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suggestioni vichiane. Infatti è ribadito poco dopo:<br />

Per intendere ancora meglio il significato di familiare [...] abbiamo già osservato che<br />

egli [Leopardi] pensa a proposito <strong>del</strong>la proprietà <strong>del</strong>le parole che le più familiari<br />

sono le più proprie perché gli scrittori antichi che le usavano erano più vicini alla<br />

loro formazione e alla determinazione <strong>del</strong> loro significato, perché essi le usavano<br />

non per lusso, ma per bisogno o per utile 496.<br />

In questa rilettura <strong>del</strong>le pagine zibaldoniane, dunque, Ungaretti lascia<br />

emergere quanto di vichiano può riscontrare: l’idea <strong>del</strong>l’inarrivabilità degli<br />

autori antichi, che erano più vicini, per natura, alla formazione dei termini; e<br />

l’uso che essi facevano di tali termini perché, in qualche modo, costretti<br />

dall’esigenza di dar forma al mondo che andavano scoprendo 497. Tale<br />

familiarità, aggiunge poco dopo, è «suscitata, rivelata da naturale assuefazione<br />

alle cose» ed «è insieme cordiale e magica e apocalittica come nel loro modo<br />

d’essere sono le cose» 498 ma, poco prima, aveva detto che la familiarità è la<br />

summa <strong>del</strong>le doti che la parola primitiva aveva ai tempi in cui si esprimevano i<br />

poeti antichi; essa permette il contatto vero con le cose, con il loro mistero;<br />

essa permette di ricondurre il linguaggio «a momenti di puro prodigio»;<br />

inoltre le parole più familiari sono le più proprie (esattamente come sostiene<br />

Vico). Non è difficile, ci pare, ritrovare in queste formulazioni <strong>del</strong>la sacralità<br />

<strong>del</strong>la prima parola, <strong>del</strong>la parola originaria, l’influenza di Vico 499.<br />

496 Ivi, p. 865<br />

497 Le parole di Ungaretti sembrano prese a prestito direttamente da una pagina <strong>del</strong>lo Zibaldone,<br />

la 1483: ««Non la maggior diligenza dunque, ma l’esser gli scrittori antichi più vicini alle prime<br />

determinazioni de’ significati e formazioni <strong>del</strong>le parole, e il formarne essi stessi, non per lusso, che<br />

gli antichi non conoscevano, ma per bisogno, o per utile, fanno ch’essi si riguardino e siano veri<br />

mo<strong>del</strong>li <strong>del</strong>la proprietà <strong>del</strong>le voci e dei modi. E infatti la diligenza che vien dall’arte come pur la<br />

produce, è in ragione inversa <strong>del</strong>l’antichità».<br />

498 GIUSEPPE UNGARETTI, Rapporto con il Petrarca e introduzione al commento <strong>del</strong>l’«Angelo Mai», cit.,<br />

pp. 865-866.<br />

499 Ivi, p. 865. Non deve stupire che Ungaretti legga Leopardi alla luce di Vico; un indizio<br />

ulteriore si nota nel commento al passo in cui il poeta marchigiano parla <strong>del</strong>la fortissima<br />

impressionabilità dei fanciulli; Ungaretti conclude così: «a questo modo vengono dividendosi nello<br />

spirito <strong>del</strong> Leopardi due momenti: un momento <strong>del</strong>l’immaginazione veramente forte, verde, feconda,<br />

creatrice, fruttuosa, legata per estremo impeto d’azione al sentimento, momento proprio ancora dei<br />

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