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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% Roma QAyt. n. C/RM/12/2012<br />

numero<br />

5 rivista<br />

calcio e razzismo fuori e dentro gli stadi<br />

la comunità monastica<br />

di Deir mar Musa in Siria<br />

l’autorappresentanza<br />

di rom e sinti<br />

di diritti umani e lotta alla discriminazione<br />

vita da immigrati nei piccoli comuni<br />

R<strong>+vicini+uguali</strong><br />

A


numero<br />

rivista di diritti umani e lotta alla discriminazione 5<br />

calcio e razzismo fuori e dentro gli stadi<br />

la comunità monastica<br />

di Deir mar Musa in Siria<br />

l’autorappresentanza<br />

di rom e sinti<br />

vita da immigrati nei piccoli comuni<br />

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% Roma QAyt. n. C/RM/12/2012<br />

n<br />

<strong>+vicini+uguali</strong><br />

AR<br />

l’evento<br />

primo piano<br />

il razzismo<br />

negli stadi<br />

a cura di<br />

Giampiero Forcesi<br />

diritti umani<br />

Siria / la comunità<br />

monastica di Deir mar Musa<br />

dibattito<br />

rom e sinti: il problema<br />

dell’autorappresentanza<br />

regioni obiettivo<br />

convergenza<br />

reportage<br />

immigrati<br />

nei piccoli comuni<br />

a cura di<br />

Roberta Cocchioni<br />

cultura<br />

PERIODICO DI INFORMAZIONE<br />

A CURA DELL’UNAR<br />

ANNO 2 - N. 5<br />

MARZO/APRILE 2013<br />

AUTORIZZAZIONE TRIBUNALE DI ROMA<br />

N. 32/2012 DEL 13/02/2012<br />

Direttore responsabile<br />

PAOLA DI LAZZARO<br />

Redazione<br />

MARCO BUEMI, ROBERTA COCCHIONI,<br />

CECILIA CRISTAUDO, EDOARDO FONTI,<br />

GIAMPIERO FORCESI,<br />

ANTONIO GIULIANI, VALERIO SERAFINI<br />

DIREZIONE GENERALE PER LE POLITICHE<br />

ATTIVE E PASSIVE DEL LAVORO<br />

Responsabile del progetto<br />

FABIO CAPOCCI<br />

Art director TULLIO CAPOCCI<br />

Hanno collaborato: Maurizo Alfano,<br />

Francesca Di Pasquale, Francesca Gaio,<br />

Giorgio Osti, Flaminia Ventura<br />

Contributi fotografici: Marco Buemi,<br />

Concorso fotografico “Diversità urbana”,<br />

Claudio Baratta, Stefano De Bona,<br />

Andrea Semplici<br />

In copertina foto di Piotr Spalek<br />

Se vuoi commentare gli articoli<br />

o scaricare i numeri della rivista<br />

NEAR in pdf vai sul sito:<br />

www.retenear.it<br />

Se vuoi segnalarci delle iniziative<br />

o farci delle domande scrivi a<br />

rivista@retenear.it<br />

ne AR<br />

Realizzazione grafica e stampa:<br />

L.G. Soc. Coop. - Roma<br />

5<br />

Via delle Zoccolette 25<br />

00186 Roma - 06 68211616<br />

sommario<br />

Paola Di Lazzaro Se chiudi col razzismo. Ti si apre un mondo 2<br />

intervista a Mauro Valeri «Che razza di tifo!»<br />

Colloquio con Daniela Conti I Mondiali Antirazzisti<br />

Colloquio con Stefania Magi Il calcio negato ai ragazzi stranieri<br />

4<br />

8<br />

12<br />

Intervista a Giancarlo Abete<br />

«Dalla Figc grande attenzione e ferma condanna» 14<br />

Proposte per rimuovere la discriminazione nell’accesso<br />

al tesseramento calcistico dei minori stranieri<br />

Da 5 anni è attivo anche “Mediterraneo Antirazzista”<br />

«Gioco anch’io». Un appello<br />

I bambini rom in campo / Un inno per i prossimi Mondiali Antirazzisti<br />

18<br />

19<br />

20<br />

21<br />

Marco Buemi Vangelo, preghiera e dialogo con l’Islam 22<br />

Dijana Pavlovic Dall’assistenza alla responsabilità 26<br />

Graziano Halilovic Parlate di inclusione, ma poi ci escludete 28<br />

Calabria / Maurizio Alfano La nipote di Adrian con la laurea<br />

Campania / L’immagine distorta. Vivere da immigrati nel casertano<br />

Sicilia / Francesca Di Pasquale La guerra degli ambulanti<br />

Puglia / Nel Salento contro l’omofobia<br />

30<br />

31<br />

32<br />

33<br />

Vado a vivere in montagna 34<br />

Intervista a Luca Pacini<br />

Nel piccolo comune l’immigrato è visto subito nella sua umanità 38<br />

Intervista a Giorgio Osti e Flaminia Ventura<br />

Nei centri più poveri e isolati c’è il rischio di vite parallele 40<br />

CINEMA<br />

Intervista a Daniele Vicari, di Edoardo Fonti A bordo della nave dolce 44<br />

LIBRI a cura di Valerio Serafini 48<br />

CINEMA E DISABILITÀ Valerio Serafini Siamo a una svolta? 48


l’evento<br />

Paola Di Lazzaro<br />

Come ogni anno, in occasione<br />

della “Giornata mondiale per<br />

l’eliminazione delle discriminazioni<br />

razziali,” che si celebra in tutto<br />

il mondo il 21 marzo, l’UNAR, ha<br />

organizzato la Settimana di azione<br />

contro il razzismo, campagna di sensibilizzazione<br />

giunta ormai alla sua IX<br />

edizione e quest’anno in programma<br />

dal 17 al 24 marzo con il supporto<br />

delle istituzioni pubbliche e private, del<br />

mondo dello sport, della scuola, del terzo<br />

settore e delle associazioni di categoria.<br />

Lo slogan di questa edizione “Se<br />

chiudi col Razzismo. Ti si apre un<br />

mondo” è una sfida contro la paura<br />

delle diversità, contro l’ignoranza di<br />

chi crede che il colore della pelle, la<br />

lingua, il paese di origine, l’orientamento<br />

religioso possano classificare<br />

le persone e le loro vite.<br />

16 e 17 marzo. Sui campi<br />

di serie A un cartellino<br />

rosso, contro il razzismo<br />

Ufficialmente la settimana prenderà il<br />

via con il week end sportivo del 16<br />

e 17 marzo. Grazie al sostegno di<br />

FIGC, Lega Calcio di Serie A e Serie<br />

B, Lega Pro e con la collaborazione<br />

dell’Oscad (Osservatorio per la sicurezza<br />

contro gli atti Discriminatori) prima<br />

del fischio di inizio delle partite in<br />

tutti i campi di serie A, sarà esposto<br />

uno striscione contro il razzismo e i capitani<br />

delle squadre leggeranno un<br />

messaggio di condanna, mentre sugli<br />

spalti saranno distribuite migliaia di<br />

fotografie dei giocatori più rappre-<br />

sentativi del campionato con lo slogan<br />

“Espelli il razzismo”. Anche la nazionale<br />

di calcio, impegnata il 21 marzo<br />

a Ginevra nell’amichevole conto il Brasile<br />

testimonierà contro il razzismo<br />

ospitando a Coverciano una rappresentanza<br />

di giovani giocatori italiani<br />

e stranieri.<br />

Sempre il 17 marzo la 19a maratona<br />

di Roma, di cui l’Unar è promotore ufficiale,<br />

si aprirà all’insegna del “Ti si<br />

apre un mondo” e migliaia di persone<br />

correranno con la maglietta di colore<br />

verde con lo slogan ufficiale della<br />

settimana.<br />

Look around.<br />

Per non restare<br />

indifferenti<br />

Centinaia le iniziative promosse in tutta<br />

Italia a cominciare da il progetto didattico<br />

Look around. Per non restare<br />

indifferenti in collaborazione con l’associazione<br />

“Il razzismo è una brutta<br />

storia” e laFeltrinelli, che coinvolgerà<br />

studenti elementari e medi e i loro<br />

insegnanti nella visione di cortometraggi<br />

internazionali sui temi del razzismo,<br />

e dell’educazione alla cittadinanza.<br />

La visione ospitata da quindici<br />

librerie Feltrinelli sarà introdotta da<br />

esperti e mediatori culturali.<br />

Dal 17 al 24 marzo la IX Settimana<br />

d’azione contro il Razzismo<br />

Se chiudi<br />

col razzismo.<br />

Ti si apre un mondo<br />

In piazza,<br />

nei luoghi di lavoro,<br />

dentro le scuole<br />

Nel corso della settimana nei quartieri<br />

a forte vocazione etnica di tante città<br />

(tra le altre Roma, Bologna, Verona,<br />

Milano, Trieste, Torino, Genova, Prato,<br />

Cosenza, Bari, Palermo), in collaborazione<br />

con le associazioni locali, e<br />

Amnesty International saranno allestiti<br />

gazebo interattivi pensati per essere<br />

punti di incontro fra la popolazione italiana<br />

e le comunità straniere dove partecipare<br />

a iniziative artistiche, culturali,<br />

gastronomiche e informative.<br />

Altre iniziative coinvolgeranno le organizzazioni<br />

datoriali e i sindacati facenti<br />

parte della cabina di regia del progetto<br />

dell’UNAR “Diversità al lavoro”<br />

progetto nato per facilitare fattivamente<br />

l’inserimento lavorativo di persone<br />

con disabilità, di origine straniera,<br />

transgender, con il coinvolgimento di<br />

aziende ed istituzioni.<br />

Con il progetto “Questa è l’Italia”,<br />

l’Unar entra in numerosi istituti scolastici<br />

per raccontare a più voci il nuovo<br />

volto dell’Italia multietnica, invitando<br />

gli studenti a riflettere sui cambiamenti<br />

sociali e demografici per approfondire<br />

il tema del rapporto con la


ESPELLI<br />

IL RAZZISMO<br />

diversità, con l’identità nazionale e la<br />

cittadinanza, con la discriminazione e<br />

l’integrazione.<br />

Il 22 marzo l’UNAR, in collaborazione<br />

con il Centro studi IDOS, promuove<br />

un incontro con la comunità romena<br />

e con la comunità albanese. Il 20 marzo<br />

a Roma presso la Biblioteca della<br />

Lumsa si terrà la cerimonia di premiazione<br />

dei vincitori del premio per<br />

tesi di dottorato di ricerca UNAR/CRUI.<br />

Il 21 marzo a Roma, alle ore 10.30 al<br />

Teatro Ambra Jovinelli, l’UNAR, in<br />

collaborazione con ARCI presenterà<br />

uno spettacolo dedicato agli istituti superiori<br />

della Capitale, dal titolo “Basta<br />

Razzismo, per una nuova cittadinanza”.<br />

Il 20 e 21 marzo a Napoli, andrà in scena<br />

la quarta tappa della campagna<br />

“Dosta!” iniziativa di sensibilizzazione<br />

per combattere i pregiudizi e gli stereotipi<br />

nei confronti dei Rom e Sinti,<br />

promossa dal Consiglio d’Europa. An-<br />

che la Regione Emilia Romagna parteciperà<br />

attivamente alla Settimana di<br />

azione contro il razzismo. Fra le tante<br />

iniziative che coinvolgeranno il territorio<br />

si segnalano, in particolare, il convegno<br />

del 21 marzo a Bologna “Rom<br />

e Sinti: discriminazioni, diritti e inclusione”<br />

e, sabato 23 marzo, sempre<br />

a Bologna, il convegno pubblico “Together<br />

against discrimination”.<br />

Il 24 marzo a Napoli, l’Arcigay Antinoo<br />

di Napoli Onlus organizza un quadrangolare<br />

di calcio a 5, patrocinato<br />

dal Comune di Napoli, dal titolo “Un<br />

calcio alle discriminazioni”. Si affronteranno<br />

una squadra di giornalisti,<br />

una squadra di calcetto LGBT napoletana,<br />

la selezione Afronapoli united<br />

e la squadra della Consulta provinciale<br />

degli studenti.<br />

In radio, tv e su internet<br />

La Settimana di azione contro il razzismo<br />

sarà presente in molti pro-<br />

grammi televisivi e radiofonici. In particolare<br />

per tutto il mese di marzo,<br />

l’edizione mattutina di CaterpillarAm,<br />

programma radiofonico di Rai<br />

Radio2, inviterà tutti gli ascoltatori a<br />

calarsi nei panni di una persona straniera<br />

che vive in Italia e deve affrontare<br />

i tanti ostacoli e imprevisti della<br />

vita quotidiana attraverso il gioco<br />

www.giocaneimieipanni.it. La campagna<br />

radiofonica cercherà di coinvolgere<br />

attivamente anche i radioascoltatori<br />

invitandoli simbolicamente<br />

il 21 marzo a testimoniare conto il razzismo<br />

con una “Colazione antirazzista”,<br />

a casa, al bar, nella sala colazioni<br />

di alberghi, alla macchinetta del caffè<br />

degli uffici, negli autogrill in autostrada<br />

mangiando assieme a cittadini<br />

stranieri e/o cibi stranieri. A Messina<br />

il 21 marzo all’interno dei portici del<br />

Palazzo dei Leoni (sede della Provincia),<br />

il gioco verrà messo in scena dal<br />

vivo attraverso un percorso didascalico<br />

corredato da gigantografie, videoclip,<br />

giochi di ruolo.<br />

Tutto il programma sul sito dell’Unar,<br />

alla pagina Facebook norazzismi<br />

e all’hashtag #chiudialrazzismo.<br />

SE CHIUDI COL<br />

TI SI APRE UN<br />

MONDO


primo piano<br />

intervista a<br />

Mauro Valeri<br />

sociologo e funzionario dell’Unar<br />

In Italia, nel mondo<br />

del calcio, non c’è<br />

un’effettiva cultura<br />

antirazzista, come<br />

invece c’è in buona<br />

parte dell’Europa<br />

è un fenomeno ormai<br />

strutturale del calcio ita-<br />

razzismo<br />

“Il<br />

liano”. Mauro Valeri, sociolo-<br />

go, funzionario dell’Unar, è dal 2005<br />

responsabile dell’Osservatorio su razzismo<br />

e antirazzismo nel calcio. Ha<br />

pubblicato anche numerosi libri sull’argomento<br />

(La razza in campo nel<br />

2005, Black Italians nel 2007, Nero di<br />

Roma nel 2008, Negro, ebreo, comunista<br />

nel 2010, Che razza di tifo sempre<br />

nel 2010, Stare ai giochi. Olimpiadi<br />

tra discriminazioni e inclusioni nel<br />

2012). Non sostiene a cuor leggero che<br />

il razzismo sia una realtà negli stadi italiani.<br />

Lo dice in base ai dati che rac-<br />

il razzismo negli stadi<br />

a cura di<br />

Giampiero Forcesi<br />

«Che razza<br />

di tifo!»<br />

coglie con grande scrupolo, anno per<br />

anno. Nel suo libro Che razza di tifo ha<br />

documentato che in dieci anni, dal<br />

campionato 2000-2001 al campionato<br />

2009-2010, nelle gare della serie A<br />

e della serie B e in quelle della Prima<br />

e Seconda divisione, si sono avuti 530<br />

episodi di razzismo, che hanno coinvolto<br />

ben 99 società sportive e le relative<br />

tifoserie. Il dato non è frutto solo<br />

di ritagli di giornale; viene soprattutto<br />

dal monitoraggio quotidiano dei<br />

provvedimenti adottati dalla giustizia<br />

sportiva, la quale prevede nel suo Codice,<br />

all’art. 11, la “responsabilità per<br />

comportamenti discriminatori”. E le


A destra della<br />

foto, il calciatore<br />

Boateng mentre<br />

lascia lo stadio<br />

per i cori<br />

insultanti durante<br />

la partita<br />

amichevole<br />

Pro Patria - Milan<br />

ammende erogate per tali comportamenti<br />

sono state, in dieci anni, di oltre<br />

3.000.000 di euro. Se guardiamo il<br />

campionato 2010-2011 e la metà del<br />

campionato in corso, si arriva a<br />

3.700.000 euro.<br />

Dunque, mediamente una cinquantina<br />

di episodi di razzismo all’anno, condannati<br />

esplicitamente dalla giustizia<br />

sportiva (ma su molti altri il sistema della<br />

giustizia sportiva sorvola). Valeri fa<br />

un confronto: in Germania la media è<br />

di 4 o 5; rarissimamente in un anno si<br />

arriva a 10 episodi. Del resto, il nostro<br />

calcio è considerato dall’Europa come<br />

uno dei meno attivi sul fronte della lot-<br />

ta alle discriminazioni, ed è questo anche<br />

uno dei motivi per cui l’Italia non<br />

è riuscita ad assicurarsi l’organizzazione<br />

dei campionati europei del 2012.<br />

I problemi sono nati<br />

negli anni ‘90<br />

Valeri tratteggia una breve storia del fenomeno.<br />

In una prima fase si è avuto<br />

un razzismo che possiamo chiamare indiretto.<br />

Si usava insultare il giocatore<br />

o i tifosi della squadra avversaria utilizzando<br />

come epiteti quello di “ebreo”<br />

o “zingaro”. Poi negli anni ’90 sono apparsi<br />

due elementi nuovi. Da un lato,<br />

l’estrema destra ha scelto di portare negli<br />

stadi la sua propaganda politica, di<br />

esaltazione del fascismo e di istigazione<br />

al razzismo. Ed è infatti del 1993 la legge<br />

Mancino con la quale si stabilisce<br />

il reato di divulgazione di espressioni<br />

di razzismo, con un’attenzione anche<br />

alle manifestazioni sportive (è in base<br />

a questa legge che un 20enne di Busto<br />

Arsizio è stato recentemente denunciato<br />

dalla Questura di Varese per<br />

i cori razziali indirizzati contro alcuni<br />

giocatori del Milan durante l’amichevole<br />

con la Pro Patria). Dall’altro<br />

lato, si sono cominciati a vedere nei<br />

campi di calcio i primi giocatori neri.<br />

Cosa che alcune tifoserie hanno subito<br />

contestato, chiedendo alle società di<br />

non tesserarli (così ad esempio il Verona,<br />

il Padova, la Lazio). Negli stadi<br />

si sono sentiti i primi slogan e letti i primi<br />

striscioni che dicevano che i neri andavano<br />

bene solo per pulire lo stadio.<br />

A metà degli anni ’90 i giocatori di pelle<br />

nera hanno cominciato ad essere numerosi.<br />

E si sono moltiplicate le<br />

espressioni di un razzismo questa<br />

volta diretto, cioè indirizzato al singolo<br />

giocatore, in carne e ossa. Manifestazioni<br />

di razzismo spesso strumenta-<br />

lizzate dall’estrema destra, sempre<br />

con l’obiettivo di fare propaganda politica.<br />

Di fronte a questi fatti vi sono<br />

state due risposte da parte della giustizia:<br />

la risposta della giustizia ordinaria,<br />

tramite la legge Mancino, che<br />

però è risultata di assai difficile applicazione<br />

concreta, e la risposta della<br />

giustizia sportiva, la quale, vista la<br />

situazione, ha dovuto inserire nel suo<br />

codice una specifica norma contro i<br />

comportamenti discriminatori. La giustizia<br />

sportiva, in sostanza, condanna<br />

due tipi di comportamento: l’uso di<br />

striscioni e di simboli sugli spalti che<br />

richiamano ideologie ed espressioni<br />

razziste, e i cori di discriminazione indirizzati,<br />

in genere, al singolo giocatore.<br />

Il fatto è, dice Valeri, che in Italia non<br />

c’è mai stata una condanna netta, chiara,<br />

del razzismo. Soprattutto nel mondo<br />

dello sport. Forse perché se ne è<br />

data, per lo più, una interpretazione<br />

politica, entrando cioè in un campo più<br />

problematico, dove scatta l’idea che<br />

vanno rispettate le opinioni politiche<br />

di tutti. Ma il razzismo è un’opinione<br />

politica? Una legittima opinione? È forse<br />

pensando così che, molto a lungo,<br />

la Federazione italiana gioco calcio, la<br />

Figc, ha sostenuto che non c’era razzismo<br />

nel calcio in Italia. Gli stessi giudici<br />

sportivi tendono a dire che la motivazione<br />

di cori ed insulti non è<br />

quella del colore della pelle. Il motivo<br />

è sempre un altro… Ma la verità,<br />

piuttosto, è che in Italia, nel mondo del<br />

calcio, non c’è una effettiva cultura antirazzista.<br />

Come invece c’è in buona<br />

parte dell’Europa. E del resto la Uefa,<br />

5


primo piano<br />

l’Unione delle federazioni calcistiche<br />

europee, è molto più severa della<br />

Figc, come ha dimostrato la recente<br />

condanna della Uefa alla Lazio: a causa<br />

dei saluti fascisti di alcuni tifosi in<br />

occasione del match di ritorno dei sedicesimi<br />

di Europa League, il club biancoceleste<br />

dovrà giocare a porte chiuse<br />

le prossime due partite casalinghe<br />

nelle competizioni europee.<br />

La scelta sbagliata<br />

del mondo del calcio:<br />

minimizzare<br />

Qualcosa è cambiato negli ultimi<br />

anni. Ad esempio l’allenatore della<br />

nazionale italiana, Cesare Prandelli,<br />

ha fatto numerose dichiarazioni che<br />

indicano chiaramente la sua convinzione<br />

che il razzismo è una<br />

realtà presente nel calcio ed<br />

è un problema grave, di<br />

tipo etico, che non può<br />

avere alcuna giustificazione<br />

politica. E, in<br />

due casi, ultimamente,<br />

l’arbitro è arrivato a<br />

fermare momentaneamente<br />

la partita<br />

minacciando la sospensione<br />

se i cori<br />

razzisti fossero continuati.<br />

Ma due casi<br />

sono davvero ancora<br />

troppo pochi! Già dal<br />

2007 sono stati vietati<br />

tutti gli striscioni<br />

negli stadi: è possibile<br />

portare uno striscione<br />

solo se è stato prima approvato<br />

da una speciale<br />

commissione. Eppure gli episodi<br />

di razzismo sono continuati.<br />

E si tratta soprattutto dei cori, dei<br />

“buu” insistiti, ripetuti, ossessivi.<br />

Episodi che vengono regolarmente<br />

minimizzati. Un po’ da tutti: dalla<br />

Figc, dall’Associazione dei calciato-<br />

ri, dagli arbitri, e soprattutto dalle società.<br />

“Le società – dice Valeri – fanno<br />

molto nel sociale, ma poco, troppo<br />

poco, nel campo della lotta al razzismo.<br />

Si pensa che la via migliore sia<br />

quella di abbassare i toni, di minimizzare.<br />

Anche le televisioni, per lo<br />

più, decidono di non riprendere le immagini<br />

delle tifoserie scatenate nei<br />

cori razzisti, e tolgono l’audio. Ma<br />

così non si ottiene l’obiettivo di<br />

scoraggiare le tifoserie”.<br />

Le manifestazioni<br />

razziste sono in aumento<br />

“I dati conclusivi del campionato<br />

2011-12 – sostiene Valeri – dicono che<br />

si sono registrati 59 episodi di discriminazione<br />

razziale, di cui circa la metà<br />

in serie A. E’ stato il numero più alto<br />

degli ultimi anni. Non sono state utili<br />

a fermare queste manifestazioni le<br />

ben 6 leggi speciali emanate negli ultimi<br />

anni sulla violenza negli stadi. Il<br />

razzismo è andato avanti”. Non solo,<br />

ma si è in presenza di alcune novità<br />

non positive. Vi sono alcune tifoserie<br />

che hanno atteggiamenti discriminanti<br />

anche verso i giocatori stranieri<br />

che giocano nella loro squadra (e<br />

dunque non serve più che una società<br />

inserisca un giocatore nero nella<br />

propria squadra per tacitare la tifoseria).<br />

Si vanno riducendo, invece di aumentare,<br />

gli spettatori che intervengono<br />

a correggere i tifosi razzisti (vi<br />

sono stati solo 2 casi nel campionato<br />

2010-2011). E si sono persino tornati<br />

a sentire, negli stadi, gli insulti a base<br />

di “zingaro” e di<br />

“ebreo”. Non solo,<br />

ma succede anche<br />

che comportamenti<br />

che fino a<br />

qualche anno fa<br />

venivano puniti,<br />

oggi non lo siano<br />

più, grazie al revisionismo<br />

storico<br />

che impera: ad<br />

esempio, il 25<br />

aprile in alcuni<br />

stadi italiani sono<br />

comparsi striscioni<br />

contro la resistenza,<br />

e non c’è stata nessuna condanna.<br />

Un altro aspetto su cui Valeri si sofferma<br />

è il fatto che non vi sono giocatori<br />

italiani che appaiano come testimonial<br />

nelle campagne dell’Unione<br />

europea e della UEFA contro il razzismo.<br />

Si sente sempre dire, negli ambienti<br />

del calcio italiano, che il razzismo<br />

negli stadi non è un vero problema<br />

e che, comunque, “non ci si può<br />

far niente”… Ma così, dice Valeri, “il<br />

razzista ha vinto”. “Invece si deve provare<br />

a fare qualcosa, e presto”. E Valeri<br />

accusa anche le tante associazioni<br />

che in Italia combattono il razzismo:<br />

dice che si sono sempre disinteressate<br />

a quanto succede sui campi di calcio,<br />

mostrando una sorta di atteggiamento<br />

snobistico che considera il<br />

mondo del calcio, e dello sport in generale,<br />

come qualcosa di poco importante,<br />

di non abbastanza serio.<br />

Il razzismo istituzionale<br />

C’è poi anche un razzismo istituzionale,<br />

afferma Valeri. Riguarda i figli dei migranti<br />

che giocano al calcio. “Fino a<br />

quando hanno 13-14 anni, pur con parecchie<br />

difficoltà burocratiche, questi<br />

ragazzi riescono a giocare. Poi, verso<br />

i 15-16 anni, scompaiono. Tranne i rarissimi<br />

che arrivano alla serie B e alla<br />

A”. Il fatto è che il tesseramento viene<br />

spesso negato. I documenti richiesti<br />

rendono spesso impossibile la partecipazione<br />

dei ragazzi. Ci sono state<br />

alcune sentenze di Tribunale che hanno<br />

imposto alle società di tesserare dei<br />

ragazzi di cittadinanza non italiana che


hanno fatto ricorso contro le società<br />

che li avevano esclusi. Ma nonostante<br />

questo, gli ostacoli rimangono. La<br />

Figc si giustifica dicendo che bisogna<br />

evitare che accadano episodi di abuso<br />

su ragazzini portati dall’Africa in<br />

Italia e qui sfruttati e magari poi abbandonati<br />

a se stessi perché ritenuti<br />

non abbastanza in gamba. Ma questa<br />

pur legittima preoccupazione non<br />

giustifica le strettoie che sono state introdotte<br />

e che colpiscono tutti i ragazzi<br />

con cittadinanza non italiana, e gli<br />

africani soprattutto.<br />

“Il calcio – mi dice Valeri – ha delle potenzialità<br />

enormi nell’evoluzione della<br />

coscienza civile, ma bisogna affrontare<br />

le discriminazioni con più coraggio”.<br />

Sapendo, mi ricorda, che il calcio,<br />

quando è nato, nell’Inghilterra del<br />

1863, era certo assolutamente razzista:<br />

era uno sport riservato ai soli inglesi,<br />

bianchi e benestanti.<br />

Alcune proposte<br />

Vediamo, dunque, quali cose si potrebbero<br />

fare per contrastare con più<br />

fermezza e più efficacia le manifestazioni<br />

di razzismo che persistono nei nostri<br />

stadi. Mauro Valeri indica quattro<br />

punti. Il primo riguarda l’articolo del<br />

codice della giustizia sportiva relativo<br />

ai comportamenti discriminatori. Sarebbe<br />

necessario che la Figc predisponesse<br />

una circolare che desse una intepretazione<br />

chiara di quell’articolo: che<br />

cosa si intende esattamente per “comportamenti<br />

discriminatori”, quali sono<br />

le “condotte” che comportano – come<br />

dice l’articolo 11 - “offesa, denigrazione<br />

o insulto per motivi di razza, colore, religione,<br />

lingua, sesso, nazionalità, origine<br />

territoriale o etnica”, o che configurano<br />

“propaganda ideologica vietata<br />

dalla legge o comunque inneggiante<br />

a comportamenti discriminatori”.<br />

Bisognerebbe arrivare a chiarire che<br />

cosa è razzismo e cosa non lo è, esplicitando<br />

quali sono i simboli razzisti e<br />

quali sono le condotte punibili. Questo<br />

sforzo di chiarezza intellettuale è la<br />

prima cosa che è importante fare, per<br />

evitare che il mondo dello sport e gli<br />

stessi giudici sportivi trovino mille modi<br />

per evitare di affrontare direttamente<br />

il problema.<br />

Una seconda cosa da fare è inserire nei<br />

programmi delle scuole calcio un<br />

tassello formativo sulla questione<br />

della discriminazione, illustrando il significato<br />

della norma sui comportamenti<br />

discriminatori e spiegando in<br />

che cosa esattamente consistono. Un<br />

altro elemento importante sarebbe<br />

quello di organizzare meglio la logistica<br />

degli stadi, cioè distinguere in<br />

modo preciso i vari spazi perché sia<br />

possibile individuare con certezza<br />

chi occupa una determinata posizione<br />

nello stadio e poter così dare un<br />

nome e un cognome a quanti sono<br />

protagonisti di cori insultanti durante<br />

la partita. Oggi, in Italia, a differenza<br />

della maggior parte dei paesi<br />

europei, non è possibile individuare<br />

chi è soggettivamente responsabile<br />

delle manifestazioni di razzismo negli<br />

stadi. Si parla solo di responsabi-<br />

lità oggettiva, che riguarda le società<br />

sportive. Ma questo significa che<br />

le tifoserie hanno in mano un’arma<br />

per ricattare le società: con i loro cori<br />

determinano le ammende che i giudici<br />

sportivi comminano alle società,<br />

e possono dunque ricattarle chiedendo<br />

favori in cambio di comportamenti<br />

meno dannosi.<br />

Infine, sarebbe utile che, tra le “attenuanti”<br />

che il codice della giustizia<br />

sportiva prevede per le società le cui<br />

tifoserie hanno comportamenti razzisti,<br />

vengano considerate anche le<br />

iniziative che le società prendono<br />

per educare all’antirazzismo e per pre-<br />

il razzismo negli stadi<br />

venire gli atteggiamenti discriminatori<br />

e razzisti. Questo spingerebbe le società<br />

a mettere seriamente in cantiere<br />

azioni educative, come del resto<br />

succede nei principali paesi europei.<br />

Le società, ad esempio, potrebbero essere<br />

incoraggiate a destinare a questo<br />

parte delle ammende.<br />

“Quello che proprio non bisogna più<br />

fare – dice Valeri – è di dare per scontato<br />

che la lotta al razzismo nel calcio<br />

possa avvenire soltanto ribadendo<br />

che questo sport ha in sé il germe<br />

della tolleranza e della valorizzazione<br />

della diversità”. Perché non è sempre<br />

stato così. E perché di fatto il razzismo<br />

è andato crescendo negli ultimi<br />

anni. E, comunque, non si sradicherà<br />

questo fenomeno se per prima<br />

cosa le istituzioni del nostro paese, e<br />

quelle del mondo del calcio in particolare,<br />

non faranno pulizia dei com-<br />

portamenti discriminatori che esse<br />

stesse praticano attraverso le norme<br />

che regolano l’attività sportiva. “Finchè<br />

non verranno offerte pari opportunità,<br />

per praticare il calcio, a tutti coloro<br />

che vivono nel nostro paese – dice<br />

amaramente Valeri -, il calcio italiano<br />

non potrà davvero liberarsi dalla<br />

mentalità razzista”.<br />

7


primo piano<br />

Tante le storie<br />

di successo<br />

dell’Unione italiana<br />

Sport per tutti.<br />

A partire dal 1997<br />

quando l’Uisp,<br />

a Vienna, insieme<br />

ad altri sessanta<br />

organismi di tutta<br />

Europa, fondò la rete<br />

FARE (Football<br />

Against Racisme<br />

in Europe)<br />

I Mondiali<br />

Antirazzisti<br />

La sede della UISP nazionale è<br />

confinata in una vivace periferia<br />

romana, in zona Tiburtina.<br />

Quella che è nata come unione italiana<br />

sport popolare, e che da qualche<br />

tempo ha rinominato la sua sigla<br />

come unione italiana sport per tutti,<br />

è un’organizzazione che ha saputo rinnovarsi<br />

nel corso degli anni ed oggi è<br />

all’avanguardia nel combattere ogni<br />

forma di discriminazione nello sport e<br />

nel disseminare il territorio italiano di<br />

iniziative concrete di inclusione e di<br />

dialogo interculturale.<br />

Ne parlo con Daniela Conti, una delle<br />

dirigenti nazionali, e quella che si<br />

colloquio con<br />

Daniela Conti<br />

dirigente UISP<br />

occupa a tempo pieno delle iniziative<br />

contro le discriminazioni. Se ne occupa<br />

a tutto campo. “Oggi – mi dice – la<br />

questione più delicata è l’omofobia. È<br />

uno degli aspetti più difficili da trattare.<br />

Su questo è molto difficile mettere<br />

in piedi delle campagne. Lo sport<br />

si lega molto al corpo, e dunque alla<br />

sessualità…”. E un altro tabù, mi dice,<br />

è quello dello sport per i disabili intellettivi.<br />

Ma non è questo il tema del nostro<br />

colloquio, oggi. Sono venuto ad incontrarla<br />

per parlare del razzismo. Soprattutto<br />

nel calcio. Sono poche settimane<br />

che i cori razzisti contro uno


dei giocatori più noti del Milan,<br />

Boateng, lo hanno spinto a un gesto<br />

clamoroso, quello di abbandonare il<br />

campo, seguito poi da tutta la squadra,<br />

che è rientrata negli spogliatoi.<br />

Il campo era quello della Pro Patria.<br />

La partita era un’amichevole. “Fermare<br />

la partita è stato giusto – mi dice<br />

Daniela -. Ogni tanto bisogna fermarsi,<br />

anche per riflettere. Ricordo che<br />

anni fa un altro giocatore, Marco André<br />

Zoro, ebbe una reazione di questo<br />

tipo. E’ stato durante la partita<br />

Messina-Inter, nel 2005. Zoro, che militava<br />

nel Messina, viene fischiato a<br />

lungo dai tifosi interisti. Ad un certo<br />

punto prende il pallone e si dirige<br />

verso gli spogliatoi; poi alcuni giocatori<br />

interisti si sono scusati e lo<br />

hanno convinto a tornare in campo.<br />

È stato quell’episodio a suscitare un<br />

gran dibattito nel mondo del calcio”.<br />

Poi Daniela aggiunge: “Mi auguro che<br />

la prossima volta che ci sono cori razzisti<br />

da parte di certe tifoserie il resto<br />

dello stadio inizi a fischiare subito,<br />

Antonio Marcello - Shoot 4 Change<br />

e non dopo l’interruzione della partita.<br />

I ‘buu’ razzisti si possono coprire,<br />

basta semplicemente che lo stadio<br />

reagisca”.<br />

“Il razzismo in Italia esiste – mi dice<br />

la dirigente della Usip -. Ma non è un<br />

problema del calcio. E’ un problema<br />

della società, che il calcio però amplifica.<br />

Bisogna ripartire dall’educazione.<br />

Da un’educazione multiculturale.<br />

Le società sportive in questo senso<br />

possono fare molto. Nello sport<br />

l’educazione è fondamentale. Bisogna<br />

ripartire dalle società di base, quelle<br />

dilettantistiche. Qui si affacciano già<br />

tanti ragazzi di cittadinanza straniera,<br />

nati in Italia o arrivati nel nostro<br />

paese da bambini. Sono le seconde generazioni,<br />

che ormai sono nelle nostre<br />

scuole, e anche sui campi sportivi. Ma<br />

purtroppo le leggi della Federcalcio<br />

sono arretrate. Prevedono che lo straniero<br />

debba dimostrare di non aver<br />

mai giocato in altre società, nelle società<br />

del paese di origine. Mettono<br />

tanti paletti…”.<br />

All’inizio ci fu<br />

il “Progetto Ultrà”<br />

Chiedo a Daniela Conti quando è iniziato<br />

l’impegno antirazzista della Uisp.<br />

“Il 1997 è stato l’anno europeo contro<br />

le discriminazioni e il razzismo. Nella<br />

Uisp si è iniziato a parlarne allora. La<br />

Lega calcio della Uisp, nei suoi campionati,<br />

aveva comunque fatto giocare<br />

sempre tutti, anche gli stranieri e anche<br />

senza permesso di soggiorno.<br />

Quell’anno a Vienna ci trovammo<br />

con altri 60 organismi di tutta Europa<br />

e fondammo la rete FARE (Football<br />

Against Racism in Europe). E in quello<br />

stesso anno nascevano i ‘Mondiali<br />

Antirazzisti’.<br />

Fu un’intuizione del nostro ‘progetto<br />

Ultrà’, che è stato attivo fino a pochi<br />

anni fa. Un progetto che nasceva dall’idea<br />

di promuovere attività sociali e<br />

di cultura popolare nell’ambito delle tifoserie<br />

più sensibili contro il razzismo.<br />

Perché c’erano tifoserie molto politicizzate<br />

in senso antirazzista. Era il cosiddetto<br />

‘antirazzismo da curva’. I<br />

Mondiali Antirazzisti nacquero da<br />

una collaborazione tra il ‘progetto<br />

Ultrà’ e l’Istituto storico della resistenza<br />

di Reggio Emilia. Mettemmo in piedi<br />

otto squadre, composte da giocatori di<br />

varie nazionalità, e, una volta all’anno,<br />

a luglio, da mercoledì a domenica,<br />

organizzammo una specie di torneo.<br />

Sempre in Emilia Romagna, ogni anno<br />

in una provincia diversa. Una giornata<br />

era sempre dedicata ai temi dell’antifascismo<br />

e delle discriminazioni<br />

razziali”.<br />

Le tifoserie storiche che hanno dato<br />

vita fin dall’inizio al Progetto Ultrà e<br />

poi ai Mondiali Antirazzisti sono<br />

quelle della Sampdoria, dell’Atalanta,<br />

del Modena, della Ternana, del Bologna,<br />

della Reggiana. Poi hanno cominciato<br />

a venire anche i gruppi ultrà<br />

di vari paesi europei. “All’inizio –<br />

mi dice Daniela - le squadre erano solo<br />

maschili; oggi il 70 per cento delle<br />

squadre sono miste, con uomini e don-<br />

9


ne. E anche dal punto di vista delle nazionalità,<br />

ora le squadre non sono<br />

strettamente ‘comunitarie’, sono miste:<br />

in una squadra giocano insieme<br />

somali, senegalesi, ivoriani… Prima gli<br />

ultrà di Modena, di Parma e di Bologna<br />

si guardavano in cagnesco, a volte<br />

si picchiavano. Poi, col tempo, le<br />

cose sono cambiate e ultimamente organizzano<br />

insieme i servizi per il meeting.<br />

Ad esempio, gestiscono insieme<br />

il grande bar”.<br />

I Mondiali Antirazzisti, con il passare<br />

degli anni, sono diventati un grande<br />

evento. La “Woodstock dello sport”, la<br />

chiamano alcuni. Un evento non solo<br />

sportivo, ma anche culturale. Rac-<br />

0<br />

conta Daniela: “Lo scorso anno, alla<br />

quindicesima edizione, fatta a Castelfranco<br />

Emilia, in provincia di Modena,<br />

abbiamo avuto 204 squadre di calcio,<br />

32 di basket, 20 di pallavolo; poi<br />

c’erano squadre di rugby, di cricket, di<br />

softball. Oltre 5.000 persone hanno partecipato<br />

ai tornei, e quasi 30.000 alle<br />

varie manifestazioni culturali e musicali.<br />

C’erano attività di danza, di yoga,<br />

di ginnastica dolce. Tante cose. E poi,<br />

ogni anno, ogni edizione dei Mondiali<br />

è dedicata a un tema conesso alle migrazioni<br />

e alla multiculturalità. La<br />

sera ci sono dibattiti e concerti. Al mattino<br />

vengono anche i bambini che partecipano<br />

ai centri estivi delle città emilian.<br />

Le cooperative sociali portano al<br />

meeting le persone fragili di cui si occupano:<br />

disabili, tossicodipendenti… C’è<br />

anche un mercatino dove espongono<br />

artigiani e venditori itineranti. L’accesso<br />

al meeting è gratuito”.<br />

“Vengono premiate le prime tre squadre<br />

di ogni attività sportiva – racconta<br />

Daniela -. Ma il premio più importante,<br />

la cosiddetta ‘Coppa Mondiali<br />

Antirazzisti’, va alla squadra che, nel<br />

corso dell’anno precedente alla manifestazione,<br />

si è distinta per la propria<br />

attività sociale contro le discriminazioni.<br />

Poi ci sono la ‘Coppa Chilometri’<br />

per la squadra che viene da più lontano,<br />

la ‘Coppa Invisibili’ per la squadra<br />

che non riesce ad arrivare, la ‘Coppa<br />

Piazza Antirazzista’ per chi mette<br />

in mostra i materiali più belli nello spazio<br />

appositamente organizzato per<br />

esporre i propri lavori, e la ‘Coppa Ultras’<br />

per il gruppo di tifosi più colorato”.<br />

Quel che si muove al Sud<br />

L’anno scorso l’Uisp ha dato vita ad un<br />

nuovo progetto, sempre legato ai Mondiali<br />

Antirazzisti. Lo ha fatto con l’Unar.<br />

Il progetto si chiama “Aspettando i mondiali<br />

al Sud” ed è nato per promuovere<br />

l’attenzione delle piccole squadre del<br />

Mezzogiorno all’evento dei Mondiali. Al<br />

Sud ci sono delle belle esperienze di<br />

squadre di calcio che fanno attività di<br />

inclusione e di lotta alle discriminazioni.<br />

Per esempio a Cosenza, a Lecce, a Palermo,<br />

a Napoli, a Caserta.<br />

Oggi, mi dice ancora Daniela, l’Uisp sta


iflettendo su come aiutare i giovani<br />

sportivi stranieri a divenire dirigenti. “Ormai<br />

la multiculturalità è un fatto assodato.<br />

Ma non esistono ancora dirigenti<br />

neri, ad esempio. Anche dentro l’Uisp<br />

questo è un problema; ce ne sono soltanto<br />

un paio. Vogliamo impegnarci a<br />

farli diventare allenatori, arbitri. C’è, ad<br />

esempio, una bella esperienza di aggregazione<br />

sportiva dei latinoamericani<br />

a Roma, a Colle Oppio: da parecchi<br />

anni gestiscono il campo alla ‘Polveriera’,<br />

sono più di 600 persone. E quello che<br />

manca, e che servirebbe, è sviluppare le<br />

loro capacità organizzative: ci sono problemi<br />

di assicurazione, ci sono tasse da<br />

pagare, ci vuole un medico, e così via.<br />

Noi vogliamo promuovere queste capacità,<br />

arrivando a formare veri e propri<br />

dirigenti sportivi”.<br />

Daniela non finirebbe mai di raccontare<br />

le molte esperienze che, qui e lì per l’Italia,<br />

nascono e si affermano. “La Uisp di<br />

Torino, mi dice, sta lavorando con delle<br />

donne musulmane. Volevano frequentare<br />

la piscina, ma volevano farlo<br />

solo tra donne. Allora abbiamo deciso<br />

di aprire la piscina la domenica, riservandola<br />

solo alle donne. È stato un<br />

successo. Vengono sia italiane che<br />

straniere. All’inizio hanno cominciato<br />

a venire, tra le italiane, soprattutto quelle<br />

più timide, quelle che si sentivano<br />

brutte, o che erano molto grasse, quel-<br />

le che avevano dei problemi psicologici…<br />

Poi ora vengono in tante, e le<br />

donne musulmane sono molto contente<br />

e hanno persino preso l’iniziativa di<br />

mettere su una squadra di calcio!”.<br />

La Liberi Nantes<br />

Daniela Conti è anche presidente della<br />

“Liberi Nantes”. E’ una squadra di calcio<br />

nata a Roma nel 2007 da un gruppo<br />

di tifosi che già da anni frequentava<br />

i Mondiali Antirazzisti. Ad un certo<br />

punto il gruppo ha deciso di impegnarsi<br />

per offrire la possibilità di giocare a calcio<br />

ai migranti “forzati”, i richiedenti asilo,<br />

i migranti più “invisibili” perché sono<br />

in attesa dello status di rifugiati e in quella<br />

condizione non possono lavorare. Il<br />

gruppo ha affittato un campo di calcio<br />

a Pietralata. Poi l’Ater, l’azienda romana<br />

del territorio, gli ha affidato un altro<br />

campo, sempre in quel quartiere: il<br />

“XXV Aprile”, un campo storico di Pietralata,<br />

dove ha giocato Pier Paolo Pasolini<br />

e dove nel 1968 è sorta la squadra<br />

dell’Albarossa, molto amata nel<br />

quartiere, ma che, dopo più di vent’anni,<br />

ha chiuso i battenti, nel 1995. Il campo<br />

è rimasto abbandonato per quasi<br />

quindici anni. La Liberi Nantes, piano<br />

piano, lo ha rimesso in sesto: campo,<br />

spogliatoi, e ora anche la lavanderia. Ed<br />

il razzismo negli stadi<br />

è nata una nuova squadra Albarossa. La<br />

squadra fa allenamenti due volte la<br />

settimana; una volta a settimana il<br />

campo è aperto a tutti. Daniela<br />

Conti è un presidente tuttofare:<br />

comprare gli scarpini, raccogliere<br />

maglie e pantaloncini a<br />

fine partita e portarseli a casa<br />

e metterli in lavatrice, e così via.<br />

Ora la Liberi Nantes ha anche<br />

dato vita a una squadra di<br />

touch-rugby, un tipo di rugby<br />

più dolce, senza mischie e senza<br />

takle, che è adatto a far giocare<br />

uomini e donne insieme, e<br />

persone di tutte le età. È nato anche<br />

un gruppo che fa escursionismo.<br />

E c’è un gruppo di donne che<br />

organizza delle passeggiate per Roma.<br />

Insomma, una bella esperienza concreta<br />

di inclusione e di socializzazione delle<br />

persone più emarginate.<br />

Il progetto MIMoSA<br />

Grazie alla sua grande esperienza di inclusione<br />

sociale attraverso lo sport, la<br />

Uisp è stata chiamata dall’Unità sport<br />

della Direzione generale cultura dell’Unione<br />

Europea a coordinare un<br />

gruppo di 14 tra associazioni sportive,<br />

enti locali e centri di ricerca di 5<br />

paesi dell’Unione europea, che partecipano<br />

a un progetto denominato MI-<br />

MoSA: Migrants’ Inclusion, Model of<br />

Sport for All. Lo scopo del progetto è<br />

quello di costruire e rafforzare una rete<br />

transnazionale e di elaborare un modello<br />

di inclusione sociale e di empowerment<br />

per migranti. Daniela è la coordinatrice<br />

del progetto. “Ci stiamo interrogando<br />

– mi dice - su come rendere<br />

i migranti sempre più protagonisti<br />

attivi del mondo sportivo e non<br />

semplici fruitori di servizi”. La sfida è<br />

questa. E per vincerla, in particolare in<br />

Italia, una delle prime cose da fare è<br />

superare i molti vincoli, giuridici e culturali,<br />

che limitano l’accesso dei migranti<br />

alla pratica sportiva.<br />

11


primo piano<br />

Quando suo figlio<br />

undicenne le venne<br />

a dire che due suoi<br />

amici marocchini<br />

non potevano proseguire<br />

a giocare nella squadra<br />

perché avevano<br />

problemi con i documenti,<br />

l’assessore Stefania Magi<br />

si disse che era venuto<br />

il momento di impegnarsi<br />

per l’integrazione<br />

anche nel mondo<br />

del calcio<br />

Il calcio negato<br />

ai ragazzi stranieri<br />

Stefania Magi è assessore alle Politiche<br />

per l’integrazione di<br />

Arezzo dal 2011. Mi racconta<br />

che alle discriminazioni subite dai ragazzi<br />

figli di stranieri che fanno attività<br />

sportiva lei si è sensibilizzata da<br />

quando due amici di suo figlio, appartenenti<br />

a due famiglie marocchine,<br />

non hanno potuto proseguire<br />

l’attività calcistica per problemi legati<br />

alla documentazione richiesta per il<br />

tesseramento. Erano ragazzi di 11<br />

anni. Da allora la Magi, insieme all’assessore<br />

allo Sport, Marco Donati,<br />

ha deciso che la piena cittadinanza e<br />

l’integrazione concreta dei giovani<br />

delle seconde generazioni dovesse<br />

passare anche per lo sport.<br />

Arezzo è una città che ha molte associazioni<br />

di stranieri e le iniziative<br />

che il comune sta portando avanti per<br />

far crescere l’integrazione sono tante.<br />

La via maestra, per la Magi, è nel<br />

dare agli stranieri la possibilità di mostrare<br />

le proprie capacità. E’ così che<br />

è nata l’Orchestra multietnica, composta<br />

da ragazzi delle scuole. E’ così<br />

che è nata una società sportiva fatta<br />

da giocatori di cricket (tutti asiatici)<br />

che girano nelle scuole per far conoscere<br />

quello sport. E ora si sta attrezzando<br />

la Casa delle culture, un<br />

grande spazio polivalente, con un teatro,<br />

una sala per mostre, una cucina<br />

professionale… Servirà a dare la possibilità<br />

alle comunità straniere residenti<br />

ad Arezzo di sviluppare le proprie<br />

vocazioni artistiche e artigianali<br />

e di creare opportunità di incontro,<br />

di conoscenza e di scambio.<br />

Ma ora l’impegno è soprattutto sullo<br />

sport. Dopo aver toccato con<br />

mano quanto fosse stato doloroso per<br />

quei ragazzi marocchini non poter<br />

partecipare al campionato insieme a<br />

suo figlio, e dopo aver constatato<br />

quanto pesanti fossero effettivamen-<br />

colloquio con Stefania Magi<br />

assessore all’Integrazione del Comune di Arezzo<br />

te gli ostacoli burocratici posti sulla<br />

strada di quei ragazzi stranieri, anche<br />

se nati in Italia, che volevano prendere<br />

parte ai vari campionati dilettantistici<br />

di calcio, Stefania Magi ha<br />

deciso di affrontare la situazione.<br />

Lo scorso ottobre allo stadio comunale<br />

di Arezzo è stata organizzata una<br />

“Maratona multietnica di calcio” per<br />

iniziativa del Comune e della Uisp di<br />

Arezzo. L’iniziativa, denominata “Anch’io<br />

gioco a calcio in Italia”, ha visto<br />

la partecipazione di squadre composte<br />

da giocatori di diverse nazionalità<br />

(Albania, Bangladesh, Marocco,<br />

Nigeria, Repubblica Dominicana,<br />

Romania, Senegal, Somalia, Tunisia<br />

e Italia). E’ un evento che rientra in<br />

un più ampio progetto europeo, il<br />

progetto FARE (Football Against Racism<br />

in Europe), che organizza ogni<br />

anno, in ottobre, una action week, una<br />

settimana d’azione, nel corso della<br />

quale si cerca di unire tifosi, club e<br />

coloro che sono colpiti dal razzismo<br />

in uno sforzo comune al fine di eliminare<br />

la discriminazione.<br />

Il comune di Arezzo, che fa parte anche<br />

del Network “Città del dialogo” del<br />

Consiglio d’Europa, ha poi organizzato,<br />

lo scorso dicembre, un seminario<br />

intitolato “Cittadinanza sportiva.<br />

Opportunità ed ostacoli per una piena<br />

cittadinanza” e ha chiamato ad<br />

Arezzo personalità della Federazione<br />

italiana gioco calcio (la Figc), come<br />

Gianni Rivera, il responsabile welfare<br />

e immigrazione dell’Associazione<br />

nazionali comuni italiani (Anci), Luca<br />

Pacini, parlamentari come Andrea<br />

Sarubbi, il direttore del Dipartimento<br />

internazionale dell’Unione italiana<br />

Sport per tutti (Uisp), Carlo Balestri,<br />

l’esperto dell’Unar, Mauro Valeri, un<br />

esperto di questioni legali del Progetto<br />

Melting Pot Europa, Nicola Saccon, e<br />

altri ancora.


Al seminario è emerso che per il milione<br />

di minori stranieri che vivono nel<br />

nostro paese, di cui 700 mila nati in Italia,<br />

lo sport è un grande strumento di<br />

integrazione. Ma per quelli che cercano<br />

di inserirsi con continuità in un’attività<br />

sportiva il cammino non è facile.<br />

Attualmente i ragazzi con meno di<br />

16 anni che sono tesserati alla Federazione<br />

italiana gioco calcio, la Figc,<br />

sono 33 mila, dei quali circa 8 mila<br />

sono al loro primo tesseramento. I più<br />

numerosi sono albanesi, romeni, marocchini;<br />

ma ce ne sono di tutte le nazionalità.<br />

La burocrazia ha sempre costituito un<br />

impedimento per partecipare in pieno<br />

alla vita sportiva: ti chiedono un sacco<br />

di documenti, devi portare il certificato<br />

di iscrizione a scuola (in originale!),<br />

devi avere un certificato di residenza<br />

che dimostri che hai sempre vissuto<br />

in quel determinato luogo, devi<br />

avere il permesso di soggiorno della durata<br />

sufficiente a coprire l’intero periodo<br />

di iscrizione… Finisce che prima di<br />

avere tutte le carte in regola passano dei<br />

mesi e resti fuori dagli allenamenti; e poi<br />

succede che devi smettere prima della<br />

fine della stagione agonistica perché il<br />

permesso di soggiorno<br />

ti è scaduto… Da<br />

qualche anno, poi la<br />

stretta burocratica è<br />

ancora maggiore perché<br />

la Fifa, la Federazione<br />

internazionale<br />

del calcio, ha emanato<br />

una normativa per<br />

contrastare il fenomeno<br />

della tratta dei<br />

baby calciatori. I controlli<br />

sono diventati<br />

più rigorosi, più lunghi.<br />

E spesso le società<br />

calcistiche si scoraggiano,<br />

e la pratica<br />

del tesseramento rimane<br />

insabbiata.<br />

Dal seminario di<br />

Arezzo sono uscite<br />

delle proposte importanti.<br />

Gianni Rivera,<br />

che dal 2010 è<br />

presidente del settore giovanile e scolastico<br />

della Figc, ha detto che la trat-<br />

ta dei bambini, soprattutto dai paesi<br />

africani, è davvero un problema (bambini<br />

portati in Italia, usati, e poi, se non<br />

ritenuti all’altezza delle aspettative, abbandonati<br />

in giro per l’Italia). Ma le<br />

norme che sono state introdotte sono<br />

risultate inadeguate ad affrontare il<br />

problema e hanno avuto invece l’effetto<br />

di complicare molto la vita a tutti<br />

i ragazzi con cittadinanza straniera.<br />

Rivera si è impegnato a premere<br />

sulla Figc perché le proposte emerse al<br />

seminario vengano accolte. Si tratta di<br />

semplificare le procedure, di usare il<br />

buon senso, di tenere conto dei tempi,<br />

di evitare richieste di documentare<br />

cose che sono assolutamente ovvie.<br />

In questo senso il Coni e l’Anci hanno<br />

sottoscritto un protocollo d’intesa<br />

volto a promuovere, nell’ambito della<br />

associazioni e società sportive, e in<br />

modo particolare per i minori stranieri<br />

che sono privi di sostegno familiare,<br />

l’adozione di procedure di ammissione<br />

all’attività sportiva dilettantistica<br />

improntate a favorire l’accessibilità e<br />

la trasparenza.<br />

Alessandra Fratoni - Shoot 4 Change<br />

13


4<br />

primo piano<br />

primo piano<br />

«Dalla Figc grande attenzione<br />

e ferma condanna»<br />

Intervista a<br />

Giancarlo Abete<br />

presidente della Federcalcio<br />

a cura di<br />

Paola Di Lazzaro<br />

Lo scorso mese di febbraio l’UNAR<br />

e la FIGC hanno annunciato la<br />

costituzione di un tavolo di lavoro<br />

finalizzato alla creazione di misure<br />

di intervento al problema del razzismo<br />

nel calcio. Si parla di campagne<br />

di sensibilizzazione, progetti educativi<br />

nelle scuole, e per il calcio dilettantistico.<br />

Ne abbiamo approfittato<br />

per fare il punto con il presidente della<br />

FIGC Giancarlo<br />

Abete.<br />

Presidente Abete,<br />

innanzitutto per<br />

lei che cosa è il<br />

razzismo?<br />

Una parola che<br />

nel suo significato<br />

storico e letterale<br />

spaventa e<br />

che nelle declinazioni<br />

attuali ci<br />

impone massima<br />

attenzione. Un<br />

concetto al quale,<br />

allo stesso tempo,<br />

va data la giusta<br />

collocazione, specialmente<br />

nelle<br />

rappresentazioni<br />

dello sport in generale<br />

e del calcio<br />

in particolare. La<br />

storia e la tradizione dell’Italia sono incentrate<br />

all’accoglienza ed alla tolleranza.<br />

Le trasformazioni della società<br />

ci abituano tuttavia a definizioni mobili;<br />

per questo la consapevolezza che<br />

abbiamo del fenomeno del razzismo ci<br />

può aiutare a collocarlo correttamente,<br />

nell’ottica di condannare e contrastare<br />

le manifestazioni più pericolose<br />

di discriminazione, e salvaguardare lo<br />

spirito e i valori del calcio.<br />

Dai dati dell’Osservatorio su Razzismo<br />

e antirazzismo nel calcio, tratti<br />

dal monitoraggio delle sentenze del<br />

giudice sportivo, viene fuori che negli<br />

ultimi anni in Italia, ogni stagione<br />

sportiva, si verificano una cinquantina<br />

di episodi di razzismo negli<br />

stadi (per lo più si tratta di cori)<br />

di cui la metà in serie A. In paesi<br />

come la Germania ad esempio non<br />

si arriva a 10 casi. Secondo lei da cosa<br />

dipende questa differenza?<br />

L’attenzione ai fenomeni di illegalità<br />

all’interno degli stadi italiani è molto<br />

alta. Si concentra su molti aspetti che<br />

da un lato sono orientati a garantire<br />

la sicurezza degli spettatori, dei calciatori<br />

e degli addetti ai lavori; dall’altro<br />

sono volti a combattere i fenomeni<br />

di violenza e inciviltà.<br />

«Combattiamo il razzismo,<br />

ma non si deve essere troppo<br />

concentrati a enfatizzare le criticità»<br />

I dati che ci fornisce in questo senso<br />

il Ministero dell’Interno sono, da qualche<br />

anno a questa parte, incoraggianti.<br />

C’è un calo sensibile degli incidenti e<br />

dei feriti; c’è una maggiore incisività<br />

nel tenere lontano dagli stadi chi<br />

commette reati. Insieme al Ministero<br />

dell’Interno ed all’Osservatorio Nazionale<br />

sulle Manifestazioni Sportive<br />

sono state avviate, fin dal 2005, concrete<br />

politiche di attenzione alle pratiche<br />

ed alle manifestazioni collocabili<br />

nell’area del razzismo, dall’esposizione<br />

degli striscioni ai cori. Sono state<br />

richiamate ed implementate normative<br />

e direttive volte a garantire la sicurezza<br />

delle manifestazioni sportive,<br />

attraverso l’intervento di condanna di<br />

tutti gli atti di discriminazione e


l’azione dei competenti incaricati dell’Ordine<br />

Pubblico. I numeri sugli episodi<br />

riconducibili alla legge Mancino<br />

che ci consegnano le Questure (Fonte<br />

Ministero dell’Interno, pubblicazione<br />

C’era una volta l’Ultrà) riportano 48<br />

episodi di cori razzisti e un numero limitato<br />

di striscioni nell’ultimo quinquennio.<br />

Va colta, come riflessione programmatica,<br />

la dimensione complessiva del<br />

fenomeno più che le singole manifestazioni,<br />

che sono da condannare e verso<br />

le quali forte deve essere la presa di<br />

coscienza. Il discorso non è la quantità<br />

degli episodi in un Paese o in un altro;<br />

un singolo caso macchia un intero<br />

sistema e interroga sulla qualità dei<br />

comportamenti. L’episodio di Busto<br />

Arsizio (i cori contro Boateng nell’amichevole<br />

tra Pro Patria e Milan e<br />

l’uscita dal campo della squadra milanista,<br />

ndr) e il prorompente impatto mediatico<br />

che ne è derivato sono un<br />

esempio emblematico. Gli episodi di intolleranza<br />

che si verificano nelle serie<br />

dilettantistiche ne rappresentano un<br />

aspetto altrettanto preoccupante e danno<br />

la misura di quanto possa radicarsi<br />

il fenomeno e di quanto profonda<br />

debba essere l’azione di prevenzione,<br />

educazione e contrasto. L’attenzione e<br />

i procedimenti della giustizia sportiva,<br />

che rileva i singoli casi anche attraverso<br />

gli operatori della Procura Federale,<br />

viaggia su questo binario: grande attenzione<br />

e ferma condanna.<br />

Lo stesso quadro europeo citato nel<br />

confronto con la Germania ci consegna<br />

altresì un panorama frastagliato<br />

e complesso che appartiene, tra l’altro,<br />

alle singole realtà storiche e territoriali.<br />

Non è solo l’esempio di un Paese, la<br />

Germania, che rappresenta sicuramente<br />

un modello di cultura calcistica<br />

e di convincenti politiche di attenzione<br />

ai tifosi ed alla qualità degli stadi.<br />

Sanno bene i colleghi tedeschi, così<br />

come i referenti di altri Paesi - perché<br />

se ne parla in occasione degli incontri<br />

internazionali -, che le derive di alcune<br />

frange di tifosi, siano esse riconducibili<br />

alla violenza, all’inciviltà,<br />

all’intolleranza o alla discriminazione,<br />

rappresentano un’allerta costante indipendentemente<br />

dai numeri più o<br />

meno alti di episodi.<br />

Si ha l’impressione che la UEFA dia<br />

una maggiore attenzione al fenomeno<br />

del razzismo negli stadi. Che sia<br />

più severa, rispetto alla Figc. Da noi<br />

si tende a minimizzare gli episodi che<br />

accadono; mentre in altri paesi la<br />

strategia è quella contraria: li si stigmatizza,<br />

per rafforzarne la censura.<br />

Qual è la sua opinione? Ci sono cambiamenti<br />

in atto nella sensibilità e nei<br />

comportamenti del mondo calcistico<br />

italiano, a questo livello?<br />

La UEFA ha fatto della campagna Respect<br />

un riferimento della propria politica<br />

di promozione dei valori dello<br />

sport. È una campagna sposata e appoggiata<br />

da tutte le Federazioni calcistiche<br />

europee, in un’ottica di far proprio<br />

un sentimento generale ed avere<br />

la forza di promuoverlo in maniera<br />

unitaria ed omogenea. I regolamenti<br />

della Federazione italiana sono in linea<br />

con lo spirito, i principi regolatori<br />

e gli aspetti sanzionatori UEFA. È<br />

stato riconosciuto al calcio italiano di<br />

essere intervenuto con modifiche della<br />

propria normativa in materia di contrasto<br />

alle manifestazioni esteriori ed<br />

ai comportamenti razzisti prima che la<br />

UEFA adottasse i propri cambiamenti.<br />

Ci muoviamo in completo accordo<br />

con la FIFA, pronti ad aggiornare e, in<br />

alcuni casi anticipare, quanto viene<br />

proposto dalle Confederazioni internazionali.<br />

La condanna c’è ed è sempre molto<br />

forte anche da noi; è vero peraltro che<br />

spesso siamo troppo concentrati ad enfatizzare<br />

le criticità piuttosto che a valorizzare<br />

le positività del nostro siste-<br />

ma. Il sistema calcistico non si è nascosto:<br />

abbiamo voluto rompere la logica<br />

per cui lo spettacolo deve per forza<br />

andare avanti. Lo abbiamo ripetuto<br />

in un recente incontro con il<br />

Capo della Polizia, Antonio Manganelli,<br />

e con i vertici del Viminale;<br />

nel caso in cui funzionari<br />

dell’Ordine Pubblico,<br />

unici titolati a prendere<br />

tale decisione, dovessero ritenere<br />

opportuno la sospensione<br />

temporanea o<br />

definitiva di una partita<br />

per casi di razzismo, la Federcalcio<br />

si schiererebbe al<br />

loro fianco, poiché la posta<br />

in gioco è troppo alta per<br />

non agire con fermezza. Oltre<br />

a ciò, la FIGC è favorevole<br />

anche ad un aumento del numero<br />

e della durata dei Daspo<br />

ed auspica un maggiore coordinamento<br />

tra i protagonisti in campo<br />

per espellere chi inquina la convivenza<br />

civile dell’evento sportivo.<br />

Come mai non vi sono giocatori italiani<br />

tra i testimonial delle campagne<br />

antirazzismo che fa la UEFA?<br />

Non è proprio così. I calciatori italiani<br />

sono attenti al problema. In una recente<br />

campagna antirazzismo di FARE<br />

15


primo piano<br />

(Football Against Racism in Europe),<br />

la rete che dal 2001 ha stretto con la<br />

UEFA un accordo per la promozione<br />

ed educazione alla lotta al razzismo,<br />

«I valori scendono in campo»:<br />

lo slogan del settore giovanile<br />

e scolastico della FIGC<br />

due giocatori della Nazionale, Claudio<br />

Marchisio e Giuseppe Rossi, hanno<br />

dato la loro disponibilità di testimonial,<br />

per riaffermare i principi di integrazione<br />

e condannare qualsiasi forma di<br />

razzismo. In occasione degli ultimi<br />

campionati Europei in Polonia ed<br />

Ucraina, tutti i calciatori italiani convocati,<br />

insieme con il commissario tecnico<br />

Prandelli, hanno fatto visita ai<br />

campi di concentramento di Auschwitz<br />

e Birkenau; un momento di<br />

grande impatto emotivo e una forte testimonianza<br />

per ricordare ancora una<br />

volta che la storia ci guarda e non bisogna<br />

abbassare la guardia. Un calciatore<br />

che gioca in Italia, Kevin Prince<br />

Boateng, solo per citare un caso re-<br />

6<br />

cente, ha accettato di intervenire, su invito<br />

della FIGC, ad una manifestazione<br />

contro il razzismo in occasione dell’amichevole<br />

che la Nazionale ha in<br />

programma il 21 marzo a<br />

Ginevra contro il Brasile.<br />

Boateng sarà presente la<br />

mattina nella sede delle<br />

Nazioni Unite per testimoniare<br />

il suo impegno<br />

contro il razzismo.<br />

Le testimonianze ci sono. Forse servirebbe<br />

parlarne di più.<br />

Non ritiene che sarebbe utile fornire<br />

un’interpretazione chiara e circostanziata<br />

del comma 1 dell’art. 11 del codice<br />

della giustizia sportiva (quello contro<br />

le discriminazioni), che faccia capire<br />

bene a tutti quali sono i comportamenti<br />

illeciti?<br />

Leggiamolo questo comma: “costituisce<br />

comportamento discriminatorio,<br />

sanzionabile quale illecito disciplinare,<br />

ogni condotta che, direttamente o<br />

indirettamente, comporti offesa, denigrazione<br />

o insulto per motivi di razza,<br />

colore, religione, lingua, sesso, nazionalità,<br />

origine territoriale o etnica,<br />

ovvero configuri propaganda ideologica<br />

vietata dalla legge o comunque inneggiante<br />

a comportamenti discriminatori.”.<br />

Comprendo lo spirito della domanda,<br />

ma mi sento di ripetere: non<br />

bisogna concentrarsi solo sul singolo<br />

episodio, va sostenuta l’affermazione<br />

dei principi e dei valori positivi dello<br />

sport e la qualità dei comportamenti.<br />

L’UNAR e la FIGC hanno annunciato<br />

la costituzione di un tavolo di lavoro<br />

per affrontare alla radice il problema<br />

del razzismo nel calcio. Si parla<br />

di campagne di sensibilizzazione e<br />

progetti educativi nelle scuole calcio<br />

e per il calcio dilettantistico. Ci può<br />

raccontare quanto in questo campo è<br />

stato già fatto dalla FIGC?<br />

Il tavolo con l’UNAR è un risultato<br />

importante; aumenta il nostro impegno<br />

soprattutto per la dimensione di<br />

relazioni che si riesce ad attivare con<br />

le diverse associazioni che affrontano<br />

il tema del razzismo e promuovono<br />

le iniziative di educazione e formazione.<br />

La Federazione è da sempre intervenuta<br />

con azioni di sensibilizzazione,<br />

sia sposando i progetti di associazioni<br />

ed enti, anche grazie all’impegno<br />

della Nazionale, sia strut


turando programmi interni con le Leghe,<br />

l’Associazione Italiana Calciatori,<br />

l’Associazione Allenatori, l’AIA, il<br />

Settore Giovanile e Scolastico. Proprio<br />

il progetto educativo “I valori scendono<br />

in campo” del Settore Giovanile<br />

e Scolastico, progetto che mira alla<br />

promozione delle regole e dei valori<br />

del calcio, ne è testimonianza concreta.<br />

Ancora, a partire dalla stagione sportiva<br />

2010/2011, la FIGC ha inserito quale<br />

requisito obbligatorio per le società<br />

che vogliono iscriversi ai campionati<br />

professionistici, quello di partecipare<br />

e promuovere incontri sul tema<br />

della lotta al razzismo nel calcio. A tale<br />

riguardo, la FIGC ha ospitato lo scorso<br />

anno a Roma la Conferenza internazionale<br />

di FARE, mettendo a disposizione<br />

dei club italiani le esperienze<br />

di 37 Paesi che operano nella<br />

lotta contro il razzismo.<br />

Si tratta in sostanza di un programma<br />

generale di responsabilità sociale<br />

che vede oggi la Federazione impegnata<br />

con 30 partnership con enti, as-<br />

sociazioni e fondazioni aventi finalità<br />

sociali. Valgono più di molte parole<br />

due slogan che mi piace ricordare e<br />

che si riferiscono a due iniziative promosse<br />

e patrocinate dalla FIGC: quella<br />

del Settore Giovanile e Scolastico<br />

nel 2006 in Piazza Santa Croce a Firenze,<br />

“A che razza appartieni? A<br />

quella umana”; quella con l’UNICEF<br />

nel 2012, “Io come<br />

tu. Mai nemici per<br />

la pelle”, in occasione<br />

della giornata<br />

nazionale dell’Infanzia<br />

e dell’adolescenza.<br />

Pensa che una nuova legge che riconosca<br />

la cittadinanza anche ai figli<br />

degli immigrati nati in Italia possa<br />

aiutare a superare il problema dell’accesso<br />

dei giovani di seconda generazione<br />

ai vivai e al calcio professionistico?<br />

Il tema del diritto di cittadinanza è seguito<br />

con grande attenzione nelle<br />

il razzismo negli stadi<br />

proposte e nei lavori delle agende istituzionali<br />

del sistema politico. Sappiamo<br />

essere anche una sensibilità più<br />

volte espressa e sostenuta dal Capo dello<br />

Stato, Giorgio Napolitano, anche in<br />

occasione degli incontri con i vertici<br />

del CONI e con la Nazionale Italiana.<br />

Nei punti del mio recente programma<br />

elettorale è stata rimarcata la battaglia<br />

Ci sono 48.700 giocatori stranieri<br />

tesserati alla Federcalcio. E sono 7.700<br />

i minori stranieri che si sono tesserati<br />

per la prima volta nel 2012<br />

per l’integrazione, nel quadro delle<br />

normative statali esistenti, nella necessità<br />

di rispettare le norme FIFA<br />

per il primo tesseramento dei minori,<br />

con l’attenzione alle sensibilità<br />

ed alle sollecitazioni della<br />

società civile, al fine di favorire<br />

la massima integrazione<br />

dei giovani nella società e nel<br />

calcio.<br />

La valorizzazione dei vivai può<br />

essere contemperata, per un<br />

calcio che ha e deve avere forti<br />

contenuti di socialità e integrazione,<br />

con un’attenzione particolare<br />

per coloro che, pur essendo<br />

nati in Italia, non possono essere<br />

considerati cittadini italiani e per<br />

coloro i quali con le loro famiglie<br />

sono venuti in Italia per trovare risposte<br />

ai propri bisogni e aspettative<br />

di crescita. I tesserati stranieri hanno<br />

toccato, sulla base dei dati contenuti<br />

nel nostro Report 2012, quota<br />

48.706, di cui quasi il 70% svolgono<br />

attività giovanile. Non è un<br />

caso, ma la diretta conseguenza di un<br />

continuo e lungimirante processo di<br />

integrazione sociale che parte dal calcio<br />

di base, con 7.657 minori stranieri<br />

al primo tesseramento per le società<br />

dilettantistiche, provenienti da un totale<br />

di 108 Nazioni diverse, con un significativo<br />

tasso di incremento rispetto<br />

alle stagioni precedenti.<br />

17


primo piano<br />

Rimuovere la discriminazione nell’accesso al tesseramento calcistico<br />

dei minori stranieri<br />

Troppi vincoli.<br />

Proposte per la Federcalcio<br />

In molti stanno cercando di superare<br />

gli ostacoli che i ragazzi<br />

stranieri, nati o comunque cresciuti<br />

in Italia, incontrano se vogliono far<br />

parte di una squadra di calcio a qualsiasi<br />

livello, ma soprattutto a livello dilettantistico.<br />

In un recente Seminario ad Arezzo, tenutosi<br />

lo scorso dicembre, un gruppo<br />

di esperti, tra i quali Nicola Saccon, avvocato<br />

e collaboratore di MeltingPot<br />

Europa, hanno stilato una nota in cui<br />

dapprima sono elencati gli adempimenti<br />

e i vincoli aggiuntivi previsti per<br />

i minori stranieri rispetto agli italiani<br />

e le conseguenze che ne derivano<br />

per i ragazzi e per le società sportive,<br />

e poi vengono avanzate una serie di<br />

proposte alla Federazione italiana<br />

gioco calcio (Figc).<br />

Adempimenti e vincoli<br />

aggiuntivi<br />

per i minori stranieri<br />

· L’iscrizione è possibile solo entro<br />

il 31 marzo di ogni anno.<br />

· L’iscrizione è possibile solo dopo<br />

l’acquisizione del certificato di<br />

iscrizione scolastica, che va rilasciato<br />

in cartaceo originale (la<br />

Figc, in quanto ente privato, non<br />

accetta autocertificazioni); molte<br />

scuole, inoltre, non lo rilasciano<br />

fino a metà agosto o anche oltre,<br />

mentre il tesseramento calcistico è<br />

attivo dal 1 luglio e in agosto iniziano<br />

gli allenamenti.<br />

8<br />

· Viene richiesto il cosiddetto certificato<br />

storico di residenza, che deve<br />

contenere i dati relativi alla residenza<br />

del minore (e, se ha risieduto in comuni<br />

diversi, questo va certificato),<br />

e va presentato ogni anno.<br />

· Viene richiesta, ogni anno, la fotocopia<br />

del permesso di soggiorno,<br />

anche se il permesso ha una durata<br />

superiore.<br />

· Viene richiesto il tesseramento anche<br />

presso la Figc regionale, per verificare<br />

se il minore è stato già tesserato<br />

nel paese di<br />

origine; questo viene<br />

richiesto anche a chi è<br />

nato in Italia e può<br />

documentare di aver<br />

sempre risieduto in<br />

Italia.<br />

Conseguenze<br />

di questi vincoli,<br />

per i minori<br />

e per la società<br />

sportiva<br />

· Il calciatore rimane inattivo per almeno<br />

tre mesi all’anno (per via dei<br />

tempi di attesa della documentazione<br />

richiesta); se fa richiesta di<br />

tesseramento entro il 31 marzo resta<br />

inattivo per la stagione in corso;<br />

non riesce a fare la preparazione<br />

necessaria.<br />

· La società sportiva non può definire<br />

per tempo gli organici per la<br />

programmazione della stagione<br />

sportiva; deve rinunciare a una<br />

parte della preparazione atletica<br />

per alcuni suoi giocatori, oppure<br />

deve assumersi il rischio di responsabilità<br />

di tipo penale, civile<br />

o disciplinare; ha un carico di<br />

lavoro burocratico relativo all’informazione<br />

da dare alla famiglia<br />

del giocatore, al controllo della<br />

documentazione richiesta e all’invio<br />

della documentazione alla<br />

Figc regionale.<br />

Proposte per la Figc<br />

· Per gli stranieri nati in Italia: tesseramento<br />

con le stesse regole degli<br />

italiani; oppure solo richiesta del<br />

certificato storico di residenza, e<br />

Antonio Amnendola - Shoot 4 Change<br />

tesseramento regionale soltanto se<br />

hanno risieduto nel paese di origine<br />

fino a dopo i 5 anni di età.<br />

· Per gli stranieri giunti in Italia prima<br />

dei 5 anni di età: stesse proposte.<br />

· Per tutti: non richiedere il certificato<br />

di iscrizione scolastica.<br />

· Per tutti: consentire l’iscrizione<br />

anche dopo il 31 marzo.<br />

· Per tutti: rinnovo del tesseramento<br />

presso la sede provinciale<br />

(e non regionale), senza il certificato<br />

storico di residenza e<br />

senza la copia del permesso di<br />

soggiorno se è ancora valido<br />

quello presentato l’anno precedente.


Da 5 anni<br />

è attivo anche<br />

“Mediterraneo<br />

Antirazzista”<br />

La prima edizione del Mediterraneo<br />

Antirazzista, nato su<br />

ispirazione dei Mondiali Antirazzisti,<br />

si è svolta nel giugno 2008,<br />

ed ha visto la realizzazione di un torneo<br />

non agonistico di Calcio a 5 al Velodromo<br />

Paolo Borsellino di Palermo.<br />

A fianco al torneo sono state organizzate<br />

diverse iniziative in alcune piazze<br />

della città. La seconda edizione si<br />

è svolta nel giugno 2009, ripetendo la<br />

stessa struttura organizzativa dell’anno<br />

precedente, e introducendo altri due<br />

sport: il Basket e la Capoeira. Inoltre,<br />

rispetto al 2008, si sono realizzate diverse<br />

iniziative “on the road” di Mediterraneo<br />

Antirazzista: “calcio di strada”<br />

allo Sperone, “100 Passi Antirazzisti”<br />

a Cinisi, “Un calcio al Razzismo”<br />

alla Magione, iniziative nelle scuole e<br />

nei centri aggregativi della Città.<br />

Al torneo hanno partecipato 140 squadre<br />

di calcetto, 40 di basket e più di 200<br />

capoeristi provenienti da tutta Europa.<br />

La terza e quarta edizione hanno “istituzionalizzato”<br />

la manifestazione.<br />

Nella fase “On the Road” della quinta<br />

edizione, Mediterraneo Antirazzista<br />

ha attraversato lo stretto di Messina per<br />

due appuntamenti fuori dalla Sicilia che<br />

si sono svolti a Scampia (Napoli) e a<br />

Metropoliz (Roma).<br />

Nei primi cinque anni di iniziative antirazziste<br />

svolte, la molteplicità delle comunità<br />

e dei quartieri coinvolti, insieme<br />

alla pluralità delle piazze raggiunte,<br />

sono un buon esempio di come una<br />

città possa essere vissuta in modo complesso<br />

e come si possano sperimentare<br />

importanti occasioni per superare le<br />

barriere fisiche e culturali. Nel 2012<br />

l’iniziativa nata a Palermo ha ricevuto<br />

la coppa più importante che viene<br />

attribuita dai Mondiali Antirazzisti<br />

per l’associazione che sviluppa l’iniziativa<br />

più innovativa e solidarista.<br />

Il progetto 2013<br />

Il progetto “Mediterraneo<br />

Antirazzista 2013”<br />

avrà luogo nelle città di<br />

Napoli (Scampia), Roma<br />

(Metropoliz), Genova (S.<br />

Gottardo - Molassana) e<br />

Palermo. Il progetto punta<br />

a promuovere una visione<br />

interculturale della<br />

nostra società ed a rompere<br />

le barriere del razzismo,<br />

del disagio e del<br />

degrado attraverso lo<br />

sport e la produzione culturale, intesi<br />

come veicolo sociale di confronto e<br />

socializzazione. La sesta edizione del<br />

Mediterraneo Antirazzista sarà divisa<br />

in due momenti: “Mediterraneo Antirazzista<br />

on the road” e “Mediterraneo<br />

Antirazzista 2013”.<br />

“Mediterraneo Antirazzista on the<br />

road” si svolgerà nei mesi di maggio<br />

e giugno 2013 in diverse piazze, centri<br />

aggregativi e scuole della città di Palermo<br />

(in particolare Vucciria, Ballarò,<br />

Kalsa, Sperone, Falsomiele, Cep e<br />

Zen), ma anche a Napoli nel quartiere<br />

Scampia (02 e 03 Maggio), a Roma<br />

al Metropoliz (04 e 05 Maggio) e a Genova<br />

nei quartieri S.Gottardo e Molassana<br />

(18 e 19 Maggio) con: minitornei<br />

di street soccer, “olimpiadi di<br />

strada”, proiezioni del nuovo video<br />

“Mediterraneo Antirazzista 2012”; racconto<br />

di testimonianze; distribuzione<br />

gadget e materiale informativo, concerti<br />

e parate di strada.<br />

“Mediterraneo Antirazzista 2013”:<br />

le iniziative finali si svolgeranno a Palermo<br />

dal 13 al 16 giugno. I tornei non<br />

agonistici saranno 5: calcetto, basket 3<br />

vs. 3, pallavolo, cricket e rugby. Inoltre<br />

ci saranno le esibizioni delle scuole<br />

di Capoeira di Palermo.<br />

il razzismo negli stadi<br />

Le squadre partecipanti ai vari tornei saranno<br />

composte da giocatori italiani e<br />

stranieri che provengono sia dai quartieri<br />

di Palermo, sia dalle principali periferie<br />

della Penisola. I tornei non impongono<br />

limitazioni di squadre e prevedono<br />

la possibile partecipazione di<br />

squadre miste o solo femminili.<br />

Durante le partite non sarà presente alcun<br />

arbitro, ma solo un responsabile di<br />

campo; esse avranno la durata di 20<br />

minuti e le fasi finali del torneo avranno<br />

la caratteristica di avvalorare la non<br />

competitività su cui si basa l’intera manifestazione:<br />

ad esempio per il calcetto<br />

saranno previsti i rigori, per il basket<br />

i tiri liberi, ecc...<br />

L’ iniziativa è aperta a tutti, non ci sono<br />

costi di partecipazione e l’ unica regola<br />

ferrea è il rispetto dell’altro.<br />

Per info: 3207768569 - 3206254974,<br />

o scrivere a info@mediterraneoantirazzista.org<br />

19


primo piano<br />

«Gioco anch’io».<br />

Un appello<br />

Nel dicembre scorso nelle sedi regionali della Figc di Marghera ed Ancona<br />

si sono svolti degli incontri tra i rispettivi presidenti regionali e le delegazioni<br />

delle associazioni sportive aderenti alla rete “Sport alla Rovescia”.<br />

Lo scopo era quello di consegnare l’appello della campagna “Gioco Anch’io”,<br />

nata nel febbraio 2012 per chiedere al Coni e alle diverse Federazioni<br />

sportive di togliere dai regolamenti tutte quelle norme che limitano<br />

la possibilità ai migranti e ai loro figli nati in Italia di poter giocare o praticare<br />

sport a livello agonistico.<br />

Di seguito il testo dell’appello, che attende ancora una risposta a livello nazionale<br />

dalla Figc.<br />

Siamo palestre, polisportive,<br />

semplici amatori, atleti, associazioni:<br />

quello che ci unisce è la<br />

pratica dello sport come esperienza che<br />

offre possibilità di integrazione ed affermazione<br />

di diritti come bene comune<br />

da condividere.<br />

In questi anni a partire dalle nostre<br />

esperienze differenti per luogo, forma<br />

e storia abbiamo visto che è possibile<br />

con lo sport diventare punto di riferimento<br />

in molti quartieri e territori,<br />

anche difficili.<br />

La pratica sportiva è una grande occasione<br />

per dare senso e valore all’aggregazione<br />

sociale, all’integrazione di<br />

chi troppo spesso perchè straniero o diverso<br />

viene escluso.<br />

Oggi ci sembra sia arrivato il momento<br />

per affermare insieme, in tanti e diversi,<br />

che venga riconosciuto come diritto<br />

di cittadinanza per tutti, compresi<br />

i migranti, la possibilità di praticare<br />

lo sport a qualsiasi livello e senza nessuna<br />

pre-condizione.<br />

Ad ormai 20 anni dal loro apparire,<br />

i flussi migratori verso il nostro paese<br />

non possono più essere considerati<br />

un fenomeno eccezionale, oggi gli<br />

immigrati regolari soggiornanti in<br />

Italia sono quasi 5 milioni, più un numero<br />

imprecisato di clandestini. Ma<br />

ancora oggi, purtroppo, nella nostra<br />

società esistono ancora due categorie<br />

0<br />

Alessandra Fratoni - Shoot 4 Change<br />

ben distinte: i cittadini e gli<br />

stranieri. I primi vivono<br />

dentro la società e godono di<br />

determinati diritti civili e sociali,<br />

gli stranieri, invece<br />

ne sono esclusi. […]<br />

Anche dal mondo dello sport noi vogliamo<br />

contribuire alla conquista per<br />

tutti di una cittadinanza piena e<br />

completa.<br />

La situazione attuale vede la stessa legislazione<br />

sportiva, peraltro diversa federazione<br />

per federazione, configurata<br />

in maniera tale da contenere diverse barriere<br />

e restrizioni per chi è straniero; esistono<br />

infatti limitazioni legali e amministrative<br />

per la partecipazione dei non<br />

italiani nell’attività sportiva sia a livello<br />

professionistico che dilettantistico. […]<br />

Noi crediamo fermamente nel diritto<br />

universale di accesso allo sport (per altro<br />

sancito a livello europeo dal trattato<br />

di Lisbona e a livello internazionale<br />

dalla Convenzione dei diritti del’uomo<br />

e del fanciullo) come la possibilità<br />

di accedere a pratiche indispensabili per<br />

la realizzazione della persona, basate<br />

sulla socializzazione, l’auto-affermazione,<br />

il benessere fisico e psichico, la<br />

partecipazione e la cultura.<br />

Ciascuno di essi è un elemento indispensabile<br />

per la promozione e l’emancipazione<br />

dell’individuo all’interno<br />

dei gruppi e delle comunità entro cui<br />

si trova e tutti quanti sono dei requisiti<br />

che dovrebbero essere universalmente<br />

garantiti alla persona, indipendentemente<br />

dalla sua appartenenza o<br />

colore della pelle.<br />

Dare cittadinanza ai migranti ed ai loro<br />

figli nello sport è per noi la scelta di riportarlo<br />

al suo spirito originario, strappandolo<br />

alle logiche del business e dello<br />

sfruttamento economico di cui è<br />

purtroppo ostaggio per aprire una battaglia<br />

di civiltà oramai indispensabile in<br />

questo paese.<br />

Ci sembra importante che i regolamenti<br />

sportivi nazionali non ostacolino la partecipazione<br />

di migranti e di persone con<br />

background migratorio nello sport, soprattutto<br />

negli sport amatoriali.<br />

Per questo chiediamo al Coni e alle Federazioni<br />

Sportive le revisioni dei regolamenti<br />

al fine di consentire il diritto<br />

al gioco a tutti, nessuno escluso!<br />

In particolare per il calcio chiediamo che<br />

tutti i giovani stranieri siano equiparati,<br />

secondo la norma antidiscriminatoria,<br />

ai giovani calciatori italiani, e non<br />

debbano subire iter burocratici pesanti e<br />

trattamenti diversi dai loro coetanei.<br />

Primi firmatari<br />

Polisportiva Antirazzista Assata Shakur<br />

Ancona; Polisportiva San Precario Padova;<br />

Polisportiva Independiente Vicenza;<br />

ASD Boxe Popolare Cosenza; Polisportiva<br />

Antirazzista La Paz Parma; Polisportiva<br />

Uppercut Alessandria; Comitato Balon<br />

Mundial Torino; Palestra Popolare Valerio<br />

Verbano Roma; Palestra Popolare Mustaki<br />

Taranto; Palestra Popolare TPO Bologna;<br />

HSL Football Club Bologna; ASD<br />

Equipo Popular Napoli; Palestra Popolare<br />

Rebelde Fabriano


Torino.<br />

L’associazione “Nessuno fuorigioco”<br />

I bambini rom<br />

in campo<br />

Timothy Donato, dell’Associazione<br />

“Nessuno fuorigioco” di<br />

Torino, è l’educatore e l’allenatore<br />

della “New Team”, una scuola di<br />

calcio molto particolare, composta<br />

principalmente da bambini dagli 8 ai<br />

12 anni dei campi rom della periferia<br />

di Torino.<br />

La scuola calcio è intesa come un laboratorio<br />

di coesione sociale con il pallone<br />

tra i piedi. La squadra di calcio che<br />

ne è nata partecipa ai tornei presenti<br />

in città. Dice Timothy Donato che<br />

l’obiettivo è quello di aumentare la partecipazione<br />

dei bambini rom all’interno<br />

della varie squadre di calcio delle associazioni<br />

sportive.<br />

Ma non è facile. “Il sospetto e il razzismo<br />

– dice – sono ovunque. Lo vedo<br />

quando cerchiamo di inserire bambini<br />

italiani nella nostra squadra, e le<br />

loro famiglie non li mandano.<br />

Ma io – aggiunge – porto in giro per<br />

l’Italia la storia di questi bambini che<br />

danno vita a una squadra molto gioiosa,<br />

che in realtà perde tutte le partite,<br />

ma ha tanti tifosi”.<br />

Per ora ci sono due squadre, una di<br />

pulcini e una di esordienti; ma nelle ultime<br />

settimane è nata anche una<br />

squadra femminile, con 4 bambine rom<br />

e quattro italiane.<br />

Dunque qualcosa migliora. L’associazione,<br />

che opera in collaborazione con<br />

il Comune di Torino, è nata due anni<br />

fa. Di recente, in febbraio, le ha dedicato<br />

un articolo la Gazzetta dello<br />

Sport, che critica la Federcalcio (Figc)<br />

perché non consente alle squadredella<br />

New Team di iscriversi ai campionati<br />

ufficiali.<br />

Non glielo consente perché i ragazzini<br />

non hanno la residenza (e non ce<br />

l’hanno perché vivono in campi abusivi).<br />

Ecco perché le squadre della New<br />

Team hanno deciso di partecipare ai<br />

tornei della Uisp, dove chiunque può<br />

iscriversi.<br />

Un inno per i prossimi<br />

mondiali antirazzisti<br />

A Bosco Albergati,<br />

Castelfranco Emilia (Modena)<br />

dal 4 al 7 luglio 2013<br />

Il Mei (Meeting degli Indipendisti) e i<br />

Mondiali Antirazzisti della UISP hanno<br />

lanciato l’idea, per festeggiare la15°<br />

edizione dei Mondiali, di avere una colonna<br />

sonora che accompagni tutto<br />

l’evento e per questo aprono un contest<br />

alla ricerca di chi possa incarnare musicalmente<br />

lo spirito di questo grande<br />

happening. Lo fanno in collaborazione<br />

con Arci, AudioCoop, <strong>Rete</strong> dei Festival,<br />

Associazione Artisti Italiani, Amici della<br />

Musica e con il patrocinio della Regione<br />

Emilia Romagna.<br />

Fino al 31 marzo 2013 tutte le band, cantautori<br />

e artisti indipendenti ed emergenti<br />

di ogni genere e stile, con residenza in<br />

Italia, possono presentare un brano musicale<br />

ispirato allo spirito dei Mondiali Antirazzisti.<br />

Possono farlo inviando: una biografia,<br />

una foto, una scheda tecnica, il<br />

link ai propri siti e profili, insieme al brano<br />

inedito (da inviare attraverso “We-<br />

Transfer” o attraverso altri modelli similari<br />

leggeri compreso Mp3 leggero)<br />

Il tutto va inviato all’indirizzo mail:<br />

mei@materialimusicali.it con oggetto<br />

Inno Indipendente per i Mondiali Antirazzisti.<br />

Il miglior brano sarà scelto da una giuria<br />

coordinata da Giordano Sangiorgi<br />

(patron del Mei) e da Carlo Balestri (organizzatore<br />

dei Mondiali Antirazzisti<br />

UISP), che valuterà se la proposta aderisce<br />

ai valori di base dei Mondiali Antirazzisti:<br />

promozione dei diritti e rispetto<br />

per tutti, lotta contro ogni forma di discriminazione<br />

attraverso lo sport, la<br />

musica e la cultura.<br />

Il vincitore potrà esibirsi in apertura dei<br />

Mondiali Antirazzisti 2013, che si terranno<br />

a Bosco Albergati (Castelfranco<br />

Emilia – MO) dal 4 al 7 luglio. È previsto<br />

un rimborso spese di 500 euro oltre<br />

a vitto e alloggio.<br />

Il brano sarà pubblicizzato attraverso il<br />

sito dei Mondiali Antirazzisti (www.mondialiantirazzisti.org)<br />

e quello UISP<br />

(www.uisp.it) e sarà diffuso continuamente<br />

durante i Mondiali stessi.<br />

Per informazioni:<br />

MEI: tel. 0546.24647 – email: mei@materialimusicali.it<br />

Mondiali Antirazzisti UISP: press@mondialiantirazzisti.it


diritti umani<br />

Vangelo, preghiera<br />

e dialogo con l’Islam


In una Siria che non c’è più, devastata<br />

da una guerra civile senza<br />

fine cominciata due anni fa, possiamo<br />

ancora trovare, ad 80 chilometri<br />

da Damasco, un luogo mistico<br />

pieno di fascino ed incontaminato, il<br />

Monastero di Deir Mar Musa o monastero<br />

di San Mosè l’Abissino. Costruito<br />

nel 1058 d.C. a 1320 metri<br />

sopra il livello del mare il monastero<br />

è arroccato su una montagna nel bel<br />

Siria / la comunità monastica di Deir Mar Musa<br />

Padre Paolo Dall’Oglio, dopo trent’anni,<br />

è stato costretto a lasciare la sua comunità,<br />

per le minacce del regime di Assad<br />

mezzo del deserto, vicino al villaggio<br />

di Nebek. Il nome di San Mosè l’Abissino<br />

viene dal figlio del re di Etiopia,<br />

che secondo Palladio - autore della<br />

storia di Lausiaca – era un ex brigante<br />

che si è convertito ed è entrato<br />

in monastero.<br />

Per arrivarci bisogna percorrere per<br />

mezz’ora una scalinata ripida. Arrivati<br />

in cima, ci si affaccia su una terrazza<br />

che guarda a valle, coperta da<br />

testo e fotografie di<br />

Marco Buemi<br />

tendoni che proteggono dal sole,<br />

dove i religiosi della comunità, alcuni<br />

monaci e altri studiosi interessati a<br />

compiere un percorso religioso, accolgono<br />

turisti e pellegrini e offrono<br />

loro un the, oppure condividono un<br />

pasto con prodotti del monastero:<br />

formaggio, verdure, olive, pane e<br />

marmellata. La struttura ha lo stesso<br />

colore del terreno circostante e sembra<br />

quasi un fortino, ma è invece


diritti umani<br />

reportage<br />

assai accogliente e ospita turisti e<br />

pellegrini, anche per diversi mesi, se<br />

intenzionati a partecipare alla vita<br />

quotidiana della comunità.<br />

Le origini del monastero sono testimoniate<br />

dagli affreschi, ritrovati nella<br />

piccola chiesa che si apre dietro una<br />

porta bassa, e dalle scritte arabe ritrovate<br />

sui muri che ci riportano al secolo<br />

11°, anche se nel 15° secolo il<br />

monastero fu parzialmente ricostruito<br />

e allargato. A metà del 19° secolo fu<br />

poi completamente abbandonato e<br />

lentamente andò in rovina. Nel 1982,<br />

in un momento di grandi sofferenze<br />

nella regione, padre Paolo Dall’Oglio,<br />

allora giovane gesuita, giunse sul<br />

luogo delle rovine del monastero e si<br />

innamorò di quel posto. Decise,<br />

quindi, di rimanere e di riportarlo in<br />

vita. Nel 1984, su iniziativa dello Stato<br />

siriano, cominciò un lavoro di restauro<br />

dell’antica chiesa e nel 1994 fu<br />

completato anche il restauro di tutto<br />

il monastero grazie alla cooperazione<br />

tra i governi italiano e siriano.<br />

Deir Mar Musa è un monastero di rito<br />

siro-cattolico. Ma si nota la contaminazione<br />

tra riti e culture diverse. Infatti,<br />

per entrare nella cappella, molto<br />

piccola, bisogna togliersi le scarpe,<br />

come in una moschea e, come in una<br />

moschea, a terra vi sono tappeti e cuscini,<br />

su cui ci si può sedere. Sui<br />

muri, gli affreschi ricordano molto le<br />

chiese ortodosse; ed è stato scelto<br />

l’arabo come lingua della vita sociale<br />

e liturgica della comunità monastica.


Tutto ciò fa di questo monastero un<br />

posto unico al mondo per il dialogo<br />

interculturale ed interreligioso.<br />

La comunità di Deir Mar Musa è<br />

prima di tutto una comunità di silenzio<br />

e di preghiera, tanto nella vita<br />

personale dei monaci e delle monache<br />

che nella loro vita sociale. Un<br />

altro aspetto di fondo è la semplicità<br />

evangelica della vita che vi si conduce,<br />

in responsabile armonia con la<br />

società circostante. Questo comporta<br />

la riscoperta del significato dell’attività<br />

manuale. Infine, l’ultimo principio<br />

su cui si regge Deir Mar Musa è<br />

l’ospitalità, che era sempre stata considerata<br />

una pratica sacra dagli antichi<br />

monaci. Il monastero, dunque, è<br />

inteso come luogo d’incontro, nell’approfondimento<br />

delle specificità<br />

identitarie, per elaborare gradualmente<br />

una cultura della comunione.<br />

Negli ultimi due anni di conflitto civile<br />

la comunità, guidata da padre<br />

Paolo da oltre trent’anni, è stata sottoposta<br />

a una dura pressione da parte<br />

del presidente Assad, fino a quando,<br />

la scorsa estate, padre Paolo è stato<br />

espulso dal Paese perché considerato<br />

dal regime un “fanatico” del dialogo.<br />

Così il lavoro di dialogo interreligioso<br />

della comunità di Deir Mar Musa, che<br />

ha camminato nella direzione di una<br />

relazione costruttiva tra islam e cristianesimo<br />

senza perdere nulla della<br />

sua originaria identità siro-cattolica,<br />

è ora messo in serio pericolo dalla repressione<br />

che il governo siriano sta<br />

tuttora esercitando.<br />

25


dibattito<br />

Il 24 febbraio del 2012 il Consiglio dei ministri ha approvato<br />

la Strategia di inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti,<br />

redatta dall’Unar su incarico del Governo; e pochi giorni dopo<br />

il ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione,<br />

Andrea Riccardi, che coordina il tavolo interministeriale per<br />

l’attuazione della Strategia, l’ha inoltrata alla Commissione<br />

dell’Unione europea, che quella “strategia” aveva richiesto<br />

formalmente, nell’aprile del 2011, a tutti gli Stati membri<br />

dell’Unione (“<strong>Near</strong>” ne ha dato conto ampiamente<br />

nel numero 2 del maggio 2012:<br />

“Rom, la lunga strada verso l’inclusione”).<br />

Uno dei punti cruciali per un percorso positivo della<br />

strategia di inclusione dei Rom è un effettivo<br />

coinvolgimento dei Rom stessi, delle loro comunità.<br />

Abbiamo pertanto chiesto a due leader della<br />

popolazione rom, Dijana Pavlovic e Graziano Halilovic,<br />

di dire come la pensano sul problema<br />

delle forme di auto-rappresentanza dei Rom, e cioè sui modi<br />

di una loro partecipazione responsabile, insieme alle istituzioni<br />

locali e nazionali, alla individuazione delle politiche che è<br />

necessario realizzare.<br />

Abbiamo chiesto loro come le istituzioni possono favorire<br />

la partecipazione dei rom alla elaborazione<br />

e attuazione delle politiche di integrazione; come tale<br />

partecipazione, e adeguate forme di auto rappresentanza,<br />

possono essere promosse da parte delle comunità stesse; quali<br />

sono i principali ostacoli da superare, per le comunità, al fine<br />

di darsi forme di rappresentanza responsabili e riconosciute.<br />

Dijana Pavlovic è vice-presidente della Federazione “Rom e Sinti<br />

Insieme”. Due anni fa ha fondato la Consulta dei Rom e Sinti<br />

di Milano. E’ nata in Serbia; è sposata con un italiano, e vive a<br />

Milano dal 1999. E’ attrice di teatro. Graziano Halilovic è<br />

il segretario della Federazione Romanì. Di recente ha fondato<br />

l’associazione “Romà Onlus”, incentrata sull’importanza<br />

dell’istruzione delle giovani generazioni Rom. È nato in Italia,<br />

ma non ha la cittadinanza italiana; è figlio di immigrati bosniaci;<br />

vive a Roma, è sposato e padre di sette figli.<br />

Per saperne di più:<br />

Federazione Rom e Sinti Insieme:<br />

www.comitatoromsinti.blogspot.it<br />

Federazione Romanì: www.federazioneromani.wordpress.com<br />

Per dare corpo<br />

al superamento<br />

delle discriminazioni<br />

è necessario che cresca<br />

la partecipazione.<br />

Come?<br />

Dall’assistenza<br />

alla responsabilità<br />

Dijana Pavlovic<br />

Per anni le comunità Rom e<br />

Sinte in Italia hanno subito<br />

non soltanto le forme esplicite<br />

e rozze di discriminazione da parte<br />

dei media e della politica che fomentava<br />

la paura del diverso a scopi<br />

elettorali, e anche la discriminazione<br />

istituzionale, ma soprattutto<br />

una forma sottile e con effetti più<br />

profondi e devastanti che non vengono<br />

di norma considerati e il cui<br />

danno è forse maggiore. Parlo dell’esclusione<br />

dalla possibilità di partecipare<br />

con pari diritti e responsabilità<br />

alla vita civile. Oggi abbiamo<br />

un popolo intero al quale è stato impedito<br />

di crescere perché si è preferito<br />

affrontare i problemi di inserimento<br />

civile e di relazione con la comunità<br />

maggioritaria con politiche<br />

di assistenzialismo, anziché puntare<br />

sulla partecipazione e sulla responsabilità.<br />

Mi piacerebbe poter fare alcuni conti,<br />

per esempio valutare quante persone<br />

non rom si occupano a vario titolo<br />

di Rom e Sinti e quanti sono i<br />

Rom e i Sinti che svolgono attività<br />

analoghe; cioè per ogni dieci operatori<br />

di associazioni varie e a vario titolo<br />

remunerate quante persone di etnia<br />

rom e a quale titolo remunerate<br />

svolgono una funzione analoga? Dal<br />

mio punto di osservazione, Milano, il<br />

rapporto è 10 a 0. E come mai, se ci<br />

sono cosi tante persone che si occu


om e sinti: il problema dell’autorappresentanza<br />

pano di rom da tanti anni, gli oggetti<br />

di tante attenzioni stanno ancora così<br />

male? Perché non è cresciuta non<br />

dico una classe dirigente ma una consapevolezza<br />

e una partecipazione<br />

diffusa che superi le poche unità sul<br />

piano nazionale?<br />

È con questo problema che bisogna<br />

oggi fare i conti se si vuole uscire da<br />

questa spirale che condanna le comunità<br />

rom e sinte a un progressivo<br />

e costante degrado sociale e culturale.<br />

Faccio un piccolo esempio, tanto<br />

per capire anche qual è a volte il livello<br />

del problema. Il mio amico attivista<br />

rom Giorgio Bezzecchi mi<br />

racconta che nel suo villaggio di 50<br />

persone (una famiglia allargata) non<br />

ci sono particolari problemi. Tutti<br />

sono autonomi e si occupano di se<br />

stessi da anni. Lavorano, sono cittadini<br />

italiani, accedono ai servizi<br />

come tutti gli altri. Da qualche anno<br />

quel campo è affidato in gestione a<br />

una cooperativa. Ci sono alcuni operatori<br />

che vengono al campo per “assistere”<br />

le persone. La conseguenza è<br />

che i rom che hanno bisogno di fare<br />

una fotocopia o andare in un ufficio<br />

per compilare un modulo adesso si<br />

fanno accompagnare dagli operatori.<br />

Oltre ai costi materiali di questa<br />

operazione da non sottovalutare e che<br />

pesano su tutti i cittadini, il costo più<br />

grande lo pagherà per intero quella<br />

comunità rom: sempre più deresponsabilizzata<br />

e sempre meno autonoma.<br />

Se le cose stanno così in che modo<br />

si può parlare oggi di autorappresentanza<br />

e di partecipazione? Per tanto<br />

tempo i pochi attivisti e cosidetti<br />

intellettuali rom e sinti sono stati usati<br />

come foglia di fico per coprire queste<br />

politiche. Bastava avere un ”proprio<br />

rom” nell’associazione per essere<br />

legittimati a parlare a nome dei rom<br />

e dei sinti. Quello che è mancato<br />

completamente è un confronto serio<br />

con le comunità, cercando di capire<br />

le differenze e le esigenze diverse delle<br />

comunità che si pretendeva di rappresentare.<br />

Così in convegni e dibattiti<br />

di cosiddetti addetti ai lavori<br />

ai quali non partecipa mai nessun<br />

rom o sinto succede di sentire affermazioni<br />

categoriche come quella<br />

che tutti i Rom e i Sinti vogliono vivere<br />

nelle case, ignorando cultura e<br />

usanze profonde delle comunità e dei<br />

diversi modi di vivere la propria comunità.<br />

Per passare dall’assistenza alla responsabilità<br />

c’è solo una via: rovesciare<br />

il criterio di rappresentanza affidandolo<br />

non più alle diverse associazioni<br />

ma solo ed esclusivamente ai<br />

rom e ai sinti.<br />

In questo senso è utile conoscere<br />

l’esperienza che abbiamo avviato a<br />

Sono decenni<br />

che si fa assistenzialismo<br />

invece di puntare<br />

sulla partecipazione<br />

e la responsabilità<br />

Milano un anno e mezzo fa. Con alle<br />

spalle 540 sgomberi, vari patti di legalità,<br />

regolamenti, censimenti del<br />

piano Maroni, accanimento mediatico<br />

e strumentalizzazioni, abbiamo<br />

fatto una scommessa. Siamo andati<br />

in tutti i campi, regolari e non, chiedendo<br />

alle comunità di creare uno<br />

strumento collettivo in grado di essere<br />

un interlocutore diretto con le<br />

istituzioni. Non era facile: sinti, rom<br />

abruzzesi, harvati, macedoni, kosovari,<br />

i khorakhane montenegrini e i<br />

rom rumeni facevano fatica al pensiero<br />

che con tutte le loro diversità<br />

potevano stare insieme in una consulta.<br />

Dopo un anno e mezzo la Consulta<br />

funziona, anche grazie a un<br />

quadro modificato: la Strategia nazionale,<br />

da una parte, e, dall’altra, il<br />

progetto del Comune di Milano che,<br />

anche per quanto fatto dalla Consulta<br />

in iniziative, progetti e soprattutto nel<br />

lavoro comune con le comunità, la riconosce<br />

come proprio interlocutore<br />

nel tavolo permanente previsto dal<br />

progetto.<br />

Così finalmente potremo essere giudicati<br />

dai fatti e non dai pregiudizi.<br />

27


8<br />

dibattito<br />

Parlate di inclusione,<br />

ma poi ci escludete<br />

Graziano Halilovic<br />

«La Strategia<br />

nazionale<br />

per i Rom è poco<br />

democratica:<br />

non li coinvolge<br />

al tavolo<br />

delle decisioni»<br />

Non è la prima volta che si cerca<br />

di avviare un progetto di<br />

integrazione e si cercano adeguate<br />

forme di rappresentanza della<br />

comunità romanì. È una storia che noi<br />

come comunità romanì abbiamo già<br />

visto e vissuto.<br />

Più di 40 anni fa nascono le prime associazioni<br />

pro-rom; avevano le idee<br />

molto chiare su cosa fare, ma in realtà<br />

non avevano la capacità di capire<br />

come le cose potevano effettivamente<br />

andare. Le iniziative e i progetti non<br />

venivano concordati con le comunità<br />

romanì, e neppure illustrati ad esse. Le<br />

associazioni pro-rom non avevano<br />

una reale conoscenza dei bisogni della<br />

comunità né sapevano come cercare<br />

di arrivare a una coesione sociale tra<br />

le due popolazioni, quella maggioritaria<br />

e la nostra, romanì. Le associazioni<br />

erano e sono disorientate e confuse<br />

quando si parla del mondo rom;<br />

e coloro che sono considerati gli<br />

“esperti” sui problemi delle comunità<br />

romanì lo sono ancora di più.<br />

In questi anni non sono mancati dei<br />

progetti che riguardavano il tema<br />

della casa, della salute, dell’istruzione,<br />

del lavoro e delle politiche sociali. I<br />

rom e i sinti hanno avuto tanta fiducia<br />

e speranza nei confronti degli “amici<br />

dei rom”. Molto spesso, però, queste<br />

associazioni agli incontri importanti<br />

invitavano alcuni rom non per condividere<br />

con loro i progetti ma per dimostrare<br />

di essere “amici dei rom” e<br />

così poter essere accreditate e giustificare<br />

le proprie azioni.<br />

Oggi l’esperienza passata dovrebbe insegnarci<br />

che cosa è andato bene e che<br />

cosa invece non è andato per il verso<br />

giusto. Sappiamo quali sono stati i risultati.<br />

Si dovrebbe, dunque, avere il<br />

coraggio e l’onestà intellettuale, e<br />

l’etica professionale, di mettersi in discussione<br />

in modo da poter finalmente<br />

cercare di trovare soluzioni concrete.<br />

Soluzioni non dal punto di vista di chi<br />

gestisce i progetti o di chi fa politica,<br />

ma dal punto di vista di chi dovrebbe<br />

beneficiare di questi progetti.<br />

Nella Strategia nazionale più di 50 pagine<br />

sono state scritte per descrivere<br />

quanti soldi sono stati spesi e quali<br />

sono stati i risultati positivi. Io mi chiamo<br />

Graziano Halilovic, sono rom e ho<br />

40 anni, sono nato e cresciuto in un<br />

campo nomadi (oggi chiamato “villaggio<br />

di solidarietà”), e potrei scrivere<br />

altre 50 pagine per descrivere come<br />

sono state mal utilizzate le risorse economiche<br />

e che danno irreversibile è<br />

stato fatto.<br />

L’esperienza dovrebbe essere una chiave<br />

di lettura per costruire una vera<br />

strategia nazionale, che riguardi non<br />

solo la comunità romanì ma anche la<br />

società maggioritaria.<br />

Non si deve parlare più di integrazione<br />

ma di coesione sociale. Non si deve<br />

cercare di offrire più servizi, che poi diventano<br />

assistenzialismo, ma si deve<br />

fare in modo che la comunità rom diventi<br />

una risorsa positiva. Non si devono<br />

finanziare campagne di sensibilizzazione<br />

affidate a chi non conosce<br />

il “fenomeno rom” o a chi dice di essere<br />

“esperto” delle comunità romanì<br />

ma invece è attento solo ai propri interessi<br />

e produce solo danni difficili da<br />

aggiustare.<br />

Le campagne sono strumenti molto importanti<br />

per combattere gli stereotipi,<br />

creare pari opportunità, sensibilizzare,<br />

far conoscere la comunità romanì<br />

a coloro che non sanno che i rom e<br />

sinti non sono estranei e che sono in<br />

Italia dal 1422 e fanno parte della storia<br />

italiana e hanno gli stessi diritti e<br />

doveri; ma debbono essere fatte da chi<br />

conosce davvero le cose.<br />

Non si devono continuare a costruire<br />

i cosiddetti “campi nomadi” solo per-


om e sinti: il problema dell’autorappresentanza<br />

ché ci sono delle risorse da spendere per<br />

realizzarli e per mantenerli, e perché<br />

qualcuno ci trova il suo tornaconto personale<br />

e politico; con quelle risorse si<br />

potrebbero costruire delle case che sarebbero<br />

utili sia per la comunità romanì<br />

che per altri che ne hanno bisogno.<br />

Un’indagine di una commissione del<br />

Senato sui problemi della salute dice<br />

che la comunità romanì vive 15 anni<br />

di meno del resto della popolazione<br />

perché fa una vita disagiata e che, se<br />

si continua a costringere la comunità<br />

romanì a vivere in questo tipo di habitat,<br />

si è responsabili di omicidio, lento<br />

ma precoce.<br />

Ci sono progetti ormai ventennali, e<br />

milionari, che riguardano la scolarizzazione<br />

degli alunni rom e sinti, ma<br />

non ci sono ragazzi che attraverso que-<br />

sti progetti siano riusciti a iscriversi all’università<br />

e tanto meno a finirla. Pochi<br />

ragazzi sono stati iscritti al liceo e<br />

ancora meno sono quelli che sono arrivati<br />

sino alla fine. Altri ragazzi rom<br />

vengono orientati ai corsi professionali,<br />

ma quasi tutti hanno poi abbandonato<br />

il percorso. Ancora peggiore è il fatto<br />

che tantissimi ragazzi non sono stati<br />

mai iscritti a scuola e quelli che sono<br />

iscritti frequentano poco, ma vengono<br />

giustificati delle stesse associazioni.<br />

Per questo motivo la qualità di questi<br />

studi è quasi zero. Se alcuni di loro<br />

ce l’hanno fatta è solo perché i genitori<br />

erano presenti nel percorso scolastico<br />

e perché non c’è stato nessun<br />

progetto esterno che li ha ostacolati.<br />

Quando si parla di affrontare la questione<br />

rom e sinta, l’Italia ha sempre<br />

lavorato sulla emergenza; questo dava<br />

la possibilità di scavalcare la burocrazia<br />

e di poter fare i propri comodi, danneggiando<br />

la comunità romani e sprecando<br />

denaro e risorse umane, senza<br />

portare nessun risultato concreto.<br />

Nella Strategia nazionale si parla di<br />

creare azioni a lungo termine: ovviamente<br />

questo è positivo, ma nello stesso<br />

momento potrebbe diventare negativo.<br />

Nello schema che l’UNAR ha<br />

attivato ci sono: quattro tavoli tematici<br />

nazionali, su abitazione, istruzione,<br />

lavoro e salute; poi c’è il Tavolo politico<br />

interministeriale; c’è la cabina di<br />

regia con gli enti locali; e c’è il Forum<br />

delle comunità rom e sinta. È una<br />

struttura molto complessa. Tutto è concentrato<br />

intorno all’Unar (il “Punto di<br />

contatto nazionale”), che in questo caso<br />

avrà una grande responsabilità e un<br />

ruolo cruciale su come si svolgerà la<br />

strategia e quali risultati otterremo.<br />

Analizzando la Strategia e partecipando<br />

ai tavoli, temo però che la storia<br />

si ripeta. La Strategia<br />

ha delle potenzialità, come<br />

ad esempio il piano di lavoro,<br />

ma deve essere modificata.<br />

Prima di prendere<br />

vita, deve essere presentata<br />

a tutta la comunità,<br />

con un linguaggio<br />

semplice e comprensivo.<br />

Dandole la possibilità di<br />

proporre delle modifiche.<br />

Cercando insieme quali<br />

obiettivi possono essere<br />

realizzati e quali no e perché no. Cercare<br />

di farle capire che non è il solito<br />

progetto ma che dietro questo progetto<br />

c’è una reale intenzione di miglioramento;<br />

che in questa sfida c’è un intero<br />

sistema politico che si è attivato;<br />

che non ci sono le solite faccie e associazioni<br />

che cercano di lucrare.<br />

Questo sarebbe il primo passo da fare<br />

per una partecipazione attiva e non<br />

passiva!<br />

Condividere la Strategia dal basso<br />

sarà un vantaggio per tutti. Sappiamo<br />

che è molto difficile farlo, ma sappiamo<br />

anche che i progetti calati dall’alto<br />

sono progetti fallimentari. Se si condivide<br />

il progetto, si condividono anche<br />

le responsabilità, e la comunità romanì<br />

è pronta a farlo. Se si attiva il<br />

meccanismo di partecipazione attiva e<br />

propositiva della comunità romanì, la<br />

fase successiva è che la comunità si<br />

renderà conto che avrà bisogno di autoorganizzarsi.<br />

Entrerà nella mentalità di<br />

un sistema democratico e cercherà di<br />

eleggere i propri rappresentanti. L’unico<br />

rischio è che le associazioni pro-rom<br />

si mettano in mezzo per candidare e far<br />

eleggere il proprio amico rom. Ci sono<br />

già dei rom e sinti che sono rappresentativi<br />

e che hanno una capacità professionale<br />

alta. Alcuni di loro, per dare<br />

il proprio contributo, hanno creato delle<br />

organizzazioni. Nello schema che<br />

l’Unar ha attivato manca, però, il<br />

coinvolgimento professionale dei rom.<br />

Essendo che la Strategia è a lungo termine,<br />

l’Unar dovrebbe assumere<br />

almeno 4 o 5 professionisti rom<br />

per condividere la Strategia e fare<br />

da ponte tra la comunità e le<br />

istituzioni. Non bastano solo gli<br />

“esperti non rom”; si dovrebbe<br />

lavorare insieme.<br />

Le due federazioni che partecipano<br />

al tavoli dell’Unar non<br />

devono essere solo una presenza<br />

di comodo e una giustificazione<br />

di fronte all’Unione<br />

europea (le organizzazioni<br />

rom sono presenti!). Le due federazioni<br />

devono avere un ruolo<br />

centrale e cruciale per la<br />

Strategia. La Strategia nazionale<br />

dovrebbe offrire alle due federazioni<br />

degli strumenti adeguati per poter<br />

dare il proprio contributo. Il fatto che il<br />

tavolo interministeriale e la cabina regionale<br />

non prevedano la presenza<br />

delle due federazioni è molto grave. Non<br />

ha senso escludere quando si parla di includere.<br />

Chi ha deciso questo schema<br />

non è stato democratico, nè è stato davvero<br />

strategico.<br />

Le opportunità di partecipazione delle<br />

due federazioni ci sono solo quando<br />

l’Unar lo consente. Noi non desideriamo<br />

di partecipare formalmente, ma di<br />

essere attivi e propositivi e di avere un<br />

ruolo cruciale per la strategia. La strategia<br />

nazionale è rivolta ai rom e sinti<br />

ma la nostra comunità non è ancora riconosciuta<br />

come minoranza linguistica<br />

(vedi la legge 482/1999) e questo è<br />

già un paradosso.<br />

Io sono certo che se c’è il coinvolgimento<br />

reale e totale della comunità romanì<br />

otterremo dei risultati eccellenti!<br />

29


0<br />

regioni obiettivo convergenza<br />

I tanti, troppi pregiudizi sui Rom rumeni<br />

La nipote di Adrian<br />

con la laurea di Maurizio Alfano<br />

Quello della presenza delle comunità Rom -<br />

soprattutto a partire dagli ultimi sette anni<br />

(con riferimento all'ingresso nell'UE della Romania<br />

e della Bulgaria) – è analizzata nel nostro Paese<br />

con categorie interpretative che non rappresentano<br />

affatto le motivazioni, i bisogni, gli obiettivi<br />

di queste comunità.<br />

Diverse tra loro sono le rotte e le catene migratorie<br />

che seguono i Rom rumeni per le loro attività<br />

commerciali itineranti. Esse vengono ad inserirsi<br />

nei nostri modelli economici i quali,<br />

però, sono ormai in via di quasi totale trasformazione.<br />

Come avviene, per esempio, per la raccolta<br />

e lo smaltimento dei metalli ferrosi, riversati<br />

in discariche non autorizzate.<br />

Proprio da uno di questi modelli di lavoro autonomo<br />

nasce il progetto migratorio di una famiglia<br />

Rom rumena del distretto di Cluoj, che ha<br />

lasciato il campo Rom di Cosenza insieme ad altre<br />

famiglie per spostare la propria residenza nel<br />

vicino Comune di Bisignano. Qui è iniziato un<br />

lento ma abbastanza positivo inserimento abitativo,<br />

un ottimento inserimento scolastico, e, seppur<br />

in maniera ancora non molto visibile, anche<br />

un certo inserimento sociale.<br />

È una storia, quella di Adrian e della sua famiglia,<br />

di lento affrancamento che passa per il consumarsi<br />

del paradosso di vedersi, da una parte,<br />

ritirare la patente, perchè ritenuto, nonostante sia<br />

cittadino europeo, un extracomunitario (perchè<br />

Rom) e dunque privo di cittadinanza a parere di<br />

taluni, e di ottenere, d’altra parte, l'autorizzazione<br />

comunale al commercio itinerante, seppur dopo<br />

un lungo e travagliato iter. Autorizzazione che<br />

ha baciato e incorniciato appena gli è stata consegnata<br />

perchè rappresanta, per la prima volta nella<br />

sua vita di cittadino europeo, il riconoscimento<br />

di un suo dirito alla pari con qualunque altro cittadino<br />

di nazionalità diversa dalla sua.<br />

Ora Adrian e sua moglie Nadia, ogni mattina,<br />

dopo aver accompagnato a scuola i bambini più<br />

piccoli, vanno con il loro Van nei paesi limitrofi<br />

a svolgere la loro attività di venditori ambulanti,<br />

raggiungendo spesso frazione isolate,<br />

o prive di qualsiasi attività al minuto, dando così<br />

spesso la possibilità agli anziani di questi luoghi<br />

di poter comprare oppure ordinare al bisogno<br />

ciò che più gli occorre. Sono riprese proprio<br />

in queste aree più interne della Calabria anche<br />

alcune pratiche di baratto vero e proprio,<br />

che Adrian proprio in nome della sua cultura<br />

Rom – identica poi, a quella calabrese di un<br />

trentennio fa – accetta di buon grado perché capisce<br />

che questa pratica, al contrario del solo<br />

scambio monetario, crea anche relazioni, socializzazioni<br />

multiple che danno ad entrambe<br />

le parti un nome e una dignità, e soprattutto una<br />

sola cittadinanza.<br />

Allo stesso modo, poi, delle nostre migrazioni<br />

del passato recente, sono iniziate le catene migratorie<br />

parentali. E Adrian ha così fatto venire<br />

in Calabria una sua nipote, laureata in scienze<br />

del servizio sociale: una giovane Rom laureata<br />

che sfata anche il luogo comune dell'analfabetismo<br />

in capo ad ogni Rom e che sarà coinvolta<br />

invece - proprio per la sua preparazione e per<br />

il suo lavoro con i minori Rom nel suo paese d'origine<br />

- all'interno di un progetto di accoglienza<br />

per i minori Rom e di mediazione familiare con<br />

i loro genitori, portato avanti dall'Istituto Comprensivo<br />

G. Pucciano di Bisignano e cofinanziato<br />

dal MIUR.<br />

Questa storia fa emergere qualcosa di finora quasi<br />

impercettibile, ovvero che i Rom rumeni presenti<br />

tra di noi possono avere un certo grado di<br />

scolarizzazione. Insomma sono capaci di potersi<br />

laureare, di lavorare regolarmente, di vivere in<br />

una casa, di condurre una vita normale, come le<br />

nostre stesse vite. Prendere consapevolezza di questo<br />

è uno dei crinali più irti da superare.


“Vivere da immigrati nel casertano”. Un’interessante indagine sociologica<br />

L’immagine<br />

distorta<br />

Caserta e il Litorale domizio sono state tra<br />

le prime aree della Campania e del paese<br />

Italia a essere interessate dall’immigrazione<br />

in maniera significativa. Si era all’inizio degli<br />

anni Ottanta. Lo ricorda Enrico Pugliese,<br />

studioso dei fenomeni migratori, introduce il<br />

volume Vivere da immigrati nel casertano.<br />

Profili variabili, condizioni difficili e relazioni<br />

in divenire, curato da Elena de Filippo, presidente<br />

della cooperativa sociale Dedalus e da<br />

Salvatore Strozza, ordinario di demografia a<br />

Napoli.<br />

Si tratta di un’indagine commissionata dall’Amministrazione<br />

provinciale di Caserta e diretta<br />

dall’ex Dipartimento di Scienze Statistiche<br />

dell’Università di Napoli Federico II, e<br />

realizzata in collaborazione con le cooperative<br />

sociali Dedalus e Cantiere Giovani.<br />

L’indagine, che è stata condotta tra dicembre<br />

2009 e marzo 2010 su un campione rappresentativo<br />

di circa 1.200 immigrati maggiorenni,<br />

è stata presentata recentemente a Caserta.<br />

In premessa gli autori fanno notare che, in assenza<br />

di un adeguato sistema di rilevazione,<br />

nel corso degli anni è scaturita un’immagine<br />

distorta della realtà dell’immigrazione nel casertano:<br />

alcuni aspetti sono stati esageratamente<br />

rimarcati e altri sono rimasti nascosti.<br />

Ad una elevata visibilità dell’immigrazione<br />

maschile in agricoltura e nel commercio ambulante,<br />

soprattutto nell’Agro aversano e nel<br />

Litorale domitio, ha infatti corrisposto l’invisibilità<br />

di un’immigrazione femminile, occupata<br />

nei servizi alle famiglie e concentrata a<br />

Caserta e negli altri centri urbani, con dimensioni<br />

più o meno equivalenti.<br />

L’immagine distorta è dovuta anche al territorio<br />

della fascia costiera che va dalla provincia<br />

di Napoli fino a quella di Latina, un territorio<br />

fortemente caratterizzato da tassi di disoccupazione<br />

elevati, lavoro nero e economie<br />

illegali. In quest’area, poi, c’è stato un coinvolgimento<br />

dell’immigrazione africana in attività<br />

illegali. Sono noti anche gli episodi di<br />

razzismo in questo territorio: l’assassinio di<br />

Jerry Essan Masslo nel 1989, l’incendio del<br />

ghetto di Villa Literno nel 1994, la strage a Castel<br />

Volturno nel 2008.<br />

Mutamenti dello scenario migratorio. Da sempre,<br />

e tutt’oggi, quella di Caserta è la provincia<br />

più “africana” della Campania, con una maggiore<br />

concentrazione di comunità provenienti dal Maghreb,<br />

e anche dall’Africa sub-sahariana. Tuttavia,<br />

l’immigrazione est-europea risulta ora predominante:<br />

gli Ucraini sono il gruppo nazionale<br />

più numeroso (sono il 23%), e a partire dal 2007<br />

si è ampliata la presenza di neo-comunitari, sia<br />

i Polacchi sia soprattutto i Romeni.<br />

Oltre alle attività agricole, c’è ora anche una<br />

domanda di manodopera a basso costo nel<br />

comparto bufalino, e più in generale, nell’allevamento<br />

soprattutto ovino. Si sono aperti<br />

spazi anche nelle attività di commercio ambulante,<br />

non solo lungo il litorale ma anche<br />

nei principali centri urbani, dove, inoltre, si<br />

è manifestata una forte richiesta di manodopera<br />

straniera da parte delle imprese edili. È<br />

poi emersa una domanda più articolata di servizi<br />

di cura da parte delle famiglie.<br />

All’inizio del 2010 sono quasi 50 mila gli stranieri<br />

che vivono nel casertano. Oltre il 40% non<br />

sono residenti e gli irregolari sono quasi il 20%<br />

del totale. Pertanto, Caserta è stata e rimane tuttora<br />

una delle province con la più elevata quota<br />

di irregolari. Ben il 38% degli immigrati occupati<br />

sperimenta una situazione di sfruttamento.<br />

Politiche per l’integrazione. Le politiche rivolte<br />

ai migranti dovrebbero fondarsi su due<br />

assi di intervento: da un lato, favorire le pari<br />

opportunità di accesso al sistema di welfare<br />

locale, con misure ad hoc per migliorare i livelli<br />

di accoglienza dei presidi sul territorio;<br />

dall’altro lato, attivare politiche di prossimità,<br />

specificatamente rivolte ai migranti, per le<br />

situazioni di particolare disagio.<br />

31


egioni obiettivo regioni convergenza<br />

obiettivo convergenza<br />

SICILIA<br />

Palermo. L’Osservatorio anti-discriminazioni razziali “Noureddine Adnane”<br />

La guerra<br />

degli ambulanti di Francesca Di Pasquale<br />

Il 19 febbraio 2011 dopo una settimana di<br />

agonia moriva a Palermo Noureddine Adnane,<br />

cittadino marocchino di 27 anni e venditore<br />

ambulante. Dopo aver subito una serie di<br />

controlli da parte dei vigili urbani del capoluogo<br />

palermitano, fino al sequestro della sua<br />

merce, l’11 febbraio Noureddine si era dato<br />

fuoco. Questa tragica vicenda - allora come<br />

adesso - va letta nel quadro del progressivo incremento<br />

dei fenomeni discriminatori verso<br />

cittadini migranti a Palermo, spesso sfociati in<br />

atti di estrema violenza.<br />

Nel marzo 2012 i Laici Comboniani di Palermo,<br />

Borderline Sicilia, Borderline-europe, l’ASGI e<br />

DifferanZ – associazioni da anni impegnate a<br />

fianco dei migranti – hanno deciso di costituire<br />

a Palermo un Osservatorio anti-discriminazioni<br />

razziali, intitolandolo proprio a Noureddine<br />

Adnane.<br />

L’Osservatorio, da poco tempo costituitosi in associazione,<br />

svolge attività di denuncia e di difesa<br />

dei diritti di tutte le persone che sono<br />

esposte al razzismo ed alla xenofobia da parte<br />

dei cittadini italiani, ed a forme diverse di discriminazione<br />

istituzionale, diretta o indiretta.<br />

Per il raggiungimento di questi fini, dalla sua<br />

costituzione ad oggi l’Osservatorio ha intrapreso<br />

diverse attività: la formazione di un<br />

gruppo di operatori in ambito legale effettuata<br />

da alcuni giuristi dell’ASGI, la progettazione<br />

dell’informazione all’interno delle scuole (rivolta<br />

sia agli studenti che agli insegnanti),<br />

l’attività di sportello, la mappatura delle realtà<br />

che operano con e per i migranti presenti nel<br />

territorio palermitano, il monitoraggio degli<br />

atti normativi dell’amministrazione comunale<br />

(con particolare riferimento alle ordinanze nei<br />

confronti degli ambulanti), il sostegno e l’attività<br />

di denuncia e sensibilizzazione sulle pratiche<br />

discriminatorie che colpiscono i cittadini<br />

migranti, l’inserimento e collaborazione con la<br />

rete degli sportelli di I livello che operano in<br />

città per fornire assistenza alla popolazione<br />

migrante.<br />

Gli ambiti monitorati sin qui sono stati soprattutto<br />

quelli degli ambulanti che quotidianamente<br />

trovano l’ostilità della polizia<br />

municipale nell’esercizio delle loro attività. In<br />

particolare sono da segnalare una decisa rigidità<br />

per quello che riguarda le tempistiche con<br />

le quali devono spostarsi da un luogo all’altro<br />

e il contrasto alla contraffazione (che nei loro<br />

riguardi diventa una vera e propria vessazione).<br />

Un altro ambito è quello degli affitti, a<br />

cui con difficoltà riescono ad accedere gli immigrati<br />

proprio perchè immigrati. Grandi sono<br />

le difficoltà ad accedere a quelle che sono le<br />

prestazioni socio-sanitarie erogate dalla Pubblica<br />

amministrazione, nonostante il possesso<br />

dei requisiti.<br />

L’Osservatorio ora intende ampliare il suo<br />

campo d’azione e incrementare la sua operatività<br />

in particolare nel campo del monitoraggio,<br />

con lo scopo di coinvolgere la cittadinanza, con<br />

particolare attenzione alle fasce giovanili ed<br />

alla popolazione scolastica e di fornire strumenti<br />

per l’adozione di “buone pratiche” da<br />

parte delle istituzioni e degli enti locali e per<br />

impedire l’adozione di norme e politiche – direttamente<br />

o indirettamente – discriminatorie.


Iniziativa del Comune di Guagnano con l’associazione Agedo di Lecce<br />

Nel Salento<br />

contro l’omofobia<br />

Guagnano, piccolo comune del Salento. Il<br />

consiglio comunale lo scorso 31 gennaio ha<br />

approvato all’unanimità una mozione per la prevenzione<br />

e la lotta all’omofobia e alla transfobia,<br />

presentata dai consiglieri di minoranza. Si<br />

tratta di un fatto straordinario per il piccolo paese<br />

salentino.<br />

“La mozione - spiega Gianfranca Saracino, presidente<br />

dell’associazione Agedo Lecce (Associazione<br />

di genitori, parenti e amici di persone<br />

omosessuali) - ha come obiettivo di promuovere<br />

e realizzare, da parte della Giunta, iniziative<br />

sul territorio di Guagnano che coinvolgano<br />

istituzioni, scuole e cittadini nella prevenzione<br />

e nella condanna degli atteggiamenti<br />

omo e transfobici. L’obiettivo è lo sviluppo di<br />

una cultura in cui tutte le differenze siano valorizzate<br />

e considerate come una ricchezza naturale<br />

dell’umanità a cui apparteniamo”.<br />

“Lottare contro le discriminazioni – ha proseguito<br />

Gianfranca Saracino - significa<br />

permettere la crescita serena dei giovani, la<br />

convivenza pacifica dei cittadini, la possibilità<br />

per tutti di esprimere al meglio le proprie<br />

potenzialità. In poche parole significa favorire<br />

il benessere di tutta la comunità. Ed è questo<br />

che dovrebbe stare a cuore ai rappresentanti<br />

dei cittadini di tutta Italia, indipendentemente<br />

dal colore politico. È questo, infine,<br />

che il Consiglio comunale di Guagnano ha dimostrato<br />

di volere con questa importante delibera<br />

e con le iniziative che avrà occasione<br />

di realizzare anche con la collaborazione delle<br />

associazioni”.<br />

Come Agedo Lecce – ha concluso Gianfranca Saracino<br />

- “siamo grati ai promotori della mozione,<br />

coscienti del bene che questa decisione può portare<br />

e delle sofferenze che può evitare, se dalle<br />

parole si passerà ai fatti. Come volontari che<br />

lavorano sul territorio per gli obiettivi che questa<br />

mozione così bene rappresenta, ci auguriamo<br />

che altri comuni del Salento seguano questo<br />

esempio e offriamo tutta la nostra esperienza<br />

e disponibilità”.<br />

Effettivamente, l’iniziativa dell’amministrazione<br />

di Guagnano, che in questo modo ha accolto<br />

l’invito rivolto dal Parlamento Europeo a tutti<br />

i paesi dell’Unione a “eradicare” omofobia e<br />

transfobia, è stata molto coraggiosa. In Italia la<br />

proposta di estensione della legge Mancino anche<br />

ai reati commessi a danno di qualcuno in<br />

ragione del suo orientamento sessuale o dell’identità<br />

di genere (persona omosessuale, transessuale<br />

o transgender) è stata affossata ben due<br />

volte dal Parlamento, nel 2009 e nel 2012. E non<br />

si contano gli episodi di insulto, aggressione, violenza,<br />

a scuola, in famiglia o per la strada e ora<br />

anche via internet.<br />

Eppure il Parlamento Europeo, con le sue Risoluzioni<br />

del 2006, 2007, 2011, 2012, ha più<br />

volte esortato tutti i paesi dell’Unione a “eradicare”<br />

omofobia e transfobia, a tutelare le persone,<br />

a lavorare per la prevenzione e il contrasto<br />

a queste forme di offesa alla dignità e,<br />

a volte, alla integrità anche fisica; per non parlare<br />

dei casi di suicidio, da registrare purtroppo<br />

ancora fra gli adolescenti vessati e spaventati.<br />

L’Associazione Agedo è attiva nella provincia<br />

di Lecce dal 2010. Gia nel 2011 ha convinto il<br />

Comune di Lecce (nella persona di Nunzia<br />

Brandi, assessore alla Politiche di genere) a celebrare,<br />

il 17 maggio, la Giornata internazionale<br />

contro l’omofobia così come auspicato<br />

nella Risoluzione del Parlamento europeo<br />

sull’omofobia in Europa del 26 aprile 2007 (il<br />

17 maggio di 22 anni fa si rimuoveva l’omosessualità<br />

dalla lista delle malattie mentali). “Liberiamo<br />

le differenze” è stato lo slogan dell’iniziativa,<br />

che si è ripetuta nel 2012, anche<br />

con la collaborazione del centro per il Volontariato<br />

di Lecce, e che ha sollecitato anche<br />

altre organizzazioni a celebrare la giornata in<br />

altre realtà della Puglia.<br />

33


eportage<br />

Vado a vivere<br />

in montagna<br />

La vallata dell’Alpago,<br />

nelle Prealpi venete,<br />

è un buon punto<br />

di osservazione<br />

per capire perché<br />

un numero crescente<br />

di immigrati sceglie<br />

di vivere in zone<br />

rurali o montane.<br />

Una ragione<br />

è certamente<br />

che l’accoglienza<br />

delle comunità locali<br />

è generalmente<br />

migliore che nei grandi<br />

centri, e l’inclusione<br />

sociale meno difficile<br />

Per capire perché un numero<br />

crescente di immigrati in Italia<br />

stia scegliendo di vivere in un<br />

piccolo comune, in zone rurali o periferiche<br />

rispetto alle grandi città, la<br />

vallata dell’Alpago mi sembra un<br />

buon punto di osservazione.<br />

Chiusa tra le Prealpi Bellunesi, il lago<br />

di Santa Croce e la Foresta del Cansiglio,<br />

questa conca verde nella provincia<br />

di Belluno è un territorio a sé stante,<br />

una “regione storico-geografica” ben<br />

delimitata, formata da cinque comuni<br />

al di sotto dei 3000 abitanti: Chies<br />

d’Alpago, Farra d’Alpago, Pieve d’Alpago,<br />

Puos d’Alpago e Tambre.<br />

Ci arrivo in un freddo venerdì di febbraio,<br />

in treno da Mestre, sulla ferrovia<br />

che, una volta passata la provincia<br />

di Treviso, diventa a binario unico<br />

e lentamente mi scarica, dopo varie<br />

soste, all’unica stazione per l’Alpago.<br />

Ad accogliermi c’è Francesca, superattiva<br />

operatrice dello sportello Informa<br />

Immigrati del Comune di Puos<br />

d’Alpago, e subito capisco che in<br />

questi tre giorni sarò la sua ombra, viste<br />

le difficoltà di spostamento nella<br />

zona per chi non ha l’automobile.<br />

Francesca è un mito. 27 anni, nata e<br />

cresciuta in Alpago, con una laurea in<br />

scienze dell’interculturalità presa a Venezia,<br />

da sola gestisce tutte le attività<br />

dell’unico ufficio per immigrati della<br />

zona, con quasi 600 persone servi-<br />

di Roberta Cocchioni<br />

foto di<br />

Claudio Baratta<br />

Stefano De Bona<br />

Andrea Semplici<br />

te nell’ultimo anno. Ricorda a memoria<br />

i nomi e le storie personali di gran<br />

parte di loro e, mentre mi fa girare su<br />

e giù per la valle, sa dirmi la nazionalità<br />

e il numero degli inquilini di<br />

ogni casa che incontriamo.<br />

Un fenomeno recente<br />

L’Alpago, come tutte le comunità montane<br />

del Nord Italia, si è trasformato in<br />

pochi anni da terra di forte emigrazione<br />

e decrescita demografica, a terra di immigrazione<br />

crescente, arrivando ad<br />

ospitare oltre 800 residenti stranieri, il<br />

doppio rispetto a dieci anni fa, con percentuali<br />

che in alcuni comuni, come<br />

Farra d’Alpago, sono pari al 12% sul<br />

totale dei residenti, due volte la media<br />

nazionale nei piccoli comuni.<br />

Il fenomeno è recente e risale alla fine<br />

degli anni novanta, ma è dal 2008 che<br />

il tasso di crescita annua è salito in<br />

modo sensibile, con una punta massima<br />

nel 2012. Nell’ultimo anno, a causa<br />

della crisi che anche qui si fa sentire,<br />

molti stranieri hanno lasciato la<br />

zona oppure hanno rinunciato ai ricongiungimenti<br />

familiari, facendo invertire<br />

il trend positivo.<br />

A differenza dei piccoli comuni del<br />

Centro-Sud, infatti, le zone rurali e periferiche<br />

del Nord Italia sono caratterizzate<br />

da flussi stanziali e non stagionali.<br />

Vuol dire che le persone im-


migrate scelgono di vivere stabilmente<br />

qui, comprano o affittano una<br />

casa e scelgono di far crescere qui la<br />

loro famiglia.<br />

Gli immigrati in Alpago lavorano tutti<br />

nel vicino distretto industriale di Paludi,<br />

oppure nell’agricoltura. Molti<br />

sono badanti per i tanti anziani del<br />

luogo, altri fanno i manovali edili. Alcuni<br />

hanno riscoperto antichi mestieri<br />

abbandonati dalla gente del posto,<br />

come Hasan che è venuto dalla Macedonia<br />

con la moglie e i quattro figli<br />

e fa il taglialegna nella Foresta del<br />

Cansiglio, detta anche “Bosco dei<br />

Dogi” perché col suo legname fu costruita<br />

la città di Venezia.<br />

Quando incontriamo Hasan, nella sua<br />

casa di Tambre, il comune più alto e più<br />

piccolo dell’Alpago, ci confessa che la<br />

vita nel bosco è dura, si lavora molto e<br />

si guadagna poco, ma che non lascerebbe<br />

l’Alpago per trasferirsi in una grande città,<br />

perché qui si vive tranquilli, i ragazzi<br />

si trovano bene a scuola e la gente è<br />

gentile e accogliente. Ma se il lavoro verrà<br />

a mancare, anche Hasan, come tutti,<br />

è pronto a trasferirsi altrove.<br />

immigrati nei piccoli comuni<br />

Va’ dove ti porta il lavoro<br />

Questo concetto della dipendenza dei<br />

flussi migratori dalla disponibilità del<br />

lavoro me lo spiega bene Ana, una<br />

donna di mezza età di origine moldava,<br />

che qui fa la badante ed ha sposato<br />

un alpagoto. Anche lei preferisce di<br />

gran lunga Puos d’Alpago ad una grande<br />

città – “Per carità, abitare a Padova,<br />

con tutto quel traffico e quella confusione<br />

non potrei mai” - ma aggiunge<br />

anche che gli stranieri vanno dove<br />

trovano lavoro, ed il loro senso di ap


partenenza ai luoghi e alle comunità<br />

che li ospitano, per questo motivo, è<br />

precario e mai completo.<br />

Il lavoro quindi, spesso trovato per<br />

caso, grazie ad un conoscente o ad un<br />

parente, è la prima causa che spinge<br />

i migranti a stabilirsi in un piccolo comune<br />

di montagna, nonostante le<br />

difficoltà che questo comporta in termini<br />

di mobilità, disponibilità di servizi,<br />

isolamento e mancanza di connazionali<br />

cui fare riferimento.<br />

Abitare qui non è una passeggiata, soprattutto<br />

per i giovani. Gli inverni<br />

sono rigidi e lunghi, le città più vicine<br />

si raggiungono facilmente<br />

solo in macchina, mancano i<br />

luoghi di aggregazione e la<br />

gente del posto, per la maggior<br />

parte anziani, ha una cultura<br />

tradizionale molto radicata<br />

dai forti contorni identitari.<br />

D’altra parte, anche geograficamente,<br />

l’Alpago è chiuso<br />

da barriere naturali che ne<br />

preservano intatta la cultura<br />

e l’identità da secoli, facendolo<br />

sentire un’unica comunità<br />

coesa, una piccola regione nella<br />

regione.<br />

Lecito è, quindi, domandarsi il<br />

perché di tanto afflusso stanziale<br />

in questa valle prealpina e soprattutto<br />

quali possono essere le conseguenze di<br />

questo cambiamento demografico così<br />

veloce in una realtà così omogenea al<br />

suo interno.<br />

Nessun romanticismo,<br />

siamo gente pratica<br />

Il sospetto che ci possa essere una volontà<br />

politica locale di favorire l’ingresso<br />

e la permanenza di “risorse<br />

umane” giovani e nuove, in questa terra<br />

invecchiata e semi abbandonata, mi<br />

viene. L’idea è brutale, ma per fugare<br />

ogni dubbio lo chiedo a Stefano, che<br />

fa l’insegnante di scienze nella scuo-<br />

6<br />

reportage<br />

la media locale e da 14 anni è assessore<br />

alle politiche sociali di Puos<br />

d’Alpago. E’ lui che ha promosso investimenti<br />

importanti per favorire<br />

l’inclusione dei residenti stranieri,<br />

come l’apertura nel 2003 dello Sportello<br />

Informa Immigrati.<br />

Stefano spegne subito ogni mio sospetto.<br />

Mi spiega, con una lucidità<br />

spietata, che gli amministratori locali<br />

di piccoli comuni come questo non<br />

hanno il potere di governare certi processi<br />

né di trattenere persone sui propri<br />

territori. Si tratta di “cose più grandi<br />

di noi”, dice. I Comuni possono “soltanto”<br />

attivarsi per favorire l’inserimento<br />

sociale degli stranieri durante<br />

la loro permanenza, prevenire i con-<br />

flitti e valorizzare il contributo positivo<br />

che queste persone portano sul<br />

territorio.<br />

Tutto questo, in un territorio omogeneo<br />

formato da tanti piccoli comuni,<br />

può succedere, secondo Stefano, più<br />

facilmente che in una grande città.<br />

Primo - “Perché in comuni così piccoli<br />

il ruolo dell’amministratore non è visto<br />

come un trampolino di lancio per<br />

la carriera politica, né è remunerativo,<br />

e quindi possiamo permetterci di<br />

fare le scelte che riteniamo più giuste<br />

senza temere il giudizio elettorale o<br />

l’impopolarità”-.<br />

Secondo – “Perché in un comune di<br />

duemila abitanti la distanza tra l’amministratore<br />

ed il cittadino si annulla a


tal punto che siamo tutti toccati in prima<br />

persona dagli stessi problemi e basta<br />

la sensibilità di pochi per mettere in<br />

moto dei circoli virtuosi capaci di coinvolgere<br />

sempre più persone, amministratori,<br />

cittadini e mondo del volontariato,<br />

per passare in poco tempo dall’idea<br />

all’azione ed attivare cambiamenti”.<br />

Parlando con questo giovane amministratore<br />

mi rendo conto che, usando<br />

le sue parole, non siamo nel Paese<br />

dei Balocchi e che l’Alpago non può<br />

essere dipinto come isola felice che si<br />

ripopola grazie agli immigrati senza<br />

difficoltà o disagi per nessuno. Ma sicuramente<br />

qui, più che altrove, il<br />

forte senso pratico della comunità e lo<br />

spirito di collaborazione che ha sempre<br />

caratterizzato questa gente ha<br />

messo in moto un sistema di cooperazione<br />

tra amministratori locali, al di<br />

là del colore politico, e tra questi e le<br />

associazioni di volontariato, in grado<br />

di rafforzare, con poche risorse, i servizi<br />

ed il sostegno in favore dei residenti<br />

più deboli, stranieri compresi.<br />

SSono nati così lo sportello di informazione,<br />

i corsi di lingua, il doposcuola<br />

per i bambini e poi, grazie al<br />

contributo delle associazioni di volontariato<br />

riunite nella rete “Oasi<br />

Amicizia” (in Alpago ci sono ben 110<br />

associazioni su 10.000 abitanti), sono<br />

stati attivati la dispensa alimentare<br />

mensile, l’armadio del vestiario e le varie<br />

manifestazioni multiculturali come<br />

la Festa del migrante.<br />

Sentirsi a casa in Alpago<br />

Quindi il lavoro c’è ed i servizi attivati<br />

dal Comune non mancano. L’affitto è<br />

più basso e la vita è tranquilla, a misura<br />

d’uomo. Questo dovrebbe bastare<br />

a spiegare il perché di una massiccia<br />

immigrazione stanziale in questa<br />

conca prealpina.<br />

Ero quasi pronta per scrivere la “ricetta”<br />

della buona integrazione degli<br />

stranieri nei piccoli comuni, ma le<br />

chiacchierate che sono seguite con i<br />

tanti immigrati del posto non facevano<br />

altro che scombinarmi le carte in<br />

tavola, aggiungendo un ingrediente costante<br />

e difficilmente riproducibile<br />

altrove, come il legno del Cansiglio che<br />

ha costruito Venezia.<br />

Si tratta della concretezza e del senso<br />

di collaborazione che si nasconde<br />

dietro alla scorza dura e diffidente della<br />

gente alpagota: l’esatto contrario<br />

dell’individualismo cittadino o di certa<br />

compassione caritatevole religiosa.<br />

E’ un semplice risolvere insieme i problemi<br />

comuni, ragionando sempre<br />

come gruppo e pensando al benessere<br />

comune come benessere proprio.<br />

Molti degli immigrati che intervisto mi<br />

raccontano, infatti, di vicine di casa che<br />

insegnano spontaneamente l’italiano,<br />

come è successo per la mamma di Naima,<br />

che vive con la sua famiglia di origini<br />

marocchine nella frazione di Santa<br />

Croce. Altri, come Florence che viene<br />

dal Ghana, mi racconta di una coppia<br />

del posto che si offrì di badare a suo<br />

immigrati nei piccoli comuni<br />

figlio piccolo quando lavorava e di aiutarla<br />

per spostarsi o andare in ospedale.<br />

Ebrahima e sua moglie, originari del<br />

Gambia, sono una giovane coppia<br />

musulmana che, per iniziativa di alcuni<br />

cittadini locali, è ospite della canonica<br />

inutilizzata della Chiesa di Sitran,<br />

frazione di Puos d’Alpago.<br />

Per molti, infine, trovare lavoro è possibile<br />

grazie all’aiuto di gente del posto,<br />

come è successo a Chamil, venuto<br />

dallo Sri Lanka insieme alla moglie,<br />

a cui una signora di Puos ha trovato<br />

lavoro prima in una casa di riposo e<br />

poi in una fabbrica della zona.<br />

Chamil mi dice che quando è lontano<br />

dall’Alpago ne sente la mancanza, e<br />

sebbene abbia vissuto in città meravigliose<br />

come Venezia, Genova, Positano,<br />

qui si sente “a casa” perché la<br />

gente è disponibile e gentile. Quando<br />

gli chiedo perché, con tanti posti in Italia,<br />

ha scelto di stabilirsi qui, mi risponde<br />

semplicemente “Perché quando<br />

sono arrivato la prima volta nella<br />

mia casa qui a Santa Croce ho guardato<br />

fuori dalla finestra e quello che<br />

ho visto era bellissimo, con il lago e<br />

le montagne intorno. Ho sentito che<br />

questo era il mio posto”.<br />

La bellezza, proprio non pensavo<br />

potesse influenzare un progetto migratorio.<br />

37


eportage<br />

Nel piccolo comune<br />

l’immigrato è visto subito<br />

nella sua umanità<br />

Dai dati dell’Atlante 2012 sullo<br />

stato dei piccoli comuni in Italia<br />

emerge un aumento sensibile<br />

dei cittadini stranieri che decidono<br />

di risiedere non nei centri urbani, ma<br />

qui, nei piccoli comuni. Per capire<br />

come il Piccoli Comuni italiani stiano<br />

affrontando questo fenomeno, ne parliamo<br />

con Luca Pacini, che è il responsabile<br />

dell'Area Immigrazione dell'Associazione<br />

Nazionale Comuni Italiani.<br />

Non si tratta di un fenomeno piuttosto<br />

sorprendente, dott. Pacini?<br />

Il fattore nuovo ed interessante, al di là<br />

dei numeri, è quello della velocità con<br />

cui questo cambiamento sta interessando<br />

le piccole realtà. Molti piccoli comuni<br />

italiani si sono trovati impreparati<br />

a far fronte in poco tempo alla domanda<br />

di servizi, di diritti e di attenzione<br />

da parte dei cittadini immigrati.<br />

Le ragioni dell’aumento di residenti stra-<br />

Il Centro Informa Immigrati di Puos d’Alpago<br />

nieri in questi piccoli centri sono, in realtà,<br />

facilmente riconoscibili, si pensi al<br />

minore costo della vita ed alla migliore<br />

qualità dei servizi al cittadino, favorita<br />

proprio dalla dimensione piccola.<br />

Può spiegarci meglio questa relazione<br />

tra dimensione piccola e migliore<br />

qualità dei servizi? Generalmente<br />

si pensa alle piccole realtà come<br />

aree carenti di servizi e prive di opportunità<br />

di inserimento socio-lavorativo…<br />

Mediamente, nonostante in un piccolo<br />

centro ci sia una minore offerta di<br />

opportunità, l’integrazione è favorita<br />

dalla presenza di una comunità più<br />

coesa, da un rapporto più diretto con<br />

le istituzioni e da una modalità più immediata<br />

di accesso ai servizi e al lavoro.<br />

Ovviamente non si può generalizzare,<br />

esistono dei piccoli centri in cui si vive<br />

malissimo e ci sono molti episodi di discriminazione,<br />

ma in un piccolo comune<br />

è normalmente più facile garantire<br />

attenzione ed accesso ai servizi<br />

in modo universalistico, perché c’è un<br />

rapporto più diretto con l’amministrazione,<br />

non ci sono quelle difficoltà<br />

strutturali tipiche dei grandi centri,<br />

pensiamo ad esempio all’esistenza di<br />

periferie molto estese o alla frammentazione<br />

demografica e sociale tipica<br />

delle grandi città.<br />

Anche il ruolo della comunità e delle<br />

reti sociali nei piccoli centri rafforza<br />

intervista a<br />

Luca Pacini<br />

responsabile dell’area<br />

immigrazione dell’Anci<br />

il sistema delle garanzie per i cittadini<br />

stranieri, che sono privi di reti parentali<br />

e amicali, ovvero privi di ammortizzatori<br />

sociali naturali. In queste<br />

realtà, infatti, tende ad esserci un<br />

maggiore fermento culturale e sociale,<br />

un senso di protezione comunitaria<br />

maggiore.<br />

L’accesso al lavoro, ai servizi, alla casa,<br />

alle relazioni sociali, di conseguenza,<br />

trova minori barriere nei piccoli centri<br />

e ciò aiuta gli immigrati a superare<br />

più facilmente anche gli ostacoli burocratici<br />

che la legge impone agli stranieri<br />

per la loro permanenza in Italia.<br />

L’integrazione è dunque un fenomeno<br />

naturale nei piccoli Comuni oppure<br />

c’è un ruolo dell’amministrazione<br />

locale che riesce ad indirizzarla<br />

in senso positivo?<br />

La porta dell’integrazione per i cittadini<br />

a rischio di marginalità sociale è<br />

rappresentata dai diritti.<br />

In assenza di diritti non c’è integrazione<br />

né in un piccolo comune né in<br />

un grande centro.<br />

Mentre la solidarietà è demandata alla<br />

sensibilità di ognuno, il diritto deve essere<br />

garantito in modo universale da<br />

chi amministra.<br />

Nei piccoli comuni gli amministratori<br />

locali, grazie a queste spinte naturali<br />

provenienti dal basso, hanno<br />

aperto per primi e con più facilità la<br />

strada della garanzia dei diritti per tutti,<br />

abbattendo quelle barriere che si<br />

frappongono all’esercizio dei diritti<br />

umani, sociali e civili.<br />

Questo perché, nella dimensione del piccolo<br />

comune, è più immediato il processo<br />

di umanizzazione dell’immigrato,<br />

che cessa di essere considerato unicamente<br />

come forza-lavoro o problema<br />

sociale e viene visto come cittadino, por


tatore di identità sociale, bisogni relazionali,<br />

diritti di cittadinanza.<br />

In virtù di quel rapporto più diretto<br />

con l’amministrazione, l’immigrato in<br />

un piccolo comune viene visto come<br />

persona che ha bisogno di esprimere<br />

la propria individualità, assumere<br />

un ruolo attivo nella comunità,<br />

progettare una propria vita familiare<br />

e lavorativa e anche esercitare il<br />

proprio diritto di rappresentanza democratica.<br />

In questo processo, ovvero nel riconoscimento<br />

e nella garanzia dei diritti<br />

di cittadinanza agli immigrati, i piccoli<br />

comuni hanno fatto dei passi in<br />

avanti molto più velocemente di<br />

quanto abbiano fatto le grandi città o<br />

la legge nazionale.<br />

Che tipo di contributo stanno apportando<br />

i nuovi cittadini di origine straniera<br />

alle realtà dei piccoli comuni?<br />

Le statistiche attribuiscono agli immigrati<br />

un contributo di crescita spes-<br />

so meramente demografica ed economica,<br />

che è assolutamente vero, ma<br />

non si può dimenticare il grande<br />

contributo in termini di esercizio della<br />

cittadinanza e di vigore democratico<br />

che questi nuovi cittadini potrebbero<br />

dare.<br />

La nostra società è vecchia e deve pensare<br />

ad un nuovo modello comunitario<br />

più sostenibile per il suo mantenimento<br />

futuro.<br />

Le barriere al diritto di cittadinanza e<br />

di rappresentanza politica sono il primo<br />

vero ostacolo ad un reale processo<br />

di inclusione ed integrazione degli<br />

stranieri. Sono una vera e propria discriminazione<br />

operata dalle istituzioni.<br />

L’Anci si batte da anni per il diritto di<br />

voto agli stranieri, per il passaggio allo<br />

ius soli e per la rappresentatività delle<br />

istituzioni locali.<br />

Nel 2005 l’Anci ha fatto una proposta<br />

di legge per attribuire con legge ordinaria<br />

il diritto di voto alle elezioni amministrative<br />

ai cittadini stranieri residenti<br />

in Italia da più di 5 anni. Al momento<br />

questa proposta non ha avuto seguito,<br />

ma come può un sindaco non rappresentare<br />

una percentuale di residenti che<br />

in alcuni comuni raggiunge il 15%?<br />

Solo passando dal diritto non si perde<br />

la rotta e si evita di incappare nelle<br />

forme di discriminazione, anche indiretta,<br />

che le stesse amministrazioni<br />

pubbliche possono perpetrare.<br />

La presenza degli<br />

stranieri nei piccoli<br />

comuni italiani<br />

Gli stranieri che hanno scelto un piccolo<br />

comune italiano come propria residenza<br />

sono 643.081, con un’incidenza<br />

sul totale della popolazione complessiva<br />

residente in tali realtà pari al<br />

6,2%. Tale dato, riferito al 1 gennaio<br />

2011, è in costante e rapido aumento,<br />

con una crescita del 175% rispetto al<br />

2003.. È uno degli aspetti della fotografia<br />

che l’Atlante 2012 dell’Anci ha<br />

scattato sul mondo dei piccoli comuni<br />

italiani, ovvero quelli con popolazione<br />

residente inferiore ai 5000 abitanti. Secondo<br />

lo studio, gli immigrati che si trasferiscono<br />

nel nostro paese sembrano<br />

essere inizialmente attratti dalle città e<br />

dalle realtà amministrative di maggiori<br />

dimensioni, che possono offrire<br />

maggiori reti di solidarietà ed opportunità<br />

lavorative, ma poi preferiscono<br />

spostarsi nei centri più piccoli dove inferiore<br />

è il costo della vita e maggiori<br />

sono le possibilità di integrazione sociale.<br />

Nello specifico le mete preferite<br />

dagli stranieri sembrano i centri con un<br />

numero di abitanti compreso tra 2.501<br />

e 5mila: la loro incidenza e’ del 6,6%,<br />

superiore a quella rilevata mediamente<br />

per i piccoli comuni, e inferiore<br />

a quella nazionale di meno di un<br />

punto percentuale.<br />

L’Atlante Anci evidenzia inoltre il maggiore<br />

peso della popolazione straniera<br />

sul cambiamento della struttura<br />

demografica nei piccoli comuni. In queste<br />

realtà, infatti, più che nei centri abitati<br />

di grandi dimensioni, la presenza<br />

degli stranieri assume un peso proporzionalmente<br />

maggiore dal momento<br />

che cresce mentre, al tempo<br />

stesso, diminuisce la popolazione autoctona<br />

di cittadinanza italiana.<br />

Altro dato interessante, infine, è la differenza<br />

tra Centro-Nord e Sud rispetto<br />

a tale fenomeno: da un lato emerge<br />

un centro-nord con evidenti flussi<br />

migratori, ovvero dove gli stranieri in<br />

molti piccoli comuni registrano una presenza<br />

superiore alla media nazionale,<br />

dall’altro un Sud, incluse le isole maggiori,<br />

in cui, a parte qualche eccezione,<br />

i piccoli comuni non sembrano essere<br />

molto attrattivi per la popolazione<br />

immigrata.


0<br />

reportage<br />

Nei centri più poveri<br />

e isolati c’è il rischio<br />

delle vite parallele<br />

intervista a<br />

Giorgio Osti<br />

Università di Trieste<br />

e Flaminia Ventura<br />

Università di Perugia<br />

Giorgio Osti è docente all’Università<br />

di Trieste, Flaminia<br />

Ventura è ricercatrice all’Università<br />

di Perugia. Insieme hanno<br />

coordinato il progetto di ricerca<br />

“Vivere da stranieri in aree fragili” e<br />

curato l’omonimo saggio edito da Liguori<br />

nel 2012, che presenta una raccolta<br />

di numerosi casi di studio italiani.<br />

Li abbiamo intervistati per capire meglio<br />

i meccanismi sociali di inclusione<br />

degli immigrati nei piccoli centri urbani,<br />

soprattutto quelli più isolati e<br />

"fragili".<br />

Come definite le “aree fragili” del territorio<br />

italiano?<br />

Il termine fragile è riferito alla dimensione<br />

sociale di queste aree, dove<br />

vi è stata una progressiva diminuzione<br />

del risorse umane e soprattutto la<br />

perdita di categorie demografiche,<br />

sociali ed economiche che hanno<br />

portato alla disgregazione della comunità<br />

locale. Sono aree dove gli spa-<br />

Nelle aree più fragili e spopolate, la presenza<br />

degli immigrati è preziosa, ma la relazione<br />

con le comunità locali è più difficile<br />

zi fisici e sociali sono sempre più caratterizzati<br />

dal “vuoto”: quello lasciato<br />

dai giovani, grandi assenti in queste<br />

aree mal collegate con i poli di attrazione,<br />

la scuola, il lavoro; il vuoto delle<br />

case dei centri storici e quello degli<br />

ampi spazi agricoli, a pascolo e forestali,<br />

che non sono più coltivati.<br />

Sono aree dove la complessità socioeconomica<br />

tipica delle comunità vitali<br />

ha lasciato il posto ad una “specializ-<br />

zazione” demografica, fatta di anziani,<br />

e ad una economica, quella delle attività<br />

agro-silvo-pastorali che ne accentuano<br />

la debolezza piuttosto che<br />

costituirne un motivo di attrazione.<br />

Come si caratterizza il processo di integrazione<br />

dei cittadini stranieri in<br />

queste aree?<br />

Un elemento comune è che il processo<br />

di immigrazione è sempre di per sé<br />

un processo dirompente: in queste<br />

aree, dove i legami sociali e con<br />

l’ambiente sono sempre più deboli, i<br />

cittadini stranieri si scontrano spesso<br />

con una ritrovata identità sociale e territoriale<br />

della popolazione locale, con<br />

“piccoli mondi antichi” che basano la<br />

propria difesa nell’isolamento dal<br />

nuovo e dai nuovi cittadini.<br />

I meccanismi di integrazione sono resi<br />

più difficili in queste aree dalla carenza<br />

di servizi alle persone e di forme di associazionismo<br />

che riguardano la stessa<br />

popolazione locale, carenze che nel<br />

caso degli immigrati sono accentuate<br />

dalla dispersione abitativa sul territorio.<br />

L’arrivo in queste aree del migrante è<br />

quasi sempre una seconda o terza scelta,<br />

il motivo principale, quando non<br />

si tratta di lavoratori stagionali agricoli,<br />

è la ricerca di soluzioni abitative<br />

a basso costo; il polo lavorativo rimane<br />

quello delle città e/o delle aree<br />

industriali. Siamo spesso di fronte ad<br />

immigrati e immigrate che non cercano<br />

una integrazione “totale” nel paese<br />

di destinazione a scapito delle<br />

proprie radici e tradizioni culturali, ma<br />

che riproducono nelle nuove aree di residenza<br />

e lavoro i propri modelli di<br />

vita, siano questi compatibili o meno<br />

con le regole della società civile locale.


Non vi è conflittualità con la popolazione<br />

locale, ma vite parallele. Anche<br />

gli autoctoni vivono la presenza di<br />

stranieri attraverso una separazione che<br />

ha pochi punti in comune: la scuola e<br />

il lavoro, entrambi presenti laddove vi<br />

sono interi nuclei familiari dei migranti<br />

o vi è una loro stabilità sul territorio<br />

legata a servizi residenziali come<br />

quello delle “badanti”.<br />

Quali sono i rischi più frequenti a livello<br />

sociale?<br />

Il rischio più frequente è certo quello<br />

di una nuova segmentazione sociale<br />

che porta prima all’isolamento<br />

tra autoctoni e migranti e, successivamente,<br />

a forme di intolleranza e di<br />

nuova emarginazione e di esclusione<br />

di questi ultimi. In questo periodo di<br />

crisi, tali fenomeni, legati alla carenza<br />

di lavoro, divengono sempre più frequenti;<br />

i primi a perdere il lavoro sono<br />

gli immigrati, sia per una forma di diritto<br />

di priorità per gli autoctoni sia<br />

per la presenza di immigrati nei lavori<br />

stagionali e per forme di assunzione<br />

spesso basate sulla precarietà. In<br />

questo scenario vengono riattivati<br />

flussi tra aree interne e poli urbani che<br />

sono nuovamente a vantaggio di<br />

questi ultimi, con una seconda “stagione”<br />

di abbandono delle aree rura-<br />

I volontari della rete<br />

di associazioni Oasi Amicizia<br />

li ed interne anche da parte della popolazione<br />

migrante. Ed una nuova disgregazione<br />

dei precari equilibri esistenti<br />

in queste aree.<br />

Quali sono, viceversa, in queste aree,<br />

le spinte ad un’inclusione sociale positiva<br />

e ad un contenimento delle discriminazioni<br />

razziali?<br />

Dalle analisi e dai racconti è piuttosto<br />

evidente che i migranti rappresentano,<br />

e potenzialmente potrebbero ancor più<br />

rappresentare, una risorsa essenziale<br />

per le comunità più fragili, un tassello<br />

fondamentale per un progetto di sviluppo<br />

economico e sociale per questi territori<br />

o, quanto meno, di resistenza all’abbandono.<br />

La scuola e l’auto-imprendi-<br />

41


torialità sono certamente i due elementi<br />

ricorrenti che favoriscono l’integrazione<br />

dei migranti. L’inclusione delle<br />

nuove generazioni attraverso la scuola<br />

passa per la costruzione di una cultura<br />

comune, la condivisione di interessi, tra<br />

cui quello dello sport-gioco ha un ruolo<br />

importante, un senso di appartenenza<br />

al “locale” derivante dalla quotidianità<br />

d’uso dei luoghi da parte dei figli dei<br />

migranti. Alla scuola spesso si uniscono<br />

centri di aggregazione gestiti dai servizi<br />

sociali o da associazioni volontarie.<br />

Per molti adolescenti questi spazi rappresentano<br />

un luogo di aggregazione importante,<br />

al di là dell’istituzione scolastica<br />

o del nucleo familiare.<br />

Il secondo elemento che costituisce una<br />

forte spinta all’integrazione è rappresentato<br />

dall’avvio di un’attività imprenditoriale,<br />

dal passaggio dal lavoro<br />

dipendente a quello autonomo che<br />

comporta un totale cambiamento di<br />

orizzonte sia temporale sia culturale<br />

per il migrante. Il successo dell’attività<br />

2<br />

reportage<br />

imprenditoriale, anche quando la forza<br />

lavoro è rappresentata solo da migranti,<br />

comporta relazioni continue e<br />

fiduciarie con la popolazione locale.<br />

Anche in questo caso si sviluppa un<br />

senso di appartenenza basato soprattutto<br />

sulla consapevolezza di una reciproca<br />

dipendenza economica tra<br />

autoctoni e nuovi imprenditori stranieri.<br />

E la presenza di un nucleo familiare<br />

è piuttosto rilevante, in quanto<br />

comporta aspettative per il futuro<br />

legate ad una continuità di rapporti<br />

con il luogo e con il Paese ospitante.<br />

Quali politiche?<br />

Certamente occorrono programmi specifici,<br />

già sperimentati in altri Paesi, per<br />

attrarre i migranti nelle aree fragili e<br />

in questo modo assicurare una più<br />

omogenea distribuzione della popolazione,<br />

combattere i processi segregativi<br />

urbani, ma soprattutto promuovere


politiche di sviluppo per questi territori<br />

a rischio di abbandono.<br />

Un punto chiave su cui agire è la casa:<br />

i migranti, come documentato, vanno<br />

a riempire i luoghi dell’abitare lasciati<br />

vuoti dalla popolazione locale poiché<br />

versano in situazioni critiche dal<br />

punto di vista dei servizi e dell’accessibilità.<br />

Questo costituisce il primo ostacolo<br />

anche alla possibilità di erogare<br />

in modo adeguato servizi e utility pubbliche.<br />

Occorre introdurre strumenti che<br />

favoriscano l’accessibilità dei migranti<br />

all’affitto ed all’acquisto delle case<br />

e forme di autocostruzione per il restauro<br />

e recupero a fini abitativi del patrimonio<br />

edilizio abbandonato spesso<br />

presente nelle aree fragili.<br />

Altro nodo politico è quello dei servizi,<br />

del mantenimento di presidi sanitari e<br />

scolastici adeguati e di spazi aggregativi<br />

per le popolazioni caratterizzate<br />

da mobilità ridotta. Nel caso dei mi-<br />

L’aula per i corsi di italiano<br />

dell’ufficio Informa Immigrati di Puos<br />

granti è emersa la centralità di luoghi<br />

aggregativi, anche di tipo educativo,<br />

ma non scolastico, nella costruzione<br />

di un contesto di socializzazione utile<br />

a contrastare il disagio e la segregazione<br />

in particolare fra i più giovani<br />

da cui dipende in gran parte il futuro<br />

di queste aree.<br />

Dal vostro punto di vista, è possibile<br />

parlare di un “modello” di integrazione<br />

positiva offerto dalle aree<br />

fragili? In che misura tale modello è<br />

trasferibile ad altri contesti urbani,<br />

come le città di medie o grandi dimensioni?<br />

Quanto emerge dai racconti e dalle<br />

analisi fa affermare che le aree fragili<br />

possono essere terreno di sperimentazione<br />

per forme di convivenza pacifica<br />

su base universale. La scarsità di<br />

risorse umane e relazionali socio-economiche<br />

che, come abbiamo detto, caratterizza<br />

queste aree, impone di trovare<br />

soluzioni in cui siano necessariamente<br />

implicati anche gli stranieri.<br />

Il caso della scuola è emblematico: per<br />

salvarla in aree a bassa densità servono<br />

i bambini degli immigrati! Lo stesso<br />

discorso si può applicare al lavoro.<br />

La rarefazione della popolazione fa venir<br />

meno certi lavori che però continuano<br />

a essere richiesti. Si dovrà ero-<br />

immigrati nei piccoli comuni<br />

garli con formule imprenditoriali che<br />

includano anche gli stranieri, con la<br />

conseguenza di una ridefinizione delle<br />

pratiche locali anche nelle attività più<br />

tradizionali come l’agricoltura, la pastorizia,<br />

la selvicoltura e l’artigianato.<br />

In molte di queste aree sono stati sperimentati<br />

nuovi modelli di organizzazione<br />

del lavoro e di trasferimento<br />

delle conoscenza, come ad esempio le<br />

cooperative multi servizi o multi stakeholder<br />

nate in aree montane, che<br />

solo come tali riescono ad avere una<br />

sostenibilità economica.<br />

Molte forme di associazionismo e volontariato<br />

nate per l’integrazione<br />

sociale degli immigrati hanno finito<br />

per gestire servizi a tutta popolazione<br />

disagiata o sono divenuti luoghi<br />

di sviluppo di conoscenze interculturali<br />

che favoriscono il dialogo e la<br />

comprensione reciproca. Si tratta di<br />

sperimentazioni, buone prassi, che<br />

sono certamente trasferibili all’interno<br />

di queste aree, ma anche in aree<br />

urbane.<br />

43


cultura › cinema<br />

Intervista a Daniele Vicari, vincitore del premio Pasinetti alla Mostra di Venezia<br />

A bordo della nave dolce<br />

Edoardo Fonti<br />

otto agosto 1991 entrava nel por-<br />

L’ to di Bari la nave Vlora, con a bordo<br />

circa ventimila albanesi in fuga<br />

dopo il crollo del regime di Enver<br />

Hoxa. L’approdo dell’imbarcazione,<br />

assaltata e occupata pacificamente<br />

nel porto di Durazzo da un popolo in<br />

fuga dal proprio paese e attratto dal<br />

miraggio di una vita migliore in Italia,<br />

costituì la prima ondata di migrazione<br />

di massa nel nostro paese. Dopo<br />

alcuni giorni di prigionia nello Stadio<br />

della Vittoria, decisi dalle autorità di<br />

Roma, contro il parere del sindaco di<br />

Bari Enrico Dalfino, quasi tutti i migranti<br />

vennero rimpatriati: solo duemila<br />

riuscirono a fuggire.<br />

La storia di quei drammatici giorni è<br />

ricostruita ne “La nave dolce”, l’ultimo<br />

lavoro di Daniele Vicari, vincitore<br />

fuori concorso alla Mostra di Venezia<br />

del Premio Pasinetti.<br />

Dopo ”Diaz-Don’t Clean Up This Blood”<br />

(2012), il regista di Collegiove (Rieti)<br />

e affronta un’altra delle pagine amare<br />

della nostra storia recente. Lo fa attraverso<br />

un lavoro di sapiente montaggio<br />

delle straordinarie riprese dell’evento,<br />

alcune inedite, mescolate<br />

alle testimonianze di chi visse sulla<br />

propria pelle quei drammatici giorni.<br />

Come è nato il progetto del film?<br />

In occasione del ventennale dell’arrivo<br />

degli albanesi sulle coste pugliesi<br />

mi è stato chiesto dall’Apulia Film<br />

Commission di mettere su un film, ed<br />

io ho proposto la storia della nave.<br />

Tra le tante cose di cui parlammo in<br />

44<br />

una riunione fatta ad Otranto, l’unica<br />

storia che mi sembrava potesse avere<br />

un’unità di narrazione e una certa potenza<br />

emotiva era la storia della Flora<br />

e delle sue ventimila persone. È in<br />

qualche modo un archetipo quello della<br />

nave con un intero popolo sopra che<br />

cerca una nuova terra, possiede già una<br />

forza, una valenza in sé. Una volta che<br />

verificai che esistevano dei materiali<br />

di repertorio così copiosi, mi decisi a<br />

raccontare questa storia. In fondo<br />

immaginavo che non sarebbe stato facile,<br />

ma neanche impossibile, rintracciare<br />

alcune delle persone che erano<br />

Luca Turi<br />

sulla nave, ai tempi tutti molto giovani.<br />

A proposito dei filmati di archivio che<br />

poi hai utilizzato nel film, riprendendo<br />

una frase di Zavattini hai parlato<br />

di immagini che aspettano di essere<br />

riportate in vita.<br />

La frase di Zavattini risale al momento<br />

in cui contribuì in prima persona<br />

alla fondazione dell’archivio audiovisivo<br />

di quello che si chiamava<br />

un tempo Movimento Operaio e che<br />

ora è il Movimento Operaio Democratico.<br />

Egli afferma che gli archivi


audiovisivi, gestibili da un certo<br />

momento in poi grazie ai supporti di<br />

registrazione, hanno incominciato a<br />

sistematizzare la memoria collettiva<br />

del mondo, rimanendo materia morta<br />

senza uno spettatore, ma tornando<br />

a piena vita se guardati da qualcuno.<br />

Per questo affermava fossero<br />

impazienti di esistere. Al tempo stesso<br />

l’avere dei repertori che si riferiscono<br />

a vicende magari molto in là<br />

nel tempo e poterli rivedere, è un’idea<br />

molto simile a quella che Walter Benjamin,<br />

nelle tesi sulla storia, sottolineava<br />

come il nostro bisogno, non<br />

tanto di ricordare, quanto di rammemorare,<br />

cioè di rivivere culturalmente<br />

ed intellettualmente cose che<br />

sono accadute nel nostro passato, per<br />

poterle comprendere.<br />

Nel film, per raccontare l’evento, scegli<br />

una via che non è quella “didattica”,<br />

piena di coordinate e spiegazioni,<br />

ma preferisci portarci direttamente<br />

dentro al fatto.<br />

Il film è abbastanza simile a Diaz, in<br />

entrambi i casi, essendo narratore e<br />

non storico, decontestualizzo un fatto<br />

rispetto alle sue circostanze, lì rispetto<br />

al fatto generale del G8, qui rispetto<br />

alla caduta dei regimi comunisti.<br />

La narrazione, la cosiddetta fiction,<br />

è basata sulla dinamica che c’è tra contestualizzazione<br />

e decontestualizzazione<br />

di un determinato fatto che hai<br />

deciso di narrare. In questi termini, utilizzando<br />

in maniera accorta delle tecniche<br />

adatte, faccio sì che lo spettatore<br />

si ponga delle domande, si chieda<br />

“Cosa sta succedendo? Dove mi trovo?”.<br />

Non dà nulla per scontato dell’evento<br />

che sta di fronte a lui. Non mi<br />

dispiace nemmeno che all’inizio del<br />

film si pensi che quelle siano le rivolte<br />

arabe, in modo tale da creare subito<br />

un link virtuale tra passato e presente.<br />

Non si aspetta più spiegazioni,<br />

ma sta sperimentando in prima persona<br />

come è andata. Credo che questo popolo,<br />

normalmente sempre più condotto<br />

per mano, abbia in realtà proprio<br />

bisogno di essere spaesato. Solo<br />

in questa dinamica lo spettatore cresce.<br />

Quando finisce il film gli resteranno<br />

in testa un sacco di domande.<br />

Dallo sbarco della Vlora, circa venti anni<br />

fa, come sono mutate le cose in Italia?<br />

Una cosa fondamentale è che noi<br />

non siamo più lo stesso paese che eravamo<br />

nel ’91, non nel senso che<br />

“sono passati venti anni e quindi sia-<br />

mo cambiati”, ma che ormai più del<br />

10% della popolazione italiana ha<br />

origini extra territoriali: questo è un<br />

cambiamento profondo e radicale,<br />

che non abbiamo ancora pienamente<br />

compreso. Il fatto che 5/6 milioni di<br />

persone non nate in Italia vivano sul<br />

nostro territorio nazionale, rende il nostro<br />

paese interrazziale, interculturale,<br />

molto più complesso di venti anni<br />

fa. Il problema vero è che noi non stiamo<br />

facendo i conti con questa differenza,<br />

non la stiamo prendendo minimamente<br />

in considerazione.<br />

Parliamo per esempio del cinema. La<br />

nostra cinematografia è la più identitaria<br />

che esiste al mondo: il tipico cineasta<br />

è maschio, adulto, benestante<br />

e italiano. Le donne che fanno cinema<br />

sono pochissime e fanno una fatica<br />

inaccettabile ad emergere. I giovani<br />

stessi devono passare sotto tanti<br />

rulli compressori che arrivano a fare<br />

cinema quando sono vecchi e spompati,<br />

e tra questi i figli delle classi medio<br />

basse non hanno quasi alcuna possibilità<br />

di accesso, non solo al cinema,<br />

ma alla cultura cinematografica stessa,<br />

perché ha costi esagerati. E soprattutto<br />

non ci sono cittadini italiani<br />

provenienti da paesi non italiani,<br />

non esiste il punto di vista di queste<br />

persone, dei migranti o immigrati, nella<br />

nostra cinematografia, siamo noi<br />

che, tranne qualche raro caso, raccontiamo<br />

le loro storie secondo un<br />

punto di vista che è e resta il nostro,<br />

anche quando come nel mio caso, e<br />

come nel caso di tantissimi altri, si va<br />

quasi contro se stessi per non essere<br />

“identitari”.<br />

Tutto ciò necessariamente caratterizza<br />

la povertà della nostra produzione<br />

culturale, poiché questa assenza di punti<br />

di vista diversi, in tutti i campi, informazione<br />

compresa, fa sì che il 90%<br />

degli italiani non prenda in conside-<br />

45


cultura › cinema<br />

razione l’altro 10%, se non quando succedono<br />

cose di cronaca terrificanti, oppure<br />

che a miss Italia non venga eletta<br />

un’etiope o un’eritrea. Le persone che<br />

invece vanno a vivere in Germania, in<br />

Inghilterra, in Francia, sono ben rappresentati<br />

da grandi registi, scenografi,<br />

direttori della fotografia, musicisti.<br />

46<br />

Nicola Amato<br />

Inoltre negli anni 60 e 70, grazie ai movimenti<br />

politici e sociali che coinvolgevano<br />

la società, esisteva un oggettiva<br />

internazionalizzazione dei punti di<br />

vista, una sorta di internazionalismo culturale,<br />

che collocava automaticamente<br />

le vicende del proprio paese in un<br />

contesto internazionale. Ad un certo<br />

punto però nel nostro paese, dagli<br />

anni del craxismo in poi, e ne parlo in<br />

termini strettamente temporali, ci siamo<br />

chiusi su noi stessi. Da lì in poi l’unico<br />

motivo che hanno avuto gli italiani<br />

per prendere in considerazione il resto<br />

del mondo sono state le vacanze.<br />

Quasi tutti i passeggeri della Vlora,<br />

nonostante vennero rimpatriati in<br />

modo brutale, tornarono in Italia…<br />

Non si può recintare il mare. L’evoluzione<br />

delle nostre civiltà ci porta a considerare<br />

come naturale l’esistenza di<br />

cose che non lo sono, come i confini.<br />

Gli esseri umani sono più complessi,<br />

più difficili, più articolati di come i poteri<br />

che esistono, che si autorappresentano<br />

e si autocostituiscono, sono<br />

abituati a pensare. Che succede quando<br />

un essere umano non si sente più<br />

appartenente ad un territorio circondato<br />

da un muro, da un confine? Per<br />

qualunque motivo, spesso neanche di<br />

natura economica, come per esempio<br />

la pura e doverosa spinta alla libertà.<br />

Ecco che le persone si scontrano con<br />

l’esistenza di queste barriere, secondo<br />

un moto che è perpetuo, inarrestabile.<br />

Inoltre gli strumenti che stiamo utilizzando<br />

inutilmente per arginare il fenomeno<br />

non sono adeguati.<br />

I CIE, per esempio, sono uno strumento<br />

repressivo che la nostra società liberale,<br />

basata su una costituzione che riconosce<br />

i diritti universali come quella<br />

italiana, ha accettato come niente, come<br />

se fossero scontati, senza accorgersi che<br />

l’esistenza stessa di un luogo del genere,<br />

dove quei diritti non ci sono, mette<br />

in contraddizione lo stato con se stesso.<br />

In quel luogo lì possono finire tutti,<br />

non lo puoi escludere perché se esiste…<br />

È come lo stato di eccezione di Agamben:<br />

se è normale per me, è normale per<br />

te. Noi non stiamo prendendo in considerazione<br />

questo tipo di modificazioni<br />

profonde che stiamo vivendo.<br />

Il fenomeno è, a questo punto, oggettivamente<br />

inarrestabile. Cosa spinge<br />

ancora a combatterlo, è una que


Nicola Amato<br />

stione di business economico e politico,<br />

o stiamo davvero combattendo<br />

con una paura quasi ancestrale?<br />

Parlando di una società complessa ciò<br />

a cui fai riferimento coesiste purtroppo.<br />

Sono movimenti che procedono<br />

paradossalmente in direzioni contrapposte,<br />

la chiusura degli italiani e<br />

l’apertura del territorio italiano. Chi fa<br />

propaganda elettorale contro gli stranieri<br />

lo fa con la consapevolezza che<br />

ci sono persone che hanno paura di<br />

certi fenomeni, non li conoscono, li rifiutano,<br />

e costituiscono così un consolidato<br />

bacino elettorale. Questo tipo<br />

di atteggiamento, imperniato su parole<br />

d’ordine contro gli stranieri, o a favore<br />

di ideologie razziste o totalitarie come<br />

il fascismo, produce la chiusura culturale<br />

di un paese e fa sì che la sua parte<br />

più attiva che guarda al mondo, vive<br />

nel mondo e lo desidera così profondamente,<br />

se ne vada. È un problema<br />

che riguarda circa 50.000 giovani<br />

ogni anno. Laureati, diplomati, persone<br />

di alta specializzazione, che fanno le<br />

valige ed esportano le loro competenze,<br />

la loro apertura, la loro visione del<br />

mondo altrove. E il nostro paese si impoverisce.<br />

Tutto ciò porta all’invecchiamento<br />

di una civiltà. Se noi arriviamo<br />

a coltivare (e anche questo è un<br />

contro senso storico-logico) il nostro<br />

invecchiamento, facendolo addirittura<br />

diventare il paradigma di una nuova<br />

idea di società dove le persone anziane<br />

sono più sagge, hanno più esperienza,<br />

conoscono meglio le cose del<br />

mondo etc. etc., costruiamo un bellissimo<br />

luogo dove non c’è spazio per il<br />

futuro, dove si vive una sorta di pre-<br />

sente sempre più agghiacciante e falso.<br />

In un posto così nemmeno i vecchi<br />

stanno bene, perché è una società<br />

divisa. Una società è bella, vitale,<br />

quando è plurale, quando c’è uno<br />

scambio tra le generazioni, quando chi<br />

muore sa di poter contare su chi resta<br />

in modo tale che le cose che ha fatto,<br />

che i propri desideri, gli sforzi che si<br />

son fatti in vita non siano inutili. Il discorso<br />

dell’immigrazione cade dentro<br />

tutto questo e ovviamente, in un contesto<br />

così, non trova una composizione<br />

razionale, lucida, civile. Questa<br />

mancata composizione ci porta a spaventarci,<br />

a stupirci del fatto che ci sono<br />

scuole dove il 60 % dei ragazzi sono<br />

di origine non italiana…<br />

47


cultura › libri<br />

a cura di Valerio Serafini<br />

Il valore della diversità<br />

Brunetto Chiarelli,<br />

Altravista - Pagine 104<br />

›››› L’Italia sta vivendo una fase in cui si<br />

susseguono episodi di intolleranza e discriminazione<br />

verso le persone di colore,<br />

gli immigrati e verso gli stranieri in generale:<br />

occorre riflettere ed opporsi alle<br />

violenze ed ai pregiudizi.<br />

Se è vero che i nostri schemi tendono a<br />

riportare le differenze fisiche su un piano<br />

culturale è altrettanto vero che le classi<br />

gerarchiche tra le “razze” umane, proposte<br />

nel XIX secolo, altro non erano che<br />

lo strumento ideale per giustificare sistemi<br />

colonialistici, di apartheid e di imperialismo,<br />

fino al caso estremo del nazismo.<br />

La scienza ha dimostrato che, paragonando<br />

i geni di due individui appartenenti alla<br />

stessa popolazione, le differenze sono poco<br />

inferiori a quelle rilevate paragonando i<br />

geni di due individui che vivono in continenti<br />

diversi. Il problema del razzismo<br />

e della discriminazione di individui che<br />

hanno determinate caratteristiche fisiche<br />

e culturali, va ben oltre i confini della biologia<br />

ed investe la politica e la società.<br />

Oggi il mondo globalizzato impone il confronto<br />

diretto con persone provenienti da<br />

ogni parte della terra, e l’acuirsi della crisi<br />

economica genera paura in tutte le classi<br />

sociali che riversano il proprio bisogno<br />

di sicurezza nelle derive razziste delle ideologie<br />

politiche.<br />

La disabilità nel cinema<br />

Siamo a una svolta?<br />

Non chiamarmi Cina<br />

Luigi Ballerini<br />

Giunti Editore - Pagine 133<br />

Valerio Serafini<br />

› Un’intervista radiofonica della BBC mi dà lo spunto per una<br />

riflessione sul mondo del cinema e la disabilità.<br />

Un sapore di Ruggine e Ossa, Amour, Quasi Amici e Incontri<br />

sono tutti film che raccontano la realtà delle persone con disabilità,<br />

prevalentemente per quanto riguarda l’aspetto della sessualità<br />

e dell’autonomia. Film ben prodotti, che denotano un<br />

attenzione nuova su questo argomento. Tuttavia, non posso non<br />

rilevare come salvo che in rari casi, gli attori non siano real-<br />

48<br />

›››› Un breve romanzo che in poche<br />

pagine di veloce lettura descrive una<br />

realtà che molti di noi ignorano. Si<br />

parla di un ragazzo italiano col sogno<br />

di diventare un calciatore professionista<br />

e di una ragazza cinese nata in<br />

italia, che si s’innamorano e iniziano<br />

un percorso nel corso del quale le due<br />

diverse culture cercano un punto in<br />

comune. Diciassette anni non è un età<br />

facile per nessuno: si cominciano a<br />

profilare scelte impegnative e le pressioni<br />

non mancano. Una figlia cinese<br />

deve "onorare" il padre e la madre<br />

andando bene a scuola e lavorando<br />

per la famiglia, per ripagare i genitori<br />

dei sacrifici. In quest’ottica viene lasciato<br />

poco spazio ai sentimenti, che<br />

sono considerati dalla famiglia una distrazione<br />

dai propri doveri; e la cultura<br />

del paese ospitante non deve mai<br />

primeggiare, secondo l’ottica cinese,<br />

sulla propria.<br />

Tuttavia la giovane Rossana, pur facendo<br />

proprie le richieste dei genitori,<br />

confessa ad Antonio di riconoscersi nei<br />

valori e nei modi di vita italiani. Tutto<br />

questo genera nella ragazza una<br />

complessa crisi di identità che la porta<br />

ad interrogarsi con inquietudine sul<br />

proprio futuro.<br />

Stare ai giochi<br />

Mauro Valeri<br />

Odradek edizioni - Pagine 242<br />

›››› È un libro sulle presunte libertà del<br />

mondo olimpico che, dietro a belle frasi di<br />

circostanza sul diritto delle persone a praticare<br />

lo sport, ha creato tante ingiustizie.<br />

I giochi olimpici avrebbero dovuto essere<br />

in grado di mettere da parte le divergenze<br />

politiche. Invece le storie dei partecipanti<br />

sono spesso intrise di episodi di ingiustizia.<br />

Il libro racconta storie di campioni<br />

quali Jim Thorpe, noto atleta multidisciplinare<br />

che vinse due ori nelle olimpiadi<br />

del 1916, ma i titoli gli vennero ritirati<br />

per il suo sangue pellerossa. Racconta<br />

della ferma e stentorea opposizione del barone<br />

De Coubertin alla partecipazione delle<br />

donne nella I Olimpiade, e delle grandi<br />

figure femminili che sfidarono i costumi<br />

della società in numerosi sport: nel pattinaggio<br />

e nel nuoto come nel salto in alto<br />

e nel salto in lungo. Racconta della<br />

“mamma volante”, l’olandese Fanny Blankers-Koen,<br />

che scandalizzò la società del<br />

tempo perché oltre ad essere una eccelsa<br />

velocista (4 ori nel ‘48) aveva anche 3 figli<br />

(connubio poco apprezzato all’epoca,<br />

in quanto si riteneva che l’attività agonistica<br />

nuocesse alla funzionalità dell’apparato<br />

riproduttivo femminile).<br />

Valeri ricorda anche le discriminazioni degli<br />

atleti di colore, di quelli con disabilità,<br />

di quelli transessuali.<br />

mente persone con disabilità ma solo attori che interpretano<br />

quel ruolo. Chissà se nel corso degli anni riusciremo veramente<br />

a far recitare nei film persone con disabilità!?<br />

Chi come me la disabilità la vive non può fare a meno di pensare<br />

che sarebbe davvero opportuno che nei film con protagonisti<br />

disabili gli attori scelti fossero essi stessi persone con<br />

disabilità.<br />

Possiamo sperare che, con l’andare degli anni, sempre più film<br />

raccontino storie sui disabili e che questo spinga gli agenti dello<br />

spettacolo a reclutare persone con disabilità come attori.<br />

Oggi, tra l’altro, prevale ancora la tendenza a parlare di disabilità<br />

che sono sopraggiunte dopo un trauma, e c’è uno scarso<br />

interesse per quanto riguarda gli aspetti psicologici della<br />

disabilità.<br />

Per adesso, in attesa di un cambiamento di ottica, non resta<br />

che lodare quelle poche eccezioni meritevoli, quali ad<br />

esempio Harold Russel e Marlee Martlin. Speriamo che sempre<br />

più film vengano prodotti sul mondo della disabilità e<br />

che sempre più spesso si abbia la possibilità di applaudire film<br />

che la raccontano. Per ora, godiamoci questa stagione di rinnovata<br />

attenzione.

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