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20.06.2013 Views

L’importanza della memoria per i primi uomini, come li immaginava Vico, è stata già messa in evidenza ancora da Rossi: «Nell’età poetica dominano infatti quelle facoltà, come il senso, la fantasia, l’ingegno, la memoria» 382, e un avveduto commentatore come Mazzotta sostiene che «La suddivisione schematica tra historia, fabula e argumentum, che è canonica nella tradizione, è dissolta da Vico nella persuasione che rigide demarcazioni tra vero, fittizio e probabile, si mostrano inconsistenti in poesia. In questa intensa meditazione sull’archeologia e sull’usura della metafora – il suo inarrestabile movimento dal vero all’improprio, fino all’inverosimile e all’improbabile – Vico inscena la storicità e temporalità della lingua, l’azione corrosiva del tempo che altera e cancella il nesso originario tra favole ed esperienze da esse incarnate. In tal senso, la poesia è indissolubilmente legata alla memoria, ed è essa stessa memoria, sia perché conserva i vestigi arcaici del passato, sia perché vi si depositano i sedimenti del tempo» 383. La memoria dunque è un elemento basilare nella concezione vichiana della vita dei primi uomini, del loro rapportarsi con la realtà che li circonda e che li affascina con l’imprevedibilità delle sue manifestazioni. Secondo Vico dunque la poesia degli antichi dipende, quindi, anche dalla loro memoria. A queste considerazioni aggiungiamo una nostra osservazione: Vico, nel Libro III della Scienza Nuova – intitolato Della discoverta del vero Omero – spiegando come le antiche narrazioni siano giunte fino a noi, torna sulla omologia tra memoria e fantasia, sostenendo che: tali storie si dovettero naturalmente conservare a memoria da’ comuni de’ popoli per la prima pruova testé mentovata, che, come fanciulli delle nazioni, dovettero poesia alla quale riesce esiziale quel metodo geometrico che ottenebra la fantasia e annienta la memoria, mentre i migliori poeti sono ricchi di fantasia e loro nume tutelare è la Memoria insieme con le Muse sue figlie»; PAOLO ROSSI, Le sterminate antichità e nuovi saggi vichiani, Firenze, La Nuova Italia, 1999, p. 10. 382 PAOLO ROSSI, Introduzione a GIAMBATTISTA VICO, La Scienza Nuova, cit., p. 33. 383 GIUSEPPE MAZZOTTA, La nuova mappa del mondo. La filosofia poetica di Giambattista Vico, Torino, Einaudi, 1999, p. 152 (corsivo nostro). 148

maravigliosamente valere nella memoria. E ciò non senza divino provvedimento: poiché infin a’ tempi d’esso Omero, ed alquanto dopo di lui, non si era ritruovata ancora la scrittura volgare [...] in tal umana bisogna i popoli, i quali erano quasi tutti corpo e quasi niuna riflessione, fussero tutti vivido senso in sentir i particolari, forte fantasia in apprendergli ed ingrandirgli, acuto ingegno nel rapportargli a’ loro generi fantastici, e robusta memoria nel ritenergli. Le quali facultà appartengono, egli è vero, alla mente, ma mettono le loro radici nel corpo e prendon vigore dal corpo. Onde la memoria è la stessa che la fantasia [...] E prende tali tre differenze: ch’é memoria, mentre rimembra le cose; fantasia mentre l’altera e contrafà; ingegno, mentre le contorna e pone in acconcezza ed assestamento. Per le quali cagioni i poeti teologi chiamarono la Memoria “madre delle muse” 384. La memoria dunque, si articolerebbe in tre momenti: memoria vera e propria, fantasia e ingegno, a seconda dell’azione esercitata su quello che oggi definiremmo materiale mnestico: se ricorda, se altera o se riordina. La «prima operazion della mente» riassume in sé tutte le principali operazioni che la mente può esercitare, da qui la sua fondamentale importanza per la vita dei primi uomini. Questa facoltà fondamentale, in cui i fanciulli delle nazioni «dovettero meravigliosamente valere» è anche un attributo divino, nel senso che ci è stata donata da Dio o, con le parole di Vico, donata agli uomini «non senza divino provvedimento»; altrimenti non si spiegherebbe, lascia intendere Vico, come i primi popoli potessero ricordare una così grande mole di storie 385. Questa idea della memoria come attributo divino è un elemento partecipe della più ampia concezione della memoria come la intende 384 GIAMBATTISTA VICO, Opere, cit., p. 827-828 (corsivo nostro). La questione dell’importanza dei sensi nell’influenzare la memoria, in Vico e in Ungaretti, richiede uno spazio che non ci è concesso e che ci porterebbe troppo lontano dal nostro discorso; basti però segnalare l’affermazione di Ungaretti secondo cui «È nel rilievo che dal diverso rapporto d’intensità tra sensi e memoria in quanto abbiano mosso nella parola sentimento e fantasia, si distinguerà per sempre l’una dall’altra ciascuna persona di poeta» (GIUSEPPE UNGARETTI, Góngora al lume d’oggi, in IDEM, Vita d’un uomo. Saggi e interventi, cit., p. 544) per capire a quale profondità il pensiero vichiano era penetrato nelle riflessioni ungarettiane. 385 «Gli arabi, ignoranti di lettera [scrittura], conservarono la loro lingua con tener a memoria i loro poemi finattanto ch’innondarono le provincie orientali del greco imperio», GIAMBATTISTA VICO, Opere, cit., p. 625. 149

maravigliosamente valere nella memoria. E ciò non senza divino provvedimento: poiché<br />

infin a’ tempi d’esso Omero, ed alquanto dopo di lui, non si era ritruovata ancora la<br />

scrittura volgare [...] in tal umana bisogna i popoli, i quali erano quasi tutti corpo e<br />

quasi niuna riflessione, fussero tutti vivido senso in sentir i particolari, forte fantasia<br />

in apprendergli ed ingrandirgli, acuto ingegno nel rapportargli a’ loro generi<br />

fantastici, e robusta memoria nel ritenergli. Le quali facultà appartengono, egli è<br />

vero, alla mente, ma mettono le loro radici nel corpo e prendon vigore dal corpo.<br />

Onde la memoria è la stessa che la fantasia [...] E prende tali tre differenze: ch’é<br />

memoria, mentre rimembra le cose; fantasia mentre l’altera e contrafà; ingegno,<br />

mentre le contorna e pone in acconcezza ed assestamento. Per le quali cagioni i<br />

poeti teologi chiamarono la Memoria “madre <strong>del</strong>le muse” 384.<br />

La memoria dunque, si articolerebbe in tre momenti: memoria vera e propria,<br />

fantasia e ingegno, a seconda <strong>del</strong>l’azione esercitata su quello che oggi<br />

definiremmo materiale mnestico: se ricorda, se altera o se riordina. La «prima<br />

operazion <strong>del</strong>la mente» riassume in sé tutte le principali operazioni che la<br />

mente può esercitare, da qui la sua fondamentale importanza per la vita dei<br />

primi uomini. Questa facoltà fondamentale, in cui i fanciulli <strong>del</strong>le nazioni<br />

«dovettero meravigliosamente valere» è anche un attributo divino, nel senso<br />

che ci è stata donata da Dio o, con le parole di Vico, donata agli uomini «non<br />

senza divino provvedimento»; altrimenti non si spiegherebbe, lascia intendere<br />

Vico, come i primi popoli potessero ricordare una così grande mole di<br />

storie 385. Questa idea <strong>del</strong>la memoria come attributo divino è un elemento<br />

partecipe <strong>del</strong>la più ampia concezione <strong>del</strong>la memoria come la intende<br />

384 GIAMBATTISTA VICO, Opere, cit., p. 827-828 (corsivo nostro). La questione <strong>del</strong>l’importanza<br />

dei sensi nell’influenzare la memoria, in Vico e in Ungaretti, richiede uno spazio che non ci è<br />

concesso e che ci porterebbe troppo lontano dal nostro discorso; basti però segnalare l’affermazione<br />

di Ungaretti secondo cui «È nel rilievo che dal diverso rapporto d’intensità tra sensi e memoria in<br />

quanto abbiano mosso nella parola sentimento e fantasia, si distinguerà per sempre l’una dall’altra<br />

ciascuna persona di poeta» (GIUSEPPE UNGARETTI, Góngora al lume d’oggi, in IDEM, Vita d’un uomo.<br />

Saggi e interventi, cit., p. 544) per capire a quale profondità il pensiero vichiano era penetrato nelle<br />

riflessioni ungarettiane.<br />

385 «Gli arabi, ignoranti di lettera [scrittura], conservarono la loro lingua con tener a memoria i<br />

loro poemi finattanto ch’innondarono le provincie orientali <strong>del</strong> greco imperio», GIAMBATTISTA<br />

VICO, Opere, cit., p. 625.<br />

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