, ed a forme diverse di discriminazione<br />
istituzionale, diretta o indiretta.<br />
Per il raggiungimento di questi fini, dalla sua<br />
costituzione ad oggi l’Osservatorio ha intrapreso<br />
diverse attività: la formazione di un<br />
gruppo di operatori in ambito legale effettuata<br />
da alcuni giuristi dell’ASGI, la progettazione<br />
dell’informazione all’interno delle scuole (rivolta<br />
sia agli studenti che agli insegnanti),<br />
l’attività di sportello, la mappatura delle realtà<br />
che operano con e per i migranti presenti nel<br />
territorio palermitano, il monitoraggio degli<br />
atti normativi dell’amministrazione comunale<br />
(con particolare riferimento alle ordinanze nei<br />
confronti degli ambulanti), il sostegno e l’attività<br />
di denuncia e sensibilizzazione sulle pratiche<br />
discriminatorie che colpiscono i cittadini<br />
migranti, l’inserimento e collaborazione con la<br />
rete degli sportelli di I livello che operano in<br />
città per fornire assistenza alla popolazione<br />
migrante.<br />
Gli ambiti monitorati sin qui sono stati soprattutto<br />
quelli degli ambulanti che quotidianamente<br />
trovano l’ostilità della polizia<br />
municipale nell’esercizio delle loro attività. In<br />
particolare sono da segnalare una decisa rigidità<br />
per quello che riguarda le tempistiche con<br />
le quali devono spostarsi da un luogo all’altro<br />
e il contrasto alla contraffazione (che nei loro<br />
riguardi diventa una vera e propria vessazione).<br />
Un altro ambito è quello degli affitti, a<br />
cui con difficoltà riescono ad accedere gli immigrati<br />
proprio perchè immigrati. Grandi sono<br />
le difficoltà ad accedere a quelle che sono le<br />
prestazioni socio-sanitarie erogate dalla Pubblica<br />
amministrazione, nonostante il possesso<br />
dei requisiti.<br />
L’Osservatorio ora intende ampliare il suo<br />
campo d’azione e incrementare la sua operatività<br />
in particolare nel campo del monitoraggio,<br />
con lo scopo di coinvolgere la cittadinanza, con<br />
particolare attenzione alle fasce giovanili ed<br />
alla popolazione scolastica e di fornire strumenti<br />
per l’adozione di “buone pratiche” da<br />
parte delle istituzioni e degli enti locali e per<br />
impedire l’adozione di norme e politiche – direttamente<br />
o indirettamente – discriminatorie.
Iniziativa del Comune di Guagnano con l’associazione Agedo di Lecce<br />
Nel Salento<br />
contro l’omofobia<br />
Guagnano, piccolo comune del Salento. Il<br />
consiglio comunale lo scorso 31 gennaio ha<br />
approvato all’unanimità una mozione per la prevenzione<br />
e la lotta all’omofobia e alla transfobia,<br />
presentata dai consiglieri di minoranza. Si<br />
tratta di un fatto straordinario per il piccolo paese<br />
salentino.<br />
“La mozione - spiega Gianfranca Saracino, presidente<br />
dell’associazione Agedo Lecce (Associazione<br />
di genitori, parenti e amici di persone<br />
omosessuali) - ha come obiettivo di promuovere<br />
e realizzare, da parte della Giunta, iniziative<br />
sul territorio di Guagnano che coinvolgano<br />
istituzioni, scuole e cittadini nella prevenzione<br />
e nella condanna degli atteggiamenti<br />
omo e transfobici. L’obiettivo è lo sviluppo di<br />
una cultura in cui tutte le differenze siano valorizzate<br />
e considerate come una ricchezza naturale<br />
dell’umanità a cui apparteniamo”.<br />
“Lottare contro le discriminazioni – ha proseguito<br />
Gianfranca Saracino - significa<br />
permettere la crescita serena dei giovani, la<br />
convivenza pacifica dei cittadini, la possibilità<br />
per tutti di esprimere al meglio le proprie<br />
potenzialità. In poche parole significa favorire<br />
il benessere di tutta la comunità. Ed è questo<br />
che dovrebbe stare a cuore ai rappresentanti<br />
dei cittadini di tutta Italia, indipendentemente<br />
dal colore politico. È questo, infine,<br />
che il Consiglio comunale di Guagnano ha dimostrato<br />
di volere con questa importante delibera<br />
e con le iniziative che avrà occasione<br />
di realizzare anche con la collaborazione delle<br />
associazioni”.<br />
Come Agedo Lecce – ha concluso Gianfranca Saracino<br />
- “siamo grati ai promotori della mozione,<br />
coscienti del bene che questa decisione può portare<br />
e delle sofferenze che può evitare, se dalle<br />
parole si passerà ai fatti. Come volontari che<br />
lavorano sul territorio per gli obiettivi che questa<br />
mozione così bene rappresenta, ci auguriamo<br />
che altri comuni del Salento seguano questo<br />
esempio e offriamo tutta la nostra esperienza<br />
e disponibilità”.<br />
Effettivamente, l’iniziativa dell’amministrazione<br />
di Guagnano, che in questo modo ha accolto<br />
l’invito rivolto dal Parlamento Europeo a tutti<br />
i paesi dell’Unione a “eradicare” omofobia e<br />
transfobia, è stata molto coraggiosa. In Italia la<br />
proposta di estensione della legge Mancino anche<br />
ai reati commessi a danno di qualcuno in<br />
ragione del suo orientamento sessuale o dell’identità<br />
di genere (persona omosessuale, transessuale<br />
o transgender) è stata affossata ben due<br />
volte dal Parlamento, nel 2009 e nel 2012. E non<br />
si contano gli episodi di insulto, aggressione, violenza,<br />
a scuola, in famiglia o per la strada e ora<br />
anche via internet.<br />
Eppure il Parlamento Europeo, con le sue Risoluzioni<br />
del 2006, 2007, 2011, 2012, ha più<br />
volte esortato tutti i paesi dell’Unione a “eradicare”<br />
omofobia e transfobia, a tutelare le persone,<br />
a lavorare per la prevenzione e il contrasto<br />
a queste forme di offesa alla dignità e,<br />
a volte, alla integrità anche fisica; per non parlare<br />
dei casi di suicidio, da registrare purtroppo<br />
ancora fra gli adolescenti vessati e spaventati.<br />
L’Associazione Agedo è attiva nella provincia<br />
di Lecce dal 2010. Gia nel 2011 ha convinto il<br />
Comune di Lecce (nella persona di Nunzia<br />
Brandi, assessore alla Politiche di genere) a celebrare,<br />
il 17 maggio, la Giornata internazionale<br />
contro l’omofobia così come auspicato<br />
nella Risoluzione del Parlamento europeo<br />
sull’omofobia in Europa del 26 aprile 2007 (il<br />
17 maggio di 22 anni fa si rimuoveva l’omosessualità<br />
dalla lista delle malattie mentali). “Liberiamo<br />
le differenze” è stato lo slogan dell’iniziativa,<br />
che si è ripetuta nel 2012, anche<br />
con la collaborazione del centro per il Volontariato<br />
di Lecce, e che ha sollecitato anche<br />
altre organizzazioni a celebrare la giornata in<br />
altre realtà della Puglia.<br />
33
eportage<br />
Vado a vivere<br />
in montagna<br />
La vallata dell’Alpago,<br />
nelle Prealpi venete,<br />
è un buon punto<br />
di osservazione<br />
per capire perché<br />
un numero crescente<br />
di immigrati sceglie<br />
di vivere in zone<br />
rurali o montane.<br />
Una ragione<br />
è certamente<br />
che l’accoglienza<br />
delle comunità locali<br />
è generalmente<br />
migliore che nei grandi<br />
centri, e l’inclusione<br />
sociale meno difficile<br />
Per capire perché un numero<br />
crescente di immigrati in Italia<br />
stia scegliendo di vivere in un<br />
piccolo comune, in zone rurali o periferiche<br />
rispetto alle grandi città, la<br />
vallata dell’Alpago mi sembra un<br />
buon punto di osservazione.<br />
Chiusa tra le Prealpi Bellunesi, il lago<br />
di Santa Croce e la Foresta del Cansiglio,<br />
questa conca verde nella provincia<br />
di Belluno è un territorio a sé stante,<br />
una “regione storico-geografica” ben<br />
delimitata, formata da cinque comuni<br />
al di sotto dei 3000 abitanti: Chies<br />
d’Alpago, Farra d’Alpago, Pieve d’Alpago,<br />
Puos d’Alpago e Tambre.<br />
Ci arrivo in un freddo venerdì di febbraio,<br />
in treno da Mestre, sulla ferrovia<br />
che, una volta passata la provincia<br />
di Treviso, diventa a binario unico<br />
e lentamente mi scarica, dopo varie<br />
soste, all’unica stazione per l’Alpago.<br />
Ad accogliermi c’è Francesca, superattiva<br />
operatrice dello sportello Informa<br />
Immigrati del Comune di Puos<br />
d’Alpago, e subito capisco che in<br />
questi tre giorni sarò la sua ombra, viste<br />
le difficoltà di spostamento nella<br />
zona per chi non ha l’automobile.<br />
Francesca è un mito. 27 anni, nata e<br />
cresciuta in Alpago, con una laurea in<br />
scienze dell’interculturalità presa a Venezia,<br />
da sola gestisce tutte le attività<br />
dell’unico ufficio per immigrati della<br />
zona, con quasi 600 persone servi-<br />
di Roberta Cocchioni<br />
foto di<br />
Claudio Baratta<br />
Stefano De Bona<br />
Andrea Semplici<br />
te nell’ultimo anno. Ricorda a memoria<br />
i nomi e le storie personali di gran<br />
parte di loro e, mentre mi fa girare su<br />
e giù per la valle, sa dirmi la nazionalità<br />
e il numero degli inquilini di<br />
ogni casa che incontriamo.<br />
Un fenomeno recente<br />
L’Alpago, come tutte le comunità montane<br />
del Nord Italia, si è trasformato in<br />
pochi anni da terra di forte emigrazione<br />
e decrescita demografica, a terra di immigrazione<br />
crescente, arrivando ad<br />
ospitare oltre 800 residenti stranieri, il<br />
doppio rispetto a dieci anni fa, con percentuali<br />
che in alcuni comuni, come<br />
Farra d’Alpago, sono pari al 12% sul<br />
totale dei residenti, due volte la media<br />
nazionale nei piccoli comuni.<br />
Il fenomeno è recente e risale alla fine<br />
degli anni novanta, ma è dal 2008 che<br />
il tasso di crescita annua è salito in<br />
modo sensibile, con una punta massima<br />
nel 2012. Nell’ultimo anno, a causa<br />
della crisi che anche qui si fa sentire,<br />
molti stranieri hanno lasciato la<br />
zona oppure hanno rinunciato ai ricongiungimenti<br />
familiari, facendo invertire<br />
il trend positivo.<br />
A differenza dei piccoli comuni del<br />
Centro-Sud, infatti, le zone rurali e periferiche<br />
del Nord Italia sono caratterizzate<br />
da flussi stanziali e non stagionali.<br />
Vuol dire che le persone im-
migrate scelgono di vivere stabilmente<br />
qui, comprano o affittano una<br />
casa e scelgono di far crescere qui la<br />
loro famiglia.<br />
Gli immigrati in Alpago lavorano tutti<br />
nel vicino distretto industriale di Paludi,<br />
oppure nell’agricoltura. Molti<br />
sono badanti per i tanti anziani del<br />
luogo, altri fanno i manovali edili. Alcuni<br />
hanno riscoperto antichi mestieri<br />
abbandonati dalla gente del posto,<br />
come Hasan che è venuto dalla Macedonia<br />
con la moglie e i quattro figli<br />
e fa il taglialegna nella Foresta del<br />
Cansiglio, detta anche “Bosco dei<br />
Dogi” perché col suo legname fu costruita<br />
la città di Venezia.<br />
Quando incontriamo Hasan, nella sua<br />
casa di Tambre, il comune più alto e più<br />
piccolo dell’Alpago, ci confessa che la<br />
vita nel bosco è dura, si lavora molto e<br />
si guadagna poco, ma che non lascerebbe<br />
l’Alpago per trasferirsi in una grande città,<br />
perché qui si vive tranquilli, i ragazzi<br />
si trovano bene a scuola e la gente è<br />
gentile e accogliente. Ma se il lavoro verrà<br />
a mancare, anche Hasan, come tutti,<br />
è pronto a trasferirsi altrove.<br />
immigrati nei piccoli comuni<br />
Va’ dove ti porta il lavoro<br />
Questo concetto della dipendenza dei<br />
flussi migratori dalla disponibilità del<br />
lavoro me lo spiega bene Ana, una<br />
donna di mezza età di origine moldava,<br />
che qui fa la badante ed ha sposato<br />
un alpagoto. Anche lei preferisce di<br />
gran lunga Puos d’Alpago ad una grande<br />
città – “Per carità, abitare a Padova,<br />
con tutto quel traffico e quella confusione<br />
non potrei mai” - ma aggiunge<br />
anche che gli stranieri vanno dove<br />
trovano lavoro, ed il loro senso di ap
partenenza ai luoghi e alle comunità<br />
che li ospitano, per questo motivo, è<br />
precario e mai completo.<br />
Il lavoro quindi, spesso trovato per<br />
caso, grazie ad un conoscente o ad un<br />
parente, è la prima causa che spinge<br />
i migranti a stabilirsi in un piccolo comune<br />
di montagna, nonostante le<br />
difficoltà che questo comporta in termini<br />
di mobilità, disponibilità di servizi,<br />
isolamento e mancanza di connazionali<br />
cui fare riferimento.<br />
Abitare qui non è una passeggiata, soprattutto<br />
per i giovani. Gli inverni<br />
sono rigidi e lunghi, le città più vicine<br />
si raggiungono facilmente<br />
solo in macchina, mancano i<br />
luoghi di aggregazione e la<br />
gente del posto, per la maggior<br />
parte anziani, ha una cultura<br />
tradizionale molto radicata<br />
dai forti contorni identitari.<br />
D’altra parte, anche geograficamente,<br />
l’Alpago è chiuso<br />
da barriere naturali che ne<br />
preservano intatta la cultura<br />
e l’identità da secoli, facendolo<br />
sentire un’unica comunità<br />
coesa, una piccola regione nella<br />
regione.<br />
Lecito è, quindi, domandarsi il<br />
perché di tanto afflusso stanziale<br />
in questa valle prealpina e soprattutto<br />
quali possono essere le conseguenze di<br />
questo cambiamento demografico così<br />
veloce in una realtà così omogenea al<br />
suo interno.<br />
Nessun romanticismo,<br />
siamo gente pratica<br />
Il sospetto che ci possa essere una volontà<br />
politica locale di favorire l’ingresso<br />
e la permanenza di “risorse<br />
umane” giovani e nuove, in questa terra<br />
invecchiata e semi abbandonata, mi<br />
viene. L’idea è brutale, ma per fugare<br />
ogni dubbio lo chiedo a Stefano, che<br />
fa l’insegnante di scienze nella scuo-<br />
6<br />
reportage<br />
la media locale e da 14 anni è assessore<br />
alle politiche sociali di Puos<br />
d’Alpago. E’ lui che ha promosso investimenti<br />
importanti per favorire<br />
l’inclusione dei residenti stranieri,<br />
come l’apertura nel 2003 dello Sportello<br />
Informa Immigrati.<br />
Stefano spegne subito ogni mio sospetto.<br />
Mi spiega, con una lucidità<br />
spietata, che gli amministratori locali<br />
di piccoli comuni come questo non<br />
hanno il potere di governare certi processi<br />
né di trattenere persone sui propri<br />
territori. Si tratta di “cose più grandi<br />
di noi”, dice. I Comuni possono “soltanto”<br />
attivarsi per favorire l’inserimento<br />
sociale degli stranieri durante<br />
la loro permanenza, prevenire i con-<br />
flitti e valorizzare il contributo positivo<br />
che queste persone portano sul<br />
territorio.<br />
Tutto questo, in un territorio omogeneo<br />
formato da tanti piccoli comuni,<br />
può succedere, secondo Stefano, più<br />
facilmente che in una grande città.<br />
Primo - “Perché in comuni così piccoli<br />
il ruolo dell’amministratore non è visto<br />
come un trampolino di lancio per<br />
la carriera politica, né è remunerativo,<br />
e quindi possiamo permetterci di<br />
fare le scelte che riteniamo più giuste<br />
senza temere il giudizio elettorale o<br />
l’impopolarità”-.<br />
Secondo – “Perché in un comune di<br />
duemila abitanti la distanza tra l’amministratore<br />
ed il cittadino si annulla a
tal punto che siamo tutti toccati in prima<br />
persona dagli stessi problemi e basta<br />
la sensibilità di pochi per mettere in<br />
moto dei circoli virtuosi capaci di coinvolgere<br />
sempre più persone, amministratori,<br />
cittadini e mondo del volontariato,<br />
per passare in poco tempo dall’idea<br />
all’azione ed attivare cambiamenti”.<br />
Parlando con questo giovane amministratore<br />
mi rendo conto che, usando<br />
le sue parole, non siamo nel Paese<br />
dei Balocchi e che l’Alpago non può<br />
essere dipinto come isola felice che si<br />
ripopola grazie agli immigrati senza<br />
difficoltà o disagi per nessuno. Ma sicuramente<br />
qui, più che altrove, il<br />
forte senso pratico della comunità e lo<br />
spirito di collaborazione che ha sempre<br />
caratterizzato questa gente ha<br />
messo in moto un sistema di cooperazione<br />
tra amministratori locali, al di<br />
là del colore politico, e tra questi e le<br />
associazioni di volontariato, in grado<br />
di rafforzare, con poche risorse, i servizi<br />
ed il sostegno in favore dei residenti<br />
più deboli, stranieri compresi.<br />
SSono nati così lo sportello di informazione,<br />
i corsi di lingua, il doposcuola<br />
per i bambini e poi, grazie al<br />
contributo delle associazioni di volontariato<br />
riunite nella rete “Oasi<br />
Amicizia” (in Alpago ci sono ben 110<br />
associazioni su 10.000 abitanti), sono<br />
stati attivati la dispensa alimentare<br />
mensile, l’armadio del vestiario e le varie<br />
manifestazioni multiculturali come<br />
la Festa del migrante.<br />
Sentirsi a casa in Alpago<br />
Quindi il lavoro c’è ed i servizi attivati<br />
dal Comune non mancano. L’affitto è<br />
più basso e la vita è tranquilla, a misura<br />
d’uomo. Questo dovrebbe bastare<br />
a spiegare il perché di una massiccia<br />
immigrazione stanziale in questa<br />
conca prealpina.<br />
Ero quasi pronta per scrivere la “ricetta”<br />
della buona integrazione degli<br />
stranieri nei piccoli comuni, ma le<br />
chiacchierate che sono seguite con i<br />
tanti immigrati del posto non facevano<br />
altro che scombinarmi le carte in<br />
tavola, aggiungendo un ingrediente costante<br />
e difficilmente riproducibile<br />
altrove, come il legno del Cansiglio che<br />
ha costruito Venezia.<br />
Si tratta della concretezza e del senso<br />
di collaborazione che si nasconde<br />
dietro alla scorza dura e diffidente della<br />
gente alpagota: l’esatto contrario<br />
dell’individualismo cittadino o di certa<br />
compassione caritatevole religiosa.<br />
E’ un semplice risolvere insieme i problemi<br />
comuni, ragionando sempre<br />
come gruppo e pensando al benessere<br />
comune come benessere proprio.<br />
Molti degli immigrati che intervisto mi<br />
raccontano, infatti, di vicine di casa che<br />
insegnano spontaneamente l’italiano,<br />
come è successo per la mamma di Naima,<br />
che vive con la sua famiglia di origini<br />
marocchine nella frazione di Santa<br />
Croce. Altri, come Florence che viene<br />
dal Ghana, mi racconta di una coppia<br />
del posto che si offrì di badare a suo<br />
immigrati nei piccoli comuni<br />
figlio piccolo quando lavorava e di aiutarla<br />
per spostarsi o andare in ospedale.<br />
Ebrahima e sua moglie, originari del<br />
Gambia, sono una giovane coppia<br />
musulmana che, per iniziativa di alcuni<br />
cittadini locali, è ospite della canonica<br />
inutilizzata della Chiesa di Sitran,<br />
frazione di Puos d’Alpago.<br />
Per molti, infine, trovare lavoro è possibile<br />
grazie all’aiuto di gente del posto,<br />
come è successo a Chamil, venuto<br />
dallo Sri Lanka insieme alla moglie,<br />
a cui una signora di Puos ha trovato<br />
lavoro prima in una casa di riposo e<br />
poi in una fabbrica della zona.<br />
Chamil mi dice che quando è lontano<br />
dall’Alpago ne sente la mancanza, e<br />
sebbene abbia vissuto in città meravigliose<br />
come Venezia, Genova, Positano,<br />
qui si sente “a casa” perché la<br />
gente è disponibile e gentile. Quando<br />
gli chiedo perché, con tanti posti in Italia,<br />
ha scelto di stabilirsi qui, mi risponde<br />
semplicemente “Perché quando<br />
sono arrivato la prima volta nella<br />
mia casa qui a Santa Croce ho guardato<br />
fuori dalla finestra e quello che<br />
ho visto era bellissimo, con il lago e<br />
le montagne intorno. Ho sentito che<br />
questo era il mio posto”.<br />
La bellezza, proprio non pensavo<br />
potesse influenzare un progetto migratorio.<br />
37
eportage<br />
Nel piccolo comune<br />
l’immigrato è visto subito<br />
nella sua umanità<br />
Dai dati dell’Atlante 2012 sullo<br />
stato dei piccoli comuni in Italia<br />
emerge un aumento sensibile<br />
dei cittadini stranieri che decidono<br />
di risiedere non nei centri urbani, ma<br />
qui, nei piccoli comuni. Per capire<br />
come il Piccoli Comuni italiani stiano<br />
affrontando questo fenomeno, ne parliamo<br />
con Luca Pacini, che è il responsabile<br />
dell'Area Immigrazione dell'Associazione<br />
Nazionale Comuni Italiani.<br />
Non si tratta di un fenomeno piuttosto<br />
sorprendente, dott. Pacini?<br />
Il fattore nuovo ed interessante, al di là<br />
dei numeri, è quello della velocità con<br />
cui questo cambiamento sta interessando<br />
le piccole realtà. Molti piccoli comuni<br />
italiani si sono trovati impreparati<br />
a far fronte in poco tempo alla domanda<br />
di servizi, di diritti e di attenzione<br />
da parte dei cittadini immigrati.<br />
Le ragioni dell’aumento di residenti stra-<br />
Il Centro Informa Immigrati di Puos d’Alpago<br />
nieri in questi piccoli centri sono, in realtà,<br />
facilmente riconoscibili, si pensi al<br />
minore costo della vita ed alla migliore<br />
qualità dei servizi al cittadino, favorita<br />
proprio dalla dimensione piccola.<br />
Può spiegarci meglio questa relazione<br />
tra dimensione piccola e migliore<br />
qualità dei servizi? Generalmente<br />
si pensa alle piccole realtà come<br />
aree carenti di servizi e prive di opportunità<br />
di inserimento socio-lavorativo…<br />
Mediamente, nonostante in un piccolo<br />
centro ci sia una minore offerta di<br />
opportunità, l’integrazione è favorita<br />
dalla presenza di una comunità più<br />
coesa, da un rapporto più diretto con<br />
le istituzioni e da una modalità più immediata<br />
di accesso ai servizi e al lavoro.<br />
Ovviamente non si può generalizzare,<br />
esistono dei piccoli centri in cui si vive<br />
malissimo e ci sono molti episodi di discriminazione,<br />
ma in un piccolo comune<br />
è normalmente più facile garantire<br />
attenzione ed accesso ai servizi<br />
in modo universalistico, perché c’è un<br />
rapporto più diretto con l’amministrazione,<br />
non ci sono quelle difficoltà<br />
strutturali tipiche dei grandi centri,<br />
pensiamo ad esempio all’esistenza di<br />
periferie molto estese o alla frammentazione<br />
demografica e sociale tipica<br />
delle grandi città.<br />
Anche il ruolo della comunità e delle<br />
reti sociali nei piccoli centri rafforza<br />
intervista a<br />
Luca Pacini<br />
responsabile dell’area<br />
immigrazione dell’Anci<br />
il sistema delle garanzie per i cittadini<br />
stranieri, che sono privi di reti parentali<br />
e amicali, ovvero privi di ammortizzatori<br />
sociali naturali. In queste<br />
realtà, infatti, tende ad esserci un<br />
maggiore fermento culturale e sociale,<br />
un senso di protezione comunitaria<br />
maggiore.<br />
L’accesso al lavoro, ai servizi, alla casa,<br />
alle relazioni sociali, di conseguenza,<br />
trova minori barriere nei piccoli centri<br />
e ciò aiuta gli immigrati a superare<br />
più facilmente anche gli ostacoli burocratici<br />
che la legge impone agli stranieri<br />
per la loro permanenza in Italia.<br />
L’integrazione è dunque un fenomeno<br />
naturale nei piccoli Comuni oppure<br />
c’è un ruolo dell’amministrazione<br />
locale che riesce ad indirizzarla<br />
in senso positivo?<br />
La porta dell’integrazione per i cittadini<br />
a rischio di marginalità sociale è<br />
rappresentata dai diritti.<br />
In assenza di diritti non c’è integrazione<br />
né in un piccolo comune né in<br />
un grande centro.<br />
Mentre la solidarietà è demandata alla<br />
sensibilità di ognuno, il diritto deve essere<br />
garantito in modo universale da<br />
chi amministra.<br />
Nei piccoli comuni gli amministratori<br />
locali, grazie a queste spinte naturali<br />
provenienti dal basso, hanno<br />
aperto per primi e con più facilità la<br />
strada della garanzia dei diritti per tutti,<br />
abbattendo quelle barriere che si<br />
frappongono all’esercizio dei diritti<br />
umani, sociali e civili.<br />
Questo perché, nella dimensione del piccolo<br />
comune, è più immediato il processo<br />
di umanizzazione dell’immigrato,<br />
che cessa di essere considerato unicamente<br />
come forza-lavoro o problema<br />
sociale e viene visto come cittadino, por
tatore di identità sociale, bisogni relazionali,<br />
diritti di cittadinanza.<br />
In virtù di quel rapporto più diretto<br />
con l’amministrazione, l’immigrato in<br />
un piccolo comune viene visto come<br />
persona che ha bisogno di esprimere<br />
la propria individualità, assumere<br />
un ruolo attivo nella comunità,<br />
progettare una propria vita familiare<br />
e lavorativa e anche esercitare il<br />
proprio diritto di rappresentanza democratica.<br />
In questo processo, ovvero nel riconoscimento<br />
e nella garanzia dei diritti<br />
di cittadinanza agli immigrati, i piccoli<br />
comuni hanno fatto dei passi in<br />
avanti molto più velocemente di<br />
quanto abbiano fatto le grandi città o<br />
la legge nazionale.<br />
Che tipo di contributo stanno apportando<br />
i nuovi cittadini di origine straniera<br />
alle realtà dei piccoli comuni?<br />
Le statistiche attribuiscono agli immigrati<br />
un contributo di crescita spes-<br />
so meramente demografica ed economica,<br />
che è assolutamente vero, ma<br />
non si può dimenticare il grande<br />
contributo in termini di esercizio della<br />
cittadinanza e di vigore democratico<br />
che questi nuovi cittadini potrebbero<br />
dare.<br />
La nostra società è vecchia e deve pensare<br />
ad un nuovo modello comunitario<br />
più sostenibile per il suo mantenimento<br />
futuro.<br />
Le barriere al diritto di cittadinanza e<br />
di rappresentanza politica sono il primo<br />
vero ostacolo ad un reale processo<br />
di inclusione ed integrazione degli<br />
stranieri. Sono una vera e propria discriminazione<br />
operata dalle istituzioni.<br />
L’Anci si batte da anni per il diritto di<br />
voto agli stranieri, per il passaggio allo<br />
ius soli e per la rappresentatività delle<br />
istituzioni locali.<br />
Nel 2005 l’Anci ha fatto una proposta<br />
di legge per attribuire con legge ordinaria<br />
il diritto di voto alle elezioni amministrative<br />
ai cittadini stranieri residenti<br />
in Italia da più di 5 anni. Al momento<br />
questa proposta non ha avuto seguito,<br />
ma come può un sindaco non rappresentare<br />
una percentuale di residenti che<br />
in alcuni comuni raggiunge il 15%?<br />
Solo passando dal diritto non si perde<br />
la rotta e si evita di incappare nelle<br />
forme di discriminazione, anche indiretta,<br />
che le stesse amministrazioni<br />
pubbliche possono perpetrare.<br />
La presenza degli<br />
stranieri nei piccoli<br />
comuni italiani<br />
Gli stranieri che hanno scelto un piccolo<br />
comune italiano come propria residenza<br />
sono 643.081, con un’incidenza<br />
sul totale della popolazione complessiva<br />
residente in tali realtà pari al<br />
6,2%. Tale dato, riferito al 1 gennaio<br />
2011, è in costante e rapido aumento,<br />
con una crescita del 175% rispetto al<br />
2003.. È uno degli aspetti della fotografia<br />
che l’Atlante 2012 dell’Anci ha<br />
scattato sul mondo dei piccoli comuni<br />
italiani, ovvero quelli con popolazione<br />
residente inferiore ai 5000 abitanti. Secondo<br />
lo studio, gli immigrati che si trasferiscono<br />
nel nostro paese sembrano<br />
essere inizialmente attratti dalle città e<br />
dalle realtà amministrative di maggiori<br />
dimensioni, che possono offrire<br />
maggiori reti di solidarietà ed opportunità<br />
lavorative, ma poi preferiscono<br />
spostarsi nei centri più piccoli dove inferiore<br />
è il costo della vita e maggiori<br />
sono le possibilità di integrazione sociale.<br />
Nello specifico le mete preferite<br />
dagli stranieri sembrano i centri con un<br />
numero di abitanti compreso tra 2.501<br />
e 5mila: la loro incidenza e’ del 6,6%,<br />
superiore a quella rilevata mediamente<br />
per i piccoli comuni, e inferiore<br />
a quella nazionale di meno di un<br />
punto percentuale.<br />
L’Atlante Anci evidenzia inoltre il maggiore<br />
peso della popolazione straniera<br />
sul cambiamento della struttura<br />
demografica nei piccoli comuni. In queste<br />
realtà, infatti, più che nei centri abitati<br />
di grandi dimensioni, la presenza<br />
degli stranieri assume un peso proporzionalmente<br />
maggiore dal momento<br />
che cresce mentre, al tempo<br />
stesso, diminuisce la popolazione autoctona<br />
di cittadinanza italiana.<br />
Altro dato interessante, infine, è la differenza<br />
tra Centro-Nord e Sud rispetto<br />
a tale fenomeno: da un lato emerge<br />
un centro-nord con evidenti flussi<br />
migratori, ovvero dove gli stranieri in<br />
molti piccoli comuni registrano una presenza<br />
superiore alla media nazionale,<br />
dall’altro un Sud, incluse le isole maggiori,<br />
in cui, a parte qualche eccezione,<br />
i piccoli comuni non sembrano essere<br />
molto attrattivi per la popolazione<br />
immigrata.
0<br />
reportage<br />
Nei centri più poveri<br />
e isolati c’è il rischio<br />
delle vite parallele<br />
intervista a<br />
Giorgio Osti<br />
Università di Trieste<br />
e Flaminia Ventura<br />
Università di Perugia<br />
Giorgio Osti è docente all’Università<br />
di Trieste, Flaminia<br />
Ventura è ricercatrice all’Università<br />
di Perugia. Insieme hanno<br />
coordinato il progetto di ricerca<br />
“Vivere da stranieri in aree fragili” e<br />
curato l’omonimo saggio edito da Liguori<br />
nel 2012, che presenta una raccolta<br />
di numerosi casi di studio italiani.<br />
Li abbiamo intervistati per capire meglio<br />
i meccanismi sociali di inclusione<br />
degli immigrati nei piccoli centri urbani,<br />
soprattutto quelli più isolati e<br />
"fragili".<br />
Come definite le “aree fragili” del territorio<br />
italiano?<br />
Il termine fragile è riferito alla dimensione<br />
sociale di queste aree, dove<br />
vi è stata una progressiva diminuzione<br />
del risorse umane e soprattutto la<br />
perdita di categorie demografiche,<br />
sociali ed economiche che hanno<br />
portato alla disgregazione della comunità<br />
locale. Sono aree dove gli spa-<br />
Nelle aree più fragili e spopolate, la presenza<br />
degli immigrati è preziosa, ma la relazione<br />
con le comunità locali è più difficile<br />
zi fisici e sociali sono sempre più caratterizzati<br />
dal “vuoto”: quello lasciato<br />
dai giovani, grandi assenti in queste<br />
aree mal collegate con i poli di attrazione,<br />
la scuola, il lavoro; il vuoto delle<br />
case dei centri storici e quello degli<br />
ampi spazi agricoli, a pascolo e forestali,<br />
che non sono più coltivati.<br />
Sono aree dove la complessità socioeconomica<br />
tipica delle comunità vitali<br />
ha lasciato il posto ad una “specializ-<br />
zazione” demografica, fatta di anziani,<br />
e ad una economica, quella delle attività<br />
agro-silvo-pastorali che ne accentuano<br />
la debolezza piuttosto che<br />
costituirne un motivo di attrazione.<br />
Come si caratterizza il processo di integrazione<br />
dei cittadini stranieri in<br />
queste aree?<br />
Un elemento comune è che il processo<br />
di immigrazione è sempre di per sé<br />
un processo dirompente: in queste<br />
aree, dove i legami sociali e con<br />
l’ambiente sono sempre più deboli, i<br />
cittadini stranieri si scontrano spesso<br />
con una ritrovata identità sociale e territoriale<br />
della popolazione locale, con<br />
“piccoli mondi antichi” che basano la<br />
propria difesa nell’isolamento dal<br />
nuovo e dai nuovi cittadini.<br />
I meccanismi di integrazione sono resi<br />
più difficili in queste aree dalla carenza<br />
di servizi alle persone e di forme di associazionismo<br />
che riguardano la stessa<br />
popolazione locale, carenze che nel<br />
caso degli immigrati sono accentuate<br />
dalla dispersione abitativa sul territorio.<br />
L’arrivo in queste aree del migrante è<br />
quasi sempre una seconda o terza scelta,<br />
il motivo principale, quando non<br />
si tratta di lavoratori stagionali agricoli,<br />
è la ricerca di soluzioni abitative<br />
a basso costo; il polo lavorativo rimane<br />
quello delle città e/o delle aree<br />
industriali. Siamo spesso di fronte ad<br />
immigrati e immigrate che non cercano<br />
una integrazione “totale” nel paese<br />
di destinazione a scapito delle<br />
proprie radici e tradizioni culturali, ma<br />
che riproducono nelle nuove aree di residenza<br />
e lavoro i propri modelli di<br />
vita, siano questi compatibili o meno<br />
con le regole della società civile locale.
Non vi è conflittualità con la popolazione<br />
locale, ma vite parallele. Anche<br />
gli autoctoni vivono la presenza di<br />
stranieri attraverso una separazione che<br />
ha pochi punti in comune: la scuola e<br />
il lavoro, entrambi presenti laddove vi<br />
sono interi nuclei familiari dei migranti<br />
o vi è una loro stabilità sul territorio<br />
legata a servizi residenziali come<br />
quello delle “badanti”.<br />
Quali sono i rischi più frequenti a livello<br />
sociale?<br />
Il rischio più frequente è certo quello<br />
di una nuova segmentazione sociale<br />
che porta prima all’isolamento<br />
tra autoctoni e migranti e, successivamente,<br />
a forme di intolleranza e di<br />
nuova emarginazione e di esclusione<br />
di questi ultimi. In questo periodo di<br />
crisi, tali fenomeni, legati alla carenza<br />
di lavoro, divengono sempre più frequenti;<br />
i primi a perdere il lavoro sono<br />
gli immigrati, sia per una forma di diritto<br />
di priorità per gli autoctoni sia<br />
per la presenza di immigrati nei lavori<br />
stagionali e per forme di assunzione<br />
spesso basate sulla precarietà. In<br />
questo scenario vengono riattivati<br />
flussi tra aree interne e poli urbani che<br />
sono nuovamente a vantaggio di<br />
questi ultimi, con una seconda “stagione”<br />
di abbandono delle aree rura-<br />
I volontari della rete<br />
di associazioni Oasi Amicizia<br />
li ed interne anche da parte della popolazione<br />
migrante. Ed una nuova disgregazione<br />
dei precari equilibri esistenti<br />
in queste aree.<br />
Quali sono, viceversa, in queste aree,<br />
le spinte ad un’inclusione sociale positiva<br />
e ad un contenimento delle discriminazioni<br />
razziali?<br />
Dalle analisi e dai racconti è piuttosto<br />
evidente che i migranti rappresentano,<br />
e potenzialmente potrebbero ancor più<br />
rappresentare, una risorsa essenziale<br />
per le comunità più fragili, un tassello<br />
fondamentale per un progetto di sviluppo<br />
economico e sociale per questi territori<br />
o, quanto meno, di resistenza all’abbandono.<br />
La scuola e l’auto-imprendi-<br />
41
torialità sono certamente i due elementi<br />
ricorrenti che favoriscono l’integrazione<br />
dei migranti. L’inclusione delle<br />
nuove generazioni attraverso la scuola<br />
passa per la costruzione di una cultura<br />
comune, la condivisione di interessi, tra<br />
cui quello dello sport-gioco ha un ruolo<br />
importante, un senso di appartenenza<br />
al “locale” derivante dalla quotidianità<br />
d’uso dei luoghi da parte dei figli dei<br />
migranti. Alla scuola spesso si uniscono<br />
centri di aggregazione gestiti dai servizi<br />
sociali o da associazioni volontarie.<br />
Per molti adolescenti questi spazi rappresentano<br />
un luogo di aggregazione importante,<br />
al di là dell’istituzione scolastica<br />
o del nucleo familiare.<br />
Il secondo elemento che costituisce una<br />
forte spinta all’integrazione è rappresentato<br />
dall’avvio di un’attività imprenditoriale,<br />
dal passaggio dal lavoro<br />
dipendente a quello autonomo che<br />
comporta un totale cambiamento di<br />
orizzonte sia temporale sia culturale<br />
per il migrante. Il successo dell’attività<br />
2<br />
reportage<br />
imprenditoriale, anche quando la forza<br />
lavoro è rappresentata solo da migranti,<br />
comporta relazioni continue e<br />
fiduciarie con la popolazione locale.<br />
Anche in questo caso si sviluppa un<br />
senso di appartenenza basato soprattutto<br />
sulla consapevolezza di una reciproca<br />
dipendenza economica tra<br />
autoctoni e nuovi imprenditori stranieri.<br />
E la presenza di un nucleo familiare<br />
è piuttosto rilevante, in quanto<br />
comporta aspettative per il futuro<br />
legate ad una continuità di rapporti<br />
con il luogo e con il Paese ospitante.<br />
Quali politiche?<br />
Certamente occorrono programmi specifici,<br />
già sperimentati in altri Paesi, per<br />
attrarre i migranti nelle aree fragili e<br />
in questo modo assicurare una più<br />
omogenea distribuzione della popolazione,<br />
combattere i processi segregativi<br />
urbani, ma soprattutto promuovere
politiche di sviluppo per questi territori<br />
a rischio di abbandono.<br />
Un punto chiave su cui agire è la casa:<br />
i migranti, come documentato, vanno<br />
a riempire i luoghi dell’abitare lasciati<br />
vuoti dalla popolazione locale poiché<br />
versano in situazioni critiche dal<br />
punto di vista dei servizi e dell’accessibilità.<br />
Questo costituisce il primo ostacolo<br />
anche alla possibilità di erogare<br />
in modo adeguato servizi e utility pubbliche.<br />
Occorre introdurre strumenti che<br />
favoriscano l’accessibilità dei migranti<br />
all’affitto ed all’acquisto delle case<br />
e forme di autocostruzione per il restauro<br />
e recupero a fini abitativi del patrimonio<br />
edilizio abbandonato spesso<br />
presente nelle aree fragili.<br />
Altro nodo politico è quello dei servizi,<br />
del mantenimento di presidi sanitari e<br />
scolastici adeguati e di spazi aggregativi<br />
per le popolazioni caratterizzate<br />
da mobilità ridotta. Nel caso dei mi-<br />
L’aula per i corsi di italiano<br />
dell’ufficio Informa Immigrati di Puos<br />
granti è emersa la centralità di luoghi<br />
aggregativi, anche di tipo educativo,<br />
ma non scolastico, nella costruzione<br />
di un contesto di socializzazione utile<br />
a contrastare il disagio e la segregazione<br />
in particolare fra i più giovani<br />
da cui dipende in gran parte il futuro<br />
di queste aree.<br />
Dal vostro punto di vista, è possibile<br />
parlare di un “modello” di integrazione<br />
positiva offerto dalle aree<br />
fragili? In che misura tale modello è<br />
trasferibile ad altri contesti urbani,<br />
come le città di medie o grandi dimensioni?<br />
Quanto emerge dai racconti e dalle<br />
analisi fa affermare che le aree fragili<br />
possono essere terreno di sperimentazione<br />
per forme di convivenza pacifica<br />
su base universale. La scarsità di<br />
risorse umane e relazionali socio-economiche<br />
che, come abbiamo detto, caratterizza<br />
queste aree, impone di trovare<br />
soluzioni in cui siano necessariamente<br />
implicati anche gli stranieri.<br />
Il caso della scuola è emblematico: per<br />
salvarla in aree a bassa densità servono<br />
i bambini degli immigrati! Lo stesso<br />
discorso si può applicare al lavoro.<br />
La rarefazione della popolazione fa venir<br />
meno certi lavori che però continuano<br />
a essere richiesti. Si dovrà ero-<br />
immigrati nei piccoli comuni<br />
garli con formule imprenditoriali che<br />
includano anche gli stranieri, con la<br />
conseguenza di una ridefinizione delle<br />
pratiche locali anche nelle attività più<br />
tradizionali come l’agricoltura, la pastorizia,<br />
la selvicoltura e l’artigianato.<br />
In molte di queste aree sono stati sperimentati<br />
nuovi modelli di organizzazione<br />
del lavoro e di trasferimento<br />
delle conoscenza, come ad esempio le<br />
cooperative multi servizi o multi stakeholder<br />
nate in aree montane, che<br />
solo come tali riescono ad avere una<br />
sostenibilità economica.<br />
Molte forme di associazionismo e volontariato<br />
nate per l’integrazione<br />
sociale degli immigrati hanno finito<br />
per gestire servizi a tutta popolazione<br />
disagiata o sono divenuti luoghi<br />
di sviluppo di conoscenze interculturali<br />
che favoriscono il dialogo e la<br />
comprensione reciproca. Si tratta di<br />
sperimentazioni, buone prassi, che<br />
sono certamente trasferibili all’interno<br />
di queste aree, ma anche in aree<br />
urbane.<br />
43
cultura › cinema<br />
Intervista a Daniele Vicari, vincitore del premio Pasinetti alla Mostra di Venezia<br />
A bordo della nave dolce<br />
Edoardo Fonti<br />
otto agosto 1991 entrava nel por-<br />
L’ to di Bari la nave Vlora, con a bordo<br />
circa ventimila albanesi in fuga<br />
dopo il crollo del regime di Enver<br />
Hoxa. L’approdo dell’imbarcazione,<br />
assaltata e occupata pacificamente<br />
nel porto di Durazzo da un popolo in<br />
fuga dal proprio paese e attratto dal<br />
miraggio di una vita migliore in Italia,<br />
costituì la prima ondata di migrazione<br />
di massa nel nostro paese. Dopo<br />
alcuni giorni di prigionia nello Stadio<br />
della Vittoria, decisi dalle autorità di<br />
Roma, contro il parere del sindaco di<br />
Bari Enrico Dalfino, quasi tutti i migranti<br />
vennero rimpatriati: solo duemila<br />
riuscirono a fuggire.<br />
La storia di quei drammatici giorni è<br />
ricostruita ne “La nave dolce”, l’ultimo<br />
lavoro di Daniele Vicari, vincitore<br />
fuori concorso alla Mostra di Venezia<br />
del Premio Pasinetti.<br />
Dopo ”Diaz-Don’t Clean Up This Blood”<br />
(2012), il regista di Collegiove (Rieti)<br />
e affronta un’altra delle pagine amare<br />
della nostra storia recente. Lo fa attraverso<br />
un lavoro di sapiente montaggio<br />
delle straordinarie riprese dell’evento,<br />
alcune inedite, mescolate<br />
alle testimonianze di chi visse sulla<br />
propria pelle quei drammatici giorni.<br />
Come è nato il progetto del film?<br />
In occasione del ventennale dell’arrivo<br />
degli albanesi sulle coste pugliesi<br />
mi è stato chiesto dall’Apulia Film<br />
Commission di mettere su un film, ed<br />
io ho proposto la storia della nave.<br />
Tra le tante cose di cui parlammo in<br />
44<br />
una riunione fatta ad Otranto, l’unica<br />
storia che mi sembrava potesse avere<br />
un’unità di narrazione e una certa potenza<br />
emotiva era la storia della Flora<br />
e delle sue ventimila persone. È in<br />
qualche modo un archetipo quello della<br />
nave con un intero popolo sopra che<br />
cerca una nuova terra, possiede già una<br />
forza, una valenza in sé. Una volta che<br />
verificai che esistevano dei materiali<br />
di repertorio così copiosi, mi decisi a<br />
raccontare questa storia. In fondo<br />
immaginavo che non sarebbe stato facile,<br />
ma neanche impossibile, rintracciare<br />
alcune delle persone che erano<br />
Luca Turi<br />
sulla nave, ai tempi tutti molto giovani.<br />
A proposito dei filmati di archivio che<br />
poi hai utilizzato nel film, riprendendo<br />
una frase di Zavattini hai parlato<br />
di immagini che aspettano di essere<br />
riportate in vita.<br />
La frase di Zavattini risale al momento<br />
in cui contribuì in prima persona<br />
alla fondazione dell’archivio audiovisivo<br />
di quello che si chiamava<br />
un tempo Movimento Operaio e che<br />
ora è il Movimento Operaio Democratico.<br />
Egli afferma che gli archivi
audiovisivi, gestibili da un certo<br />
momento in poi grazie ai supporti di<br />
registrazione, hanno incominciato a<br />
sistematizzare la memoria collettiva<br />
del mondo, rimanendo materia morta<br />
senza uno spettatore, ma tornando<br />
a piena vita se guardati da qualcuno.<br />
Per questo affermava fossero<br />
impazienti di esistere. Al tempo stesso<br />
l’avere dei repertori che si riferiscono<br />
a vicende magari molto in là<br />
nel tempo e poterli rivedere, è un’idea<br />
molto simile a quella che Walter Benjamin,<br />
nelle tesi sulla storia, sottolineava<br />
come il nostro bisogno, non<br />
tanto di ricordare, quanto di rammemorare,<br />
cioè di rivivere culturalmente<br />
ed intellettualmente cose che<br />
sono accadute nel nostro passato, per<br />
poterle comprendere.<br />
Nel film, per raccontare l’evento, scegli<br />
una via che non è quella “didattica”,<br />
piena di coordinate e spiegazioni,<br />
ma preferisci portarci direttamente<br />
dentro al fatto.<br />
Il film è abbastanza simile a Diaz, in<br />
entrambi i casi, essendo narratore e<br />
non storico, decontestualizzo un fatto<br />
rispetto alle sue circostanze, lì rispetto<br />
al fatto generale del G8, qui rispetto<br />
alla caduta dei regimi comunisti.<br />
La narrazione, la cosiddetta fiction,<br />
è basata sulla dinamica che c’è tra contestualizzazione<br />
e decontestualizzazione<br />
di un determinato fatto che hai<br />
deciso di narrare. In questi termini, utilizzando<br />
in maniera accorta delle tecniche<br />
adatte, faccio sì che lo spettatore<br />
si ponga delle domande, si chieda<br />
“Cosa sta succedendo? Dove mi trovo?”.<br />
Non dà nulla per scontato dell’evento<br />
che sta di fronte a lui. Non mi<br />
dispiace nemmeno che all’inizio del<br />
film si pensi che quelle siano le rivolte<br />
arabe, in modo tale da creare subito<br />
un link virtuale tra passato e presente.<br />
Non si aspetta più spiegazioni,<br />
ma sta sperimentando in prima persona<br />
come è andata. Credo che questo popolo,<br />
normalmente sempre più condotto<br />
per mano, abbia in realtà proprio<br />
bisogno di essere spaesato. Solo<br />
in questa dinamica lo spettatore cresce.<br />
Quando finisce il film gli resteranno<br />
in testa un sacco di domande.<br />
Dallo sbarco della Vlora, circa venti anni<br />
fa, come sono mutate le cose in Italia?<br />
Una cosa fondamentale è che noi<br />
non siamo più lo stesso paese che eravamo<br />
nel ’91, non nel senso che<br />
“sono passati venti anni e quindi sia-<br />
mo cambiati”, ma che ormai più del<br />
10% della popolazione italiana ha<br />
origini extra territoriali: questo è un<br />
cambiamento profondo e radicale,<br />
che non abbiamo ancora pienamente<br />
compreso. Il fatto che 5/6 milioni di<br />
persone non nate in Italia vivano sul<br />
nostro territorio nazionale, rende il nostro<br />
paese interrazziale, interculturale,<br />
molto più complesso di venti anni<br />
fa. Il problema vero è che noi non stiamo<br />
facendo i conti con questa differenza,<br />
non la stiamo prendendo minimamente<br />
in considerazione.<br />
Parliamo per esempio del cinema. La<br />
nostra cinematografia è la più identitaria<br />
che esiste al mondo: il tipico cineasta<br />
è maschio, adulto, benestante<br />
e italiano. Le donne che fanno cinema<br />
sono pochissime e fanno una fatica<br />
inaccettabile ad emergere. I giovani<br />
stessi devono passare sotto tanti<br />
rulli compressori che arrivano a fare<br />
cinema quando sono vecchi e spompati,<br />
e tra questi i figli delle classi medio<br />
basse non hanno quasi alcuna possibilità<br />
di accesso, non solo al cinema,<br />
ma alla cultura cinematografica stessa,<br />
perché ha costi esagerati. E soprattutto<br />
non ci sono cittadini italiani<br />
provenienti da paesi non italiani,<br />
non esiste il punto di vista di queste<br />
persone, dei migranti o immigrati, nella<br />
nostra cinematografia, siamo noi<br />
che, tranne qualche raro caso, raccontiamo<br />
le loro storie secondo un<br />
punto di vista che è e resta il nostro,<br />
anche quando come nel mio caso, e<br />
come nel caso di tantissimi altri, si va<br />
quasi contro se stessi per non essere<br />
“identitari”.<br />
Tutto ciò necessariamente caratterizza<br />
la povertà della nostra produzione<br />
culturale, poiché questa assenza di punti<br />
di vista diversi, in tutti i campi, informazione<br />
compresa, fa sì che il 90%<br />
degli italiani non prenda in conside-<br />
45
cultura › cinema<br />
razione l’altro 10%, se non quando succedono<br />
cose di cronaca terrificanti, oppure<br />
che a miss Italia non venga eletta<br />
un’etiope o un’eritrea. Le persone che<br />
invece vanno a vivere in Germania, in<br />
Inghilterra, in Francia, sono ben rappresentati<br />
da grandi registi, scenografi,<br />
direttori della fotografia, musicisti.<br />
46<br />
Nicola Amato<br />
Inoltre negli anni 60 e 70, grazie ai movimenti<br />
politici e sociali che coinvolgevano<br />
la società, esisteva un oggettiva<br />
internazionalizzazione dei punti di<br />
vista, una sorta di internazionalismo culturale,<br />
che collocava automaticamente<br />
le vicende del proprio paese in un<br />
contesto internazionale. Ad un certo<br />
punto però nel nostro paese, dagli<br />
anni del craxismo in poi, e ne parlo in<br />
termini strettamente temporali, ci siamo<br />
chiusi su noi stessi. Da lì in poi l’unico<br />
motivo che hanno avuto gli italiani<br />
per prendere in considerazione il resto<br />
del mondo sono state le vacanze.<br />
Quasi tutti i passeggeri della Vlora,<br />
nonostante vennero rimpatriati in<br />
modo brutale, tornarono in Italia…<br />
Non si può recintare il mare. L’evoluzione<br />
delle nostre civiltà ci porta a considerare<br />
come naturale l’esistenza di<br />
cose che non lo sono, come i confini.<br />
Gli esseri umani sono più complessi,<br />
più difficili, più articolati di come i poteri<br />
che esistono, che si autorappresentano<br />
e si autocostituiscono, sono<br />
abituati a pensare. Che succede quando<br />
un essere umano non si sente più<br />
appartenente ad un territorio circondato<br />
da un muro, da un confine? Per<br />
qualunque motivo, spesso neanche di<br />
natura economica, come per esempio<br />
la pura e doverosa spinta alla libertà.<br />
Ecco che le persone si scontrano con<br />
l’esistenza di queste barriere, secondo<br />
un moto che è perpetuo, inarrestabile.<br />
Inoltre gli strumenti che stiamo utilizzando<br />
inutilmente per arginare il fenomeno<br />
non sono adeguati.<br />
I CIE, per esempio, sono uno strumento<br />
repressivo che la nostra società liberale,<br />
basata su una costituzione che riconosce<br />
i diritti universali come quella<br />
italiana, ha accettato come niente, come<br />
se fossero scontati, senza accorgersi che<br />
l’esistenza stessa di un luogo del genere,<br />
dove quei diritti non ci sono, mette<br />
in contraddizione lo stato con se stesso.<br />
In quel luogo lì possono finire tutti,<br />
non lo puoi escludere perché se esiste…<br />
È come lo stato di eccezione di Agamben:<br />
se è normale per me, è normale per<br />
te. Noi non stiamo prendendo in considerazione<br />
questo tipo di modificazioni<br />
profonde che stiamo vivendo.<br />
Il fenomeno è, a questo punto, oggettivamente<br />
inarrestabile. Cosa spinge<br />
ancora a combatterlo, è una que
Nicola Amato<br />
stione di business economico e politico,<br />
o stiamo davvero combattendo<br />
con una paura quasi ancestrale?<br />
Parlando di una società complessa ciò<br />
a cui fai riferimento coesiste purtroppo.<br />
Sono movimenti che procedono<br />
paradossalmente in direzioni contrapposte,<br />
la chiusura degli italiani e<br />
l’apertura del territorio italiano. Chi fa<br />
propaganda elettorale contro gli stranieri<br />
lo fa con la consapevolezza che<br />
ci sono persone che hanno paura di<br />
certi fenomeni, non li conoscono, li rifiutano,<br />
e costituiscono così un consolidato<br />
bacino elettorale. Questo tipo<br />
di atteggiamento, imperniato su parole<br />
d’ordine contro gli stranieri, o a favore<br />
di ideologie razziste o totalitarie come<br />
il fascismo, produce la chiusura culturale<br />
di un paese e fa sì che la sua parte<br />
più attiva che guarda al mondo, vive<br />
nel mondo e lo desidera così profondamente,<br />
se ne vada. È un problema<br />
che riguarda circa 50.000 giovani<br />
ogni anno. Laureati, diplomati, persone<br />
di alta specializzazione, che fanno le<br />
valige ed esportano le loro competenze,<br />
la loro apertura, la loro visione del<br />
mondo altrove. E il nostro paese si impoverisce.<br />
Tutto ciò porta all’invecchiamento<br />
di una civiltà. Se noi arriviamo<br />
a coltivare (e anche questo è un<br />
contro senso storico-logico) il nostro<br />
invecchiamento, facendolo addirittura<br />
diventare il paradigma di una nuova<br />
idea di società dove le persone anziane<br />
sono più sagge, hanno più esperienza,<br />
conoscono meglio le cose del<br />
mondo etc. etc., costruiamo un bellissimo<br />
luogo dove non c’è spazio per il<br />
futuro, dove si vive una sorta di pre-<br />
sente sempre più agghiacciante e falso.<br />
In un posto così nemmeno i vecchi<br />
stanno bene, perché è una società<br />
divisa. Una società è bella, vitale,<br />
quando è plurale, quando c’è uno<br />
scambio tra le generazioni, quando chi<br />
muore sa di poter contare su chi resta<br />
in modo tale che le cose che ha fatto,<br />
che i propri desideri, gli sforzi che si<br />
son fatti in vita non siano inutili. Il discorso<br />
dell’immigrazione cade dentro<br />
tutto questo e ovviamente, in un contesto<br />
così, non trova una composizione<br />
razionale, lucida, civile. Questa<br />
mancata composizione ci porta a spaventarci,<br />
a stupirci del fatto che ci sono<br />
scuole dove il 60 % dei ragazzi sono<br />
di origine non italiana…<br />
47
cultura › libri<br />
a cura di Valerio Serafini<br />
Il valore della diversità<br />
Brunetto Chiarelli,<br />
Altravista - Pagine 104<br />
›››› L’Italia sta vivendo una fase in cui si<br />
susseguono episodi di intolleranza e discriminazione<br />
verso le persone di colore,<br />
gli immigrati e verso gli stranieri in generale:<br />
occorre riflettere ed opporsi alle<br />
violenze ed ai pregiudizi.<br />
Se è vero che i nostri schemi tendono a<br />
riportare le differenze fisiche su un piano<br />
culturale è altrettanto vero che le classi<br />
gerarchiche tra le “razze” umane, proposte<br />
nel XIX secolo, altro non erano che<br />
lo strumento ideale per giustificare sistemi<br />
colonialistici, di apartheid e di imperialismo,<br />
fino al caso estremo del nazismo.<br />
La scienza ha dimostrato che, paragonando<br />
i geni di due individui appartenenti alla<br />
stessa popolazione, le differenze sono poco<br />
inferiori a quelle rilevate paragonando i<br />
geni di due individui che vivono in continenti<br />
diversi. Il problema del razzismo<br />
e della discriminazione di individui che<br />
hanno determinate caratteristiche fisiche<br />
e culturali, va ben oltre i confini della biologia<br />
ed investe la politica e la società.<br />
Oggi il mondo globalizzato impone il confronto<br />
diretto con persone provenienti da<br />
ogni parte della terra, e l’acuirsi della crisi<br />
economica genera paura in tutte le classi<br />
sociali che riversano il proprio bisogno<br />
di sicurezza nelle derive razziste delle ideologie<br />
politiche.<br />
La disabilità nel cinema<br />
Siamo a una svolta?<br />
Non chiamarmi Cina<br />
Luigi Ballerini<br />
Giunti Editore - Pagine 133<br />
Valerio Serafini<br />
› Un’intervista radiofonica della BBC mi dà lo spunto per una<br />
riflessione sul mondo del cinema e la disabilità.<br />
Un sapore di Ruggine e Ossa, Amour, Quasi Amici e Incontri<br />
sono tutti film che raccontano la realtà delle persone con disabilità,<br />
prevalentemente per quanto riguarda l’aspetto della sessualità<br />
e dell’autonomia. Film ben prodotti, che denotano un<br />
attenzione nuova su questo argomento. Tuttavia, non posso non<br />
rilevare come salvo che in rari casi, gli attori non siano real-<br />
48<br />
›››› Un breve romanzo che in poche<br />
pagine di veloce lettura descrive una<br />
realtà che molti di noi ignorano. Si<br />
parla di un ragazzo italiano col sogno<br />
di diventare un calciatore professionista<br />
e di una ragazza cinese nata in<br />
italia, che si s’innamorano e iniziano<br />
un percorso nel corso del quale le due<br />
diverse culture cercano un punto in<br />
comune. Diciassette anni non è un età<br />
facile per nessuno: si cominciano a<br />
profilare scelte impegnative e le pressioni<br />
non mancano. Una figlia cinese<br />
deve "onorare" il padre e la madre<br />
andando bene a scuola e lavorando<br />
per la famiglia, per ripagare i genitori<br />
dei sacrifici. In quest’ottica viene lasciato<br />
poco spazio ai sentimenti, che<br />
sono considerati dalla famiglia una distrazione<br />
dai propri doveri; e la cultura<br />
del paese ospitante non deve mai<br />
primeggiare, secondo l’ottica cinese,<br />
sulla propria.<br />
Tuttavia la giovane Rossana, pur facendo<br />
proprie le richieste dei genitori,<br />
confessa ad Antonio di riconoscersi nei<br />
valori e nei modi di vita italiani. Tutto<br />
questo genera nella ragazza una<br />
complessa crisi di identità che la porta<br />
ad interrogarsi con inquietudine sul<br />
proprio futuro.<br />
Stare ai giochi<br />
Mauro Valeri<br />
Odradek edizioni - Pagine 242<br />
›››› È un libro sulle presunte libertà del<br />
mondo olimpico che, dietro a belle frasi di<br />
circostanza sul diritto delle persone a praticare<br />
lo sport, ha creato tante ingiustizie.<br />
I giochi olimpici avrebbero dovuto essere<br />
in grado di mettere da parte le divergenze<br />
politiche. Invece le storie dei partecipanti<br />
sono spesso intrise di episodi di ingiustizia.<br />
Il libro racconta storie di campioni<br />
quali Jim Thorpe, noto atleta multidisciplinare<br />
che vinse due ori nelle olimpiadi<br />
del 1916, ma i titoli gli vennero ritirati<br />
per il suo sangue pellerossa. Racconta<br />
della ferma e stentorea opposizione del barone<br />
De Coubertin alla partecipazione delle<br />
donne nella I Olimpiade, e delle grandi<br />
figure femminili che sfidarono i costumi<br />
della società in numerosi sport: nel pattinaggio<br />
e nel nuoto come nel salto in alto<br />
e nel salto in lungo. Racconta della<br />
“mamma volante”, l’olandese Fanny Blankers-Koen,<br />
che scandalizzò la società del<br />
tempo perché oltre ad essere una eccelsa<br />
velocista (4 ori nel ‘48) aveva anche 3 figli<br />
(connubio poco apprezzato all’epoca,<br />
in quanto si riteneva che l’attività agonistica<br />
nuocesse alla funzionalità dell’apparato<br />
riproduttivo femminile).<br />
Valeri ricorda anche le discriminazioni degli<br />
atleti di colore, di quelli con disabilità,<br />
di quelli transessuali.<br />
mente persone con disabilità ma solo attori che interpretano<br />
quel ruolo. Chissà se nel corso degli anni riusciremo veramente<br />
a far recitare nei film persone con disabilità!?<br />
Chi come me la disabilità la vive non può fare a meno di pensare<br />
che sarebbe davvero opportuno che nei film con protagonisti<br />
disabili gli attori scelti fossero essi stessi persone con<br />
disabilità.<br />
Possiamo sperare che, con l’andare degli anni, sempre più film<br />
raccontino storie sui disabili e che questo spinga gli agenti dello<br />
spettacolo a reclutare persone con disabilità come attori.<br />
Oggi, tra l’altro, prevale ancora la tendenza a parlare di disabilità<br />
che sono sopraggiunte dopo un trauma, e c’è uno scarso<br />
interesse per quanto riguarda gli aspetti psicologici della<br />
disabilità.<br />
Per adesso, in attesa di un cambiamento di ottica, non resta<br />
che lodare quelle poche eccezioni meritevoli, quali ad<br />
esempio Harold Russel e Marlee Martlin. Speriamo che sempre<br />
più film vengano prodotti sul mondo della disabilità e<br />
che sempre più spesso si abbia la possibilità di applaudire film<br />
che la raccontano. Per ora, godiamoci questa stagione di rinnovata<br />
attenzione.