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dato acquisito. Nell’istituire il paragone fra Petrarca e Leopardi il docente propone il tema delle rovine: Petrarca si muove in una Roma che è il pallido riflesso della città caput mundi: per il Petrarca, Roma è già un’idea desolata [...] per il Petrarca non ci sarà che assenza: memoria e memorie: non ci saranno che pretesti e eccitamenti per la fantasia: rovine, fantasmi; ma ci sarà la certezza d’un ritorno. [Petrarca] soffre per le rovine, ma di più s’esalta per la bellezza che è in esse e che, per merito suo, per merito della memoria, ritornerà nella sua forma intatta 143. Memoria e memorie – quest’ultimo termine va inteso qui come ‘serie di reperti del passato’: Ungaretti recupera la nozione equivalente di vestigia che già avevamo incontrato in Innocenza e memoria –, l’una alleata dell’altra affinché l’azione congiunta permetta all’immagine sublime di Laura di ritornare nella sua forma intatta» a confortare la mente del poeta. Quella memoria che può aprire i nostri «occhi mentali», così che «un suo sonetto che ci pareva indifferente, un suo verso perduto in un suo sonetto [...] quando l’ha saputo finalmente riscaldare la nostra memoria, quando finalmente la nostra memoria ha saputo fare in sé chiarezza [...] è come se ci guardasse, è la nostra vista più umana 144. è la stessa memoria che, in Petrarca, trasforma il passato, fino a convertire l’assenza di Laura, nel «clamore carnale» 145 che scuote il poeta, a sollecitare il tormento dei ricordi e, da «perfida lusingatrice», a causare il «dramma dell’uomo fra sogno e realtà» 146. L’intensità e la forza che in questi passi vengono attribuite alla memoria 147 sono molto simili all’intensità e alla forza 143 Ivi, pp. 735-736. 144 Ivi, p. 742. 145 Ivi, p. 743. 146 Ivi, p. 744. 147 «nient’altro che memoria, ma tanta memoria, tanta sollecitazione di memoria, che finalmente 60
che caratterizzano la memoria del mistico; si ricorderà che per Jacopone Ungaretti aveva ipotizzato una memoria capace di intervenire nei processi sensoriali, fino a modificare la percezione della realtà. Se in quel caso il processo era addirittura violento, nel caso di Petrarca l’azione della memoria è meno intensa ma non meno efficace, fino a rendere il ricordo sofferenza reale. La capacità di intervento della memoria sulla percezione della realtà, del resto, non risparmia nemmeno i lettori che leggono il poeta aretino sei secoli dopo: la memoria, dice Ungaretti, è una facoltà che può «riscaldare» un verso o un sonetto, anche nei lettori della prima metà del Novecento, per «fare chiarezza»; è quindi in grado di riattivarne il senso autentico (come lo intende Ungaretti). Anche nel lettore del ventesimo secolo, dunque, la memoria può intervenire a modificare la percezione, la sollecitazione derivante dalla lettura, solo con una forza minore, con un ingerenza di minore intensità rispetto a quanto poteva sette secoli prima nella mente di Jacopone. In un’altra lezione 148 Ungaretti sostiene che il tema poetico principale del Petrarca s’è delineato, ed è che, dell’universo, il centro è la memoria umana, che l’universo si tormenta solo nell’uomo, nella notte, nella solitudine dell’essere umano resa bella da alcune luci della memoria 149. Il processo di ampliamento dei confini della memoria, sia spaziali che temporali, a cui abbiamo già fatto cenno, continua in questa affermazione in cui la memoria viene accostata alla nozione di universo, un accostamento che si farà, con l’evoluzione del pensiero ungarettiano, sempre più abituale, fino a fare della memoria un’entità indefinita e senza limiti. Alcune spie di questa trasformazione le abbiamo già rilevate, altre si possono cogliere in queste tutt’intera la bella forma è modellata per intero, adagiata, fatta assoluta presenza [...] qui la memoria s’è incarnata così tanto, è così voluttuosa ch’essa pare avere ora abolito se stessa ed essersi alzata a uno di quei momenti perfetti, mirandi e senza durata del vivere», ivi, p. 743. 148 GIUSEPPE UNGARETTI, [Temi leopardiani: la solitudine umana] (1942-1943), in IDEM, Vita d’un uomo. Viaggi e lezioni, cit., pp. 801-817. 149 Ivi, p. 807. 61
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reale. La capacità di intervento <strong>del</strong>la memoria sulla percezione <strong>del</strong>la realtà, <strong>del</strong><br />
resto, non risparmia nemmeno i lettori che leggono il poeta aretino sei secoli<br />
dopo: la memoria, dice Ungaretti, è una facoltà che può «riscaldare» un verso<br />
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Ungaretti). Anche nel lettore <strong>del</strong> ventesimo secolo, dunque, la memoria può<br />
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solo con una forza minore, con un ingerenza di minore intensità rispetto a<br />
quanto poteva sette secoli prima nella mente di Jacopone.<br />
In un’altra lezione 148 Ungaretti sostiene che<br />
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è la memoria umana, che l’universo si tormenta solo nell’uomo, nella notte, nella<br />
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Il processo di ampliamento dei confini <strong>del</strong>la memoria, sia spaziali che<br />
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cui la memoria viene accostata alla nozione di universo, un accostamento che<br />
si farà, con l’evoluzione <strong>del</strong> pensiero ungarettiano, sempre più abituale, fino a<br />
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tutt’intera la bella forma è mo<strong>del</strong>lata per intero, adagiata, fatta assoluta presenza [...] qui la memoria<br />
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uno di quei momenti perfetti, mirandi e senza durata <strong>del</strong> vivere», ivi, p. 743.<br />
148 GIUSEPPE UNGARETTI, [Temi leopardiani: la solitudine umana] (1942-1943), in IDEM, Vita d’un<br />
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