PENTATEUCO 3 STORIA DI GIUSEPPE - Home Page FTTR
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La storia di Giuseppe<br />
Genesi 37-50<br />
Bibliografia<br />
G. VON RAD, La storia di Giuseppe (Die Josephsgeschichte), in Gli inizi della nostra storia, Marietti, Torino<br />
1974, pp.128-147; IDEM, Genesi, Paideia, Brescia 1972, pp.492ss;<br />
D. ARENHOEVEL, Genesi, Cittadella, Assisi 1987, pp. 331-342;<br />
A. BONORA, La storia di Giuseppe. Genesi 37-50 (LoB 1.3), Queriniana, Brescia 1982.<br />
W. BRUEGGEMANN, Genesi, Claudiana, Torino 2002 (orig. Ingl. Genesis, John Knox Press, Atlanta 1982).<br />
J.L. SKA, Il libro sigillato e il libro aperto, EDB, Bologna 2005, «La scoperta del disegno di Dio nella storia<br />
di Giuseppe», pp. 299-313.<br />
L. ALONSO SCHÖKEL, Giuseppe e i suoi fratelli, Paideia, Brescia 1994; da IDEM, Dov’è tuo fratello? (Biblioteca<br />
di cultura religiosa 50), Paideia, Brescia 1987 (ed spagnola: ¿dónde está tu hermano? Textos de fraternidad<br />
en el libro del Génesis, Institucion San Jerónimo, Valencia 1985);<br />
IDEM, Pentateuco, I – Genesis * Exodo, Ediciones Cristiandad, Madrid 1970.<br />
N MARCONI, Dal silenzio al dialogo. Analisi narrativa della storia di Giuseppe (Gen 37-50), Estratto della<br />
Dissertazione per il Dottorato in teologia biblica, Laser Print, Città di Castello (PG) 1999.<br />
A. WÉNIN, Giuseppe o l’invenzione della fratellanza. Lettura narrativa e antropologica della Genesi, IV Gen<br />
37-50, EDB, Bologna 2007.<br />
La storia di Giacobbe si prolunga in quella di Giuseppe e si conclude con la benedizione<br />
dei figli (Gen 48-49) e la sua morte e sepoltura in Egitto (Gen 50). Egli chiede ai<br />
figli la promessa di essere riportato nella terra; Dio stesso infatti, prima di scendere in<br />
Egitto, gli aveva promesso di accompagnarlo e di farlo “risalire” alla terra (46,1-5a); prima<br />
di morire Giuseppe riprende il motivo annunciando che un giorno Dio condurrà il suo popolo<br />
nella terra promessa ai Padri (50,24).<br />
Da un punto di vista letterario, nel Pentateuco il racconto segna un interludio, di breve<br />
felicità, tra le antiche promesse e i gemiti degli schiavi in Egitto (Es 1-2). Prepara<br />
l’Esodo e la liberazione.<br />
Carattere sapienziale del racconto<br />
La narrazione presenta una figura ben definita, in cui l’umano è descritto nei particolari.<br />
Si respira l’atmosfera della sapienza, con molti degli elementi ad essa connessi. Giuseppe<br />
è un saggio che tale si rivela o diventa, ammaestrato dalle vicende della vita. Questi<br />
sono gli elementi emergenti.<br />
A – Al centro è l’uomo, cosciente delle sue forze spirituali e della sua intelligenza,<br />
l’uomo scandagliato nella sua complessità psichica, nella profondità misteriosa del<br />
suo intimo, percepibile nelle reazioni dei protagonisti: il padre sorpreso e rampognante<br />
il figlio «sognatore» (signore dei sogni) o col «cuore freddo» per la notizia che il figlio<br />
ancora vive; le commozioni e le paure dei protagonisti, l’incapacità di Giuseppe<br />
di trattenere il pianto, ecc.) 1 .<br />
B – Internazionalità. Si parla dell’uomo, della donna, dello schiavo, non di israeliti, cananei<br />
o egizi. Il racconto è attento a descrivere usi e costumi differenti, guardati con<br />
1 Cf F. GUYETTE, «Joseph’s Emotional Development», JBQ 32 (2004) 181-188, partendo dalle teorie<br />
dell’emozione di Fraser Watts e Robert Solomon, presenta una riflessione sulle passioni ed emozioni in Giuseppe<br />
in tre parti: (1) Gen 37: Giuseppe tra i suoi fratelli; (2) Gen 38-41: Giuseppe in Egitto; (3) Gen 42-50:<br />
Giuseppe e il piano di Dio. Nel primo caso appare un ragazzo che vuole superare i fratelli; nel secondo è un<br />
Giuseppe “greco” che controlla le sue emozioni con la virtù. Benché tradito dai fratelli, egli mantiene la fiducia<br />
in Dio consapevole che egli guidi la sua vita. Quando alla fine potrebbe rendere schiavi i suoi fratelli e realizzare<br />
il suo sogno d’infanzia, egli impara a perdonare e nel corso del racconto cresce la sua compassione<br />
per gli altri. Egli apprende a percepire il piano di Dio per la salvezza di molti (Gen 50,20).<br />
111
interesse, come la mummificazione o il lusso di corte. Si parla con disinvoltura di<br />
fronte agli stranieri: Giuseppe diventa egiziano, assume un nome egiziano e sposa<br />
un’egiziana, la bella Asenet, figlia, per giunta, di un sacerdote.<br />
C – Appare l’ideale formativo del giovane del tempo (cf l’immagine di Davide in 1Sam<br />
16,18: fortezza - abile combattente - bellezza e capacità oratoria, e quella di Giuseppe<br />
in Gen 39,6).<br />
• Educazione a ben parlare e ben tacere (cf Prov 16,23;18,21 e 25,15). Giuseppe da<br />
ragazzo protagonista che «spiffera tutto» (e diventa antipatico), impara a controllare<br />
i suoi impulsi. Riscopre invece un nuovo ruolo, di servizio, di fronte alla sua<br />
famiglia.<br />
È richiesta la capacità del consiglio e del discorso politico, soprattutto nei momenti<br />
decisivi; è importante la parola indovinata (Gen 44,18ss discorso di Giuda,<br />
cf Achitofel e Chusai in 2Sam 17,23). In Gen 43,17-25 compare il maestro di sapienza<br />
(cf Prov 14,26;25,11).<br />
• Dominio di sé. Nell’episodio della moglie di Potifare, prima che casto Il racconto è<br />
attento a descrivere usi e costumi differenti di fronte alla donna «straniera», Giuseppe<br />
si rivela onesto, non tocca ciò che è possesso del padrone.<br />
D – Religiosità in filigrana. Emerge un modo di sentire che descrive l’ambito della vita<br />
umana senza miracoli, né visioni o apparizioni né altari. Non si impartisce<br />
un’educazione religiosa, ma tutto parte dalla rivelazione (il «timor di Dio») che sta alla<br />
base del comportamento (cf Gen 42,18 con Prov 1,7,ecc.). Il racconto accentua<br />
l’enigma dell’intreccio tra il governo di Dio e l’agire umano. «Anche là, dove nessun<br />
uomo lo potrebbe ammettere, Dio ha tenuto in mano tutti i fili della storia. Ma questo<br />
viene solo affermato e non spiegato» (cf. Prov 16,9; 10,24). 2 Potremmo anche dire il<br />
racconto tratta delle imperscrutabili ma infallibili vie della divina provvidenza. 3 È il<br />
misterioso potere di Dio che opera per mezzo, e anche a dispetto, delle vicende, delle<br />
passioni e dei poteri umani.<br />
• Il fenomeno è percepibile anche nella narrazione della successione al trono di Davide<br />
(2Sam-1Re), dove scompaiono le istituzioni sacrali: culto e guerra santa, uomini<br />
eletti e miracolo. Così, nella storia di Giuseppe Dio è molto presente, ma in<br />
«filigrana». Lo scopo del racconto è dimostrare l’azione di Dio nascosta<br />
nell’intreccio delle vicende umane (cf 45,4-8): «È per la conservazione della vita<br />
di molti, per la sopravvivenza di molti». Giuseppe è sottomesso a Dio, che fa servire<br />
il male al bene (50,19-20), non si pone al suo posto.<br />
• Il perdono stesso (50,17) non è un regolamento puramente umano. Esso rientra nel<br />
rapporto uomo-Dio. Tuttavia, si parla del tema evitando ogni formula tradizionale,<br />
concetto pio o cultuale. Giuseppe non vuol determinare o misurare la colpa, gli interessa<br />
far ravvedere i fratelli con le «prove», affinché riscoprano la «fraternità» e<br />
riconoscano il rapporto della loro azione con Dio.<br />
Lo stupore per la «via di Dio», tipico della sapienza, nonostante la palese mondanità,<br />
è dietro l’intera storia di Giuseppe. Prevale l’uomo o Dio? La storia non lo dice.<br />
Forse suggerisce: «Che succederebbe se l’uomo fosse lasciato solo con la sua conoscenza?».<br />
2 VON RAD, La storia di Giuseppe, p.144.<br />
3 W. BRUEGGEMANN, Genesi, p. 355, accosta la vicenda di Giuseppe a Rm 8,28-30: anche se il passo di Romani<br />
è cristologico, Paolo parla dello stesso “bene” di cui Giuseppe parla ai propri fratelli in Gen 50,20.<br />
112
E – Infine, i sogni diventano importanti per l’economia del racconto. Il sogno iniziale,<br />
che delinea il rapporto tra Giuseppe e i fratelli, mette in moto l’azione del racconto.<br />
Vi è annunciato il progetto di Dio (Gen 37,5) che appare realizzato nell’affermazione<br />
dossologica finale (Gen 50,20).<br />
Vi è un particolare concetto dei sogni: appartengono a Dio che ha in suo potere le<br />
interpretazioni (Gen 40,8). Sono nelle sue mani non in quelle dell’uomo, neppure del<br />
faraone. Sono manifestazioni di disegni noti soltanto a lui. Vi è dunque la necessità di<br />
avere interpreti qualificati che abbiano ricevuto da Dio tale dono, come Giuseppe,<br />
“signore dei sogni” (ba‘al hā-ÐÃlōmôt) e loro interprete. Questo concetto rientrava<br />
anche nella cultura egiziana.<br />
I sogni, subordinati al sogno iniziale di Giuseppe, sono contraddistinti da tre intenti<br />
teologici: (1) sono teonomi, cioè hanno a che fare con Dio e il suo regno: rivelano<br />
ciò che Dio farà nel regno di faraone, come il sogno iniziale mostra ciò che farà di<br />
Giuseppe; (2) sono kerygmatici, ossia preannuncio di una nuova situazione non deducibile<br />
dal presente; (3) sono escatologici, in quanto annunciano la futura soluzione da<br />
parte di Dio di alcune vicende umane. 4 Inoltre, il dono dell’interpretazione dei sogni<br />
permette di distinguere Giuseppe dai saggi egiziani. Solo lui dimostra di essere “saggio<br />
e prudente” perché dotato di uno spirito sovrumano (rïÃÐ ºeláhÔm, 41,33.38.39,<br />
così Daniele). Dalla spiegazione egli passa ai consigli, a promuovere il bene comune.<br />
In definitiva, Dio ha in serbo un progetto che si realizzerà nel contesto dell’Egitto.<br />
Il fatto che Dio sia con Giuseppe, indica che il futuro è nelle mani di Dio, il quale però<br />
si servirà della persona di Giuseppe, interprete dei sogni e fonte di benedizione.<br />
L’affermazione: «Non è forse Dio che ha in mano le interpretazioni?», e l’invito a<br />
raccontare mette in primo piano sia la regalità di Dio che il ruolo di Giuseppe come<br />
interprete. Il sogno si realizza perché risponde a un piano divino. La verità<br />
dell’interprete dei sogni può dunque essere messa in parallelo con l’attività del profeta:<br />
la sua parola si realizza non per una potenza magica intrinseca all’oracolo, ma perché<br />
annuncia il piano e la verità di Dio. Insieme alle visioni, i sogni acquisteranno<br />
particolare importanza nella letteratura apocalittica, sostituendo, in qualche modo, la<br />
profezia: Dio veglia sul sogno e sul sognatore per realizzare il suo messaggio (cf Gl 3<br />
e Dan).<br />
Nel testo non manca un accenno alla magia. Lo stesso Giuseppe si definisce come<br />
uno che pratica la divinazione (niÐēš) e trae presagi bevendo da una coppa (Gen<br />
44,5.15), senza che ci sia una parola di disapprovazione. Forse allude a una forma di<br />
lecanomanzia che traeva auspici osservando la forma che assumeva una goccia d’olio<br />
lasciata cadere in una coppa d’acqua. 5<br />
4 Cf W. BRUEGGMANN, Genesi, p. 388s. Lo stesso autore rivendica un approccio ai sogni diverso rispetto alla<br />
storia delle religioni e alle teorie moderne sul loro significato. In particolare, i sogni di Gen 40, (a) rispetto alla<br />
teoria freudiana – ci aiutano a rivivere e a rielaborare il passato rimosso – non si riferiscono al passato, ma<br />
al futuro; (b) rispetto alla teoria junghiana – i sogni sono dati di un inconscio collettivo che aiutano a discernere<br />
un ambito della realtà ignoto e generico – sono del tutto concreti e specifici, e profetizzano qualcosa di<br />
nuovo; (c) infine, rispetto a un certo gnosticismo psicologico che ritiene di interpretare i sogni tramite tecniche<br />
specifiche, qui il sogno è dono come la sua interpretazione, che è recepita grazie al potere che Dio conferisce<br />
come carisma a un dato individuo.<br />
5 Sui sogni, cf M. MILANI, «“Ecco viene il sognatore!”», in Parole di Vita N.S. (3/1995) 16-21; sulla lecanomanzia<br />
e il metodo dell’aruspice (bārû) in Mesopotamia, cf J. RENGER, «Untersuchungen zum Priestertum in<br />
der altbabilonischen Zeit», ZA 59 (1969) 208 (cf pp. 104-239); G. PETTINATO, Die Oelwahrsagung bei den<br />
Babylonen, 2 voll., Roma 1966. Questa forma di divinazione fa parte dell’osservazione dei liquidi. Per Giu-<br />
113
Tecnica narrativa 6<br />
L’analisi storico-critica intuisce la fusione di due racconti precedenti (J ed E, cf. BJ e<br />
Westermann); altri autori preferiscono distinguere la «storia di Giuseppe» dal resto del<br />
Pentateuco. Redford, seguito da Lack, distingue: 1) il racconto originale o «versione Ruben»;<br />
2) sviluppi secondari a gloria di Giuda o «espansione Giuda»; 3) gli apporti del redattore<br />
di Genesi; 4) due altre aggiunte, Gn 39 e 47,13-26 7 .<br />
L’insieme è artisticamente rielaborato in un movimento lineare che mostra<br />
un’evoluzione nell’arte narrativa. La storia si distingue per l’ampiezza, per l’arte di descrivere<br />
la tensione interiore del protagonista, le reazioni psicologiche degli “attori” e le<br />
tensioni familiari o di provocare emozioni nei lettori. Il tono del racconto è lirico e<br />
drammatico insieme, con motivi comuni ad altre letterature: la seduttrice respinta che si<br />
vendica, il fratello minore che s’impone, il sogno che si avvera, l’innocente umiliato che<br />
trionfa. Caratteri salienti del racconto sono il ricorso alla duplicità di scene e situazioni<br />
(con varianti), occultamento e riconoscimento (anágnosis), ironia drammatica.<br />
I sogni fanno presagire a Giuseppe la sua esaltazione e la sottomissione dei suoi fratelli.<br />
A questi si aggiungono le preferenze del padre per l’ultimo nato e gli improvvidi interventi<br />
del figlio che alimentano la tensione narrativa rappresentata nella gelosia tra fratelli<br />
e nell’incapacità psicologica di «parlare in pace» (lĕšālôm, Gen 37,4). Sarà placata<br />
nella ripresa del dialogo: «dopo di che essi gli parlarono» (45,15). L’equilibrio è ricostituito<br />
e il legame fraterno riannodato mediante la parola. Si avvera l’assoggettamento dei<br />
fratelli previsto nei sogni. Infatti, ogni colloquio si apre con la «prostrazione» e si conclude<br />
con l’atto di sottomissione: «Siamo tuoi servi». Ma ora Giuseppe rifiuta questo<br />
ruolo e parla al loro cuore, come fratello (50,12ss). Il culmine è nel riconoscimento reciproco<br />
Poi la tensione scende. L’epilogo, aggiunto, riprende le parole chiave.<br />
Tesi del racconto<br />
Alla fine i fili dell’intreccio si dipanano. Le intenzioni del racconto divengono più esplicite.<br />
La legge di risalita a Dio, che caratterizza ogni episodio, rivela qui la sua ragion<br />
d’essere più profonda (45,5ss). Dio ha fatto concorrere tutte le cose al suo disegno di salvezza:<br />
Giuseppe è per la salvezza dei fratelli. La salvezza, in realtà, è accordata al popolo<br />
di cui i dodici fratelli sono il nucleo.<br />
Dalla ricerca della struttura narrativa emerge che la storia di Giuseppe non è il rendiconto<br />
di un’emigrazione che porta Israele in Egitto; l’idea di riconciliazione non è l’idea<br />
maestra (tra l’altro, Giuseppe non intendeva fare un processo ai fratelli; tuttavia, il termine<br />
«resto», in Gen 45,7, fa pensare a un giudizio divino superato, cf 6,8; 7,1.25); neppure<br />
vi scorgiamo un insegnamento sapienziale sull’utilità della disgrazia.<br />
Sebbene tutti questi motivi siano presenti, a riunirli è il concetto di trasformazione<br />
compreso dal redattore dell’epilogo, che condensa il significato narrativo e teologico in<br />
questi termini: «Il male, che voi avevate progettato di farmi, il disegno di Dio lo ha volto<br />
seppe poteva trattarsi anche di idromanzia: bere da una coppa o far cadere dei sassolini o piccoli pezzi di metallo<br />
o di legno per osservare i cerchi che si formavano o per ascoltare il rumore che producevano. Sui vari<br />
aspetti della magia nella Bibbia, cf M. MILANI, «La Bibbia e la tentazione della magia», in Credereoggi 138<br />
(6/2003) 69-86.<br />
6<br />
Per queste ultime note, riprendo R. LACK, Letture strutturaliste dell’Antico Testamento, Borla, Roma 1978,<br />
pp.78-118.<br />
7<br />
Cf. D.B. REDFORD, A Study of the Biblical Story of Joseph (Genesis 37-40), VTS 30 [1970]); LACK, cit.,<br />
R.N. WHYBRAY, The Joseph Story and Pentateuchal Criticism, VT 18 [1968] 22-52, che nega le due fonti o<br />
tradizioni.<br />
114
in bene» (50,20). È anche una verità generale sulla Rivelazione: propone l’inversione di<br />
termini negativi in positivi. Lo si nota, oltre alla storia di Giuseppe, nell’esodo, nella liberazione,<br />
nella redenzione, nella giustificazione. «La storia di Giuseppe è a immagine<br />
della storia della salvezza nella sua globalità. Anche quando gli uomini credono di lasciarsi<br />
guidare dal bisogno, dal desiderio e da altre passioni, Dio li conduce verso obiettivi<br />
situati infinitamente al di là di ciò che la coscienza percepisce. Quello che sembra<br />
uno scacco, può essere una riuscita; ciò che sembra una riuscita, diventa scacco. Perciò<br />
Giuseppe diventa, nei Padri della chiesa, tipo di Cristo.<br />
Certamente la storia di Giuseppe, a livello dei suoi contenuti espressi, non raggiunge i<br />
vertici del Nuovo Testamento. Resta il fatto che la traiettoria del suo senso, per quanto<br />
umile lo si voglia, corre parallela al discorso evangelico sulla croce che è vita attraverso<br />
la morte» 8 .<br />
Struttura e contenuto<br />
In una lettura unitaria del testo, tralasciando alcune aggiunte, come il cap.38 (storia di Giuda e<br />
Tamar) 9 o le benedizioni (cap.49), si riconoscono facilmente due parti: 37-41 e 42-45(50). Nella<br />
prima appare il tema usuale del giusto umiliato ed esaltato: dalla schiavitù e dalla prigionia alla liberazione<br />
e incarico di visir. La seconda parte trasforma il racconto in una storia di famiglia con la<br />
sottomissione dei fratelli, la riconciliazione e la ricostituzione della famiglia. I due blocchi del racconto<br />
sono così articolati:<br />
A, 1 = 37: esposizione, conflitto, tentativo di omicidio, schiavitù<br />
2 = 40: prova qualificante: Giuseppe interprete<br />
3 = 41: prova glorificante: Giuseppe vizir<br />
B, 1 = 42: primo viaggio dei fratelli, prima prova<br />
2 = 43-45: secondo viaggio, seconda prova, scena del riconoscimento<br />
3 = 46,5s; 47,12 (50,15-21): conclusioni<br />
Consideriamo due serie di correlazioni – equivalenze, opposizioni, ripetizioni – per<br />
una interpretazione globale del racconto. Seguirà l’analisi delle singole unità narrative.<br />
I. Analisi d’insieme<br />
I.1. prima serie di correlazioni – LA <strong>STORIA</strong> <strong>DI</strong> FAMIGLIA<br />
A.37,4 Divennero incapaci di parlargli amichevolmente (b e šālôm)<br />
37,10 Stiamo per venire.../prostrarci a terra/davanti a te?<br />
37,14 Va’ a vedere se i tuoi fratelli stanno bene (šālôm)<br />
---------------------------------------------------------------------------------------<br />
37,18 Essi lo//videro//da lontano...e complottarono di farlo morire<br />
37,32 Ecco ciò che noi abbiamo [trovato] (la tunica)<br />
---------------------------------------------------------------------------------------<br />
8 R. LACK, cit., p.18.<br />
9 Un recente articolo cerca di cogliere il significato del racconto nel contesto attuale riconoscendo alcuni paralleli<br />
tra Giuda e Giuseppe: cf R.J. CLIFFORD, S.J., «Genesis 38: Its Contribution to the Jacob Story», CBQ<br />
66(4/2004) 519-532: “Tamar è giusta non io”, riconosce Giuda (38,26), perché ella ha compiuto la volontà di<br />
Dio di propagare la famiglia di Giuda. La trasformazione o conversione di Giuda, completata in 43,8-9 e<br />
44,18-34, quando si fa responsabile della vita di Beniamino riconosciuto come fratello, è in Gen 38 un paradigma<br />
anticipato della mutazione di Giuseppe, che, a sua volta, riconoscerà i fratelli (cf il passaggio da Gen<br />
43,30: è commosso solo per Beniamino, a 45,5-8: “Sono Giuseppe vostro fratello”). A. WENIN, «L’aventure<br />
de Juda en Genèse 38 et l’histoire de Joseph», RB 111 (2004) 5-27, rileva i legami narrativi con i cc. 37 e 39<br />
e la strategia della dissimulazione adottata da Giuseppe verso i fratelli nei cc.42-45; inoltre, Gen 38 prepara<br />
Giuda ad assumere un ruolo attivo nella riconciliazione della famiglia.<br />
115
B.42,6 I fratelli di Giuseppe arrivarono e si /prostrarono davanti a lui<br />
42,7 Giuseppe//vide//i suoi fratelli... e parlò loro duramente<br />
42,24 Si ritirò da essi e pianse... e parlò loro<br />
---------------------------------------------------------------------------------------<br />
43,26 Essi gli offrirono il dono... e / si prostrarono a terra/<br />
43,27 Egli li salutò amichevolmente (šālôm)<br />
43,30 Giuseppe si affrettò a uscire,... entrò nella sua camera e là pianse_<br />
43,34 Con lui bevvero e gioirono (riconciliazione implicita)<br />
---------------------------------------------------------------------------------------<br />
44,14 Essi / caddero a terra / davanti a lui<br />
44,16 È Dio che ha [trovato] la colpa dei tuoi servitori<br />
45,12 Voi//vedete//con i vostri occhi... che è la mia bocca che vi parla<br />
45,14s Egli baciò tutti i suoi fratelli piangendo...<br />
dopo di che i suoi fratelli si misero a parlargli (riconciliazione esplicita)<br />
---------------------------------------------------------------------------------------<br />
Epilogo<br />
50,17 Giuseppe pianse alle parole che gli rivolsero<br />
50,18 I suoi fratelli / si gettarono ai suoi piedi /... Noi siamo i tuoi servi<br />
50,21 Egli (Giuseppe) li consolò e parlò loro affettuosamente (‘al libbam)<br />
Commento<br />
Le equivalenze e correlazioni riportate fanno apparire «la storia di famiglia» come oggetto<br />
del racconto. I sogni fanno presagire a Giuseppe la sua esaltazione e la sottomissione<br />
dei suoi fratelli. La tensione del racconto sale con la gelosia, anzi l’odio, dei fratelli rappresentata<br />
nella parola: l’incapacità psicologica di parlare pacificamente (b e šālôm) con<br />
Giuseppe. E con la parola si placa: «dopo di che essi gli parlarono» (45,15). L’equilibrio<br />
è ricostituito e il legame fraterno è riannodato mediante la parola. Si avvera la sottomissione<br />
dei fratelli previsto nei sogni. Ogni colloquio si apre con la «prostrazione» e si conclude<br />
con l’atto di sottomissione: «Siamo tuoi servi». Ma Giuseppe rifiuta questo ruolo e<br />
parla al loro cuore, come fratello (50,12ss). Il culmine è nel riconoscimento. L’epilogo<br />
aggiunto riprende le parole chiave.<br />
Emergono alcuni elementi importanti.<br />
❑ Anzitutto, la terapia della parola (da Gen 42 in poi) che trasforma l’odio in affetto:<br />
parole dure (42,7); parola, semplicemente (42,24); saluto di pace (43,27); «Vedete! è la<br />
mia bocca che vi parla» (45,12, congiunge sguardo e parola).<br />
❑ La storia segnala anche il vedere e guardare.<br />
• Giuseppe giunge e i fratelli lo vedono da lontano e decidono la sua sorte; egli è nudo e indifeso<br />
davanti a loro; esposto ai loro sguardi, non si accorge di nulla.<br />
• Poi, i ruoli si invertono: Giuseppe li vede e riconosce senza essere riconosciuto; sono loro<br />
in sua balia, senza comprendere. Essere visto è diventare oggetto, vedere è condurre il gioco<br />
e dirigere il destino.<br />
• Quando Giuseppe si fa riconoscere, avviene la riconciliazione nell’equilibrio della parola e<br />
del vedere.<br />
E così finisce la storia iniziata nel segno dell’orgoglio (Giuseppe e la sua volontà di<br />
dominio) e della gelosia o rifiuto di umiliarsi (i fratelli e il padre). La fraternità si riannoda<br />
nel servizio reciproco: i fratelli, prostrati, si dichiarano servi, mentre Giuseppe li abbraccia,<br />
si pone al loro servizio prendendoli sotto la sua responsabilità, parla a loro con<br />
cuore.<br />
❑ Appare ancora la scoperta (mÂêÂù) – Dalla falsità alla verità.<br />
• «Noi abbiamo trovato questo» (37,32), era la menzogna dei fratelli.<br />
116
• Quando Giuseppe estrae la coppa dal sacco di Beniamino, Ruben dichiara: «Dio ha scoperto<br />
il peccato dei tuoi servi» (44,16).<br />
La falsità viene evidenziata dalla falsa prova escogitata da Giuseppe. Per espiare il crimine<br />
i fratelli accettano il castigo per una colpa non commessa. Però la prova immetterà nella coscienza<br />
la «fraternità» rifiutata all’inizio. Prima non odono le implorazioni di Giuseppe, poi<br />
ricordano: «Avevamo un altro fratello»; quando sono accusati di esser «spie», dichiarano di<br />
essere «tutti fratelli»; Ruben rischia la sua vita per il fratello Beniamino.<br />
❑ Infine, la ricorrenza del verbo «piangere», a ogni udienza, rivela i sentimenti che guidano<br />
Giuseppe<br />
• Il primo pianto (42,24) fa seguito alla prima presa di coscienza dei colpevoli (42,21s).<br />
• La scena di 43,16ss si svolge in un clima di pace e di gioia: la famiglia è riunita senza che<br />
gli interessati se ne avvedano e il ritrovamento è festeggiato in un banchetto dove ognuno è<br />
collocato secondo la sua età. Giuseppe riceve la famiglia come tale: è la riconciliazione<br />
implicita. La prova ulteriore dovrà stabilire se i sentimenti fraterni sono veri.<br />
I.2. seconda serie di correlazioni: LA <strong>STORIA</strong> VISTA DA <strong>DI</strong>O<br />
Tavola 1<br />
A. 41,25 Dio ha annunciato al Faraone ciò che sta per fare (‘āśāh = compiere/fare)<br />
41,28 Dio fa vedere al Faraone ciò che sta per fare<br />
41,32 ...ciò che Dio ha fretta di fare<br />
---------------------------------------------------------------------------------------<br />
B. 42,18 Ecco ciò che farete per avere salva la vita<br />
42,20 Essi fecero così<br />
42,25 Ed è ciò che si fece loro<br />
42,28 Che cosa Dio ci ha fatto?<br />
---------------------------------------------------------------------------------------<br />
43,11ss Fate questo (più sei altri usi del verbo «fare»)<br />
45,17 Fate questo<br />
45,19 Fate questo<br />
45,21 Essi fecero così<br />
---------------------------------------------------------------------------------------<br />
Epilogo<br />
50,20 Il male che voi pensavate di farmi, Dio l’ha cambiato in bene al fine di compiere ciò che si realizza<br />
oggi<br />
Tavola 2<br />
A. 37,18 Essi complottarono di farlo morire<br />
---------------------------------------------------------------------------------------<br />
B. 42,2 perché noi restiamo in vita e non moriamo<br />
42,18 Fate questo e vivrete<br />
42,20 le vostre parole saranno verificate e voi non morrete<br />
43,8 perché conserviamo la vita e non moriamo<br />
45,5 è per preservare le vostre vite che Dio mi ha inviato qui<br />
45,7s Dio mi ha inviato... per salvare la vita a molti<br />
---------------------------------------------------------------------------------------<br />
Epilogo<br />
50,20 salvare la vita a un popolo numeroso<br />
Commento<br />
a. L’agire di Dio - ‘āśāh. Dio si manifesta in tre riprese: a) nei sogni di Giuseppe, b) nei<br />
sogni che turbano il Faraone (danno dinamismo al racconto: il lettore ne attende la realizzazione),<br />
c) nella lettura di fede che discerne la portata salvifica del vissuto (45,5ss).<br />
Giuseppe vi riconosce il disegno di Dio. Agendo (‘ōśēh = fare, compiere, realizzare) su<br />
scala mondiale (Egitto), Dio ha regolato la vicenda di famiglia dei figli di Giacobbe; me-<br />
117
glio, ha protetto l’avvenire del popolo rappresentato in loro. Dio assume l’azione umana,<br />
anche la più discordante, nel suo piano (= punto d’arrivo del racconto).<br />
L’idea getta una luce retrospettiva sulla formula ripetuta: «fate questo». La diplomazia<br />
umana si prodiga, ma è Dio che conduce il gioco. Gen 42,18.20.25.28 funziona da<br />
condensato narrativo di B:<br />
- fate questo (Giuseppe ai fratelli); - essi (i fratelli) fecero così;<br />
- egli (Giuseppe) fece loro questo; - che cosa Dio ci ha fatto?<br />
Gli uomini si agitano. Al di sopra di essi, a loro insaputa, c’è Dio che agisce. Allo<br />
stesso modo, non sono i fratelli che hanno inviato Giuseppe in Egitto ma Dio.<br />
b. La vita (interagisce con l’agire divino). La storia è il racconto di un salvataggio<br />
(50,20). Il disegno di Dio è vita, ma passa attraverso la prova della morte.<br />
• Giuseppe è gettato nella cisterna e consegnato alla morte;<br />
• La carestia fa planare su Giacobbe e la sua famiglia l’ombra della morte (42,2;43,8);<br />
• Simeone è tenuto prigioniero e Beniamino esposto ai pericoli del viaggio, ma è perché tutti<br />
vivano (42,18) e non muoiano (42,20), per la sopravvivenza di un grande popolo (50,20).<br />
Per la prima volta nella Bibbia, si trova l’idea di un disegno di salvezza che fa opera<br />
di vita facendo servire il male al bene. Così la storia di Giuseppe va oltre il quadro di famiglia.<br />
JHWH è impegnato in un disegno che riguarda tutto il popolo eletto (tema<br />
dell’Esodo). L’allargamento avviene per mezzo del destinante e del destinatario.<br />
Condizione della salvezza è la riconciliazione:<br />
• La parola di Giuseppe che riunifica la famiglia è la mediazione necessaria per «salvare<br />
il popolo».<br />
• La riconciliazione tra fratelli è assunta nella dinamica del disegno salvifico. La salvezza<br />
avviene in un popolo che ha superato le sue divisioni interne.<br />
La conclusione redazionale – epilogo di 50,22ss – sottolinea che il salvataggio va ben<br />
al di là della semplice sopravvivenza. Una volta riunita la famiglia, il filo della storia della<br />
salvezza riprende: «Dio vi renderà visita...».<br />
c. lettura cristiana. La storia di Giuseppe offre un duplice abbozzo al NT: (1) La dialettica<br />
morte e vita del mistero pasquale; (2) La redenzione considerata mistero di riconciliazione<br />
degli uomini tra loro (cf. Ef 2,14ss; Gal 3,28; Gv 17, ecc.).<br />
La pace può instaurarsi tra i fratelli a partire dal momento in cui la millanteria sterile<br />
dell’inizio fa posto allo spirito di servizio. Giuseppe non cerca più di dominare, ma di<br />
servire (si è convertito lui pure).<br />
II. Analisi delle unità narrative o episodi<br />
Questa parte sviluppa l’analisi stilistica precedente per una nuova sintesi interpretativa,<br />
considerando i due blocchi del racconto articolati ciascuno in tre parti.<br />
A, 1 = 37 (39); 2 = 40; 3 = 41;<br />
B, 1 = 42; 2 = 43-45; 3 = 46,5s; 47,12 (50,15-21)<br />
A, 1 – Gen 37: ESPOSIZIONE, CONFLITTO, TENTATIVO <strong>DI</strong> OMICI<strong>DI</strong>O, SCHIAVITÙ<br />
Il c.37 comprende 1) un’esposizione posticcia (vv.1-2 P, quadrano male con il racconto);<br />
2) il nodo dell’intreccio (vv.3-11): vi si nota l’energia narrativa che alimenterà gli episodi<br />
seguenti; 3) il primo episodio (vv.12-36) che mette in moto le coordinate azionali<br />
dell’intreccio.<br />
118
L’arte narrativa ebraica si compiace di scene con: – esposizione di una situazione, –<br />
dialogo e discorso, – esecuzione o reazione. È l’alternanza tra raccontare (telling) e mostrare<br />
(showing). Il dialogo sta al centro tra la raccolta epica (narrazione) e la rappresentazione<br />
teatrale diretta. Tutto il capitolo è organizzato sulla ripetuta alternanza di narrazione<br />
e discorso.<br />
I vv. 3-11 – orgoglio e gelosia ossia il rifiuto di umiliarsi – mettono a fuoco l’intreccio<br />
perverso tra gli attori: un padre che preferisce il figlio “aggiunto” (Giuseppe) tardi, un figlio<br />
inesperto, ma anche orgoglioso e chiacchierone, che sogna di dominare e fa incaute<br />
esternazioni dei suoi sogni attirandosi le ire di tutti, i fratelli gelosi che lo odiano: il dialogo<br />
è interrotto. I gesti di preferenza paterna, culminanti nel segno della tunica a lunghe<br />
maniche (un vestire da principi, mentre gli altri avevano vestiti da lavoro, cf 2Sam<br />
13,18s), e i sogni che negano l’uguaglianza tra fratelli creano divisione e odio in famiglia.<br />
La parola «fratello» è ripetuta 21 volte nel capitolo, più di ogni altra circostanza.<br />
Come Giacobbe aveva provocato l’ira del fratello Esaù e dovette placarla con tanto tempo<br />
e difficoltà, così Giuseppe provoca l’odio dei fratelli, al punto che gli negano il saluto,<br />
cioè la “pace”.<br />
Nei vv.12-36 i fratelli sfidano il sogno: «vedremo dove andranno a finire i suoi sogni»<br />
(v.20), e tentano di neutralizzarne il contenuto. La situazione precipita in violenza (voglia<br />
di uccidere, vendita, vv.12-31) e termina con una messinscena per ingannare il padre<br />
(v.31).<br />
A partire dal v.12, Giuseppe dice una sola parola: «Sono pronto» (a dire il vero, aggiunge<br />
una domanda a un viandante anonimo, per aver perso la strada: il fatto lo manifesta<br />
come inesperto). Da quel momento cessa di essere soggetto, diviene oggetto: tutta<br />
l’iniziativa passa ai fratelli. Attori muti sono i Madianiti: insensibilità di mercanti di<br />
schiavi. I fratelli non hanno il cuore più sensibile: commesso il crimine si siedono a mangiare<br />
(v.25).<br />
Si alternano dei doppioni: Ruben/Giuda, Israeliti/Madianiti, “non versate sangue/che<br />
guadagno c’è nell’ucciderlo?”. Il ruolo di Giuda prosegue in c. 38; alla fine prevale su<br />
Ruben.<br />
Lungo il capitolo il ‘Leitmotiv’ è tenuto da «inviare» e «ritornare (šûb)»:<br />
• Giacobbe invia Giuseppe (v.14s), gli ritorna la tunica (v.32).<br />
• Ruben progetta di ricondurlo dal padre (v.22), ma il piano fallisce. Egli ritorna invano alla<br />
cisterna (v.29). In seguito, egli si volge contro i fratelli (v.30).<br />
• Giuseppe non tornerà più a riportare le buone notizie attese (v.14). In realtà, si ritroveranno,<br />
ma dopo molte vicende. Giuseppe non è ritornato perché l’invio di Dio (cf. 45,7) lo<br />
implicava in una missione ben più grande di quella di Giacobbe.<br />
I vv.32-35 descrivono la discesa di Giacobbe. Giacobbe vuole discendere nello Sheol<br />
accanto al figlio (v.35). Discenderà, ma in Egitto (45,9), che nella tradizione biblica equivale<br />
allo Sheol. Per disposizione di Dio la vita sovrabbonderà, ma per ora si ferma<br />
con la scomparsa di Giuseppe, almeno per la famiglia. Il padre ingannato esprime disperazione<br />
e lutto: non vuole essere consolato, perché il figlio “non è più”; come Davide non<br />
gli resta che scendere con il figlio allo Sheol. E la partecipazione al lutto del padre da<br />
parte di “figli e figlie” appare al lettore una macabra e perfida menzogna.<br />
Giuseppe scompare dall’orizzonte. Il particolare vago: «essi lo condussero in Egitto»<br />
(v.28.36, cf 39,19, comporta una sensazione di perdita. Ormai è destinato a passare di<br />
mano in mano: venduto dai fratelli è di nuovo venduto in Egitto come schiavo. D’ora in<br />
poi vi sarà una progressiva discesa: venduto (schiavo), calunniato, carcerato (Gen 39).<br />
119
Ma in 39,2.21-23 il narratore offre la chiave di tutto il racconto: «Il Signore fu con<br />
Giuseppe» e «a lui tutto riusciva bene» (cf vv.2.3.23). La storia è ancora in mano di Dio<br />
che la volgerà in bene anche servendosi dei sentimenti umani perversi. Giuseppe sarà<br />
protetto dalle seduzioni e sostenuto nelle tribolazioni e, come i Patriarchi, diventerà<br />
strumento di benedizione-b e rakah per l’Egitto (39,5). Perciò, il racconto in Gen 39 segna<br />
la discesa, ma pone anche le premesse per la risalita.<br />
• In Gen 39 ritorna il tema della veste: lasciata in mano alla seduttrice, diventa prova<br />
per Potifar (39,12ss); alla fine gli cambieranno il vestito, quando sarà presentato al<br />
faraone (41,14), e vestirà abiti di lino quando sarà nominato visir (41,42).<br />
• La scena con la moglie di Potifar può essere riassunta nella classica sequenza: seduzione<br />
(vv.7-12a: il ragazzo risponde al canone classico dell’estetica, v.6), rifiuto<br />
(v.12b), accusa (vv.13-20). L’onestà di Giuseppe di fronte al padrone che gli aveva<br />
dato in mano, cioè in potere, tutti i suoi averi, è riassunta nella sua risposta alla<br />
donna (vv.8-9). È fedeltà ai beni che il padrone gli aveva affidato: non gli aveva<br />
proibito nulla “se non te che sei sua moglie” (cf vv.4-6 il comando: non gli domandava<br />
conto se non del “cibo” che mangiava, probabile eufemismo per indicare<br />
il sesso); è fedeltà a Dio: “sarebbe un peccato contro Dio”, infrazione contro il sesto<br />
e il nono comandamento. Il tema della donna “straniera seduttrice” è un motivo<br />
conosciuto (cf Prov 6,23-26; 7,10-20). Ma l’autore non insiste sul tema, dal momento<br />
che lo stesso Giuseppe sposerà una straniera e si vestirà come loro.<br />
A, 2 – Gen 40: LA PROVA QUALIFICANTE – <strong>GIUSEPPE</strong> INTERPRETE<br />
Il capitolo serve da intervallo distensivo nel racconto, dopo le emozioni drammatiche<br />
dei cc.37 e 39, ma prepara i dati necessari per comprendere il c.41. La storia si riconcentra<br />
su Giuseppe: il Faraone > il comandante delle guardie > Giuseppe (vv.2-4).<br />
L’orizzonte si allarga con nuovi personaggi dell’alta gerarchia egiziana: un contatto con<br />
loro è possibile.<br />
La prova qualificante è nelle capacità divinatorie dell’eroe (7 usi della radice pātar,<br />
interpretare). I sogni si evolvono secondo uno schema ternario: tutto vi è contato per tre,<br />
con due effetti opposti [il sogno del coppiere è fatto di atti mancanti]. Da notare<br />
l’umorismo nero con il panettiere.<br />
Tuttavia, Giuseppe è dimenticato. Il racconto mette in risalto le capacità (vv.9-13.16-<br />
22), ma anche la precarietà e il dramma che investe il protagonista: deve supplicare mentre<br />
langue in prigione, affidarsi a un gesto di solidarietà umana, al ricordo del coppiere<br />
che, una volta libero, si dimentica di lui: la riconoscenza è breve (vv.14-15.23). Deve attendere<br />
l’avvento di fatti nuovi, che si realizzano nel capitolo seguente: si tratta ancora di<br />
sogni. Allora lo smemorato ricorda e confessa la dimenticanza durata due anni (41,9-13).<br />
A, 3 – Gen 41: LA PROVA GLORIFICANTE – <strong>GIUSEPPE</strong> VIZIR<br />
Diversamente da Gen 37, questo capitolo è caratterizzato da una lunga esposizione<br />
(vv.1-8). Il capitolo è organizzato come in un solo movimento:<br />
• vv.1-8+9-13: narrazione senza dialoghi né discorsi, che incorpora la prima versione<br />
dei sogni del Faraone; la scena continua con il ricordo del coppiere e la convocazione<br />
di Giuseppe<br />
• vv.14-46: dialogo di Giuseppe con Faraone<br />
• vv.47-57: realizzazione (dei sogni) – esecuzione (delle misure convenute)<br />
120
Osservazioni:<br />
1 – Come in Gen 40 l’orizzonte si restringe dal Faraone al coppiere, poi dal coppiere a<br />
Giuseppe. Ma non si chiude più nella prigione, si apre invece su «tutta la terra d’Egitto»<br />
(espressione che ritorna 6 x); Giuseppe è «ingrandito»: solo il Faraone sarà più grande di<br />
lui (v.40).<br />
2 – Giuseppe è catalogato dal Faraone tra gli «interpreti» o «indovini»: ptr (7 x). Ma è<br />
Elohim (7 x, eccetto vv.50-52 secondari) il personaggio principale, benché invisibile<br />
(41,16.28.32, cf 40,8): Egli darà la risposta, Giuseppe è suo strumento. Ha lo spirito di<br />
Elohim (v.38), perciò è personaggio chiave allo sguardo umano: «non si leveranno né<br />
mani né piedi senza il tuo permesso» (v.44). È messaggio di Dio dato in risposta al Faraone<br />
(v.16): egli informa (v.25) e fa vedere (v.28).<br />
Se Dio fa vedere (v.28) è perché Faraone preveda: la rivelazione divina chiama<br />
l’azione umana: l’uomo deve prendere le sue decisioni. Perciò, Giuseppe divide la sua risposta<br />
in due parti: interpretazione e, strettamente congiunti ad essa, consigli pratici, perché<br />
i beni accumulati durino. La risposta va oltre il richiesto e qualifica l’interprete come<br />
un eminente “saggio”.<br />
3 – La terza parte (vv.47ss) gioca sul termine ºereê. Il suolo si mostra puntuale ad eseguire<br />
il piano di Dio. Il paese d’Egitto diventa un’oasi di abbondanza al centro di tutta la<br />
terra che, affamata, si rivolge verso i granai riempiti da Giuseppe. In tal modo il racconto<br />
si appresta a cercare i fratelli di Giuseppe per ricondurli a lui. La reiterazione di tuttotutti<br />
(cf vv.46.48.51.54.56.57 e Sal 145 dossologia al Signore) evidenzia la sovranità di<br />
Giuseppe la cui autorità ed efficacia contrasta con la inadeguatezza iniziale del faraone<br />
(vv.1-8).<br />
4 – Infine, la nota sui due figli di Giuseppe (vv.50-52) diventa anticipazione di ciò che<br />
avverrà in seguito (c.48). Anche se il padre viene chiamato dal Faraone con un nome egiziano,<br />
Zafnat-Paneh, “Dio dice che viva” – perché dispensi la vita – (o “l’uomo che sa le<br />
cose”), i nomi dei figli sono ebrei non egiziani. Benché sposi una egiziana, il padre resta<br />
legato alla sua terra. Le due etimologie imprimono una svolta alla storia. Manasse, “Dio<br />
mi ha fatto dimenticare” (v.51) riguarda il passato, la vita di tribolazioni e sofferenze è<br />
finita; anche la famiglia che l’aveva perseguitato (ma questo avrà valore relativo, si richiama<br />
alla vita attuale). Efraim, “fecondità”, esprime la crescita nella terra<br />
dell’afflizione, quindi il futuro; al di là delle sofferenze che accompagnano ogni nascita<br />
(cf Beniamino, prima chiamato Ben-‘onî, “figlio della mia afflizione”), Giuseppe è ormai<br />
innalzato e onorato.<br />
B, 1 – Gen 42: PRIMO INCONTRO <strong>DI</strong> <strong>GIUSEPPE</strong> E DEI SUOI FRATELLI<br />
Il capitolo va letto in riferimento al capitolo 37. Ora è Giuseppe a veder venire i suoi fratelli<br />
e a fare un piano (v.7: gioca sul termine venire: «Siete venuti!»). Egli forma la sua<br />
linea di condotta per tocchi successivi, ponendo domande e mettendo a profitto le risposte<br />
dei fratelli. La prova (v.16) non è destinata a verificare le risposte date – sa bene con<br />
chi ha a che fare – ma la sincerità dei sentimenti: (a) la loro salvezza esige un cammino<br />
di purificazione e conversione che permetta loro di riconoscere la colpa; (b) i fratelli di<br />
sangue devono esserlo negli affetti, scoprire e mostrare l’amore fraterno.<br />
L’atteggiamento di Giuseppe sembra duro, ma, superato forse il primo momento di rivincita,<br />
tutto il processo tende a trasformare l’incontro materiale in riconciliazione; egli si<br />
inserisce così nel disegno di Dio. Egli tratta i suoi fratelli da stranieri e spie: dovranno ri-<br />
121
percorrere il cammino che va dalla rottura (Gen 37) alla ripresa di rapporti fraterni e alla<br />
ricostruzione della famiglia (Gen 45).<br />
1 – Il procedimento – le domande. La prima risposta dei fratelli è pura informazione: «Da<br />
dove venite?»; «Dal paese di Canaan, per acquistare viveri». Vi è quindi il passaggio<br />
progressivo dal piano politico («voi siete delle spie») al piano della famiglia («riconducete<br />
il vostro giovane fratello») e quindi alla sfera intima della coscienza («noi espiamo ciò<br />
che abbiamo fatto»). In tal modo, i fratelli a passano dalla complicità alla solidarietà, che<br />
comincia a far sentire gli effetti:<br />
• v.11: «...siamo figli di uno stesso uomo»;<br />
• v.13: «... i tuoi servitori sono dodici (si pensa a tutta la famiglia e non soltanto ai presenti),<br />
noi siamo tutti fratelli, il più piccolo è con nostro padre; e ce n’è uno che non è più».<br />
L’accusa di spionaggio tendeva a fare dei figli di Giacobbe dei complici banditeschi<br />
(forse per mettere in crisi o verificare la solidarietà?). I dieci fratelli oppongono<br />
l’argomento della parentela che li unisce: non sono una banda ma una famiglia. Nella<br />
stessa occasione imparano a dire «noi» (vv.11.13.21.31.32); si nota anche l’uso di «un»<br />
(7 x, eccettuato v.13, disarmonico e non attestato in LXX).<br />
• In un primo tempo tutti sono messi in prigione, uno solo deve partire. In un secondo<br />
tempo, uno solo resterà, tutti gli altri partiranno.<br />
2 – La vicenda del sacco. I fratelli prendono coscienza collettivamente della responsabilità<br />
avuta nei confronti di Giuseppe. La famiglia comincia a riunirsi.<br />
• «Essi dissero, ciascuno a suo fratello..., si misero a tremare, ciascuno per i suoi fratelli<br />
(v.28).<br />
• Nel racconto originale, Giuseppe è chiamato per la prima volta «nostro fratello» (v.21). Nel<br />
decorso della storia, il v.21 costituisce una analessi: quando lo gettarono nella cisterna, i<br />
fratelli videro la sua angoscia, ma non ne ascoltarono le suppliche. La narrazione entra nella<br />
categoria del “riconoscimento”. Solo ora le sue grida giungono alla loro coscienza. Il narratore<br />
gioca sulle radici šāma‛ (ascoltare), ’āšam (essere punibile) e sul nome stesso di ‘Simeone’<br />
(vv.21-23), il fratello maggiore colpevole (segue a Ruben, il primogenito, innocente)<br />
3 – Nell’angoscia i fratelli sospettano una causa divina. «Forse Dio ci ha fatto questo?».<br />
Da parte sua, Giuseppe assicura che la sua condotta non è arbitraria: «Io temo Dio». Nella<br />
lettura di fede, le vicissitudini umane sono sottratte alla fatalità interna, per entrare nella<br />
coerenza di un disegno di salvezza universale.<br />
4 – Nel rendiconto a Giacobbe, i fratelli sostituiscono il duplice «voi sarete messi alla<br />
prova» (vv.15-16) con un duplice «io saprò se voi siete sinceri» (vv.33-34). Essi non conoscono<br />
ancora la vera posta in gioco della verifica che verte sulla moralità non<br />
sull’identità. In ogni caso, una certa ironia si intravede nel fatto che i fratelli insistano<br />
sulla loro sincerità di fronte al padre al quale hanno così gravemente mentito.<br />
B, 2 Gen 43-44: SECONDO VIAGGIO, SECONDA PROVA<br />
Gen 43 narra la ricostituzione della famiglia ancora su un piano materiale non cosciente.<br />
1 – La topografia della prima udienza è simbolica, imperniata sulla casa (bêt). I fratelli<br />
sono convocati nella «casa» di Giuseppe per condividervi il pranzo; nell’intenzione di<br />
Giuseppe è una riunione di famiglia (bêt); si susseguono diversi rapporti umani:<br />
a – Sulla porta di casa, si regolano le questioni di denaro; per regolare il punto della<br />
somma ritrovata nei sacchi basta un maggiordomo, l’«uomo di casa».<br />
122
• Primo augurio di pace, Šālôm (v.23), che supera i timori dei fratelli. Ricongiungimento<br />
con Simeone, i fratelli sono al completo (c’è anche Beniamino).<br />
Sono introdotti nell’abitazione privata del loro fratello minore (v.24).<br />
b – Nella casa: è il luogo della gratuità e del dono. I fratelli preparano i loro doni<br />
(v.25), i problemi di interesse sono risolti e superati.<br />
• Giuseppe si presenta di persona, pronuncia un secondo Šālôm (v.26), si informa<br />
di suo padre.<br />
c – Nella camera di Giuseppe che si ritira in pianto alla vista di Beniamino: fraternità.<br />
Al denaro, ai doni e a Beniamino corrispondono tre livelli di rapporti umani: interesse,<br />
amicizia, fraternità, che hanno per luoghi simbolici la porta di casa, la casa<br />
stessa, la camera. Il pranzo suggella il ritrovarsi. I fratelli sono disposti in ordine di<br />
nascita: è un pranzo di famiglia... e il «beniamino», com’è giusto, si fa viziare e riceve<br />
i bocconi migliori. I fratelli guardano senza gelosia.<br />
2 – Stilisticamente interessante è la sequenza dei vv.32-34. È un modello ridotto di tutta<br />
la storia.<br />
• «Egli (Giuseppe) da una parte ed essi (i fratelli) dall’altra» = Giuseppe e i suoi fratelli separati<br />
(Gen 37-41).<br />
• «Essi erano posti di fronte a lui» = Giuseppe è a confronto con i suoi fratelli (Gen 43-44).<br />
• «Con lui bevvero e fecero festa» = è la riconciliazione (Gen 45).<br />
I fratelli passano dalla separazione alla riconciliazione. Ma per il momento la storia si<br />
svolge ancora sub figuris: è riunione materiale, contrassegnata da denominazioni anonime,<br />
«l’uomo» (Giuseppe), «la nostra gente» (i fratelli).<br />
Gen 44<br />
44,1-17, è strutturato in profondità dal verbo «trovare» (mÂêÂù):<br />
• Con menzogna i fratelli avevano detto al padre: «Ecco, abbiamo trovato» (mÂêÂù, 37,32). Di<br />
qui la terapia dello pseudo furto.<br />
• Benché innocenti, ora i fratelli si accusano: «Dio ha scoperto () il crimine<br />
dei tuoi servi» (44,16).<br />
Una prima confessione e presa di coscienza, indiretta, aveva avuto luogo nel primo<br />
incontro (42,21-23). Nella seconda udienza essa raggiunge il livello teologico del riferimento<br />
a Dio. Sotto l’accusa i legami fraterni resistono. (1) I fratelli vogliono pagare insieme<br />
(vv.9-16); Giuseppe, invece, tenta di desolidarizzare gli innocenti dal presunto<br />
colpevole: solo Beniamino deve pagare (vv.10.17). (2) Nella seconda parte (vv.18-34),<br />
Ruben/Giuda nella replica fa giocare nello stesso tempo l’istinto fraterno (si offre al posto<br />
di Beniamino) e filiale (Giacobbe non deve sopportare assolutamente la perdita di<br />
Beniamino). I fratelli ormai sono pronti a riconoscere Giuseppe per quello che è: il loro<br />
fratello minore, un tempo odiato e venduto, ora degno di essere amato. Giuseppe sente di<br />
dover dare sfogo ai suoi sentimenti e farsi riconoscere.<br />
B, 3 Gen 45,1-15: LA SCENA DEL RICONOSCIMENTO<br />
I fili dell’intreccio si dipanano. Le intenzioni del racconto divengono più esplicite. La<br />
legge di risalita a Dio, che caratterizza ogni episodio, rivela qui la sua ragion d’essere più<br />
profonda (45,5ss). Dio ha fatto concorrere tutte le cose al suo disegno di salvezza; Giuseppe<br />
è per la salvezza dei fratelli. Egli non intendeva fare un processo ai fratelli, tuttavi-<br />
123
a, il termine «resto» in 45,7 fa pensare a un giudizio divino, superato (cf Gen 6,8; 7,1.25).<br />
La salvezza, in realtà, è accordata al popolo di cui i dodici fratelli sono il nucleo.<br />
La riconciliazione è simboleggiata nelle progressioni, come nel simbolo della casa (in<br />
Gen 43). La storia si snoda a partire dal capitolo 37: parlare, vedere, discendere.<br />
• La svolta decisiva era avvenuta al secondo viaggio. I fratelli si sono allora avvicinati, come<br />
appare nei 4 usi di nāgaš: – 43,19, i fratelli si avvicinano al maggiordomo; – 44,18, Ruben/Giuda<br />
si avvicina a Giuseppe per la difesa decisiva; – 45,4, Giuseppe invita i suoi fratelli<br />
a venirgli vicino; essi si avvicinano a lui e il dialogo, interrotto al c.37, riprende.<br />
• Vedere: in Gen 37, i fratelli avevano visto avvicinarsi Giuseppe; in 42, al contrario, Giuseppe<br />
vede arrivare i fratelli completamente abbandonati in suo potere. In 45,12: lo sguardo connota<br />
reciprocità: «Voi vedete con i vostri occhi, e mio fratello Beniamino vede con voi, che è la<br />
mia bocca che vi parla».<br />
• Discendere: in Gen 37,35, Giacobbe voleva scendere nello Sheol, accanto al figlio; ora è invitato<br />
a raggiungerlo discendendo in Egitto (35,9.13).<br />
Gen 50 – Epilogo<br />
Il capitolo nella prima parte (Gen 50,1-14) appare come una “solenne marcia funebre”<br />
per Giacobbe-Israele. Imbalsamato, secondo il costume egiziano, è ricondotto nella terra,<br />
nel sepolcro di Abramo. Così è realizzato il ritornello-promessa-comando di ritornare alla<br />
terra presente nel racconto della sua storia.<br />
Ma per la storia di famiglia e della fraternità ristabilita è importante la finale che riprende<br />
le tematiche conosciute (Gen 50,15-26). In 50,15-21 emerge il tema della possibile<br />
vendetta e del “male” (vv.15.17.21). Nei fratelli si insinua il dubbio che, morto il padre,<br />
Giuseppe possa vendicarsi per il “male” subìto (cf 1Re 2 con gli ultimi consigli di<br />
Davide al figlio Salomone). Per evitare questa possibilità, mandano un messaggio a Giuseppe<br />
(vv.16-17) nel quale ricordano che il padre prima di morire invocava il perdono per<br />
i fratelli e il nome del “Dio di tuo padre”, del quale si proclamano “servi”. La risposta di<br />
Giuseppe con il pianto è un segno positivo.<br />
Nel frattempo, presentandosi a lui, compiono l’ultima prostrazione e si dichiarano<br />
suoi “servi”: si avvera ancora una volta il contenuto del sogno iniziale. Ma il “fratello” lo<br />
proibisce perché essi sono “servi di Dio” ed egli non è Dio, solo fratello. Non li potrà<br />
dominare (vv.18-19), ma è chiamato a essere per loro uomo della provvidenza. Perciò la<br />
storia si conclude con Giuseppe che consola i fratelli, promette loro di prendersi cura di<br />
tutto il popolo (di voi e dei vostri figli) e parla al “loro cuore” (v.21). Ancora una volta la<br />
parola – il dialogo – diventa fondamentale: realizza la pace interrotta all’inizio. Ora anche<br />
Giuseppe è veramente convertito dalle sue pretese di dominio.<br />
Il motivo principale dell’atteggiamento di Giuseppe è esplicitato nella lettura che egli<br />
dà di tutta la storia alla luce della fede (v.20): Dio ha saputo “volgere in bene” il progetto<br />
umano di “male”, per dar vita a un popolo numeroso, quello che essi sono diventati. «Il<br />
lettore che ha letto tutto Genesi ode qui un’altra grande affermazione: la finale richiama<br />
l’inizio. In principio Dio aveva fatto tutto buono, entrò il male, e con il male la morte, il<br />
fratricidio, il male è cresciuto. Però quando Dio interviene, il bene si impone, riesce a<br />
trionfare sul male: non si consuma il fratricidio, si ricompone una famiglia, continua la<br />
promessa e la storia della salvezza, via del bene crescente. Questa parola, che è di conso-<br />
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lazione, è diretta al cuore di tutti coloro che ascoltano questa storia». 10 Il messaggio che<br />
Giuseppe rivolge “al cuore” dei fratelli è offerto anche ai lettori.<br />
Le ultime parole di Giuseppe prima di morire (vv.22-26) sono una profezia dell’esodo<br />
e del ritorno alla terra che egli collega alla promessa dei Patriarchi (v.24); sua ultima volontà<br />
è la richiesta di essere riportato colà (v.25). Il compimento di questo desiderio è<br />
narrato in Es 13,19 e Gs 24,32. Il fatto che sia sepolto al modo egiziano (v.26) non intacca<br />
il suo legame con la terra e con il suo popolo.<br />
Conclusione<br />
Dalla ricerca della struttura narrativa emerge che – la storia di Giuseppe non è il rendiconto<br />
di una emigrazione che porta Israele in Egitto; – l’idea di riconciliazione non è<br />
l’idea maestra; – neppure vi scorgiamo un insegnamento sapienziale sull’utilità della disgrazia.<br />
Sebbene tutti questi motivi siano presenti. A riunirli tutti è il concetto di trasformazione<br />
compreso dal redattore dell’epilogo, che condensa il significato narrativo e<br />
teologico in questi termini: «Il male che voi avevate progettato di farmi, il disegno di Dio<br />
lo ha volto in bene» (50,20). È anche una verità generale sulla Rivelazione: propone<br />
l’inversione di termini negativi in positivi. Lo si nota, oltre alla storia di Giuseppe,<br />
nell’esodo, nella liberazione, nella redenzione, nella giustificazione.<br />
La storia di Giuseppe e della sua famiglia è a immagine della storia della salvezza<br />
nella sua globalità. Anche quando gli uomini credono di lasciarsi guidare dal bisogno, dal<br />
desiderio e da altre passioni, Dio li conduce verso obiettivi situati infinitamente al di là di<br />
ciò che la coscienza percepisce. Quello che sembra uno scacco, può essere una riuscita;<br />
ciò che sembra una riuscita, uno scacco. In questo senso può essere figura della croce di<br />
Cristo che ottiene la vita attraverso la morte. Giuseppe diventa allora la figura o il «tipo»<br />
di Gesù nella vicenda della sua passione e risurrezione.<br />
Perché si realizzi il piano di Dio occorre la conversione dei fratelli dalla gelosia e<br />
dall’odio alla riconciliazione, dall’incapacità psicologica di parlare con il fratello al nuovo<br />
dialogo, in pace, che giunge al cuore. Ma anche quella di Giuseppe dalla pretesa di<br />
dominare e umiliare (far prostrare) i fratelli alla cura per tutti loro. È questo il messaggio<br />
che la narrazione lascia anche al cuore di tutti i suoi lettori.<br />
10 L. ALONSO SCHÖKEL, Genesis, pp. 218-219.<br />
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