Visualizza/apri - Università Cattolica del Sacro Cuore
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linguaggio, formidabile strumento che in quell’epoca essi stanno forgiando, è<br />
sacro. La parola che essi impiegano per riconoscere il mondo che li circonda<br />
non è solo naturale, spontanea, propria: è anche sacra. L’influenza <strong>del</strong>la<br />
lezione vichiana, pur combinata con quella di altri autori, si nota anche in una<br />
dichiarazione d’intenti poetici (ancora una volta mascherata da commento al<br />
lavoro altrui) che svela il progetto ungarettiano:<br />
Per ri<strong>apri</strong>re il futuro alla poesia rituffandolo nel passato, anche in quello<br />
antichissimo e mescolato con le origini sacre <strong>del</strong>la parola, Mallarmé come Bau<strong>del</strong>aire,<br />
sforzandosi di dare al Romanticismo giusti limiti non poteva se non seguire<br />
l’esempio <strong>del</strong> Leopardi, voglio dire <strong>del</strong> maggiore poeta moderno, se non <strong>del</strong> solo<br />
veramente grande 495.<br />
Sempre in Rapporto con il Petrarca e introduzione al commento <strong>del</strong>l’«Angelo Mai»,<br />
riprendendo alcune annotazioni leopardiane sulla 'familiarità' di alcuni<br />
vocaboli, Ungaretti specifica in quale senso vada intesa questa connotazione;<br />
come si noterà leggendo, il concetto di ‘familiarità’ leopardiano, come lo<br />
propone Ungaretti, è debitore <strong>del</strong>le teorie vichiane ed è implicato con le<br />
origini <strong>del</strong> linguaggio, che anche Ungaretti intende sacre, come abbiamo<br />
appena visto e come qui viene ribadito. Tale caratteristica, infatti,<br />
è una dote che permette all’espressione di tornare in contatto diretto con le cose e<br />
quindi con il loro mistero; è la dote che permette di ricondurre il linguaggio a quel<br />
punto dove, non essendo ancora separato dalle cose stesse da millenni di arte e di<br />
incrostazioni di convenzionalismi rettorici, è affidato a momenti di puro prodigio.<br />
La familiarità è la principale dote degli scrittori agli esordi d’una storia letteraria, ed<br />
essa si lega all’idea che il Leopardi si faceva <strong>del</strong> primitivo.<br />
Tale idea leopardiana <strong>del</strong> primitivo, come abbiamo visto, è un’idea intrisa di<br />
495 GIUSEPPE UNGARETTI, Rapporto con il Petrarca e introduzione al commento <strong>del</strong>l’«Angelo Mai», cit.,<br />
p. 863 (corsivo nostro).<br />
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