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estetica; egli, dice, venendo fuori direttamente dalle estetiche romantiche, ha creduto che Vico non avesse parlato se non di fantasia e nel suo spirito, intuizione ed espressione non entrano in funzione se non per virtù di sola fantasia 70. Croce, secondo Ungaretti, avrebbe dimenticato il ruolo che la memoria, intesa come catalogo di soluzioni tecniche, svolge nella creazione dell’opera d’arte, perciò lo rimprovera di trascurare il «mezzo espressivo» che il poeta decide di usare per esprimere la propria intuizione, e aggiunge la nota osservazione per cui «tutto, tutto, tutto è memoria», specificando: «non dico che occorra partire dalla memoria che è conservata dai libri», è sufficiente valutare la «memoria dei fatti che muovono direttamente il nostro sentimento» 71. È la nostra memoria personale che entra in gioco, aggiunge, ma non può agire in solitudine, è indispensabile che essa trovi una forma linguistica adeguata e che non sia completamente estranea al corpus dei testi e degli esempi forniti dalla tradizione. Poco oltre è ancora più esplicito, sostenendo che, quando Croce nella sua estetica non bada alla memoria, «toglie alla poesia la sua potenza storica»: anche in questo caso il riferimento è alla tradizione e alle origini, non alla tecnica. La memoria a cui si riferisce il poeta ha indubitabili ricadute sul piano tecnico; il tormentarsi ungarettiano è il lavoro sul linguaggio inteso come strumento, ma la memoria è quell’ideale elenco a cui costantemente riferirsi, e che si può anche superare, quanto a livello di perfezione raggiunta, con soluzioni nuove che ridiano nuova voce, o ‘musica’ come preferisce chiamarla Ungaretti, alla letteratura italiana; identificarla con la tecnica tout court ci pare una semplificazione eccessiva. In questa conferenza però Ungaretti usa altre volte il termine memoria: come 70 GIUSEPPE UNGARETTI, Influenza di Vico sulle teorie estetiche d’oggi, in IDEM, Vita d’un uomo. Saggi e interventi, cit., p. 344. 71 Ibidem. 34
sinonimo di tradizione letteraria e lascito di forme l’abbiamo documentato, ma ritorna anche sul modo di intendere la memoria diffusosi nell’Ottocento. Per capire il rapporto che il XIX secolo ha con la memoria bisogna tornare a quando, ancora in Innocenza e memoria, nel passo già citato, Ungaretti imputava all’Ottocento di «essere esausto dal suo sforzo temerario di memoria, e dalla dannata superbia che gliene veniva» 72. A distanza di tempo il poeta chiarisce che il Romanticismo è «esausto» perché avvertiva la vecchiaia e l’esaurimento delle risorse delle lingue neolatine; lo sforzo di recupero della memoria, iniziatosi non tanto sulla scorta di Winckelmann, quanto sui ritrovamenti di Ercolano, nella seconda metà del Settecento e proseguitosi per buona parte dell’Ottocento, gli faceva credere di avere svelato ogni cosa sui misteri del mondo, ciò che invece non era vero, e lo dimostrava l’arte, che era «arte di decadenza» 73. L’idea di memoria-feticcio, dunque, viene qui ripresa e ulteriormente articolata. Lo sforzo di recupero della memoria si esprimeva nel bisogno di rinnovamento del linguaggio dell’arte. Per fare un paio di esempi di letterati romantici, chi non riesce rispetto a chi riesce nell’intento di rinnovare, Ungaretti chiama in causa prima Manzoni e il Cinque maggio, poi Leopardi e il Tramonto della luna. Il primo, ci dice, ha commesso lo stesso errore di Croce, perché usando versi composti prevalentemente di parole sdrucciole e tronche, quando nella lingua italiana abbiamo una prevalenza delle piane, ha scelto parole che «non portavano in sé la memoria del ritmo italiano» 74; il rimprovero mosso a Manzoni è di non aver attinto alla musicalità della tradizione. L’altro errore il romanziere lo commette nei Promessi sposi: aver sovrapposto due parlate regionali, milanese e toscano, cercando una lingua nazionale che non può ottenere. Infatti «c’è una memoria della lingua» e una 72 GIUSEPPE UNGARETTI, Innocenza e memoria, cit., p. 133. 73 GIUSEPPE UNGARETTI, Influenza di Vico sulle teorie estetiche d’oggi, cit., p. 347. 74 Ivi, p. 348. 35
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