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Cap. 5. L’innocenza ungarettiana e la lezione di Vico<br />
Ungaretti non formula una definizione univoca o stabile <strong>del</strong> concetto di<br />
innocenza; come per il corrispettivo memoria, il significato varia, è<br />
differenziato da scritto a scritto; il modo per coglierne i tratti complessivi,<br />
allora, sarà di recuperare le numerose occorrenze e, considerando ognuna di<br />
queste un tassello, ricomporre il quadro che ne possa fornire un’idea più<br />
precisa. Sappiamo che Ungaretti pone la questione, come altri han fatto<br />
prima di lui, <strong>del</strong>la rigenerazione <strong>del</strong>la lingua (e con essa <strong>del</strong>l’uomo) in<br />
connessione con il recupero <strong>del</strong>le origini e di una condizione primigenia.<br />
L’innocenza – non è qui rilevante distinguere se essa sia predicato <strong>del</strong>la<br />
lingua, <strong>del</strong>l’arte o <strong>del</strong>la poesia – è dunque in stretta relazione con le origini,<br />
con il momento iniziale <strong>del</strong>la civiltà umana, ed è analizzando le affermazioni<br />
fatte intorno alle origini <strong>del</strong>la lingua che possiamo cogliere quei tasselli di cui<br />
dicevamo poco sopra. Tasselli, ossia termini che tra loro sono parzialmente<br />
sinonimi, che identificano in modo difettoso il più ampio e sfumato concetto<br />
di innocenza, che ne colgono alcune caratteristiche, ricomponendo le quali<br />
potremo meglio comprenderne l’articolazione.<br />
Dice Ungaretti che, ai tempi di Tasso, l’italiano era già lingua dotta, una<br />
lingua che aveva raggiunto un ideale apice di sviluppo, dal cui culmine poteva<br />
solo declinare; infatti:<br />
ci accorgiamo già forse un po’ troppo che giunti a lui, l’italiano è già lingua dotta,<br />
non solo nobilitata dall’esperienza propria di più di due secoli, ma, recuperata intera<br />
la memoria dei suoi antichi studi, in possesso di tale energia da ritenersi capace di<br />
rendere semplici e favolose le proprie parole a furia d’artificio, d’arrivare a fare cioè<br />
per letteratura quanto poteva un Dante scrutando le cose, sforzandole a incarnare<br />
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