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sempre più labile.<br />

Davide Luglio sostiene che i sintagmi «sentimento <strong>del</strong> vuoto» e «memoria<br />

<strong>del</strong>l’assenza» segnalano «in modo significativo la presenza di Vico» 351; infatti<br />

la concezione ungarettiana <strong>del</strong>l’atto poetico ha molto in comune con «l’idea<br />

vichiana di una scienza nuova in quanto la poesia, definita come libertà e<br />

sentimento <strong>del</strong>l’eterno, è irrealizzabile al di fuori <strong>del</strong>la memoria» 352. La<br />

presenza di Vico nell’opera ungarettiana prenderebbe corpo, inizialmente,<br />

come un debito estetico, per via <strong>del</strong>l’appartenenza <strong>del</strong> poeta ad una corrente<br />

estetica che concepisce l’arte sì come un fatto estetico ma anche morale, il cui<br />

capostipite sarebbe il filosofo napoletano. Quanto «alla natura <strong>del</strong>la<br />

determinazione morale, essa è da ricercarsi nella caratterizzazione <strong>del</strong>la<br />

memoria come coscienza <strong>del</strong> perire» 353, che va interpretata non come<br />

Manzoni cioè in senso neoclassico ma come Vico e Leopardi, cioè in senso<br />

rettamente (così direbbe Ungaretti) romantico. Nella seconda prolusione<br />

brasiliana, continua Luglio, Ungaretti chiarisce che il perire non è la morte<br />

<strong>del</strong>l’individuo ma il suo vivere «in una temporalità che non abbiamo scelto, di<br />

cui non conosciamo la causa» 354; grazie a questa consapevolezza <strong>del</strong> perire<br />

l’uomo scopre Dio ma, per recuperare la sostanza etica <strong>del</strong>la parola, è<br />

necessario chiamare in causa la memoria storica. Inoltre se l’evoluzione<br />

<strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong>l’umanità sottostanno alle stesse regole, si può pensare un<br />

tentativo di risalita alle origini <strong>del</strong>l’uomo attraverso il linguaggio, Vico docet, la<br />

cui teoria evolutiva, e la fondamentale connessione uomo-linguaggio, è<br />

ripresa da Ungaretti. Luglio prosegue mostrando che anche negli sforzi di<br />

comprensione <strong>del</strong> barocco romano si ritrova, ma in una luce diversa, la<br />

presenza di Vico: infatti le rovine a cui Ungaretti fa spesso cenno non sono<br />

351 DAVIDE LUGLIO, Sentimento <strong>del</strong> vuoto e memoria <strong>del</strong>l’assenza. La presenza di Vico nella poetica<br />

ungarettiana, in «Revue des Études Italiennes», 49 (2003), 1-2, pp. 143-156 :145. Pagine lucide sul<br />

vichianesimo di Ungaretti, si leggono in DANIELA BARONCINI, Ungaretti e il sentimento <strong>del</strong> classico,<br />

Bologna, Il Mulino, pp. 191-199.<br />

352 Ibidem (corsivo originale).<br />

353 Ivi, p. 147.<br />

354 Ivi, p. 149.<br />

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