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Visualizza/apri - Università Cattolica del Sacro Cuore

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Infatti nella poesia italiana le cose sono avvenute così, facendo un discorso da<br />

poeta: c’è stato un tempo nel quale i poeti, come tutti i loro contemporanei, non<br />

solo credevano nel soprannaturale, ma sapevano esattamente com’era fatto e<br />

potevano facilmente rappresentarlo. A poco a poco nasce il sospetto che quel<br />

soprannaturale non sia che immagine <strong>del</strong>la natura. Mettiamo che il sospetto sia nato<br />

col Petrarca. Da quel momento non s’è più pensato che Dio si facesse natura<br />

perché l’uomo, a suo agio, lo potesse interpretare. La poesia cessò d’essere verbo<br />

<strong>del</strong> Signore. Ogni oggetto tornò a prendere, insieme all’uomo, il suo carattere di<br />

creatura, e la divinità, allontanatasi, tornò ad essere l’inconoscibile 483.<br />

Queste frasi, <strong>del</strong> 1926, lasciano intuire una conoscenza di Vico, pur non<br />

approfondita, anteriore agli anni Trenta 484 (certamente anche per effetto <strong>del</strong><br />

saggio crociano, che è <strong>del</strong> 1911, ma non solo: abbiamo già rilevato che Papini<br />

in particolare ma, più in generale, l’ambiente vociano furono estimatori <strong>del</strong><br />

filosofo napoletano). Il poeta, proprio sulla scorta di Vico, ritiene che<br />

nell’epoca mitica in cui vissero i primi uomini, tutti i fenomeni che non<br />

avevano una spiegazione plausibile, ed erano la grandissima maggioranza,<br />

erano considerati manifestazione di interventi divini; l’evoluzione <strong>del</strong> sapere<br />

ha contribuito ad invalidare molte di quelle spiegazioni, togliendo molta<br />

<strong>del</strong>l’aura magica e divina, che le ricopriva. Se però rimaniamo al contatto fra<br />

gli uomini, poeti o meno, e il divino possiamo facilmente verificare che Vico<br />

aveva già affermato l’estrema vicinanza fra i primi uomini e gli dei, dal<br />

momento che una <strong>del</strong>le «particolarità [che] la storia favolosa ci narra [è] che<br />

gli dei praticavano in terra con gli uomini» 485. Affermazioni che vanno intese<br />

483 GIUSEPPE UNGARETTI, Barbe finte, in IDEM, Vita d’un uomo. Saggi e interventi, cit., pp. 120-121.<br />

Le stesse frasi sono ripetute in Innocenza e memoria.<br />

484 La spia potrebbe essere la frase «come tutti i loro contemporanei». Infatti essa lascia<br />

intendere che non solo i poeti ma tutti gli individui <strong>del</strong>l’età <strong>del</strong>le origini potessero, poeticamente,<br />

rappresentarsi il soprannaturale, ossia il divino; tesi che ricorda le affermazioni vichiane circa gli dei<br />

che «praticavano» in terra con gli uomini.<br />

485 GIAMBATTISTA VICO, Opere, cit., pp. 469; ribadito in un altro passo, secondo cui nell’«età<br />

<strong>del</strong>l’oro de’ greci, [...] gli dei praticavano in terra con gli uomini», ivi p. 583.<br />

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