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Visualizza/apri - Università Cattolica del Sacro Cuore

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come abbiamo appena detto: la grande fantasia dei primi uomini faceva<br />

interpretare loro ogni evento inspiegabile come manifestazione <strong>del</strong> divino<br />

che la animava. Infatti Vico sostiene che per i primi uomini, bestioni rozzi ma<br />

dotati di una «corpolentissima fantasia», tutto ciò che non potevano spiegarsi<br />

era ‘divino’, che poco si discosta da ‘magico’; e ‘divina’ era anche la loro<br />

poesia 486; tali primi uomini non erano solo poeti ma parlavano una lingua<br />

sacra; non solo erano calati in una dimensione prossima alla divinità, erano a<br />

stretto contatto con «gli dei [che] praticavano in terra con gli uomini»; in più,<br />

sostiene Vico, l’origine di ogni civiltà è segnata dall’insorgere <strong>del</strong>la religione.<br />

In Vico quindi le origini <strong>del</strong>l’umanità sono caratterizzate dal contatto col<br />

divino, sono intimamente religiose. Ungaretti, fra queste molteplici<br />

connotazioni in senso religioso <strong>del</strong>la temperie <strong>del</strong>le origini, da poeta,<br />

privilegia le implicazioni linguistiche e le ricadute che un eventuale ritorno a<br />

quella temperie, per quanto possibile, può avere per l’individuo. Ribadisce<br />

infatti l’idea che il ritorno alle origini deve, pena l’inutilità <strong>del</strong> tentativo,<br />

causare un ringiovanimento <strong>del</strong>la lingua e <strong>del</strong>l’uomo, un recupero<br />

<strong>del</strong>l’innocenza morale. È molto probabile che questo mito si possa far<br />

risalire, tra le fonti ungarettiane, a Platone e alla speculazione cristiana e, non<br />

a caso, è un’idea latente anche in Vico, come ha ben notato Battistini 487,<br />

probabilmente proprio in virtù <strong>del</strong>la predilezione vichiana per il filosofo<br />

ateniese, condivisa da Ungaretti.<br />

486 «Questa fu la loro propia poesia [...] nata da ignoranza di cagioni [...] Tal poesia incominciò<br />

in essi divina, perché nello stesso tempo ch’essi immaginavano le cagioni <strong>del</strong>le cose, che sentivano ed<br />

ammiravano, esser dèi»; ivi, p. 570.<br />

487 «Molti altri pensatori che cercano la più matura sapienza filosofica guardano al tramonto, al<br />

crepuscolo quando finalmente si alza in volo l’uccello di Minerva [...] Per reagire alla vecchiaia di<br />

oggi, prodotta da un uso eccessivo <strong>del</strong>la ragione, Vico chiede aiuto alla retorica allo scopo di fare<br />

sulla nostra mente un’opera di ringiovanimento, attraverso un ritorno alle invenzioni fantastiche<br />

<strong>del</strong>l’infanzia <strong>del</strong>l’umanità»; ANDREA BATTISTINI, La retorica vichiana tra ermeneutica e antropologia, in<br />

IDEM, La sapienza retorica di Giambattista Vico, Napoli, Angelo Guerini e Associati, 1995, pp. 77; la<br />

stessa idea è ribadita poi con queste parole: «l’uomo moderno [secondo Vico], se non vuole essere<br />

ridotto al silenzio da quello che hanno già detto gli altri, deve compiere in se stesso un’opera di<br />

ringiovanimento ermeneutico e linguistico che è soprattutto una purificazione, ottenuta con una<br />

critica negativa che consente di spogliarsi <strong>del</strong> presente [...] Alla vecchiaia di oggi, causata da un uso<br />

ipertrofico <strong>del</strong>la ragione, si deve reagire immergendosi nelle sublimi invenzioni <strong>del</strong>l’infanzia<br />

<strong>del</strong>l’umanità» ANDREA BATTISTINI, Intertestualità e «angoscia <strong>del</strong>l’influenza»: Vico lettore agonistico, in<br />

IDEM, La sapienza retorica di Giambattista Vico, cit., pp. 127 e 128).<br />

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