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«Petrarca ai Barocchi» a «restituire alla memoria un sapere» 163; il loro<br />

obiettivo, dice, era rivitalizzare la tradizione culturale innervandola di nuovi<br />

stimoli e obiettivi, restituendole quella freschezza che la facesse viva anche a<br />

distanza di molti secoli, per recuperare l’innocenza perduta; ma anche, e forse<br />

è più importante, restituirle una autorevolezza che fino al tredicesimo secolo,<br />

Dante compreso, la memoria aveva perso, durante secoli in cui la letteratura<br />

era stata solo strumento di perpetuazione <strong>del</strong> sapere e non fatto estetico. Un<br />

tale obiettivo, nella interpretazione di Ungaretti, non poteva essere chiaro a<br />

Dante e ai poeti <strong>del</strong> Duecento (e che Ungaretti cataloga, sia l’uno che gli altri,<br />

tra gli ‘antichi’) che hanno preceduto il capostipite di questa rivoluzione –<br />

Petrarca, s’intende – poiché<br />

la presenza <strong>del</strong> passato considerata fatalmente e inseparabilmente viva nel<br />

linguaggio poetico [...] non era ancora ciò che essi, nei fini <strong>del</strong>la loro arte,<br />

intendevano per memoria 164.<br />

Dunque in quegli autori che hanno preceduto il poeta aretino non esisteva la<br />

consapevolezza che in ogni loro semplice gesto, artistico e no, si manifestava<br />

la memoria di loro stessi come individui ma anche componenti di una civiltà<br />

culturale; tale consapevolezza matura solo con la lezione petrarchesca,<br />

complice Agostino. La connessione memoria-sapere era già stata messa in<br />

evidenza da Ungaretti, prima in Innocenza e memoria (ma in questo articolo solo<br />

accennandola) poi in Indole <strong>del</strong>l’italiano (recuperandola, probabilmente, proprio<br />

dal vescovo di Ippona).<br />

L’ultimo capoverso chiude il testo anticipando gli argomenti <strong>del</strong>le lezioni<br />

future: dopo aver inserito Leopardi nell’elenco dei poeti religiosi cristiani 165,<br />

163 Ivi, p. 884.<br />

164 Ibidem.<br />

165 «L’esperienza leopardiana [...] inizia una poesia che [...] non è più profana [ma] è mossa da<br />

uno slancio di religiosità», e poco oltre: «il suo [di Leopardi] è uno stoicismo cristiano. Era un<br />

cristiano, e, in massima parte, la sua mente s’era formata su trattati di dottrina cristiana, e la sua<br />

finezza psicologica e la sua inclinazione sentimentale la doveva all’eredità e all’educazione cristiana»;<br />

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