PENTATEUCO 3 STORIA DI GIUSEPPE - Home Page FTTR

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20.06.2013 Views

interesse, come la mummificazione o il lusso di corte. Si parla con disinvoltura di fronte agli stranieri: Giuseppe diventa egiziano, assume un nome egiziano e sposa un’egiziana, la bella Asenet, figlia, per giunta, di un sacerdote. C – Appare l’ideale formativo del giovane del tempo (cf l’immagine di Davide in 1Sam 16,18: fortezza - abile combattente - bellezza e capacità oratoria, e quella di Giuseppe in Gen 39,6). • Educazione a ben parlare e ben tacere (cf Prov 16,23;18,21 e 25,15). Giuseppe da ragazzo protagonista che «spiffera tutto» (e diventa antipatico), impara a controllare i suoi impulsi. Riscopre invece un nuovo ruolo, di servizio, di fronte alla sua famiglia. È richiesta la capacità del consiglio e del discorso politico, soprattutto nei momenti decisivi; è importante la parola indovinata (Gen 44,18ss discorso di Giuda, cf Achitofel e Chusai in 2Sam 17,23). In Gen 43,17-25 compare il maestro di sapienza (cf Prov 14,26;25,11). • Dominio di sé. Nell’episodio della moglie di Potifare, prima che casto Il racconto è attento a descrivere usi e costumi differenti di fronte alla donna «straniera», Giuseppe si rivela onesto, non tocca ciò che è possesso del padrone. D – Religiosità in filigrana. Emerge un modo di sentire che descrive l’ambito della vita umana senza miracoli, né visioni o apparizioni né altari. Non si impartisce un’educazione religiosa, ma tutto parte dalla rivelazione (il «timor di Dio») che sta alla base del comportamento (cf Gen 42,18 con Prov 1,7,ecc.). Il racconto accentua l’enigma dell’intreccio tra il governo di Dio e l’agire umano. «Anche là, dove nessun uomo lo potrebbe ammettere, Dio ha tenuto in mano tutti i fili della storia. Ma questo viene solo affermato e non spiegato» (cf. Prov 16,9; 10,24). 2 Potremmo anche dire il racconto tratta delle imperscrutabili ma infallibili vie della divina provvidenza. 3 È il misterioso potere di Dio che opera per mezzo, e anche a dispetto, delle vicende, delle passioni e dei poteri umani. • Il fenomeno è percepibile anche nella narrazione della successione al trono di Davide (2Sam-1Re), dove scompaiono le istituzioni sacrali: culto e guerra santa, uomini eletti e miracolo. Così, nella storia di Giuseppe Dio è molto presente, ma in «filigrana». Lo scopo del racconto è dimostrare l’azione di Dio nascosta nell’intreccio delle vicende umane (cf 45,4-8): «È per la conservazione della vita di molti, per la sopravvivenza di molti». Giuseppe è sottomesso a Dio, che fa servire il male al bene (50,19-20), non si pone al suo posto. • Il perdono stesso (50,17) non è un regolamento puramente umano. Esso rientra nel rapporto uomo-Dio. Tuttavia, si parla del tema evitando ogni formula tradizionale, concetto pio o cultuale. Giuseppe non vuol determinare o misurare la colpa, gli interessa far ravvedere i fratelli con le «prove», affinché riscoprano la «fraternità» e riconoscano il rapporto della loro azione con Dio. Lo stupore per la «via di Dio», tipico della sapienza, nonostante la palese mondanità, è dietro l’intera storia di Giuseppe. Prevale l’uomo o Dio? La storia non lo dice. Forse suggerisce: «Che succederebbe se l’uomo fosse lasciato solo con la sua conoscenza?». 2 VON RAD, La storia di Giuseppe, p.144. 3 W. BRUEGGEMANN, Genesi, p. 355, accosta la vicenda di Giuseppe a Rm 8,28-30: anche se il passo di Romani è cristologico, Paolo parla dello stesso “bene” di cui Giuseppe parla ai propri fratelli in Gen 50,20. 112

E – Infine, i sogni diventano importanti per l’economia del racconto. Il sogno iniziale, che delinea il rapporto tra Giuseppe e i fratelli, mette in moto l’azione del racconto. Vi è annunciato il progetto di Dio (Gen 37,5) che appare realizzato nell’affermazione dossologica finale (Gen 50,20). Vi è un particolare concetto dei sogni: appartengono a Dio che ha in suo potere le interpretazioni (Gen 40,8). Sono nelle sue mani non in quelle dell’uomo, neppure del faraone. Sono manifestazioni di disegni noti soltanto a lui. Vi è dunque la necessità di avere interpreti qualificati che abbiano ricevuto da Dio tale dono, come Giuseppe, “signore dei sogni” (ba‘al hā-ÐÃlōmôt) e loro interprete. Questo concetto rientrava anche nella cultura egiziana. I sogni, subordinati al sogno iniziale di Giuseppe, sono contraddistinti da tre intenti teologici: (1) sono teonomi, cioè hanno a che fare con Dio e il suo regno: rivelano ciò che Dio farà nel regno di faraone, come il sogno iniziale mostra ciò che farà di Giuseppe; (2) sono kerygmatici, ossia preannuncio di una nuova situazione non deducibile dal presente; (3) sono escatologici, in quanto annunciano la futura soluzione da parte di Dio di alcune vicende umane. 4 Inoltre, il dono dell’interpretazione dei sogni permette di distinguere Giuseppe dai saggi egiziani. Solo lui dimostra di essere “saggio e prudente” perché dotato di uno spirito sovrumano (rïÃÐ ºeláhÔm, 41,33.38.39, così Daniele). Dalla spiegazione egli passa ai consigli, a promuovere il bene comune. In definitiva, Dio ha in serbo un progetto che si realizzerà nel contesto dell’Egitto. Il fatto che Dio sia con Giuseppe, indica che il futuro è nelle mani di Dio, il quale però si servirà della persona di Giuseppe, interprete dei sogni e fonte di benedizione. L’affermazione: «Non è forse Dio che ha in mano le interpretazioni?», e l’invito a raccontare mette in primo piano sia la regalità di Dio che il ruolo di Giuseppe come interprete. Il sogno si realizza perché risponde a un piano divino. La verità dell’interprete dei sogni può dunque essere messa in parallelo con l’attività del profeta: la sua parola si realizza non per una potenza magica intrinseca all’oracolo, ma perché annuncia il piano e la verità di Dio. Insieme alle visioni, i sogni acquisteranno particolare importanza nella letteratura apocalittica, sostituendo, in qualche modo, la profezia: Dio veglia sul sogno e sul sognatore per realizzare il suo messaggio (cf Gl 3 e Dan). Nel testo non manca un accenno alla magia. Lo stesso Giuseppe si definisce come uno che pratica la divinazione (niÐēš) e trae presagi bevendo da una coppa (Gen 44,5.15), senza che ci sia una parola di disapprovazione. Forse allude a una forma di lecanomanzia che traeva auspici osservando la forma che assumeva una goccia d’olio lasciata cadere in una coppa d’acqua. 5 4 Cf W. BRUEGGMANN, Genesi, p. 388s. Lo stesso autore rivendica un approccio ai sogni diverso rispetto alla storia delle religioni e alle teorie moderne sul loro significato. In particolare, i sogni di Gen 40, (a) rispetto alla teoria freudiana – ci aiutano a rivivere e a rielaborare il passato rimosso – non si riferiscono al passato, ma al futuro; (b) rispetto alla teoria junghiana – i sogni sono dati di un inconscio collettivo che aiutano a discernere un ambito della realtà ignoto e generico – sono del tutto concreti e specifici, e profetizzano qualcosa di nuovo; (c) infine, rispetto a un certo gnosticismo psicologico che ritiene di interpretare i sogni tramite tecniche specifiche, qui il sogno è dono come la sua interpretazione, che è recepita grazie al potere che Dio conferisce come carisma a un dato individuo. 5 Sui sogni, cf M. MILANI, «“Ecco viene il sognatore!”», in Parole di Vita N.S. (3/1995) 16-21; sulla lecanomanzia e il metodo dell’aruspice (bārû) in Mesopotamia, cf J. RENGER, «Untersuchungen zum Priestertum in der altbabilonischen Zeit», ZA 59 (1969) 208 (cf pp. 104-239); G. PETTINATO, Die Oelwahrsagung bei den Babylonen, 2 voll., Roma 1966. Questa forma di divinazione fa parte dell’osservazione dei liquidi. Per Giu- 113

interesse, come la mummificazione o il lusso di corte. Si parla con disinvoltura di<br />

fronte agli stranieri: Giuseppe diventa egiziano, assume un nome egiziano e sposa<br />

un’egiziana, la bella Asenet, figlia, per giunta, di un sacerdote.<br />

C – Appare l’ideale formativo del giovane del tempo (cf l’immagine di Davide in 1Sam<br />

16,18: fortezza - abile combattente - bellezza e capacità oratoria, e quella di Giuseppe<br />

in Gen 39,6).<br />

• Educazione a ben parlare e ben tacere (cf Prov 16,23;18,21 e 25,15). Giuseppe da<br />

ragazzo protagonista che «spiffera tutto» (e diventa antipatico), impara a controllare<br />

i suoi impulsi. Riscopre invece un nuovo ruolo, di servizio, di fronte alla sua<br />

famiglia.<br />

È richiesta la capacità del consiglio e del discorso politico, soprattutto nei momenti<br />

decisivi; è importante la parola indovinata (Gen 44,18ss discorso di Giuda,<br />

cf Achitofel e Chusai in 2Sam 17,23). In Gen 43,17-25 compare il maestro di sapienza<br />

(cf Prov 14,26;25,11).<br />

• Dominio di sé. Nell’episodio della moglie di Potifare, prima che casto Il racconto è<br />

attento a descrivere usi e costumi differenti di fronte alla donna «straniera», Giuseppe<br />

si rivela onesto, non tocca ciò che è possesso del padrone.<br />

D – Religiosità in filigrana. Emerge un modo di sentire che descrive l’ambito della vita<br />

umana senza miracoli, né visioni o apparizioni né altari. Non si impartisce<br />

un’educazione religiosa, ma tutto parte dalla rivelazione (il «timor di Dio») che sta alla<br />

base del comportamento (cf Gen 42,18 con Prov 1,7,ecc.). Il racconto accentua<br />

l’enigma dell’intreccio tra il governo di Dio e l’agire umano. «Anche là, dove nessun<br />

uomo lo potrebbe ammettere, Dio ha tenuto in mano tutti i fili della storia. Ma questo<br />

viene solo affermato e non spiegato» (cf. Prov 16,9; 10,24). 2 Potremmo anche dire il<br />

racconto tratta delle imperscrutabili ma infallibili vie della divina provvidenza. 3 È il<br />

misterioso potere di Dio che opera per mezzo, e anche a dispetto, delle vicende, delle<br />

passioni e dei poteri umani.<br />

• Il fenomeno è percepibile anche nella narrazione della successione al trono di Davide<br />

(2Sam-1Re), dove scompaiono le istituzioni sacrali: culto e guerra santa, uomini<br />

eletti e miracolo. Così, nella storia di Giuseppe Dio è molto presente, ma in<br />

«filigrana». Lo scopo del racconto è dimostrare l’azione di Dio nascosta<br />

nell’intreccio delle vicende umane (cf 45,4-8): «È per la conservazione della vita<br />

di molti, per la sopravvivenza di molti». Giuseppe è sottomesso a Dio, che fa servire<br />

il male al bene (50,19-20), non si pone al suo posto.<br />

• Il perdono stesso (50,17) non è un regolamento puramente umano. Esso rientra nel<br />

rapporto uomo-Dio. Tuttavia, si parla del tema evitando ogni formula tradizionale,<br />

concetto pio o cultuale. Giuseppe non vuol determinare o misurare la colpa, gli interessa<br />

far ravvedere i fratelli con le «prove», affinché riscoprano la «fraternità» e<br />

riconoscano il rapporto della loro azione con Dio.<br />

Lo stupore per la «via di Dio», tipico della sapienza, nonostante la palese mondanità,<br />

è dietro l’intera storia di Giuseppe. Prevale l’uomo o Dio? La storia non lo dice.<br />

Forse suggerisce: «Che succederebbe se l’uomo fosse lasciato solo con la sua conoscenza?».<br />

2 VON RAD, La storia di Giuseppe, p.144.<br />

3 W. BRUEGGEMANN, Genesi, p. 355, accosta la vicenda di Giuseppe a Rm 8,28-30: anche se il passo di Romani<br />

è cristologico, Paolo parla dello stesso “bene” di cui Giuseppe parla ai propri fratelli in Gen 50,20.<br />

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